Mensile Valori n. 110 2013

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Cooperativa Editoriale Etica Anno 13 numero 110. Giugno 2013. € 4,00 Poste Italiane S.p.A. Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB Trento Contiene I.R.

PUBLISTAMPA / LARA LEONARDELLI

Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità

Monete su misura Create per rivitalizzare l’economia, rischiano di essere una bolla speculativa Finanza > Titoli tossici: ancora nelle tasche delle banche, che cercano modi per disfarsene Economia solidale > Dalle rinnovabili fino a 49 miliardi di guadagni per l’Italia entro il 2030 12 N. 96 | FEBBRAIO 2012 | valori | 1 | Internazionale > Sviluppo sostenibile: una realtà ancora possibile |oANNO solo un termine vuoto?


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| editoriale |

Monete locali Anti crisi e austerity di Tonino Perna*

I

L’AUTORE Tonino Perna Economista e sociologo, insegna Sociologia economica alla facoltà di Scienze politiche di Messina. Ha fondato il Cric (Centro Regionale d’Intervento per la Cooperazione), una Ong che lavora nei Balcani, nel Nordafrica, in America Latina e Medio Oriente. Ha inoltre presieduto il Comitato Etico della Banca Popolare Etica di Padova e ha amministrato il Parco Nazionale dell’Aspromonte, inventando anche una moneta locale, l’EcoAspromonte. Fra le sue pubblicazioni, “Fair trade”, “Lo sviluppo insostenibile” e, ultima in ordine di tempo, “La settimana del dottore Morgante”, un romanzo di denuncia contro un sistema sanitario che non riesce ad andare incontro alle esigenze dei più deboli.

n due anni in Europa il fenomeno delle monete complementari esploderà. È il momento. Si sta realizzando quanto accaduto per la finanza etica o il commercio equo: all’inizio erano nati su una spinta ideale, poi sono diventati una necessità. Oggi le monete complementari sono necessarie come risposta alla crisi. Un domani poi, potranno essere uno strumento di riequilibrio tra locale e globale. Perché danno più potere alle comunità locali. Rappresentano una grande possibilità per aggirare il patto di stabilità, che sta strozzando i Comuni, e il fiscal compact, che sta strozzando gli Stati. Malgrado una politica di austerity, con le monete locali è possibile aumentare la disponibilità di risorse monetarie del cittadino. I Comuni possono adottare politiche espansive. Possono prendere dei disoccupati e far loro svolgere lavori utili, pagandoli parzialmente in moneta locale. Denaro che sarebbe poi speso per rivitalizzare l’economia del territorio. In base ai miei calcoli, con le monete complementari si può arrivare fino a un 20% in più di scambi per l’economia. Prendiamo per esempio Napoli, una città al collasso. Se avesse 15-20 milioni di valuta locale, potrebbe usarli per svolgere alcuni lavori essenziali, come la raccolta differenziata, retribuendo i lavoratori anche in moneta complementare. È accaduto a Bristol, nel Municipio di Lambeth (Londra), dove il Comune paga gli stipendi, in parte, in monete complementari. E la città è riuscita a superare una situazione di pre-fallimento. Le monete complementari non sono una soluzione a tutti i problemi, ma danno una boccata d’ossigeno, permettono di ricostruire il tessuto locale. Funzionano solo se c’è fiducia, se si crea una rete sociale. È fondamentale una triangolazione tra produttori, consumatori ed enti locali, che hanno una grande responsabilità. Ed è necessario che il territorio di applicazione sia circoscritto, per garantire un’elevata circolazione delle monete. Per esempio lo Scec a Napoli di fatto è un buono sconto. Ma si trasforma in moneta se circola, se il commerciante che lo accetta da un consumatore usa lo Scec, a sua volta, per fare degli acquisti. Le monete complementari, lo dice il nome, devono coesistere con la valuta ufficiale. I beni che stanno sul mercato globale devono essere pagati in euro, dollari, yen. Gli acquisti quotidiani in moneta complementare. Storicamente più monete convivevano, è da relativamente poco tempo che abbiamo una sola moneta. Nell’antica Roma c’erano tre monete: una per commerciare con esterno, d’oro, una per gli acquisti importanti, come la terra o la casa, d’argento, e una per gli acquisti giornalieri, come pane e vino. L’accusa che viene rivolta alle monete locali di essere un possibile strumento di riciclaggio di denaro per la mafia è falso. Anzi, costituiscono un antidoto alla criminalità organizzata. Le mafie hanno bisogno di una moneta globale, per poter spostare capitali da un posto a un altro. La moneta locale le fa solo ridere. E non esistono neanche rischi inflazionistici, almeno nelle aree dove c’è un alto tasso di disoccupazione, come ci ha insegnato Keynes. Un problema ancora irrisolto è il rapporto con le banche centrali, che per ora si stanno opponendo a questo strumento economico. Bisogna trovare anche giuridicamente un modello di riferimento. Ma sono fiducioso, ci sono e ci saranno talmente tante esperienze che le banche centrali non potranno che accettarle e inquadrare il fenomeno giuridicamente.  * L’editoriale è frutto di un’intervista condotta da Elisabetta Tramonto a Tonino Perna | ANNO 13 N. 110 | GIUGNO 2013 | valori | 3 |



PUBLISTAMPA / LARA LEONARDELLI

| sommario |

giugno 2013 mensile www.valori.it anno 13 numero 109 Registro Stampa del Tribunale di Milano n. 304 del 15.04.2005 editore Società Cooperativa Editoriale Etica Via Napo Torriani, 29 - 20124 Milano promossa da Banca Etica soci Fondazione Culturale Responsabilità Etica, Arci, FairTrade Italia, Mag 2, Editrice Monti, Fiba Cisl Nazionale, Cooperativa Sermis, Ecor, Cnca, Fiba Cisl Brianza, Federazione Autonoma Bancari Italiani, Publistampa, Federazione Trentina della Cooperazione, Rodrigo Vergara, Circom soc. coop.,Donato Dall’Ava consiglio di amministrazione Antonio Cossu, Donato Dall'Ava, Maurizio Gemelli, Emanuele Patti, Marco Piccolo, Sergio Slavazza, Fabio Silva (presidente@valori.it). direzione generale Giancarlo Roncaglioni (roncaglioni@valori.it) collegio dei sindaci Mario Caizzone, Danilo Guberti, Giuseppe Chiacchio (presidente). direttore editoriale Mariateresa Ruggiero (ruggiero.fondazione@bancaetica.org) direttore responsabile Andrea Di Stefano (distefano@valori.it) caporedattore Elisabetta Tramonto (tramonto@valori.it) redazione (redazione@valori.it) Via Napo Torriani, 29 - 20124 Milano Paola Baiocchi, Andrea Baranes, Andrea Barolini, Francesco Carcano, Matteo Cavallito, Corrado Fontana, Emanuele Isonio, Michele Mancino, Mauro Meggiolaro, Andrea Montella, Valentina Neri grafica, impaginazione e stampa Publistampa Arti grafiche Via Dolomiti 36, Pergine Valsugana (Trento) fotografie e illustrazioni Michel Gaillard, Yadid Levy (Contrasto); Paul Darrow, Stringer (Reuters)

Accanto alle valute ufficiali fioriscono in tutto il mondo monete parallele, in molti casi elettroniche, che si propongono di rivitalizzare economie locali. Ma spesso si sono tradotte in pura speculazione, come il Bitcoin.

globalvision fotonotizie dossier Monete su misura

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Bitcoin, cronaca di una bolla annunciata Una moneta per la comunità Il boom del Sardex, triplicato in un anno Il problema non è l’euro, ma chi lo governa L’interventismo della Fed e l’immobilismo della Bce

È consentita la riproduzione totale o parziale dei soli articoli purché venga citata la fonte. Per le fotografie di cui, nonostante le ricerche eseguite, non è stato possibile rintracciare gli aventi diritto, l’Editore si dichiara pienamente disponibile ad adempiere ai propri doveri. chiusura in stampa: 27 maggio 2013 in posta: 31 maggio 2013

Il Forest Stewardship Council® (FSC®) garantisce tra l’altro che legno e derivati non provengano da foreste ad alto valore di conservazione, dal taglio illegale o a raso e da aree dove sono violati i diritti civili e le tradizioni locali. Involucro in Mater-Bi®

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Banche, bilanci e derivati. Cartolarizzazione 2, il ritorno Dalla Russia alla Cina. Gli investimenti passano (ancora) dai paradisi fiscali Giù le mani dalla nostra banca!

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socialinnovation numeridellaterra economiasolidale

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Le rinnovabili fanno 49 (miliardi) Il futuro, piccolo e ben costruito Stati Uniti, l’autosufficienza energetica mai così vicina Energia idrovora Ceramica italiana, la salvezza viene dall’estero Ma non chiamatele solo piastrelle Cessione di sovranità, l’altra faccia della globalizzazione

40 44 46 47 49 51 53

consumiditerritorio internazionale

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Sostenibilità: realtà o bolla? Un trapano di luce nel buio del Mali L’Iran al voto sopra una polveriera

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altrevoci bancor resistenze

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| globalvision |

La crisi a “U”

Un mondo a tre velocità on lo sguardo di oggi e in un’ottica congiunturale, sembrerebbe che la crisi attuale stia assumendo un andamento a “U”. Con questa lettera si descrive un calo a cui segue un rallentamento economico non breve, prima di poter osservare una ripresa di una certa consistenza. La lunghezza del “lato basso della U” dipende non tanto dalle autonome capacità dei mercati

C

di Alberto Berrini

di risollevarsi dalla crisi, quanto dall’efficacia delle politiche economiche messe in atto per contrastarla. L’attuale sistema economico mondiale ne è la concreta dimostrazione. Il 10 aprile scorso il direttore del Fmi, Christine Lagarde, ha affermato che l’economia dà segni di “ripresa a tre velocità”. Velocità che sono, appunto, legate alle politiche economiche attuate. Analizzando quanto sta accadendo in Cina, Usa ed Europa, emerge chiaramente tale nesso. Il “gigante asiatico”, che crescerà sia nel 2013 che nel 2014 con un tasso superiore all’8%, inizialmente ha affrontato la crisi puntando sui consumi e successivamente è tornato a far crescere l’economia con grandi investimenti in infrastrutture pubbliche. Si può quindi affermare che la Cina è l’economia più keynesiana nello scacchiere internazionale. Gli Stati Uniti cresceranno nel 2013 del 2% e del 3% nel 2014. Dietro questi dati non c’è solo il gigantesco “allentamento monetario” prodotto dalla Fed, ma anche la politica economica di Obama, che, a vario titolo, è intervenuta direttamente a sostegno dell’economia. Anche negli Stati Uniti i debiti eccessivi creati al fine di affrontare la crisi sono un problema. Ma Obama sta cercando di coniugare “al meglio” rigore e crescita. In breve l’idea è che il risanamento deri-

confrontata alle passate recessioni. Il ritorno alla normalità, anche rimanendo nell’ambito di una valutazione congiunturale, cambiamenti epocali a parte che ci dicono che il rientro nella situazione pre-2007 è impossibile, non è dietro l’angolo. La “straordinarietà” della crisi vissuta e della attuale difficile ripresa è soprattutto segnalata dal dato occupazionale. Quest’ultimo è ovviamente il portato di una crisi che ormai ha superato i cinque anni. Dall’inizio della turbolenza finanziaria (2007) si sono persi 50 milioni di posti di lavoro (Rapporto Ilo, aprile 2012) per cui la disoccupazione mondiale ha raggiunto il record storico di 205 milioni. Il maggior incremento della disoccupazione ha riguardato i Paesi sviluppati. Secondo Christine Lagarde «con oltre 200 milioni di persone senza lavoro, la creazione di occupazione è la priorità». Ma, come visto, in Europa il pregiudizio liberista (ossia le politiche di austerità) funzionale all’interesse miope di singoli Stati (Germania in testa) impedisce interventi che mettano al centro tale obiettivo. C’è da chiedersi fino a che punto la coesione sociale e in definitiva la stabilità democratica dei Paesi europei potrà ancora essere messa alla prova! 

La distanza tra Cina, Usa ed Europa è direttamente proporzionale alle scelte di politica economica va dalla crescita, e non il contrario, come sostenuto dall’Europa. Quest’ultima, a causa della sua politica imperniata sul rigore dei bilanci, è invischiata in un pericoloso avvitamento austeritàrecessione. Come nel 2012, nel 2013 l’Eurozona chiuderà in recessione (-0,2%). La stessa Germania non andrà oltre il +0,6%. In Europa un po’ di ripresa si vedrà (forse!) nel 2014: un modesto +1%. Per quanto riguarda poi lo scenario complessivo, la crescita mondiale dovrebbe attestarsi attorno a un +3,5% nel 2013 e +4,1% nel 2014. Dunque l’economia mondiale dovrebbe essere, secondo la maggioranza delle previsioni, a una svolta se non nel 2013 di certo nel 2014. Ma su un fatto concordano tutti: la ripresa sarà assai lenta, soprattutto se

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| fotonotizie |

Moda, le vittime comprese nel prezzo

www.abitipuliti.org www.cleanclothes.org www.industriall-union.org action.goingtowork.org.uk/page/cont ent/bangladesh [Soccorritori al lavoro dopo il crollo del Rana Plaza, il 27 aprile scorso].

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REUTERS / STRINGER

Sono 1.700 i lavoratori tessili morti in Bangladesh a causa della scarsa sicurezza degli edifici dal 2005; solo il crollo del complesso di laboratori Rana Plaza del 24 aprile a Dhaka vale 1.127 vittime. Senza contare i feriti e le persone con danni permanenti, lo sfruttamento di migliaia di precari sottopagati, la negazione dei più elementari diritti sindacali. Tutto questo è “compreso nel prezzo” della moda spacciata dalle maggiori griffe internazionali, dai grandi rivenditori o dai semplici traders. L’immane tragedia di Rana Plaza ha però fatto “troppo rumore”, costringendo parte di “questa moda” a firmare un Accordo per la sicurezza e la prevenzione degli incendi in Bangladesh , che prevede ispezioni indipendenti, formazione dei lavoratori, informazione pubblica, revisioni strutturali degli edifici e, per i marchi internazionali, l’obbligo di far fronte ai costi e interrompere le relazioni commerciali con aziende che rifiutano di adeguarsi. Al 15 maggio 24 società avevano sottoscritto l’impegno (primi firmatari H&M, Inditex, PVH, Tchibo, Primark, Tesco ma poi Abercrombie & Fitch, Carrefour, Esprit e, alla fine, anche la nostra Benetton, sottoposta a pressione dalla Campagna Abiti Puliti). E se la mancata adesione dei principali rivenditori Usa, tra cui il colosso Wal-Mart Stores Inc (422 miliardi di dollari di fatturato nel 2011, 16 miliardi di utili, 2 milioni di dipendenti e numerosi fornitori dal Bangladesh) e poi Sears Holdings Corp., Gap Inc. e JC Penney Co tradisce forse sicumera rispetto a eventuali campagne di boicottaggio o cause risarcitorie, altri si espongono in direzione contraria: tramite un documento sottoscritto dai suoi membri, tra cui l’italiana Etica Sgr, la coalizione internazionale di investitori etici ICCR chiede alle società di aderire all’accordo su sicurezza e prevenzione, e di favorire l’attività sindacale, la trasparenza e il sostegno alle vittime. [C.F.]


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| fotonotizie |

Forum panafricano Pace in programma

www.guerrenelmondo.it www.unesco.org/new/en/africa/res ources/events/africa4peace/

[Un momento del Forum Panafricano del marzo scorso a Luanda, in Angola].

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© UNESCO/PAULINO DAMIÃO

Siate artefici di pace (Make the peace happen), facile no? Forse non proprio, ma in Angola almeno ci provano, avviando una massiccia campagna nata sotto l’ombrello di questo slogan e promossa dall’Unione africana nel 2010; condotta grazie a più di tremila giovani e sfruttando il potere di propagazione virale di cui la tecnologia – a basso costo – è oggi capace: sono 10 milioni i telefonini ad aver ricevuto sms di sensibilizzazione, per un battage che continuerà fino a fine anno integrando eventi culturali, musica, teatro, danza, letteratura e comunicazione tramite manifesti negli spazi pubblici, programmi televisivi e radiofonici, diffusione sui social network. Azioni concrete che l’Africa sta sviluppando per cambiare se stessa dall’interno: secondo il sito guerrenelmondo.it, infatti, nel continente divampano ancora conflitti in ben 24 Stati (Angola compreso), con 115 soggetti armati attivi coinvolti soprattutto in alcune zone “calde” (tra le altre, Darfur, Libia, Mali, Nigeria, Congo, Somalia). Per questo, pur con le contraddizioni che anche Valori ha spesso sollevato, la comunità internazionale promuove momenti strategici di pacificazione come il recente Forum Panafricano. Tenuto a Luanda, in Angola, e organizzato da UNESCO, Unione Africana e Governo locale, il forum è stato capace di riunire centinaia di delegati intorno ai temi chiave enunciati dal titolo Africa: Sources and Resources for a Culture of Peace (Africa: fonti e risorse per una cultura di pace). Ma, soprattutto, ha stilato un piano di azioni imperniate sul sostegno a cultura, educazione, scienza e tradizioni, esplicitando l’inevitabile connessione tra la volontà di ottenere la pace e quella di valorizzare il potenziale delle risorse culturali, naturali e umane del Continente. [C.F.]


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| fotonotizie |

«Stiamo invecchiando tanto e velocemente, siamo secondi solo alla Germania in Europa. Prevediamo per il 2050 un indice di vecchiaia del 253-254%, il che significa avere 5 over 65 anni per ogni giovane sotto i 14, tra meno di 40 anni, con conseguenze drammatiche per il welfare e per la spesa sanitaria. Se non si fa qualcosa prima». Gianluca Merchich, ricercatore di economia dell’Università di Milano-Bicocca, insieme a Mariangela Zenga ha condotto la ricerca L’incidenza delle cronicità nelle geriatrie italiane. Possibili risparmi per la spesa sanitaria. Lo studio evidenzia la necessità di una profonda innovazione nel trattamento dei pazienti più anziani: in Italia il 37,5% dei ricoveri prodotti dalle geriatrie è infatti relativo a patologie croniche. Ciò equivale a 540 mila giornate di degenza ordinaria per cui occorrono circa 1.480 posti letto e una spesa corrispondente di 137 milioni di euro l’anno (2011). I ricercatori dell’ateneo milanese, pur subordinando sempre ogni opzione economicista all’esigenza di cura, da un lato sottolineano la necessità di puntare su modelli di cura alternativi al ricovero, diffusi sul territorio e più vicini al domicilio del paziente (meno del 2% dei dimessi dai reparti di geriatria con patologie croniche accede all’ospedalizzazione domiciliare). Dall’altro ci danno una buona notizia: secondo Merchich l’Italia sarebbe un passo in avanti in Europa lungo questo processo utile di deospedalizzazione. A livello nazionale i cosiddetti ricoveri “a rischio di non appropriatezza” afferenti a patologie croniche (dell’apparato respiratorio o circolatorio, diabete, dislipidemie) sono passati dal 23,73% del 2009 al 18,67% del 2011. Tra le regioni spiccano tuttavia Puglia (29,46% di ricoveri “a rischio di non appropriatezza” nel 2011), Campania (25,52%) e Basilicata (25,06%), contro le più virtuose Friuli Venezia Giulia (11,11%), Abruzzo (11,94%) e Valle d’Aosta (12,09%). [C.F.] [Carloforte, Isola di San Pietro, Sardegna].

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YADID LEVY / ANZENBERGER / CONTRASTO

Povera vecchia Italia


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dossier

a cura di Andrea Barolini, Matteo Cavallito, Emanuele Isonio, Elisabetta Tramonto

Altro che denaro finto del Monopoli, le monete complementari sono verissime. Che vengano stampate delle banconote o che restino moneta elettronica, permettono di acquistare beni e servizi presso gli esercizi aderenti al circuito. E di ravvivare l’economia locale.

Bitcoin, cronaca di una bolla annunciata > 16 Una moneta per la comunità > 18 Il boom del Sardex, triplicato in un anno> 20 Il problema non è l’euro ma chi lo governa > 22 L’interventismo della Fed e l’immobilismo della Bce > 24


Monete su misura

???

MICHEL GAILLARD / REA / CONTRASTO

Scoppia la bolla Bitcoin. Nessuna rivoluzione, la valuta virtuale crea solo una maxi-speculazione Le vere monete complementari riflettono i legami economici e sociali di una comunitĂ


dossier

| monete su misura |

Bitcoin, cronaca di una bolla annunciata di Matteo Cavallito

U

È la parabola del Bitcoin, la grande rivoluzione tecno-anarchica poi tradottasi nell’ennesima bolla finanziaria che ne ha smascherato i limiti progettuali, a cominciare da quella opacità di fondo che troppo spesso accompagna le rivoluzioni della rete o presunte tali (per dirne una, chi gestisce WikiLeaks? Da dove? E con quali fondi?). Inventata nel 2009 su iniziativa di Satoshi Nakamoto, tuttora un illustre sconosciuto (presumibilmente uno pseudonimo), la più celebre e controversa valuta complementare del Pianeta può definirsi tecnicamente math based, ovvero basata sul calcolo. Per capirlo occorre guardare alla sua generazione: i Bitcoin sono come monete virtuali incastonate in una miniera. Per estrarli dalla roccia virtuale, gli utenti devono risolvere un complesso problema di calcolo che richiede l’impegno di un pool di utenti (un singolo computer non potrebbe raggiungere la potenza di calcolo necessaria), che hanno attivato un programma computazionale ad hoc. Tale processo, chiamato mining, porta alla soluzione di un problema di crittografia e alla conseguente erogazione da parte del sistema di un blocco di Bitcoin (espresso sottoforma di codici identificativi) che sarà diviso tra gli utenti che hanno risolto il calcolo. Il sistema di creazione infine è programmato per es| 16 | valori | ANNO 13 N. 110 | GIUGNO 2013 |

Nessuna banca centrale, nessun controllo. La valuta digitale per eccellenza dovrebbe rappresentare una rivoluzione di sistema. Ma intanto si è già tradotta in una maxi speculazione sere decrescente, tanto che nel 2040 i Bitcoin circolanti nel mercato raggiungeranno il picco massimo di 21 milioni (contro i 10 circa di oggi). Una volta accumulati, i soldi virtuali possono essere spesi per acquistare una pluralità di beni e servizi laddove la valuta è accettata, oppure scambiati da chiunque utilizzando apposite piattaforme co-

Speculatori in agguato Ricapitolando, all’inizio dell’anno il Bitcoin è scambiato a 13 dollari, ma il suo valore è in rialzo. Il 22 gennaio la mone-

LA BOLLA BITCOIN: GENNAIO - APRILE 2013 250 USD 200

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La matematica al potere

me Mt.Gox, tuttora la principale piazza di contrattazione, dove qualsiasi utente può vendere o comprare bitcoin pagandoli in dollari, euro, yen, sterline, ma anche in rubli o in zloty polacchi, avvalendosi dei servizi di una società di money transfer. Con tutto ciò che questo comporta. Lo scorso maggio il Department of Homeland Security degli Stati Uniti ha bloccato un canale di trasferimento fondi di Mt.Gox dopo aver scoperto che le società coinvolte non si erano registrate presso il Financial Crimes Enforcement Network del Dipartimento del Tesoro Usa, violando così la normativa antiriciclaggio. Domanda: come può un sistema basato sull’anonimato, la diffusione decentralizzata e l’assenza di controllo tenersi alla larga da una bolla speculativa? Risposta: non può. E infatti la previsione si è avverata.

FONTE: MT.GOX, IN BITCOIN CHARTS, HTTP://BITCOINCHARTS.COM, MAGGIO 2013

na vicenda incredibile, quasi fantascientifica. Ma anche una storia vera e clamorosamente istruttiva. O forse, più semplicemente, una storia già vista fatta di illusione e volatilità – la materia di cui sono fatte le bolle – ma consumatasi nello spazio di qualche settimana, qualche miliardo di click, qualche trilione di bit. Perché la moneta, si sa, è una cosa seria. Ma non tutte le monete sono serie allo stesso modo.


| dossier | monete su misura |

EWALLET, LA RISPOSTA DELLA MELA Il telefono come carta di credito. È l’idea (non originale) sviluppata dalla Apple e pronta a diventare realtà nel 2014. Il principio è quello del cosiddetto eWallet, il portafoglio elettronico, già introdotto, senza troppo successo (funziona negli Usa e solo su pochi telefoni compatibili), da Google nel 2011. Il sistema, che memorizza i dati delle carte di credito, di debito e dei buoni sconti accumulati, permette di operare attraverso una tecnologia denominata Near Field Communication (basta avvicinare lo smartphone a un sensore per avviare la transazione). La speranza della Apple è quella di arrivare laddove il gigante di Mountain View non ha saputo approdare, magari introducendo il sistema all’interno del prossimo iPhone. Le prospettive, in questo senso, non mancano se è vero, come nota Business Insider, che gli utenti Apple, stando a quanto dichiarato dalle società di e-commerce Fab e Rue La La, tendono a spendere di più degli omologhi Android. Una nuova droga del “consumismo”? Può darsi. Ad oggi, nota ancora B.I., gli acquisti via smartphone in Europa e Stati Uniti valgono 25 miliardi di dollari. Nel 2015 il giro d’affari dovrebbe salire a 65.

ta digitale supera quota 17 biglietti verdi, che diventano 20 a inizio febbraio, 33 circa a fine mese, 40 ai primi di marzo, oltre 70 tre settimane più tardi. L’accelerazione è evidente, ma il meglio deve ancora venire. Il primo aprile la moneta sfonda la soglia psicologica dei 100 dollari, il giorno dopo chiude le contrattazioni a 117 toccando quota 135 appena ventiquattro ore dopo. Ma il botto la valuta lo fa tra il 6 e il 9 aprile passando da 142 a 230 dollari nello spazio di quattro giorni. Poi, improvvisamente, il 10 aprile il tasso di cambio crolla a 165 raggiungendo, una settimana più tardi, il record negativo sotto quota 70. Le oscillazioni successive completano il quadro: la bolla si è gonfiata, è scoppiata, si è ricreata, si è sgonfiata un’altra volta (vedi GRAFICO ). Tutto in poche sedute virtuali, tutto come da pronostico. Il punto, ha scritto di recente Joe Wiesenthal, uno dei principali editorialisti di Business Insider, è che «una valuta a corso legale ha un valore intrinseco mentre il Bitcoin non ce l’ha». Qualcuno, e probabilmente è stata questa l’argomentazione principale dei Nakamoto boys, potrebbe obiettare, evocando la fine della convertibilità in

oro sancita nel 1971, che avrebbe trasformato le valute in pezzi di carta dotati di un valore basato esclusivamente sulla fiducia. Ma il problema, tuttavia, è che la fiducia non è solo un concetto virtuale. «La verità, per quanto noiosa, è che viviamo in un mondo fatto di leggi dove i governi hanno le loro armi e possono imprigionare chi non paga le tasse», ha precisato Wiesenthal. «Per questo il dollaro statunitense non è semplicemente importante perché la gente ritiene che lo sia, ma lo è perché gli Stati Uniti rappresentano l’entità più potente del mondo con la forza dell’esercito, del FBI, della CIA, della NSA e delle varie autorità locali “arma-

te” che vogliono essere pagate in dollari. Non è fiducia, è la legge. Sorry».

Illusione per molti, guadagno per pochi Non stupisce, dunque, che la scommessa di una valuta virtuale capace di mettere in discussione il monopolio delle banche centrali (il celebre “signoraggio” al centro di una miriade di mai dimostrate teorie del complotto) si sia tradotta, in definitiva, in un fenomeno poco rivoluzionario e molto convenzionale: l’arricchimento di pochi grandi speculatori. Lo scorso 2 aprile, riferiva Bloomberg, esistevano 250 portafogli virtuali contenenti Bitcoin per almeno 1 milione di dollari ciascuno. Ma le sigle anonime che li caratterizzavano (e che avevano fatto scattare l’allarme antiriciclaggio dei funzionari del Tesoro Usa) impedivano di svelare l’identità dei fortunati possessori, tanto più che nessun milionario pareva intenzionato a fare outing. L’eccezione veniva dai leggendari gemelli Cameron e Tyler Winklevoss, gli ex studenti di Harvard passati alla storia per aver intentato causa a Mark Zuckerberg contestandogli la paternità intellettuale originaria di Facebook (la vicenda si è conclusa con un risarcimento pari a 20 milioni di dollari e un pacchetto azionario che oggi ne vale 200). L’11 aprile, riferiva il New York Times, i due investitori dichiaravano un patrimonio in Bitcoin pari a 11 milioni di dollari, più o meno lo 0,8% del mercato mondiale della valuta (stimato allora in 1,3 miliardi). Il “denaro”, spiegava il quotidiano newyorchese, giaceva nei codici contenuti in alcuni preziosi hard disk conservati nelle cassette di sicurezza lontane dalla rete e dalla minaccia degli hacker. Nello stesso periodo 82 mila Bitcoin, equivalenti a circa 10 milioni di dollari, comparivano nel portafoglio degli investimenti della Exante, una società maltese cui faceva capo un fondo hedge fondato da tale Anatoli Knyazev. Se “ben gestiti” in un ambiente di forte volatilità, i portafogli possono garantire enormi profitti sui margini di prezzo. Più che di rivoluzione, sa tanto di emulazione.  | ANNO 13 N. 110 | GIUGNO 2013 | valori | 17 |


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Una moneta per la comunità di Elisabetta Tramonto

In Italia si moltiplicano gli esperimenti di monete complementari. Potrebbero essere uno strumento per rilanciare le economie locali, ma, se non tengono conto dei bisogni reali delle comunità, rischiano di replicare i problemi dell’euro rocederemo con lo studio di fattibilità di un sistema di moneta complementare, anche tramite il coinvolgimento dei principali stakeholder come banche, associazioni, istituzioni e camere di commercio». A pronunciare queste parole è stato l’attuale governatore della Regione Lombardia, Roberto Maroni, della Lega Nord, lo scorso aprile quando ha illustrato le linee guida del suo programma di governo. «In periodi congiunturali – ha continuato – caratterizzati dal credit crunch, come l’attuale, lo sviluppo di nuovi strumenti di pagamento può agevolare lo scambio di beni e servizi». E non è stato l’unico negli ultimi mesi a parlare di valute complementari nel nostro Paese, come risposta alla crisi. A Bergamo a gennaio è stato organizzato un confronto per proporre l’introduzione di una moneta da parte delle istituzioni pubbliche locali, «per uscire

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dalla crisi, rilanciare i consumi, allentare la morsa del credito e aumentare il potere di acquisto dei salari», si è detto. Tra gli organizzatori il vicepresidente della Regione, Andrea Gibelli, della Lega. Un’iniziativa a cui si aggiunge quella di un gruppo di imprenditori di Imola, coordinati da Unindustria Bologna (vedi BOX ), oltre che l’ormai affermato Sardex, in Sardegna (vedi ARTICOLO a pag. 20), rivolto sempre alle imprese. Ben diverso il caso degli Scec, che invece coinvolgono i singoli consumatori (vedi BOX nelle pagine seguenti).

Strumento anticrisi Succede da decenni: in corrispondenza di crisi economiche fioriscono le monete complementari. È accaduto dopo la crisi di Wall Street del ’29; nel 2001, dopo il default dell’Argentina; e sta accadendo oggi. In tutto il mondo esistono migliaia di monete complementari, non tutte tracciate. Quelle “costruite” bene resistono nel tempo, altrimenti scompaiono nell’arco di pochi mesi. Alcune comportano la creazione di vere e proprie banconote da spendere nel circuito di negozi aderenti (è il caso del Chiemgauer, in Baviera, che coinvolge oltre 500 mila persone; di Ithaca Hours, negli Usa, nato nel 1991 per tutelare i produttori locali contro lo strapotere del gigante della grande distribuzione Wal Mart; o anche dell’italiano Scec), ma più spesso si tratta di monete elettroniche e di metodi di compensazione di crediti e debiti tra imprese, come il longevo Wir svizzero (vedi BOX ).

Una moneta, tanto più se complementare, non ha un valore di per sé, ma solo per gli scambi che rende possibili all’interno di una comunità «Le monete complementari sono certamente uno strumento per contrastare la crisi: sono un tentativo di rispondere su base locale alle disfunzioni del sistema monetario di cui la crisi è la testimonianza evidente», spiega Luca Fantacci, docente dell’Università Bocconi di Milano, che da anni si occupa di questi temi. E continua: «Siamo finiti in questa crisi anche perché il sistema monetario non ha funzionato. I fiumi di denaro creati dalle banche centrali non hanno fatto il loro mestiere. Tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012 la Bce ha creato circa 1.000 miliardi di euro. Dove sono finiti? Si pensava potessero servire per ridare fiato agli scambi, favorire l’accesso al credito alle imprese, sostenere la domanda. Invece lo stesso Mario Draghi ha dovuto riconoscere che è stato un tentativo vano, l’economia non si è ripresa. È per rispondere a questa disfunzione che vale la pena, seppure su base locale, pensare a sistemi monetari che funzionano su principi diversi. Ma – precisa Fantacci – non significa che qualsiasi moneta locale risponda allo scopo. Possono anche essere animate da buone intenzioni, ma, se non strutturate correttamente, rischiano di replicare su base locale i difetti della moneta ufficiale».


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Una moneta fatta bene Perché dunque la creazione di una moneta parallela a quella ufficiale dovrebbe aiutare l’economia locale? E quali sono gli ingredienti perché sia efficace? «Innanzitutto, lo dice la parola stessa, deve essere “complementare”, e quindi non proporsi di sostituire la moneta ufficiale. La maggioranza degli scambi economici dovranno continuare a essere regolati, per esempio, in euro, la moneta locale dovrà occupare una percentuale tra il 20 e il 25% del giro d’affari», spiega Luca Fantacci. «Secondo, deve essere creata in una quantità commisurata agli scambi di beni e servizi che devono essere alimentati da questa moneta. Se all’atto dell’emissione non ho alcun riguardo al fatto che ci possa essere qualcosa da comprare, avrò creato reddito, ma quando andrò a spenderlo non avrò nulla da comprare. Così si crea inflazione». Il modello di riferimento proposto dal professore della Bocconi è quello del Wir «e in generale – spiega Fantacci – dei sistemi di compensazione, in cui la moneta non è neanche qualcosa di fisicamente tangibile, ma è una pura unità di conto, qualcosa che serve all’interno della comunità di scambio per denominare debiti e crediti. A noi colleghi che ci occupiamo di questi temi piace chiamarla “moneta cooperativa”. A questa corrisponde un credito da vantare all’interno di una comunità, che però non dà diritto a denaro. Io, impresa, ho un credito perché ti ho venduto un bene o un servizio e potrò spenderlo per acquistare da te beni e servizi».

Una cambiale sociale Ed ecco il terzo ingrediente: la comunità e l’integrazione tra i suoi membri. «Le monete complementari – spiega Fantacci – devono essere applicate all’interno di un perimetro circoscritto, che però non ha necessariamente a che fare con una certa taglia geografica, bensì con i legami tra i soggetti coinvolti. La Bartercard (bartercard.com), ad esempio, è un circuito di moneta elettronica, inventato in Australia, ma diffuso in una dozzina di Paesi, rivolto a piccole e medie imprese fortemente internazionalizzate che possono pagarsi a vicenda con questo meccanismo. Ovunque esse siano. Tuttavia

Era il 2006 quando Valori ha dedicato per la prima volta un dossier alle monete complemtari, per poi tornare sul tema nel 2009.

la maggioranza delle monete complementari circola in un territorio circoscritto perché spesso le organizzazioni hanno più interazioni se fisicamente vicine. Dove si verificano scambi più intensi, dove c’è coesione economica, esigenze simili, lì ha senso introdurre monete regionali o locali». I vantaggi per chi partecipa al circuito delle monete complementari sono diversi: «Innanzitutto, se strutturate rispettando i requisiti elencati, dovrebbero aumentare gli scambi, alimentare la domanda. In secondo luogo le imprese che aderiscono beneficiano di credito a costi bassissimi, in moneta complementare, quando invece nel sistema tradizionale non avrebbero accesso al credito oppure lo avrebbero solo a tassi di interesse altissimi». Ma, perché il sistema delle monete complementari non si trasformi in una

Luca Fantacci, docente dell’Università Bocconi di Milano

bolla, l’adesione delle imprese deve essere regolata da una selezione sulla base del merito creditizio. «L’organismo che regola l’emissione della moneta complementare tiene conto del fatturato, dello stato di salute e del grado di integrazione sul territorio dell’azienda e, sulla base di questi parametri, assegna un plafond. Quello che viene valutato dovrebbe essere il contributo reale che l’impresa può dare alla comunità». E i consumatori, come possono aver accesso alle monete complementari? «In un sistema strutturato in modo corretto i singoli non possono “acquistare” moneta locale, nè tantomeno riceverla a titolo gratuito, ma solo guadagnarla come parte dello stipendio. Per poi spenderla negli esercizi aderenti o, in alcuni casi, addirittura usarla per pagare le imposte locali». 

DUE ITALIANI AL LAVORO PER UNA MONETA FRANCESE Si chiamerà SoNantes la moneta complementare che a breve sarà lanciata a Nantes, in Francia. Un nome scelto in modo partecipato, tra 771 proposte dei visitatori del sito internet. Un progetto nato nel 2011 sulla spinta di Jean Marc Ayrault, sindaco socialista della città dal 1989 al 2012, quando François Hollande lo nominò primo ministro. Al lavoro da due anni sul progetto due italiani, docenti dell’Università Bocconi: Luca Fantacci (intervistato nell’articolo in queste pagine) e Massimo Amato. Il circuito SoNantes coinvolgerà imprese, consumatori e, questo è l’aspetto più interessante, l’amministrazione pubblica locale: la municipalità di Nantes. Sarà di fatto una camera di compensazione dove, in moneta complementare, le imprese potranno scambiarsi crediti e debiti, i lavoratori riceveranno una parte dei salari e potranno anche essere pagate parzialmente le imposte. E saranno coinvolte anche le organizzazioni del terzo settore, che riceveranno una porzione di monete complementari non usate durante l’anno. «Un modo per favorire la circolazione del denaro – spiega Luca Fantacci – e fare delle organizzazioni non profit un sostegno alla domanda». www.unemonnaiepournantes.fr

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Il boom del Sardex, triplicato in un anno di Emanuele Isonio

Il circuito di imprese, nato nel 2010, conta oggi mille realtà aderenti. La giunta regionale sta pensando di usarlo per erogare un reddito di cittadinanza ai giovani disoccupati Almeno a giudicare dai tassi di crescita del Sardex, ne deve essere passata di acqua sotto i ponti da quando, nel Seicento, l’ambasciatore spagnolo definì i sardi pocos, locos y mal unidos. L’idea di creare una moneta complementare in Sardegna è venuta nel 2007 a tre ragazzi, tutti giovanissimi (tra 24 e 28 anni), amici fin dai tempi delle elementari. Ad accomunarli la previsione (lungimirante e rilevatasi tristemente corretta) che l’inizio della crisi finanziaria e bancaria in Usa si sarebbe trasformata rapidamente in crisi del credito. «E in Sardegna già partiamo da una situazione svantaggiata», racconta Carlo Mancosu, uno dei fondatori di Sardex. Da quella consapevolezza è nato il progetto di creare un modo per le imprese di finanziarsi tra loro a tasso zero attraverso un’unità di conto che ricalcasse l’esperienza dello WIR svizzero (vedi BOX ): le aziende del circuito accettano di ricevere una quota di crediti Sardex quando forniscono beni e servizi ad altre

realtà aderenti. A loro volta potranno usare tali crediti per rifornirsi quando saranno loro ad averne bisogno. Rischio condiviso In pochi anni, il sistema è cresciuto in maniera esponenziale (vedi GRAFICI ). Dalle 200 aziende di fine 2010 il circuito oggi conta mille realtà (con un tasso di abbandono inferiore al 7%). Il numero di operazioni è passato da 420 a oltre 4.400, per il 2013 si prevede che balzino a 22 mila e che gli importi transati tocchino quota 12,4 milioni di euro (+300% rispetto all’anno scorso). E ora l’esperienza del Sardex sta figliando altrove. In Sicilia e Piemonte sono già partiti i circuiti Sicanex.net e Piemex.net. Seguiti fra poco da Marche, Abruzzo, Liguria e Sannio (Molise, Benevento e Avellino). «Il nostro sistema permette di evitare che l’eventuale fallimento di un’azienda abbia un effetto a catena sull’intero sistema produttivo», spiega Mancosu. «Nel mercato tradizionale, se un’azienda acquista una fornitura da un’altra ditta, ma poi fallisce, mette in difficoltà l’azienda creditrice che, a sua volta, potrebbe non avere i soldi per pagare i propri fornitori. Nel circuito Sardex, il rischio è pienamente condiviso tra tutte le realtà aderenti e il suo impatto è quindi ammortizzato».

ARCIPELAGO SCEC. L’ESPERIMENTO METTE RADICI L’avevamo presentato ormai tre anni fa (nel numero di giugno 2009 di Valori) come un esperimento di moneta complementare che, per evitare di essere uno strumento meramente locale, è stato concepito come una rete di cittadini, imprese e professionisti. Tecnicamente lo Scec è una riduzione volontaria di prezzo a chi aderisce al circuito. In pratica, il cittadino che si iscrive attraverso il sito scecservice.org riceve gratuitamente 100 Scec (equivalenti a 100 euro) da usare negli esercizi convenzionati, per pagare una parte del prezzo del prodotto (tra il 10 e il 30%). A loro volta gli esercenti possono usare i buoni per pagare fornitori e produttori, garantendo così la circolazione delle banconote. «Una rete nazionale permette ai produttori locali di smaltire altrove le eccedenze produttive di un’area e di diffondere le eccellenze e i prodotti di qualità», spiegava Pierluigi Paoletti, all’epoca presidente nazionale di Arcipelago Scec. A distanza di quasi quattro anni la scommessa è sulla buona strada per essere vinta: i soci sono passati da 3 a 20 mila, con 3 mila società che accettano gli Scec distribuiti in 13 regioni. Finora sono state sviluppate transazioni per 3 milioni di Scec. «Tale cifra – spiega il neopresidente Luca Vannetiello –

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ha prodotto un giro d’affari di 12 milioni di euro, visto che il tasso di accettazione media nei negozi convenzionati è del 20%». Il sogno (possibile) per il futuro è arrivare a poter distribuire 100 Scec al mese per ogni iscritto: «In alcuni circuiti locali più avanzati ci sono già distribuzioni ulteriori rispetto a quella d’ingresso», rivela Vannetiello. «Con il contributo degli enti locali potrebbe diventare presto realtà». Per ora hanno risposto all’appello il IV Municipio di Roma (con il quale c’è in piedi una collaborazione per fornire di banda larga il quartiere periferico di Cinquina), i Comuni di Oriolo Romano (dell’associazione Comuni Virtuosi) e di Parma che sta pensando di permettere l’uso degli Scec per pagare parte dei tributi locali.


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TOTALE TRANSATO 2010-2013 16.000.000

PREVISIONE

12.482.400,00 12.000.000 8.000.000 4.000.000

318.820

1.147.500

2010

2011

3.966.553,92

3.912.640,25

2012

2013

0

In più, visti i risultati ottenuti finora, il sistema si sta aprendo anche ai privati. Per fronteggiare la crisi economica e ridurre il rischio di dover licenziare, alcune aziende hanno proposto ai propri dipendenti dei contratti di solidarietà. In pratica, una percentuale del loro stipendio viene pagata in Sardex. Così il potere d’acquisto delle famiglie è garantito e le aziende non hanno bisogno di licenziare. Ma l’aspetto più interessante, secondo i promotori, esula dall’aspetto economico e occupazionale: «I vantaggi relazionali sono forse la parte più bella della nostra storia», osserva Mancosu. «Al denaro si associano spesso i peggiori istinti umani. E invece con il Sardex è maturato il senso di comunità e la convinzione che insieme si possano superare prima e meglio le sfide imposte dalla crisi economica».

Dalle imprese ai privati Una convinzione che sta facendo breccia anche nel governo regionale. Il presidente della Sardegna, Ugo Cappellacci, ha infatti proposto di adottare il Sardex per istituire un reddito di comunità da versare ai disoccupati sardi. L’idea è di versare 500 Sardex (equivalenti a 500 euro) mensili a diecimila giovani inoccupati tra 25 e 35 anni, che dovranno mettere a disposizione della comunità ore di servizi. «Per controbilanciare l’aumentata quantità di crediti Sardex immessi nel circuito dai nuovi beneficiari – ha spiegato Cappellacci – la Regione creerà un Fondo di garanzia, pari a 20 milioni l’anno, da utilizzare per l’acquisto, in euro e con normali procedure di gara pubblica, di beni e servizi da rivendere in Sardex all’interno del circuito».

IN SVIZZERA UNA MONETA QUASI OTTANTENNE Si chiama Wir (in tedesco “noi”) e l’anno prossimo compirà 80 anni. È una moneta complementare creata in Svizzera nel 1934 da 16 imprenditori di Zurigo per salvare le loro aziende dalla crisi economica. Oggi sono oltre 60 mila le piccole imprese nel Paese che si scambiano beni e servizi in Wir. Come spiegato da Luca Fantacci (nell’ ARTICOLO a pag. 18), per entrare nel circuito, vengono valutate in base al loro merito creditizio, che permette di assegnare un plafond in moneta complementare corrispondente al loro stato di salute. Non esistono banconote, solo moneta elettronica. Si tratta di una camera di compensazione tra

imprese: se un’azienda vende a un’altra qualcosa, avrà un credito e la seconda un debito. Chi ha un credito può comprare da un qualsiasi socio, direttamente e senza intermediari. Chi ha debiti potrà compensarli vendendo beni o servizi. La moneta è emessa da una banca, la Wir bank, che può anche concedere prestiti ipotecari, a un tasso fisso dell’1,5%. Dagli anni ’30 il Wir circola in Svizzera, in parallelo al franco. Diversi studi universitari hanno dimostrato la natura anti-ciclica di questa moneta complementare: con la crisi la circolazione del franco svizzero è rallentata, quella del Wir è aumentata. www.wir.ch/it

A IMOLA GLI IMPRENDITORI SI ISPIRANO A KEYNES A Imola l’idea di una moneta complementare è venuta a un gruppo di imprenditori, guidati da Leandro Pallozzi, direttore finanziario della Bergami Fratelli, storica azienda di carpenteria: «Pensiamo di creare un sistema di crediti tra imprese che permetta di ridurre l’indebitamento bancario e tuteli il tessuto produttivo del territorio», spiega. Un esperimento che riprende la proposta di International Clearing Union fatta da Keynes nel 1943. «Invece di una valuta per gli scambi tra Stati, noi vorremmo applicarla alle imprese». Verrà creato un istituto per valutare le aziende e decidere l’ammontare del fido da concedere gratuitamente a ciascuna,

in funzione delle potenzialità e della propensione di spesa nel circuito. Entusiastica l’adesione: «In un mese ho coinvolto 33 imprese e puntiamo a cento entro l’anno per partire ufficialmente a inizio 2014». Le aziende aderenti non hanno ostacoli all’accesso al credito: «A spingerle – rivela Pallozzi – è la comune preoccupazione di salvaguardare il tessuto industriale locale». «Quest’area è caratterizzata da un forte senso cooperativo e da imprese interconnesse», ammette Federica Pirani, responsabile della delegazione locale di Unindustria Bologna, che sta collaborando per estendere l’iniziativa a tutte le imprese aderenti.

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Il problema non è l’euro, ma chi lo governa di Andrea Barolini

Additato come “il male assoluto”, un danno per molti Paesi europei, in realtà l’euro è tutt’altro: un elemento di stabilità e una difesa dalla speculazione. Ma non si possono negare problemi nella gestione della valuta unica ono passati oltre vent’anni da quando i Paesi membri dell’Unione europea (allora ancora Comunità) decisero di adottare una valuta unica. E oltre dieci da quando monete e banconote sono in circolazione. Nonostante le difficoltà iniziali, nonostante l’opting-out “eccellente” di alcuni Paesi (Regno Unito e Danimarca, seguiti poi dalla Svezia, decisero di non aderire) e, soprattutto, nonostante la crisi che si sta abbattendo ormai da anni sull’Eurozona, la moneta unica europea è ancora considerata da una larga maggioranza di economisti tutt’altro che un problema. Al contrario, essa costituisce un elemento di stabilizzazione e un bastione difensivo contro le speculazioni (ebbene sì, proprio contro gli speculatori, benché negli ultimi anni essi abbiano scelto i debiti delle economie “periferiche” dell’Ue come proprio bersaglio privilegiato). Di più: per alcuni Paesi, l’ingresso nella valuta comunitaria è stato perfino salvifico.

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Da luoghi comuni a credenze popolari Una delle ragioni che spingono gli esperti a difendere l’euro è legata a quella che può essere considerata una delle più diffuse e tenaci credenze popolari, ovvero l’idea che la moneta unica sia responsabile di una forte inflazione nei prezzi al consumo. Già nel 2006 Eurobarometro segnalava un dato davvero sorprendente: ben il 93% dei cittadini europei si diceva convinto della spinta al rialzo provocata | 22 | valori | ANNO 13 N. 110 | GIUGNO 2013 |

Il vero problema: all’unione monetaria non è seguita un’unione economica reale. Oltre a politiche inadeguate dall’euro. In Italia, poi, il rapporto di conversione con la lira, fissato a 1.936,27, ha portato molti cittadini a raddoppiare, per comodità di calcolo, il costo di ciascun prodotto. Così 50 euro sono stati “letti” a lungo come 100 mila lire. Numerosi esercenti, inoltre, hanno approfittato del passaggio per “arrotondare” in eccesso i prezzi. Di qui la sensazione di una “inflazione percepita” particolarmente alta. Eppure basta un breve ripasso di storia economica degli ultimi decenni per rendersi conto di come la stabilità dei prezzi recente sia quasi senza precedenti, soprattutto per un Paese come l’Italia. Un’analisi di Uri Dadush pubblicata su L’Espresso un anno e mezzo fa ricorda che, negli anni Settanta e Ottanta, l’inflazione in Italia superava in media il 13% all’anno. Un valore sceso progressivamente, a mano a mano che ci si avvicinava all’Unione economica e monetaria (Uem), attestandosi dapprima intorno al 5% (negli anni Novanta), quindi al 2-3% in tempi più recenti. E non è tutto: la mancanza di svalutazioni (strumento utilizzato non di rado ai tempi della lira) ha scongiurato a sua volta ulteriori spinte inflazionistiche. Tra i principali successi dell’euro, dunque, possiamo annoverare senz’altro proprio la stabilità dei

prezzi. Casomai è il livello dei salari che è rimasto stagnante, il che apre le porte ad analisi molto più vaste.

I meriti della moneta unica Un secondo importante obiettivo raggiunto dall’Uem è stato quello di far scomparire le crisi dei cambi a ripetizione che si manifestavano tra le valute europee. All’inizio degli anni Novanta, ogni volta che il dollaro si indeboliva, gli investitori si gettavano a piene mani sul marco, che conseguentemente cresceva sensibilmente. A tutto svantaggio delle altre monete del Vecchio Continente, che vedevano salire i tassi di interesse e incontravano difficoltà crescenti sul fronte delle importazioni. Basti pensare che, in un Paese “forte” come la Francia, tra il 1990 e il 1993 i tassi di interesse a breve termine fissati dalla banca centrale erano costantemente attorno al 10% (con picchi ancor più alti legati proprio alle crisi dei cambi). Mentre in Italia i Bot decennali erano mediamente sul 4,5% prima dell’euro; fino alla crisi del 2008, invece, erano scesi a poco più del 2%. E, anche grazie a tale contenimento, il debito pubblico era passato dal 122%, in rapporto al Pil, del 1994, al 104% del 2007 (anno prima della crisi).

Problemi di governance Certo, non si può negare che l’euro abbia portato con sé anche alcuni problemi. Il commercio con l’estero, ad esempio, brillava maggiormente prima della sua intro-


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duzione: l’Italia poteva contare su un deciso attivo sulla bilancia dei pagamenti. Ma le lacune più gravi sono quelle che si sono manifestate con tutta la loro forza negli ultimi anni, con la crisi internazionale. Ci si aspettava, infatti, che la crescita economica potesse ricevere benefici decisamente più forti dalla moneta unica. I dati, che già non brillavano negli anni Novanta, non hanno invece subito alcuna “impennata” prima della crisi. E negli ultimi anni l’euro ha potuto solo parzialmente arginare una fase di generalizzata e pesantissima recessione (che comunque, con la lira, sarebbe stata senz’altro ancora peggiore). Una delle ragioni è legata al fatto che l’impatto del calo dei tassi imposto dalla Bce nel tentativo di rivitalizzare le economie non si è riverberato in modo omogeneo nell’Ue: le grandi differenze esistenti tra i sedici Paesi che adottano l’euro hanno fatto sì che la “cinghia di trasmissione” della po-

litica monetaria sia stata ben diversa da regione a regione. In molti hanno indicato nel mandato dell’Eurotower la maggior parte dei problemi. È vero, infatti, che la banca di Francoforte non può costituire un prestatore di ultima istanza per gli Stati (ruolo che rivestono invece tutte le altre banche centrali, dalla Fed a Bank of England). L’architettura dell’Uem, inoltre, prevede di fatto un’ampia fiducia nei mercati e nella loro capacità di regolarsi e di “dettare la linea”. Basti pensare che sul fronte dei cambi l’articolo 111 del Trattato di Maastricht dispone che il Consiglio dei ministri Ue formuli solamente “orientamenti generali”. E successivamente si è aggiunto che il ricorso a tale norma avrebbe dovuto essere limitato a “circostanze eccezionali”.

Una moneta senza uno Stato Ciò che manca, dunque, è principalmente la politica. L’Unione monetaria non è sta-

ta seguita, infatti, né da un’Unione economica reale, né tantomeno da un’Unione politica. Gli strumenti a disposizione sono dunque limitati e spesso inadeguati. La stessa cieca adesione ai dogmi dell’austerity, come unica ricetta anti-crisi, è figlia di tali costrizioni: la politica monetaria ha di fatto come unico obiettivo la lotta all’inflazione (ad ogni costo, anche se ciò vuol dire affossare le economie e allontanare inesorabilmente la ripresa). Come se non bastasse, poi, i decisionmaker europei hanno imposto il pareggio di bilancio agli Stati europei: un vero e proprio “cappio” intorno al collo di chi vorrebbe immaginare un cambiamento di rotta. Si impone infatti agli Stati di ridurre le loro spese in fase di rallentamento, restringendo così ancor di più il margine di manovra dei governi nazionali. Un’ulteriore conferma del fatto che non è l’euro il problema, bensì il pensiero unico che lo governa. 

«Uscire dall’euro? Impossibile con un referendum» di Andrea Barolini

Una consultazione sulla moneta unica non sarebbe ammissibile per la Costituzione. E, in ogni caso, l’uscita dall’Unione economica e monetaria (Uem) dell’Italia potrebbe portare alla disgregazione dell’Ue. È quanto sostiene Maria Romana Allegri, docente di Diritto pubblico e dell’Unione europea all’Università La Sapienza di Roma. Negli ultimi anni si sono ripetute richieste di referendum per uscire dall’euro. La Costituzione cosa dice in proposito? Le norme relative all’Uem erano previste dal Trattato di Maastricht e oggi sono contenute nei trattati approvati a Lisbona nel 2007. Aderendovi, l’Italia ha accettato di limitare la propria sovranità in favore dell’Unione europea. L’art. 75 della Costituzione, in ogni caso, non consente di abrogare tramite referendum le leggi di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali né – così ha precisato la Corte costituzionale – l’ordine di esecuzione degli stessi. Di conseguenza, un referendum abrogativo di questo genere non sarebbe ammissibile. E neppure il ricorso a un referendum consultivo – che non avrebbe comunque alcun valore vincolante – è previsto dalla Costituzione: servirebbe una legge costituzionale ad hoc, che dovrebbe essere approvata appositamente con

la procedura aggravata prevista dall’art. 138, come già accadde una volta nel 1989. Quale sarebbe perciò l’iter che occorrerebbe seguire per abbandonare la moneta unica? Tecnicamente non è possibile, poiché i Trattati europei non prevedono procedure a ciò finalizzate. Occorrerebbe quindi modificarli, o adottare un apposito protocollo per concedere a un Paese membro una deroga rispetto all’euro. Per questo però è necessaria una decisione unanime del Consiglio europeo, previa consultazione del Parlamento europeo, della Commissione e della Bce. Una soluzione evidentemente non semplice. Nell’ottica del processo di integrazione europea, l’uscita di un Paese come l’Italia dall’Uem che cosa comporterebbe? Le conseguenze sono difficilmente prevedibili. Sul piano politico, si avvierebbe verosimilmente un processo di disgregazione dell’Ue, poiché altri Stati membri seguirebbero probabilmente l’esempio italiano rispetto all’Uem o ad altre politiche europee considerate sgradite. Sul piano economico, si andrebbe incontro a un indebolimento dell’euro sui mercati valutari e a un aumento dell’instabilità economica nell’Eurozona. Tutte cose che nessuno si augura.

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L’interventismo della Fed e l’immobilismo della Bce di Andrea Barolini

Il cieco rigore della Bce si sta dimostrando non solo inefficace, ma anche dannoso. All’opposto la politica della Fed, decisa ad aiutare la crescita con una politica monetaria molto generosa a gestione della crisi da parte delle autorità comunitarie è stata senz’altro poco efficace, ancorata alla rigida teoria del rigore. Le scelte assunte a Bruxelles, infatti, sono figlie prima di tutto di una palpabile mancanza di dibattito all’interno delle istituzioni comunitarie: esiste un pensiero unico nell’ambito economico che non riesce a essere scalfito neppure dagli appelli di esperti di fama internazionale come Joseph Stiglitz e Paul Krugman. Un monolitismo che non risparmia le politiche monetarie. Quelle scelte cioè che, soprattutto in tempo di crisi, possono essere determinanti.

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Ciò che colpisce, non è soltanto la pervicacia dei “decisori” comunitari: è anche il loro progressivo isolamento. Le voci scettiche se non del tutto contrarie all’austerity, infatti, si stanno moltiplicando. E cominciano a provenire anche da pulpiti “istituzionali”. Olivier Blanchard, capo economista del Fondo monetario internazionale, qualche mese fa ha parlato ad esempio di «considerevole impatto sulla crescita» dei piani di riduzione dei deficit pubblici messi in opera in Europa, ammettendo di aver «sottostimato gli effetti del rigore».

Fed contro il rigore eccessivo Non è un caso se altri Paesi sembrano ben più “decisi” ad aiutare la crescita rispetto all’Ue. Di recente, la banca centrale degli Stati Uniti ha deciso ad esempio di mantenere invariata la sua politica di sostegno eccezionale all’economia americana. Fin qui nessuna sorpresa: la scelta della Federal Reserve era ampiamente

QUANTITATIVE EASING IN GIAPPONE 180 Base monetaria 170

Indice dei prezzi al consumo di cibo/energia

160 150 140 130 120 110 100

FONTE: THE NEW YORK TIMES - HTTP://KRUGMAN.BLOGS.NYTIMES.COM/2013/04/11/MONETARY-POLICY-IN-A-LIQUIDITY-TRAP

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90

prevista dagli analisti (anzi, secondo quanto scritto da Krugman sul New York Times, gli sforzi potrebbero essere perfino insufficienti: «Gli Usa sono in una “trappola monetaria”: anche le politiche super-espansive potrebbero non bastare»). Ciò che ha lasciato invece più stupiti è la decisione della Fed di puntare con chiarezza il dito contro il rigore eccessivo: «La politica di bilancio frena la crescita economica», ha dichiarato senza mezzi termini il Comitato di politica monetaria (che in questo senso sembra abbia ascoltato Krugman). Una presa di posizione che, se raffrontata con la situazione in cui versano i Paesi dell’Unione europea, non può che fare riflettere. Se è vero, infatti, che all’inizio dello scorso mese di marzo sono stati applicati tagli automatici di bilancio negli Usa (manovre che, secondo le stime, potrebbero portare a una contrazione del Prodotto interno lordo dello 0,5-0,6%), resta il fatto che la quantità di austerity introdotta nella prima economia del mondo non è neppure paragonabile a quella che è stata adottata in Europa. Un rigore “estremo” che non è stato di certo contrastato dalla Bce: al contrario, l’Eurotower, insieme alla Commissione di Bruxelles e al Fondo monetario internazionale (componendo la famosa “troika”) ha imposto la propria scure anche di fronte ai casi socialmente più gravi e drammatici, a cominciare dalla Grecia. Il taglio dei tassi di un quarto di punto deciso all’inizio di maggio assomiglia, in questo senso, a una goccia in mezzo al mare. La Federal Reserve, invece, non si è limitata a riconoscere che la crescita dell’economia americana è ancora contrastata,


| dossier | monete su misura |

Gli Usa sono in una trappola monetaria: anche le politiche superespansive della Federal Reserve potrebbero non bastare ad uscire dalla crisi e che la disoccupazione – nonostante i miglioramenti “degli ultimi mesi” – resta ancora “elevata” (il tasso a marzo era al 7,6%): ha reiterato il proprio impegno a mantenere i tassi nella forchetta tra lo 0 e lo 0,25% (invariata dal dicembre del 2008!), dichiarando di volerlo fare per lo meno finché la quota dei senza-lavoro non scenderà sotto al 6,5%. E finché la spinta inflazionistica derivante dal quantitative easing non porti la corsa dei prezzi sopra al 2% annuo (circostanza che, tra l’altro, Krugman esclude, portando ad esempio le politiche monetarie del Giappone, che non hanno comportato effetti concreti sui prezzi al consumo, vedi GRAFICO ). Ma non è tutto: la banca centrale degli Usa, proprio in ragione delle preoccupazioni legate ai tagli di bilancio, ha deciso di confermare anche le ingenti iniezioni di liquidità nel circuito finanziario, che proseguono ormai da tempo al ritmo di 85 miliardi di dollari netti al mese. Ciò in particolare grazie all’acquisto massiccio di buoni del Tesoro: operazioni che valgono circa 45 miliardi di dollari ogni mese. La Fed, inoltre, ha dichiarato di essere pronta a incrementare il piano anti-crisi, aumentando l’acquisto di titoli di Stato in ragione dell’evoluzione degli indicatori macroeconomici. «È evidente che la banca centrale ha voluto mettere le cose in chiaro, affermando che non è previsto a breve termine un cambiamento nella sua politica monetaria aggressiva», ha osservato all’agenzia AFP l’analista Joel Naroff, della società di consulenza Naroff Economics. Secondo Mei Li, esperta di FTN Financial, la dichiarazione della Fed potrebbe preludere perfino a «un’accelerazione della sua azione». «La banca centrale si è detta pronta a fare di più se l’economia ne avrà bisogno», ha confermato un altro analista. E se è vero che l’economia americana ha bisogno di sostegno, quella europea avrebbe bisogno di un vero e proprio shock. 

La sede della Federal Reserve a Washington

LA CINA SCEGLIE IL DOLLARO (E SCARTA EURO E YEN) Un elemento sempre più “ingombrante” negli equilibri politico-monetari internazionali è rappresentato dalla Cina. Da anni, infatti, il flusso di capitali esteri in ingresso nella seconda economia del mondo, generato dall’enorme mole di esportazioni, ha contribuito a far accumulare enormi quantità di denaro (ricchezza gestita, in gran parte, attraverso il fondo sovrano CIC). Di tale gigantesca liquidità, una quota per nulla indifferente è stata utilizzata per acquistare debito dei Paesi esteri. Stati Uniti in testa. Così, nel primo trimestre di quest’anno gli investitori internazionali hanno acquistato titoli di Stato americani per tremila miliardi di dollari (il record dal 2009). Abbandonando invece euro e yen, il primo ancora in crisi, il secondo svalutato dal nuovo premier conservatore, Shinzo Abe. E secondo un’analisi pubblicata da Bloomberg all’inizio di aprile, proprio la Cina costituisce il maggior compratore (con un’accelerazione significativa proprio negli ultimi mesi). Per l’amministrazione di Obama, va detto, non si tratta di una cattiva notizia: il primo obiettivo della Casa Bianca, oggi, è di riuscire a finanziare il bilancio pubblico per evitare di dover ricorrere alla scure sociale più di quanto non sia già stato fatto in questi anni. Ed evitando gli effetti recessivi che un’ondata di rigore genererebbe sull’economia reale. È evidente, però, che l’acquisto massiccio di debito Usa da parte di Pechino “costringe” Obama a un rapporto (politico, commerciale ed economico) privilegiato con la Cina. Cosa succederebbe, infatti, se il governo asiatico decidesse di smettere di acquistare titoli di Stato americani? Gli Usa probabilmente faticherebbero a piazzare sul mercato il proprio debito, e dovrebbero alzare i rendimenti per renderlo maggiormente appetibile agli occhi degli investitori. Indebitandosi così ancor di più sul medio e lungo periodo. Considerando ciò, forse appare chiaro il motivo per cui, da qualche mese a questa parte, Washington sembra puntare il dito con meno insistenza sulla questione della “guerra monetaria”, ovvero della svalutazione artefatta dello yuan operata dalla Cina per sostenere le proprie esportazioni.

| ANNO 13 N. 110 | GIUGNO 2013 | valori | 25 |



| valorifiscali |

L’agenda del governo

A (s)proposito di fisco a costituzione del Governo Letta ha portato con sé un’ulteriore enfatizzazione delle questioni fiscali, già al centro del dibattito durante la campagna elettorale. Non è certo una novità. Da anni, ormai, discutere di politiche economiche sembra voler significare occuparsi quasi esclusivamente di fisco. Si tratta di un colossale “errore” di prospettiva. Il nostro Paese

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di Alessandro Santoro

soffre di enormi handicap: la specializzazione produttiva sbilanciata nei settori a bassa innovazione, la bassa produttività, modelli di governance antiquati, scarsi investimenti in capitale umano e, last but not least, una distribuzione del reddito sempre più sperequata. Il fisco non può fare quasi nulla per contribuire ad affrontare la maggior parte di questi problemi e può dare un contributo minimo a incrementare l’efficienza e l’equità del nostro sistema economico. Diciamo minimo, perché, dato che il nostro sistema fiscale è ormai maturo e ha una struttura di fondo del tutto simile a quella della maggior parte dei sistemi fiscali, gli accorgimenti possibili sono solo marginali. Appare quindi paradossale e, appunto, erroneo continuare a spendere migliaia di parole sulla riforma dell’Imu piuttosto che su un punto in più o in meno di Iva. Ma si tratta di un “errore” probabilmente voluto: i temi economici di fondo e strutturali sono ben più complessi, si prestano molto meno del fisco a facili slogan e quindi fanno calare subitamente l’audience dei programmi televisivi. Occorre, quindi, provare a ristabilire qualche verità oggettiva. La prima è che l’odiata Imu, come più volte argomentato su queste pagine, non è altro

lare di abrogazione della tassa sulla prima casa, come se si trattasse di uno scandalo, appare veramente fuori dal mondo. L’aumento dell’Iva andrebbe evitato, sia per ragioni teoriche sia sulla base di quanto accaduto nel 2012, dato che gli aumenti precedenti non hanno affatto portato gli effetti sperati (il gettito è aumentato meno di quanto avrebbe dovuto, pur tenendo conto del calo dei consumi). Ciò detto, se proprio si vuole dedicare al fisco attenzione e, soprattutto, risorse, sarebbe il caso di concentrarsi sui livelli anormalmente alti di tassazione dei redditi da lavoro, in particolare di quelli bassi e medio-bassi. La nostra Irpef è un’imposta incompleta, che tassa ormai quasi esclusivamente i lavoratori dipendenti con aliquote marginali molto elevate, che crescono rapidamente al crescere del reddito. Ciò genera livelli di prelievo alti anche per redditi contenuti, il che contribuisce a disincentivare l’occupazione, specie femminile, e a far crescere il sommerso. Varrebbe la pena, piuttosto che lanciarsi in progetti abrogativi poco sensati e poco equi, aumentare le detrazioni da lavoro per i redditi bassi, prevedendo meccanismi come quello dell’imposta negativa, perché ne possano usufruire anche i cosiddetti incapienti. 

Anche il Governo Letta si concentra su questioni fiscali: dall’Imu all’Iva. Ma per i problemi strutturali del Paese il fisco può ben poco che un’indispensabile componente patrimoniale di un sistema fiscale equilibrato e ha solo parzialmente colmato il gap esistente tra l’Italia e gli altri Paesi in tema di gettito dalle imposte patrimoniali. Certo, potrebbe essere attuata in modo meno iniquo, ma par-

| ANNO 13 N. 110 | GIUGNO 2013 | valori | 27 |


???

finanzaetica

Gli investimenti passano (ancora) dai paradisi fiscali > 32 Gi첫 le mani dalla nostra Banca! > 34 | 28 | valori | ANNO 13 N. 110 | GIUGNO 2013 |


| asset tossici |

Le banche cercano modi per sbarazzarsi dei titoli “spazzatura”.

Banche, bilanci e derivati

Assicurare i titoli problematici attraverso l’emissione di derivati: si chiama cartolarizzazione, è la strategia che ha innescato la crisi. Il suo declino sembrava inarrestabile, ma ora è tornata in auge. E i rischi non sono solo per gli speculatori

Cartolarizza Cartolarizzazione 2, il ritorno di Matteo Cavallito

a storia è tutta nei bilanci, o per meglio dire in ciò che non si vede. Prendete una banca con il suo portafoglio che ancora pullula di titoli problematici. Sono prestiti con scarse garanzie, prodotti strutturati in alcuni casi particolarmente “esotici”. Ma sono soprattutto pezzi di carta ormai svalutati, titoli comprati a 100 che adesso però valgono 50, 20 oppure zero. In estrema sintesi assets tossici. Un tempo le banche li avrebbero iscritti a bilancio al loro valore nominale, ma adesso, si sa, i regolatori sono in pressing. Vogliono il fair value, il prezzo di mercato, e vogliono soprattutto i famosi “requisiti di capitale” calcolati in base a quanta liquidità (o titoli pregia-

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| ANNO 13 N. 110 | GIUGNO 2013 | valori | 29 |


| finanzaetica |

ti facilmente liquidabili) debba essere messa da parte dalla banca stessa per sopravvivere in caso di crisi. I titoli tossici potrebbero essere venduti, certo, ma in quel caso, ovviamente, le perdite sarebbero enormi. E allora ecco la soluzione: siccome il mercato li ha deprezzati e siccome i bilanci non possono essere intaccati, i titoli non vengono né venduti né contabilizzati bensì assicurati stipulando un derivato con un garante, magari un fondo speculativo, disposto ad assumersene i rischi dietro adeguato compenso. L’assicurazione entra nel bilancio e i conti, magicamente, migliorano. Riducendo l’ammontare del capitale da accantonare per essere in regola.

Trucchi di bilancio e fondi hedge Il meccanismo non è nuovo e si chiama securitization, cartolarizzazione, la strategia che in passato ha permesso alla bolla immobiliare di trasformarsi in una crisi sistemica. All’epoca le banche dovevano gestire i mutui a rischio, i subprime, e tentavano di bilanciare le possibili perdite “assicurando” i crediti attraverso i derivati. Ne derivarono prodotti complessi, spesso indecifrabili, capaci di trasformare un credito in una fonte istantanea di liquidità. Oggi il principio resta identico, ma con la nuova esigenza di aggiustare i bilanci. L’operazione si chiama capital relief trade e solleva più di un

VOLUME GLOBALE DELLA CARTOLARIZZAZIONE 2002-12 Volume cartolarizzazione [mln di dollari]

3.000.000

2.644.825 2.500.000

2.166.076

2.088.600 2.000.000 1.500.000

1.429.404

1.348.391

1.159.690 1.000.000

880.394

906.918

409.605 0

2002

2003

2004

2005

2006

2007

dubbio agli occhi dei regolatori internazionali (vedi BOX ). Attirando, in compenso, l’attenzione degli investitori con un’elevata propensione per il rischio. Nel marzo di quest’anno, ha riferito il New York Times, Credit Suisse ha realizzato un’operazione denominata “Lucerna” stipulando una sorta di assicurazione su un pacchetto di crediti già erogati a piccole e medie imprese elvetiche per una copertura complessiva di 5 miliardi di franchi (4 miliardi di euro). L’istituto ha accettato di farsi carico di una piccola parte della perdita e retribuisce al 10% un pool di investitori europei e americani disposti ad assicurarla sulla parte restante. In pratica il principio dei credit default swaps (Cds), strumenti utili, certo, ma an-

DA BASILEA AGLI USA, QUALI OSTACOLI PER LA SECURITIZATION? All’inizio del 2011 la Federal Reserve degli Stati Uniti ha inviato una circolare alle sue sedi locali invocando particolare attenzione per le operazioni di cartolarizzazione e chiedendo di valutarne la legittimità caso per caso. Il timore dei regolatori è che le operazioni possano limitarsi a costituire una mera strategia di capital relief distribuendo inoltre le perdite nel medio-lungo periodo invece di bilanciarle concretamente come dovrebbero. A distanza di tempo, sostiene il New York Times, il pressing dei regolatori Usa costituirebbe un ostacolo di poco conto visto che le banche potrebbero aggirare il problema modificando la struttura dell’operazione (ad esempio prestando denaro alla loro clientela affinché quest’ultima investa direttamente in questo genere di transazioni). Il Comitato di Basilea, da parte sua, aveva espresso in passato gli stessi timori della Fed. Quest’anno, lo stesso Comitato ha quindi prodotto un documento di consultazione, External audits of banks, che potrà essere integrato dopo il 21 giugno 2013. Nel testo si chiede «particolare attenzione» per l’attività di cartolarizzazione, sottolineandone il «rischio intrinseco» oltre alla capacità di «rappresentare anche un pericolo di natura reputazionale».

| 30 | valori | ANNO 13 N. 110 | GIUGNO 2013 |

511.614

500.000

2008

2009

415.733

2010

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2012

FONTE: ASSET-BACKED ALERT, 2013, WWW.ABALERT.COM. DATI IN DOLLARI USA

che rischiosi. Soprattutto per chi si trova coinvolto nella catena dell’investimento. Ne sanno qualcosa gli insegnanti del New Mexico, il cui fondo previdenziale (Nmerb) si è trovato a investire in Orchard Global Capital Group, un hedge attivo nelle operazioni di cartolarizzazione. Nel dicembre del 2011 il direttore del fondo pensione Jan Goodwin ha chiesto lumi sull’uso dei Cds. Allan Martin, un consulente esterno, ha rassicurato Goodwin evidenziando l’attenzione di Orchard per l’analisi dei rischi. Il fondo pensione, ha successivamente precisato a Valori il Chief Investment Officer Bob Jacksha, si è impegnato a investire fino a 200 milioni di dollari insieme ad Orchard, cifra da cui si attinge progressivamente (ad oggi sono stati già prelevati circa 70 milioni) ogni volta che Orchard individua opportunità d’investimento. Nmerb non investe in altri fondi speculativi coinvolti in operazioni di regulatory capital trade. Quelli di Credit Suisse e Orchard non sono certo casi isolati. Lo scorso anno, ad esempio, la potentissima Citigroup, una delle tante miracolate degli aiuti pubblici Usa, ha realizzato una transazione del tutto simile a quella della collega svizzera per un portafoglio titoli da 1 miliardo di dollari con la Blackstone, una società di private equity, attraverso la costituzione di una società veicolo denominata Cloverie e domiciliata in Irlanda. Un paradiso fiscale, ovviamente. «Credo che in futuro assisteremo a un uso sempre maggiore di questo genere di transazioni», ha spiegato al NY Times l’at-


| finanzaetica |

tuale proprietario della società specializzata Spring Hill Capital Partners (nonché ex dirigente Lehman), Kevin White, e poco importa che le operazioni, come ha sottolineato ancora al quotidiano newyorchese il docente di Stanford Anat Admati, non contribuiscano certo a ridurre il rischio limitandosi, al contrario, a trasferirlo soltanto “in un angolo torbido del mercato”. Come se non bastasse, ha sostenuto il Financial Times, le stesse banche di grandi dimensioni avrebbero iniziato a coinvolgere un numero crescente di investitori ipotizzando di utilizzare il proprio expertise per aiutare gli istituti più piccoli a risolvere analoghi problemi di bilancio in cambio di un rendimento. «Coinvolgere istituti di secondo e terzo livello intascando così le commissioni sulla ristrutturazione: per alcune banche è ormai una sorta di Santo Graal» ha spiegato un anonimo investitore al quotidiano della City.

2,6 trilioni di dollari (vedi GRAFICO ) per poi crollare nell’arco di un paio d’anni. Nel corso del 2012 però la ripresa è stata evidente e l’ammontare dei prodotti ha sfondato quota mezzo trilione segnando così una crescita del 20% rispetto al 2011. JP Morgan, ha ricordato Bloomberg citando i dati della newsletter di settore Asset-Backed Alert, ha fatto la parte del leone gestendo cartolarizzazioni di mutui, debiti e prestiti spazzatura (ovvero alle imprese classificate sotto l’investment grade) per 66,2 miliardi, sfiorando una quota di mercato pari al 13% che la colloca davanti alle rivali Barclays (9,2%) e Bank of America (8,7%). La ripresa, per altro, sembra accompagnarsi a un rinno-

vato “clima politico”. Condizionata dalla persistente stretta del credito bancario, rilevava a febbraio il Financial Times, l’Europa sembra aver trovato una via d’uscita proprio attraverso la cartolarizzazione se è vero che l’ammontare totale dei suoi prodotti emessi dalle imprese cresce a un ritmo del 14% annuo. Impossibilitate a finanziarsi sul fronte bancario, insomma, le aziende del Vecchio Continente avrebbero iniziato a cercare liquidità direttamente sul mercato costruendo (con l’ausilio delle banche stesse ovviamente) prodotti strutturati da piazzare agli investitori. Un cambio di rotta obbligato, probabilmente, ma anche decisamente rischioso. 

LA CARTOLARIZZAZIONE GLOBALE NEL 2012 Prodotti derivati

Emissioni 2012 (mln $)

Numero di operazioni

Quota di mercato (%)

Variazione 2011-12 (%)

Public ABS (Usa) Rule-144A ABS (Usa)

122.639

123

24.0

86.3

96.404

227

18.8

5.6

Un mercato in ripresa

Prime MBS and re-Remics (Usa)

13.035

56

2.5

-39.4

Parlare di grande revival della cartolarizzazione è forse prematuro. Ma l’inversione di tendenza è ormai evidente. Nel 2006 il controvalore dei principali prodotti della cartolarizzazione come assetbacked securities e Cdo’s (vedi GLOSSARIO ) emessi nel mondo raggiunse la cifra di

Commercial MBS (Usa)

102.130

173

20.0

50.0

ABS and MBS (non Usa)

116.435

153

22.8

-25.3

4.377

8

0.9

20.5

CDOs (mondo)

56.593

128

11.1

181.5

Totale cartolarizzazione

511.614

868

100.0

20.0

Commercial MBS (non Usa)

FONTE: ASSET-BACKED ALERT, 2013, WWW.ABALERT.COM. ABS: ASSET-BACKED SECURITIES; MBS: MORTGAGE-BACKED SECURITIES; RE-REMICS: RE-SECURITIZED REAL ESTATE MORTGAGE INVESTMENT CONDUITS; CDO’S: COLLATERALIZED DEBT OBLIGATIONS (VEDI GLOSSARIO )

GLOSSARIO CARTOLARIZZAZIONE In Inglese securitization, è il processo attraverso il quale i crediti vantati nei confronti dei debitori delle banche (tipicamente soggetti a rischio) vengono utilizzati come sottostante di un prodotto derivato di cui vanno a costituire la garanzia. I titoli derivati vengono quindi scambiati sul mercato trasformando di fatto i crediti in denaro liquido. ASSET-BACKED SECURITIES Strumenti finanziari derivati, tecnicamente obbligazioni, creati nel processo di cartolarizzazione che utilizzano come garanzia crediti di vario genere spesso frammentati e successivamente impacchettati in un unico prodotto. La macrocategoria comprende vari sottogeneri di strumenti, tra cui le Collateralized debt obligations (Cdo’s) ad esempio, costruiti secondo il medesimo principio. Nel mercato americano, le ABS emesse secondo le regole della cosiddetta Norma 144A (Rule 144A) sono riservate ai cosiddetti QIBs (qualified institutional buyers), ovvero ai grandi investitori istituzionali che si distinguono dai piccoli risparmiatori, ovvero dalla clientela retail.

MORTGAGE-BACKED SECURITIES Sono asset-backed securities garantite da pacchetti di mutui. I crediti vantati dalla banca nei confronti dei contraenti del mutuo vengono raggruppati in un paniere che comprende diversi mutui a rischio variabile (quelli concessi a clienti “prime”, cioè a bassa probabilità di insolvenza, e quelli destinati ai debitori “subprime”, a maggior rischio default) per essere trasformati nella garanzia del nuovo prodotto derivato.

FAIR VALUE Il valore di un titolo prezzato secondo il principio del mark-to-market, ovvero in base al suo probabile valore di mercato. Un titolo finanziario comprensivo di cedole e interessi assume un valore nominale convenzionale di 100. In caso di aumento di rischio il suo prezzo di mercato può scendere ben al di sotto di questa soglia determinando un aumento negativo di spread tra il valore nominale e il fair value.

SOCIETÀ VEICOLO Ovvero Special Purpose Vehicle, è un’entità finanziaria creata dalla banca per costruire e vendere agli investitori i prodotti della cartolarizzazione (come ABS, CDO’s, MBS etc.). L’entità societaria è tipicamente domiciliata in un paradiso fiscale.

CDS Ovvero Credit default swaps, sono i titoli derivati che assicurano contro il rischio default del debitore. Maggiore è il rischio, maggiore è il loro valore. Un Cds sul debitore del valore di 1.000 punti base indica che si devono pagare 1.000 euro per assicurare 10.000 euro di credito vantati nei confronti del debitore.

RE-REMICS Sigla di Re-securitized real estate mortgage investment conduits. Si tratta di cartolarizzazioni di prodotti finanziari garantiti dai mutui che in precedenza erano già stati cartolarizzati e quindi inseriti in appositi veicoli di investimento (Real estate mortgage investment conduits).

INVESTMENT GRADE I livelli di rating più elevati che caratterizzano i titoli considerati più sicuri. I titoli classificati investment sono di qualità variabile ma sono comunque accomunati da un rischio default complessivamente basso.

| ANNO 13 N. 110 | GIUGNO 2013 | valori | 31 |


| finanzaetica | capitali all’estero |

Dalla Russia alla Cina Gli investimenti passano (ancora) dai paradisi fiscali di Andrea Barolini

Un’analisi dell’Ocse basata sugli investimenti diretti all’estero dimostra come giurisdizioni come Barbados, British Virgin Islands e Bermuda abbiano ricevuto più capitali di Paesi come Germania e Giappone. Mentre le Isole Mauritius rappresentano il principale investitore al mondo in India

li e quello di depositi provenienti da tali giurisdizioni siano rimasti nel 2012 a livelli incredibili: rispettivamente, il 43% e il 46,6% del totale (vedi GRAFICO ).

Chi investe all’estero? a lotta contro i paradisi fiscali è in cima all’agenda delle grandi economie mondiali da molto tempo. A partire almeno dalla riunione del G20 nel 2009 a Londra: in piena crisi, i governi di tutto il mondo si dichiararono risoluti a recuperare i capitali in fuga verso giurisdizioni fiscalmente vantaggiose. A oltre quattro anni di distanza, però, i risultati sono oggettivamente scarsi: qualche accordo bilaterale è stato siglato (ad esempio tra Germania e Svizzera), ma il problema è ben lontano dall’essere risolto. Sebbene recuperare tali capitali costituirebbe un aiuto determinante per superare la crisi, i paradisi fiscali continuano ad attrarre business da tutto il mondo. Un’analisi del mensile francese Alternatives Economiques sottolinea co-

L

me, nonostante la flessione degli ultimi anni, il quantitativo di prestiti bancari internazionali destinati a paradisi fisca-

Ma i dati più allarmanti li ha pubblicati a febbraio scorso l’Ocse. In uno studio intitolato Lutter contre l’érosion de la base

I PRESTITI BANCARI INTERNAZIONALI DESTINATI AI PARADISI FISCALI E I DEPOSITI BANCARI INTERNAZIONALI PROVENIENTI DAI PARADISI FISCALI [in % sul totale] 52

Depositi

51,4

Prestiti 50

47,9 48 46

46,6 46

44

43 42

41,2 40

2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012

FONTE: ALTERNATIVES ECONOMIQUES SU DATI BRI, GENNAIO 2013

Liquidità off shore, un affare da (quasi) 2 trilioni di dollari di Matteo Cavallito

Le corporation Usa hanno un tesoro all’estero, al sicuro dalle richieste dell’Agenzia delle Entrate Oltre 1.900 miliardi di dollari, più di 1,9 trilioni di biglietti verdi. Praticamente il Pil dell’Italia. Sono le riserve off shore delle corporation statunitensi, stimate nei mesi scorsi dal Wall Street

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Journal sui dati resi noti dagli analisti di Bloomberg. Liquidità figlia di profitti generati all’estero e lì mantenuti in ossequio alle strategie di ottimizzazione, ovvero elusione, fiscale. Profitti enormi al riparo dalle richieste dell’IRS (Internal Revenues Service), l’Agenzia delle Entrate Usa, e, di conseguenza, dal finanziamento delle casse pubbliche statunitensi. Il tutto, s’intende, nel pieno rispetto della legge, visto che le norme, o per meglio dire le loro carenze, lo consentono.


| finanzaetica |

d’imposition et le transfert de bénéfices, l’organizzazione concentra la propria attenzione sugli investimenti diretti all’estero (Ide): sono effettuati da qualcuno che risiede in un’economia (“investitore diretto”) per generare un interesse duraturo in una società (“impresa di investimento diretto”) che a sua volta ha sede in un’altra economia. Operazioni corpose dal punto di vista dei capitali impiegati. Che, spesso, puntano non solo al profitto, ma anche a garantire all’investitore il potere di influenzare scelte aziendali, “penetrando” nel sistema economico. Basandosi su dati dell’Fmi, l’Ocse ha notato che di questa mole di denaro, nel 2010 tre paradisi fiscali, Barbados, British Virgin Islands e Bermuda, hanno ricevuto da soli il 5,11% di tutti gli Ide. Più della Germania (4,77%) e del Giappone (3,76%)! Nello stesso anno i tre Paesi hanno effettuato ben il 4,54% degli investimenti diretti all’estero operati in tutto il mondo (battendo la prima economia europea, la Germania, ferma al 4,28%). Ancor più interessante è scoprire che le British Virgin Islands nel 2010 sono state il secondo principale investitore in Cina (14% del totale dei flussi di capitale), seconde solo a Hong Kong (arrivata al 45%) e superando la prima economia del mondo, gli Stati Uniti (fermi al 4%). Le Bermuda sono risultate il terzo investitore in assoluto in Cile, mentre le Isole Mauritius (altro tax haven conclamato) sono state il primo investitore in un’economia importante e in grande ascesa come l’India (con il 24% del totale). Cipro, British Virgin

IL TESORO DI 91 MILA PERSONE NASCOSTO NEI TAX HAVENS Dal momento che la caratteristica principale dei paradisi fiscali è di offrire segretezza e opacità sulle operazioni finanziarie, è ovvio che risulta molto difficile stimare il giro d’affari che essi nascondono. James S. Henry – ex capo economista della società di consulenza McKinsey e autore del libro The Blood Bankers – ha pubblicato una stima, secondo la quale il totale degli asset nascosti attraverso i tax havens raggiungerebbe un valore di 26 mila miliardi di dollari. Un gigantesco tesoro nelle mani di sole 91 mila persone. Lo 0,001% della popolazione mondiale. Basandosi su un metodo diverso, l’economista Gabriel Zucman ritiene che l’8% della ricchezza finanziaria mondiale sia nascosta nei paradisi fiscali. In ogni caso, si tratta di cifre che basterebbero per risolvere buona parte dei problemi del Pianeta.

Islands, Bermuda e Barbados, poi, rappresentano insieme il primo investitore in Russia (con l’isola europea che spicca con ben il 28% degli Ide).

Pochi occupati e poche tasse Ma non è tutto. Qualcuno potrebbe eccepire che questa movimentazione di capitali genera comunque dei benefici (in termini ad esempio di ricadute occupazionali). Ebbene, l’Ocse sottolinea come la grandissima maggioranza degli Ide venga effettuata tramite Special purpose vehicles (Spv): società create ad hoc per trasferire il denaro, con personale estremamente limitato (se non inesistente). Nei Paesi Bassi, ad esempio, nel 2011 gli Ide entranti sono stati 3.207 miliardi di dollari: di questa quota 2.625 miliardi sono passati attraverso le Spv. Per

La cifra definitiva, sottolinea il Wall Street Journal, è presto calcolata. L’indagine si è concentrata su 83 compagnie i cui profitti offshore raggiungono in totale gli 1,46 trilioni di dollari equivalenti, segnala Bloomberg, al 75% del totale raggiunto lo scorso anno da tutte le imprese statunitensi attive all’estero, una cifra quest’ultima, che gli analisti di JP Morgan valutarono a suo tempo in 1.700 miliardi. Il che, evidenzia il quotidiano finanziario Usa, suggerirebbe oggi un ammontare complessivo superiore agli 1,9 trilioni di dollari. Per le 83 imprese studiate l’aumento dei profitti offshore su base annuale è stato pari al 14,4% contro il 34% registrato nello stesso periodo da Microsoft, Apple e Google. I tre colossi del Nasdaq, in particolare, prevedono secondo il WSJ di tenere al riparo delle

James S. Henry The Blood Bankers Basic Books, 2005

A.B.

quanto riguarda quelli in uscita, poi, per tali società sono transitati 3.023 miliardi sui 4.002 totali. Mentre a Lussemburgo, si è arrivati (sempre per gli Ide uscenti) a 1.945 miliardi su 2.140. A tutto ciò va aggiunto un altro elemento: i principali “utilizzatori” dei paradisi fiscali sono le grandi aziende, le multinazionali, le banche e, in generale, le realtà che “muovono” grandi capitali. Se si tiene presente ciò, si comprende bene quanto sia grande la fetta di introiti fiscali “rubata” dai tax havens. L’Ocse ricorda, a questo proposito, come le imposte sui profitti aziendali valgano il 10% del totale dei capitali raccolti grazie alle tasse dai governi dei Paesi dell’area-Ocse. Ovvero, per rendere ancor più comprensibile la mole dei capitali in ballo, qualcosa come circa il 3% del loro Pil. 

tasse statunitensi qualcosa come 134,5 miliardi di dollari, più del doppio della cifra rilevata due anni fa (60 miliardi circa). L’ammontare dei dollari investiti permanentemente all’estero rappresenta una quota decisamente maggioritaria della liquidità totale delle compagnie (il 68% per la Apple, ad esempio, e addirittura l’87% per la rivale Microsoft). Ma l’aspetto più incredibile è che questa stessa liquidità, detenuta formalmente all’estero, è in realtà materialmente parcheggiata negli Stati Uniti. Come a dire che il cash di cui sono titolari le filiali estere viene depositato nelle banche americane per essere magari investito in asset facilmente liquidabili. A gennaio, il 93% dei 58 miliardi di dollari cash delle sussidiarie off shore di Microsoft era investito in titoli del Tesoro statunitense.

| ANNO 13 N. 110 | GIUGNO 2013 | valori | 33 |


| finanzaetica | rinnovo cda |

Giù le mani dalla nostra banca! di Elisabetta Tramonto

Nel nuovo Cda di Banca Etica oltre la metà dei membri sono donne: 7 su 12. Elette in un’assemblea degli azionisti molto partecipata (oltre 900 i presenti), con una netta difesa dell’istituto da parte dei soci dopo gli attacchi anonimi subiti ltro che quote rosa! Avremmo potuto intitolare così questo articolo, dedicato al rinnovo del Consiglio di amministrazione di Banca Etica. Lo scorso 18 maggio si è tenuta l’assemblea dei soci dell’istituto di credito, a Firenze, all’interno della Fortezza da Basso, in occasione di Terra Futura. A partire da quest’anno il Cda avrebbe dovuto essere composto almeno dal 33% di donne. Ma le, spesso criticate, “quote rosa” non sono state necessarie. Dei 12 consiglieri eletti, ben 7 sono donne, più di metà del Cda. Si può dire che oggi Banca Etica sia l’istituto di credito con la maggiore percentuale di consiglieri di amministrazione donne (il 58,3%). Sono (in ordine alfabetico): Rita De Padova (già consigliere), 58 anni, insegnante, impegnata nell’associazionismo sociale nel Mezzogiorno; Nicoletta Dentico, 51 anni, giornalista, impegnata da anni nella cooperazione internazionale; Anna Fasano (già consigliere), 38 anni, impegnata nel mondo non profit e nell’housing sociale; Cristina Pulvirenti, 47 anni, econo-

A

Nicoletta Dentico

Rita De Padova

| 34 | valori | ANNO 13 N. 110 | GIUGNO 2013 |

mista esperta di finanza (lavorava agli audit della Banca d’Italia); Francesca Rispoli, 33 anni, direttrice nazionale di Libera; Mariateresa Ruggiero, 45 anni, impegnata in Banca Etica fin dalle sue origini, direttrice della Fondazione Culturale Responsabilità Etica; Sabina Siniscalchi (confermata consigliere), 60 anni, con una lunga esperienza nella finanza etica e nella cooperazione internazionale (non ce ne vogliano i soci uomini se in queste pagine abbiamo pubblicato solo le foto delle donne). Come presidente della banca è stato confermato Ugo Biggeri, 47 anni, ex presidente della Fondazione Culturale Responsabilità Etica e di Mani Tese. Gli altri uomini del Cda sono: Marco Carlizzi, 43 anni, avvocato, impegnato nella cooperazione sociale; Pino Di Francesco, 54 anni, dell’Arci; Giacinto Palladino, 49 anni, del sindacato bancario Fiba-Cisl; Pedro Manuel Sasia Santos, 51 anni, candidato dell’area Spagna e Giulio Tagliavini (già consigliere), 53 anni, professore ordina-

Anna Fasano

Cristina Pulvirenti

rio di Economia degli intermediari finanziari all’Università di Parma. L’assemblea ha approvato il bilancio 2012, dai risultati che, se paragonati al resto del mondo bancario, appaiono ottimi: 1 milione e 600 mila euro di utile; 777,2 milioni di euro di raccolta di risparmio (+8,3% sul 2011 contro una media di sistema del +3,4%); 42,8 milioni di euro di capitale sociale (il 21,9% in più del 2011, mentre in media il sistema ha visto un calo dell’1,9%); 620,1 milioni di euro di impieghi (+13,6% sul 2011 contro una media di sistema di +1,1%). Le sofferenze lorde, seppure in crescita, si mantengono ampiamente al di sotto della media di sistema: 1,4% in Banca Etica contro il 7,20%.

Un’assemblea animata È stata un’assemblea molto partecipata, con 924 soci presenti e 2.921 per delega, per un totale di 3.845 voti. Un’assemblea che poteva essere “riscaldata” da venti di protesta. E invece non è stato così. Negli

Francesca Rispoli

Mariateresa Ruggiero

Sabina Siniscalchi


| finanzaetica |

ultimi mesi la banca è stata “attaccata” da una serie di mail anonime indirizzate al Cda, ai dipendenti e ad alcuni soci. Lettere che criticavano il presidente (con toni a dir poco aggressivi), la gestione della banca, i risultati ottenuti. Un comportamento per nulla in linea con i metodi e i valori della banca, dove di solito le critiche sono ben accette e durante le assemblee (e non solo) è normale che alcuni soci avanzino delle richieste e rimostranze, anche con toni accesi. Ma “mettendoci la faccia”. L’uso dell’anonimato (oltre ai toni aggressivi) è apparso fuori contesto (e le accuse lesive per l’immagine di Banca Etica). Tanto che l’istituto ha denunciato l’accaduto alle autorità. Durante l’assemblea sono arrivate alcune richieste da parte dei soci di chiarimenti riguardo le lettere anonime, ma nessuna vera critica. I membri del Comitato Etico hanno tranquillizzato riguardo la falsità delle accuse e il presidente, Ugo Biggeri, ha affermato che, come ulteriore garanzia per i soci, autorità terze

daranno il loro giudizio sull’operato della banca (sottoposta di recente a un’ispezione della Banca d’Italia e della Consob). Durante l’assemblea un socio ha letto in pubblico una lettera a nome di un gruppo di partecipanti, che esordiva così: «Banca Etica sta vivendo un momento di particolare visibilità: siamo cresciuti, siamo incisivi, forse iniziamo a dare fastidio». Si riferiva alle mail anonime, ma anche a due articoli pubblicati da Il Sole 24 Ore, il giorno dell’assemblea e il precedente, che riportavano il contenuto delle lettere, senza però aver interpellato la banca, dandole la possibilità di dire la propria (grave pecca giornalistica). «Noi da qui diciamo forte – concludeva la lettura del socio – che le nostre porte sono aperte per chi voglia conoscere da vicino il lavoro di Banca Etica; le critiche sono bene accette purché costruttive. A chi vuole attaccarci invece diciamo: “giù le mani da Banca Etica”! Noi continueremo a lavorare per costruire una finanza diversa». 

| ANNO 13 N. 110 | GIUGNO 2013 | valori | 35 |


a scuola con La scuola estiva di Valori sulla green economy Formazione e turismo per la sostenibilità DAL 3 ALL’11 AGOSTO 2013

Anche quest’anno 8 giorni di scuola estiva sulla green economy con Andrea Di Stefano, direttore del mensile Valori (www.valori.it) e giornalista esperto di economia e finanza. 8 giorni sotto la Grigna, lungo il sentiero del Viandante, in una corte ristrutturata nel centro medioevale di Maggiana (Lc).

8 MATTINATE

di formazione divulgativa e al contempo scientificamente rigorosa per analizzare la green economy nei suoi meccanismi essenziali e nelle sue prospettive reali, offrendo un quadro di riferimento per chi, tecnico, cittadino, politico, abbia bisogno di strumenti di comprensione della realtà politico-economica locale e globale.

8 POMERIGGI

di turismo sostenibile a limitato impatto ambientale con giri guidati o liberi nelle Baite alpine, lungo il lago di Lecco, nelle cascate e nei sentieri montani della zona, nei piccoli gioielli architettonici del territorio.

8 GIORNATE

di ospitalità presso il Bed and breakfast La Torre del Barbarossa e presso la comunicante osteria Sali e Tabacchi, con cucina attenta ai prodotti tipici locali e alla filiera corta.

INFORMAZIONI SUL SITO info@corsivalori.it / www.corsivalori.it


| socialinnovation |

Spesa pubblica

La scelta inglese: innovare per il benessere sociale n passato raggiungere il supermercato Sainsbury’s nel quartiere londinese di Islington senza un’auto privata non era semplice. Oggi è invece possibile per tutti: è, infatti, raggiunto dalla linea 812, un community bus il cui percorso è stato disegnato dagli utilizzatori. Concepito in base alle esigenze di anziani e disabili, ma a disposizione di tutti, il percorso 812 collega ai principali servizi:

I

di Andrea Vecci

negozi, studi medici e i più importanti centri diurni. La linea 812 non è semplicemente un’ancora di salvezza per i suoi utenti: è diventata un caso di miglioramento del servizio pubblico attraverso l’impatto sociale. Hackney Community Transport (HCT) è la più importante impresa sociale britannica nell’ambito del trasporti e gestisce i classici double decker rossi di Londra. È nata sui bisogni del suo quartiere, sviluppando il trasporto di alunni, anziani e disabili. HCT ha inserito nel contratto di servizio pubblico stipulato con il colosso Transport for London il concetto di outcome (risultato) superando quello di output (prodotto): la capacità, cioè, di generare nuovi servizi di impatto sociale partendo dagli stessi input (risorse) previsti dall’appalto. Il significato è chiaro: se attraverso l’esercizio del trasporto urbano è possibile dimostrare di aver ottenuto un miglioramento sociale ed economico della spesa pubblica in un settore sociale, questo outcome è un profitto sociale. Come tale può essere contrattualizzato, misurato e in seguito distribuito tra il contractor che l’ha generato e l’ente pubblico che ne ha beneficiato, alla stregua di un profitto economico.

l’interno dei contratti di servizio pubblico, il benessere economico, sociale e ambientale di una comunità locale. Come è avvenuto per l’Italia con l’avvio della cooperazione sociale, anche in Uk uno dei campi di applicazione più diffuso sarà quello dell’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati e fragili (persone con disabilità, con problemi mentali, con precedenti penali). Riqualificare la spesa pubblica in modo più saggio, includendo il concetto di “profitto sociale” nell’erogazione di servizi pubblici, è quanto mai opportuno in questo periodo di budget ridotti. Con il Social Value Act gli enti locali mantengono la libertà di cercare fornitori di servizi, con l’aggiunta, però, di dover distribuire valore a una comunità locale, caratteristica, questa, fondativa del terzo settore europeo che può diventare, così, competitivo anche nel Regno Unito. Questa norma mette le imprese private tradizionali sotto pressione per fornire un valore sociale, oltre al profitto economico: sarà forse possibile assistere a un vero e proprio cambiamento nel modo in cui le aziende forniranno i servizi pubblici. 

Dal prodotto al risultato: ecco come è cambiata nel Regno Unito la disciplina sugli appalti pubblici grazie al Social Value Act È inoltre possibile ottimizzare gli input dell’appalto, gli autobus, gli autisti, per produrre nuovi servizi nel mercato privato: questi ricavi extra andranno ad abbassare la spesa pubblica legata all’appalto stesso. La Gran Bretagna ha introdotto nel proprio ordinamento il Social Value Act, entrato in vigore alla fine di gennaio 2013, con cui il governo richiede a tutti gli enti pubblici di includere, al-

Approfondisci il tema sul blog Social Innovation di Valori.it | ANNO 13 N. 110 | GIUGNO 2013 | valori | 37 |


| numeridellaterra |

Monete parallele

BELGIO BruSEL • www.brusel.be Clés de SEL • www.clesdesel.be EPI • www.enepisdubonsens.eu LETS Antwerpen Stad • http://groepen.letsvlaanderen.be/antwerpen-stad LETS Mol • www.letsmol.be LETS Vlaanderen • www.letsvlaanderen.be Macasel • www.macasel.be monsSEL • http://monssel.be RES - Hét andere Geld! • www.res.be SEL de Somme • seldesomme.be SEL’Bonheur Beauvechain • selbonheur.genial.be SELeri • www.seleri.be SELEsneux • www.selesneux.be Unis-Vers-Sel • www.unis-vers-sel.net

CANADA Corporate Trade Network • CorporateTradeNetwork.com Barter21 • goodtradeexchange.com BarterWorks • www.barterworks.org Calgary Dollars • www.calgarydollars.ca NDG Barter Network • www.reseaudechangendg.org Powell River Dollar • http:/powellrivermoney.ca Salt Spring Dollars • www.saltspringdollars.com Victoria Local Exchange Trading System • www.lets.victoria.bc.ca Waterloo Region Time Exchange • www.wrte.timebanks.org

GRAN BRETAGNA

STATI UNITI Ann Arbor Small Business & Community Exchange www.a2sbx.com Bay Bucks • www.baybucks.org BerkShares, Inc. • www.berkshares.org Bitcoin • www.bitcoin.org Bridgetown Bucks • www.pdxcurrency.net Community Dollar Network • www.communitydollar.net Dane County TimeBank • http://danecountytimebank.org Fourth Corner Exchange • www.fourthcornerexchange.com

Hour Exchange Portland • www.hourexchangeportland.org Madison Hours • www.madisonhours.org PLENTY • www.ncplenty.org Premier Barter • www.equitradephoenix.com St. Louis Community Exchange http://stlcommunityexchange.appspot.com/ Thankyous at Friendly Favors • www.favors.org/FF The Baltimore BNote • http://baltimoregreencurrency.org Time Banks USA • www.timebanks.org

MESSICO

di Elisabetta Tramonto

e l’economia non funziona basta creare una nuova moneta, che non sostituisca quella ufficiale, ma sia accettata, per acquistare beni e servizi, in un’area circoscritta (geografica, di solito, o un gruppo di imprese correlate tra loro) e, circolando il più possibile, permetta di riattivare l’economia (locale). È quanto affermano i sostenitori delle monete complementari. Ne esistono oltre 2.500 nel mondo (una stima precisa è impossibile), la maggior parte create in periodi di crisi (quella del ’29, quella argentina del 2001 o quella attuale). Talvolta prevedono l’emissione di banconote (risvolto che può creare problemi con le autorità monetarie, che in alcuni Paesi chiudono un occhio, anche per la dimensione ridotta del fenomeno, altrove invece non lo consentono), ma spesso sono elettroniche, virtuali. Il rischio: se non “costruite” bene possono provocare inflazione. 

S

| 38 | valori | ANNO 13 N. 110 | GIUGNO 2013 |

Barter Angels • www.barterangels.com Bath LETS • www.bathlets.org/home Brixton Pound • brixtonpound.org Falmouth LETS • www.falmouthlets.org.uk Letsbuzz • www.letsbuzz.org.uk The CollaborActions Network http://thebusinessbarternetwork.com Totnes Pound • www.totnespound.org

FRANCIA JEU • jeu.vingrau.free.fr La Route des SEL • www.route-des-sel.org le CIGALONDE • www.acal-lalondelesmaures.fr/fr Mesure • http://monnaie-locale-romans.org/ SEL de MARS • www.seldemars.org Selidaire • www.selidaire.org SOL • www.sol-reseau.org

ACV/Compartienda • www.aahora.org/compartien Tianguis Tlaloc HONDURAS Red Comal • www.redcomal.org.hn EL SALVADOR Red de trueque solidaria http://blog.truekenet.com ECUADOR Toctiuco Rumihuaico URUGUAY Circuito de credito comercial Uruguay www.c3uruguay.com.uy

ARGENTINA Red global del trueque www.trueque.org.ar

VENEZUELA Interser BRASILE Brasile (Cearà) > Palmas www.bancopalmas.org.br Brasile (Amapà) > Centelha Brasile (Cearà) > Caribelos Brasile (Acre) > Arco-Iris Brasile (Amazonas) > Libertade Brasile (Amazonas) > Tucumã Brasile (Amazonas) > Puxiruns Brasile (Bahia) > Tinharé Brasile (Bahia) > Samper Brasile (Bahia) > Trilha Brasile (Bahia) > Concha Brasile (Cearà) > Vale

Brasile (Cearà) > Timaùba Brasile (Cearà) > Ab Brasile (Cearà) > Caribelos Brasile (Cearà) > Bentos Brasile (Cearà) > Potiguara Brasile (Cearà) > Sabià Brasile (Cearà) > Castanha Brasile (Cearà) > Pirambù Brasile (Cearà) > Rios Brasile (Cearà) > São Cristovão Brasile (Cearà) > Dende Brasile (Cearà) > Ponto de Finanças Solidárias


AUSTRIA

GERMANIA

LA21-Jugendprojekt I-MOTION • www.i-motion-woergl.at Talente Tauschkreis Vorarlberg TTKV • www.talente.cc Tiroler Stunde

Chiemgauer • www.chiemgauer.info Coinsystem • www.coinstatt.org DKG - Deutsche Kompensationsgesellschaft mbH http://www.deutsche-kompensation.de/ exchange*me • www.exchange-me.de GibundNimm-Forum • www.heidemarieschwermer.com HALLERTAUER • www.hallertauer-regional.de Lausitzer • www.lausitzer.net Minuto-ZeitGutscheine • http://minutocash.org MittelFranken • regiogeld.de Rheingold • www.rheingoldregio.de Talente Tauschring Hannover • www.tauschring-hannover.de TAUBER-FRANKEN e.V. • www.tauber-franken-regiogeld.de

CROAZIA Crom Alternative Exchange http://cromalternativemoney.org DANIMARCA absi • www.absi.dk

UNGHERIA

PAESI BASSI

Kékfrank • www.kekfrank.hu

LETS den Haag • www.letsdenhaag.nl Lokale Ruilkring • www.niksvoorniks.nl NOPPES • www.noppes.nl Qoin • www.qoin.com Stichting LETS Tiel • www.letstiel.nl stichting LETS Utrecht https://sites.google.com/site/letsutrecht/ Wageningen-LETS • www.lets-wageningen.nl

POLONIA Barter System Poland • www.bartersystem.pl SLOVACCHIA LETS Studnicka • www.studnicka.sk

SITI INTERNET • complementarycurrency.org/ccDatabase, uno dei database on line più completi e aggiornati sulle monete complementari nel mondo • olccjp.net, laboratorio giapponese sulle monete complementari • inovacaoparainclusao.com/rede-brasileira-debancos-comunitaacuterios.html, per le monete brasiliane • monetacomplementare.it • valueforpeople.co.uk • community-exchange.org

GIAPPONE UCRAINA Time Bank Dobrobank • dobrobank.com

Slow Japan • www.sloth.gr.jp Earth Day Money • www.earthdaymoney.org WAT • www.watsystems.net Fureai Kippu

HONG KONG Community Oriented Mutual Economy • http://come.sjs.org.hk Ven • www.venmoney.net ITALIA Bendiu • www.bendiu.com Camuno • www.camuno.net Ormita • www.ormita.com Sardex• www.sardex.net SCEC• www.progettoscec.com

COREA DEL SUD Hanbat LETS • www.tjlets.or.kr

PORTOGALLO

NUOVA ZELANDA

RedeBarter • www.redebarter.com

Bay Of Islands Community Exchange • www.boice.co.nz Invercargill Barter & Exchange Systems • ibes.orcon.net.nz Ozone Barter • www.ozonebarter.com Wairarapa Green Dollar Exchange • www.wais.org.nz

SPAGNA ECO Alt Congost • www.ecoaltcongost.org Freicoin • www.freicoin.org Málaga Común • www.malagacomun.org Tikiwiki + CC Mod • intercanvis.net

AUSTRALIA Bega Valley LETS • http://thebegavalley.org.au/bvlets.html Brislets • http://brislets.com Byron Shire Community Exchange • www.bsce.com.au Central Coast LETS • www.centralcoastlets.org Maleny LETS • www.communityexchange.net.au Moreland LETS Shoalhaven Community Exchange • www.shoalhavenexchange.net South Burnett LETS & Gympie LETS Exchange Swan Hills LETS • swanhillslets.org Sydney and Illawarra LETS • www.auslets.org/sydney

Per realizzare questa mappa abbiamo usato uno dei siti più aggiornati (complementarycurrency.org/ccDatabase), ma ne avremo certamente tralasciata qualcuna. Se ne conoscete altre segnalatecele, aggiorneremo il nostro archivio e disegneremo una mappa più esaustiva. Scrivete a redazione@valori.it | ANNO 13 N. 110 | GIUGNO 2013 | valori | 39 |

ILLUSTRAZIONE BASE CARTINA: DAVIDE VIGANÒ

| strumenti anticrisi |


REUTERS / PAUL DARROW

economiasolidale

Le

Energia idrovora > 47 Ceramica italiana, la salvezza viene dall’estero > 49 Cessione di sovranità e globalizzazione > 53 | 40 | valori | ANNO 13 N. 110 | GIUGNO 2013 |


| energia pulita |

In cima a una pala eolica. Un operaio al lavoro per gli ultimi aggiustamenti di una delle 15 turbine di un parco inaugurato l’anno scorso ad Amherst, in Nuova Scozia.

rinnovabili

Nel bel mezzo della polemica, tutta italiana, sui costi delle rinnovabili irrompono le cifre dei loro benefici, non solo economici, attraverso il rapporto IREX 2013. Mentre i 100 GW di fotovoltaico nel mondo sono a meno di un passo, lo dice la IEA

fanno 49 (miliardi) di Corrado Fontana ispetto agli obiettivi sullo sviluppo delle fonti d’energia rinnovabili siamo sulla strada giusta. Nonostante tutto. Ma mentre l’Italia sta raggiungendo con anticipo i parametri fissati dall’Europa con il Piano 20-20-20 (ridurre del 20% le emissioni di gas serra, portare al 20% il risparmio energetico e al 20% il consumo di energia da fonti rinnovabili entro il 2020), infuria la polemica a mezzo stampa tra “fossilisti”, occulti o dichiarati, e ambientalisti. E, contemporaneamente, sui nostri comparti energetici più green pesano decisioni politiche controverse (vedi BOX “Energia negativa”). Poteri e interessi contrapposti che si affrontano in uno scacchiere ben delineato da Alessandro Marangoni, CEO di Althesys, società indipendente di consulenza strategica che ha appena pubblicato l’IREX Annual Report 2013. «Il settore delle rinnovabili – spiega – dopo due anni di boom si sta ridimensionando. Vuoi perché gli incentivi sono stati via via ridotti, vuoi perché il mercato in Italia, e più in generale in Europa, si sta saturando. La crescita delle rinnovabili abbinata al rallentamento economico ha fatto sì che oggi si stia in una situazione di sovraccapa-

R

| ANNO 13 N. 110 | GIUGNO 2013 | valori | 41 |


| economiasolidale |

cità produttiva del comparto elettrico e, quindi, ci sia una battaglia accesa per uno spazio di mercato sempre più stretto».

ENERGIA NEGATIVA

FONTE: IEA (INTERNATIONAL ENERGY AGENCY) 2013 / PVPS REPORT - A SNAPSHOT OF GLOBAL PV 1992/2012 - PRELIMINARY INFORMATION FROM THE IEA PHOTOVOLTAIC POWER SYSTEMS PROGRAMME

A testimoniare un clima nient’affatto pacifico che aleggia sulle rinnovabili italiane basterebbero i recenti interventi del presidente di Assoelettrica (Associazione nazionale delle imprese elettriche), Chicco Testa, che si è scagliato contro i costi in bolletta degli incentivi alle rinnovabili che ricadrebbero sulle imprese. Una posizione poco green eppure comprensibile, quella dei colossi dell’energia tradizionale, ma che pare corroborata anche da certi appoggi istituzionali a latere. A maggio si sono registrate, da un lato, la richiesta dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas a Parlamento e Governo perché valutino l’imposizione di nuovi oneri a tutti gli impianti destinati all’autoconsumo, come ad esempio i piccoli fotovoltaici residenziali e, dall’altro, l’apertura dell’appena insediato ministro dello Sviluppo economico, Flavio Zanonato, a trovare i miliardi di euro necessari per convertire la centrale termoelettrica di Porto Tolle (Ro) da olio combustibile a carbone. Ciò dopo le passate strizzatine d’occhio al nucleare dell’ex ministro Corrado Clini, le note attenzioni dell’ex ministro Corrado Passera per la prosperità delle fonti fossili e più di qualche inciampo messo dal precedente governo alla corsa delle rinnovabili italiane: i ridotti incentivi del quinto Conto Energia a sostegno del fotovoltaico, il cui tetto fissato a 6,7 miliardi di euro viene raggiunto in queste settimane, o il sistema di aste e registri che regola il settore eolico appesantendolo di burocrazia.

EVOLUZIONE DELLA CAPACITÀ FOTOVOLTAICA TOTALE INSTALLATA TRA IL 1992 E IL 2012 120 100 80 60 40 20 0

1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 Altri Paesi principali

Paesi monitorati dallo IEA Photovoltaic Power Systems Programme

Tanti, benedetti, da qui al 2030 È in questo teatro che irrompe però il bilancio costi-benefici di IREX 2013 (vedi TABELLA a pag. 44). Il quale, nell’analisi dell’evoluzione delle rinnovabili di casa nostra, considera due percorsi possibili: il primo definito business as usual, cioè secondo l’andamento attuale, che ipotizza si raggiunga al 2020 una copertura del 35% dei consumi elettrici tramite rinnovabili e un 42% nel 2030; il secondo, definito accelerated deployment policy, più impetuoso, che stima un 38% di energia rinnovabile nel 2020 e un 45% nel 2030. Altro che 20 20 20! E con vantaggi economici, al netto di incentivi e costi, che vanno da un guadagno per l’Italia di 18,7 miliardi di euro al ben più significativo dato di 49 miliardi di euro, ottenuti attraverso voci differenti: ricadute occupazionali positive (fino a 60 mila posti di lavoro nuovi nel 2030) e mancate emissioni (nel 2030 tra i 68 e gli 83 milioni di tonnellate di CO2, evitate, a cui si aggiungeranno mancate emissioni di ossidi di azoto, e anidride solforosa, per un beneficio sociosanitario, oltre che ambientale); e poi risparmi sulle importazioni di combustibili fossili (8-10 miliardi di euro) e per l’abbassamento dei prezzi dell’elettricità nelle fasce orarie di maggior produzione da

Zanchini: «Chi ha paura dell’innovazione?» di Corrado Fontana

Il responsabile dell’Ufficio Energia di Legambiente punta il dito sui nemici dell’innovazione e analizza alcune vie di sviluppo delle rinnovabili: stoccaggio dell’energia, dimensione locale e scambi con la rete nazionale «Oggi l’Italia ha un parco fotovoltaico installato secondo, in Europa, solo a quello della Germania. E ha avuto una produzione di energia rinnovabile nel 2012 superiore al 28% del totale dei consumi elettrici». Fotografa così la situazione nel nostro Paese Edoardo Zanchini, responsabile dell’Ufficio Energia di Legambiente. E continua: «I nemici di questa

| 42 | valori | ANNO 13 N. 110 | GIUGNO 2013 |

innovazione sono però i grandi gruppi energetici, che stanno soffrendo un crollo della domanda di energia da centrali termoelettriche e l’aumento della quota di mercato occupata dalle rinnovabili. Ciò è vero al punto da costringere lo spegnimento di centrali termoelettriche a gas, mentre quelle a carbone continuano a produrre, non essendoci in Italia una tassazione che penalizza l’inquinamento e avendo costi più bassi». Che cosa pensa della polemica sui costi delle rinnovabili in bolletta? Negli ultimi dieci anni il rincaro delle bollette per i cittadini è derivato dall’andamento del prezzo del petrolio. Ma l’autorità per l’energia difende il sistema com’è, senza ricordare quali siano


| economiasolidale |

STRUTTURA DEI COSTI DI PRODUZIONE (LCOE) DI EOLICO E FOTOVOLTAICO EOLICO

9,4%

25,8%

36,3%

8,6%

3,5%

4,5%

11,9%

PROGETTAZIONE E PERMITTING

TECNOLOGIA

COSTO DEL CAPITALE

TERRENO

PROPERTY TAX E ROYALTIES

CARENZE RETE

O&M

3,4%

36%

37,9%

7,5%

2,9%

2,5%

9,8%

FOTOVOLTAICO FONTE: IREX ANNUAL REPORT 2013 - RINNOVABILI: L’EVOLUZIONE DEL SETTORE ITALIANO NEL CONTESTO INTERNAZIONALE E L’INTEGRAZIONE NELLA POLITICA ENERGETICA

rinnovabili (complessivamente tra 41 e 47 miliardi di euro al 2030). Grazie al differenziale di prezzo tra le ore di picco “solari” e “non solari” Althesys ha stimato infatti 838 milioni di euro di risparmio già per il 2012, contro i 396 del 2011. E quanto al cosiddetto fuel risk, cioè le variazioni nel prezzo e le difficoltà nei flussi di approvvigionamento legate all’importazione di gas e petrolio, Marangoni sottolinea il contributo delle rinnovabili a risolvere «un problema di riequilibrio delle fonti energetiche: oggi non se ne parla più molto, ma ci ricordiamo del rischio di rimanere al freddo per la lite tra la Russia e i Paesi confinanti su cui passavano i gasdotti; così come durante la primavera araba e gli scontri in Libia, quando si erano ipotizzati problemi a ricevere il gas dal Nord Africa».

Energia concentrata Oltre a quelli economici, nello sviluppo del mix energetico ci sono insomma van-

RINNOVABILI TRA GRANDE TRASFORMAZIONE E RESISTENZE FOSSILI «La prima cosa che emerge è che il solare fotovoltaico risulta la tecnologia che più rapidamente sta trasformando la struttura energetica del Paese, che in pochi anni è passato da zero a una quota che viaggia ormai oltre i 20 Terawattora, una quantità di energia pari a quella di tre centrali nucleari da 1GW». Così commenta brevemente Giuseppe Onufrio (direttore esecutivo Greenpeace Italia) il rapporto IREX 2013. «Il rapporto dà un’ampia visione anche dei benefici dello sviluppo delle rinnovabili, mostrando come questi superino i costi degli incentivi. Significativi sono due aspetti: a) anche senza incentivi il solare fotovoltaico è destinato a crescere nell’ordine di 1GW all’anno, e dunque a raggiungere fino a 35 GW al 2030; b) sull’eolico si è registrata un’accelerazione delle installazioni prima dell’introduzione del nuovo sistema delle aste che, di fatto, sta bloccando il settore. Le recenti dichiarazioni “pro carbone” del Ministro Zanonato a proposito dell’impianto termoelettrico di Porto Tolle mostrano quale parte il Governo Letta con ogni probabilità giocherà: a difesa degli interessi fossili e delle aziende che, come Enel, producono in modo prevalente con carbone e olio combustibile. Ma il tempo non gioca a loro favore. Quella in atto è una grande trasformazione irreversibile del sistema energetico che non è solo italiana».

i sussidi conteggiati destinati alle fonti fossili. Non solo. Si oppone a un sistema che permetterebbe di sviluppare le rinnovabili senza incentivi: innovazioni sulle reti locali, sullo stoccaggio dell’energia, sulla vendita diretta che permetterebbero a un condominio, a gruppi di piccole e medie imprese di avere una propria rete che scambia ogni tanto energia con la rete nazionale, ma si garantisce una propria autonomia, puntando anche sulle rinnovabili. Oggi in Italia ciò sarebbe competitivo, considerando i prezzi dell’energia, ma è vietato. Il capitolo dello stoccaggio dell’energia pare un tema di grande prospettiva... Pensiamo alla Sicilia o a una parte dell’Appennino tra Basilicata, Campania e Puglia dove si trova la più grande concentrazione di produzione da fonti rinnovabili. Lì alcuni impianti di stoccaggio (sistemi di batterie per trattenere l’elettricità prodotta e non

impiegata, ndr) potrebbero permettere di gestire in modo efficiente ed economico per il Paese la produzione, soprattutto durante i momenti di picco di giorno, immagazzinando l’energia elettrica in eccesso per restituirla nei momenti in cui la domanda c’è. Una seconda applicazione utile potrebbe essere proprio all’interno di quelle reti elettriche locali di cui accennavamo prima, potendo Edoardo Zanchini, responsabile quindi immagazzinare parte dell’energia dell’Ufficio Energia elettrica prodotta dal fotovoltaico di Legambiente se non viene consumata interamente. E una prospettiva ancora più intelligente sarebbe quella di poter offrire alla rete nazionale l’energia elettrica in eccesso prodotta dalle reti locali.

| ANNO 13 N. 110 | GIUGNO 2013 | valori | 43 |


| economiasolidale |

IL BILANCIO COSTI-BENEFICI 2008-2030 [€/MLN] BUSINESS AS USUAL

ACCELERATED DEPLOYMENT POLICY

221.189 1.537

237.955 1.770

85.041 75.998 2.863 28.161 8.376 41.037 18.750

96.632 98.3781 3.454 33.146 10.017 47.351 49.246

COSTI Incentivi (copertura costi differenziali) Costi carenze infrastrutturali BENEFICI Effetti sull’occupazione Riduzione emissioni CO2 Altre emissioni evitate Indotto-effetti sul PIL Riduzione fuel risk Riduzione del prezzo dell’elettricità Saldo benefici netti

Il dossier IREX 2013 analizza costi e benefici legati all'investimento in energia rinnovabile secondo due scenari di sviluppo: 1 - Business as Usual (BAU), che assume l’obiettivo intermedio al 2020 indicato dalla Strategia Energetica Nazionale o SEN (approvata a marzo 2013 dal ministro dello Sviluppo economico delle Infrastrutture e dei Trasporti Corrado Passera e dal ministro dell’Ambiente Corrado Clini tramite Decreto interministeriale), cioè un 38% dei consumi coperti tramite Fer (Fonti energetiche rinnovabili). 2 - Accelerated Deployment Policy (ADP), che ipotizza una percentuale di Fer sulla produzione totale pari al 45% al 2030, assumendo una potenza installata coerente con il potenziale italiano. I due scenari comporterebbero per l’Italia un saldo positivo netto del rapporto costi-benefici al 2030 rispettivamente di 19 e 49 miliardi, dettagliati nella tabella qui sopra.

SITI INTERNET www.assoelettrica.it www.althesys.com | 44 | valori | ANNO 13 N. 110 | GIUGNO 2013 |

www.greenpeace.org/italy/it www.legambiente.it

Il futuro piccolo e ben distribuito di Corrado Fontana

Dalla Germania all’Italia rimbalza l’allarme per le grandi compagnie di gestione dei servizi elettrici: il modello della generazione domestica e diffusa da fotovoltaico rischia di trasformarle velocemente in dinosauri n Germania il 22% dell’elettricità è stato prodotto nel 2012 da fonti rinnovabili, ma le quattro grandi utilities, E.ON, RWE, EnBW e Vattenfall Europe, sono quasi assenti dal settore. Lo riporta un’analisi su dati del ministero tedesco dell’Ambiente, diffusa dall’agenzia Reuters, che sottolinea come, dei 71 GW di capacità energetica rinnovabile installata alla fine del 2011, solo il 7% nasca da impianti di proprietà delle grandi compagnie di servizi. Anzi, ben il 40% della capacità rinnovabile sarebbe in mano a singoli individui; il 14% sarebbe invece controllato da operatori di nicchia; l’11% dipenderebbe dagli agricoltori; il 9% da realtà industriali energivore; l’11% da società finanziarie e un 7% da piccole società di servizi regionali o utilities internazionali. Non solo. Mario Richter, dell’Università di Lueneburg, denuncia a Reuters che le quattro big tedesche avrebbero ceduto a investitori non appartenenti al settore energetico ben il 97% delle loro partecipazioni nel fotovoltaico. «Si tratta – commenta Mario Agostinelli, ex ricercatore all’Enea – di una coraggiosa disamina dello stato di crisi dei colossi dell’elettricità concentrata, un segno di reversibilità verso il modello del decentramento: non conviene più mantenere un sistema concentrato e rigido.

I

PRIMI 10 PAESI AL MONDO PER CAPACITÀ DI FV INSTALLATA MW DI CAPACITÀ INSTALLATA NEL 2012 MW TOTALI DI CAPACITÀ INSTALLATA 1 Germany 7.604 Germany 32.411 2 China 3.510 Italy 16.250 3 Italy 3.337 USA 7.221 4 USA 3.313 Japan 7.000 5 Japan 2.000 China 7.000 6 France 1.079 Spain** 5.100 7 UK 1.000 France 4.003 8 Australia 1.000 Belgium 2.567 9 India* 980 Australia 2.400 10 Greece* 912 Czech Republic* 2.085 8 GW countries 13 GW countries * Non-PVPS Countries / ** Spain data delivered in AC, this number is a DC recalculation.

FONTE: IEA (INTERNATIONAL ENERGY AGENCY) 2013 / PVPS REPORT - A SNAPSHOT OF GLOBAL PV 1992/2012 - PRELIMINARY INFORMATION FROM THE IEA PHOTOVOLTAIC POWER SYSTEMS PROGRAMME

FONTE: IREX ANNUAL REPORT 2013 - RINNOVABILI: L’EVOLUZIONE DEL SETTORE ITALIANO NEL CONTESTO INTERNAZIONALE E L’INTEGRAZIONE NELLA POLITICA ENERGETICA

taggi di sistema. E il settore delle rinnovabili, nonostante il rallentamento e la crisi, si mostra in fase di progressiva concentrazione grazie alle molte acquisizioni societarie messe in atto dai gruppi più grandi e più solidi. Ma non solo. Ben 217 operazioni sono state rilevate nel 2012 da Althesys, per un totale di 10,1 miliardi di euro di investimenti (+30% di crescita interna sul 2011) e 7.729 MW di nuova potenza. Anche i nostri investimenti fuori confine sono cresciuti, di oltre il 55% rispetto al 2011, soprattutto fuori dall’Europa. L’Agenzia Internazionale dell’Energia certifica, del resto, che la capacità fotovoltaica globale installata nel 2012 ha quasi raggiunto la soglia epocale dei 100 GW, con un trend di mercato sostanzialmente stabile rispetto al 2011 e 28,4 nuovi GW nel 2012 (con un primato assoluto dell’Italia che già riceve dal solare il 5,75% del mix energetico). E se, pur con qualche flessione, le rinnovabili avanzano, IREX 2013 individua un freno al pieno sviluppo in Italia, e cioè il peso economico della burocrazia: «Se negli ultimi 4 anni il costo di un impianto è sceso del 60% – conclude Marangoni – nello stesso periodo la burocrazia italiana è rimasta immutata, se non si è addirittura complicata». Una zavorra che si somma alla scarsa apertura alla produzione locale e alle reti di piccoli impianti, che favorirebbero invece l’autonomia energetica, limitando la necessità di complesse procedure e costose valutazioni d’impatto ambientale riservate alle grandi centrali. 


CONFRONTO LCOE-LEOE FOTOVOLTAICO ED EOLICO (2012)** FOTOVOLTAICO PAESE LCOE (€/MWh) LEOE (€/MWh) DANIMARCA nord 156,5 96,4 FRANCIA sud 123,5 96,4 GERMANIA* 146,3 115,0 GRECIA 223,9 166,9 nord* 172,3 134,8 ITALIA sud 140,2 128,5 POLONIA 147,8 103,7 ROMANIA 135,0 301,8 nord 120,6 47,2 SPAGNA sud 103,1 47,2 UK 186,8 133,1 MEDIA 150,5 124,6

∆ -60,1 -27,1 -31,3 -57,0 -37,5 -11,6 -44,1 166,8 -73,4 -55,9 -53,7 -25,9

∆% -38,4% -22,0% -21,4% -25,4% -21,8% -8,3% -29,8% 123,6% -60,8% -54,2% -28,7% -17,2%

EOLICO LCOE (€/MWh) 58,4

LEOE (€/MWh) 79,0

∆ 21

∆% 35,3%

61,7

61,3

-0,4

-1,0%

65,8

60,5

-5

-8,1%

114,4

81,6

-33

-28,7%

116,8 96,8 78,8

133,3 103,7 107,6

16,5 7 29

14,0% 7,1% 36,5%

70,3

47,2

-23,0

-33,0%

69,1 81,3

104,1 86,5

35 5,1

50,7% 6,3%

** LCOE (Levelized Cost of Energy) / costi. LEOE (Levelized Earn of Energy) / ricavi

96.5 GW

Percentuale media globale e valore massimo nazionale di produzione di elettricità da fotovoltaico nel mix energetico

MONDO: 0,5% ITALIA: 5,75%

Percentuale di crescita più elevata registrata sui mercati continentali del FV

Crescita

28.4 GW

GW fotovoltaici totali di capacità installata nel mondo al 2012

Insomma, un cambio di paradigma nella produzione e nel consumo di elettricità è in atto, non solo in Germania. In Borsa, le azioni delle utilities sono state le peggiori tra i 19 settori principali dall’inizio del 2008: l’EuroStoxx600 Utilities, dove se ne scambiano i titoli, ha già perso 407 miliardi dollari di capitalizzazione. 

Produzione elettricità

GERMANIA CINA ITALIA

GW fotovoltaici di capacità installata nel mondo nel 2012

Capacità totale

1st PV 2nd Wind 3rd Gas

Primi tre Paesi al mondo per capacità FV installata nel 2012

Top 3 - 2012

L’Europa nel 2012

Prime tre fonti per potenza installata nel 2012 in Europa

da fonti rinnovabili, Edoardo Zanchini di Legambiente sostiene che «il peso delle utilities nel settore è bassissimo, quasi insignificante per A2a e Iren nelle “nuove” rinnovabili (solare, eolico, biomasse), mentre resta molto importante nel vecchio idroelettrico (in larga parte di Enel) e nella vecchia geotermia (tutta di Enel)».

2012 installazioni

Ciò risulta di grande rilievo pensando alle attuali strategie delle nostre municipalizzate come A2A, che punta al teleriscaldamento e ai rifiuti invece di diventare l’utility della Milano solare». E, sebbene non abbiamo dati certi e paragonabili sui referenti degli oltre 500 mila impianti italiani che producono energia

ASIA + 66%

FONTE: IEA (INTERNATIONAL ENERGY AGENCY) 2013 / PVPS REPORT - A SNAPSHOT OF GLOBAL PV 1992/2012 - PRELIMINARY INFORMATION FROM THE IEA PHOTOVOLTAIC POWER SYSTEMS PROGRAMME

INQUINARE COSTA SEMPRE MENO Tra i vantaggi economici per chi punta sulle rinnovabili in Europa ci sarebbero le mancate emissioni di CO2. Emissioni che sono “prezzate” secondo l’ETS (Emission Trading Scheme), ovvero il sistema vigente nell’Ue che dovrebbe penalizzare i settori industriali ritenuti energivori (sedicimila operatori, tra impianti termoelettrici, industriali e aviazione) e maggiormente inquinanti, costringendoli a “pagare di più se inquinano di più”. Peccato che la crisi abbia spezzato ogni buon proposito e ad aprile i parlamentari europei abbiano bocciato il congelamento dell’asta dei crediti emissivi (in primis i cosiddetti EUA, cioè EU emission allowances), che era stato richiesto per rallentare la caduta del

loro valore (-90% negli ultimi 5 anni). Dopo il voto il prezzo è sceso nell’immediato a 2,63 euro a tonnellata (-40%): un valore insignificante se si pensa che secondo alcuni analisti, per incoraggiare davvero gli operatori a passare a fonti energetiche più rispettose dell’ambiente, il prezzo del carbonio dovrebbe essere superiore ai 50 euro a tonnellata (il picco più alto, a 36 euro, si è toccato nel 2006). Proprio per questo crollo del prezzo del carbonio IREX 2013 certifica una significativa discesa del risparmio derivante dalle mancate emissioni di CO2 nel 2012, risparmi che al 2030 potrebbero portare un gruzzoletto per l’Italia compreso tra 2,9 e 3,6 miliardi di euro. C.F.

| ANNO 13 N. 110 | GIUGNO 2013 | valori | 45 |

FONTE: IREX ANNUAL REPORT 2013 - RINNOVABILI: L’EVOLUZIONE DEL SETTORE ITALIANO NEL CONTESTO INTERNAZIONALE E L’INTEGRAZIONE NELLA POLITICA ENERGETICA

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Stati Uniti, l’autosufficienza energetica mai così vicina di Valentina Neri

Gli Usa, nei primi 10 mesi del 2011, hanno prodotto “in casa” oltre l’80% dell’energia consumata. La produzione di petrolio è ai massimi dal 2003, e il controverso shale gas ha segnato un vero e proprio boom. Anche le rinnovabili, fortunatamente, sono in crescita: per l’eolico il 2012 è stato un anno da record a notizia, riportata a febbraio da Bloomberg, è di quelle che presto potrebbero tradursi in pietre miliari. Nei primi dieci mesi del 2011, stando al dipartimento Usa dell’Energia, l’energia prodotta all’interno dei confini statunitensi ha soddisfatto l’81% del fabbisogno nazionale. Inizia insomma a intravedersi quell’autosufficienza energetica che manca dal 1952 e che libererebbe Washington dai costi – e dalle implicazioni politiche – della dipendenza da altri Paesi. I dati parlano chiaro. La produzione di petrolio ha superato del 3,6% quella dell’anno precedente, arrivando a una media di 5,7 milioni di barili al giorno, la più alta dal 2003. E nell’arco di tre anni potrebbe salire a 7 milioni. In Alaska un terzo dei posti di lavoro è legato all’industria del greggio e resta ancora da sfruttare un potenziale di 10,4 miliardi di barili. Così come sono ancora da sfruttare appieno le sabbie bituminose dell’Alberta, in Canada. Il maxi-oleodotto Keystone XL, percorrendo quasi tremila chilometri, da lì dovrebbe partire per portare il petrolio in Texas. Ma il progetto ha scatenato accese proteste che a febbraio sono arrivate fino alla Casa Bianca, dove, insieme a decine di attivisti, sono stati arrestati anche Bobby Kennedy e il figlio Conor.

L

Un tesoro chiamato gas Ma è il gas naturale l’elemento di svolta per la politica energetica a stelle e strisce. | 46 | valori | ANNO 13 N. 110 | GIUGNO 2013 |

Stando all’Energy Information Administration, la produzione, che lo scorso anno era di 69,2 miliardi di piedi cubi al giorno, nel 2014 supererà i 70. Merito del fracking, la fratturazione idraulica delle rocce, che ha reso possibile l’estrazione di risorse che fino a pochi anni fa sarebbero state pressoché inaccessibili. A patto, però, di un pesante impatto ambientale. L’aumento della produzione inevitabilmente fa crollare i prezzi, che si allontanano sempre di più da quelli applicati nel resto del mondo. Il gas naturale, che nel 2005 era a quota 15,2 dollari per MMBtU, è sceso a circa 3 dollari, un quinto di quanto si paga in Giappone e in Europa. Anche il WTI (il benchmark statunitense per il prezzo del petrolio) mentre scriviamo questo numero di Valori è quotato a 95 dollari, mentre il Brent, il suo omologo europeo, è sopra i 103.

Un ruolo per le rinnovabili Ma il mix energetico non è fatto solo di fonti fossili. Nel 2012 – spiega l’ultimo rapporto dell’Agenzia internazionale dell’energia – negli Usa sono stati installati 3,13 GW di fotovoltaico, che hanno portato la potenza installata totale a superare i 7 GW. Gli Stati Uniti si collocano così al terzo posto a livello globale, dopo Germania e Italia e pressoché allo stesso livello di Cina e Spagna. Il 2012 inoltre è stato l’anno record per l’eolico americano, con 13,1 GW di potenza installata, più della metà dei qua-

li nell’ultimo trimestre. Ma questo picco è dovuto soprattutto al fatto che si temesse la fine degli sgravi fiscali per l’eolico, che invece sono stati riconfermati nel pacchetto sul fiscal cliff. D’altronde c’è chi teme che l’energia pulita possa risultare poco competitiva di fronte al clamoroso calo dei prezzi dei gas e petrolio. Cosa che potrebbe ostacolare i piani di Barack Obama per un Green New Deal, quella crescita “verde” promessa fin dal primo mandato.

Addio import Quel che è certo è che si fa sempre più centrale il ruolo degli States nello scacchiere geopolitico dell’energia. Entro il 2020 potrebbero diventare il principale produttore energetico al mondo, scavalcando la Russia. E si profila il ruolo di esportatore netto: secondo l’IEA già lo scorso anno le esportazioni di prodotti petroliferi raffinati avrebbero superato le importazioni (non succedeva dal 1949) e perché accada lo stesso con il gas naturale basterebbe aspettare l’inizio del prossimo decennio. Se, come stima Bloomberg, entro il 2020 gli Usa faranno a meno di importare 4 milioni di barili di petrolio al giorno, e se il prezzo è di circa 100 dollari al barile, il risparmio sarà di 145 miliardi di dollari. In pratica una netta sforbiciata al deficit commerciale, che l’anno scorso superava di poco i 500 miliardi. Ma non dipendere da nessuno per le importazioni di energia significa anche svincolarsi dal legame coi Paesi arabi, principali esportatori di petrolio e interlocutori particolarmente delicati. Un processo che, in parte, è già avviato: se nel 1999 il 23% del greggio usato negli Usa proveniva dal Golfo Persico, nel 2010 tale percentuale è scesa al 15%. 


| economiasolidale | risorse naturali |

Energia idrovora di Andrea Barolini

Secondo uno studio dell’IEA, entro il 2035 il quantitativo di acqua usata per produrre elettricità passerà dagli attuali 66 miliardi di metri cubi all’anno a 135 miliardi. A causa soprattutto del carbone e dei biocarburanti l quantitativo di acqua dolce utilizzata per produrre energia in tutto il mondo raddoppierà nei prossimi 25 anni. A lanciare l’allarme è un’analisi dell’International Energy Agency (IEA), FONTE: INTERNATIONAL ENERGY AGENCY, CURRENT POLICIES SCENARIO

I

che elenca una serie di fattori scatenanti all’origine di tale impennata. Ma che punta il dito soprattutto contro, da un lato, l’energia prodotta tramite il carbone; dall’altro, il previsto boom dei biocarburanti. Se le politiche attuali rimarranno inalterate, infatti, l’IEA calcola che il sistema produttivo globale diventerà sempre più “idrovoro” in futuro: i 66 miliardi di metri cubi di acqua all’anno utilizzati oggi diventeranno così 135 miliardi nel 2035. Una quota pari al consumo residenziale di tre anni di un Paese come gli Stati Uniti. Di questo enorme quanti-

CRESCE LA SETE DI ENERGIA Miniere di carbone Alimentazione gas

Centrali a carbone

56,7%

Alimentazione gas

Miniere di carbone Biomassa Potenza nucleare

Biomassa Potenza nucleare

14,9% 17,9%

% ,4 10

Olio e gas naturale Centrali a carbone

51,9% 30,4% Biocarburante

Biocarburante

2010

Olio e gas naturale

2035

tativo di acqua – bene che scarseggerà sempre più in futuro – oltre il 50% è (e resterà) utilizzato dalle centrali a carbone: tale fonte di energia supererà il petrolio entro il 2017 e diventerà così la prima in assoluto nel mix energetico globale. Mentre i biofuels, che oggi consumano il 17,9% delle risorse idriche destinate al settore, arriveranno a rappresentare più del 30% del totale (in termini assoluti, l’aumento sarà pari al 242%: dagli attuali 12 miliardi di metri cubi annuali, a 41 miliardi nel 2035). Va detto che non tutti concordano con queste cifre. I produttori di biocarburanti, ad esempio, ritengono che i risultati dell’analisi dell’agenzia parigina siano dipesi da una sopravvalutazione del consumo attuale di acqua da parte di una delle industrie del comparto (quella che produce bioetanolo). E che siano stati, inoltre, ignorati gli sforzi effettuati dal settore per limitare i consumi. La stessa IEA ammette che è complicato fornire stime, in ragione delle grandi differenze esistenti tra le diverse colture. Ma occorre ricordare che i biofuels rappresentano oltre il 50% dell’acqua con| ANNO 13 N. 110 | GIUGNO 2013 | valori | 47 |


| economiasolidale |

sumata per quella che viene considerata la “produzione primaria di energia” (ovvero quella di carburanti, piuttosto che di energia elettrica). Tale quota è destinata a raggiungere il 72% nel 2035, e sembra che il gioco non valga neppure la candela se si considera che, tra 22 anni, i biocarburanti saranno utilizzati solamente dal 5% dei mezzi di trasporto.

Nel 2025 un mondo sempre più assetato Quelle rivelate dall’IEA, dunque, sono stime estremamente preoccupanti, se si tiene conto del fatto che le Nazioni Unite hanno più volte sottolineato come già nel 2025 ben 1 miliardo e 800 milioni

Nelle nuove centrali a carbone, il volume di acqua usato per il raffreddamento è destinato a raddoppiare nei prossimi 20 anni di persone abiteranno in regioni afflitte da gravi problemi di approvvigionamento idrico, mentre due terzi della popolazione mondiale dovrà fare i conti con una riduzione della disponibilità. «È evidente come di fronte a simili dati sia cruciale l’impegno del mondo politico a non promuovere opzioni energetiche ad alto consumo di acqua», ha spiegato al magazine National Geographic San-

LO SHALE GAS MADE IN USA SBARCA NEL REGNO UNITO Saranno circa due milioni le abitazioni inglesi che si scalderanno, a partire dal 2018, grazie allo shale gas di produzione statunitense. È il risultato dell’accordo siglato dalla compagnia britannica Centrica e dall’americana Cheniere: secondo l’intesa, raggiunta alla fine di marzo, la prima pagherà 10 miliardi di sterline in venti anni per ricevere 89 miliardi di piedi cubi di gas all’anno. Abbastanza per fornire energia a 1 milione e 800 mila case. La questione degli approvvigionamenti di gas sta entrando sempre più fortemente nell’agenda politica inglese: il governo è preoccupato per i rischi legati alla dipendenza dalle importazioni in arrivo da Norvegia e Russia. Per questo il primo ministro David Cameron ha spiegato di «accogliere con grande favore l’accordo tra Centrica e Cheniere». Lo shale gas, tuttavia, continua a costituire una fonte di energia estremamente controversa. Esso si trova in natura intrappolato in profondità nelle rocce: la sua estrazione, dunque, prevede la fratturazione tramite getti di soluzione acquosa. Tecnica che presenta aspetti preoccupanti, sia per la salute umana che per l’ambiente, per via degli elementi chimici inquinanti utilizzati nella stessa soluzione. Oltreché, ovviamente, per lo spreco di acqua dolce.

| 48 | valori | ANNO 13 N. 110 | GIUGNO 2013 |

dra Postel, direttrice del Global Water Policy Project. Non basterà, infatti, neppure il progresso tecnologico. Lo stesso National Geographic spiega ad esempio come, nelle centrali a carbone di ultima generazione, il volume utilizzato nel processo di raffreddamento è destinato perfino ad aumentare. E così il consumo complessivo passerà dagli attuali 38 miliardi di metri cubi a 70 miliardi tra poco più di venti anni. Un problema – quello dell’uso di acqua per il raffreddamento – che presentano anche i reattori nucleari, ma che nel loro caso è mitigato dal fatto che essi rappresentano solamente il 13% della produzione globale di energia (cifra che scenderà al 10% nel 2035), il che comporta un utilizzo di acqua pari al 5% del totale. Quanto allo shale gas, la cui tecnica di estrazione implica l’utilizzo di acqua per la fratturazione delle rocce sotterranee nelle quali esso è intrappolato, l’IEA sottolinea che da un punto di vista quantitativo l’impatto globale, per quanto non trascurabile, non è neppure paragonabile a quelli di carbone e biofuels. Il problema del gas da scisto, dunque, sembra legato – piuttosto che alla quantità di acqua usata – alle implicazioni ambientali di tale utilizzo (vedi BOX ).

La soluzione nelle rinnovabili Secondo l’IEA, lo sfruttamento delle tecnologie di “raffreddamento secco” (senza uso di acqua) nelle centrali a carbone potrebbe costituire una soluzione. Il che, però, costerebbe ai produttori tre o quattro volte in più rispetto a quello che pagano oggi per il processo di raffreddamento idrico. Per cui l’agenzia internazionale propone un’altra strategia. L’unica che garantirebbe risultati certi: puntare su fonti alternative. Eolico e solare fotovoltaico, spiega l’IEA, hanno il vantaggio di presentare consumi idrici ridottissimi (ad oggi, gravano sul totale per meno dell’1%). In alternativa, aggiunge infine l’agenzia, per lo meno, si dovrebbe puntare sul gas naturale, che fornisce attualmente il 23% di tutta l’energia prodotta nel mondo, consumando solo il 2% dell’acqua impiegata complessivamente dal settore. 


| economiasolidale | made in italy a rischio/puntata 5 |

Ceramica italiana La salvezza viene dall’estero di Emanuele Isonio

Il settore stoviglie è quasi azzerato dal dumping cinese. Ma l’arrivo di investitori internazionali ha invece salvato dal fallimento nomi storici delle piastrelle tricolore. Con il mercato interno ancora congelato, l’export aiuta le aziende a credere nel futuro come se l’Italia della ceramica fosse tagliata in due da una nuova linea gotica. Al posto delle armate, stavolta a essere divisi sono imprenditori. Identico il settore, diversi i prodotti realizzati. A Nord primeggiano piastrelle e rivestimenti. Al Centro ceramiche sanitarie e stoviglie. E, mentre i primi sono riusciti tutto sommato a sopravvivere alla crisi, nel secondo caso le storie che raccontano gli addetti ai lavori fanno temere che il destino di uno dei settori storici della manifattura italiana sia segnato irreparabilmente. Così come la vita di migliaia di lavoratori, che in alcuni casi sono sopraffatti dalla paura di rimanere senza stipendio. L’ultimo caso il 18 maggio scorso: Gennaro De Luca, 46 anni, padre di due figli, cassaintegrato da alcuni mesi, si è buttato da un ponte di Civita Castellana (Viterbo). L’azienda per cui lavorava – la Ceramica Galassia – avrebbe dovuto licenziare 53 dei suoi 150 dipendenti.

È

Settanta aziende, in media quaranta dipendenti ciascuna, che combattono da quindici anni con una crisi che appare senza fine. A essere colpito è principalmente il settore delle stoviglie. L’aggressione, sotto forma di dumping, ha, ancora una volta, gli occhi a mandorla. «Le importazioni a basso costo dalla Cina – ammette Valentino Vargas, segretario della Filctem Cgil di Viterbo – hanno annientato il settore. L’ultima azienda ha chiuso l’anno scorso. Avevamo cinquemila addetti. Oggi sono 2.800». I tagli hanno lasciato a casa soprattutto le donne, inadatte a essere ricollocate fra le imprese specializzate nella ceramica sanitaria. Ma, dal 2008, quest’ultimo settore sta cadendo sotto i colpi della crisi causata soprattutto dalla flessione della domanda interna. «Circa 40 delle 70 aziende del distretto hanno di fatto già chiuso. E chi rimarrà aperto, subirà pesanti piani di ridimensionamento». I dati Filctem Cgil mostrano che gli ammortizzatori sociali riguardano 1.751 dipendenti: per 1.412 c’è la cassa integrazione, 274 sono in mobilità e 93 hanno stipulato contratti di solidarietà. Un nume-

ro, quest’ultimo, probabilmente inferiore a quello reale. Perché oltre ai contratti “ufficiali”, molte aziende sopravvivono grazie alla buona volontà dei dipendenti. Che in alcuni casi accettano di ricevere gli stipendi con tre, quattro, addirittura sette mesi di ritardo. Fatale la stretta del credito da parte delle banche, che non si limita al blocco dei nuovi prestiti, ma si spinge fino a pratiche ben più odiose: «Alcuni istituti – denuncia Vargas – chiedono il rientro anticipato di crediti già concessi, tagliando qualsiasi speranza di futuro alle aziende». Un pericolo evidentemente reale, visto che, quando parliamo con un dipendente di un’impresa a rischio, ci chiede l’anonimato per lui e per la ditta: «Abbiamo rinunciato alla quattordicesima e lavoriamo gratis un giorno al mese. Ma, ti prego, non dire dove lavoro perché le banche potrebbero imporre il rientro del prestito». «L’impossibilità di accedere al credito – commenta Franco Manfredini, presidente di Confindustria Ceramica – è un problema cruciale perché impedisce la crescita dimensionale delle aziende, gli investimenti in innovazione e l’aumento dei volumi».

Viterbo senza futuro? Nel distretto di Civita Castellana si concentra la produzione dell’Italia centrale, distribuita tra sette comuni del viterbese, a una quarantina di chilometri da Roma. | ANNO 13 N. 110 | GIUGNO 2013 | valori | 49 |


| economiasolidale |

FONTE: CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA CERAMICA

CERAMICA SANITARIA

MATERIALI REFRATTARI

PIASTRELLE

STOVIGLIE DI CERAMICA

2010

2011

Var. %

2010

2011

Var. %

2010

2011

Var %

2010

2011

Var. %

Aziende (numero)

43

41

-

20

20

-

37

37

-

12

12

-

Addetti (numero)

4.378

4.196

-4,16%

23.352

22.189

-4,98

2.216

2.229

0,59%

986

993

0,71%

Produzione (migliaia di tonnellate)

4,88

4,60

-5,61%

387,4*

399,7*

3,17

502,1

507,5

1,07%

13,9

15,4

11,08%

Vendite totali (migliaia di tonnellate)

4,69

4,48

-4,47%

412,8

413,1

0,09

501,5

525,0

4,70%

13,9

15,4

11,12%

… di cui Italia

2,55

2,24

-12,29%

123,6

114,9

-7,03

319,9

346,9

8,46%

11,4

12,2

6,77% 31,19%

… di cui export

2,14

2,24

4,84%

289,2

298,3

3,13

181,6

178,1

-1,91%

2,5

3,2

Fatturato totale (milioni di €)

391,1

378,2

-3,31%

4.629

4.716

1,86

409,2

449,1

9,75%

68,1

68,5

0,61%

… di cui Italia

181,3

159,7

-11,92%

1.216

1.146

-5.75

256,4

290,0

13,12%

53,1

52,8

-0,52%

… di cui export

209,9

218,5

4,13%

3.413

3.570

4,58

152,8

159,1

4,12%

15,1

15,7

4,56%

* milioni di mq

Per fortuna c’è l’export Scene difficili da immaginare per chi non conosce il settore. Al cui confronto la situazione fotografata in Emilia Romagna appare quasi rosea. Lo storico distretto sviluppatosi lungo l’asse Sassuolo-Fiorano è ancora oggi uno dei poli produttivi mondiali per le piastrelle. Qui si concentra l’80% della produzione ceramica italiana che ha fatto segnare nel 2012 un fatturato complessivo di 5,6 miliardi di euro (4,7 in piastrelle, 380 milioni dai prodotti sanitari e 70 milioni dalla stoviglieria). Certamente il confronto con i livelli pre-crisi indica

una condizione comunque delicata (gli addetti passati da 25 mila a poco più di 22 mila, le produzioni di piastrelle diminuite da 500 milioni di metri quadri a circa 400). Ma sperare nella ripresa non è una chimera: «Ritornare ai dati 2007-2008 non è impossibile», commenta Manfredini. «Siamo in grado di intercettare una domanda estera che torna a crescere. E il nostro è ancora oggi uno dei primi tre settori merceologici per quantità di esportazioni. Finisce all’estero l’80% della nostra produzione». Se l’Europa, compresi gli Stati del Nord, è nel pieno della stagnazione, altrove le cose

vanno meglio. È il caso dei “nuovi ricchi”, in Russia e Medio Oriente. Ma anche degli Usa, in cui il settore edilizio mostra segni di ripresa dopo la bolla immobiliare. I dati peggiori si registrano sul fronte interno. Nel 2012 l’acuirsi della crisi del mercato edile ha determinato una riduzione del 17% delle vendite per l’ndustria ceramica. Comprensibile la preoccupazione per il possibile calo degli incentivi sulle ristrutturazioni edilizie, previsto, salvo proroghe, a fine giugno. «Hanno dimostrato di funzionare bene, facendo emergere il nero e stimolando un ammodernamento

A TUTELA DELLE STOVIGLIE EUROPEE ARRIVANO I DAZI ANTICINESI Dopo le piastrelle l’Unione europea ha deciso di usare lo strumento dei dazi anche per tutelare le aziende ceramistiche specializzate in stoviglieria. Il 15 maggio scorso è entrato in vigore il regolamento comunitario che istituisce dazi definitivi nei confronti delle importazioni di porcellana e ceramica da tavola proveniente dalla Cina. L’aliquota del dazio, in vigore per i prossimi cinque anni, varia dal 13,1% al 23,4% per le imprese cinesi che hanno collaborato all’indagine e del 36,1% per tutte le altre aziende. Il procedimento arriva a conclusione dopo un iter di 15 mesi. Tutto era iniziato con la denuncia presentata dai produttori italiani, tedeschi e belgi (circa il 50% dell’industria comunitaria). La Commissione ha dovuto quindi avviare una verifica dell’esistenza di livelli di dumping nelle importazioni

| 50 | valori | ANNO 13 N. 110 | GIUGNO 2013 |

cinesi, secondo quanto richiesto dalle regole del WTO. Rilevante il danno arrecato all’industria comunitaria del settore: negli ultimi cinque anni si sono persi 10 mila posti di lavoro e la quota di mercato dei prodotti cinesi è cresciuta, all’interno della Ue, dal 22 al 65%. La decisione fa seguito a quella, analoga, presa l’anno scorso per tutelare il settore delle piastrelle. L’introduzione dei dazi, in quel caso, ha prodotto subito i risultati sperati: «In dodici mesi l’import dalla Cina è calato del 50%», rivela il presidente di Confindustria Ceramica, Franco Manfredini. «L’uso dei dazi è sacrosanto. Le imprese cinesi, infatti, possono permettersi di abbattere i costi di produzione perché non hanno spese ambientali o diritti sindacali da rispettare. È giusto ristabilire le regole, anche perché solo così si possono tutelare i diritti di imprese, territorio e lavoratori». Em.Is.


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Ma non chiamatele solo piastrelle di Emanuele Isonio

del nostro patrimonio edilizio. Non si capisce perché non lo si renda strutturale, così da permettere alle aziende di poter pianificare strategie e assunzioni su più anni» commenta Manfredini. Una indubbia mano è venuta dai dazi europei (in vigore da un anno nel settore piastrelle e ora estesi alle stoviglie, vedi BOX ) che hanno limitato i danni della concorrenza cinese.

Materiali autopulenti, gres antibatterico, lastre supersottili. L’industria ceramica tricolore affronta la crisi puntando sull’innovazione: l’Italia è al terzo posto per numero di brevetti presentati in Europa, dopo Germania e Francia

Capitali stranieri sulla via Emilia Ma la sfida più stimolante, per garantire il futuro del settore, è l’arrivo di capitali esteri. Gruppi storici sono già passati di mano. Come le Industrie Fincuoghi, acquisite a novembre 2011 dalla turca Kale, leader in patria con il 25% di quote di mercato, terzo produttore ceramico europeo, una donna alla guida, come amministratrice delegata (Zeynep Bodur Okyay). O, a dicembre scorso, la Marazzi, seimila dipendenti, ceduta dall’omonima famiglia alla multinazionale statunitense Mohawk per 1,17 miliardi di euro. «Indubbiamente l’ingresso di investitori esteri impone una sfida al nostro tessuto produttivo», osserva Giordano Giovannini, segretario emiliano della Filctem Cgil. «E, infatti, qualcuno ha cercato di bloccarli. Ma il loro arrivo, che pure va seguito con attenzione, ha dato una scossa al distretto e induce le altre imprese a competere di più e meglio». A dare fiducia è la stima che, nel mondo, hanno i prodotti made in Italy: «I turchi di Kale – spiega Giovannini – hanno capito perfettamente che per guadagnare fette di mercato nella fascia alta, bisogna stare in Italia. È un problema ineludibile di immagine». Non a caso quindi, appena arrivata, la nuova dirigenza turca ha acquistato nuovi macchinari per il sito di Borgotaro della Fincuoghi, che navigava da tempo in cattive acque: «Per il futuro – spiega l’Ad di Kale Italia, Burak Orhun – puntiamo sull’innovazione tecnologica, come la decorazione digitale, per rafforzare le peculiarità che rendono i marchi Edilcuoghi e Edilgres punti di riferimento storici nel settore». 

arlare con gli imprenditori dello storico distretto della ceramica nato tra Modena, Sassuolo e Reggio apre un mondo. Non solo per il piacevole mix di etica del lavoro e pragmatismo emiliano. Ma perché permette di scoprire una realtà nota probabilmente solo tra gli addetti ai lavori: si scopre, ad esempio, che il distretto è uno dei settori industriali italiani che ha più puntato sull’innovazione. A testimoniarlo il numero di domande presentate all’Ufficio europeo dei brevetti (77 su 1845, un terzo solo in Emilia-Romagna) che colloca le aziende ceramiche italiane al terzo posto dopo Germania e Francia. Un tentativo strenuo di strappare il settore a una crisi irreversibile e alla concorrenza internazionale a basso costo.

P

L’ambiente ringrazia Per ora gli effetti più interessanti sono sul fronte ambientale: la filiera ha investito in operazioni di riconversione green 450 milioni di euro (il 10% del fatturato annuo complessivo). Il risultato – rivela l’ultimo rapporto GreenItaly pubblicato dalla

Nonostante una produzione che risulta doppia rispetto al 1980, i consumi energetici del settore sono dimezzati | ANNO 13 N. 110 | GIUGNO 2013 | valori | 51 |


| economiasolidale |

Fondazione Symbola e da Unioncamere – è una riduzione dal 1998 al 2009 del 65% delle emissioni di piombo, fluoro e polveri. Sul fronte energetico, nonostante una produzione doppia rispetto al 1980, i consumi energetici si sono dimezzati. E, a differenza di altri settori industriali, quello della ceramica è in grado di riassorbire la maggior parte dei rifiuti di produzione: per ogni chilo di materie prime minerali usato, il 12% deriva da scarti solidi. Le eccellenze, in tal senso, non mancano. Come la Cooperativa Ceramica d’Imola (data di nascita: 1874, la più antica cooperativa di produzione e lavoro d’Italia), che ha lanciato sul mercato un gres porcellanato che riutilizza il 100% di scarti crudi, il 100% delle acque di processo e recupera interamente i residui di depurazione. Solo un esempio di un elenco potenzialmente sconfinato.

Innovare è indispensabile «Un’azienda che vuole stare sul mercato è obbligata a fare innovazione, soprattutto in un settore di concorrenza perfetta come il nostro. Questa è la realtà con cui dobbiamo confrontarci ogni giorno, quando le cose vanno male, ma soprattutto quando vanno bene, per evitare di farci trovare impreparati». L’analisi è di Mauro Manfredini, direttore commerciale della Casalgrande Padana, azienda tra le più grandi (1.200 dipendenti), sul mercato dal 1960, che ha deciso di investire sulla responsabilità sociale (turn over interno molto basso, relazioni sindacali ottime) e sui nuovi prodotti. Dai suoi stabilimenti, dopo | 52 | valori | ANNO 13 N. 110 | GIUGNO 2013 |

Più che gli incentivi per l’innovazione, servono iniziative per tagliare le tasse sul lavoro e il costo dell’energia e dei servizi due anni di ricerca, è uscito un tipo di piastrelle autopulenti che, grazie a un processo nano tecnologico, abbattono del 99,9% i quattro principali ceppi batterici. Un tipo di rivestimento che, applicato sulle facciate degli edifici, ha la stessa capacità di purificare l’aria di un

bosco delle dimensioni di un campo di calcio e di eliminare la quantità di ossidi di azoto emessa da undici automobili ogni giorno. Una strategia aziendale che fa considerare con scetticismo l’utilità di incentivi per l’innovazione: «Per stimolare la competitività di un’impresa, è molto meglio aiutarla a ridurre i costi, tagliando l’incidenza delle tasse sul lavoro e il prezzo dell’energia e dei servizi. In questo modo premiamo davvero le imprese serie e facciamo uscire dal mercato chi pensa di vivere con gi aiuti pubblici». 

IL MARCHIO CHE DIFENDE IL VERO MADE IN ITALY Il nome in inglese, Ceramics of Italy, rivela l’obiettivo dell’iniziativa: promuovere l’immagine e i contenuti dell’industria ceramica italiana sui mercati esteri. Esigenza quanto mai attuale vista l’incidenza delle esportazioni sul totale delle vendite del settore ceramico italiano. La sua storia parte da lontano: come marchio commerciale nasce negli anni ’70 e dal 2008 viene esteso alle stoviglie e alle ceramiche sanitarie. L’aspetto più rilevante di questo marchio, registrato da Edi.Cer. (l’organizzatore di Cersaie, il Salone internazionale della ceramica organizzato ogni autunno a Bologna) e promosso da Confindustria Ceramica, è nel criterio di concessione del suo uso: «Ceramics of Italy – spiega Franco Manfredini, presidente di Confindustria Ceramica – contrassegna quei materiali caratterizzati da un elevato design, frutto di moderne tecnologie, che realizzano prodotti nel massimo rispetto dell’ambiente, con una grande attenzione alla sicurezza sul posto di lavoro». In pratica i prodotti che possono fregiarsi del marchio non devono solo essere disegnati e progettati in Italia, ma anche interamente realizzati da aziende tricolore, rispettando però gli standard ambientali e di responsabilità sociale. A verificare i requisiti previsti dal protocollo, un organismo indipendente: Certiquality. Il vantaggio, per le aziende che possono usarlo (sono 53 finora e l’elenco completo è su www.laceramicaitaliana.it), è presto detto: «Possono andare sul mercato internazionale con un marchio stimato e riconosciuto. A livello internazionale tutto questo ha un valore molto significativo».


| economiasolidale | democrazia |

Cessione di sovranità, l’altra faccia della globalizzazione di Paola Baiocchi

«L’Italia prosegue sulla strada delle riforme», indipendentemente dall’esito elettorale. Ha detto il presidente della Bce Mario Draghi, sottolineando che il processo di riforma continua come se ormai fosse inserito «il pilota automatico» emi che dovrebbero essere portanti nella nostra democrazia, come la Costituzione, le riforme a cui è stata sottoposta e le prossime che apporterà il Governo Letta (che ha predisposto un ministro per le Riforme costituzionali), riscuotono pochissimo interesse tra gli italiani, troppo occupati a resistere a emergenze come disoccupazione e scomparsa dei servizi pubblici per accorgersi del collegamento tra i fatti. Un collegamento che non è sottolineato dai media, con un silenzio che è vera istigazione all’ignoranza, non offrendo neppure letture utili della crisi economica, che viene usata come grimaldello per forzare la trasformazione. Eppure, riprendendo il politologo Colin Crouch in Postdemocrazia (2003), «è un errore fondamentale ritenere che, poiché la maggior parte delle persone ha perso interesse per la politica, in qualche modo il potere politico tenda a svanire e nessuno lo voglia o ne faccia uso». Così è centrale dare delle risposte costruttive a queste domande: è in corso una cessione di sovranità che corrisponde a una cessione di democrazia? Verso chi si sta operando questa devoluzione? Chi sarà maggiormente danneggiato da queste modifiche strutturali della nostra società?

T

La lettera della Bce del 5 agosto 2011 di Paola Baiocchi

Un organismo privato, la Bce, ha dettato segretamente a due Stati sovrani le modifiche da apportare alle Costituzioni e in tema di politica economico-sociale, in cambio di aiuti finanziari Il 5 agosto del 2011, nel pieno di un feroce attacco speculativo condotto nei confronti delle Borse europee, che ha colpito in particolare le economie di Italia e Spagna, il governatore uscente della Banca centrale europea, Jean Claude Trichet e quello in pectore, Mario Draghi, scrivono una lettera segreta al governo italiano, all’epoca presieduto da Silvio Berlusconi. Solo da poco, in modo del tutto incidentale, si è saputo che anche il governo spagnolo ha ricevuto la lettera dei governatori. La Banca centrale europea, che è un istituto privato, ha chiesto ai due governi di intraprendere una serie di misure di politica economica, in cambio della concessione del suo sostegno attraverso l’acquisto massiccio di titoli di Stato sul mercato secondario. Tutte richieste di portata epocale per l’Italia, come “la piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali e dei servizi professionali”, che dovrebbero “applicarsi in particolare alla fornitura di servizi locali attraverso privatizzazioni su larga scala”. Un intero paragrafo è dedicato alla fine dei Contratti collettivi nazionali di lavoro, da sostituire con la contrattazione aziendale, mentre viene prescritta la revisione delle norme che regolano le assunzioni e il licenziamento dei dipendenti. A questa gravissima ingerenza nelle scelte di politica economica di due Stati sovrani, i governi iberico e italiano hanno cominciato a dare seguito, modificando anche le Costituzioni per introdurvi l’obbligo del pareggio di bilancio.

Trattato sull’Unione europea

Trattato sull’Unione europea

Trattato sull’Unione europea

Trattato che istituisce la Comunità europea

Trattato che istituisce la Comunità europea

Trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Carta dei diritti fondamentali

Carta dei diritti fondamentali

Trattato di Lisbona

Carta dei diritti fondamentali

Costituzione europea

L’unione dei trattati nella Costituzione europea [sinistra] e la struttura uscita dal Trattato di Lisbona che ha emendato i trattati esistenti [destra]

| ANNO 13 N. 110 | GIUGNO 2013 | valori | 53 |


| economiasolidale |

Una Banca che modifica le Costituzioni «La cosa più preoccupante non è la cessione di sovranità verso l’Unione europea che, in qualche modo, si recupera perché si partecipa a pieno titolo alle istituzioni comunitarie come Stati, e anche come cittadini attraverso il Parlamento europeo», spiega la costituzionalista Ines Ciolli. «La vera cessione di sovranità sta avvenendo verso istituzioni non rappresentative come Banca mondiale, Fondo monetario, Banca centrale europea. Istituzioni non elettive e non partecipative, dove c’è la preminenza delle banche e degli istituti finanziari internazionali». «A partire dall’ultimo quarto del secolo passato sovranità e democrazia hanno subito una profonda crisi [...]», scrive Grazia Sanna in Eros o Virus? (Rassegna Avvocatura dello Stato 2/2010). «Non v’è chi non veda come nel mondo globalizzato i poteri economico, finanziario, militare e mass-mediatico si siano trasferiti prevalentemente al di fuori dei confini del diritto statale, in un contesto che li rende sempre più capaci di sottrarsi al controllo giurisdizionale nazionale e, nel contempo, anche di servirsene per i loro fini». La lettera della Banca centrale europea dell’agosto 2011 (vedi ARTICOLO in queste pagine), che in segreto ha dettato a Stati sovrani come Italia e Spagna le riforme costituzionali ed economico-sociali da attuare, è un episodio chiarissimo del potere che organismi economici privati ormai esercitano sui governi, senza nessun collegamento democratico con loro.

I limiti dei movimenti Dopo l’annullamento dell’Accordo multilaterale sull’investimento del 1995 in sede Ocse (vedi BOX ), i movimenti dei cittadini non hanno più segnato punti a loro favore contro i diktat degli organismi sovranazionali. La denuncia verso Fondo monetario internazionale e Banca mondiale, che subordinano sempre la concessione dei loro interventi a modifiche interne agli Stati anche in contrasto con le loro Costituzioni, è andata sbriciolandosi dopo il G8 di Genova. Al contributo portato da Jean Ziegler con il suo La privatizzazione del mondo (2004) non si è dato molto seguito, | 54 | valori | ANNO 13 N. 110 | GIUGNO 2013 |

IL TENTATIVO SVENTATO DELL’AMI, ACCORDO MULTILATERALE SULL’INVESTIMENTO L’Ami è stato negoziato segretamente in seno ai 29 Paesi membri dell’Ocse tra il 1995 e l’aprile del 1997. Proponeva una liberalizzazione molto spinta degli scambi commerciali: vi si stabiliva, tra l’altro, che le multinazionali potessero scegliere in quale Stato le controversie si dovessero decidere, non di fronte a un giudice, ma con degli arbitrati. Qualcosa come affidare le pecore al lupo lasciando alle multinazionali, per esempio, la libertà di risolvere una controversia su tasse evase in un paradiso fiscale. L’Ami è stato bloccato perché divulgato pubblicamente grazie a una “soffiata” e dall’opposizione della Francia. Ma il lavoro che i poteri economici mettono in campo per bypassare gli Stati continua.

La vera “devoluzione” di sovranità è quella verso istituti non elettivi come Banca mondiale, Fmi e Bce tanto che l’attenzione dei movimenti verso la perdita di sovranità è ormai rivolta quasi soltanto a quella alimentare. In questo si evidenziano i limiti dei movimenti, che pensano di riuscire a vincere incidendo su alcuni settori, senza inquadrarli in una visione più generale di cambiamento del sistema economico che solo un partito può dare. E che, storicamente, solo i partiti comunisti sono riusciti a imporre.

Lex mercatoria In ambito Ue il Trattato di Lisbona – secondo Sergio Fabbrini, direttore Luiss School of Government – è andato assumendo “caratteristiche costituzionali” e le decisioni della Corte europea di giustizia «hanno contribuito a istituire un vero e proprio ordine legale sovranazionale, ovvero a costituzionalizzare il funzionamento del mercato comune». Quali sono i caratteri di queste trasformazioni che

sono avvenute gradualmente e «carsicamente» (M. Calise, La Costituzione silenziosa. Geografia dei nuovi poteri, 1998) nell’ambito dei rapporti tra Stati nazionali e interessi sovranazionali? «Non sono caratteri democratici. Si è affermata una lex mercatoria come quella del Medioevo – riprende Ines Ciolli – in cui la regolazione internazionale è basata su accordi di natura privatistica, da risolvere davanti a un arbitro e non a un giudice, dove la legge non è uguale per tutti. Rispetto alle tutele sociali che la nostra Costituzione offre, abbiamo molto da perdere, perché la nostra Carta è molto attenta a limitare i poteri forti». Si tratta insomma di una cessione di sovranità che danneggia soprattutto le classi subalterne trasformate in “consumatori”, che vedono a volte riconosciute delle “clausole contrattuali”, ma perdono ben più importanti diritti sociali. Riprendendo Crouch, in questa postdemocrazia i diritti si riducono all’esercizio del voto: «Anche se le elezioni continuano a svolgersi e a condizionare i governi, il dibattito elettorale è uno spettacolo saldamente controllato, condotto da gruppi rivali di professionisti esperti nelle tecniche di persuasione e si esercita su un numero ristretto di questioni selezionate da questi gruppi. La massa dei cittadini svolge un ruolo passivo, acquiescente, persino apatico, limitandosi a reagire ai segnali che riceve. A parte lo spettacolo della lotta elettorale, la politica viene decisa in privato dall’integrazione tra i governi eletti e le élite che rappresentano quasi esclusivamente interessi economici». 


| consumiditerritorio |

Medicina

Proposte indecenti uando un personaggio ai vertici dello star system lancia delle dichiarazioni scioccanti bisogna ricordarsi che si tratta di persone straordinariamente ben pagate per dire e fare quello che dicono e fanno. La premessa è necessaria dopo la dichiarazione dell’attrice Angelina Jolie di essersi sottoposta a una doppia mastectomia per paura di ammalarsi di can-

Q

di Paola Baiocchi

cro al seno. «Mia madre è morta all’età di 56 anni per un tumore alla mammella, dopo aver lottato per dieci anni», ha dichiarato la Jolie. «Sono portatrice di un gene difettoso per cui ho l’87% di probabilità di avere un cancro al seno e il 50% per quello alle ovaie. Per questo ho deciso di operarmi, riducendo il rischio al 5% e ho deciso di raccontare la storia della mia esperienza perché altre donne possano trarne ispirazione». La Jolie ha già fatto circolare notizie su se stessa abbastanza macabre: come quella di aver stretto con il secondo marito, l’attore Billy Bob Thornton, un patto di sangue suggellato da tatuaggi e da uno scambio di fialette contenenti il loro sangue, da portare al collo. Sappiamo bene che l’esternazione di scelte tanto discutibili quanto intime è funzionale ad alimentare la costruzione del mito nel mondo dello spettacolo. Ma l’ultima dichiarazione dell’attrice è devastante dal punto di vista culturale, perché è stata ripresa da tutti i media internazionali, anche quelli più autorevoli, e rischia di innescare un’ondata di interventi chirurgici per emulazione più che per necessità. Operazioni “alla Jolie” per seguire “l’ispirazione” lanciata da una donna che è un modello, perché considerata bellissima, perché ha avuto grande

trice bella e famosa, il tema della prevenzione pubblica con il quale gli Stati Uniti devono confrontarsi per avviare una vera riforma sanitaria, diventa subito una cosa noiosa, poco spettacolare e per niente eroica. Proprio come la scelta della Jolie, di cui il marito Brad Pitt ha detto: «Decisione eroica». Ma la prevenzione funziona e ha effetti molto meno devastanti per le donne: l’asportazione non è uno scherzo, si perde la sensibilità al seno. Vanno inserite delle protesi, da sostituirsi con successivi interventi chirurgici ogni 10/15 anni. E resta comunque un 5% di ghiandola mammaria per cui bisogna continuare a sottoporsi ai controlli di routine. Se poi il riferimento è alle eroiche Amazzoni mitologiche, nessuna statua dell’antichità testimonia che si tagliassero un seno per tirare meglio con l’arco: anzi sono tanto ben messe da aver fatto pensare che la A che precede l’etimo di seno sia rafforzativa e non privativa. La medicina predittiva dovrebbe servire a mettere in campo la prevenzione più adatta ad ogni individuo. L’uso, invece, che ne fa la Jolie, sembra essere il peggiore possibile e ricorda da vicino la dichiarazione del presidente Bush junior che per evitare gli incendi suggeriva di eliminare gli alberi. 

Una mastectomia costa alle compagnie d’assicurazione molto meno delle terapie successo e ha sposato un altro rappresentante del gradino più alto dello star system, Brad Pitt. In realtà la scelta è estrema e porta sotto gli occhi di tutti una volontà di mutilazione del proprio corpo per accedere al successo che già l’attrice mostra con la sua magrezza. Gli interventi chirurgici sono un’extrema ratio, non una pratica estrema come gli sport e le attività adrenaliniche che sembra piacciano alla Jolie. Soprattutto l’asportazione non la mette al riparo dal cancro, che può comunque svilupparsi, ma che avrebbe potuto non manifestarsi mai in lei. Va anche ricordato che la scelta dell’operazione è quella preferita dalle compagnie assicurative che dettano le linee guida della sanità americana: una mastectomia costa molto meno delle terapie e se a farne la pubblicità è un’at-

| ANNO 13 N. 110 | GIUGNO 2013 | valori | 55 |


???

internazionale

So

Un trapano di luce nel buio del Mali > 61 Maduro e il futuro del Venezuela > 64 L’Iran al voto. Su una polveriera > 65 | 56 | valori | ANNO 13 N. 110 | GIUGNO 2013 |


| stato del mondo |

Il Worldwatch Institute individua nel suo Rapporto 2013 una vera sostenibilità fatta di tanti elementi: dal superamento del Pil al contrasto alla diseguaglianza.

stenibilità:

Lo sviluppo sostenibile è solo un termine vuoto, un’etichetta che indica qualsiasi cosa sia un po’ meno dannosa per il Pianeta? Se, invece, indica un modello di società è ora di renderlo praticabile

realtà o bolla? di Valentina Neri iviamo nell’era della sustainababble». Si apre con questo neologismo, pressoché intraducibile, lo State of the world 2013 pubblicato ad aprile dal Worldwatch Institute. Ma, se è difficile trovare un corrispettivo italiano per il termine, che unisce “sostenibilità” e “bolla”, il significato è chiaro. Quotidianamente ci viene proposta una serie apparentemente inesauribile di prodotti, servizi e attività presentati come “sostenibili”. Sono “sostenibili” le automobili, il design, persino le Olimpiadi. Ma, così facendo, non si fa che inflazionare il termine, che, piano piano, diventa un’etichetta applicata a qualsiasi cosa risulti anche solo leggermente meno dannosa rispetto alle proposte tradizionali.

«V

| ANNO 13 N. 110 | GIUGNO 2013 | valori | 57 |


FONTE: WORLDWATCH INSTITUTE

| internazionale |

GRAFICO 1 PIL E INDICATORE DI PROGRESSO REALE A CONFRONTO, STATI UNITI, 1950-2004 50.000

[dollari per persona]

40.000

30.000

Pil 20.000

10.000

Indicatore di progresso reale 0 1950

1957

1964

1971

La provocazione è drastica e non priva di una buona dose di ironia. È arrivata l’ora di mettere nel cassetto il concetto di sostenibilità, ormai svuotato di significato? O, viceversa, i tempi sono maturi per concretizzarlo? Il presidente del Worldwatch Institute, Robert Engelman, è netto: biso-

1978

1985

1999

2006

gna trovare un’unità di misura per la sostenibilità. E non è impensabile come potrebbe sembrare. La prima a parlare di sviluppo sostenibile è stata la Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo. Ventisei anni fa, nel documento Our Common Future, lo definiva come «uno sviluppo

Prezzi alimentari, il boom non si ferma di Valentina Neri

I più instabili sono i prezzi dei cereali, cresciuti negli anni Duemila più dell’80%. Sul fronte del contrasto alla speculazione si registra qualche novità positiva +104,5%. Un tasso di crescita impressionante, che non è solo un dato numerico, ma tocca molto da vicino le vite di intere popolazioni. Di tanto, infatti, è aumentato l’indice globale dei prezzi alimentari fra il 2000 e il 2012. In media ogni anno i prezzi del cibo sono cresciuti del 6,5%. Nel 2012 l’aumento è del 2,7%: inferiore alla media del decennio precedente, ma sufficiente per raggiungere livelli che non si vedevano da decenni. A dirlo sono i dati della Banca mondiale, raccolti dal Worldwatch Institute nell’ultimo Vital Signs pubblicato ad aprile. Quello dei prezzi alimentari è un andamento molto particolare (vedi GRAFICO 2 ). Fatta eccezione per il picco raggiunto con la crisi del 1974, fra il 1960 e il 1999 era gradualmente calato, perché domanda e offerta aumentavano parallelamente: la popolazione infatti era più che raddoppiata ma, nel frattempo, cresceva la disponibilità di aree coltivate. Da dove nasce, quindi, la netta inversione di tendenza del nuovo

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1992

che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni». A questo punto basta porsi una domanda: se le cose andranno avanti esattamente così, quali saranno le conseguenze sui nostri figli? Partendo da questo presupposto si capisce che le scelte di facciata non bastano. Perché se ci limitiamo a ragionare al ribasso, cercando solo di migliorare leggermente rispetto al passato, non facciamo che spostare il problema in avanti di cinque, dieci o vent’anni. E il problema è uno: continuiamo a sfruttare risorse destinate a esaurirsi. Di fatto, “consumiamo il Pianeta”.

Il Pianeta consumato Nel 2008 l’umanità ha consumato 68 miliardi di tonnellate di materiale: dai metalli ai minerali, dai combustibili fossili alle biomasse e altro ancora. Vale a dire 10 tonnellate a testa, 27 chili al giorno.

millennio? Innanzitutto – spiega il Worldwatch Institute – i prezzi alimentari sono diventati molto più volatili. Non è un fenomeno inedito: i rendimenti agricoli da sempre sono influenzati dalle condizioni meteorologiche. Ma i dati della Fao spiegano che la deviazione standard (vale a dire la misura dello scostamento dalla media del periodo) fra il 1990 e il 1999 era ferma a 7,7 punti. Fra il 2000 e il 2012 invece volava a 22,4. E i più instabili in assoluto sono i prezzi dei cereali, che negli anni Duemila sono cresciuti di oltre l’80%. All’inizio del 2013 mais e grano costavano rispettivamente l’11 e il 17% in più rispetto a un anno prima. Di fronte a cambiamenti così radicali, il meteo c’entra poco. A influire, piuttosto, è l’aumento della popolazione, guidato dall’Asia, che per giunta ha visto quasi raddoppiare il reddito pro capite. A differenza di quanto accadeva nel secolo scorso, l’offerta di cibo non è riuscita a stare al passo: se la sua crescita fra il 1990 e il 1999 era pari allo 0,44% annuo, nei dieci anni successivi si fermava al +0,35%. Colpa, secondo il Worldwatch Institute, anche del fatto che sempre più terreni vengono destinati alla produzione di biocarburanti. Ma anche delle maxi-importazioni (come quelle di soia da parte della Cina) e, viceversa, delle barriere all’export adottate da un numero sempre più consistente di Stati, che hanno fatto schizzare verso l’alto i prezzi. Impossibile, inoltre, tacere sul ruolo della speculazione. Gli asset finanziari sul cibo – scrivevamo su Valori di ottobre –, che nel 2006 valevano 65 miliardi di dollari, nel 2011 ne valevano 126. Gli speculatori hanno ormai in mano il 62% del mercato dei cereali; nel 1996 ne controllavano solo il 12%. Il Worldwatch Institute è prudente e chiarisce che non è stato ancora stabilito


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Il Worldwatch Institute, istituto di ricerca fondato nel 1974 da Lester Brown, ha pubblicato ad aprile il suo annuale Rapporto sullo stato del mondo, in cui si interroga sulla realizzabilità della sostenibilità

FONTE: WORLDWATCH INSTITUTE

L’equivalente di un Pianeta e mezzo. Le differenze tra l’uno e l’altro capo della Terra, com’è facile immaginare, sono abissali: se nel Sudest asiatico la media si ferma a 3,3 tonnellate ciascuno, nel Nordamerica sale a 27,5. Se tutti consumassero come gli americani, la Terra potrebbe sostenere soltanto un quarto dell’attuale popolazione. E bisogna far fronte all’avanzata dei Paesi emergenti. Negli anni Ottanta all’Asia bastavano 4,7 miliardi di tonnellate: nel 2008 ne ha consumati 21,1 miliardi. Tendenzialmente si è portati a pensare che maggiori consumi siano associati a un

GRAFICO 2 PREZZI ALIMENTARI MONDIALI, 1960-2012 300

[dollari Usa 2005 = 100]

250 200 150 100 50 0

1960 1965 1970 1975 1980 1985 1990 1995 2000 2005 2010

tenore di vita più alto e quindi al benessere. Ma, così facendo, non si tiene conto ad esempio di piaghe come l’obesità, che solo negli Usa ogni anno si porta dietro 270 miliardi di dollari in costi sanitari. Né delle conseguenze devastanti del cambiamento climatico, dovuto proprio all’eccessivo sfruttamento delle risorse.

Verso la “vera” sostenibilità La strada che il Worldwatch Institute individua verso una “vera” sostenibilità è fatta di tanti elementi a cui questo giornale ogni mese dedica ampio spazio. A partire dal superamento del Pil (vedi Valori n. 109, maggio 2013). Per il Pil – si legge nel rapporto – anche un incidente a una piattaforma petrolifera è un fattore positivo, perché la perdita di greggio andrà ripulita e quindi si darà il via a un’attività economica. Un indicatore alternativo come il GPI (Genuine Progress Indicator vedi GRAFICO 1 ), invece, esamina anche il

capitale umano, naturale e sociale, partendo dal presupposto per cui i beni materiali servono quando migliorano la qualità della vita. Ma un mondo più sostenibile deve anche essere meno diseguale. Servono quindi meccanismi redistributivi del reddito, che possono essere fiscali, oppure passare per la riqualificazione di aree disagiate e l’accesso più equo all’istruzione. O, ancora, per il contrasto all’eccessiva finanziarizzazione dell’economia e agli incredibili squilibri fra gli stipendi milionari dei manager e quelli dei loro dipendenti. Le imprese senza dubbio sono chiamate a fare la loro parte. Perché da loro non deriva solo il 60% dell’output economico, ma anche le esternalità, vale a dire gli effetti negativi per l’ambiente e la società, che nel 2008 valevano 7 mila miliardi di dollari: l’11% del volume dell’economia globale. E il 35% di esse (più di 2 mila miliardi di dollari) è imputabile a so-

CONFRONTO TRA CONSUMO EQUO DELLA TERRA, MEDIA MONDIALE E PAESI AD ALTO CONSUMO [per persona] Misure di consumo Calorie giornaliere disponibili Consumo di carne [kg per anno] Spazio vivibile [mq] Persone per famiglia Uso di energia in casa in GW [per anno] Uso di energia in casa in kW/h [per anno] Proprietà di veicoli a motore Uso di veicoli a motore [km per anno] Viaggi aerei [km per anno] Emissioni di anidride carbonica [t per anno] Aspettativa di vita [anni]

in modo esatto il legame tra la speculazione sulle commodities e i prezzi. Ma la società civile, capeggiata da Oxfam, alza la voce da tempo. E inizia a ottenere le prime vittorie, visto che a marzo Deutsche Bank, che alla fine del 2010 gestiva 3,8 miliardi di contratti, ha deciso di non emettere nuovi Etf sulle commodities alimentari. Il suo esempio è stato seguito all’inizio dell’estate da Commerzbank, DekaBank e dalla Banca regionale del Baden-Württemberg, e ad agosto dall’austriaca Volksbanken. All’inizio di quest’anno sono state le francesi Bnp Paribas e Crédit Agricole, e la londinese Barclays, ad abbandonare la speculazione sul cibo. Anche gli hedge fund sono in ritirata: l’agenzia Bloomberg segnala che ad aprile si è verificato un calo delle

Consumo equo: 1 pianeta

Media mondiale: 1.5 pianeti

Alto consumo: 3 pianeti

2.424 20 8 5 8,4 2.300 0,004 582 125 2 66

2.809 40 10 4 12,6 3.500 0,1 2.600 564 4 67

3.383 100 34 3 33,5 9.300 0,5 6.600 2.943 14 79

scommesse sulle materie prime che non si vedeva dal 2008. La speculazione sembra fare un passo indietro, dunque. In un momento che potrebbe rivelarsi cruciale. Complice il cambiamento climatico, infatti, i prezzi sono destinati a essere sempre più alti e sempre più variabili. L’unica soluzione, secondo la Fao, è data da nuovi investimenti strutturali nell’agricoltura. Altrimenti si rischia di lasciare campo libero a un boom dei prezzi che ha già mostrato le sue conseguenze pesantissime soprattutto sulle popolazioni più povere. Tra giugno del 2010 e aprile del 2011, riporta la Banca mondiale, il +57,9% dei prezzi dei cereali ha trascinato 44 milioni di persone nella condizione di estrema povertà; l’equivalente di uno Stato come l’Ucraina.

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| internazionale |

le 3 mila aziende. Con il modello delle Corporation 2020, proposto da Pavan Sukhdev (di Deutsche Bank, lavora al Programma ambientale delle Nazioni Unite), vengono tassati l’uso di combustibili fossili e lo sfruttamento delle risorse, più che i profitti. Si introduce un limite alla leva finanziaria, soprattutto per le aziende too big to fail (banche e non solo). L’attività pubblicitaria e di marketing è monitorata da vicino e resa più trasparente. E soprattutto si tracciano tutte le esternalità, positive o negative, in modo da includerle nel bilancio. Così si riuscirebbe a quantificare, e limitare, le emissioni derivanti dai combustibili fossili. Ma il rapporto propone di fare un passo in più. Carbone, petrolio e gas non sono insostenibili solo nel momento in cui vengono utilizzati, ma fin dalla loro estrazione. Perché, dunque, non lasciarli almeno in parte nel sottosuolo? Ci ha già provato il Costa Rica, che nel 1994 aveva aperto alle esplorazioni petrolifere delle compagnie straniere, della texana Harken Energy. Ma la società civile si è subito mobilitata contro un’attività che avrebbe inquinato le acque e compromesso la biodiversità, e di conseguenza la

pesca, sostentamento della popolazione. In seguito alle proteste popolari, nel 2002 è stata approvata una moratoria sull’estrazione. In Ecuador il presidente Rafael Correa nel 2007 ha lanciato l’ambizioso progetto Yasuní-ITT, che propone di lasciare nel sottosuolo il 20% delle riserve di petrolio note, cioè 846 milioni di barili. I proventi della loro estrazione sono stimati in 7,2 miliardi di dollari in tredici anni.

L’Ecuador ne chiede la metà, circa 350 milioni di dollari all’anno, alla comunità internazionale, chiamata a finanziare l’iniziativa in ragione della tutela dell’ecosistema. Un’idea visionaria, ma che sta iniziando a incontrare alcune prime aperture anche dai Paesi arabi. Le proposte più coraggiose insomma arrivano dai Paesi del Sud del mondo, i primi a fare i conti con le conseguenze dello sfruttamento delle proprie risorse. Lo stesso Ecuador, ad esempio, è tuttora coinvolto nella lunga contesa legale contro Chevron-Texaco, che si rifiuta di pagare il risarcimento da 18 miliardi di dollari a cui è stata condannata. Gli Usa invece sembrano aver intrapreso una direzione opposta. Grazie al fracking, tecnica controversa che si è attirata l’opposizione delle comunità locali, riescono a estrarre riserve di gas naturale che in passato sarebbero state inaccessibili. E vi fanno leva per raggiungere l’autonomia energetica. Ma – afferma con forza il rapporto – non è più tempo per puntare allo sviluppo chiudendo gli occhi di fronte alle sue conseguenze. Non puntare sulla sostenibilità, quella vera, potrebbe rivelarsi una scelta da pagare a caro prezzo. 


| internazionale | energia solidale |

Un trapano di luce nel buio del Mali di Corrado Fontana [foto Matteo Ferroni, www.eland.org]

Un piccolo lampione a energia solare ricavato da pezzi di vecchie bici, pensato per essere costruito e utilizzato con facilità. L’idea è di un architetto italiano per un progetto internazionale che rischiara le notti e migliora la vita dei villaggi africani del Mali ella lingua Bambara la torcia elettrica è chiamata “trapano del buio”, come dire che il problema non è illuminare, ma tagliare l’oscurità; similmente ho pensato che servisse uno spazio per svolgere le attività collettive, ovvero un’ “ombra d’albero nella notte” sotto una luce intensa e netta, quasi teatrale», così racconta Matteo Ferroni, architetto e ideatore del lampione protagonista della copertina di Valori di marzo scorso. L’abbiamo intervistato per scoprire la genesi di un progetto internazionale che funziona in Mali come ponte tra cultura e tecnologia sostenibile: «Ho pensato alla luce come un fenomeno

«N

culturale e non un’innovazione tecnologica. Anzi, la tecnologia è stata la conseguenza ed è valorizzata proprio da aspetti culturali come l’organizzazione sociale e il linguaggio. Perché tradizionalmente, nei villaggi, persone e cose appartengono a un gruppo, esiste cioè il bene collettivo, ovvero un oggetto di cui non si è proprietari, ma custodi! Così ho pensato che anche la luce potesse diventare un utensile comunitario di coesione sociale, invece di un prodotto di consumo individuale». C’è stata interazione con gli abitanti? Il lavoro è nato come ricerca, senza l’aspettativa di un seguito immediato. Quin-

di non me la sentivo inizialmente di coinvolgere gli abitanti e ho cominciato a osservare con discrezione, preferendo gli appunti scritti alle foto. I primi a interessarsi al mio lavoro sono stati alcuni giovani, anche laureati, che poi hanno costituito un’associazione per diffondere le luci nella comunità. L’interazione con gli abitanti dei villaggi è cominciata quando ho fabbricato il primo prototipo. Quale rapporto hanno gli abitanti dei villaggi con la tecnologia, l’energia e la luce? La tecnologia fa parte della loro vita quotidiana: telefonini, torce elettriche, pannelli solari, radio, macine meccaniche, scooter, vaccini, semenze selezionate. Di notte limitano però le attività alle fasi di luna piena o alla disponibilità di lanterne a petrolio e torce elettriche. Ma la cosa più affascinante credo che sia il

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| internazionale |

rapporto che c’è tra uomo e macchina. Ogni macchina ha un suo operatore che sa farla funzionare e ne va orgoglioso. Un’intimità che mi sembrava importante mantenere, dando alla luce un suo operatore, ovvero i bambini, che in fondo sono anche una fonte di energia. Come la sua invenzione sta trasformando la vita nei villaggi? Questa luce aiuta a unire le persone in attività collettive (il mulino, l’alfabetizzazione, la raccolta dell’acqua alla fontana, l’abbattimento di bestiame per vendere la carne e le cerimonie) o viene noleggiata individualmente per impieghi come la vendita di legna al bordo della strada, lavori artigianali, i parti.

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Inaspettata è stata però la rapidità con cui è entrata nelle abitudini e alcuni usi prima inimmaginabili, come la vaccinazione dei pulcini o le sepolture notturne: di norma in queste comunità i morti si seppelliscono prima del tramonto o dopo l’alba, perché il cimitero si trova appena fuori dal villaggio, e per conservare il corpo durante la notte usano massaggiarlo con erbe. Però, nella stagione più calda, questo non basta a evitare la decomposizione (soprattutto dei bambini), e allora, quando qualcuno muore nel pomeriggio, va tumulato prima del tramonto, perché con le pile non c’è abbastanza luce per farlo di notte, e ciò impedisce a conoscenti e parenti che vengono da più lontano di arrivare in


| internazionale |

tempo per dare l’ultimo saluto. In tali casi ho visto perciò usare il lampioncino portatile, per aspettare il momento giusto e andare al cimitero a seppellire il corpo anche col buio. Qual è lo stato di sviluppo del progetto? Abbiamo lavorato su un’area di 70 villaggi con 36.500 abitanti. Ad oggi ci sono 42 luci in 10 villaggi: essendo un oggetto collettivo si riesce a soddisfare le necessità reali di un villaggio con 4-6 lampioncini portatili, invece di decine di lampioni pubblici. Fabbricare una luce costa 240 euro e richiede una piccola batteria da 12V/12A che alimenta un modulo Led che illumina per 6 ore. I prossimi passi saranno quelli di far fabbricare

il modulo Led localmente per abbattere i costi e rifornire altri 10 villaggi. Ed è stata una bella sorpresa vedere che alcuni villaggi hanno raccolto spontaneamente 60 vecchi telai di biciclette per fabbricare altre luci. 

SITI INTERNET Sul sito web www.elandworkshop.org si trova un video dell’esperienza di Foroba Yelen (come è chiamata nella lingua locale la luce collettiva dei lampioni) e molte informazioni sul progetto sviluppato dalla Fondazione eLand, insieme con ADM Faso Gnetàa (associazione di giovani nata a sostegno del progetto nel Commune Rurale de Cinzana) e con il supporto della Casa delle culture del mondo di Berlino (Haus der Kulturen der Welt - www.hkw.de).

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| internazionale | osservatorio america latina |

“Il nostro agente all’Avana” Nicolás Maduro e il futuro del Venezuela di Matteo Cavallito

L’ex ministro degli Esteri e fedelissimo di Chávez ha conquistato la poltrona presidenziale. Ma il consenso è ai minimi storici. E la tensione è alle stelle l 14 aprile scorso il candidato chavista Nicolás Maduro ha vinto le elezioni presidenziali venezuelane sconfiggendo il leader dell’opposizione Henrique Capriles con uno scarto minimo. Le accuse di brogli non sono mancate e gli Stati Uniti non hanno ancora riconosciuto ufficialmente il risultato. Maggioranza e opposizione si scambiano accuse pesantissime: una rissa divampata durante una sessione del parlamento si è conclusa con sette feriti. Gli scontri per le strade dopo le elezioni hanno lasciato sul terreno sette morti. «Niente brogli, le elezioni sono state regolari – sostiene Alfredo Luis Somoza, giornalista e presidente di Icei (Istituto Cooperazione Economica Internazionale) – solo che ci sono stati due vincitori: Chávez e Capriles. Non certo Maduro». Il delfino dello storico leader bolivariano, insomma, sembra aver conFONTE: CONSEJO NACIONAL ELECTORAL (WWW.CNE.GOB.VE), NOSTRA ELABORAZIONE. DATI PERCENTUALI. LA CONSULTAZIONE DEL 15 AGOSTO 2004 CONSISTEVA IN UN REFERENDUM CONFERMATIVO DELLE ELEZIONI DEL 2000

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quistato la vittoria grazie soprattutto al credito di consenso accumulato dal suo predecessore. Un tesoretto di popolarità che si è eroso negli ultimi mesi dopo essersi già ridotto progressivamente, per altro, tra il picco del dicembre 2006 e l’ottobre dello scorso anno, in occasione dell’ultima vittoria di Chávez ( GRAFICO ).

Il fattore C (come Cuba) Nel corso di quei sei anni Nicolás Maduro ha trascorso molto tempo a Cuba come ministro degli Esteri. Un ruolo prezioso che potrebbe essere stato addirittura decisivo nel superare l’altro aspirante candidato, il presidente dell’Asemblea Nacional, Diosdado Cabello Rondón. Il petrolio low cost di Caracas è un sostegno fondamentale che Cuba, ricorda ancora Somoza, avrebbe ricambiato con un apporto decisivo nei servizi di sicurezza di Caracas. Il mu-

VENEZUELA: DIVARIO MAGGIORANZA/OPPOSIZIONE ALLE PRESIDENZIALI 1998-2013 65,00

62,84

60,00 55,00

59,76

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tuo scambio, accompagnato dalla volontà di Chávez di rafforzare un fronte comune con i governi più “vicini” del Subcontinente (Ecuador, Bolivia e Nicaragua) avrebbe fatto il resto. «Chávez con ogni probabilità non è morto lo scorso 5 marzo a Caracas – sostiene ancora Somoza – ma è deceduto a Cuba qualche settimana prima. Il suo decesso è stato probabilmente tenuto nascosto in attesa di risolvere il nodo della successione, sul quale L’Avana avrebbe avuto un peso decisivo favorendo la scelta del fedelissimo Maduro».

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I diavoli di Maduro A due settimane dalla sua vittoria elettorale, Maduro ha accusato l’ex presidente colombiano Álvaro Uribe di essere alla testa di un complotto per assassinarlo. Nello stesso periodo, ha definito pubblicamente Obama el jefe mayor de los diablos (il grande capo dei diavoli), compiendo così una pessima mossa diplomatica sulla strada del riconoscimento del risultato elettorale da parte di Washington (necessario al rafforzamento della sua leadership) e tradendo, di fatto, gli insegnamenti del suo predecessore. Uno che, come noto, amava sì la retorica anti yankee, ma non difettava certo di sensibilità nei confronti delle priorità politiche. La stesse priorità, per altro, con cui dove fare i conti oggi Maduro, chiamato a invocare aiuti energetici e alimentari a Brasile, Argentina e Uruguay. Ad aprile l’indice di scarsità elaborato dalla Banca centrale venezuelana, l’indicatore che misura la difficoltà di reperimento dei beni di consumo, ha raggiunto il 21,3%, il livello più alto dal 2009. L’anno in cui sono iniziate le misurazioni. 


| internazionale | osservatorio medioriente |

L’Iran al voto Sopra una polveriera di Paola Baiocchi

Medicinali e valuta pregiata come l’euro cominciano a scarseggiare a causa dell’embargo dell’Unione europea. L’accerchiamento condotto da Israele, assieme alle principali monarchie del Golfo e agli Usa, mette a dura prova la popolazione. erano anche 12 donne tra i 686 candidati che si sono presentati per le elezioni presidenziali iraniane del 14 giugno. Il Consiglio dei Guardiani della Costituzione, ha comunicato gli 8 nomi selezionati con l’approvazione dall’Ayatollah Ali Khamenei. L’attuale presidente Ahmadinejad non è più rieleggibile dopo due mandati e anche il suo pupillo, il consuocero Esfandiar Rahim Mashaei, non potrà partecipare alle elezioni. Escluso anche il moderato ex presidente Hashemi Rafsanjani, non abbastanza allineato con Khamenei. La situazione del Paese non è facile: crescono le pressioni di Israele, con Netanyahu che ha più volte dichiarato di considerare il 2013 l’anno fatidico per fermare lo sviluppo dell’atomica iraniana. E a gennaio il giornale britannico Sunday Times ha riportato la notizia di un’esplosione in profondità nella centrale di Fordow. Poi il Sunday Times ha rivelato un’intesa per una cooperazione missilistica tra Israele, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Turchia e Giordania, chiamato patto della Mezzaluna, contro possibili attacchi iraniani. La regia sarebbe di Washington, che in funzione anti iraniana ha in preparazione anche

C’

LA ROSA DEGLI OTTO CANDIDATI Nessun riformista tra gli otto prescelti, Moussavi e Karroubi, tra i protagonisti delle manifestazioni dopo le elezioni del 2009 sono ancora bloccati agli arresti domiciliari. I candidati sono tutti fedelissimo di Khamenei e già inseriti con diverse responsabilità in ruoli istituzionali. Il candidato visto come favorito è il segretario del Supremo Consiglio per la Sicurezza Saeed Jalili, 47 anni, stretto collaboratore di Khamenei e capo negoziatore sul dossier nucleare che per il suo incarico è conosciuto da diplomatici occidentali di alto livello in sedi internazionali. C’è poi Mohammad Gharazi ex ministro delle Telecomunicazioni; l’ex direttore del Centro per le ricerche strategiche Hassan Rohani; l’ex primo vice presidente Mohammad Reza Aref; il capo del Consiglio di discernimento degli interessi dello Stato Mohsen Rezaei. Ammesso il sindaco di Teheran Mohammad-Baqer Qalibaf, che si presenta appoggiato da sostenitori che indossano sciarpe o braccialetti gialli, che ricordano il voto del 2009 quando i sostenitori di Mousavi mettevano qualcosa di verde. L’ultra conservatore Qalibaf, 52 anni, molto vicino a Khamenei, è un ex comandante della forza aerea delle guardie rivoluzionarie e un ex capo della polizia iraniana. Si era presentato in una coalizione formata anche dall’ex ministro degli Esteri Ali Akbar Velayati e Gholam Ali Haddad Adel, ex presidente del Parlamento, anche loro ammessi. Pa. Bai.

un super sistema di difesa nel Qatar, come riportato dal Wall Street Journal, a integrazione della Al Udeid Air Base.

Saltato l’import/export Italia-Iran L’Iran viene dipinto come un Paese canaglia, non solo dai media italiani, ma anche dal Consiglio dell’Unione europea che ha inasprito l’embargo perché sospenda il programma nucleare. Anche se non è provato sia per fini militari. L’embargo danneggia l’Iran, dove scarseggiano i medicinali e la valuta pregiata come l’euro. Ma nuoce molto anche all’Italia che, con 3,41 miliardi di euro l’anno, è il primo importatore europeo di petrolio iraniano, per il quale abbiamo raffinerie adatte. Ed è il secondo partner commerciale europeo del Paese verso il quale secondo l’Istituto per il commercio estero nel 2011 ab-

biamo esportato per 1,04 miliardi di euro (meno 21% rispetto al 2010 a causa delle precedenti sanzioni). Con l’embargo abbiamo perso lo sbocco per prodotti strumentali, materiali per concerie, veicoli e trattori, farmaceutici, carta, stoffe, abbigliamento. Abbiamo bloccato il comparto alimentare, cresciuto del 250% nel 2011. Fatto saltare commesse di caldareria per serbatoi per gas o petrolio. Mentre non potremo esportare in Iran tecnologie per il settore della cantieristica navale o costruire nuove petroliere per Teheran, nonostante i nostri cantieri siano in crisi. Intanto i pistacchi iraniani che coprono il 54% della produzione mondiale e sono considerati i migliori del mondo sono scomparsi dagli scaffali dei supermercati e delle botteghe equosolidali. Sostituiti dai pistacchi del Texas.  | ANNO 13 N. 110 | GIUGNO 2013 | valori | 65 |


altrevoci CHERNOBYL CAPITOLO CHIUSO SOLO NEL 2065 Centottanta miliardi di dollari nei prossimi tre anni. È la cifra mastodontica che si potrebbe dover sborsare per mettere in sicurezza il sito nucleare di Chernobyl. A dichiararlo, in occasione del 27esimo anniversario dell’incidente, è stato il presidente dell’Ucraina, Viktor Yanukovych, che ha spiegato come, «al fine di ridurre le perdite economiche conseguenti alla catastrofe», sia necessario «proporre un programma per tutte le regioni coinvolte dall’esplosione della centrale nucleare del 1986». Ad oggi – ha sottolineato il quotidiano ambientale francese Enerzine – resta ancora moltissimo lavoro da fare per le 2.700 persone che lavorano nella centrale. Per questo il parlamento ucraino si è visto costretto a deliberare un programma in quattro tappe: l’estrazione del combustibile nucleare (da completare nel periodo 2010-2013), la conversione dei reattori (2013-2022), l’abbassamento dei livelli di radioattività (2022-2045) e infine il definitivo smantellamento (2045-2065). È chiaro, dunque, che quasi un secolo dopo il disastro, il mondo potrebbe avere ancora gli occhi puntati su Chernobyl! Alla fine di aprile il primo ministro ucraino Mykola Azarov ha annunciato che i lavori per la costruzione del nuovo “sarcofago” di sicurezza dovrebbero essere conclusi entro il 2015. [A.BAR.]

CO2, AUMENTANO LE EMISSIONI MA L’AGRICOLTURA È PIÙ EFFICIENTE

CLIMA, A RISCHIO LA VITA SULLA TERRA

SUDAMERICA, SAVE THE CHILDREN: MEGLIO NASCERE A CUBA

Nel corso del 2010, l’ultimo anno per il quale sono disponibili dati più recenti, le emissioni gassose prodotte nel settore agricolo a livello globale hanno raggiunto quota 4,69 miliardi di tonnellate di CO2 con un aumento del 13% nello spazio di vent’anni. Il livello di emissioni annuali derivanti dal trasporto hanno raggiunto nello stesso periodo i 6,76 miliardi di tonnellate contro i 12,48 registrati nella produzione di energia elettrica. Il ritmo di crescita delle emissioni greenhouse è comunque inferiore di 1,6 volte al tasso di espansione del segmento agricolo evidenziando così un aumento dell’efficienza energetica di tali attività. Lo ha segnalato a maggio il Vital Signs Online service del Worldwatch Institute (www.worldwatch.org). Le principali cause di emissioni nel settore sono da attribuire alla decomposizione delle materie organiche e alla digestione animale. Queste ultime, in particolare, sono cresciute del 7,6% nel ventennio in esame (1990-2010) con enormi variazioni a livello continentale: +51,4% in Africa, +28,1% in Asia, -16,1% in Oceania, -48,1% in Europa. Nella Top 5 delle nazioni caratterizzate dalle maggiori emissioni dalle coltivazioni organiche ci sono ben quattro Paesi asiatici: Indonesia (278,8 milioni di tonnellate), Papua Nuova Guinea (40,8), Malesia (34,5) e Bangladesh (30,6). [M.CAV.]

Oltre il 50% delle specie vegetali attualmente conosciute, e un terzo di quelle animali, rischiano di non riuscire a sopravvivere al di là del 2080. Ad affermarlo è un rapporto dell’università inglese di East Anglia, che punta il dito contro il cambiamento climatico. Secondo l’analisi, le emissioni di gas a effetto serra porteranno il Pianeta a vedere la propria temperatura media più alta, alla fine del secolo, di circa 4 gradi centigradi rispetto ai livelli pre-industriali. Lo studio ha riguardato quasi 49 mila specie: di queste – secondo le conclusioni pubblicate sulla rivista Nature Climate Change – le più a rischio sono alcuni tipi di piante, anfibi e rettili, che risultano penalizzati a causa del loro ritmo di adattamento ai cambiamenti (più lento rispetto alla media). Quanto alle zone maggiormente colpite dal riscaldamento dell’atmosfera, il rapporto le individua nell’Africa sub-sahariana, nell’America centrale, nell’Amazzonia e nell’Australia. Ma i ricercatori britannici sottolineano che probabilmente i risultati a cui sono giunti sono perfino sottostimati. Essi si basano, infatti, sul mero aumento delle temperature, non tenendo conto degli eventi estremi e delle possibili catastrofi naturali che si produrranno a causa del cambiamento climatico. E che potrebbero accelerare il processo di estinzione di alcune specie. [A.BAR.]

Save the Children, organizzazione internazionale per la tutela dei diritti dei bambini, ha recentemente pubblicato il suo quattordicesimo Rapporto sullo stato delle madri nel mondo. In testa alla classifica, che mette a confronto le condizioni di mamme e bambini in 176 Paesi, ci sono la Finlandia, la Svezia e la Norvegia. Primo tra i Paesi dell’America latina è Cuba, al 33° posto, avanti rispetto all’Argentina (36°), al Cile (51°), al Brasile (78°). La classifica si basa su fattori come le condizioni generali di salute, il livello d’educazione, quello economico e politico delle madri. Ma viene preso in considerazione anche il benessere dei bambini, che include il tasso di mortalità prima dei cinque anni e la percentuale dei denutriti. L’Italia consegue un onorevole 17° posto, mentre gli Stati Uniti sono al 30°: tra i Paesi industrializzati gli Usa guidano la classifica per mortalità dei neonati, ogni anno più di 11 mila bambini muoiono durante il primo giorno di vita. Le condizioni d’istruzione ed economiche sono soddisfacenti, ma non è lo stesso per quanto riguarda la salute delle madri, del benessere dei bambini (rispettivamente al 46° e al 41° posto) e la partecipazione politica (89°). Gli ultimi dieci posti della classica sono occupati da Paesi dell’Africa sub-sahariana, mentre l’ultimo Paese in assoluto è la Repubblica democratica del Congo. [PA.BAI.]

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| LASTNEWS |

THE ECONOMIST: PERCHÉ I BANCHIERI NON VANNO MAI IN CARCERE Dallo scoppio della crisi ad oggi gli scandali finanziari hanno accompagnato la cronaca giudiziaria sui giornali di tutto il mondo. Ma, nonostante la miriade di cause e processi, i banchieri in carcere sono un’eccezione. È la riflessione condotta dall’Economist in un articolo pubblicato nel primo numero di maggio. Ad oggi, scrive il settimanale britannico, nessun banchiere del Regno Unito accusato di reati finanziari si ritrova a vivere dietro le sbarre visto che i condannati se la sono cavata con sanzioni pecuniarie o semplici interdizioni temporanee dal loro ruolo. Stesso discorso per gli Stati Uniti dove la Federal Deposit Insurance Corporation ha promosso più di 40 azioni legali dal 2010 che solo in pochissimi casi si sono tradotte in processi penali. Una mano leggera che, nota ancora il settimanale, stona in modo particolare con la linea dura scelta dalle autorità Usa in passato e ben rappresentata dalle azioni legali condotte contro oltre 800 banchieri in occasione del famigerato scandalo savings and loan negli anni ’80. In Brasile, ricorda ancora l’Economist, il fondatore di Banco Santos, Edemar Cid Ferreira, è stato riconosciuto colpevole di “crimini contro il sistema finanziario nazionale” e riciclaggio dopo il fallimento della sua banca avvenuto nel 2005. Ad oggi sta scontando una condanna a 21 anni. [M.CAV.]

GLI STRANI AFFARI DI GOLDMAN SACHS IN MALESIA

USA, «DA NOVARTIS TANGENTI AI FARMACISTI»

Nello scorso mese di marzo, il fondo malese 1MDB, domiciliato alle Isole Vergini Britanniche e sotto il diretto controllo del governo di Kuala Lumpur, avrebbe rastrellato circa 2,7 miliardi di dollari, cedendo alla banca d’affari Usa Goldman Sachs obbligazioni pari a un valore nominale di 3 miliardi. Lo ha riferito, proprio alla vigilia delle elezioni locali (5 maggio) il Financial Times, citando alcuni documenti ottenuti in esclusiva. L’operazione, che consentirebbe a 1MDB di ottenere la liquidità necessaria per finanziare una joint venture con il fondo sovrano di Abu Dhabi, è la quarta transazione condotta dalla banca con il governo malese: solo di commissioni Goldman ha già incassato 200 milioni di dollari. I titoli, ha precisato Bloomberg, sono stati ceduti con un tasso di interesse del 4,4% (141 punti base in più rispetto al benchmark del bond sovrano in scadenza nel 2012), poi calato, sei settimane dopo, a quota 3,76, determinando un profitto del 5,7% per gli investitori. «Se dovessimo andare al potere combatteremmo per recuperare quel margine di profitto che spetta legittimamente al governo malese», ha dichiarato il leader politico Wong Chen, uno dei principali esponenti della coalizione di opposizione. Alle elezioni, la maggioranza uscente è stata riconfermata tra accuse di brogli. [M.CAV.]

La giustizia americana ha fatto sapere alla fine di aprile di aver avviato un procedimento contro il colosso farmaceutico svizzero Novartis. L’accusa è gravissima: aver accordato sconti illegali ai farmacisti, in cambio del loro assenso a favorire la vendita di un farmaco, il Myfortic. In poche parole, tangenti per garantirsi determinati livelli di business. Secondo la denuncia presentata dalle autorità statunitensi, Novartis – a partire dal 2005 – avrebbe convinto almeno una ventina di farmacie a «orientare migliaia di pazienti che erano stati sottoposti a trapianti» a utilizzare il prodotto, proponendo «tangenti sotto forma di sconti e promozioni». In particolare, a un farmacista di Los Angeles sarebbe stato accordato il 5% delle vendite annuali del Myfortic (ossia l’equivalente di centinaia di migliaia di dollari) per convincere tra 700 e 1000 pazienti a scegliere il farmaco prodotto da Novartis. In questo modo il colosso svizzero si sarebbe accaparrato tra l’altro decine di milioni di dollari di rimborsi pubblici, legati ai programmi sanitari americani. Da parte sua, l’industria farmaceutica respinge ogni addebito, annunciando che si difenderà in tribunale. [A.BAR.]

IL NUOVO BOOM DELLE BIOTECNOLOGIE Dalla fine del 2011 a oggi le società del settore biotecnologico hanno guadagnato il 75% evidenziando una performance tre volte superiore alla media dei principali indici delle borse mondiali (25%). Lo ha riferito l’associazione Altroconsumo. Il boom del settore che, evoca l’âge d’or di fine anni ’90 - inizio 2000, troverebbe la sua spinta essenzialmente in una coppia di fattori. In primo luogo, il record di approvazioni di nuovi farmaci da parte delle autorità di controllo americane che, nel corso del 2012, avrebbero dato il nulla osta alla commercializzazione di 39 nuovi prodotti, il numero più alto registrato dal 1996. In secondo luogo, un rinnovato interesse da parte delle case farmaceutiche, tuttora alle prese con la scadenza di molti brevetti di farmaci e alla ricerca quindi di nuovi prodotti per rimpiazzarli. «Molte hanno lanciato Opa su società biotecnologiche e questo ha galvanizzato il mercato», sottolinea Altroconsumo, visto che «quando si vuole comprare una società quotata bisogna offrire un bel ricarico sul prezzo di Borsa». Diverse società del settore, precisa ancora l’associazione, sarebbero tuttavia ancora poco diversificate: «basta uno slittamento dei tempi in fase di approvazione per creare loro notevoli problemi a livello finanziario, con ovvie conseguenze negative sul prezzo in Borsa». [M.CAV.]

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| FUTURE | a cura di Francesco Carcano | per segnalazioni scrivete a redazione@valori.it

UN CELLULARE PIÙ CORRETTO Si chiama FairPhone e viene pubblicizzato come il primo cellulare etico. Dopo gli anni di dominio Nokia, poi Apple e ora Samsung, malgrado le campagne promozionali che strizzavano l’occhio al green e a una vita consapevole, è tempo di ragionare su materiali, accordi di lavoro e materie prime. Passare, insomma, dalla comunicazione alla sostanza. Numerose le realtà coinvolte nel progetto che, dopo essere stato annunciato nel 2011, si appresta ad arrivare nella grande catena di distribuzione. Conflict-Free ha selezionato materiali in Africa che fossero estratti nel rispetto dei lavoratori e senza alimentare i conflitti regionali e i Signori della Guerra; Labor Voices ha curato il monitoraggio delle condizioni lavorative per evitare il ripetersi di casi Foxconn (l’azienda cinese che produce materiali per Apple in cui si sono registrati casi di suicidio per lo stress derivante dalle condizioni di vita e di lavoro). Altre Ong e Onlus stanno lavorando su comunicazione, verifica della filiera produttiva e distribuzione. On line su Vimeo “Nous Sommes FairPhone”, spot dell’iniziativa.

MATERIALI ON LINE PER UN’EXPO INNOVATIVA

BANDI, VOUCHER E NESSUN FINANZIAMENTO Più che di future parliamo di pessime politiche del passato: bandi aperti in Rete con chiusura pochi giorni dopo e che prevedono verifiche complesse e fidejussioni da depositare nelle casse comunali per chi non sia stato avvertito prima; iniziative “per favorire l’imprenditoria giovanile” che farebbero scappare qualsiasi imprenditore; voucher per fare colloqui e business plan che nessuno probabilmente leggerà mai ma i cui bandi servono essenzialmente a pagare le società di consulenza e servizi che le varie Pubbliche Amministrazioni e Camere di Commercio coinvolgono come “tutor”. Tanto fumo, come da vecchia scuola degli uffici stampa e comunicazione, e quasi mai sostanza. Per gli aspiranti startupper e imprenditori l’Italia non è un Bel Paese e Milano sembra guidare, malgrado il cambio di amministrazioni comunali e regionali, questa tendenza. Ultimo in ordine di tempo, ma curioso per assurdità, un bando del Comune di Milano per assegnare immobili Aler ad uso commerciale. Sulla carta, come sempre, l’iniziativa è lodevole: corsia preferenziale per chi vuole aprire una libreria, canone maggiorato per altre attività. Se si entra nel merito si trovano immobili a volte fatiscenti, in fondo a strade chiuse e in un caso una ex toelettatura per cani con ancora peluria sugli scaffali, nessun bagno e una cantina ammuffita. Per gli aspiranti imprenditori senza famiglie e capitali alle spalle, Milano decisamente non è un Paradiso.

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SiExpo è una iniziativa promossa dalla branca italiana di Material Connexion, biblioteca di materiali presente a New York, Tokyo, Istanbul e Milano. Sul sito dell’iniziativa vengono catalogati i materiali più innovativi nei diversi ambiti di produzione, con un occhio puntato sulla sostenibilità. Obiettivo dell’iniziativa è creare un luogo di incontro tra industrie, designer e chi crea innovazione nei materiali. La grande esposizione universale, oggetto negli ultimi anni di speculazioni politiche e urbanistiche, muove intelligenze internazionali fungendo da catalizzatore di start-up e nuove iniziative che la intendono utilizzare come vetrina. Tra i materiali cui punta maggiormente l’iniziativa vi sono le nanotecnologie per materiali antibatterici e le tecniche di riutilizzo creativo di materiali usati. Il made in Italy è al centro del progetto e la declinazione non è solo sui classici settori di moda e design ma allargata alle frontiere della ricerca e sperimentazione su prodotti di laboratorio “assimilabili”, per sensazione tattile o funzionalità, ai classici materiali della produzione artigianale come legno o ceramica.

FINANZIARSI IN RETE ANCHE IN ITALIA Ormai è un appuntamento fisso in questa rubrica: il crowdfunding sta prendendo piede in Italia e le opportunità per giovani e imprese creative sono interessanti. MusicRaiser lancia, tra le altre iniziative, una raccolta fondi per ripubblicare in vinile la discografia dei Csi, gruppo simbolo del passaggio dal post punk italiano a una ricerca sonora e testuale profonda. E c’è chi si autopromuove sul territorio come il collettivo Ratafolk che sottopone agli utenti il suo progetto di autofinanziamento offrendo cd, mp3, vinile e workshop a chi sosterrà il primo live. I fondi richiesti, per i progetti più disparati (dalla catena di “swap” per scambiare abiti al documentario in Africa o Mongolia alla ricerca etnografica) variano quasi sempre da poche migliaia a qualche decina di migliaia di euro con contributi liberi da dieci euro in avanti. Le note case history del browser indipendente Firefox e dell’enciclopedia costruita dagli utenti Wikipedia ci dimostrano che un nuovo modo di finanziarsi può esistere, basta avere coraggio e costanza nel proporsi.


| TERRAFUTURA | a cura di Valentina Neri | per segnalazioni scrivete a neri@valori.it

LA STRADA PER IL COMMERCIO EQUO È ON LINE Il commercio equo è ormai una realtà consolidata da anni. Ma, soprattutto per chi vive al di fuori delle grandi città, può non essere così semplice raggiungere una delle botteghe in cui acquistare capi d’abbigliamento e accessori che siano stati prodotti nel Sud del mondo rispettandone le tradizioni, l’ambiente e le giuste condizioni di lavoro. A dare una risposta ancora una volta è il web, con Trame di Storie, il primo negozio on line specializzato nella moda equa e solidale. L’iniziativa è della cooperativa ferrarese altraQualità, attiva da più di dieci anni. I prodotti di Trame di Storie vengono da Bangladesh, India, Vietnam, Colombia, Guatemala, Egitto. Paesi difficili, che spesso finiscono sotto i riflettori per le condizioni tutt’altro che eque imposte negli enormi stabilimenti gestiti dai giganti industriali: ne è un esempio recente, e tragico, la strage di Rana Plaza. Ma è proprio per questo che ogni anno lo staff della cooperativa fa visita ai lavoratori, per verificare le loro modalità di lavoro e per collaborare con loro nella creazione dei modelli. www.tramedistorie.it

LA MODA CHE NASCE DALLE PIANTE «Si prendono le foglie e si mettono sul tessuto, che deve essere esclusivamente naturale. In seguito questo tessuto viene piegato, arrotolato, legato strettamente e messo in una pentola insieme ad altre erbe che fungono da bagno tintorio. Si fa bollire il tutto per qualche ora e lo si lascia riposare per un paio di giorni. Alla fine, quando si apre il tessuto, è sempre una sorpresa, perché non si ha mai la certezza di quello che sarà il risultato finale: sono tutti pezzi unici». Così Laura Dell’Erba, in arte Lalazoo, descrive la tecnica dell’ecoprint, una particolare modalità di tintura a impatto zero che non usa nulla di sintetico. L’ha appresa da un’artigiana israeliana, allieva di India Flint, la “guru” di questo metodo. E ha scelto l’ecoprint per le sue creazioni, che realizza nel laboratorio di Cilavegna, in provincia di Pavia, e che abbiamo incontrato all’ultima edizione milanese di “Fa’ la cosa giusta”. Sopravvivere – racconta – non è facile. Ma capi così particolari possono incuriosire sia le persone alla ricerca di un vestire “sano”, sia chi ha un occhio di riguardo per uno stile ricercato e fatto di pezzi unici. www.lalazoo64.blogspot.com

LE TRADIZIONI AGRICOLE CHE AIUTANO A CRESCERE

A FIRENZE SI APRE IL SIPARIO SULLA DISABILITÀ

Quella degli istituti penali minorili è una realtà senza dubbio molto delicata, fatta di ragazzi che vivono una fondamentale fase di formazione. Magari, però, riscoprire il legame con la terra può aiutare alcuni di loro a trovare la propria strada. Nasce con questo obiettivo il nuovo progetto di Aiab, l’Associazione italiana per l’agricoltura biologica, volto a realizzare sei orti bio all’interno degli istituti di Palermo, Roma, Pontremoli, L’Aquila, Airola e della comunità Borgo Amigò di Roma. Negli scorsi mesi i ragazzi hanno frequentato i corsi preparatori e, durante l’estate, saranno impegnati a coltivare piante antiche e autoctone (dalle erbe aromatiche ai legumi a curiose varietà di peperoncino) fornite dalle aziende socie di Aiab. «Negli istituti minorili – spiega Anna Ciaperoni, responsabile agricoltura sociale di Aiab – il turn over è piuttosto frequente quindi i ragazzi seguono quest’attività per qualche mese, acquisendo un bagaglio di esperienze che possono tornare utili in futuro. Spesso capita che anche quelli che inizialmente erano più scettici piano piano si appassionino al lavoro a contatto con la natura». www.aiab.it

C’è un ristorante, nella suggestiva cornice della zona storica di Firenze, gestito da una cooperativa sociale di tipo B che ha deciso che i “suoi” nove ragazzi, con disabilità intellettiva e sensoriale, debbano avere un ruolo molto particolare. Perché non sono, come spesso accade, impiegati in inserimenti socio-terapeutici o come dipendenti: al contrario, sono soci a tutti gli effetti. Questo ristorante si chiama “I ragazzi di sipario”, è aperto dal 2007 e offre piatti tipici toscani, preparati con ingredienti a km zero prodotti da altre cooperative della zona. Ma i ragazzi disabili sono i protagonisti di un piccolo arcipelago capeggiato dall’associazione di promozione sociale Sipario. Un arcipelago di cui, spiega il presidente Marco Martelli Calvelli, fanno parte anche una Web Tv e Made in Sipario, un laboratorio artigianale che da pochi mesi ha aperto un nuovo punto vendita nel capoluogo toscano. www.iragazzidisipario.it www.sipariotv.it www.madeinsipario.com

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| NARRATIVA | a cura di Michele Mancino | per segnalazioni scrivete a redazione@valori.it

LA VITA DEI PARTITI TRA SPERANZE E ILLUSIONI Daniela Brancati Il coyote liberò le stelle Laurana Editore, 2013

La vita dei partiti politici raccontata nei romanzi è una tendenza letteraria che fotografa l’attuale periodo storico italiano: la crisi dei due poli e l’avvento di nuovi movimenti trasversali. La vita di un grande partito, Sinistra Unita, viene ricostruita attraverso gli occhi di una giovane donna, bella e ambiziosa, che vorrebbe un incarico professionale di prestigio all’interno del suo partito senza però pagare il prezzo del cinismo e dell’opportunismo che vede intorno a sé. Fra contraddizioni e speranze, illusioni e disillusioni, incontra sul suo cammino personaggi a cui crede e di cui al tempo stesso diffida. Il segretario del suo partito, Eugenio Rispoli, uomo arrivista e spregiudicato, le propone di fare la portavoce e Luisa crede sia finalmente arrivato il suo momento, ma ignora ciò che si trama alle sue spalle. Sullo sfondo dell’intrigo di passioni inconfessabili, dell’intreccio con poteri forti e con il mondo dell’informazione che manovra e si fa manovrare dai partiti, Luisa si muove in un gioco più grande di lei. Vincere significa migliorare la politica, liberarla da giochi di potere al limite del lecito. E anche trovare il proprio posto nel mondo.

RITROVARE LA MEMORIA DELLE ORIGINI

UN MAIALINO NELLA GUERRA TRA BANDE

TRA LE SBARRE VEDO IL CIELO

Quando si decide di raccontare la propria storia è perché si vuole lasciare una testimonianza alle future generazioni per aiutarle a costruirsi un’esistenza partendo dalla memoria delle origini. La vita di Masal Pas Bagdadi raccontata nei libri ha incontrato l’interesse dei lettori, indipendentemente dalla loro appartenenza culturale, etnica o religiosa, perché il suo destino, segnato dalla fuga ad appena cinque anni da chi la voleva uccidere soltanto perché ebrea, è lo stesso di molte persone costrette a fuggire dalle persecuzioni razziali. «A piedi scalzi nel kibbutz non bastava di sicuro a salvare i ricordi e i pensieri depositati dentro di me. E mentre lo presentavo al pubblico sentivo che ancora dovevo fare i conti con il passato, e soprattutto con il presente, per far diventare l’Italia il mio Paese di adozione. Ho deciso così di continuare ad andare in giro per il Paese e raccontare ancora e ancora, e in viaggio ho scoperto gli italiani, un popolo affettuoso e accogliente. A ogni incontro si ricreava quella magia inaspettata: io e gli altri, gli altri e me, le distanze si accorciavano e la gratitudine reciproca era sincera».

Ottobre 2006. La Romania sta entrando nell’Unione Europea, ma Torino è scossa da una serie di omicidi che coinvolge le comunità di immigrati albanesi e rumeni. È in corso una faida fra delinquenti, o c’è dietro la mano della criminalità organizzata che prima infesta e poi bonifica certe aree per speculare nel settore immobiliare? Enzo Laganà, nato a Torino da genitori calabresi, è un giornalista di cronaca nera che vuole vederci chiaro e scoprire il movente degli omicidi. Ma prima di far luce sul caso dovrà occuparsi di una spinosa vicenda che riguarda Gino, il maialino del suo vicino di casa, il nigeriano Joseph. Chi ha portato il maialino nella moschea del quartiere? E soprattutto perché? Enzo dovrà far luce su questi piccoli e grandi misteri usando un bel po’ di fantasia, ironia e tanta pazienza. Un giallo multietnico per raccontare il nostro Paese multiculturale all’insegna della commedia all’italiana.

Feride Cicekoglu è un’autrice tra le più apprezzate nel panorama della letteratura turca. Ha passato quattro anni della sua vita in carcere, in quanto oppositrice del regime che si instaurò dopo il colpo di stato del 1980. Da quella esperienza nasce questo libro, ambientato a Istanbul dove vive il piccolo Baris, figlio di una detenuta che a soli quattro anni è costretto a vivere in carcere con la madre perché non ha nessun luogo in cui andare. Baris guarda oltre le sbarre del carcere in cui è rinchiuso e lì, attraverso le parole e i gesti della detenuta Inci, impara a conoscere ciò che sta fuori, ciò che può stravolgere le relazioni umane e ciò che rende pure le persone e i loro sentimenti. E in quell’unico spazio di cielo vede gli aquiloni, azzurri, rossi, che rischiano di venire abbattuti dai fucili delle guardie, proprio per il senso di libertà che instillano nei prigionieri.

Pas Bagdadi Masal Mamma Miriam Bompiani, 2013

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Amara Lakhous Contesa per un maialino italianissimo a San Salvario Edizioni e/o, 2013

Feride Cicekoglu Non sparate agli Aquiloni Scritturapura Casa Editrice, 2011


| ECONOMIAEFINANZA | a cura di Michele Mancino | per segnalazioni scrivete a redazione@valori.it

C’È ANCORA DA IMPARARE DALLA CRISI Alberto Berrini Le lezioni della crisi Editrice Monti, 2013

La crisi dà delle lezioni che bisogna essere in grado di ascoltare, molte delle quali sono ancora tutte da “imparare”. Una riflessione sul fallimento del modello neoliberista e sulle sue cause tarda a produrre quel cambiamento radicale di politica economica che la situazione attuale esige. Siamo ancora lontani dalla costruzione di una nuova e robusta tavola di valori condivisi con cui sostenere un progetto realmente riformista. Nel testo viene indicato come “riformismo” la capacità di imparare le lezioni della crisi, con il principale obiettivo di cominciare a delineare i capisaldi di una “nuova politica economica”. Da contrapporre innanzitutto alla cosiddetta “austerità espansiva”, ossia a un modello di politica economica i cui fondamenti teorici ribadiscono, contro ogni evidenza empirica che la crisi europea manifesta quotidianamente, il paradigma liberista. Per uscire da questa crisi in modo socialmente e ambientalmente sostenibile bisogna dunque ripensare radicalmente il modello economico che abbiamo di fronte. Serve niente di meno che un “mutamento fondamentale” del modello capitalistico.

STORIA DI UNA TRAGEDIA OPERAIA

IL PAESAGGIO AGRARIO È DENTRO DI NOI

IL NUOVO UMANESIMO GLOCALE

La mattina del 13 marzo 1987, alle ore 7 e 30, diciotto operai, dodici “picchettini” e sei carpentieri-saldatori, iniziarono il proprio turno di lavoro nella stiva numero due della nave Elisabetta Montanari. I picchettini devono incunearsi in cunicoli e stare stesi sulla schiena o sul ventre perché l’altezza dei doppifondi non va oltre i 90 centimetri. Si sviluppa un incendio e si sviluppano gas letali come l’ossido di carbonio e l’acido cianidrico. Nel buio non tutti trovano le botole che conducono all’aperto e quindi alla salvezza. Tredici di loro moriranno asfissiati. Vite spezzate che annunciano tragicamente al mondo l’inizio di una nuova era, segnata dal liberismo sfrenato dove la vita umana è sacrificata al dio profitto. Questo libro rende omaggio alle vittime nel modo più forte e più naturale: raccontandone la storia. Per restituire una vita agli uomini che l’hanno persa, si devono descrivere i loro bisogni e le loro speranze, anche col rischio di scoprire che soltanto la disperazione li spingeva ad accettare un lavoro così disumano.

C’è bisogno di green economy, ma soprattutto di esempi di buone pratiche agricole e forestali in grado di rappresentare una risposta all’agricoltura industriale intensiva, tra le cause principali della scomparsa della flora e della fauna dalle nostre campagne. “Insubria Rurale”, pregevole progetto editoriale finanziato dal Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale, è una testimonianza di quanto di buono c’è nell’agricoltura biologica in provincia di Varese, nonostante sia un territorio a forte vocazione industriale. Il progetto, nato dalla collaborazione tra l’Università degli studi dell’Insubria e alcuni agricoltori che praticano agricoltura sostenibile, ha un carattere interdisciplinare. Si parte, infatti, dal concetto di natura in ambito filosofico per approdare alle buone pratiche presenti sul territorio. Tra queste va segnalata l’esperienza dell’utilizzo del cavallo norico nel bosco, progetto curato dal Distretto rurale nato dall’incontro di Giovanni Nicolini con Luisa Broggini e Massimo Crugnola. E se è vero che «abitare non è semplicemente disporre di un luogo ma averne rispetto», allora il tema del paesaggio agrario diventa uno dei pilastri su cui deve poggiare la green economy.

Bruno Schettini è stato uno studioso rigoroso della pedagogia sociale. Una vita contraddistinta dall’impegno civico che questo libro ripercorre attraverso tutti i filoni di interesse della sua attività scientifica e sociale. Risalta nel testo la passione etica e civile di una persona che non separava mai la sua attività di studioso da quella di militante impegnato in tante battaglie civiche, partecipe attivo delle tante iniziative sociali promosse sul territorio, in primo luogo sul mondo del lavoro e del terzo settore. Docente sempre aperto al dialogo con i suoi allievi, studioso rigoroso e ricercatore “glocale” nel campo delle scienze umane e filosofiche. Amava definirsi un «intellettuale che si sporca le mani», intendendo dire con questa espressione che la sua antropologia di riferimento aveva basi solide nella realtà, non disgiunta, quest’ultima, dalle persone che la costituiscono. Avvertiva così la necessità di un processo di trasformazione della società secondo una prospettiva neoumanistica.

Angelo Ferracuti Il costo della vita Einaudi, 2013

a cura di Pasquale Iorio, Filippo Toriello Educare alla cittadinanza democratica Ediesse, 2013

a cura di Fabio Minazzi Insubria Rurale Mimesis Centro Internazionale Insubrico, 2013 | ANNO 13 N. 110 | GIUGNO 2013 | valori | 71 |



| bancor |

Danni (economici) e beffe

Morire di austerità per un errore in Excel on quel pizzico di sarcasmo che lo caratterizzava, John Galbraith, forse il più illustre tra i seguaci di Keynes e ispiratore di gran parte dei manifesti economici dei Democratici americani in quasi tutto il dopoguerra, ironizzò un giorno sul suo altrettanto celebre e strenuo oppositore Milton Friedman, esclamando: «La sua sfortuna è che le sue teorie sono state

C

dal cuore della City Luca Martino

sperimentate!». Stessa osservazione andrebbe fatta oggi nei confronti della professoressa Carmen Reinhart, exesiliata cubana, e del prof. Kenneth Rogoff, promessa mancata del gioco degli scacchi, oggi entrambi accademici ad Harvard dopo carriere prestigiose al Fondo monetario internazionale e in altre rinomate università americane. Un loro studio del 2010, “La crescita ai tempi del debito”, diventò immediatamente una sorta di bibbia di riferimento sia per le politiche monetarie delle banche centrali sia, inevitabilmente, per i governi dei Paesi occidentali alle prese con la più grave crisi finanziaria della storia e con quelle politiche di austerity che hanno causato i disastri sociali ed economici che tutti sappiamo. La tesi dei due cattedratici era piuttosto semplice e per certi versi accattivante nella sua determinazione finale: l’indebitamento di un Paese e il corrispondente andamento della dinamica economica sono inversamente proporzionali. A supporto di questa tesi, i due professori hanno raccolto centinaia di dati sulle economie più avanzate del mondo negli ultimi duecento anni e, con metodi econometrici piuttosto elementari, hanno calcolato che, superata la soglia del 90%, l’indebitamento rende quasi impossibile uno sviluppo po-

za parametrizzazioni o modellizzazioni complesse) è l’accuratezza: l’obiezione più grave per un accademico, peggio ancora di “non riusciamo a replicare i tuoi risultati”, sta nel sentirsi dire “abbiamo riscontrato un errore nei tuoi calcoli”. È proprio quanto è successo a Reinhart e Rogoff: i professori Herndon, Ash e Pollin dell’università del Massachusetts, ottenuto con non poca fatica il file Excel nel quale i due accademici di Harvard avevano eseguito i loro calcoli, hanno riscontrato molti errori nel codice di programmazione, oltre all’uso di ponderazioni non correttamente esplicitate, ma, soprattutto, una gravissima dimenticanza che aveva causato l’esclusione di una buona parte dei dati dal dominio delle funzioni di calcolo. Adottando la procedura corretta, il livello di crescita del Pil dei Paesi con un debito superiore al 90% è risultato in media del +2,2%, in linea con quello dei Paesi con un indebitamento di molto inferiore, e non quel -0,1% che avevano calcolato Reinhart e Rogoff. Siamo tutti “impastati di debolezze e di errori” diceva Voltaire, ma ripensare a quanti rischiano di morire di austerità, anche per colpa di un errore in Excel, rende certamente più amaro ogni nostro sorriso o facile sarcasmo. 

Kenneth Rogoff

Carmen Reinhart

Alcune teorie liberiste di successo viziate da gravi errori di programmazione sitivo del Prodotto interno lordo, anzi, in media, ne comporta una decrescita di qualche decimale l’anno. Per dare un’idea di quanto influente sia stata questa ricerca nelle scelte adottate dai policy makers di mezzo Pianeta, basti pensare che, oltre a innumerevoli menzioni su The Economist, Wall Street Journal, New York Times e centinaia di altri papers accademici, Reinhart e Rogoff sono stati più volte citati da Mitt Romney, durante la recente campagna presidenziale contro Obama, e dal commissario economico dell’Unione europea, Olli Rehn, nelle sue relazioni annuali al Consiglio degli Affari esteri. Ora, come tutti i ricercatori ben sanno, condizione necessaria per la validità dei cosiddetti stylized fact (rappresentazioni semplificate di evidenze empiriche sen-

todebate@gmail.com | ANNO 13 N. 110 | GIUGNO 2013 | valori | 73 |


| resistenze |

Donne e uomini, imprese che si indignano, protestano, resistono alla crisi

Lavoro e diritti

Raddoppiare le paghe in Bangladesh ci costa solo 3 centesimi l 24 aprile scorso al Rana Plaza di Dhaka in Bangladesh sono morte oltre 1.100 persone. Operaie e operai che producevano per grandi e piccoli marchi del tessile di tutto il mondo. Gente che lavora a ritmi massacranti e porta a casa 30 euro al mese, il prezzo di una sera in pizzeria. Meno dell’1% è iscritto a un sindacato, perché bisogna chiedere l’autorizzazione ai padroni, che quasi sempre la negano. Intanto loro tagliano, cuciono, attaccano bottoni. E noi ci compriamo la maglietta, la camicetta, il golfino e la giacchetta. E costa poco, sempre meno, e ne compriamo di più perché costa poco. Intanto i nostri armadi si riempiono di vestiti, serve la cabina armadio, la stanza armadio, la casa armadio. Poi, quando i vestiti non ci stanno più, li buttiamo o li diamo alla Caritas. Ne compriamo altri. E il ciclo ricomincia. Tanto costa poco, non costa nulla. Ma cosa succederebbe se aumentassimo un po’ le paghe degli operai? Se si investisse di più nella loro sicurezza? Per carità, certe cose bisogna dirle sottovoce, che poi entrano in gioco i paladini del libero mercato, del libero scambio che porta sviluppo. «Se aumentano le paghe in Bangladesh le industrie si spostano nel Myanmar o, al limite, un giorno, in Corea del Nord. E addio lavoro, addio sviluppo». I consumatori comprerebbero di meno, perché i prezzi sarebbero più alti. In realtà il Trades Union Congress (TUC), la confederazione che unisce sindacati del Regno Unito, ha fatto due conti ed è arrivata a una conclusione interessante: raddoppiare le paghe dei lavoratori in Bangladesh costerebbe al consumatore finale solo 3 centesimi di euro in più per ogni articolo comprato. «Il problema non sono i consumatori alla ricerca di prezzi bassi – dicono i sindacalisti del TUC – ma l’avidità dei grandi brand del tessile e dei proprietari delle fabbriche, che non vogliono lasciare sul piatto nulla». E non si sognano di contrattare condizioni di lavoro migliori con i sindacati. Il TUC, assieme a una serie di organizzazioni sindacali internazionali come IndustriALL Global Union, ha lanciato una campagna per chiedere al governo del Bangladesh di aumentare il salario minimo e migliorare la sicurezza sul lavoro e le misure antincendio per gli oltre 3 milioni di lavoratori del tessile. Un primo risultato è stato già raggiunto: il 13 maggio il governo ha fatto sapere che anche i lavoratori del tessile potranno dar vita a sindacati senza chiedere l’autorizzazione ai proprietari delle fabbriche. Un primo, grande risultato. Peccato che sia costato almeno 1.125 vite umane. 

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| 74 | valori | ANNO 13 N. 110 | GIUGNO 2013 |

di Mauro Meggiolaro

Going to work • www.goingtowork.org.uk L’idea “Going to work”, andando al lavoro è un’iniziativa del TUC, Trades Union Congress – la confederazione che unisce i sindacati del Regno Unito – per «unire le persone che vogliono vedere maggiore equità nel modo in cui lavoriamo per la nostra economia e in cui la nostra economia lavora per noi». Azioni Decine le azioni collegate alla campagna “Going to work”: dalla pressione per l’aumento delle paghe e il miglioramento dei criteri di salute e sicurezza in Bangladesh alle proteste contro la privatizzazione del sistema sanitario nazionale inglese. Dopo la tragedia del Rana Plaza, il TUC sta chiedendo ai consumatori di spedire lettere ai grande magazzini Debenhams e al colosso del retail tessile GAP per stringere nuovi accordi con i produttori sulla sicurezza del lavoro in Bangladesh.

La pagina dedicata all’iniziativa per il Bangladesh sul sito della campagna “Going to work”.

Per inviare commenti e proposte: http://zoes.it/meggiomauro twitter: @meggio_m Facebook: https://www.facebook.com/pages/Mauro-Meggiolaro/ 115383048506446


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