EDV 168 - Cercatori del bene

Page 1

EDV Periodico della Comunità il Piccolo Gruppo di Cristo | n°. 168 - anno XXXVII | Marzo 2016

esperienze di vita

cercatori

del bene

Dalla Misericordia nasce una nuova vita morale

Gesù ci invita ogni giorno a vivere in pienezza il nostro matrimonio.

Riconoscere i colori della Misericordia nel nostro quotidiano.

Camminare con chi ci sta accanto. L’esperienza di due appartenenti alla comunità.


Pensiero SpirItuale

FOTO TWEET

Dai «Discorsi» di san Gregorio Nazianzeno, vescovo

Il Vaticano ha lanciato “iGiubileo”, la app che permette ai pellegrini di avere sempre a portata di touch ogni informazione relativa all’avvenimento: percorsi, mappe di localizzazione, informazioni su iniziative e centri di culto, numeri utili e news in tempo reale, con un focus esaustivo su eventi e programmi relativi all’anno giubilare.

Riconosci l’origine della tua esistenza, del respiro, dell’intelligenza, della sapienza e, ciò che più conta, della conoscenza di Dio, della speranza del Regno dei cieli, dell’onore che condividi con gli angeli, della contemplazione della gloria, ora certo come in uno specchio e in maniera confusa, ma a suo tempo in modo più pieno e più puro. Guardiamoci, cari amici, dal diventare cattivi amministratori di quanto ci è stato dato in dono. Meriteremmo allora l’ammonizione di Pietro: Vergognatevi, voi che trattenete le cose altrui, imitate piuttosto la bontà divina e così nessuno sarà povero. Non affatichiamoci ad accumulare e a conservare ricchezze, mentre altri soffrono la fame.

“Mi sono sentito accolto, ricevuto con affetto e speranza dai fratelli messicani: grazie per aver aperto le porte della vostra vita.”

www.iubilaeummisericordiae.va

DESIO. Un momento della festa per il compleanno per il novantesimo anno di vita di Ireos.

inrete Le App del Giubileo

Altra app molto interessante è “Giubileo della Misericordia” a cura dell’associazione Spes Nostra Onlus. Nell’APP del Giubileo della Misericordia, scaricabile da tutte le piattaforme on line, sarà possibile realizzare un incredibile tour virtuale delle quattro Basiliche Papali: Basilica di San Pietro, San Giovanni Laterano, San Paolo fuori le Mura e Santa Maria Maggiore e le tre chiese della Misericordia: Santo Spirito in Sassia, Santa Maria in Transpontina e Santuario del Divino Amore. Le dirette degli avvenimenti più importanti, i video dei programmi di Tv2000, le news e gli approfondimenti del Tg2000, sono invece nella nuova App Tv2000 #Giubileo. Fonte: aleteia.org

redazione EDV

info PGC

Giancarlo Bassanini Rosalba Beatrice Paolo Cattaneo Giorgia Evangelisti Letizia Pasqualotto Vilma Cazzulani Donatella Zurlo Andrea Giustiniani

Il Piccolo Gruppo di Cristo

PROGETTO GRAFICO Paolo Cattaneo

Via San Pietro, 20 20832 Desio, MB www.piccologruppo.it

SEGRETERIA segreteria@piccologruppo.it segreteria.pgc (+39) 0362 621651


Sommario EdV • Marzo 2016

In questo numero di EdV vogliamo soffermarci su quanto e come stiamo cercando il volto di Dio. Un volto amico, uno sguardo di bene e un cuore che sa accogliere la sua Parola. In questo anno della Misericordia la S.Pasqua ci ricorda che l’amore di Dio è gratuito e rivolto a tutti.

EDITORIALE

IN COMUNITà

Ritornare alla sorgente dell’Amore

La forza della fede

Giancarlo Bassanini

Lucia Nicolao

pag.4 ATTUALITà

Una cucina sempre aperta Manuela Mascherucci

pag.18

Pellegrino nella Terra di Gesù Sandro Venturoli

pag.20

pag.6

La conversione personale come porta per incontrare l’altro Michelangelo Auguanno

pag.8 CHIESA NEL MONDO

Fare impresa per creare valori pag.10

L’ANGOLO DEI LIBRI

Una lettura per tutti i gusti

Vilma Cazzulani e Donatella Zurlo

pag.22 LA BUSSOLA

Milano, S.Maurizio al Monastero Maggiore Andrea Giustiniani

pag.24 IL VOLTO DEI SANTI

L’Amore trabocca Rosalba Beatrice

pag.12

Prime novità sulla settimana estiva comunitaria pag.27

GOZO 2017

Pensare fuori dagli schemi Mons. Mario Grech

pag.16


EDITORIALE

GESù CI INVITA ogni giorno A vivere in pienezza iL NOSTRO AMORE SPONSALE

Ritornare alla sorgente dell’Amore di Giancarlo Bassanini [responsabile generale]

4

CERCATORI DEL BENE

LA SAMARITANA (Gv 4, 5-30). Anche noi, come la donna di Samaria, in questo anno santo straordinario della Misericordia, siamo invitati a ritornare alla sorgente dell’Amore, per ridare smalto e qualità al nostro amore sponsale. Care sorelle e cari fratelli, con il passare degli anni, può succedere che noi sposi, non ci sorprendiamo più delle qualità del nostro coniuge che tanto ci avevano affascinanti nei primi anni della nostra


vita matrimoniale, quando era ancora forte in noi il sentimento stupendo dell’innamoramento, suscitato da Dio nei nostri cuori. Può succedere che con il passare del tempo non ci sentiamo più così tanto protesi a rispondere ai bisogni di senso dell’altro o dei nostri figli ormai adulti. Può addirittura succedere che abbiamo paura di mostrare all’altro alcuni aspetti della nostra vita che sono andati via via deteriorandosi, a furia di nasconderli. Allora può essere facile e giusto lasciarsi coinvolgere dall’entusiasmo di aiutare chi è nel bisogno immediato e il farlo ci dà appagamento; ma questo può essere uno sforzo sterile se in famiglia, nostra principale vocazione, esistono zone d’ombra, richieste di aiuto non ascoltate, del coniuge o dei figli, se non riusciamo a ritornare alla sorgente dell’Amore, per contemplarne la bellezza è gustarne il fascino, per provare la sete di un percorso che permetta il pieno sviluppo delle risorse d’amore che Dio ha seminato nei nostri cuori, anche se i nostri corpi conoscono i limiti dell’età che avanza o della malattia.

che sollecita la nostra risposta, ogni giorno, ogni ora, verso la persona amata. Se ascoltassimo con le orecchie del cuore quella voce tenera e amorevole ci sentiremmo amati da Lui e sollecitati ad amarci fra di noi.

Gesù invita noi sposi a sostare presso il nostro pozzo, alla sorgente della nostra storia d’amore, per riscoprire le grandi cose che Dio opera nella relazione che ci unisce. La tenerezza di Cristo sposo accende in noi il mistero grande e ci invita a viverlo. In questo si delinea l’orizzonte della nostra spiritualità coniugale arricchita dal dono incommensurabile della consacrazione personale, come risposta al dono ricevuto. Essa esige stupore contemplativo per scoprire la ricchezza che è nel cuore e la coerenza entusiasta per esprimerla. Nella trama concreta della vita. Per me lo stupore contemplativo è il dono di saper guardare l’altro con gli occhi di Dio, con il suo sguardo amorevole e misericordioso e di lasciarsi guardare e guarire da altrettanto autentico amore. Per vivere in pienezza la spiritualità di coppia è sufficiente “copiare”

l’atteggiamento umano che Gesù ha insegnato ai suoi amici discepoli, quell’atteggiamento che ci dice di avere sete di cose vere, di vita, in una parola, di avere sete di Dio. Se solo, come la Samaritana, ci lasciassimo conquistare da Dio, buono e misericordioso, ogni desiderio di salvezza sarebbe ascoltato, ogni desiderio di misericordia realizzato, ogni seme di amore nascosto fatto germogliare. È il Signore che suscita la sete e ci dona l’acqua viva dello Spirito, quella che sazia per sempre la sete di infinito del cuore di ogni persona. La vera sorgente, l’acqua viva, è una sola, e da questa nascono tutti i corsi d’acqua che dissetano la nostra vita: l’amore sponsale, l’amore genitoriale, l’amore fraterno, le amicizie sincere, l’ascolto della Parola di Dio, l’esperienza del perdono reciproco e l’accoglienza del più debole. È indispensabile, sorelle e fratelli, tornare ai “pozzi” dove abbiamo vissuti momenti forti di incontro tra di noi sposi e con il Signore! È indispensabile essere consapevoli che l’amore di Gesù è una risorsa per la nostra vita di coppia e di famiglia.

Per tornare alla sorgente del nostro amore siamo chiamati a dare qualità al nostro amore sponsale, a qualsiasi età: dobbiamo affidarci sempre e solo a Cristo sposo e lasciarci rigenerare dalla voce di Gesù che ci dice “Se tu (coppia) conoscessi il dono di Dio!” Avresti compreso tutto quello che ti serve per vivere secondo la mia Parola. La voce di Gesù ci mostra la confidenza del cuore innamorato di Dio per ogni uomo; è il fremito della tenerezza divina che abbraccia sempre la nostra umanità e la illumina di bellezza. Se così vivessimo avvertiremmo la gratuità del dono di Dio

AUGURI PER UNA SANTA PASQUA

LA GIOIA DI CRISTO RISORTO INONDI IL SUO PICCOLO GRUPPO E TUTTI I NOSTRI CUORI. Giancarlo Bassanini

CERCATORI DEL BENE

5


ATTUALITà

la vita familiare come occasione di conversione e di apertura all’amore di dio

“Una cucina sempre aperta” di Manuela Mascherucci Mi ha fatto piacere la richiesta di scrivere un articolo per EdV, perché è un’occasione per condividere la propria esperienza di vita quotidiana anche con chi del Gruppo si vede e si frequenta poco. Certo la comunicazione del titolo mi ha fatto letteralmente “sorridere”. Chi mi conosce meglio, sa che il tema “cucina” non è decisamente uno dei miei cavalli di battaglia! Quando mi sono sposata mia mamma mi ha regalato il libro “Scuola di cucina, illustrato” con all’interno la dedica a penna “…altrimenti…telefona a casa! ”. Ancora oggi lo faccio molto spesso!

6

Sicuramente, però, mi vengono in mente tanti episodi e situazioni, significativi per me, in cui “la cucina” è stata un’occasione di conversione personale o di inizio di nuove e belle amicizie. Ricordo molto bene, ad esempio, quando i primi anni che venimmo ad abitare qui ad Anguillara iniziammo ad invitare a cena qualche famiglia per poter fare amicizia. Ho fatto veramente fatica ad integrarmi in questo luogo: bello dal punto di vista paesaggistico, ma tanto diverso dalla mia realtà di provenienza e, comunque, lontano dalla mia famiglia e dagli amici. Così, quando Marta ha iniziato a frequentare l’asilo ho iniziato a CERCATORI DEL BENE

conoscere alcune mamme e, forte dell’esperienza della Comunità romana in cui veramente avevo sperimentato sempre la bellezza della condivisione delle famiglie e degli amici nelle cucine di Franco e Nunzia, di Raffaele e Cinzia, di Carlo, nel terrazzo estivo di Luigi e Luisa, ho pensato che potevamo anche noi aprire la nostra casa oltre che agli amici di sempre che ogni tanto venivano a trovarci, anche alle nuove persone che il Signore iniziava a mettermi accanto. Quindi invitai a cena una famiglia insieme anche ad Elisabetta e Gianluca, pensando che, casomai non fossimo risultati simpatici noi, ci avrebbero suppor-


tato loro. Mi impegnai molto nella cucina cercando di preparare i miei piatti sicuri. La cena andò bene. Poi loro ricambiarono l’invito!!! Non vi dico cosa prepararono e cosa ancora preparano oggi quando andiamo a cena da loro! Appassionati di cucina entrambi! Nella mia famiglia neanche a Natale e Pasqua mangiamo tanto e così! Quindi mi vergognai un po’! Decisamente! La mia amica fu, invece, molto contenta, perché disse che non capitava spesso ad Anguillara che le persone aprissero le proprie case agli altri. Da lì una lunga esperienza di situazioni come questa. Ho scoperto che sì, forse è vero che ad Anguillara non sono particolarmente aperti, ma cucinano tutti benissimo. Inaspettatamente ho conosciuto mariti cuochi e pasticceri…insomma… l’unica scarsa in materia sono io. Una sola cosa per cui sono diventata famosa e che a volte mi chiedono, è il ciambellone, la cui ricetta ovviamente non è mia, ma di Cinzia!!! Un pranzo fu anche l’inizio dell’amicizia con la mia amica Raffaella, focolarina e con la sua bella famiglia di cinque figli. Alcuni anni fa li invitai a fare una testimonianza al Cenacolo e il marito, però, prima di accettare volle conoscerci invitandoci a pranzo. Bravissimo in cucina, ovviamente! Da questi primi inviti, ora è diventata un po’ una consuetudine, vedersi a casa nostra, perché è più capiente, poi però ognuno porta qualcosa. Questa apertura ha reso sicuramente più “leggero” il mio vivere qui e aiutato molto anche le mie figlie a imparare a condividere le proprie cose, i propri spazi e a superare un po’ la loro timidezza che, comunque, si ritrovano nel DNA. Un altro episodio che ricordo molto bene, è una sera in cucina di qual-

che anno fa. Ricordate il grembiule che ci consegnò Don Luciano al Congresso con la scritta “Servi per amore”? Io all’inizio tornata a casa lo indossavo in cucina. Una sera in cui ero particolarmente nervosa e non avevo alcuna voglia di cucinare e le figlie continuavano a chiedere: “Quando è pronto?” “Quanto ci metti?, ecc., mi è uscita una frase infelice del tipo: “Tanto per voi sono una serva!...non mi aiutate mai…” e cose del genere. Allora la figlia più piccola mi disse: “Sì, mamma, sei una serva per amore, ce l’hai scritto sul grembiule!”. Mamma mia, mi sono sentita piccolissima! Quanto amore ci metto nel lavoro quotidiano, nel tenere in ordine la casa, nel preparare pranzi, cene e colazioni? Chi mi sta accanto si accorge se ci metto il cuore oppure no. Avevo creduto che il grembiule fosse per me una sollecitazione a mettermi a servizio del Gruppo con umiltà e, invece, il Signore piuttosto mi chiedeva di vivere con più amore il servizio quotidiano in famiglia. Il grembiule lo tengo sempre appeso in cucina, per ricordare. Un’ultima bella esperienza è stata quando quest’estate Andrea Fazio mi ha chiesto se potevo andare a cucinare al Campo dell’ACR!!! Grandi risate! Soprattutto delle mie figlie: “Mamma non ce la farai mai!”, “Mamma ma se poi bruci tutto?”. Per non parlare dei miei genitori, i quali tutt’ora quando vado a pranzo mi fanno portare al massimo l’insalata,… “Manuela no, guarda che è difficile per venti, venticinque, non ce la fai”. Poi sono andata e sono stata molto contenta! Faticoso ma bello! In realtà, ogni tanto chiamavo qualcuno al telefono per consigli: la pasta e fagioli mi ha messo a dura prova! Per me che sono tendente al timido è stato molto educativo. Bisogna buttarsi anche nelle cose in cui ci sentiamo meno sicuri e quindi CERCATORI DEL BENE

mettere a servizio sia i talenti sia le cose che noi pensiamo non lo siano. Mi rendo conto di non essere stata molto spirituale in questo articolo, ma credo che la ricerca di condivisione, di comunione, di creare legami tra le persone faccia trasparire spesso molto meglio di tante parole il vero volto di Dio che è Amore. Quest’ultimo pensiero mi riporta alle parole di un libro, “Il piccolo principe”, che ho riletto ultimamente per la “miliardesima volta”. Lo faccio quando faccio fatica a capire le mie figlie, per ricordarmi che anche io sono stata come loro e che anzi dovrei cercare di tornare ad essere come loro. Nel dialogo con la volpe questa gli dice: “Se vuoi un amico, addomesticami!”. Il Piccolo principe le chiede ripetutamente il significato di questo termine: “addomesticare”. Lei risponde: “È una cosa molto dimenticata. Vuol dire creare legami” e il Piccolo principe chiede: “Cosa bisogna fare?” ….. “Bisogna essere molto pazienti”. Questo mi ricorda che sono chiamata a investire più tempo, passione, cura nella relazione con l’altro, anche tramite la preparazione di un buon pranzo o una buona cena. Poi, questo è uno spunto suggeritomi da un commento che ho sul testo del Piccolo principe, nel termine “addomesticare” è racchiusa la radice di “domus”, cioè l’intimità della casa e della famiglia, la convivenza sotto lo stesso tetto e la preposizione “ad” che esprime l’orientamento e l’avvicinamento alla casa dell’altro, l’interessamento al “dove abiti” per restare insieme. «Rabbì, dove abiti?». Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui. [Gv 1,38-39]

7


ATTUALITà

La Chiesa come comunità di Misericordia. Come il Pgc mi aiuta nel cammino di fede?

La conversione personale come porta per incontrare l’altro di Michelangelo Auguanno 8

CERCATORI DEL BENE


Il tema che mi è stato proposto per l’articolo mette in evidenza la misericordia, la conversione personale e il loro stretto legame. Infatti ogni uomo può ritrovare se stesso grazie all’azione misericordiosa di Dio, aprendo di conseguenza la sua esistenza a nuove vie. Con l’indizione del Giubileo Straordinario della Misericordia Papa Francesco ci vuole ricordare proprio questo: solo accogliendo l’abbraccio misericordioso di Dio potremmo diventare segno efficace del suo agire. In una sua recente omelia il Santo Padre affermava: “Dio non è indifferente a noi e a quello che ci accade, per questo il cristiano deve dire no alla globalizzazione dell’indifferenza”. Questa sua esortazione mi aiuta a rispondere alla prima delle tre domande che mi sono state poste vale a dire se nella mia esperienza quotidiana ci sono occasioni o situazioni in cui mi viene chiesto di cambiare atteggiamento per incontrare l’altro in situazioni di indifferenza. Parto dal presupposto che anche nei miei confronti Dio non è stato indifferente, questo soprattutto nel periodo dopo la separazione da mia moglie. Infatti nel momento più difficile della mia vita, ho potuto conoscere il suo vero volto, la Misericordia, e il senso ultimo della sua giustizia, l’Amore. Solo dopo aver fatto esperienza del suo amore misericordioso ho potuto trovare la forza per cambiare atteggiamento e decidere di seguire con fede il Signore nelle decisioni che ogni giorno la vita andava presentandomi. Dunque no alla cultura dell’indifferenza e dell’esclusione, sì a quella della compassione e dell’inclusione. Questo continua a chiedermi il Signore quotidianamente invitandomi a superare tutti i miei pregiudizi sociali, religiosi, etnici o ideologici così da poter vivere liberamente le mie relazioni. Relazioni che mi con-

sentono ora di incontrare in modo autentico l’altro e concorrere al suo vero bene. La seconda domanda è la seguente: Misericordia significa perdono, riconoscere le nostre debolezze e colpe e convertire la nostra vita a Cristo. Come il cammino nel Piccolo Gruppo di Cristo ti è di aiuto nel vivere il tuo cammino di fede? All’inizio del mio cammino ignoravo diversi aspetti della vita cristiana, non avevo frequentato fino ad allora assiduamente la Chiesa o l’oratorio ne avevo mai partecipato a incontri di preghiera. Avevo finalmente incontrato il Signore e sentivo di avere nuove esigenze ossia quella di condividere questa mia esperienza e il bisogno di una guida spirituale: allora chiesi in preghiera di poter trovare un aiuto in tale senso. Una sera invitato ad un incontro conobbi Don Luciano: gli raccontai quello che stavo vivendo dalla mia situazione familiare alle mie difficoltà nel cammino di fede. Dopo circa un anno mi propose il Piccolo Gruppo di Cristo, era la risposta alla mie preghiere. Questa esperienza attraverso gli incontri, la preghiera comune, l’accompagnamento spirituale mi sta aiutando ad essere fedele al Signore nell’impegno evangelico. In quest’anno della Misericordia il Santo Padre rivolge questa domanda a ogni cristiano: “Come ci lasciamo interpellare dal Vangelo. E se esso è davvero il vademecum per la vita di ogni giorno e per le scelte che siamo chiamati ad operare. Esso è esigente e chiede di essere vissuto con radicalità e sincerità. Non basta leggerlo, non basta meditarlo, Gesù ci chiede di attuarlo, di vivere le sue parole”. Quali sono oggi gli strumenti che possiamo mettere in campo per essere testimoni autentici? Per essere testimoni autentici è CERCATORI DEL BENE

necessario fare continuamente verità nella propria vita alla luce del Vangelo riconoscere davanti al Signore le nostre debolezze per eliminare quegli ostacoli che ci impediscono di essere veramente liberi così da poter amare il prossimo e annunciare in ogni momento il Vangelo. La nostra autenticità è dunque legata alla fedeltà al Vangelo e ai Sacramenti solo allora potremmo testimoniare la Verità ad ogni uomo e presentare al mondo il volto di Gesù e della sua Chiesa: la Misericordia. Vorrei terminare ringraziando per l’opportunità che mi è stata concessa ne approfitto anche per salutare tutti gli amici del Piccolo Gruppo di Cristo e i loro familiari augurando una Santa Pasqua. PREGHIERA “MI ABBANDONO A TE” PER SCOPRIRE E ACCOGLIERE LA PROPRIA VOCAZIONE Signore, fammi conoscere la bellezza della tua chiamata e il dono della tua costante presenza. Aiutami a capire il tuo disegno su di me e ad ascoltarti e imitarti con filiale docilità. Fammi comprendere a che punto sono nel cammino della vita cristiana: quali sono i difetti da superare e le virtù da conquistare. Mi abbandono a te, perché tu mi aiuti sempre a fare la tua soave volontà. Te lo chiedo con cuore nuovo, grande e forte, per Cristo Signore nostro. Amen. Tratta da “Con Animo Sereno”, Libro di preghiere del PGC

9


CHIESA NEL MONDO

proponiamo un testo del card.ravasi in occasione del seminario di confindustria

Fare impresa per creare valori Pubblichiamo un interessante articolo scritto dal Card.Ravasi in vista del seminario di Confindustria «Fare insieme» che si è tenuto venerdì 26 febbraio in Vaticano.

«Viviamo in un’epoca in cui alla bulimia dei mezzi corrisponde l’atrofia dei fini». Lapidaria ma incontestabile, questa asserzione del filosofo francese Paul Ricoeur delinea uno dei rischi maggiori della società contemporanea. Da un lato, infatti, mai come oggi abbiamo a disposizione un paniere sterminato di informazioni e di dati attraverso la comunicazione digitale. Mai come ora la scienza, accompagnata dalla tecnologia, ci offre una strumenta-

10

zione efficace nella ricerca fisica, medica, industriale. Mai come in questo tempo la finanza stende una rete, spesso impalpabile, avvolgendo e talora strangolando il nostro globo. Mai come ai nostri giorni le distanze s’accorciano e persino svaniscono, permettendo un rimescolamento di etnie e culture. D’altro lato, però, a questa indubbia e pur importante “bulimia” operativa corrisponde un’anoressia di valori, di interiorità, di significato, di etica. La massa delle risposte strumentali non riesce a evadere le domande esistenziali che, purtroppo, si affievoliscono nelle coscienze fino a estinguersi. Un altro filosofo, il danese Soeren CERCATORI DEL BENE

Kierkegaard, già nell’Ottocento rappresentava simbolicamente questa situazione: «La nave è in mano al cuoco di bordo e ciò che trasmette il megafono del comandante non è più la rotta ma ciò che mangeremo domani». L’apparente ottimismo versato a piene mani dalla scienza e dalla comunicazione di massa non riesce, comunque, a nascondere il groviglio di contraddizioni in cui ci dibattiamo. Il sudario di sangue delle guerre, la disperazione degli esodi di massa, la devastazione ambientale, il colossale divario tra ricchi e poveri, l’anelito dei popoli affamati, le ingiustizie sociali sempre più marcate, l’impennata della disoccupazione, gli squilibri culturali, i fondamentalismi religiosi continuano,


infatti, ad artigliare le coscienze e le esistenze personali e comunitarie, distratte e superficiali, e riescono a interpellare tutta la piramide della società, dal vertice politico ed economico fino alla base popolare. Per questo l’impresa italiana ha voluto consacrare una giornata di studio e di testimonianza nel tentativo di risvegliare e rinvigorire l’impegno comune ad opporsi a questa turbolenza che agita il nostro pianeta sempre più globalizzato eppure altrettanto frazionato. Gli imperativi per edificare un ethos comune che affronti questo orizzonte complesso e complicato sono quelli di sempre ma devono essere declinati con nuovi accenti, liberandoli dagli stereotipi vagamente moraleggianti: la giustizia, la libertà, la dignità della persona, la solidarietà, la conoscenza e l’istruzione, la responsabilità e i diritti individuali e sociali, il lavoro, la fede autentica e la morale. Queste e altre parole di vita sono state annodate sotto un denominatore comune che ha dato il titolo al covegno, il fare insieme. Ora, questo verbo, che in quasi tutte le civiltà è il più generico per classificare ogni tipologia di azione, nella nostra lingua è basato su una radice indoeuropea che significa “mettere, fondare, posare” e rimanda quindi a una costruzione. Il verbo “fare” è, poi, contenuto in molti altri termini italiani, tra i quali brillano l’“affetto” e il “difetto”. Sono un po’ i due volti estremi del “fare”, quello luminoso e appassionato della dedizione e quello del limite e dell’imperfezione: le mani che operano possono, infatti, stringersi e procedere “insieme”, ma possono anche rinchiudersi a pugni. Ecco perché è necessario coniugare il verbo “fare” con l’avverbio “insieme” che ha etimologicamente alla base l’aggettivo “simile”. È, quindi, la riscoperta della comune umanità e fraternità, l’essere tutti “figli di Adamo”,

prima che essere segnati da altri connotati etnici, storici, culturali e sociali. Dobbiamo ribadire, come suggeriva un altro filosofo francese, Emmanuel Lévinas, l’importanza del volto, dello sguardo reciproco, del dialogo. Visto da lontano un altro può sembrarci una bestia o un predatore; di fronte rivela, invece, quella costante umanità che tutti ci unisce per cui, come dice un proverbio orientale, il boia non guarda mai negli occhi la sua vittima. Ora, nel “fare”, un aspetto capitale è certamente quello del lavoro. Lo afferma in modo radicale la stessa Bibbia, che è pur sempre “il grande codice” della nostra civiltà occidentale: «Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino perché lo coltivasse e lo custodisse» (Genesi 2,15). Certo, come diceva Pavese, «lavorare stanca»: non per nulla il latino labor, da cui deriva il nostro “lavoro”, significa “fatica” e “dolore”, e in francese e spagnolo il “lavoro” è travail e trabajo. Tuttavia l’uomo che è inerte o paralizzato o disoccupato sente una ferita nell’anima. Per questo “fare insieme” è costruire un mondo diverso nella giustizia e nella fraternità ma è anche creare concretamente le condizioni perché tutti possano operare con le loro mani e la mente, “coltivare e custodire” il mondo e sviluppare la loro stessa esistenza personale e sociale. Per questo affidiamo l’ultima considerazione a Primo Levi, uno scrittore che al lavoro operaio ha dedicato un romanzo dal titolo emblematico, La chiave a stella(1978), e che così ci esorta: «Se si escludono istanti prodigiosi e singoli che il destino ci può donare, l’amare il proprio lavoro (che purtroppo è privilegio di pochi) costituisce la migliore approssimazione della felicità sulla terra: ma questa è una verità che non molti conoscono».

CERCATORI DEL BENE

Nel cuore della città, uno luogo per pregare. La casa del Piccolo Gruppo di Cristo, in via San Pietro 20 a Desio si apre per accogliere gruppi parrocchiali, associazioni, famiglie e gruppi di giovani che desiderano un luogo per pregare e uno spazio di silenzio. Ideale per ritiri, soprattutto in autogestione o semiautogestione, la casa del PGC è immersa in un ampio giardino mette a disposizione una cappella, un salone per conferenze, sale riunioni, sala break, cucina con un ampio refettorio e camere da letto. Per informazioni contattare la segreteria telefonando a 0362 621651 o inviando una email a info@piccologruppo.it

11


IL VOLTO DEI SANTI

“aiutare i poveri ed essere poveri”. la testimonianza di fede di Dorothy Day perché in casa non se ne parlava, neppure si pregava.

L’Amore trabocca

di Rosalba Beatrice

Papa Francesco, nel discorso al Congresso di Washington del 24 settembre 2015, ricorda gli americani che “sono stati capaci con duro lavoro e sacrificio personale, alcuni a costo della propria vita, di costruire un futuro migliore.” Fra gli altri ha menzionato Dorothy Day, una delle donne più significative nella Chiesa Statunitense, ardente cristiana convertita, in lotta per i poveri e l’uguaglianza sociale, fondatrice del “Catholic Worker Movement”, il movimento dei lavoratori cattolici. Dorothy Day (1897-1980), ha un messaggio particolarmente importante per tutti i cristiani del ventunesimo secolo dirà l’Arcivescovo di New York. L’esperienza della povertà e della privazione ha un nome ben preciso nell’infanzia di Dorothy Day: il terremoto del 18 aprile

12

1906, che sconvolse San Francisco, catapultò lei e la sua famiglia in un mondo di catastrofe. Il fatto che Dorothy Day se la sia dovuta cavare da sola in quel terribile attimo sembra essere quasi un segno per il futuro del Catholic Worker: qualche ora dopo, passata in lei la paura si commuove alla vista di sua madre, che distribuiva omelette ai senzatetto provenienti da tutta la baia. Il terremoto di San Francisco la segna enormemente, diventando il seme gettato da Dio per sviluppare in lei quell’amore per il prossimo che ha caratterizzato la sua vita. Durante la sua fanciullezza, Dio è una certezza per Dorothy, qualcuno a cui rivolgere le preghiere della sera e da invocare nel pericolo. Ma è un Dio “istituzionale”, una “tradizione” e scompariva durante il giorno CERCATORI DEL BENE

Ribelle di natura, in gioventù Dorothy respinge il cristianesimo come oppio dei popoli. Il suo stile di vita pre-conversione riecheggia gli anni dissoluti di San Agostino. Gli anni dell’adolescenza sono anni di vita disordinata per Dorothy, l’abbandono della Fede, l’esperienza anarchico/ comunista, le manifestazione, l’esperienza giornalistica, un infelice amore per Moise e il doloroso aborto nella speranza di trattenerlo a sé. Camminando ogni giorno per le strade di New York vide la povertà, i senzatetto e i disoccupati, case popolari distrutte e scrive:“Pur tra i rumori cittadini c’era un silenzio che mi opprimeva. Era il mio silenzio, la sensazione di non avere un interlocutore, e questo mi dava un senso di soffocamento in gola; sentivo il bisogno di cacciare la solitudine con il pianto.” La solitudine generata dal disegno di Dio è pioggia feconda per la nostra terra, che trasforma l’aridità dell’anima in torrenti di gioia. E’ il solo modo per purificare l’anima, fortificare lo spirito e pian piano conoscere ed abbandonarsi al Suo disegno. Per lei «Cristo non camminava più per le strade di questo mondo. Era morto duemila anni fa e nuovi profeti ne avevano preso il posto». Tra questi nuovi profeti c’erano anche coloro che predicavano l’antisemitismo, questa nuova ideologia che stava prendendo piede soprattutto in Europa, scatenando, durante gli anni della seconda Guerra Mondiale, uno dei più grandi olocausti della storia umana. “Per gioire abbiamo bisogno non solo di cose, ma di amore e di verità, abbiamo bisogno di un Dio vicino, che riscalda il nostro cuore, e risponde alle nostre attese profonde”. (Benedetto XVI)


Nella primavera del 1920, Dorothy Day sposa un ricco uomo d’affari, di venti anni più grande, che non la renderà felice. Ben presto capì che quel matrimonio era stato un enorme sbaglio e lo lasciò. Dorothy conobbe anche vergogna e umiliazione per l’ingiusta esperienza del carcere. Ritroverà la serenità con un nuovo compagno condividendo con lui la passione contro la povertà e le ingiustizie. In questo periodo Dorothy Day riprende la lettura della Bibbia e legge l’Imitazione di Cristo. Questo libro, fondamentale per la sua conversione, l’accompagnerà tutta la vita. Dorothy nel suo diario dà un severo giudizio di se stessa, si reputa ambiziosa, mette in dubbio l’autenticità del suo desiderio di servire i poveri, in realtà il suo spirito, la sua umanità e sensibilità crescono giorno dopo giorno quando lei stessa tocca con mano, quale giornalista inviata, le brutalità e le violenze della polizia che caricava e picchiava scioperanti e dimostranti. La disoccupazione è alle stelle e la gente affamata. Il problema, dunque, non è solo la guerra, è la povertà, specialmente quella della vasta popolazione di immigrati. Dorothy Day aveva vissuto il suo deserto nel quale Dio l’aveva condotta per riprendersi il suo cuore. Da quel momento in poi sente spesso il desiderio di entrare in chiesa a pregare. Cos’è l’amore per Dorothy? “L’amore nella pratica è una cosa dura e terribile comparata all’amore nei sogni”. Passione è sofferenza. È altruismo. E’ Perdersi in Dio. Insomma amare significa vivere con i piedi per terra e sacrificarsi sempre. Stanca delle «atrocità della vita» si dedicherà come volontaria agli ammalati in ospedale. Il contatto con i malati, specie con i convalescenti di guerra non la lasciano indifferente. Nel silenzio di un cuore nuovamente scaldato dalla Parola di Dio si interroga sul significato di ciò che sta facendo

e della sua stessa vita. Scrive Dorothy: “Ci sarà sempre sofferenza che necessita di consolazione e di aiuto. Sempre ci sarà solitudine. Sempre ci saranno anche situazioni di necessità materiale nelle quali è indispensabile un aiuto nella linea di un concreto amore per il prossimo.” Dorothy scrive di come era felice di poter essere con sua madre nelle ultime brevi settimane della sua vita, e per gli ultimi dieci giorni al suo capezzale ogni giorno ed ogni ora. “Qualche volta ho pensato che era come essere presente ad una nascita stare seduti accanto ad una persona morente ed osservare il suo interesse per ciò che gli accade. È quasi uguale a come quando si è presi da una lotta, una paurosa, grande lotta fisica per respirare, inghiottire, vivere. E così ho continuato a pensare quanto sia necessario che uno dei loro cari gli stiano accanto, preghi per loro, offra incessantemente preghiere per loro, come pure fare tutte quelle piccole cose che uno può fare.” Ogni giorno Dorothy cominciava con la Messa al mattino presto e terminava il suo lavoro verso la mezzanotte. Improvvisamente si rende conto che la sua preghiera è un ininterrotto canto di lode a Dio, che prega perché è felice, e più lo fa, più aumenta la sua gioia. Ella scopre la “perla preziosa”. Insieme a sant’Agostino allora può dire: “Tardi ti ho amato, Bellezza così antica e tanto nuova, tardi ti ho amato. Sì, perché tu eri dentro di me ed io fuori: lì ti cercavo.” In Dorothy Day si va scorgendo sempre più la profondità del suo impegno verso l’amore. L’amore è pienezza, è fecondità; se è autentico deve dare frutti, generare vita (Gv 15,5). Desidera ardentemente un figlio. E Dio le concede quel regalo. Il 4 marzo 1926 Dorothy Day tocca il cielo con un dito, nasce sua figlia Tamara Teresa, desidera per sua figlia una vita molto diversa dalla sua, soprattutto una vita nella Chiesa. Anni più tardi ella annota nel suo diaCERCATORI DEL BENE

rio : «L’avevo battezzata ed ho dovuto rinunciare ad un amante. È stato difficile, ma più appagante» Diventando cattolica ella «ha cercato non solo una relazione profonda con Dio, ma anche un senso di comunità e dei mezzi per impegnarsi nelle riforme sociali. Prega la Vergine Maria di aiutarla a far fruttificare i suoi talenti e metterli al servizio dei più bisognosi e l’incontro con Peter Maurin è la risposta alle sue preghiere. Peter Maurin voleva insegnare quanto fosse importante praticare la povertà, ma una povertà volontaria, secondo lui l’unica autentica via per arrivare alla libertà, allo stile delle prime comunità cristiane. “Beati i poveri in spirito” (Mt 5, 3) dice Gesù. Cioè beati coloro che vivono in umiltà, in semplicità, abbracciando la kénōsis (spogliamento) propria dell’autentico discepolo di Cristo, accettando che ogni cosa gli viene data dall’alto, e tutto è da condividere con il prossimo. Decidono insieme di fondare un giornale cattolico. Quando Dorothy chiese a Peter dove avrebbero preso i soldi, lui le risponde che «nella storia dei santi il capitale è stato ottenuto con la preghiera. Dio ti invia ciò di cui hai bisogno quando ne hai bisogno. Sarai in grado di pagare lo stampatore. Devi solo leggere le vite dei santi. Il primo numero del The Catholic Worker uscirà il 1 maggio 1933, il giornale parlerà in modo semplice e confidenziale, così come la gente aveva bisogno. L’amore era la chiave di volta del Catholic Worker, senza di esso nulla di ciò che si accingevano a fare avrebbe avuto significato. Scrive: “Il nostro più grande bisogno è carità mutua, amore, e lealtà verso l’altro. Questa è l’unica strada per risolvere i problemi, ottenere cooperazione, ed essere in pace.” Negli anni seguenti si aprono molte altre case di accoglienza in tutto il paese, ma è quella di New York che dà da mangiare a più di 400 per-

13


sone al giorno. Con il tempo molti poveri ebbero nelle sedi del CW una casa dove mangiare, passare un po’ di tempo al caldo, e a volte anche dormire. Aiutare i poveri ed essere poveri, senza paura, con coraggio e generosità. Ciò che Dorothy Day, Peter Maurin e tutti i volontari delle case di accoglienza si sforzano di fare è proprio cercare di risollevare situazioni di povertà umane per evitare che diventino degradanti casi di miseria. A differenza di molti preti a quel tempo, che predicavano che non c’era bisogno di misurare la propria vita con il Discorso della montagna, ma il minimo era sufficiente, il conformismo era sufficiente, Dorothy scrive: “ c’era una freschezza che pervadeva tutto come se fossimo stati innamorati, e in effetti lo eravamo.” Il suo messaggio era che qualsiasi cosa si faccia dovrebbe essere infusa dell’amore di Dio, perché siamo salvi grazie all’amore. “Dare e non ricevere. Dare tempo e attenzione, dare preghiere, dare beni e soldi, dare il perdono, dare amore e persino la vita. Non risparmiarsi. Amare è prendersi cura degli altri è già essere in paradiso. Dorothy ripeteva spesso “di non usare ciò di cui non hai bisogno e possiedi il meno possibile.” Il cappotto appeso nell’armadio in un giorno d’inverno appartiene a qualcuno che senza di esso sta congelando. Fanne a meno. Fallo per amore dei poveri, perché Cristo si è nascosto tra gli affamati e gli assetati, i nudi e i senzatetto, i malati e i carcerati. Coloro che cercano e ottengono ricompense, Gesù disse nel discorso della montagna, “ hanno già avuto la loro ricompensa”. Con una punta di amarezza, annota: “l’uomo comune non ascolta la parola di Dio. I poveri non hanno nessuno che predichi loro il Vangelo. I pastori non stanno nutrendo le loro pecore.” “ Sono ben cosciente che il nostro è l’unico giornale

14

cattolico che grida Pace Pace, l’unico che invoca le opere di misericordia, la Follia della Croce.” In un lungo ritiro durato sei mesi, aveva annotato sul suo diario: “Dio mi ha invitato a potarlo affinché abbia tanti frutti. Questa potatura mette me fuori solo per lavorare più attivamente, in preghiera, per tenere alte le sue braccia, con le mie preghiere .” Ma la maggior parte del tempo è in lotta contro la solitudine, in preghiera che a volte veniva con “ gioia e piacere” ma più spesso in uno stato di suprema noia, divenendo solo un atto di volontà. Scrive Dorothy: “Sto seduta in un freddo e limpido pomeriggio d’inverno, circondata da una campagna coperta di neve, contemporaneamente rammendo calze, tre paia, tutto ciò che possiedo, e penso che queste provengono da un povero ammalato di cancro che si era ricovera in ospedale per morire. Indossare queste calze ed altri abiti di seconda mano mi ha fatto risparmiare molti soldi da usare per mandare avanti le case dell’ospitalità. Ma resta il fatto che ho calze da coprirmi quando altri sono nudi al freddo.” Dorothy ci ricorda: “ l’amore è un comandamento, è una scelta, una preferenza. Dobbiamo vivere la vita adesso. La morte non cambia nulla. Se non impariamo ad amare Dio ora, mai lo faremo. Se non impariamo a venerarLo e ringraziarLo e gioire di Lui, mai lo faremo.” Dorothy si chiedeva: “Come può una qualsiasi guerra essere ritenuta giusta quando prevede distruzione, bombe e l’uccisione di tanta gente innocente?” Ed era anche convinta che, senza la rinuncia all’inimicizia e all’odio, all’assassinio e alla partecipazione alla guerra, si finiva per seguire Gesù in modo incompleto. Scriveva: “Deve esserci un disarmo del cuore” e solo dopo, attraverso l’amore e la preghiera, si può trovare la forza di sconfiggere il male. “Stamperemo le CERCATORI DEL BENE

parole di Cristo” scriveva Dorothy, il nostro manifesto è il Discorso della montagna, quindi tenteremo di essere mediatori di pace. Le opere di misericordia piuttosto che le opere di guerra. Prendersi cura dei malati e dei feriti, della coltivazione di cibo per gli affamati.” Molti membri del Catholic Worker non erano d’accordo con lei e molti giovani non riuscivano a trovare altro mezzo che la guerra per contrastare Hitler e la rapida espansione del Terzo Reich, si sentirono obbligati a lasciare la comunità per entrare nelle forze armate. Quindi molte case di ospitalità chiusero per la mancanza di lavoratori e Dorothy scriveva: “Ci sono sempre i poveri, come ci rammenta il Signore. Ci sono sempre gli zoppi, i disabili e i ciechi, gli ammalati abbandonati, i vagabondi. Loro ci sono sempre, i nostri fratelli più piccoli, in cui potremo vedere Cristo. Amare è arrendersi. Dai te stesso a Dio nei poveri.” Molto prima della sua morte, molte persone parlavano di Dorothy Day come di una santa. Ed ella rispondeva: “Non chiamatemi Santa, siamo tutti chiamati ad essere santi. La santità non è per i meno ma per i più, non per gli individui eccezionali ma per quelli ordinari.” Nel 2000 la Santa Sede ha dato il consenso ad aprire la causa di beatificazione e canonizzazione della serva di Dio Dorothy Day. Il movimento Catholic Worker è vivo e continua a crescere, a oggi le case di ospitalità sono centosessanta. “ Ciò che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli lo avete fatto a me.” La vita di Dorothy è la risposta a queste parole di Cristo.

Bibliografia Dorothy Day Una biografia Jim Forest Dorothy Day Le scelte dell’amore


Pubblichiamo alcuni dei passaggi del MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FR ANCESCO PER LA 50ma GIORNATA MONDIALE DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI Comunicazione e misericordia: un incontro fecondo Cari fratelli e sorelle, l’Anno Santo della Misericordia ci invita a riflettere sul rapporto tra la comunicazione e la misericordia. In effetti la Chiesa, unita a Cristo, incarnazione vivente di Dio Misericordioso, è chiamata a vivere la misericordia quale tratto distintivo di tutto il suo essere e il suo agire. Ciò che diciamo e come lo diciamo, ogni parola e ogni gesto dovrebbe poter esprimere la compassione, la tenerezza e il perdono di Dio per tutti. L’amore, per sua natura, è comunicazione, conduce ad aprirsi e a non isolarsi. E se il nostro cuore e i nostri gesti sono animati dalla carità, dall’amore divino, la nostra comunicazione sarà portatrice della forza di Dio. Siamo chiamati a comunicare da figli di Dio con tutti, senza esclusione. In particolare, è proprio del linguaggio e delle azioni della Chiesa trasmettere misericordia, così da toccare i cuori delle persone e sostenerle nel cammino verso la pienezza della vita, che Gesù Cristo, inviato dal Padre, è venuto a portare a tutti. Si tratta di accogliere in noi e di diffondere intorno a noi il calore della Chiesa Madre, affinché Gesù sia conosciuto e amato; quel calore che dà sostanza alle parole della fede e che accende nella predicazione e nella testimonianza la “scintilla” che le rende vive. La comunicazione ha il potere di creare ponti, di favorire l’incontro e l’inclusione, arricchendo così la società. Com’è bello vedere persone impegnate a scegliere con cura parole e gesti per superare le incomprensioni, guarire la memoria ferita e costruire pace e armonia. Le parole possono gettare ponti tra le persone, le famiglie, i gruppi sociali, i popoli. E questo sia nell’ambiente fisico sia in quello digitale. Pertanto, parole e azioni siano tali da aiutarci ad uscire dai circoli vi-

ziosi delle condanne e delle vendette, che continuano ad intrappolare gli individui e le nazioni, e che conducono ad esprimersi con messaggi di odio. La parola del cristiano, invece, si propone di far crescere la comunione e, anche quando deve condannare con fermezza il male, cerca di non spezzare mai la relazione e la comunicazione. Vorrei, dunque, invitare tutte le persone di buona volontà a riscoprire il potere della misericordia di sanare le relazioni lacerate e di riportare la pace e l’armonia tra le famiglie e nelle comunità. Tutti sappiamo in che modo vecchie ferite e risentimenti trascinati possono intrappolare le persone e impedire loro di comunicare e di riconciliarsi. E questo vale anche per i rapporti tra i popoli. In tutti questi casi la misericordia è capace di attivare un nuovo modo di parlare e di dialogare, come ha così eloquentemente espresso Shakespeare: «La misericordia non è un obbligo. Scende dal cielo come il refrigerio della pioggia sulla terra. È una doppia benedizione: benedice chi la dà e chi la riceve» (Il mercante di Venezia, Atto IV, Scena I). [...] Alcuni pensano che una visione della società radicata nella misericordia sia ingiustificatamente idealistica o eccessivamente indulgente. Ma proviamo a ripensare alle nostre prime esperienze di relazione in seno alla famiglia. I genitori ci hanno amato e apprezzato per quello che siamo più che per le nostre capacità e i nostri

successi. I genitori naturalmente vogliono il meglio per i propri figli, ma il loro amore non è mai condizionato dal raggiungimento degli obiettivi. La casa paterna è il luogo dove sei sempre accolto (cfr Lc 15,11-32). Vorrei incoraggiare tutti a pensare alla società umana non come ad uno spazio in cui degli estranei competono e cercano di prevalere, ma piuttosto come una casa o una famiglia dove la porta è sempre aperta e si cerca di accogliersi a vicenda. Per questo è fondamentale ascoltare. Comunicare significa condividere, e la condivisione richiede l’ascolto, l’accoglienza. Ascoltare è molto più che udire. L’udire riguarda l’ambito dell’informazione; ascoltare, invece, rimanda a quello della comunicazione, e richiede la vicinanza. L’ascolto ci consente di assumere l’atteggiamento giusto, uscendo dalla tranquilla condizione di spettatori, di utenti, di consumatori. Ascoltare significa anche essere capaci di condividere domande e dubbi, di percorrere un cammino fianco a fianco, di affrancarsi da qualsiasi presunzione di onnipotenza e mettere umilmente le proprie capacità e i propri doni al servizio del bene comune. [...] La comunicazione, i suoi luoghi e i suoi strumenti hanno comportato un ampliamento di orizzonti per tante persone. Questo è un dono di Dio, ed è anche una grande responsabilità. Mi piace definire questo potere della comunicazione come “prossimità”. L’incontro tra la comunicazione e la misericordia è fecondo nella misura in cui genera una prossimità che si prende cura, conforta, guarisce, accompagna e fa festa. In un mondo diviso, frammentato, polarizzato, comunicare con misericordia significa contribuire alla buona, libera e solidale prossimità tra i figli di Dio e fratelli in umanità.


GOZO 2017

aiutarci ad avere lo sguardo di gesù suL MONDO E sulLA MISSIONE DELLA CHIESA

Pensare fuori dagli schemi di Mons. Mario Grech 16

Sono pochi quelli che pensano, o coloro che si sentono abbastanza liberi per pensare col proprio cervello. Ahimè, quando si rinuncia alla possibilità di elaborare il proprio pensiero, si rinuncia alla libertà stessa. Attualmente ci troviamo nell’epoca del cosiddetto pensiero unico o pensiero dominante. Pertanto, oggigiorno i nostri pensieri, le idee e le scelte si sono impoveriti perché si corre il rischio di parlare e agire senza riflettere. Perciò abbiamo bisogno del coraggio, di osare e pensare “fuori dagli schemi”, ossia di avere la capacità di uscire dai luoCERCATORI DEL BENE

ghi comuni. Tutto questo discorso vale anche all’interno della Chiesa, quando dobbiamo fare le nostre scelte pastorali. Quando medito sul dialogo intercorso tra Gesù e Pilato, e in particolare quando Gesù dice che il suo regno non è di questo mondo, mi viene da pensare che Gesù stava provocando Pilato per uscire dagli schemi nel suo modo di porsi come uomo di governo e di non scimmiottare altri “re”. Gesù stava indicando a Pilato un modo diverso per costruire la società. Quando Gesù


afferma che il suo regno non è di qua, intende anche dire che Egli ha una visione diversa, dei criteri e degli atteggiamenti diversi dai nostri per organizzare il regno. Certamente l’atteggiamento di Gesù in quel momento del suo proces-so ha disarmato Pilato! Dinanzi agli insulti, e all’ingiustizia, Gesù sceglie di rimanere sereno, mansueto e pacifico, non controbatte ma perdona e ama. Immagino che quest’atteggiamento non violento scombussoli tutti gli schemi, e non solo quelli di Pilato, ma anche i nostri, abituati come siamo a seguire il principio “occhio per occhio, dente per dente”! Questo è il nuovo atteggiamento che Gesù ci propone per rispondere a qualsiasi sorta di violenza: fisica, psicologica, economica, politica, razziale e religiosa. Il regno di Gesù si distingue dagli altri regni terreni nei criteri per ac-cogliere i suoi “cittadini”. Mentre la nostra società preferisce i cittadini “perfetti” e “forti”, Gesù spalanca la porta per tutti, ma predilige quelli che sono imperfetti, vulnerabili e poveri. Anche se non lo diciamo espressamente, rimaniamo tuttora una società elitaria e c’è chi vuole alzare i muri che separano una classe dall’altra. La comunità cristiana non è immune da questo peccato. Rimaniamo scandalizzati quando la Chiesa ci chiama ad aiutare coloro che sono meno perfetti per accompagnarli e integrarli nella comunità. Ci sono tra di noi quelli che pensano ancora alla comunità ecclesiale come a una comunità dei perfetti e non come a un “ospedale da campo”; per costoro non c’è spazio per i peccatori, particolarmente per il peccatore che si trova in un processo di conversione. Di fronte a un tale ragionamento, sento Gesù che ci dice: “La mia Chiesa non è

di questo mondo... la mia Chiesa è diversa da quella di questo mondo”. Se la giustizia è il perno sul quale poggia il regno di Pilato, per Gesù il cardine del regno deve essere la misericordia. Fermo restando che la giustizia è un metro necessario per la società, tuttavia l’esperienza ci mostra che la giustizia da sola non riesce a portare l’ordine e la pace. La giustizia di cui parla Cristo ha un altro nome: si chiama misericordia. Non mi meraviglia il fatto che alcuni nella Chiesa abbiano inciampato quando il recente Sinodo dei vescovi ha proposto di aprire le sorgenti della divina misericordia per quei cristiani che hanno vacillato nella vita matrimoniale e adesso, assetati di Cristo, desiderano essere accolti come membri a pieno titolo nella comunità ecclesiale. Alcuni, quando si riferiscono alla giustizia di Dio, ritengono che Dio pensi come noi esseri umani e che la Sua giustizia sia uguale alla nostra. Quando ragioniamo così, “giudichiamo” Dio perché vogliamo che Egli “pensi” come noi e “punisca” il peccatore. Anche qui dobbiamo pensare fuori dagli schemi! Quando fissiamo il nostro sguardo sul Crocifisso, ci accorgiamo che Gesù appeso sulla Croce, mosso dalla misericordia, ha fatto giustizia donando la sua vita per tutti gli uomini e redimerci. Dunque, per Dio la giustizia ha un altro nome: misericordia. Ogni volta che nel Padre Nostro preghiamo che venga in mezzo a noi il Regno di Dio, noi preghiamo affinché la nostra società diventi più umana. Ciò succede se, illuminati dal modo di pensare di Gesù, diamo il nostro contributo per aiutare il processo di cambiamento così che il regno di questo mondo si avvinci al regno proposto da Gesù.

CERCATORI DEL BENE

Si sono chiuse da poche settimane le iscrizioni al pellegrinaggio al Santuario della Madonna di Tà Pinu, nella piccola e bella isola di Gozo (Malta), in vista della ricorrenza del sessantesimo anno di fondazione del Piccolo Gruppo di Cristo (10 febbraio 1957 - 10 febbraio 2017). Nei prossimi mesi i 150 iscritti (stiamo valutando la possibilità di poter includere anche i primi che si sono segnati nella lista di attesa) verranno informati sul programma e gli spostamenti che ci vedranno impegnati da sabato 22 aprile 2017 a martedì 25 aprile 2017.

17


IN COMUNITà

l’esperienza missionaria in brasile di una sorella della comunità di treviso L’esperienza che ho avuto la grazia di vivere per un mese, da metà ottobre a metà novembre 2015, andando a visitare un amico sacerdote missionario, è stato qualcosa che ha prodotto in me un cambiamento profondo. Don Stefano Moino (padre Stefano come viene chiamato lì), è un ‘fidei donum’ della mia diocesi, prestato alla diocesi di Manaus, in Amazzonia, da quasi 8 anni. È partito su richiesta del Vescovo all’età di 44 anni, mentre era parroco da ormai 7 anni, di un bel paese collinare, pieno di ciliegi in primavera. Era anche molto amato dalla sua gente. Tuttavia, quando il Signore chiama, davvero si deve lasciare proprio tutto, ma Lui dà la forza, la luce, la grazia di lasciare con serenità, perché fa vedere un dono, un tesoro più grande. E io ho avuto il dono di poter ascoltare, accogliere, accompagnare per un piccolissimo spazio di tempo la vita di questo amico d’infanzia, cresciuti a 200 metri di distanza da me. Sono stata ospitata da lui nella sua piccola casa in mattoni, con il tetto in lamiera, come le case dei trafficanti di droga o dei musicanti con sala bar, che vivono accanto e davanti a lui. Il suo è un quartiere periferico, a 25 km da Manaus, la più grande città dell’Amazzonia con oltre 2 milioni di abitanti. Tante, davvero tante sono le emozioni e svariati i sentimenti vissuti lì e portati a casa con me. Cerco di descriverne alcuni, con molta semplicità, contenta di poterli condividere con l’intera comunità del Piccolo Gruppo di Cristo. Sono arrivata in un paese del sud del mondo, colonizzato da noi europei, e ho subito compreso che dovevo entrarvi in

18

La forza della fede di Lucia Nicolao

punta di piedi, con tanto rispetto e prima di tutto ho sentito la necessità di conoscerne la storia, la geografia, la civiltà, la cultura, la politica, l’economia, cioè sapere come è stato governato fino ad oggi. E questo perché l’umanità che lì si incontra è figlia di quella storia, di quell’economia, delle politiche instaurate dai potenti che si sono succeduti nei secoli. In più momenti, camminando nelle strade di Manaus mi sono vergognata d’essere europea, quasi indegna di calpestare il territorio di queste popolazioni, dopo tutti i soprusi perpetuati a loro danno da noi: colonizzazioni selvagge con sfruttamento umano, impoverimento delle loro terre a nostro vantaggio, violenze e distruzioni. Pensiamo solo all’uccisione di centinaia di migliaia di indigeni, grande cultura in via di estinzione. O ancora al barbarico sfruttamento degli schiavi fino quaCERCATORI DEL BENE

si alla fine del 1800. Il mese di soggiorno a Manaus l’ho condiviso interamente con padre Stefano e per la sua gente subito io ero diventata ‘herma’ Lucia (cioè suora, sorella..); ad ogni celebrazione eucaristica (lui segue da solo otto comunità diverse) mi ha presentata alla sua gente e tutti mi hanno accolta come io dovessi permanere a lungo tra loro. Ho compreso che pur facendo solo la visitatrice, cioè senza sapere la lingua e senza avere alcun compito specifico, tutti hanno gradito la mia presenza. Camminando per le strade e andando per le famiglie o agli incontri pastorali, ho visto come la gente viva con il poco che ha oggi, senza poter fare alcun progetto per il futuro, neanche per i figli, e ci sarebbe un lungo percorso educativo da sviluppare con loro, a tanti livelli (esempio: non ci si dovrebbe comprare il tele-


visore ultimo modello o il cellulare se non si hanno i soldi, perché a rate mai sarà possibile saldare il debito.. Non si dovrebbero gettare piccoli rifiuti dovunque, si dovrebbe aver cura della terra…). Mentre ero lì, tante volte pensavo a quanto noi qui siamo fortunati, graziati dal clima, dalla cultura millenaria, dalla nostra storia di paesi democratici, dai legami familiari che ci hanno educati (lì il padre è una figura molto spesso inesistente). E invece siamo ancora tanto poco sorridenti, sempre protesi a ciò che ci manca, senza ringraziare per il tanto che abbiamo. Come serve ‘farsi un giretto’ al sud del mondo…Non si torna a casa uguali a prima di partire. Venendo alla realtà ecclesiale cattolica: ho visto tanti operatori pastorali vivaci, motivati, appassionati nell’evangelizzazione, tanto che il ministro ordinato non è un presidente sopra le parti, ma il Coordinatore di tutta l’area missionaria e quasi sempre sono i laici che, dopo aver condiviso il cammino tra di loro, hanno già preparato l’Eucaristia festiva con segni e simboli da usare secondo il valore di quella domenica. Il sacerdote quando arriva per celebrare chiede a loro cosa mettere in luce in quella Eucaristia, che percorso hanno fatto lungo la settimana o le 2 settimane nelle catechesi e nella liturgia con i bambini, con i giovani, con le famiglie, con le visite ai malati. Non vorrei dilungarmi troppo, la mia riflessione vuole restare breve per non stancare la lettura e dare solo alcune suggestioni: vorrei dirvi che cosa mi sembra di aver portato a casa, e questo lo dico dopo due mesi e mezzo dal rientro, quindi staccata dall’onda emotiva dei primi tempi. Maggior consapevolezza dei tanti doni che ho ricevuto per essere nata e cresciuta in ambiente ricco di valori umani, di storia, di cultura, di

libertà, di democrazia…e geograficamente molto favorevole per il clima, per la presenza delle stagioni, per la fecondità della terra… Vedendo il popolo amazzonico sorridere anche quando non hanno lavoro, in casa non entrano soldi per le necessità dei figli, devono pagarsi le spese sanitarie eccetto i bisogni di base, non possono progettare il futuro ma solo pensare al giorno presente…ho molto riflettuto pensando a me, alla nostra realtà italiana ed europea. Abbiamo tutto rispetto a loro, eppure quando qualcuno ci chiede: “come stai?”, anche noi cristiani, troppe volte rispondiamo con le brutte espressioni note a tutti che qui non voglio ripetere.

Aggiungo anche quanto il contatto con questa realtà, fatta di essenzialità, mi abbia svegliata a una consapevolezza del mio oggi come tempo da non perdere e da utilizzare con responsabilità, cercando di viverlo per imparare ogni giorno qualcosa di nuovo, per esprimere i miei pensieri senza paura e crescere in libertà interiore anche nei riguardi delle relazioni umane. Anche questi passaggi li vivo come un dono di Dio. Domande quali: Dove sto andando dentro di me? Dove sto investendo le mie energie? Cosa davvero mi interessa giunta alla mia età? Cosa mi ha spinta nel visitare questa realtà missionaria? Domande che, tornata nel quotidiano, mi restano e mi aiutano a non assopirmi. Grande ricchezza l’aver potuto visitare una CERCATORI DEL BENE

missione e aver condiviso da vicino l’esperienza di un sacerdote missionario. Credo sia il modo migliore di concedersi un viaggio, lontano da noi, volendo conoscere un’altra umanità. Conoscendola si impara poi anche ad amarla, lasciandosi abbracciare da lei. L’esperienza di fede va condivisa anche ricevendo con umiltà quanto ha da offrirmi l’altro, magari tanto diverso da me. Non posso sentirmi ‘a posto’ nel cammino di fede vissuto solo guardando a me; ho bisogno di aprirmi all’ascolto e all’accoglienza di un altro stile anche ecclesiale, perché solo così posso crescere, cambiare visione, rinnovarmi e forse anche amare di più il Vangelo. Ho visto cristiani molto più vivi, freschi, interessati di noi verso l’evangelizzazione. Le ultime cose che desidero esprimere e che confermano quanto ho appena scritto, le prendo dall’omelia della Messa che padre Stefano ha celebrato il 24 gennaio prima di ripartire per Manaus. Commentando il Vangelo di Gesù che apre il rotolo del profeta Isaia e legge: “Lo Spirito del Signore è sopra di me, per questo mi ha consacrato e mi ha mandato…”(Luca 1,14-21), ho ascoltato queste parole, che desidero con l’aiuto di Dio possano rimanere in me anche come frutto della breve ma intensa esperienza brasiliana: “Il Signore è venuto per sconfiggere le nostre paure e spronarci ad andare verso gli altri partendo dalle cose più semplici. La varietà, il diverso da me è una benedizione, perché mi costringe a camminare insieme e mette in movimento la mia vita. Non possiamo vivere la fede da soli, l’altro ci interroga, ci fa da specchio. Ho bisogno dell’altro…Tu Signore non ti vergogni di me, aiutami a camminare con Te nelle sfide della vita, libero e accogliente verso le diversità, che mi aiutano ad alzare la qualità del mio vivere cristiano.”

19


IN COMUNITà

l’esperienza significativa di un fratello del pgc come guida in terrasanta

Pellegrino nella Terra di Gesù di Sandro Venturoli

Come è nata questa esperienza Sandro, e come sei diventato guida? Tutto ha avuto inizio nel 1986 con un pellegrinaggio in Terra Santa promosso a Milano dalla parrocchia di Santa Maria del Suffragio. Vilma ed io, da poco tornati alla fede e riavvicinati alla Chiesa, vi abbiamo aderito. Il parroco era don Erminio De Scalzi, allora presidente dell’Agenzia Duomo, e guida don Romeo Maggioni, responsabile dei pellegrinaggi e formatore delle guide. Per me è stata un esperienza illuminante. In Terrasanta ho sperimentato la “certezza” dell’incarnazione, un fatto realmente accaduto perché ve ne sono i segni, lasciati dai testimoni della Resurrezione. Nel mio personale cammino di fede questo ritorno alle radici è stato un punto di svolta. Ci siamo poi ritornati con grande entusiasmo, guidati da don Roberto Davanzo e un

20

gruppo scout, e quando il Tribunale dei Minori di Milano ha approvato la nostra domanda di adozione internazionale, ci è venuto naturale cercare nostro figlio in quella Terra. Affiancando don Maggioni in successivi viaggi, la mia esperienza spirituale e la conoscenza della Bibbia si è approfondita e ho imparato cose nuove, e quando mi è stata fatta la proposta di prepararmi per diventare guida di pellegrinaggi non ho esitato. Nel’97 ho superato l’esame della Commissione Biblica e ho avuto il patentino. Allora era don Gianfranco Ravasi a tenerci i corsi di formazione e aggiornamento. L’esperienza di papà e di guida sono andate avanti di pari passo? Non proprio, perché in mezzo c’è stato il conflitto… tra israeliani e palestinesi, che continua ancora oggi. Nell’89 ci fu la prima Intifada, detta guerra “dei sassi”, e dopo CERCATORI DEL BENE

le pratiche dell’adozione, consegnate nel’90, nel gennaio del’91 scoppiò la guerra del Golfo. Se non avessimo avuto l’aiuto dei Salesiani di Betlemme e di suor Sophie, allora responsabile dell’orfanotrofio locale della Creche, non ce l’avremmo mai fatta a portare il nostro piccolo Giovanni in Italia. Allora i Territori Palestinesi erano soggetti all’autorità di un governatore militare israeliano che li presidiava. La giurisprudenza di riferimento per l’adozione era arabo- giordana soggetta però al benestare dello Stato d’Israele. In primis oltretutto occorreva il permesso del Tribunale ecclesiastico del Patriarcato Latino. Spesso io e Vilma siamo saliti in Israele e abbiamo vissuto nei Territori, ospiti dei Salesiani in situazioni di coprifuoco e con il rischio concreto di rimanervi bloccati dentro. Per disincagliare le pratiche poi siamo ricorsi a un legale israeliano e alle preghiere del Carmelo di Betlemme e delle Clarisse di Gerusalemme. E finalmente nel novembre del ‘92 ce l’abbiamo fatta! Il più bel ricordo dell’esperienza come guida? Risale al 2001. Nel 2000, l’anno giubilare voluto da Giovanni Paolo II, dopo la passeggiata di Sharon accompagnato da alcune centinaia di guardie di frontiera sulla spianata del Tempio è iniziata la seconda Intifada. Negli ultimi anni ’90 andavano in Israele centinaia di migliaia di persone all’anno, ma dall’ottobre del 2000 fino a fine 2002 solo pochissimi e sparuti gruppi. Io ne ho organizzati tre o quattro in quei due anni con persone volontarie. Nell’ottobre del ’2001 eravamo una quindicina di persone, alcune del Piccolo Gruppo, il primo pellegri-


naggio che veniva dall’Italia da un anno a quella parte... Un’esperienza forte per le persone coinvolte, ma un’ enorme tristezza nel vedere vuote le strade d’Israele e della Palestina. Abbiamo incontrato a Gerusalemme Carlo Martini che ci incoraggiava a promuovere pellegrinaggi con parroci e agenzie, assicurandoci che non c’erano pericoli reali per i pellegrini, che erano necessari per non fare sentire soli i cristiani di Terrasanta e per portare lavoro e favorire la loro permanenza nella terra di Gesù. Martini mi ha fatto conoscere i Parents’ circle e altri gruppi ebraici e palestinesi che lavorano per la pace e la convivenza tra ebrei cristiani e musulmani nella Terra della Bibbia. Oltre ai preti, ci sono guide come te che sono laiche? Quando c’è il sacerdote, che garantisce, oltre la liturgia l’accompagnamento biblico e spirituale, la guida laica si occupa solo delle informazioni storico -archeologiche e degli aspetti organizzativi. Vi sono preti che svolgono anche i compiti tecnico-organizzativi, cosi come vi sono laici che svolgono entrambi i compiti ma sono pochi. Anche alcune donne si sono distinte come guide. Io ho sempre svolto sia l’accompagnamento spirituale che biblico archeologico, oltre a quello organizzativo con il supporto dell’Agenzia. Da un paio di anni, a mio avviso, la Commissione biblica di Gerusalemme ha fatto un passo indietro. Infatti viene dato il patentino solo a sacerdoti e religiosi, escludendo i laici. Questo in accordo con il Governo Israeliano. Rispetto al ruolo dei laici nella Chiesa, mi pare un orientamento in controtendenza sia rispetto al Concilio che al magistero dell’attuale Papa. Come vanno i pellegrinaggi? Male. Sono diminuiti drasticamen-

te dall’Occidente e in particolare dall’Europa sia per la crisi economica che per la paura dell’Isis. Nei mesi di Giugno e Luglio dello scorso anno sono andato in Terrasanta con le parrocchie del Suffragio e di san Pio V e c’erano pochissimi pellegrini europei. Anche recentemente il Custode di Terrasanta, padre Pierbattista Pizzaballa, ha fatto un appello per i pellegrinaggi.

fanzia (0-5 anni), si possono però pensare formule specifiche che mettano insieme il cammino degli adulti e le esigenze dei bambini, anche appoggiandosi a strutture locali, dei francescani o delle suore di Maria Ausiliatrice, e altri ancora. Se ci riferiamo alla fanciullezza (611anni), si può pensare a una formula che coinvolga i più grandicelli anche nelle visite ai luoghi santi.

Qual è il danno per la comunità cristiana locale? Pizzaballa sostiene che innanzitutto l’assenza di pellegrini dall’Italia e dall’Europa significa la perdita del lavoro per molte famiglie cristiane. Alberghi e tutta l’economia che ruota intorno al turismo è in crisi. E poi la città di Gerusalemme e i tanti luoghi santi semivuoti alimentano nei cristiani locali una situazione di frustrazione e un senso di abbandono. Il ritorno dei pellegrini è necessario sia per riportare il sorriso nelle famiglie cristiane, sia per creare un clima più pacifico in Terrasanta. E ribadisce che la Terrasanta è sicura, questa realtà infatti non centra nulla con l’avanzata dell’Isis in altri Paesi dell’area medio-orientale».

Il cammino nel Piccolo Gruppo di Cristo ti è stato di sostegno in questo tuo servizio? E che cosa ti ha insegnato essere guida di pellegrinaggi in Terra Santa? Il Piccolo Gruppo attraverso il cammino comune, lo scambio di esperienze e la formazione permanente mi ha insegnato la necessità di stare con il Signore e conoscerlo sempre di più nella sua umanità e divinità. Passando dal dialogo con il Gesù fuori di noi all’incontro con il Gesù nella Trinità che abita il nostro cuore. Si tratta, attraverso il suo sguardo, di illuminare gli abissi dell’anima, di conoscere la sua misericordia e riconoscere nella comune fragilità ciò che ci unisce ad ogni essere umano. Gesù si è incarnato e ha redento ogni fibra del nostro corpo e attraverso la nostra umanità si può rendere presente ed evidente il Regno dell’amore. L’esperienza di guida di pellegrinaggi mi ha insegnato la ricchezza e bellezza delle persone, nella diversità e varietà delle caratteristiche di ognuno, la sete di verità che attraversa tutti, anche quelli apparentemente più tiepidi, la ricerca di significato e senso nella propria vita. Mi ha insegnato l’importanza del silenzio e della meditazione, la responsabilità dell’accompagnamento, la necessità della preparazione, l’affidamento allo Spirito Santo. Per me ogni pellegrinaggio è come un corso di esercizi spirituali. E so che questa è una grazia.

È possibile fare questa esperienza con i bambini? È bello che ci siano coppie giovani con figli anche piccoli che desiderino fare questa esperienza. Nel pellegrinaggio classico nell’arco dei sette giorni si cerca di fare vedere i luoghi principali della vita di Gesù. Ci si sposta sempre in pullman con ritmi abbastanza serrati; l’obiettivo è quello di fare vedere il massimo a persone che difficilmente avranno la possibilità di tornarci. Questo tipo di esperienza spirituale è pensata per adulti anche avanti negli anni, può essere apprezzata da adolescenti fortemente motivati e comunque dopo i 16-17 anni. Se ci riferiamo alla prima e seconda inCERCATORI DEL BENE

21


L’ANGOLO DEI LIBRI

consigli di lettura per tutti i gusti. ALCUNE RECENSIONI DA NON PERDERE di Vilma Cazzulani e Donatella Zurlo Perché ripubblicare dopo oltre settant’anni queste pagine sulla vita comunitaria del martire di Flossenburg Bonhoeffer? La risposta è nell’attualità dei problemi qui affrontati. Per esempio: il significato della preghiera quotidiana comune e in famiglia, l’importanza di relazioni fondate sullo Spirito Santo e non sulla psicologia, la necessità di riferirsi a Cristo e non a noi stessi nelle relazioni, il bisogno di condividere le parole del Vangelo per non sentirci soli nel mondo, l’accoglienza del perdono e la necessità della confessione delpeccato come conseguenza dell’accettazione che siamo fragili e non ci salviamo da soli.

Attualissimo questo testo che ci porta a comprendere come muoverci all’interno dei cambiamenti nella comunicazione e che vede un massiccio utilizzo del digitale. Lo spazio che Internet e il cellulare hanno preso nella nostra vita non sempre migliorano i nostri rapporti umani. Lynch vuole raccontare questi mutamenti ponendo l’accento su come la tecnologia possa invece aiutare a servire la vita dell’uomo e non viceversa.

Che cosa ha di speciale questo libro, tra i tanti su e di papa Francesco? Si potrebbe dire la genuinità delle domande che gli ha rivolto il giornalista Tornielli. Sono le domande che ognuno di noi farebbe a Francesco. E colpisce la stessa semplicità delle risposte che il Pontefice dà. Prima di tutto rivela il perché ha ritenuto necessario un Anno Santo di Misericordia, poi affronta la crisi del sacramento della riconciliazione/confessione e dà dei consigli, spiega perché si ritiene un peccatore, ma anche la differenza tra i peccatori consapevoli d’esserlo e i corrotti che invece non sono per nulla pentiti. Non manca la domanda su come vivere il Giubileo e l’esortazione a non condannare il mondo, ma ad uscire dalle parrocchie per cercare le persone dove soffrono e sperano e così permettere l’incontro con quell’amore viscerale che è la misericordia di Dio. Un libro da regalare perché valido mezzo d’evangelizzazione.

Il profumo dei limoni. Tecnologia e rapporti umani nell’era di Facebook / Jonah Lynch / 2012 / Lindau / pag.159 / €12,50

Il nome di Dio è misericordia / Francesco. Una conversazione con Andrea Tornielli / 2016 / Piemme / pag.113 / €15

La vita comunitaria dei cristiani / Dietrich Bonhoefer / 2015 / Città Nuova / pag.130 / € 7,50

22

CERCATORI DEL BENE

Ai consacrati e alle consacrate è rivolto questo terzo testo, Contemplate, punto d’arrivo dopo i precedenti Rallegratevi e Scrutate. Non è di facile lettura, è rivolto soprattutto a religiosi, ma offre spunti di meditazione e riflessione anche a noi laici. Prende ispirazione dal Cantico dei Cantici, nella convinzione che la persona contemplativa ha capito che “l’io personale segna la distanza tra Dio e se stessi, per questo non cessa di essere mendicante del Diletto, cercandolo nel luogo giusto, nel profondo di sé, santuario dove Dio abita”. Si ribadisce una verità che sperimentiamo: “Chi non rimane in Dio...non potrà far nulla per trasformare le strutture di peccato”. E spiega: ”Senza momenti prolungati e di adorazione, di incontro orante con la Parola, di dialogo sincero con il Signore, facilmente i compiti si svuotano di significato, ci indeboliamo per la stanchezza e le difficoltà, e il fervore si spegne”. Contemplate / Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica / 2015 / Libreria Editrice Vaticana / pag.159 / €7


Nel X anniversario del martirio in Turchia di don Andrea Santoro, esce questo libro che ne racconta la vita e il pensiero. Così don Andrea, all’epoca parroco, spiega il suo invio in Turchia, ottenuto dopo ripetute richieste per gli iniziali rifiuti dei superiori. “Sento questo invio come uno scambio di doni: noi abbiamo bisogno di quella radice originaria della fede se non vogliamo morire di benessere, di materialismo, di un progresso vuoto e illusorio, loro hanno bisogno di questa Chiesa di Roma per ritrovare slancio, coraggio, rinnovamento, apertura universale”. L’autore del libro, Augusto D’Angelo, che insegna Storia Contemporanea e Storia del Cristianesimo Contemporaneo all’Università La Sapienza di Roma, lega la vicenda di questo prete romano a quella di Hrant Dink, giornalista armeno ucciso a Istanbul un anno dopo e a quella di monsignor Luigi Padovese, vescovo cattolico assassinato in Turchia nel 2010. L’intento è di farci conoscere la complessa realtà turca e la specificità del martirio cristiano nel XXI secolo, di cui ogni giorno abbiamo esempi in Medio Oriente, Africa, Asia e Sud America.

Vivere accanto a Giovanni Paolo II, uomo, sacerdote, papa e santo è stato una grazia. Ce lo raccontano 22 testimoni, amici e collaboratori e anche chi, per richiesta o intercessione del papa, ha ritrovato per miracolo la salute e la vita. In questo testo conosciamo più da vicino Karol Wojtyla e ricordandone i tratti, il carattere e le virtù eroiche lo amiamo e preghiamo con più convinzione. E’ curato dal vaticanista e scrittore polacco Wlodzimierz Redzioch che ha raccolto anche il contributo esclusivo del papa emerito Benedetto XVI. Che dice tra l’altro del suo predecessore: “...Ha aiutato i cristiani di tutto il mondo a non avere paura di dirsi cristiani, di appartenere alla Chiesa, di parlare del Vangelo. In una parola: ci ha aiutato a non avere paura della verità, perché la verità è garanzia della libertà...Ci ha ridato la forza di credere in Cristo, perché Cristo è Redemptor Hominis, Redentore dell’uomo...Non potevo e non dovevo provare a imitarlo, ma ho cercato di portare avanti la sua eredità e il suo compito meglio che ho potuto. E perciò sono certo che ancora oggi la sua bontà mi accompagna e la sua benedizione mi protegge”.

Don Andrea Santoro. Un prete tra Roma e l’Oriente / Augusto D’Angelo / 2015 / San Paolo / pag.215 / € 14

Accanto a Giovanni Paolo II Gli amici & i collaboratori raccontano / A cura di Wlodzimierz Redzioch / 2014 / Ed.Ares/ pag. 256 / € 15,90

Tra i sussidi per vivere il Giubileo, ecco un’utile riflessione sulle Opere di Misericordia­ corporale e spirituale­, che spesso viviamo con scarsa carità e consapevolezza, oppure non compiamo affatto, anche perché non le ricordiamo o conosciamo più. Il mondo ricco in cui viviamo non ci aiuta, anche se bisogna riconoscere che nei momenti di crisi e calamità naturali l’uomo è aperto alla solidarietà di chi è nel bisogno, al di là della lingua, della razza e della religione. Ma chi pensa oggi più a consigliare i dubbiosi o ad ammonire i peccatori? Di qui l’importanza di una testimonianza cristiana sul versante spirituale. Le opere di Misericordia Corporale e Spirituale / Pontificio Consiglio Per La Promozione della Nuova Evangelizzazione / 2015 / San Paolo /pag.123

“Nel grande bosco di betulle e noccioli, in una notte piena di stelle, si accese una piccola luce che iniziò a splendere tra i rami. “ E’ l’incipit di questo piccolo ma grazioso libro in cui Bubo il gufo e altri animali accompagnano i piccoli a scoprire le opere di misericordia. Adatto ai bambini dai 5 anni fino alla primaria. L’albo è realizzato all’interno del progetto di Caritas Italiana in occasione dell’anno della Misericordia.

Louis De Wohl nasce in Germania agli inizi del secolo scorso e muore negli anni sessanta. E’ interessante riscoprirlo in quanto autore di romanzi storici che hanno dato voce a grandi figure dello spirito cristiano e a importanti questioni antiche e moderne. Il testo che proponiamo ci coinvolge a seguire gli inizi del cristianesimo nell’impero romano del IV secolo, uno dei periodi più importanti della storia del mondo.

Mark Osborne trasferisce sul grande schermo il libro di Antoine de Saint Exupéry. Destinato sia agli adulti che ai più piccoli, il film racchiude le vicende del celeberrimo principe e dell’aviatore all’interno di una storia che vede la piccola protagonista destinata ad un precoce adultismo. La bambina progressivamente si ribellerà a quello che sembra essere il suo percorso ormai segnato per conservare il proprio bambino interiore. Da vedere.

Il dono / Cosetta Zanotti / 2016 / Caritas Italiana, Città Nuova / pag.24 / €3,50

L’albero della vita. Il romanzo di sant’Elena / Louis De Wohl / 2014 / BUR / €14,90

Film / Il piccolo principe / Regia Mark Osborne / 1h 50m / 2016

CERCATORI DEL BENE

23


LA BUSSOLA

a milano, l’arte e la storia di una chiesa ci trasmettono angoli di fede

S.Maurizio al Monastero Maggiore di Andrea Giustiniani

Nel centro di Milano, venendo dalla parte di Piazza Duomo e proseguendo su Corso Magenta si arriva ad uno slargo e all’angolo sulla sinistra si nota una chiesa con una elegante facciata in pietra, a più ordini, molto slanciata e ben disegnata, a fianco un elegante portale anch’esso in pietra. È la chiesa di un antichissimo monastero femminile benedettino, intitolata a S.

24

Maurizio. Il complesso monastico era in origine molto più grande, ma il ridimensionamento successivo alla soppressione napoleonica ha se non altro potuto liberare uno dei lati lunghi della chiesa; così che, se ci poniamo davanti alla via che lo costeggia, possiamo ammirare la lunghezza dell’edificio, ed anche la sua armoniosa proporzionalità, che grosso modo triplica il modulo delCERCATORI DEL BENE

la facciata. All’ingresso nella chiesa colpisce subito la preziosità dell’ambiente, completamente affrescato e decorato; i matronei (le gallerie) danno un sapore di antichità paleocristiana, ma anche una connotazione intensa di teatralità. Inoltre, ma lo scopriremo dopo, proseguono nell’altra parte della chiesa, quella che era riservata alle monache. Il fatto che questa chiesa sia bipartita si coglie però dalla parete di fondo che non arriva al livello delle volte del tetto; e l’intuizione di un “oltre” è confermata dalla grata dietro all’altare. Ora siamo più fortunati che nel passato. L’edificio è completamente restaurato ed aperto al pubblico, grazie anche all’opera di appassionati volontari del FAI, e nella nostra visita potremo andare “oltre lo specchio” e gustare il sapore di entrambi gli ambienti. Nella “prima chiesa” sono le immagini di sacrificio e martirio a dominare la scena, immerse in una natura lussureggiante e realistica, dipinte con una chiave cromatica a tinte chiare e brillanti. La chiesa dei fedeli sembra dar voce alle monache, e queste sembrano dirci che il sacrificio di sé può essere vissuto nella serenità, nella luce e nella bellezza. Ovviamente a dar voce alle religiose sono anche le loro famiglie: nel ciclo più importante della decorazione pittorica, dagli anni venti alla metà del ‘500, la grande società di Milano si rispecchia nel fedele sacrificio delle sue monache, come ben mostrano le figure dei donatori, i Bentivoglio, che si sono fatti raffigurare negli spazi affrescati a lato della pala sopra l’altare centrale, anch’essa un soggetto aulico, l’“Adorazione dei Magi”.


Ed ecco che cominciamo a percepire un sapore manzoniano, anche in opere ben anteriori al periodo dei “Promessi Sposi”: le monache dell’alta società, i nobili che partecipano alle scene e non ultimi i crudeli “bravi” artefici delle scene di martirio. Non che le vicende del monastero Maggiore siano state così dolorosamente cupe e tragiche come l’episodio della monaca di Monza. È interessante però ricordare che due personalità fondamentali della chiesa milanese, e del romanzo, non hanno mancato di coinvolgersi nelle vicende del monastero. Il primo è S. Carlo Borromeo, che in “visita et reformatione” come delegato del papa S. Pio V, emanò una serie di disposizioni e stabilì pene severe per riportare la vita claustrale ad una maggiore austerità. Successivamente suo cugino Federico, il cardinale coraggioso del romanzo, ingaggiò una dura controversia giuridica con le monache per ottenere dalla Santa Sede il passaggio del monastero sotto la giurisdizione arcivescovile ed elevare quindi il livello del controllo sulla vita religiosa. Due episodi che la dicono lunga sulla dialettica Spirito/Mondo che da sempre caratterizza la vita della Chiesa. E che troviamo in molte delle pagine più belle dei “Promessi Sposi”. Questo grande scrittore ha saputo catalizzare gli elementi di quello stesso conflitto che qui, in fondo, è espresso nelle tante scene di martirio e che è caratteristico anche della chiesa milanese, fin dai tempi di S. Ambrogio. Ecco perché questo è un luogo così milanese ed anche così “manzoniano”. Pur essendo stata realizzata nell’arco di un periodo piuttosto lungo, che si estende tra la fine del ‘400 agli anni settanta del ‘500, la decorazione si caratterizza per un’intonazione, un timbro generale molto omogeneo. Ma spicca la

personalità artistica di Bernardino Luini. Non è il tipo di artista che si distingue in modo immediato. Ma nel confronto con i suoi figli e la sua scuola è davvero percepibile come egli sia in grado di elevarsi a un livello ulteriore rispetto ai bravi artisti di scuola; è un maestro. Ma per coglierlo meglio vi invito prima ad affacciarvi sulla terza cappella di sinistra, quella della Deposizione, così chiamata dalla pala d’altare di Callisto e Fulvio Piazza, del 1555. Qui l’incurvarsi del corpo deposto che sta per essere adagiato sulla pietra del sepolcro è espressa con cura e coerenza anatomica, memore della lezione di Michelangelo nella Pietà del Vaticano; intorno i consueti personaggi, come Giuseppe d’Arimatea e le pie donne, esprimono sobrio dolore; e sullo sfondo le croci, in particolare quella ormai nuda al centro, si stagliano su di un giallo, spettrale, tramonto. Tutto è ben realizzato, intenso, convincente, ma prevedibile. Andiamo invece dall’altra parte della navata, alla Cappella Besozzi, la terza da sinistra, dedicata a Santa Caterina e capolavoro di Bernardino Luini: ai lati troviamo due immagini della santa, che si inginocchia con sereno equilibrio, prima di fronte al miracolo che la salva, poi davanti alla spada sguainata del carnefice: scene dipinte con cromatismo raffinato e brillante, in una atmosfera di piena accettazione della volontà divina, che si manifesta con bagliori di intervento miracoloso sugli sfondi. Saremmo già catturati da tanta serenità e bellezza, ma guardando il riquadro centrale con la Flagellazione il maestro sembra fare un ulteriore passo avanti: al centro la colonna gocciolante e davanti il Cristo sanguinante sembra barcollare e stramazzerebbe al suolo se non fosse sorretto da due carnefici, dallo sguardo appena meno CERCATORI DEL BENE

truce di altri due ai lati dell’immagine; di rado la debolezza esile del Cristo sanguinante è stata contrapposta così efficacemente all’arroganza del potere. Nella zona delle monache il sacrificio ed il martirio sono ancora più spiritualizzati; i paesaggi sono spesso “vuoti”, senza figure umane, o brulicanti di personaggi; sempre dominati dallo spettacolo della natura. Il coro ligneo è splendido, sormontato dal prezioso organo cinquecentesco. Non dobbiamo dimenticare che la musica e il canto erano un elemento fondamentale di raccordo tra le due parti della chiesa e le due assemblee riunite nella liturgia. Anche qui è impossibile descrivere in un breve articolo una decorazione pittorica splendida e abbondantissima. Vorrei solo porre la vostra attenzione su due piccoli riquadri, sempre di Bernardino Luini, posti ai lati della parete dell’altare. In fondo, guardando a destra è dipinta una deposizione, nella quale il corpo del Cristo rannicchiato nel sudario, mostra le stesse ferite della Flagellazione ammirata nella chiesa dei fedeli, quasi a evidenziare l’unità delle due parti. I personaggi sacri che trasportano il corpo martoriato esprimono contenuto e profondo dolore, mentre all’estremità destra della scena una monaca con un velo che “cinge una fronte di diversa ma non inferiore bianchezza” (come Manzoni descrive Gertrude), sembra meditare in preghiera sull’evento. Al lato opposto, sopra alla porta di uscita il maestro ha affrescato l’Orazione nell’orto. Qui il Cristo accoglie con fermezza la sua decisione, simboleggiata dal calice con la croce e i flagelli e dall’angelo che gli si avvicina; ma quello che commuove di più sono i discepoli addormentati, separati dalla scena anche mediante la cornice decorativa, che mostrano, in una pittura di toni

25


delicati e sfumature leonardesche, tutta l’infinita fragilità e debolezza umana. Uscendo nel giardino all’aperto del bellissimo complesso non bisogna mancare di visitare la torre poligonale, reliquia delle mura tardo antiche, che con la sua affascinante forma geometrica, con i tanti angoli che non diventano mai cerchio, mostra il legame mai del tutto spezzato con la scienza e la cultura classi-

26

che, che però, entrandovi, vediamo fondersi con la ieraticità cristiana dei santi dipinti lungo tutto il perimetro interno della torre nel primo medioevo. Sono solenni, austeri, ritti, affiancati l’uno all’altro come segni di un alfabeto, secondo la felice definizione di uno studioso. Lettere di un testo sulla santità che non cessa di parlarci. Questo edificio ci ha portato ad immergerci profondamente oltre che nell’arte, nella storia, con le sue luci e le sue ombre.

CERCATORI DEL BENE

Ma ci consola pensare che queste sono storicizzate e consegnate alla misericordia divina, quelle non cessano di illuminarci e sostenerci.

Nelle foto, in senso orario. 1) Bernardino Luini, Flagellazione 2) Callisto e Francesco Piazza, Deposizione 3) Bernardino Luini, Orazione nell’orto


Settimana estiva in Val di Fassa

toSI #Lauda

La prossima settimana estiva comunitaria si terrà da domenica 31 luglio a domenica 7 agosto 2016 presso il Soggiorno Dolomiti che si trova nella splendida Val di Fassa, nella frazione di Campestrin (TN) a pochi chilometri da Canazei a circa 1350 mt di altitudine. All’inizio del mese di Aprile verrà inviato a ogni appartenente del Piccolo Gruppo il modulo di iscrizione con le relative indicazioni sui costi del pernottamento e sulle altre importanti informazioni.

DESIO. Don Luciano De Nadal benedice l’effige della Madonna della Divina Misericordia appesa nel cortile della nostra casa.

ESPERIENZE DI VITA, LA RIVISTA è ON LINE è possibile leggere la rivista “Esperienze di Vita” direttamente in rete, cioé senza avere materialmente tra le mani la stessa rivista in formato cartaceo. La rivista in formato cartaceo che ognuno di noi riceve può diventare un dono a qualche familiare, amico o conoscente che possa avere un interesse per il discorso religioso e di vita evangelica, e che magari si intende avvicinare al “Gruppo”.

NEWSLETTER Per tutti c’è la possibilità di iscriversi al sito internet www.piccologruppo.it e ricevere aggiornamenti sulle proposte e il cammino della Comunità.

27


“Cristo è risorto! Cristo è vivo e cammina con noi!”

www.piccologruppo.it


Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.