Mensile Valori n. 132 2015

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anatomia di un settore economia solidale

grande cliente come Wind, Enel o Acea decide di spostare la commessa alla scadenza del contratto per risparmiare ulteriormente sui costi, intere aziende entrano in crisi e sono costrette a ricorrere alla cassa integrazione o a chiudere. Le imprese più grandi come Comdata, Almaviva o Abramo hanno una struttura dei ricavi più diversificata e riescono in genere a reggere meglio l’eventuale perdita di una commessa. Ma la diversificazione porta spesso a una rigida divisione della struttura societaria con conseguenze negative sulla qualità del lavoro. «Il grosso problema per i lavoratori Comdata è che ogni commessa è una storia a parte», continua Valeria Viletto dei Cobas Comdata. «È come avere aziende diverse all’interno della stessa ditta e alla fine non c’è equità di trattamento tra i lavoratori: chi lavora su commesse Vodafone, per esempio, ha determinati orari e un trattamento diverso di chi lavora su commesse Telecom. Quindi tra i dipendenti non si crea un fronte comune. Oltre a questo, non c’è rotazione tra chi lavora alle varie commesse: se hai più stress non puoi avvicendarti con chi ha meno stress».

NORME ANTI-DELOCALIZZAZIONE Per far fronte alla crisi e alle storture del mercato dei call center si sta muovendo anche il governo. Nell’ottobre del 2014 il ministero del Lavoro ha precisato che le imprese che delocalizzano all’estero, in paesi extra-Ue, non possono usufruire delle agevolazioni previste dalla legge 407/1990, che garantisce sgravi contributivi a chi assume lavoratori disoccupati o in cassa integrazione da 24 mesi: una normativa che negli anni passati ha fatto decollare molte società di call center, soprattutto nel Meridione. Dal 1° gennaio 2015 la legge è stata superata dal Jobs Act, che potrebbe però mettere in difficoltà proprio le imprese più solide. «Il Jobs Act potrebbe favorire una serie di piccole società che aprono e chiudono continuamente, puntando al massimo ribasso dei prezzi», spiega il segretario Fistel-Cisl Salvatore Capone. «Con la nuova legge si incentiva l’assunzione di nuovi lavoratori per i primi tre anni, con un sgravio contributivo del 30%. In un settore ad alta intensità di lavoro come quello dei call center, dove il lavoro rappresenta l’80% dei costi totali, un incentivo del genere è decisivo. Temo che molte società spunteranno dal nulla assumendo nuovi lavoratori per tre anni per poi chiudere e riaprire, in modo da poter godere di nuovi sgravi per altri tre anni». Anche sul fronte delle commesse si annunciano nuovi interventi da parte del governo. Il sottosegretario al ministero del Lavoro, Teresa Bellanova, ha fatto sapere che sarebbe allo studio una valori / ANNO 15 N. 132 / ottobre 2015

COMMESSA SEAT A LIVORNO: UNA STORIA A LIETO FINE

Esuberi, vertenze, scioperi, cassa integrazione: le notizie pubblicate quotidianamente sui call center italiani parlano di uno stato di crisi permanente. ogni tanto, però, capita di leggere anche storie positive. Come quella del call center di Guasticce, in provincia di Livorno, legato a una commessa di Seat. All’inizio del 2015 ha chiuso, lasciando senza lavoro circa 340 lavoratori. Ma i sindacati e il comune di Livorno, proprietario della sede, non si sono dati per vinti. Il 22 luglio si è raggiunto un accordo con Comdata, che rileverà le attività di People Care, assumendo 165 persone con l’impegno di portare a Livorno nuove commesse (oltre a una parte della commessa Seat), probabilmente offerte dalla regione toscana nei servizi sanitari. Decisivi i nuovi incentivi regionali per l’area livornese che si uniscono a quelli previsti dal Jobs Act a livello nazionale. «Siamo soddisfatti», spiega Maria torrigiani del sindacato Uil a Valori. «Anche l’inquadramento dei nuovi assunti sarà tutto sommato buono: si partirà dal terzo livello, mentre temevamo che si partisse dal secondo». Un lieto finale, almeno per ora. Scritto, ancora una volta, dalla mano generosa dei contributi pubblici. [M.M.]

nuova clausola sociale per tutelare i lavoratori nel momento in cui i soggetti committenti cambiano operatore. Mentre altre misure, come l’eliminazione dalla base imponibile Irap del costo del lavoro, sono già state introdotte. Ancora poco secondo Assocontact-Confindustria, l’associazione di categoria delle imprese che gestiscono i call center. «Viviamo una crisi al giorno e i tempi dell’azione politica sono inadeguati», ha dichiarato Alberto Costamagna, presidente nazionale di Assocontact. «I call center soffrono l’assenza di una politica industriale: negli ultimi cinque anni i problemi sono rimasti gli stessi e non si è mosso nulla». Un problema sempre più profondo per un settore che si è ingigantito come conseguenza dei tagli dei costi operati negli anni dalle grandi compagnie telefoniche, energetiche, di banche e utilities. I loro azionisti hanno puntato alla massimizzazione dei profitti finanziari di breve periodo estraendo sempre più valore dal lavoro. Il conto, ancora una volta, lo pagano i lavoratori e i contribuenti. ✱

FATTURATO CALL CENTER IN ITALIA: CALMA PIATTA [in milioni di €]

FONTE: ELABORAZIONE OSSERVATORI DIGITAL INNOVATION POLITECNICO DI MILANO SU DATI AZIENDALI, BILANCI AZIENDALI E RICERCA DATABANK

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