Mensile Valori n.50 2007

Page 11

| dossier | private equity |

| dossier | private equity |

banche d’investimento hanno capito che devono entrare nel business. Così l’ultima vague è quella del private equity direttamente collegato con le maggiori finanziarie di Wall Street. Sono state riluttanti all’inizio, ma ormai tutte le investment bank hanno fra le loro partecipazioni qualche fondo di questo tipo. Il quale, visto che è emanazione di una centrale così potente, è diventato rapidamente forte e potente a sua volta. Però l’establishment finanziario più ortodosso questa non l’ha digerita e comincia a dare segni di insofferenza. «Hanno imparato a trarre subito il massimo dei profitti dalle acquisizioni - scrive Business Week - ricorrendo alle forme più sofisticate di ingegneria finanziaria, e a volte forzando le leggi sulla bancarotta, pur di acquisire il controllo delle società: nel loro insieme i fondi di private equity sono entrati in un momento storico

4.000 400.000

2005

2004

2003

2002

2001

2000

1999

1998

1997

1996

1995

1994

0

200.000 1993

1990

1.000

1991

2.000

1992

3.000

0

MULTY STRATEGY 11,5% FUTURES 5,2%

ARBITRAGGI 2,2%

MERCATI EMERGENTI 5,4%

EVENTI EMERGENTI 23,6% ARBITRAGGI SUI TASSI 7,7%

817 600

622 536

400 200 0

456

488

375 2005

600.000

5.000

1.025

2004

6.000

.

973

800

2003

800.000

1.000

2002

7.000

2001

1.000.000

8.000

di eccessi». È un po’ come accadde con il venture capital degli anni ‘90, scrive il settimanale, «quando l’eccesso di denaro e la facilità di ottenerlo alla fine causò il crollo di tutto». Il Financial Times ha recentemente dato notizia che la Financial Services Authority, la Consob inglese, ha iniziato un’indagine «sulla sospetta creatività di finanziamento» utilizzata da alcuni fondi e sui «potenziali conflitti di interessi» di altri. E l’Economist ha scritto: «Se si facesse un remake cinematografico di Wall Street, Michael Douglas anziché Gordon Gekko dovrebbe stavolta interpretare Steve Schwarzman, il presidente del fondo Blackstone». Non piacciono a nessuno, insomma, ma continuano a dettare legge.

QUOTA INVESTIMENTI IN % DEGLI HEDGE FUNDS[31 GENNAIO 2005]

1.200

2000

1.200.000

PATRIMONI GESTITI IN MILIARDI DI USD

9.000

1999

NUMERO DI HEDGE FUND

10.000

QUANTO GESTISCONO GLI HEDGE FUND NEL MONDO [IN MLD DI DOLLARI]

1998

NUMERO DI HEDGE FUND / PATRIMONI GESTITI DAL 1990 AL 2005

FONTE: HFR DATI AGGIORNATI AL SECONDO TRIM. 2005

FONTE: HFR

dei cavi alla banca d’affari Goldman Sachs. Valutata all’epoca 1,3 miliardi di euro ora viene collocata in Borsa, con il nome di Prysmian, ad oltre 3 miliardi. Ma i fondi di questa natura non fanno soldi solo comprando e rivendendo. Si fanno anche pagare lautamente per commissioni e consulenze. Fino ad arrivare a degli incredibili paradossi: quando il fondo Blackstone acquisì il gruppo Celanese, offrì al gruppo stesso la sua consulenza per sopravvivere dopo l’acquisizione. Così avvenne e la Celanese pagò nel 2004 alla Blackstone, che la stava inesorabilmente inglobando, 45 milioni di dollari di consulenza, più del doppio di quanto pagò nella stessa occasione alla Goldman Sachs, che si accontentò di 18 milioni. Per non essere scavalcate, le maggiori

AZIONI A BREVE\LUNGO 28,0%

MERCATI AZIONARI STABILI 4,2%

PRODOTTI A BREVE 0,6%

GLOBAL MACRO 11,6%

Hedge fund, speculazione assoluta Senza una definizione precisa, demonizzati anche dalle Banche centrali ora sono stati sdoganati su iniziativa del Governatore Mario Draghi ma continuano a fare paura.

N LA LEVA IL MECCANISMO DEL LEVERAGE, della leva finanziaria, è abbastanza semplice: una società si offre di comprare le azioni di una società, per acquisirne il controllo, ad un prezzo molto più alto di quello corrente. Il capitale viene preso a prestito da banche o raccolto sul mercato con obbligazioni ad alto rischio e rendimento. Per pagare i debiti, infine, si utilizzano i profitti della società acquisita. Esattamente come è successo con Telecom Italia.

| 20 | valori |

del termine hedge fund: letteralmente, nei dizionari di inglese dedicati ai temi della finanza, sono «fondi di investimento che utilizzano tecniche di copertura». Una definizione appropriata potrebbe essere: «qualsiasi fondo che non sia un convenzionale fondo d’investimento», ossia qualsiasi fondo dove si usino una serie di strategie diverse dal semplice acquisto di obbligazioni, azioni e titoli di credito. Gli hedge fund vengono di volta in volta indicati come strumenti di investimento alternativi, fondi altamente speculativi, fondi di fondi, sempre in contrapposizione con le forme di gestione del risparmio di tipo tradizionale, regolate da leggi e regolamenti specifici che ne limitano l’operatività e il rischio. La nascita degli hedge funds risale al lontano 1949 quando il giornalista americano A.W. Jones fondò il suo Fondo privato di investimento ottenuto dalla combinazione di due tecniche speculative: una posizione lunga in alcuni titoli e una corta in altri. Questi ultimi venivano venduti allo scoperto, ovvero acquistati con danaro preso a debito e venduti per puntare su un loro ribasso. Successivamente Jones cominciò a far en-

ON ESISTE UNA PRECISA DEFINIZIONE GIURIDICA

ANNO 7 N.50

|

GIUGNO 2007

|

trare altri gestori trasformando così il primo hedge fund nel primo fondo multi-manager della storia. L’innovazione risiedeva anche nell’introduzione di una retribuzione dei managers legata a incentivi (performance fees, ovvero la retrocessione di parte delle performance positive realizzate dal gestore). La strategia di Alfred Winslow Jones, malgrado i suoi brillanti risultati, non sembrò trovare molto seguito a Wall Street. L’interesse degli operatori si destò solo dopo la pubblicazione di un articolo che riportava le ottime performance di questi strumenti nel periodo 1956-1965. Nei due anni successivi furono lanciati più di 100 hedge fund, di cui tuttavia solo due sopravvissero ai crack del 1969-1970 e del 1973-1974: il Quantum Fund di George Soros e lo Steinhardt Partners di Michael Steinhardt. Soros, che speculava principalmente su valute, raggiunse una potenza tale che il suo fondo fu ritenuto corresponsabile sia della marcata correzione della sterlina britannica nel 1992 (-15 per cento circa contro il marco tedesco in pochi giorni) sia del collasso del ringitt malese nel 1997 (crisi asiatica). Sempre nel ‘92 il fondo hedge di Soros fu alla base della svalutazione della lira italiana del 30% e della di-

struzione di ricchezza da parte della Banca d’Italia nel vano tentativo di difendere la divisa nazionale.

I clamorosi crolli La storia degli hedge fund è anche caratterizzata da rumorosi crolli. Il caso più noto è certamente il collasso del Long Term Capital Management Fund (LTCM) nel quadro della crisi russa del 1998. Questo fondo, costituito nel 1994 da John Meriwether, poteva valersi nello staff di gestione anche di due premi Nobel, Myron Scholes e Robert Merton. Le buone performance dei primi anni e i contatti con molte banche internazionali gli aprirono facilmente l’accesso ai crediti: all’inizio del 1998, LTCM controllava un portafoglio di circa 100 miliardi di dollari americani a fronte di un valore reale di soli 4 miliardi, con una leva finanziaria pari a 25 volte il capitale investito. Il fondo era focalizzato su tre ambiti: volatilità degli indici, prestiti su pegno e mercati emergenti. Quando nell’agosto dello stesso anno la Russia svalutò il rublo e richiese una moratoria per i suoi debiti, i mercati si diressero in massa verso investimenti di qualità scatenando una crisi di liquidità negli strumenti finanziari in cui era investito il fondo.

Michael Moritz.

UNA SEQUOIA MOLTO HI-TECH NEL VARIOPINTO MONDO DEL PRIVATE EQUITY non ci sono solo i barbari. Alcune delle più grandi aziende dell’hi-tech devono la loro sopravvivenza proprio ai capitali messi a disposizione da fondi, prevalentemente della Silicon Valley. Somme spesso piccole rispetto a quelle astronomiche del grande giro della finanza. Uno dei nomi che hanno segnato la storia delle nuove tecnologie è quello di Sequoia. Fondata nel 1972 da Donald Valentine, detto Don, ex capo della National Semiconductor, Sequoia è stata il motore di Apple, Cisco, Oracle Yahoo!, PayPal, Google sino all’ultimo caso di YouTube. Artefice di queste operazioni Michael Moritz. Nato a Cardiff, nel Galles, 51 anni fa, studi di storia a Oxford, un master in business administration alla Wharton School dell’università di Pennsylvania, Moritz ha cominciato a lavorare come giornalista. Negli anni ‘80 era capo dell’ufficio di San Francisco del settimanale Time e in quel periodo scrisse un libro sulla Apple intitolato The Little Kingdom (Il piccolo regno). Poi si mise in proprio, creando la Technological Partners, una società per la pubblicazione di newsletters e l’organizzazione di convegni. Conobbe Valentine, che era stato uno dei primi finanziatori di Steve Jobs, e nel 1986 passò a Sequoia, diventandone da quel momento il vero protagonista. Secondo Forbes, Moritz, che vive a San Francisco con la moglie scrittrice, Harriet Heyman, e due figli maschi, e che ha un patrimonio personale di circa un miliardo di dollari, ha avuto un ruolo essenziale nel lanciare alcune società della Silicon Valley che ora rappresentano il 10% della capitalizzazione del Nasdaq. Moritz intuì la novità di Google, il motore di ricerca messo in piedi dai due giovani studenti, e versò nel 1999 12,5 milioni di dollari in cambio del 10% della società. Adesso quel 10% di Google vale almeno 14 miliardi di dollari. Moritz, che gode di un prestigio quasi senza pari nella Silicon Valley, siede nel consiglio di amministrazione della Google a Mountain view. E grazie anche a questa posizione ha appoggiato e favorito l’affare YouTube. I giornali di tutto il mondo hanno raccontato la storia di Chad Hurley e Steve Chen, i due giovanissimi fondatori di YouTube (29 anni il primo, 28 il secondo), paragonando la loro avventura imprenditoriale e la loro improvvisa ricchezza all’ascesa di Sergey Brin e Larry Page, i due fondatori di Google. Ma in realtà dietro al passaggio di mano di YouTube c’è stato soprattutto il ruolo della Sequoia e del suo uomo di punta: Michael Moritz. È stata infatti la società di venture capital di Sand Hill road a credere per prima in YouTube. Grazie a un minuscolo investimento di appena 11,5 milioni di dollari, nell’autunno 2005, Sequoia aveva circa il 30% del capitale di YouTube e quindi, con il passaggio a Google, incasserà quasi mezzo miliardo di dollari, cioè 43 volte l’investimento iniziale.

|

ANNO 7 N.50

|

GIUGNO 2007

| valori | 21 |


Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.