EDV 169 - La gioia dell'amore

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EDV Periodico della Comunità il Piccolo Gruppo di Cristo | n°. 169 - anno XXXVII | Luglio 2016

esperienze di vita

la gioia dell’amore

Cosa dice la Parola di Dio alla nostra vita? Amoris Laetitia: un positivo cambio di prospettive.

I figli, un dono di Dio affidati alla cura dei genitori.

La gioia di sentirsi utile, restando comunque “servo inutile”.


Pensiero SpirItuale

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Dalla «Dottrina dei Dodici Apostoli» L’Eucaristia

Click to Pray è una rinnovata app, già operativa, per pregare secondo le intenzioni di preghiera mensili del Santo Padre. Dal mese di gennaio, lo ricordiamo, Francesco affida tali intenzioni ad un apposito videomessaggio, realizzato col contributo del Centro Televisivo Vaticano. C’è anche la possibilità di poter ricevere dei commenti sulla via del cuore e sulla via spirituale per essere più vicini al cuore di Gesù, pregando per l’umanità».

Così rendete grazie: dapprima riguardo al calice: Ti ringraziamo, o Padre nostro, per la santa vite di Davide, tuo servo, che ci hai fatto conoscere per mezzo di Gesù, tuo Servo; gloria a te nei secoli. Poi riguardo al pane spezzato: Ti ringraziamo, o Padre nostro, per la vita e la conoscenza che ci hai rivelato per mezzo di Gesù, tuo Servo; gloria a te nei secoli. Come questo pane spezzato era disperso sopra i monti e, raccolto, è diventato una cosa sola, così sia radunata la tua Chiesa dai confini della terra nel tuo Regno; perché tua è la gloria e la potenza per Gesù Cristo nei secoli.

inrete Le app più in voga per pregare on line

“Le vacanze sono un momento per riposarsi, ma anche per rigenerarsi nello spirito, specialmente leggendo con più calma il Vangelo.”

www.iubilaeummisericordiae.va

Arriva dalla web technology 2.0 il sostegno multimediale alla spiritualità quaresimale: si tratta della smart-app Via Crucis, un software completo e graficamente brillante sviluppato per accompagnare i cristiani nel periodo liturgico della Santa Pasqua. L’applicazione è un pregevole focus sulle stazioni della Croce, un percorso digitale ricco di pathos e contenuti teologici, presentato attraverso gli scritti di San Francesco D’Assisi sul significato della Passione e del dolore di Cristo. Uno strumento di preghiera e meditazione, che non manca di offrire spunti spirituali utili a vivere la Quaresima. Fonte: aleteia.org

redazione EDV

info PGC

Giancarlo Bassanini Rosalba Beatrice Paolo Cattaneo Giorgia Evangelisti Letizia Pasqualotto Vilma Cazzulani Donatella Zurlo Andrea Giustiniani

Il Piccolo Gruppo di Cristo

PROGETTO GRAFICO Paolo Cattaneo

Via San Pietro, 20 20832 Desio, MB www.piccologruppo.it

SEGRETERIA segreteria@piccologruppo.it segreteria.pgc (+39) 0362 621651


Sommario EdV • Luglio 2016

In questo numero di EdV, partendo dall’esortazione apostolica del Papa Amoris Laetitia, affrontiamo alcuni dei tanti temi che il Santo Padre ci propone: il cammino di fede, l’amore in famiglia e il sacramento del matrimonio. Cosa dice la Parola di Dio alla nostra vita?

EDITORIALE

La rivoluzione dell’Amore Giancarlo Bassanini

pag.4 ATTUALITà

Liberi e responsabili Paolo Baldo e Maria Luisa Biscaro

IN COMUNITà

Un dono prezioso pag.18

Carità e misericordia Valeria Fiorini

pag.20

pag.6

L’amore è una cosa seria Mauro Panzeri

pag.8 CHIESA NEL MONDO

Monaci dello spirito, apostoli nell’umanità pag.10

L’ANGOLO DEI LIBRI

Una lettura per tutti i gusti

Vilma Cazzulani e Donatella Zurlo

pag.22 LA BUSSOLA

Santa Croce a Firenze Andrea Giustiniani

pag.24 IL VOLTO DEI SANTI

Abitare con Dio Rosalba Beatrice

pag.12

In preparazione all’Assemblea Sinodale di settembre pag.10

GOZO 2017

Cambiare la via, tenere fissa la destinazione Mons. Mario Grech

pag.16


EDITORIALE

UN NUOVO SGUARDO SULLA NOSTRA VITA con la froza deLLA LUCE DEL VANGELO

La rivoluzione dell’Amore di Giancarlo Bassanini [responsabile generale]

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LA GIOIA DELL’AMORE


Care sorelle e cari fratelli, desidero mettere in risalto, sia pure con le poche parole che mi sono concesse dallo scrivere un articolo sul nostro giornale, tre aspetti concreti che come Comunità del Piccolo Gruppo di Cristo, credo siamo chiamati a fare nostri e ad attualizzare alla luce del Vangelo, dopo aver letto e meditato l’esortazione post sinodale di Papa Francesco dal titolo tradotto in italiano: “La Gioia dell’Amore”. In latino si chiama”Amoris Laetitia”, ma potremmo definirla anche: Amoris Rivoluzione, evangelicamente parlando, s’intende. Questa esortazione, soprattutto il quarto capitolo, credo che susciterà in ciascuno di noi un positivo cambio di prospettive, così come sta incominciando ad avvenire anche all’interno della Santa Chiesa, nel nostro modo di pensare e di vivere la relazione dell’amore incarnato, come dimensione della fede e questo vale sia per i celibi, sia per gli sposi e sia per le persone in ricerca della propria vocazione. L’esortazione ci sprona verso una sorta di rappacificazione con il mondo contemporaneo e ci induce a trovare un nuovo pensiero teologico sull’amore e ci obbliga a rivedere il rapporto tra fede e sacramento. Difficile fare una sintesi esaustiva di un documento così ampio che, a mio avviso, ha un valore magisteriale autentico, quantunque non sia una enciclica. I tre mutamenti epocali connessi al testo papale e che più da vicino ci riguardano sono: 1. La stabilità del nucleo familiare e in particolare dell’amore coniugale che é affidata non più al controllosociale ed economico, bensì alla libertà e alla coscienza delle persone. Dove libertà e coscienza non costituiscono più delle minacce, bensì la

scommessa che bisogna giocare perché il Vangelo possa ancora incontrare gli uomini e le donne del nostro tempo ed abitare dentro i loro vissuti. E a questo nuovo sguardo su libertà e coscienza é strettamente legato l’esercizio del discernimento, a cui noi da sempre siamo facilitati attraverso l’accompagnamento spirituale con il nostro responsabile personale. 2. Il secondo mutamento di orizzonte é quello riferito al ruolo e alla identità della donna nell’ambito familiare. Il grande tema del femminile richiede rinnovate energie da dedicare seriamente alla riflessione e all’approfondimento del ruolo della donna in ambito familiare ed ecclesiale ed io mi permetto di aggiungere anche nell’ambito del piccolo gruppo. 3. Il terzo profondo mutamento, non solo nel linguaggio, ma nelle convinzioni é quello che riguarda il significato unitivo e procreativi della sessualità, rivalutata anche nell’aspetto dell’eros, come antidoto per superare l’infedeltà coniugale. Nella esortazione il Papa non vuole cristallizzare la visione del matrimonio, ma aprire una sorta di laboratorio dell’Amore. Questi tre aspetti che ho sopra richiamato ci introducono all’interno del laboratorio dell’amore, dove inizia per noi un affascinante lavoro sperimentale e di non breve durata, uscendo dal quale, dopo prove riuscite e andate a male, troveremo il sentiero del Dio-Amore, in fondo al quale, superata la Croce, ci sarà possibile scorgere il luminosissimo volto di Gesù risorto, che ha dato la sua vita per noi in obbedienza alla volontà amorosa del Padre e che vuole farci vivere pienamente l’esperienza del fuoco dell’Amore che altro non é che lo Spirito Santo, lo Spirito dell’Amore. LA GIOIA DELL’AMORE

Nel cuore della città, un luogo per pregare La casa del Piccolo Gruppo di Cristo, in via San Pietro 20 a Desio (MB) si apre per accogliere gruppi parrocchiali, associazioni, famiglie e gruppi di giovani che desiderano un luogo per pregare e uno spazio di silenzio. Ideale per ritiri, soprattutto in autogestione o semiautogestione, la casa del PGC è immersa in un ampio giardino mette a disposizione una cappella, un salone per conferenze, sale riunioni, sala break, cucina con un ampio refettorio e camere da letto. Per informazioni contattare la segreteria telefonando a 0362 621651 o inviando una email a info@piccologruppo.it

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ATTUALITà

“due genitori in trincea”. LE dinamiche educative dei genitori verso i figli

Liberi e responsabili di Paolo Baldo e Maria Luisa Biscaro

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“Il compito educativo (umano e di fede) è un cammino faticoso, spesso segnato da sconfitte, qualche volta è sperare contro ogni speranza. Tuttavia l’impegno che si deve mettere in atto richiede pazienza e perseveranza per ricominciare anche dai fallimenti del non essere ascoltati e di una disobbedienza praticata. Educare alla libertà significa, creare nella persona i riferimenti importanti, i valori del bene per sé e per gli altri, il senso della solidarietà, dell’amicizia della condivisione che esprimono la nostra più intima natura del essere dono per altri. Quindi impegniamoci a promuovere nella persona quella capacità di decidere quali scelte operare per realizzare una umanità che corrisponda a quel fine primo ed ultimo di una vita bella e vissuta in pienezza nella grazia di Dio”. (Tony Ficara dicembre 2016)

LA GIOIA DELL’AMORE


Imparare a educare i figli senza l’ “ossessione del controllo”. È uno dei consigli del Papa ai genitori, contenuto nel capitolo settimo dell’Amoris Laetitia, dedicato a questo tema. Come riuscire a ​g​enerare processi c​ ostruttivi con i figli? Dal libro dei Proverbi Figlio mio, se tu accoglierai le mie parole e custodirai in te i miei precetti, tendendo il tuo orecchio alla sapienza, inclinando il tuo cuore alla prudenza, se invocherai l’intelligenza e la ricercherai come l’argento, allora comprenderai il timore del Signore e troverai la conoscenza di Dio… Egli riserva ai giusti il successo, è scudo a coloro che agiscono con rettitudine… Allora comprenderai l’equità e la giustizia, la rettitudine e tutte le vie del bene. Mentre eravamo impegnati a scrivere questi pochi pensieri ci è giunta puntuale questa “Parola” che esprime in maniera forte i sentimenti ed i desideri che risiedono nel nostro cuore. Per abitudine usiamo espressioni come: “sono i nostri figli”! Ed è proprio quel “nostri” che crea più di qualche difficoltà nel lasciarli aprire al mondo. Infatti la fatica è quella di comprendere, sia con la mente che con il cuore, che innanzitutto: “I FIGLI SONO!!!” sono loro, così, unici e originali, irripetibili, dono di Dio affidati alla nostra cura. Questo concetto infatti può essere ben chiaro nella mente, la difficoltà è interiorizzarlo al livello più profondo del cuore. La nostra esperienza ci fa dire che se da piccoli pendevano dalle nostre labbra e noi eravamo il centro del loro mondo, poi progressivamente, a partire dall’adolescenza, il centro si sposta e ciò che diciamo diventa spesso superato, a volte obsoleto o perfino “antico”. Questo non ci deve scoraggiare nel perseverare nel nostro compito educativo, nel

dare il nostro buon consiglio, la nostra indicazione, il nostro SI! o NO! chiaro e motivato. I genitori devono diventare la roccia su cui fondare le proprie sicurezze-certezze. (Ezio Aceti) Il compito fondamentale e importante è seminare sempre, con costanza, non sappiamo quando il seme germoglierà, ma dobbiamo essere perseveranti e fiduciosi. Ogni figlio ha i suoi tempi e questo deve coltivare in noi genitori l’atteggiamento di “fiducia paziente” come dice papa Francesco, che ci aiuta ad affrontare delusioni e fallimenti, ma ci rende anche pronti a ricominciare ed ad aggiustare il tiro ogni giorno. Educare è innanzitutto custodire, far crescere ​i figli dentro una testimonianza di vita familiare coerente. Certamente la nostra generazione di genitori vive un tempo difficile, non possiamo usare il modello educativo con il quale ci hanno cresciuti perché superato dal vertiginoso evolversi dei tempi nella società contemporenea. A volte infatti ci troviamo disarmati e privi di strumenti idonei per affrontare il rapporto quotidiano con loro. Quello che possiamo dare è una testimonianza di coerenza e certezza di valori, di impegno e di presenza che, malgrado i nostri limiti, deve sempre essere motivata dall’ amore che nutriamo per loro e che ci aiuta ad affrontare ogni difficoltà. Ci siamo resi conto, strada facendo, che fondamentale in questi frangenti è stato far crescere la confidenza e la sincerità: strumenti che permettono un dialogo aperto e proficuo nel quale emerga che noi genitori non siamo degli estranei e tantomeno il “nemico”; anzi la famiglia diventa la squadra che lavora insieme all’unico obbiettivo: crescere ed imparare ad affrontare la vita e le sue sfide. Non ci sono ricette preconfezionate per affrontare e risolvere i problemi, solo la vita incarnata può costruire LA GIOIA DELL’AMORE

l’uomo futuro (e anche il genitore). Infatti, parole e raccomandazioni ripetute mille volte, diventano comprensibili e vere solo nel momento in cui il figlio ne fa esperienza diretta. Proprio per questo comprendiamo che l’esperienza del fallimento, della delusione, anche se dolorosa, permette un passaggio fondamentale di crescita e maturazione umana. Pensiamo che il messaggio principe da veicolare sia quello che i problemi, per quanto difficili, si possano affrontare e superare “insieme”. A volte ci è parso utile raccontare ai nostri figli le nostre esperienze di adolescenti, raccontare che anche per noi crescere è stata una sfida ricca di fatiche, anche noi abbiamo fatto i nostri errori eppure siamo sopravvissuti. Infine, possiamo dire con riconoscenza, che nella nostra esperienza di genitori, è stata importante la possibilità di condividere la nostra realtà, il nostro vissuto, sia con il responsabile personale che con altri fratelli del Piccolo Gruppo, magari, più avanti nel cammino genitoriale, con figli già grandi. Sicuramente, per ogni nucleo famigliare, il Signore ha un progetto unico e originale, ma lo scambio ed il confronto con altre coppie, sostiene e apre la mente ed il cuore a saper riconoscere i propri limiti e a rimettersi prontamente in cammino. I figli sanno “cogliere” ed hanno occhi per vedere il desiderio dei loro genitori di trovare una strada per crescere insieme e sicuramente, prima o poi, lo riconosceranno come un atto di amore. Quello che stiamo capendo nella nostra esperienza personale è che non ci si può mai considerare arrivati anzi abbiamo compreso che il nostro atteggiamento è di chi è in trincea ovvero sempre pronto a qualsiasi battaglia. E ciò che ci fa stare desti e attenti alle situazioni e pronti a rimetterci per primi in discussione è l’amore profondo che ci lega a i nostri figli.

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ATTUALITà

Il matrimonio: ritornare a scegliersi a più riprese. una testimonianza di vita Il matrimonio è anche un lavoro “artigianale” di tutti i giorni. Perché il marito ha il compito di fare più donna la moglie e la moglie ha il compito di fare più uomo il marito. Quali sono stati all’inizio e quali sono oggi i gesti concreti di attenzione l’uno verso l’altro che sperimentate quotidianamente? Non riesco a segnare un gesto esteriore, particolare; trovo ragione nelle parole di Papa Francesco che sottolineano come i gesti che esprimono l’amore nella famiglia devono essere costantemente coltivati, senza avarizia, ricchi di parole generose (Cfr. AL 133); anche perché quelli veri nascono dal cuore, momento per momento, e sono novità che sorprende e per questo sono apprezzati e portano freschezza nel rapporto di coppia e nella famiglia. Se siamo per l’altro e lasciamo che l’amore si esprima, l’amore ha espressioni e contenuti che si rinnovano e danno valore anche alle cose più semplici: l’importante è stare nel campo dell’amore per cogliere il fiore e il frutto da presentare, perché bello ed espressione del nostro cuore. Cristo ha introdotto come segno distintivo dei suoi discepoli soprattutto la legge dell’amore e del dono di sé agli altri (cfr Mt22,39; Gv 13,34), e l’ha fatto attraverso un principio che un padre e una madre sono soliti testimoniare nella propria esistenza: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici» (Gv 15,13). Ho citato il capitolo 133 della Amoris Letitia e proprio leggendo il suo inizio sono rimasto sorpreso dalla affermazione di Papa Francesco che

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L’ Amore è una cosa seria di Mauro Panzeri

definisce l’amore che unifica tutti gli aspetti della vita matrimoniale come «amore di amicizia»; questo è vero e capibile se riandiamo al testo Giovanneo: Cristo si fa servo offrendo sino in fondo la sua vita e mettendo tutto in un rapporto di amicizia, di “amore di amicizia”, e ci dice che se anche noi faremo come lui ha fatto, saremo veramente nella dinamica del suo amore, dell’amore vero, saremo suoi amici (Cfr 15,14). Essere papà e mamma ed essere al contempo discepoli del Cristo si è testimoni di questa “amicizia” che costruisce l’esperienza della vita e diventa lampada per il mondo. Perdendosi nel dono di sé, i genitori, non solo aprono il loro cuore ai figli per dare, e far crescere il loro bene, ma riversano su di essi e nel mondo una luce che fa leggere in verità i percorsi della vita. Questa esperienza ci dice che perdere sé stessi, a sorpresa, ci costruisce. Tutto ritorna su di noi come bene. Da questa preLA GIOIA DELL’AMORE

ziosità non ci staccheremo più. Nulla potrà mai pensionarci perché il calore del cuore che ci spinge a perderci nei figli non smetterà di sollecitarci anche quando “andranno” da soli; attenderemo con speranza e ansia di ricominciare a fare sempre la nostra parte, magari come nonni, e se succederà, con maggiore consapevolezza e dolcezza saremo pronti a riperderci. Come vivere l’amore coniugale tra misericordia e perdono anche di fronte a incomprensioni? Come parlare dell’amore coniugale dentro le fatiche della quotidianità? Mi pare impossibile perché tutto sta in un dipanarsi continuo della matassa da cui si trae il filo, anche perché succede che ogni tanto il filo si ingarbuglia e si formano dei nodi: che fare? Ci vuole pazienza e aiuto. E spesso non ci accorgiamo che l’aiuto, anche se non cercato o invocato, come fresca rugiada viene


dalla grazia del sacramento del matrimonio; la grazia ci aiuta ad uscire da noi stessi per guardare all’altro non solo come presenza da rispettare e aiutare ma come alterità che costruisce il nostro bene, il nostro essere veri. La grazia rende vera e vissuta la promessa che abbiamo fatto davanti al Signore dandoci coscienza che quando abbiamo detto di accogliere l’altra persona lo abbiamo fatto perché avevamo e abbiamo bisogno di lei per essere noi stessi, per essere come il Padre ci vuole. La grazia ci sostiene proprio nello stare di fronte, uno all’altra, di fronte alla verità del coniuge e ci fa capire che perfino ed anche le sue debolezze sono luce di verità per noi. La grazia ci mette poi in moto per aiutare e servire il bisogno vero dell’altra persona. Per un cammino affascinante sull’argomento suggerisco la meditazione dell’inno della carità attraverso il percorso proposto nel quarto capitolo dell’Amoris Letitia. Oggi tante persone hanno paura di fare scelte definitive diciamo per tutta la vita. Come rilanciare anche verso i giovani la scelta vocazionale del matrimonio? Se non entriamo nella coscienza di aver reciprocamente bisogno e pensiamo solo al nostro personale bene, il “per sempre” ci intimorisce e spaventa. Dobbiamo aiutare i giovani ad aprirsi, nella vita, al fascino dell’imprevedibile per osare un cammino, un progetto da costruire tenendosi per mano, alla ricerca della bellezza nascosta in un futuro, magari difficile, ma che val la pena di scoprire. Come l’amore di Dio è stabile e per sempre, così anche l’amore che fonda la famiglia vogliamo che sia stabile e per sempre Nella vostra famiglia ci sono stati dei passaggi fondamentali nei

quali avete vissuto la presenza del Signore? Mi pare che il centro da costruire, passo dopo passo, sta nella coscienza di essere accompagnati dall’amore, dal sentire che Dio ci ama e sorregge le nostre giornate. Io ho nel cuore il momento che, sulla porta di casa, rientrando, mi son sentito interiormente chiedere se veramente amavo la persona che reincontravo; in quel momento la mia risposta è stata pronta e ho risposto: certamente si! Ma il Signore non si è accontentato e mi ha richiesto: la ami come la amo Io? E’ questo il punto perché se diamo il nostro“si” a questa domanda è un “si” obbligatoriamente per sempre. Amare l’altra persona come la ama il Signore non può essere cosa che ha un limite nel tempo, è un per sempre. Dopo tanti anni, con mia moglie riconosciamo che stiamo godendo di un dono grande: quello di invecchiare insieme. Ogni giorno ci è dato di cogliere e far tesoro dei segni che ci confermano che stiamo camminando con il Signore; dentro questo andare, però, la reciproca scoperta quotidiana, ancor più bella, è quella di sentire vicino il Signore perché abita la persona che abbiamo di fronte. Come il cammino nel PGC ti ha accompagnato negli anni a vivere con coraggio la vocazione matrimoniale? Il Signore ci conosce e sa cosa ci serve! Per me ha pensato al Piccolo Gruppo di Cristo. Io lo sento come un suo dono. Qui, in questo cammino, ho imparato a conoscere la concretezza dell’amare. L’amore non è un sentimento in cui ci moviamo ma è una concretezza, è la concretezza della vita che si esprime dentro le relazioni, dentro la relazione. Credere in un Dio che è Relazione Trinitaria e che ti coinvolge nel Suo essere con il dono della vita LA GIOIA DELL’AMORE

matrimoniale è superlativo. Ci vuole umiltà per vivere questa vocazione, questa grande relazione, perché è un immergersi anche nelle nostre povertà. Per fortuna il coraggio lo ha messo il Signore dal momento che ci ha fatto il dono di questa vocazione. Come Maria, ogni genitore è esortato a vivere con coraggio e serenità le sfide familiari, tristi ed entusiasmanti, e a custodire e meditare nel cuore le meraviglie che Dio svela nella famiglia. Da Valmadrerese sono costantemente richiamato dalla presenza del Santuario della Madonna di San Martino che irradia sulle nostre famiglie un senso di fiducia e di pace. Ci fa sentire di essere comunque protetti e ci regala una serenità di cuore che ci apre alla bellezza del vissuto familiare nella certezza che i nostri passi sono comunque accompagnati. Come il cammino nel PGC ti ha accompagnato negli anni a vivere con coraggio la vocazione matrimoniale? Il Signore ci conosce e sa cosa ci serve! Per me ha pensato al Piccolo Gruppo di Cristo. Io lo sento come un suo dono. Qui, in questo cammino, ho imparato a conoscere la concretezza dell’amare. L’amore non è un sentimento in cui ci moviamo ma è una concretezza, è la concretezza della vita che si esprime dentro le relazioni, dentro la relazione. Credere in un Dio che è Relazione Trinitaria e che ti coinvolge nel Suo essere con il dono della vita matrimoniale è superlativo. Ci vuole umiltà per vivere questa vocazione, questa grande relazione, perché è un immergersi anche nelle nostre povertà. Per fortuna il coraggio lo ha messo il Signore come un sovrappiù, dal momento che ci ha chiamato a questo.

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CHIESA NEL MONDO

Desio, 17-18 settembre. Assemblea Sinodale aperta a tutta la comunità La convocazione di questa assemblea, prevista dalla nostra Costituzione, all’articolo 29, comma 5, si colloca a meno di due anni dalla scadenza del presente mandato ed è volta a ravvivare la nostra vocazione di cristiani comuni ancorché consacrati, in obbedienza al magistero petrino, che ci invita ad essere missionari creativi e comunità aperta ai cambiamenti lungo la storia, nella Chiesa e nella società del nostro tempo. Questa assemblea vuole ribadire che noi, come gruppo di Cristo siamo un piccolo popolo in cammino, che in stile sinodale, cioè tutti insieme, vogliamo camminare sulla stessa strada, con la medesima passione, in dialogo tra di noi e con fiducia nello Spirito Santo. “Tutti, infatti, siamo dissetati da un solo Spirito che ci unifica”. (1 Cor 12,13). Riportiamo alcune piste indicate dal Responsabile Generale sulle quali aprire la nostra riflessione. 1. Per un piccolo gruppo in uscita. Papa Francesco ci parla spesso di Chiesa in uscita, di periferie da conoscere, di altri luoghi dove collocarci con la nostra vita consacrata per una nuova fecondità. Ci sollecita di frequente ad un nuovo esodo da noi stessi, dai nostri piccoli mondi, da schemi rigidi o illusioni teoriche, per abitare gli orizzonti ben più ampi di Dio, per vincere la globalizzazione della indifferenza, per farci concretamente prossimi di ogni tribolato e marginalizzato del nostro tempo. Ci invita a stare nella carovana degli uomini e delle donne di buona volontà, a non rassegnarci ad un mondo ingiusto e diviso. Dobbiamo avere dunque uno sguardo di misericordia, di tenerezza e di amore sulla storia e su noi stessi, col sano realismo di un amore che si dona. Dobbiamo adottare un metodo di pensiero aperto,

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Monaci nello spirito, apostoli nell’umanità di collaborazione a rete, di rispetto e di gioia per le diversità. 2. Nella forma del Vangelo. Risuoni in questo tempo di preparazione la chiamata ad una conversione forte e coraggiosa, come forma mentis, come reformatio cordis, come conformatio vitae, secondo l’orizzonte evangelico di Cristo Gesù. Risuoni l’invito a ritrovare “la fonte pura e perenne della vita spirituale” (DV 21) nel quotidiano ascolto, orante e riflessivo della Parola (lectio divina). “La parola di Dio - infatti - è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio (Ebr 4,12), e ci purificherà dalla “mondanità spirituale” e da ogni ipocrisia. Questo ascolto obbediente ci rigenererà, “come seme incorruttibile e fecondo” (1Pt 1,23) a nuova fedeltà e guiderà sui sentieri dell’autenticità le nostre opzioni e il nostro discernimento corale. La Parola delle scritture infatti è utile per insegnare, convincere, correggere ed educare nella giustizia, perché LA GIOIA DELL’AMORE

l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona” (2 Tm 3, 16 s). L’ esperienza della lectio divina, sempre raccomandatici dal compianto Cardinal Carlo Maria Martini, come grande risorsa spirituale, sia sempre un punto centrale della nostra proposta formativa e della nostra quotidiana ricerca del volto del Signore. Così con la guida dello Spirito Santo, nell’esperienza di meditazione e di silenzio, di contemplazione e di condivisione, la Parola diventerà sorgente di grazia, dialogo orante, appello alla conversione, proposta profetica e orizzonte di speranza. 3. In modo profetico. “La nota che caratterizza la vita consacrata è la profezia”, ha scritto Papa Francesco. E’ su questa prerogativa che Egli ha insistito nell’incontro conclusivo dell’anno della vita consacrata, invitandoci a cammini di nuova profezia, di prossimità e di speranza. Ci rendiamo conto che non si tratta di una improvvi-


sazione personale, ma è un frutto della Parola ascoltata con cuore obbediente e che si realizza in una comunione ecclesiale vera (VC 84). Ciò esige una appassionata ricerca, che ci abiliterà ad una mistica degli occhi aperti, per offrire con sollecitudine mani solidali, per percorrere sentieri di libertà, con la leggerezza dei discepoli (Mt 10,9-10). Per stare di sentinella come ci propone il profeta Isaia, bisogna accettare di vivere espropriati da certezza, imparare a intuire con cuore innamorato e occhio penetrante (Nm 24,3) i disegni di Dio che sempre si compiono in novità. A questo siamo poco abituati, perciò dobbiamo sentire l’urgenza di imparare questo metodo, di svegliare noi stessi e il mondo dalla distrazione che acceca, di liberarci dalla nostra mentalità distratta e abitudinaria. Soprattutto dobbiamo “interrogarci su quello che Dio e l’umanità oggi domandano” (lettera apostolica II,5). Con un esercizio collettivo di discernimento, sapremo trovare e “ creare altri luoghi dove si viva la logica evangelica del dono, della fraternità, dell’accoglienza, dell’amore reciproco (Lettera apostolica II,2). Per tutte le nostre forme di vita, celibataria, sponsale e in condizione aperta, è risuonato l’invito ad abitare la storia in modo adatto alla propria vocazione nel segno della sponsalità, in quello della contemplazione e della fraternità, nella dimensione della piena umanità. Seguire Cristo in modo profetico è vivere la prossimità senza privilegi per diffondere la luce nella città dell’uomo, per dare sapore come sale nella massa, ispirati alla semplicità del suo vivere nella casa di Nazareth e del suo camminare fra la gente della Palestina. 4. Lieti nella speranza. Un bene scarso e fragile è la speranza oggi, anche in mezzo a noi.

Abbiamo bisogno di ravvivare la ragione teologale della nostra speranza, per farla abitare in noi e nei luoghi del nostro vivere quotidiano. Possiamo parlare, anche in questo ambito, della urgenza di una conversione originale. La nostra speranza è nel Signore, non nei numeri, nelle glorie umane, nelle professionalità ostentate che soffocano l’utile seme collocato sotto terra, pronto a marcire per dare nuova vita. La sfida seria non è l’indebolimento delle nostre forze, è la scarsa fede nella potenza del piccolo seme che, caduto nella terra, porterà molto frutto (MCK 4,31). Guai se la gioia del Vangelo non abitasse più il piccolo gruppo; infelici noi se a causa della tristezza perdessimo l’audacia per “opzioni coraggiose, a volte eroiche, richieste dalla fede” (VC 39). La nostra gioia non è autentica se fuggiamo dove splende il sole, cedendo “alla tentazione di facili e improvvidi reclutamenti” (VC 64), privi di discernimento e di gradualità. Anche la notte oscura ha il suo sole, come avverte il profeta: “Viene il mattino ma è ancora notte” (Is 21,12). Forse è arrivato il tempo, in alcune comunità, di riconoscere che dobbiamo accettare di diminuire (Gv 3,30), ma per aderire con gioia a ciò che lo Spirito sta facendo crescere altrove: la creatività e l’audacia nel vivere la nostra consacrazione e sequela in altri contesti culturali e in nuovi paradigmi antropologici. Fidiamoci delle “piogge di autunno e di primavera” (Os 6,3), ci aiuteranno ad accompagnare i nuovi aspiranti che verranno, perché sicuramente verranno, per essere protagonisti geniali e originali di nuova rielaborazione nello Spirito, nella comunione fraterna e nella speranza per il Regno che viene. Dobbiamo rivisitare le forme, le strutture, i processi formativi, lo stile del governo della comunità, il senso ecclesiale, per conservare il fuoco e non LA GIOIA DELL’AMORE

adorare le ceneri. Siamo tutti invitati a riproporre con coraggio l’intraprendenza, l’inventiva e la santità del nostro fondatore come risposta ai segni dei tempi emergenti nel mondo di oggi (VC 37). Dobbiamo anche riconoscere il genio femminile come ricchezza e risorsa imprescindibile per una nuova sinodalità all’interno del nostro piccolo gruppo. (VC 58) 5. Nella prossimità della Misericordia. Per noi “amati da Dio e santi per chiamata” (Rom 1,7) è dato il tempo della Misericordia. Dio, infatti, non si stanca mai di perdonare, siamo noi che ci stanchiamo di chiedere la sua misericordia. Ci siamo accostati, ognuno di noi, alla Porta Santa e l’abbiamo attraversata, immagino, con cuore umile e fiducioso, per implorare misericordia e guarigione, lasciando ogni paura, ogni chiusura nel pessimismo, ogni tentazione di fatalismo. “Per essere capaci di misericordia, dobbiamo in primo luogo porci in ascolto della Parola di Dio” e a questa scuola sapremo “contemplare la misericordia di Dio e assumerla come proprio stile di vita” (Papa Francesco-Misericodiae Vultus- 13). Abbracciati dal Padre misericordioso, sentiamoci in comunione con tutti i fratelli e le sorelle del piccolo gruppo. Cerchiamo di essere testimoni e profeti di misericordia, con cuore paziente e carità grande. Affidiamoci “al nostro Dio che largamente perdona” (Is 55,7). Viviamo la conversione come attitudine del cuore, sapendo che questa passa anche per la “mistica di avvicinare gli altri con l’intento di cercare il loro bene” (EG 272) e promuovere risorse ancora disponibili dell’anima (Lc 7,47-49; 13,12s), percorrendo il cammino delle Beatitudini.

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IL VOLTO DEI SANTI

“ESSERE STRUMENTI DI SALVEZZA PER L’ALTRO”. la testimonianza di DON SANTORO

Abitare con Dio di Rosalba Beatrice

“La nostra Chiesa è Chiesa di santi e di martiri, anche di martiri nascosti, perseguitati e uccisi perché cristiani” ci ricordava Papa Francesco in un’omelia in Santa Marta. Don Andrea Santoro, primo martire romano del XXI secolo, nasce nel 1945, ordinato sacerdote nel 1970 viene assegnato ad una parrocchia della periferia di Roma dove vivevano numerose famiglie in baracche e in situazioni di estremo bisogno. Dopo un anno viene trasferito alla parrocchia della Trasfigurazione, nel quartiere di Monteverde, dove

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vissero, sacerdoti e laici insieme, un rinnovamento ecclesiale tra entusiasmo e difficoltà. Si iniziò in quegli anni a modificare la celebrazione Eucaristica con il celebrante rivolto verso il popolo e le panche a circolo, nacquero tante piccole comunità domestiche guidate da un laico che si incontravano per leggere la Bibbia, occasione di confronto e verifica della vita personale alla luce del messaggio evangelico. Don Andrea riesce a trasmettere a tutti la dimensione del servizio per i bisogni della popolazione della parrocchia. A questo progetto di LA GIOIA DELL’AMORE

responsabilizzazione dei laici si rinunciò presto, nei gruppi di lettura biblica sparì la figura del coordinatore laico e il sacerdote ritorna a condurre la riflessione. Don Andrea riuscì a trasmettere la sua passione alla lettura personale della Bibbia, l’approfondimento del testo, l’attualità della Parola che toccava i cuori, la curiosità dei luoghi e i contesti storici. Questa via sperimentata da Don Andrea per sé, riuscì ad affascinare molti. È una bella storia, quella di Don Andrea, la sua vocazione univer-


sale e la sua testimonianza radicale al Vangelo, bella la sua inquietudine d’amore che cerca sempre il bene dell’altro. Questa lunga e ricca esperienza come viceparroco ha temprato il suo carattere facendolo un prete maturo ed equilibrato. Nel 2001, Don Andrea scrisse di sentire il bisogno di silenzio, di ascolto della parola di Dio e di un lungo tempo di preghiera per riflettere e rivedere la sua vita personale. Fu convocato per affidargli una parrocchia, ma Don Andrea confidò di desiderare un periodo di riflessione da passare possibilmente in Terra Santa. Fu un viaggio avventuroso, partì con pochi soldi e qualche vestito, la Bibbia e qualche testo dei padri della Chiesa in un sacco. “Cercavo un luogo in cui “abitare con Dio” dove avevo il tempo di ascoltarlo, parlargli, per capirlo, per farmi custodire da lui.” In questo abitare avverte un rapporto esclusivo e profondo con Dio, l’innamoramento si trasforma in rapporto definitivo. Rimase in Medio Oriente sei mesi, in quei luoghi dove l’umanità di Gesù ha lasciato le sue impronte sulle zolle, e la grazia di Dio è entrata nel cuore attraverso la sua Parola. “Ho revisionato concretamente la mia vita”, disse Don Andrea, “lì Dio mi aspettava.” Nel niente del deserto il tutto di Dio si fa percepire con grandezza. L’aridità del territorio, il sole cocente, la sete, il vuoto intorno ci fanno capire la debolezza del nostro corpo. È a Nazareth che nasce la salvezza degli uomini, è nato Gesù, il salvatore del mondo. A Nazareth Gesù vive nel nascondimento per trent’anni. Meditando tutto questo Don Andrea comprende che è possibile vivere santamente senza compiere opere eccezionali, sottomettendosi alla volontà di Dio. Durante questo primo viaggio in Palestina Don Andrea scrisse: “Ho capito che non si va nel deserto per

cercare Dio in quel luogo, ma per trovarlo in sé, per scoprirsi sua dimora, suo tempio, suo corpo e sua anima...” e aggiunse: “spero che sia una solitudine e un distacco che mi costruisca, potandomi, permettendo al tronco di essere ben piantato e ben saldo, in grado di ospitare, come dice il Vangelo, molti passeri, e offrire un ramo per costruirci un nido.” Don Andrea tornerà da quel lungo viaggio con una fede più matura e tornato nella sua diocesi romana si trasferirà in un quartiere dove non esiste nemmeno una parrocchia. Verderocca, nuovo quartiere in costruzione, senza strutture sociali di aggregazione, dove la gente è povera. Lui vive in un piccolo appartamento, è un prete senza una Chiesa in muratura, incontra la gente per strada, nei negozi o va a visitarla nelle loro case. La Santa Messa viene celebrata all’inizio in una sala condominiale e quando le persone partecipano più numerose in un tendone montato su un terreno. Don Andrea parlava di “pietre vive” riferendosi alle persone che misero le basi della comunità cristiana. Nel nascondimento, in un ambiente non certo agevole, Don Andrea ha imparato giorno dopo giorno ad amare uomini e donne che abitavano quel quartiere, sforzandosi di capirne le storie, andando incontro ai loro bisogni. Per la costruzione della Chiesa, Don Andrea riuscì a coinvolgere tutti i parrocchiani partecipando anche economicamente secondo le proprie possibilità. In questo periodo di lavoro manuale e da carpentiere non dimentica la sua dimensione spirituale di preghiera e meditazione, anzi si fece costruire un piccolo “eremo” dedicato ad Abramo, nel cortile dietro la Chiesa in costruzione, mettendolo a disposizione di chiunque desiderasse ritirarsi in silenzio a pregare. Nel 1994 LA GIOIA DELL’AMORE

viene trasferito in una importante parrocchia di Roma ma prima trascorre un lungo periodo in Medio Oriente. Don Andrea riusciva a rendere straordinarie anche le cose ordinarie, si fa presente tra la gente della nuova parrocchia con uno stile missionario. Aprì le porte ai poveri e anche a una nuova e piccola organizzazione fondata da una giovane romana, Chiara Amirante, e l’Associazione Nuovi Orizzonti, che incontrava i giovani vittime della violenza fatta di prostituzione, alcolismo, droga e criminalità alla Stazione Termini. Più volte Don Andrea aveva manifestato ai suoi superiori il desiderio di ritornare e stabilirsi in Turchia e la sua insistenza non era stata compresa fino a quando gli fu concesso di partire nella primavera del 2000. Come nella lettera che scrisse ai suoi parrocchiani prima di partire, egli motivava il suo desiderio di partire per accendere una piccola fiamma proprio lì dove era divampato il fuoco del cristianesimo. “Partire, sostiene Don Andrea, “vuol dire mettersi in cammino in cui Dio sempre ti si manifesta, sei da Lui riempito e svuotato, Lui prende le redini della tua vita. L’incertezza che ti viene da Dio è preferibile alle certezze che vengono da te”. Qualche notte, Don Andrea si è domandato: “Perché sono qui?”. E rispondeva: “Sono qui per abitare in mezzo a questa gente e permettere a Gesù di farlo prestandogli la mia carne.” La prima destinazione in Turchia è Urfa, città di grande spiritualità, città poco conosciuta, piccolo villaggio da dove partì Abramo dopo la chiamata di Dio. Per lui essere cristiani vuol dire partire, quindi non rimanere tranquilli nel proprio posto per tutta la vita, ma bisogna

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avere il coraggio di andare incontro agli altri nella propria città ma anche nelle città del mondo. In Turchia i cristiani sono una minoranza, le parrocchie non hanno personalità giuridica riconosciuta e una Chiesa non può essere affacciata su una strada pubblica. Don Andrea è stata una presenza amica per incoraggiare i cristiani. “Il sogno sarebbe questo: che si realizzassero piccole luci, sparse qui e lì, che rendano presente il nome di Gesù e che siano fermenti di incontro, di riconciliazione, di dialogo fra ebrei, mussulmani e cristiani” confidò Don Andrea in una intervista. Chi sono i martiri? Come si diventa martiri? Ogni martire è una storia, sicuramente il martire non cerca la morte, ma non fugge. “Tutto quello che avevo imparato da bambino sui cristiani non era vero”, confessa un mussulmano convertito al cristianesimo. “Don Santoro ci insegnava ad amare il nemico, a non portare rancore per nessuno, io voglio bene ai mussulmani anche se mi ammazzano, io non ho paura.” “Non c’è dono di Gesù, non c’è dono dell’amore del Padre che non passi attraverso una moneta che è il dono della nostra vita, dell’ amare oltre misura, amando chi non ci ama, servendo chi non ci serve, dando la vita per chi a volte ce la rende impossibile. Ho ben chiaro che sono qui non per convertire ma per convertirmi”, confida agli amici romani, “mi sono guardato intorno, ho pregato..., ho intessuto piccoli quotidiani rapporti con i vicini di casa, imparando a salutare, a rispondere alle tante domande, ho imparato a voler bene, gratuitamente senza aspettarmi nulla, a voler bene a ogni persona come è vista e amata da Dio”. E lo stesso stile egli adottò a Trabzon, dove c’è tutto da rimettere

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MERYEM ANÀ La preghiera a Maria composta da Don Andrea Santoro Maria Donna di Gerusalemme Dove ti offristi con Gesù ai piedi della croce, Maria Donna del Cenacolo. Dove raccogliesti il soffio dello Spirito Santo, Maria Donna di Efeso, Dove giungesti con Giovanni “tuo figlio”. Inviato in missione dallo Spirito: prega per noi. Maria madre delle pecore fuori dall’ovile, Madre di chi non conosce tuo figlio, Madre di coloro che “non sanno quello che fanno”: Prega per noi. Maria madre delle anime senza vita, Madre delle menti senza luce, Madre di cuori senza speranza, Madre dei figli che uccisero tuo Figlio, Madre dei peccatori, madre del ladrone non pentito, Madre del figlio non ritornato: prega per noi. Maria madre di chi non lo ha seguito, Madre di chi lo ha rinnegato, Madre di chi è tornato indietro, Madre di chi non è stato chiamato: prega per noi. Maria madre di coloro che vanno come Giovanni A cercare i figli di Dio dispersi, Madre di quelli che scendono agli inferi Per annunciare ai morti la Vita: prega per noi. Maria madre vieni a vivere con me: Vieni nella casa dove mi chiede di abitare, Vieni nella terra dove mi chiede di andare, Vieni tra gli uomini che mi chiede di amare, Vieni nelle divisioni che mi chiede di sanare, Vieni nei cuori che mi chiede di visitare. Vieni a casa mia a farmi da madre, Vieni Maria a darmi il tuo cuore di madre. “Meryem anà” “Maria Madre” di tutti i popoli Prega per noi. LA GIOIA DELL’AMORE

a posto, un comunità di 15 cristiani che da molto tempo non vedono un prete e la Chiesa di Santa Maria. Don Andrea lottò molto per strappare alla prostituzione donne cristiane, emigrate armene e georgiane, i clienti erano tutti mussulmani. “Entrare in questo mondo con la sola presenza, pregando sottovoce, cerchiamo di amarle e rispettarle, cerchiamo di entrare in contatto e poi Dio sa’ cosa potrà accadere. Dio non distrugge, ma purifica, rigenera. Dio non si rassegna al male, ci aspetta sempre.” Il 5 febbraio 2006, mentre Don Andrea pregava inginocchiato in Chiesa, con in mano la Bibbia in lingua turca, viene assassinato con due colpi di pistola da un ragazzo sedicenne, i proiettili, dopo aver attraversato il suo corpo, si conficcano nella Bibbia che aveva sempre in mano. E’ stato definito “eroico testimone dei nostri giorni” da Papa Francesco. Pochi giorni prima dell’assassinio don Andrea scrisse: “Sono qui per abitare in mezzo a questa gente e permettere a Gesù di farlo prestandogli la mia carne. Si diventa capaci di salvezza solo offrendo la propria carne. Il male del mondo va portato e il dolore condiviso, assorbendolo nella propria carne fino in fondo, come ha fatto Gesù”. Quale testimone della fede fino al dono della vita, la Chiesa di Roma ha dato avvio nel 2011 al processo di canonizzazione di Don Andrea Santoro. Bibliografia: Don Andrea Santoro Un prete tra Roma e l’Oriente


IL CARD. SCOLA SULLA STRAGE DI NIZZA E IL GOLPE IN TURCHIA

L’Arcivescovo di Milano, il cardinale Angelo Scola, in un passaggio dell’omelia della Messa festiva celebrata domenica 17 luglio 2016 a Lorentino di Calolziocorte (Lc) è intervenuto sui fatti tragici capitati in questa settimana in Puglia, a Nizza e in Turchia. Ha detto Scola: “Oggi corriamo il rischio di fermarci alla superficie delle cose. Potendo, con l’aiuto della tecnica, quantificare tutto, rischiamo di badare sono all’apparenza e di dimenticare il cuore, fermandoci a ciò che possiamo dominare e controllare. Ciò che non è sotto il nostro potere e controllo spesso è come se non esistesse, come se lo Spirito Santo non potesse irrompere per trasformare le cose. Questa apertura allo Spirito è un criterio per vivere questo tempo di tragedia in cui siamo immersi. I drammi che si sono susseguiti in questi giorni - molto diversi tra di loro - ci hanno turbato fino a toglierci il fiato. I morti nel disastro ferroviario in Puglia, il massacro di Nizza, il subbuglio politico in Turchia e le persone uccise: questi fatti violenti mettono davanti ai nostri occhi la realtà ineluttabile della nostra morte.

E ci impongono una domanda: come intendiamo la morte? Come il passaggio da questa vita all’abbraccio amoroso del Padre, oppure con la paura di finire nel nulla? Tutti possono raggiungere la salvezza nel paradiso: Se moriamo con lui, con lui vivremo dice San Paolo. Come possiamo reagire a questi fatti terribili? Anzitutto passando da spettatori di questi drammi ad attori responsabili. è decisivo, per porre rimedio a queste tragedie, non limitarci a trovare chi ne è colpevole - cosa che è comunque da fare - ma metterci in gioco. La vita non è fatta solo di lavoro, vita familiare, riposo, divertimento, cura del nostro corpo... La tragica realtà che la cronaca ci consegna, ci domanda di metterci in gioco, di diventare consapevoli che dobbiamo costruire una nuova civiltà. E questo avviene - ad esempio amando in famiglia in modo diverso, educando i figli in modo nuovo, affrontando il lavoro e il problema della disoccupazione in modo solidale. Dobbiamo cambiare nel quotidiano, così da rigenerare la nostra Chiesa e da costruire vita buona nella società. I drammatici fatti di questi giorni non basta che impressionino i nostri sentimenti: devono muovere l’intelligenza e spingerci alla carità e alla condivisione. La Parola di Dio non è stata incatenata: Dio è il Signore amoroso della storia e vuole il bene di tutta la famiglia umana. Questa convinzione deve spingere ognuno di noi ad assumere un impegno ecclesiale e sociale diretto. Non possiamo più essere solo clienti della chiesa o solo spettatori critici della vita sociale. Dobbiamo essere attori per ridare corpo vitale della chiesa e sostanza alle nostre democrazie. Dobbiamo, nella verità, realizzare le libertà, non basta conclamare a parole i valori”.


GOZO 2017

le parole dell’Omelia alla Festa dell’Eremo, rivolte alla comunità romana

Cambiare la via, tenere fissa la destinazione di Mons. Mario Grech

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LA GIOIA DELL’AMORE


Prendiamo atto che il Signore anche oggi chiama, il che forse a noi sembra una cosa ordinaria, ma non lo è. Proprio oggi facciamo fatica a riconoscere un Dio che si interessa di noi tanto da chiamarci e affidarci una missione. Purtroppo stiamo vivendo una società senza padri, quindi anche senza Dio Padre. E perciò è più difficile riconoscere che il Signore, il Padre Celeste, ancora oggi ci chiama. E forse anche noi ci siamo abituati a una certa modalità di chiamata, ma questo è un pericolo: infatti, se cadiamo nell’abitudinarietà, poi rischiamo che quando Dio ci chiama di nuovo, noi non ce ne rendiamo conto. Abbiamo sentito nella Parola di Dio come il Signore ha chiamato Davide (cf 1Sam 16,1-13) in un modo fuori dagli schemi, fuori dall’abitudine, e gli ha affidato una missione. Vedendo voi che avete sentito questa chiamata, voglio incoraggiarvi a prenderla a cuore, a cercare di approfondirne il significato: cosa vuol dire che Dio si interessa di te, ti ama tanto e ti vuole per sé. Abbiamo ascoltato anche il resoconto del naufragio di Paolo a Malta (cf At 27,13-28,10). Ascoltando il racconto della tempesta, viene da chiedersi perché la nave di Paolo non sia naufragata prima. Questo fu possibile perché Paolo sapeva navigare anche nel maltempo, anche nelle bufere del mare della vita. Anche Paolo era stato chiamato, e quando ha ricevuto la chiamata ha dovuto cambiare vita, ha dovuto cambiare direzione. In questi giorni in cui stiamo celebrando il Sinodo dei Vescovi sulla famiglia, c’è stato un intervento che mi è piaciuto: la Chiesa, la fa-

miglia, tutti noi abbiamo bisogno di un GPS, di un “navigatore”, per il nostro cammino. Ebbene, il GPS ci indica la destinazione, certo, ma a volte, pur mantenendo questa destinazione, ci capita di cambiare un po’ la direzione e di dover quindi ricalcolare il percorso. Anche la nave di Paolo ha fatto così. Leggendo gli Atti degli Apostoli vediamo che anche Paolo per superare le onde ha dovuto cambiare, conosceva anche le direzioni dei venti, ha dovuto cambiare sì la direzione, ma non la destinazione. E anche nella nostra chiamata a seguire il Signore alle volte dobbiamo cambiare la via ma tenendo fissa la destinazione. Lo dico per ciascuno di noi personalmente, lo dico per la famiglia e lo dico anche per la Chiesa; forse è un discorso difficile da capire, ma dobbiamo anche praticare questa esperienza. Sia Davide che Paolo, come tutti quelli che hanno risposto alla chiamata, hanno trovato un Dio delle sorprese, nascoste persino nei momenti difficili. Chi avrebbe detto a Paolo che il naufragio lo avrebbe portato ad evangelizzare un’isola? Quante volte può succedere anche a noi che ci troviamo nelle difficoltà e quelle difficoltà potranno essere anche segno e opportunità dati dal Signore affinché noi arriviamo a trovare la sorpresa di Dio nella nostra vita! Cari miei, io vi auguro che non diventiate abitudinari nell’ascoltare e nel rispondere al Signore. Vi auguro che anche voi, con l’aiuto della grazia, siate in grado di cambiare: se ce n’è bisogno, cambiamo le strade, l’itinerario, ma non la destinazione; auguriamoci di essere sempre aperti alle sorprese del Signore.

LA GIOIA DELL’AMORE

La preparazione al pellegrinaggio comunitario di Gozo, che si terrà dal 22 al 25 aprile 2017, è entrata ormai nella sua fase operativa. Dopo aver già acquistato i biglietti dell’aereo per tutti gli iscritti, stiamo definendo gli ultimi dettagli per quanto riguarda il pernottamento in albergo a Gozo e per i mezzi di trasporto necessari per gli spostamenti da Malta a Gozo e sull’isola (traghetto e pullman). A settembre comunicheremo ad ogni iscritto il programma dettagliato, i costi e le tempistiche per il pagamento della quota di partecipazione.

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IN COMUNITà

il ricordo del nostro caro fratello massimo. una vita di fede e di servizio Come avete saputo il 7 luglio scorso il nostro caro Massimo Marchi ci ha lasciato. E con noi ha lasciato la moglie Angela, i figli Paolo e Sebastiano, le nuore e i nipoti. Da una settimana aveva compiuto 83 anni di cui gli ultimi mesi trascorsi negli ospedali. Nei momenti in cui era più sofferente invocava la Mamma e le chiedeva di donarlo a Gesù. Noi questa preghiera la conosciamo bene… Lo ricordiamo felicemente impegnato nelle numerose Settimane Aspiranti, da qualche anno Settimane di Comunità. Massimo e Donatella erano infatti i cuochi ufficiali e la loro cucina mantovana si faceva apprezzare. Ore e ore spese in cucina, ma collegati da un altoparlante alle meditazioni svolte da ogni aspirante, che loro due imparavano così a conoscere e ad apprezzare. Un servizio, quello in cucina, di cui fino all’ultimo è andato fiero e di cui dichiarava con stupore di non avere mai sentito la fatica. Di origine contadina, sapeva cos’era la fatica e soprattutto la povertà, anche di cibo. Aveva recuperato la salute trasferendosi a Milano e trovando un buon lavoro. Pensiamo farà piacere, a chi anche della Comunità Romana e Trevigiana l’ha conosciuto, leggere qualche passaggio dell’omelia durante la Messa funebre, tenuta dal parroco emerito don Giorgio Gritti, e gli interventi del figlio di Massimo, Paolo, e del nostro Responsabile generale, Giancarlo Bassanini.

Un dono prezioso

Il funerale s’è celebrato il 9 luglio nella chiesa di San Pio V, dove sessant’anni fa è nato il Gruppo, da sempre la sua Parrocchia. La chiesa era gremita, nonostante il periodo estivo e la calura, e i tanti volti dei presenti esprimevano gratitudine ed emozione. Perché Massimo è stato davvero un dono prezioso per la sua famiglia e la Comunità.

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LA GIOIA DELL’AMORE


“…Ringrazio il Signore di avere incontrato e conosciuto, ventitré anni fa, Massimo. Che nella sua semplicità ha mostrato più volte la sua decisione di essere un cristiano serio, con il suo amore ai poveri, ai malati, alla liturgia, e al Piccolo gruppo di Cristo a cui apparteneva. Lo rivedo in particolare durante le tantissime volte in cui ha portato la croce, nella processione d’ingresso della Messa, fino alla Mensa e al Cristo morto e risorto. Ancora adesso lo immagino che porta la sua croce davanti a Gesù, che lo abbraccia e lo introduce nella vita senza fine.” don Giorgio Gritti

“La prima volta che ho visto mio padre piangere è stato quando mi sono perso in un bosco durante una passeggiata. Sono tornato per mano a un pastore di un gregge, io bello, beato e sereno, mentre lui piangeva come un bambino nel dolore e nel pensiero di avermi perso. Come diceva don Giorgio, mio padre era una persona buona che ha sempre fatto del bene a tutte le persone bisognose, sempre disponibile a dare una mano a chi gliela chiedeva. Voglio anche ricordare che il mio papà preparava per gli amici e i parenti i tortellini, i famosi tortelli di zucca, e le torte. Quando si andava in vacanza con gli amici, era lui il cuoco per cinquanta, sessanta, settanta persone. L’ultimo momento felice e sereno trascorso in famiglia è stato il cinquantesimo di matrimonio dei miei genitori, qualche mese fa, che abbiamo festeggiato insieme. Concludo richiamando il pensiero iniziale: io arrivavo beato e sereno per mano di un pastore, e lui piangeva nel pensiero di avermi perso; adesso siamo noi che piangiamo nell’averti perso papà. Ma ti voglio ricordare nel cammino che hai intrapreso, ora sei tu beato e sereno, chiacchieran-

do con il Pastore di tutti i greggi nella passeggiata della vita, della tua eternità. Ciao papà”. il figlio Paolo

Carissimo Massimo, fratello nella fede, al termine di questa liturgia funebre, ti consegniamo alla terra, affinché ti avvolga nel suo abbraccio rigenerante, in attesa della seconda venuta del Cristo redentore, che ti trasfigurerà e vivo ti accoglierà nell’eternità beata. Lo facciamo con la certezza che ci proviene dalla fede, perché “chi muore nel Signore vive in eterno”, perché l’amore è più forte della morte. Ringraziamo il Signore per la tua lunga appartenenza al suo piccolo gruppo, che dallo scantinato di questa Chiesa, ha mosso i suoi primi passi, quasi sessant’anni or sono. La LA GIOIA DELL’AMORE

tua presenza orante e silente fra di noi, ci ha insegnato la concretezza evangelica del servizio, che Tu hai esercitato soprattutto nei confronti dei giovani aspiranti che si accostavano alla nostra Comunità, improvvisandoti cuoco capace e generoso. Sei stato un uomo buono, semplice e discreto. Lasci un vuoto incolmabile nel cuore della tua sposa, dei tuoi figli, dei tuoi nipoti e parenti. Lasci un vuoto, credo, anche in questa parrocchia dove sei stato ministro straordinario dell’Eucarestia e sei stato presenza e conforto per tanti malati. Ora tu hai varcato l’oltre di Dio, sei andato avanti. Noi ti chiediamo di attenderci, di vegliare su ciascuno di noi, affinché tramite la Comunione dei santi, ci sentiamo sorretti nella sequela di Gesù Cristo, nostro Signore. Arrivederci Massimo. Giancarlo

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IN COMUNITà

“saper ascoltare”. l’esperienza di volontariato di una sorella del pgc

Carità e misericodia di Valeria Fiorini

Oggi, 30 giugno 2016, si conclude il primo anno di attività didattiche nel quale non sono stata parte attiva. Dieci mesi di pensione, ci pensate? E nessun rimpianto da parte mia. Neppure i miei di casa se lo sarebbero aspettato: tutti, conoscendo la mia dedizione al lavoro, erano convinti che avrei sofferto per il distacco dalla scuola, e, in fondo in fondo, pur avendo iniziato il mio “conto alla rovescia” trecentosessantacinque giorni prima della data fatidica, anche io avevo qualche piccolo timore in merito. Sapevo, però, che ogni cosa ha il suo tempo, e confidavo nel Signore, pronta ad accettare anche il “vuoto” di cui mi parlavano le amiche che mi avevano preceduto su questa strada. Desideravo la pensione per potermi dedicare meglio alla famiglia e alla comunità; temevo la pensione, per la perdita del prezioso rapporto con i ragazzi e dello scambio con gli

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adulti, in modo particolare quando mi si offriva l’opportunità di sostenerli o consolarli nelle difficoltà. Invece, sorpresa! Non solo ho iniziato la mia nuova vita con l’incontro di fraternità a Desio e la visita dei miei nipoti di Torino che non vedevo da due anni, ma mi sono arrivate due proposte per indirizzare le mie energie e la mia esperienza nel campo del volontariato: la prima, meno impegnativa perché in sintonia con ciò che so fare meglio, l’apertura di un cosiddetto “punto studio” nella parrocchia di un mio amico; la seconda, invece, è arrivata dal mio parroco, che mi ha chiesto la disponibilità per entrare a far parte del gruppo di operatori del Centro d’Ascolto della Caritas. Ed è qui che ho visto, ancora una volta, l’intervento del Signore, il quale, chiedendo la nostra adesione ai suoi progetti, ci riempie di doni e di sorprese.

LA GIOIA DELL’AMORE

“Centro di Ascolto”: quando ho accettato, credevo, ingenuamente, di potermi rendere utile con un servizio, e, per giunta, mi sono sentita importante per essere stata chiamata a svolgerlo. Presunzione. Prima di tutto, frequentando gli obbligatori corsi di formazione per operatori “Caritas”, ho rapidamente capito che tutta la mia esperienza costituiva solo un buon bagaglio di partenza, ma niente di più; che, in realtà, di carità sapevo ben poco e che sicuramente il Signore mi voleva lì per insegnarmela un po’ meglio; che non avevo la benché minima idea di quali siano le vere povertà e di quanto poco si possa fare per alleviarle. Le persone che ho incontrato in questi mesi al centro di ascolto costituiscono un’umanità molto più variegata rispetto a quella della scuola: persone di tutte le età,


di tutte le etnie, con i bisogni più disparati. La maggior parte di coloro che si presentano sono donne che cercano lavoro come badanti, sia italiane sia di altra nazionalità; purtroppo, il numero di coloro che cercano lavoro è di gran lunga superiore a quello di coloro che lo offrono, ma la Caritas non è un ufficio di collocamento, e noi facciamo quel che possiamo, provando a valutare, in equipe, come conciliare urgenze e necessità. Non mancano, poi, coloro che provano ad approfittarsi dei servizi che la parrocchia può offrire: anche in questi casi è fondamentale il lavoro di equipe, per ridurre il duplice rischio di rifiutare aiuto e sostegno a chi ne ha davvero bisogno, o di cedere a richieste che alimentino vizi e dipendenze. Al mio primo colloquio con la referente dell’equipe recalcitravo di fronte all’informazione che era doverosa, per gli operatori, la partecipazione ad una riunione settimanale di verifica e progettazione; oggi, sono convinta che tale riunione costituisce il fondamento dell’attività di ascolto. L’ascolto si fa sempre in due, mentre la revisione dei casi nel gruppo al completo ci consente di discernere con maggior chiarezza, neutralizzando gli immancabili effetti dell’emotività empatica o del giudizio.

Ognuno di noi, pur innestato nella Chiesa, ha formazione e modo di pensare differente, perciò a volte ci sono anche accese discussioni, specialmente quando si tratta di dover programmare interventi a favore di persone che vivono ai margini della società; qualcuno di noi è più “giustizialista”, qualcun altro più compassionevole. Ad esempio, è giusto o no pagare una notte in albergo ad un ex detenuto senza casa, per consentirgli di passare un fine settimana con il proprio figlio di sei anni? O comprare una tessera dell’autobus a un ragazzo ventitreenne che cerca disperatamente lavoro, perché la madre convive con un alcolista violento e lui, su consiglio dei carabinieri, ha dovuto lasciare la casa per evitare gravi conseguenze? O continuare ad assistere un alcolista irriducibile, senza casa, che, per effetto dei suoi vizi, rischia la cancrena e l’amputazione dei piedi? Certo, in quest’ultimo caso, forniamo medicazioni e non denaro, ma la vera miseria non è la mancanza di mezzi di sussistenza, bensì le con-

dizioni psicologiche e spirituali che lo hanno portato a perdere se stesso fino a questo punto. Non avrei mai immaginato quanti siano quelli che lottano o che soccombono in situazioni di precarietà assoluta, soprattutto uomini. Non è un problema di cibo, ma di casa, di bollette, di depressione (nella mia prima settimana di attività, tre casi di tentativo di suicidio, tutti uomini, i più fragili!), di dignità perduta. E sempre più il contatto quotidiano con queste persone mi fa capire ciò che sempre dice il mio parroco, quando, sollecitando l’assemblea alla carità materiale nei giorni destinati alla raccolta, sottolinea sempre di cercare di essere vicini ai poveri soprattutto con la preghiera. Carità e misericordia, dunque, ma confidando esclusivamente nella grazia del Signore, il quale, senza alcun mio merito, mi offre, anche in questa fase della mia vita, la gioia di sentirmi utile, restando comunque “servo inutile”.

Ovviamente, ogni riunione inizia e si conclude con una preghiera, che, per me, ha la funzione di affidarmi al Signore perché mi ispiri pensieri e parole conformi alla sua volontà; nel successivo confronto con i miei partners mi capita talvolta di esprimere considerazioni maturate nel cammino di fede di questi anni, o di raccontare qualche mia esperienza; mi sono accorta di farlo più spesso degli altri, ma di essere ascoltata con interesse e non con sopportazione. LA GIOIA DELL’AMORE

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L’ANGOLO DEI LIBRI

consigli di lettura per tutti i gusti. ALCUNE RECENSIONI DA NON PERDERE di Vilma Cazzulani e Donatella Zurlo

Entrati nel sessantesimo Anno di fondazione del Piccolo gruppo di Cristo, vorremmo proporvi in questo numero di Esperienze di Vita sette libri editi dalla nostra Fondazione, Città sul Monte. Si tratta dimeditazioni dettate a noi negli anni dal ‘94 al 2013, da preti durante gli esercizi spirituali. Unica eccezione la vita di Sabatino, narrata da Ireos Della Savia e arricchita dalle testimonianze di chi lo ha conosciuto.

Queste meditazioni partono da un presupposto, confermato dai magisteri di Benedetto XVI e Francesco. Don Stucchi lo esprimeva così: “Ci deve essere una ragione se Adamo ha chiesto una compagnia che gli fosse simile. Questa ragione…si trova nella stessa natura trinitaria di Dio, che è Amore: come

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poteva un Essere unico, eterno, onnipotente, restare da solo a contemplare un mondo costituito sì da essere animati, ma non in grado di scambiarsi tra loro e di scambiarsi con Lui dei pensieri d’amore? Forte di questa ragione, le prime tre meditazioni affrontano la relazione uomo-donna nel progetto del Padre, in rapporto al Figlio Gesù, nella dinamica dello Spirito. Il capitolo quarto, Essere mistici, e quinto, Famiglia e LA GIOIA DELL’AMORE

consacrazione, entrano nel merito della consacrazione degli sposati, come una novità dello Spirito, in una Comunità che vede la compresenza di celibi e sposati. Interessanti anche le ultime dieci pagine che offrono una scheda informativa sulle origini, la spiritualità e la vita comunitaria nel Piccolo Gruppo di Cristo. Sono un consacrato sposato / Luigi Stucchi / Milano 1994


E’ il primo di tre corsi di esercizi spirituali tenuti a Capiago, in cui l’autore mette a nostra disposizione non solo i suoi studi filosofici e teologici, ma la sua vasta esperienza di prete. In questo primo testo affronta il tema della consacrazione nel secolo, e della missione ad essa legata, con importanti indicazioni finali su come viverla. Originale l’interpretazione che dà dei tre consigli evangelici di povertà, obbedienza e castità. Speranza per la Chiesa, profezia nel mondo / Giuliano Nava / Estate 1994 La Sapienza non è un fatto di cultura, non è frutto di un nostro sforzo, ma di conversione alla carità e dono dall’alto. Ci è stata consegnata in Gesù Cristo che la rappresenta e ci domanda di essere discepoli sapienti, cioè di trovare in lui il centro e la forma della nostra vita. “Maestro, dove dimori?”, dovremmo chiederci come i primi discepoli e cercarlo come fa la Sposa del Cantico dei Cantici. Non mancano suggerimenti per vivere la vocazione nel Piccolo Gruppo di Cristo. Il gusto sapido della Sapienza / Giuliano Nava / Aprile 95 Sabato Iefuniello era un cristiano del tutto comune, ma totalmente donato a Dio. Un giovane timido e scherzoso al tempo stesso, di estrazione semplice e popolare, di salute precaria, celibe per scelta, dedito al servizio degli emarginati, collaboratore del camilliano Fratel Ettore nella fondazione dei rifugi per i senza dimora. Il Cardinale Carlo Maria Martini l’ha definito “un profeta minore del nostro tempo” e ancora “uno di quelli che non parlano molto, ma che vi-

vono seriamente la vita evangelica”. Sabatino è stato uno di quei numerosi discepoli anonimi a cui Gesù ha detto: “in qualunque città… curate gli indigenti che vi si trovano e dite loro: Si è avvicinato a voi il Regno di Dio!”. Il volume ne contiene la vita narrata da Ireos Della Savia, alcune testimonianze raccolte dagli amici del Piccolo Gruppo di Cristo del quale faceva parte ed il profilo tracciatone da Monsignor Giovanni Balconi, postulatore della causa di canonizzazione.

Attraverso sette meditazioni vengono accarezzati e commentati i quattordici capitoli del libro di Tobia. Con sapienza del cuore, amabilità e semplicità si è accompagnati

nella conoscenza di questa splendida storia d’amore familiare e coniugale, che si intreccia pienamente con la spiritualità del Piccolo Gruppo di Cristo, con riferimento ai suoi testi di fondazione, così come alla Costituzione, alle “icone biblica e teologica” e le preghiere del gruppo.

Sabatino, un profeta minore per il nostro tempo / Ireos Della Savia / Ottobre 2012

Storia di una famiglia… la nostra / Tonio Galea / Luglio 2012 LA GIOIA DELL’AMORE

“Non c’è uomo o donna che, nella sua vita, non si ritrovi, come la donna di Samaria, accanto a un pozzo con un’anfora vuota, nella speranza di trovare l’esaudimento del desiderio più profondo del cuore, quello che solo può dare significato pieno all’esistenza”. Cos’è questo desiderio del cuore? Quali sono le sfide che attraversano l’umanità? L’autore presenta un mondo che, ancora oggi, è terreno fertile dove seminare la Sua Parola. Come la donna di Samaria al pozzo, con l’anfora vuota / Gaetano Piccolo / Aprile 2015 Il titolo si riferisce allo Spirito Santo al quale aprirci con docilità. Il testo venne redatto nell’anno della Fede, all’inizio del pontificato di Francesco, nel 50° del Concilio Vaticano II e in vista del Congresso del Piccolo gruppo di Cristo. Attualissimo, propone 6 meditazioni; qui segnaliamo la terza sulle paure che ci abitano e la quarta sulla preghiera. Ancorato alla Sacra Scrittura, Nava prende spunto da Martini, Lazzati e da Dossetti per indicarci alcuni sentieri in vista della missione. Eppure soffia ancora… / Giuliano Nava / Marzo 2013 Se vuoi sUggerire dei libri o dare una mano nelle recensioni scrivi a edv@piccologruppo.it

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LA BUSSOLA

in toscana, l’arte e la storia di una chiesa ci trasmettono angoli di fede

Santa Croce a Firenze di Andrea Giustiniani

A differenza dei precedenti articoli nei quali eravamo andati a visitare degli edifici non dei più conosciuti questa volta entreremo in una chiesa famosissima, ma, scevri da qualsiasi pretesa di completezza in un edificio che per quantità e qualità di opere presenti è superiore alla maggior parte dei musei, proveremo a compiere un breve itinerario alla

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ricerca di Francesco d’Assisi. Santa Croce è la principale chiesa dei francescani a Firenze, e, come sempre, nasce nella seconda metà del duecento in un quartiere periferico, popolare, che era stato appena inglobato nell’ultima cinta delle mura. E il quartiere ha mantenuto nei seLA GIOIA DELL’AMORE

coli questa caratteristica popolare, in senso ampio, come luogo dove si riunisce una cittadinanza, dai tempi delle giostre cavalleresche dei Medici, fino alle letture di Dante di Benigni. E la piazza, con la sua ampiezza ed il suo slancio longitudinale colpisce forse di più della facciata della grande chiesa, che la chiude; linda,


ben disegnata nel suo stile gotico italiano, ma realizzata nell’Ottocento, con il suo sapore di un richiamo al passato, piuttosto che con l’autentica voce di un passato che ci parla. Tutt’altra impressione abbiamo però all’ingresso nella chiesa, qui sentiamo inconfondibile la voce del gotico “mendicante”, francescano e domenicano: una immensa navata centrale nella quale possenti pilastri poligonali impostano ampie arcate ogivali che sostengono una specie di secondo piano in muratura, che arriva fino al maestoso tetto in legno, scandito però orizzontalmente, appena sopra la curva degli archi, da un elegante ballatoio ad archetti pensili, che attenua lo slancio gotico delle arcate. Come sempre è una chiesa pensata per accogliere grandi masse di fedeli da rievangelizzare. Al confronto le navate laterali sonopiuttosto strette, effetto accentuato dalla presenza, successiva alla risistemazione dell’edificio in tempi successivi al Concilio di Trento, di un grande altare al centro di ciascuna campata. Sono altari devozionali, dedicati alla Vergine e ai santi, ma tutto intorno a loro è un susseguirsi di monumenti, edicole, targhe commemorative. È un po’ il destino di questa chiesa, che, specialmente dai “Sepolcri” di Foscolo in poi, è diventata una specie di Pantheon degli italiani illustri. Artisti, scrittori, letterati, musicisti, scienziati… quando non ve ne è la tomba vera e propria vi si è posto un monumento commemorativo. E se sommiamotutto ciò alla gran quantità di tombe terragne del Trecento e del Quattrocento, con le loro lastre marmoree incastonate nel pavimento e l’immagine del defunto più o meno consumata dal passaggio dei posteri, sembra veramente di passeggiare nella storia d’Italia. E non possiamo non dare uno sguardo alla tomba di Vittorio Alfieri, scolpita da Canova,

con l’immagine dell’Italia dolente e malinconica appoggiata all’urna con il profilo dello scrittore; ma non trascurerei neppure la tomba della principessa Czartoryski, di Luigi Bartolini, grande scultore dell’Ottocento, capolavoro nel quale la grande ricercatezza nella resa del letto di morte, delle coltri, delle infinite pieghe della veste da camera, contrasta poeticamente con la distensione dei lineamenti, da donna semplice che si è spenta nella pace. Ma lasciando questo bel pellegrinaggio davanti al ricordo dei nostri connazionali, arriviamo alla fine della navata e sostiamo davanti alla zona dell’altare e al presbiterio. La luce generosa e multicolore che proviene dalle ampie vetrate istoriate accende delle più varie vibrazioni luminose uno spazio completamente decorato. L’arcone e le pareti interne del presbiterio sono completamente affrescati, sopra l’altare brillano le tempere a fondo oro del polittico e la sua maestosa struttura in legno intagliato e dorato. Al centro dello spazio è sospeso il maestoso crocifisso trecentesco. Qui il “pellegrino” che ha compiuto il suo itinerario lungo la navata non potrebbe far altro che fermarsi sbalordito davanti ad un tale profluvio di luce. E questo lo prepara al rito e alla liturgia. Ma non è sempre stato così. Fino al 1566 un tramezzo all’interno del transetto, aveva nascosto il celebrante alla vista dei fedeli e l’effetto doveva essere assai diverso. Poi in quell’anno, appena dopo la conclusione del Concilio di Trento, questo ostacolo fu abbattuto e, da allora, il fedele può assistere alla messa vedendo in scorcio le epiche vicende della Vera Croce, dipinte da Agnolo Gaddi nella seconda metà del Trecento: può vedere come il legno della croce sia stato designato fin dai tempi di Adamo come strumento di salvezza; può assistere LA GIOIA DELL’AMORE

allo sforzo per ritrovarlo, compiuto dai potenti, Costantino, Elena sua madre, l’imperatore bizantino Eraclio, ma insieme a tutto un popolo fatto di soldati, operai, falegnami, monaci. Può vedere in alto la croce stessa, con il crocifisso, attribuito al Maestro di Figline, sublime pittore che ingentilisce il realismo giottesco con gusto sicuro della linea e cromatismo caldo e vibrante. E può abbassare lo sguardo all’altezza dell’altare con il polittico ricostruito in epoca moderna ma pur sempre assai bello, con l’elegante Vergine dipinta da Niccolò Gerini, circondata da santi dottori della Chiesa in splendide vesti a ricordarci che sapienza e bellezza vibrano della stessa luce. Ma, dopo aver sostato alquanto, se giriamo lo sguardo sulla destra dell’arcone, potremo essere colpiti da un possente riquadro affrescato. È delle dimensioni di un enorme quadrato e ci mostra la scena della stimmatizzazione di Francesco, Giotto ne è l’autore. L’immagine del santo, leggermente alla sinistra del riquadro è statuaria, monumentale, in perfetto equilibrio statico, pur se il piccolo Cristo crocifisso in alto gli sta comunicando le sue piaghe. Il paesaggio, chiuso sulla destra dalla piccola cappella, è scabro e roccioso, come nella realtà quello della Verna, ma ampio e disteso, in concordanza con la solennità epocale dell’evento. Ma abbassiamo ancora lo sguardo, e avremo un’altra immagine di Francesco, arrivata lì in tempi recenti, ma “indispensabile” al completamento del nostro percorso. La prima cappella a destra dell’altare è infatti la Cappella Bardi, che era stata anch’essa affrescata da Giotto. Incredibilmente gli affreschi del maestro furono ricoperti, per essere riportati alla luce nell’Ottocento, e di essi ci è possibile oggi una visione solo parziale. Meravigliosa è la scena

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della morte del santo con la figura esangue di Francesco che giace con intorno tutte le sfumature di un dolore profondissimo e sommesso dei suoi frati, mentre un notabile indaga impietoso nella piaga del costato. Ma in fondo alla cappella, al posto di un crocifisso che vi era in antico è stata posta una antica tavola francescana, detta appunto tavola Bardi. Le tavole francescane, risalgono generalmente alla seconda metà del Duecento, e dispongono, su di una superficie rettangolare cuspidata, al centro il santo in posizione frontale, in attitudine benedicente e con esposizione delle stimmate, ed ai lati alcuni episodi della sua vita. Questa seconda parte, “narrativa” è spesso particolarmente importante, perché ci testimonia di come la figura di Francesco fu sentita dai contemporanei, prima che i teologi, e Giotto stesso, operassero la selezione di episodi che diventò canonica. Nella tavola Bardi, l’autore non possedeva i mezzi artistici per caratterizzare psicologicamente Francesco, ma lo rappresenta piccolo ed al contempo ben proporzionato, sottile, asciutto, leggero. Starei per dire più “se stesso” rispetto all’atleta giottesco. Ed alcuni episodi brillano di limpida poesia, come il Francesco che riporta la pecorella al disperato pastore; o gli uccelli ordinatamente disposti in file in ascolto assorto della “orazione” del santo, come fossero bambini delle elementari di tanti anni fa. O i faccioni stupefatti dei musulmani della predica al sultano, assorti ed ammaliati da un predicatore che parlava in una lingua a loro incomprensibile.

all’angolo destro, che Francesco è stato veramente “pietra scartata dai costruttori che è divenuta testata d’angolo”: nella sua vita ha spesso assaporato il gusto del fallimento,

E allora, cari amici, siamo arrivati alla fine del nostro percorso e capiamo che tutte le vicissitudini di questa chiesa hanno condotto ad un risultato davvero mirabile e provvidenziale. Ci hanno mostrato con questa antica tavola, posizionata lì,

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ma il legame con il suo Signore che si è approfondito nel tempo ha permesso che scaturisse da lui, per noi, una sorta di esplosione di luce.


Flash dai Pellegrinaggi dellE comunità locali del Piccolo Gruppo di Cristo nell’anno del giubileo della Misericordia TREVISO. Domenica 12 giugno 2016 i membri della comunità locale di Treviso e alcuni dei loro familiari hanno compiuto un pellegrinaggio al duomo di Treviso (chiesa giubilare della diocesi di Treviso). La giornata è iniziata alle 9.30 presso casa Kolbe, (sede dell’associazione di famiglie “Segno di Alleanza”) in via Burchiellati a Treviso, condividendo un momento di preghiera insieme guidato dal responsabile locale Paolo Baldo (preghiera trinitaria, canto: “Grazie Padre buono”, salmo 25). Erano presenti circa 35 persone tra adulti, bambini e ragazzi. Ciascuno ha ricevuto il sussidio preparato dalla diocesi di Treviso quindi ci si è incamminati verso il duomo.

Comunità romana

Comunità S.Ambrogio

Giunti ai piedi della scalinata, Paolo Baldo ha richiamato il senso di attraversare la porta santa invitando tutti a farlo nel raccoglimento e nella gratitudine al Signore, mentre Andrea Giustiniani ha illustrato il valore spirituale di alcune opere d’arte e strutture architettoniche del duomo. I presenti hanno poi partecipato insieme alla messa delle 10.30. Al termine ciascuno ha seguito le altre tappe del percorso giubilare di rinnovo della fede e di richiesta dell’indulgenza plenaria: il battistero, l’altare della mensa eucaristica e a quello della Vergine Maria.

ESPERIENZE DI VITA, LA RIVISTA è ON LINE

Alle 12.15 abbiamo fatto ritorno a casa Kolbe dove abbiamo condiviso con gioia i piatti che ogni nucleo aveva preparato. Alle 14.30 ognuno a fatto ritorno alle propria casa.

NEWSLETTER

ROMA. Domenica 19 giugno, come Comunità Romana, secondo quanto già programmato nel mese di giugno per la nostra domenica di Comunità, abbiamo svolto il Giubileo Straordinario della Misericordia nella Basilica di San Paolo dove il caro fratello Franco ci aveva da tempo prenotato per la Santa Messa la cappella di San Benedetto. Dopo il Giubileo, come tradizione romana, ci siamo spostati nella vicina parrocchia di San Leonardo Murialdo che ci ha fatto dono della loro ospitalità in un salone e permesso di vivere insieme e con gioia il pranzo della domenica.

Comunità S.Carlo

è possibile leggere la rivista “Esperienze di Vita” direttamente in rete, cioé senza avere materialmente tra le mani la stessa rivista in formato cartaceo. La rivista in formato cartaceo che ognuno di noi riceve può diventare un dono a qualche familiare, amico o conoscente che possa avere un interesse per il discorso religioso e di vita evangelica, e che magari si intende avvicinare al “Gruppo”.

Per tutti c’è la possibilità di iscriversi al sito internet www.piccologruppo.it e ricevere aggiornamenti sulle proposte e il cammino della Comunità.

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“Beati i

misericordiosi, perché troveranno misericordia”

www.piccologruppo.it


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