Il valore dello sport _ I.R. al n°119

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Il valore dello sport Strumento di responsabilità, coesione sociale e legalità

Poste Italiane S.p.A. Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1 NE/VR.

Giovani e sport una corsa a ostacoli La partita più difficile Sulla pelle degli atleti

Speciale a cura di

FOTO ZUTE & DEMELZA LIGHTFOOT / ACTIONAID

I.R.


FOTO ACTIONAID

La campagna “Operazione Fame” di ActionAid con Marco De Ponte, Segretario Generale di ActionAid Italia e Andrea Lucchetta

Sport4Society: la storia È il 2009 quando nasce Sport4Society, che si pone la sfida di essere un occhio vigile sul mondo dello sport responsabile e farne emergere i tanti valori positivi: legalità, responsabilità, solidarietà, tutela dell’ambiente, sviluppo dell’individuo e della collettività, rispetto dell’avversario. Nell’arco di pochi mesi l’Associazione produce le Linee guida volontarie sullo sport responsabile, utili a chi opera in qualsiasi settore di una società sportiva. Alla pubblicazione fa seguito una serie di eventi e iniziative in tutta Italia, caratterizzati dal focus su temi scomodi o trascurati da media e istituzioni: dal primo Convegno a Firenze nel 2010 su Sport e società: sfide, tendenze, buone pratiche, con la consegna del premio Il bello dello sport alla pluricampionessa paralimpica Francesca Porcellato, al Convegno di Montecatini su Come sport e no-profit fanno goal insieme in occasione del Festival della Cultura Sportiva, con la consegna del premio Il bello dello sport ad Andrea Zorzi (per Giochi di Pace). Queste e altre attività sono inquadrate nel Progetto Il bello dello sport in collaborazione con la Fondazione Culturale Responsabilità Etica. L’attività di Sport4Society si arricchisce di preziose testimonianze con l’incontro Etica e trasparenza nella gestione delle società sportive (con Andrea Lucchetta, Pasquale Gravina e Damiano Tommasi), la conferenza Contro l’omofobia nello sport a Firenze e i Mondiali antirazzisti di Castelfranco Emilia nel 2011. Un accento particolare è posto sul rapporto tra disabilità e sport col Convegno Diversamente abili, ugualmente atleti in occasione della Treviso Marathon 2012. Il tema è ripreso e approfondito nel 2013 con il convegno svolto a Padova Esiste un diritto allo sport?, con la Relazione introduttiva di Jacopo Tognon (Docente di Diritti umani e sport nel diritto dell'Unione Europea) e la testimonianza del pluricampione paralimpico di maratona Carlo Durante. Nel 2013 la presentazione a Milano di Pallone criminale di Gianluca Ferraris è il primo passo per affrontare le sfide della legalità in ambito sportivo: da qui parte la ricerca di cui parliamo in queste pagine. ✱

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editoriale

C’È BISOGNO DI UNO SPORT RESPONSABILE di Umberto Musumeci

Inserto redazionale al numero 119 giugno 2014 - anno 14 mensile www.valori.it Registro Stampa del Tribunale di Milano n. 304 del 15.04.2005 editore Società Cooperativa Editoriale Etica Via Napo Torriani, 29 - 20124 Milano promossa da Banca Etica direttore editoriale Mariateresa Ruggiero (ruggiero.fondazione@bancaetica.org) direttore responsabile Andrea Di Stefano (distefano@valori.it) caporedattore Elisabetta Tramonto (tramonto@valori.it) grafica, impaginazione e stampa Publistampa Arti grafiche Via Dolomiti 36, Pergine Valsugana (TN) testi a cura di Valentina Neri

Il Forest Stewardship Council® (FSC®) garantisce tra l’altro che legno e derivati non provengano da foreste ad alto valore di conservazione, dal taglio illegale o a raso e da aree dove sono violati i diritti civili e le tradizioni locali.

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overtà, conflitti, malattie, eventi naturali e degrado ambientale rendono il mondo sempre più insicuro e bisognoso di interventi. In situazioni di degrado sociale e ambientale, di conflitti, di povertà – in Italia e all’estero – anche lo sport può rappresentare una formidabile occasione di coesione sociale, educazione alla convivenza, promozione dell’uguaglianza di genere, rispetto reciproco. D’altra parte, comportamenti spesso poco etici di protagonisti del mondo dello sport, corruzione e doping, incidenti e violenza dentro e fuori dai campi di gioco, l’influenza della criminalità organizzata anche nello sport pongono a tutti inquietanti interrogativi. È importante allora impegnarsi per ribadire i concetti di sostenibilità e responsabilità, e l’importanza della legalità nello sport e dello sport. Si avverte la necessità di promuovere il valore aggiunto interrelazionale dello sport, anche come deterrente contro bullismo, macro e microcriminalità, discriminazioni. È urgente altresì tutelare l’ambiente in coincidenza di grandi eventi sportivi. Dal 2009 Sport4Society vuole essere un occhio vigile sul mondo dello sport responsabile e si sforza di mettere a fuoco le tematiche di maggior rilievo in questo ambito. Oltre alle numerose iniziative organizzate, abbiamo sentito la necessità di affrontare la temati-

ca delle sfide alla legalità in ambito sportivo nel 2013 con la presentazione a Milano di “Pallone criminale”. Da qui è partita la ricerca di Sport for Society (S4S) sui temi che formano oggetto di questa pubblicazione, realizzata con grande professionalità da Simone Grillo, e che sarà oggetto di ampia diffusione nel mondo sportivo, iniziando con la sua presentazione a Milano il 10 giugno con la collaborazione e il patrocinio del Coni Lombardia. Quanto successo sabato 3 maggio a Roma in occasione della finale di Coppa Italia Napoli-Fiorentina conferma l’urgenza e l’importanza di questo tema. Lo sconcerto per la tracotanza impunita dei singoli si unisce alla indignazione per il potere – di fatto acquisito dalle tifoserie violente – apparentemente senza alcun contrasto da parte di chi avrebbe la responsabilità di farlo. La politica, le istituzioni (comprese quelle sportive), la società tutta non hanno evidentemente ancora elaborato degli “anticorpi culturali” capaci di neutralizzare queste follie ed evitare che accadano fatti come quelli di Roma. Chi ha la responsabilità di farlo, è bene che faccia presto. Noi facciamo – con la nostra attività – il poco che nel nostro piccolo possiamo fare, mettendocela tutta. ✱

La ricerca su cui si basano gli articoli di questo speciale fa riferimento, tra le altre cose, a fatti o vicende (rilevati dai mezzi d’informazione e sul web) sui quali non si è ancora pervenuto a piena verità giudiziaria. Tutti i soggetti direttamente o indirettamente chiamati in causa sono pertanto da ritenersi innocenti fino ad accertamento definitivo da parte delle magistrature competenti. 3


FOTO SOUMI DAS / ACTIONAID

IL VALORE DELLO SPORT

Giovani e sport una corsa a ostacoli Lo sport offre innegabili benefici sociali e sanitari, soprattutto per i più piccoli. Ma in Italia sempre meno adolescenti fanno sport. E spesso i rapporti con le società dilettantistiche sono difficili

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n Italia un ragazzino su tre ha problemi di peso. E, se per il 24% dei bambini di età compresa tra i 6 e gli 11 anni si tratta di sovrappeso, per il 12% di loro si può parlare di obesità vera e propria. Una piaga di cui il nostro Paese pagherà a lungo termine l’impatto sociale e sanitario. Sembra banale dire che una prima e fondamentale soluzione è lo sport. Che, oltre a contribuire al corretto sviluppo fisico dei ragazzi, li aiuta a costruire relazioni sane con i loro coetanei. Ma in un’Europa in cui (lo dice l’Eurostat) il 27% dei minori vive in condizioni di povertà e in un’Italia in cui tale percentuale sale addirittura al 32,3%, si può parlare di un vero e proprio diritto dei minori allo sport? A sollevare qualche dubbio

Il percorso di ActionAid

I mondiali di calcio 2014, Expo 2015 e le Olimpiadi 2016. Tre tappe importanti, tre occasioni per parlare di sport come strumento di riscatto, integrazione e lotta alla povertà. È questo il senso del percorso intrapreso da ActionAid, coinvolgendo anche il Coni e il Segretariato Sociale Rai. «Oltre alla partnership triennale col Coni – dichiara

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il Segretario generale di ActionAid Marco De Ponte – abbiamo siglato protocolli d’intesa con diverse federazioni sportive, dal nuoto al rugby, passando per l’atletica leggera. Sarà un modo per avvicinare i tanti appassionati di sport, ma anche per mostrare i risultati concreti dei nostri interventi nel mondo».

è stato il Gruppo di lavoro per la convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, nella sesta edizione del suo rapporto di monitoraggio per l’Italia.

SEMPRE MENO PICCOLI SPORTIVI Il saldo complessivo dei minori “sportivi”, per la fascia 3-17 anni, è positivo: nel decennio 20032013 il numero di ragazzi che fa sport in modo continuativo sale del 2,25% e quello di chi dichiara di non praticare alcuna attività cala dello 0,65%. Ma, concentrandosi sulla fascia 11-14 anni, iniziano a emergere cifre preoccupanti. Nel 2010 il 67,6% dei preadolescenti dichiarava di dedicarsi all’attività fisica in modo continuativo o saltuario. Nel 2013 tale percentuale era scesa al 62,8%. Per contro coloro che dichiarano di non fare nessuno sport sono passati, in soli tre anni, dal 16,9 al 19,1%. I motivi possono essere svariati, ad esempio la difficoltà a conciliare sport e studio, in un Paese in cui difficilmente la scuola riesce a valorizzare il legame tra giovani e sport. Qualcosa cambierà a partire dal prossimo anno scolastico, quando gli studenti, alla fine della terza media, potranno


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iscriversi al liceo sportivo. Si tratta di una branca del liceo scientifico che prevede tre ore settimanali di educazione fisica e sostituisce latino e storia dell’arte con diritto ed economia dello sport. Dopo le sperimentazioni condotte in autonomia da alcuni istituti paritari, da settembre i licei sportivi saranno un centinaio in tutto il Paese. Tra qualche anno si potrà fare un bilancio, ma senza dubbio si tratta di un’esperienza ben diversa dal modello francese che, al contrario, prevede l’alfabetizzazione sportiva per le scuole di ogni ordine e grado (vedi bOx ). La possibilità di praticare con regolarità sport a scuola, gratuitamente e fin dalla tenera età, si rivelerebbe ancora più preziosa in questo periodo in cui la crisi conclamata costringe le famiglie a tirare la cinghia su tutto. Compresa la spesa per lo sport, che per il 75% è a loro carico, visto che l’investimento pubblico (quando c’è) è destinato soprattutto all’impiantistica.

QUEL LEGAME DIFFICILE DA SCIOGLIERE Ma ad allontanare i ragazzi dallo sport possono essere anche l’insicurezza e le incomprensioni con gli allenatori, che rischiano di avere conseguenze ben più gravi, portandoli a fare uso di sostanze per mantenersi competitivi (vedi ARTICOLO a pag 8). Per giunta, quando un adolescente non si trova più bene nella propria società sportiva, cambiare non è semplice e immediato come si potrebbe pensare. In base alle regole vigenti, infatti, il calciatore rimane tesserato in una squadra dilettantistica dai 15 ai 25 anni: e fino al 2002 il vincolo era a vita. Ciò significa che, se vuole andarsene, deve chiedere il via libera alla propria società. Non è una questione di poco conto, visto che riguarda i 2.200 calciatori che in Italia militano nelle categorie Allievi e Juniores, come rivela il Corriere della Sera in un articolo dello scorso dicembre. Non stupisce dunque che i contrasti più volte abbiano varcato le soglie dei tribunali o, cosa ancora più grave, abbiano costretto le famiglie a pagare sottobanco la squadra pur di rientrare in possesso del tesserino. Una pratica tassativamente vietata dalla Figc, ma che – rivelano al quotidiano alcune fonti che preferiscono mantenere l’anonimato – è ancora all’ordine del giorno. A cercare di mantenere lo status quo sembrano essere soprattutto i presidenti delle società, per il timore di perdere introiti che si rivelano preziosi per il settore dilettantistico. Quello che però in molti non sanno è che già esiste una possibile via d’uscita, anche se parziale: in base all’articolo 108 della normativa Figc il giocatore può sottoscrivere un accordo, controfirmato dalla società, che a luglio riconse-

IL DIFFICILE CAMMINO PER UNO SPORT ARCOBALENO

Luana giocava a calcio fin da piccola e per nessuna delle sue compagne di squadra la sua omosessualità era un problema: «Fondamentalmente non se ne parlava». Quando, da preparatrice atletica di una formazione femminile, ha una relazione con una delle atlete, la cosa non può più essere taciuta. La risposta da parte della dirigenza è un sms nel quale le si chiede di andarsene, seguito da una riunione con le ragazze (molte delle quali minorenni) accompagnate dai genitori. «Nessuno metteva in dubbio il mio operato come preparatore atletico – racconta – quello che i genitori non accettavano era che una persona dichiaratamente omosessuale avesse a che fare con le loro figlie. Quando sono arrivati a minacciare di far concludere il campionato a una formazione di sole otto atlete, buttando via i sacrifici fatti fino a quel momento, ho dovuto rinunciare al mio incarico». Questa storia è ambientata nel civilissimo Nordest, solo pochi anni fa. E dimostra in modo eloquente come sul tema dell’omofobia, all’interno dello sport, pesi ancora la preoccupante cortina del non detto. Certo, se n’è inevitabilmente parlato in occasione delle Olimpiadi invernali di Sochi. All’interno dei confini del Belpaese, pochi mesi fa ha avuto un buon risalto la campagna #Allacciamoli!, ideata da Paddy Power e Fondazione Cannavò in collaborazione con Arcigay e Arcilesbica. Ma quello che, a detta di molti, ancora manca è una sensibilità diffusa. Quella sensibilità che permetterebbe agli atleti a tutti i livelli di parlare apertamente, come meglio credono, della propria identità. Se infatti ormai sono passati quasi 25 anni dalla tragica storia del calciatore inglese Justin Fashanu, duramente criticato e isolato per il suo coming out e morto suicida nel 1998, solo a febbraio dell’anno scorso l’ex calciatore del Leeds Robbie Rogers, dichiaratosi omosessuale, si è ritirato dalla carriera professionistica a soli 25 anni temendo di non riuscire a reggere la pressione. È tornato sui suoi passi qualche mese dopo, trasferendosi dall’altra parte del pianeta per vestire la maglia dei LA Galaxy. Finora, Fashanu e Rogers sono gli unici due calciatori inglesi nella storia ad aver dichiarato pubblicamente la propria omosessualità. Gli ostacoli sono ancora troppi: la paura di discriminazioni, l’attenzione morbosa di certi media e, in alcuni casi, il divieto imposto dai contratti o dagli accordi con gli sponsor.

SCUOLE D’OLTRALPE A TUTTO SPORT

Per rilanciare l’insegnamento dell’educazione fisica nelle scuole basterebbe prendere esempio dai nostri vicini di casa. In Francia, infatti, già dagli anni Ottanta le scuole elementari e medie e i licei pubblici seguono il Programme EPS. La sigla sta per Education Physique et Sportive e indica una delle esperienze più avanzate di “alfabetizzazione motoria”. Qualche esempio: oltre alle tre ore di educazione fisica alla settimana (108 all’anno), ogni istituto ha la propria associazione che garantisce agli studenti attività sportive facoltative nel pomeriggio, a basso costo o del tutto gratuite. Andando anche al di là delle attività di base come atletica e nuoto, la scuola diventa il luogo dove sperimentare gradualmente lo sport a 360 gradi. Partendo dai classici giochi di squadra come pallavolo, calcio, basket e pallamano, si passa alle discipline di combattimento, a quelle artistiche come danza e ginnastica, e infine a tennis, badminton o tennis tavolo. Laddove le condizioni geografiche lo consentono, c’è spazio anche per le attività che aiutano i ragazzi a interfacciarsi con la natura: orienteering, arrampicata, ciclismo e pattinaggio, fino ad arrivare a sci, vela e canoa/kayak.

gna nelle sue mani il cartellino. Una procedura che potrebbe risolvere in modo indolore tante controversie. Ma che, ad oggi, è ancora troppo poco conosciuta. ✱ 5


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La partita più difficile Attorno allo sport, anche quello minore, ruotano denaro, potere e consenso. La criminalità organizzata lo sa bene e sfrutta ogni occasione. Per “ripulire” denaro sporco e per controllare il territorio

Gli azzurri di Prandelli ospiti della Quarto per un allenamento nell’ottobre del 2013. FOTO EMANUELE D’ANGELO

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ompetizione, passione, relazioni sane. Ma anche denaro, tanto, e la possibilità di conquistarsi consenso politico, economico e sociale. Lo sport è tutto questo. L’hanno capito fin troppo bene le organizzazioni mafiose. Per loro è il mezzo ideale per inserire i propri capitali nel ciclo economico legale. Magari facendo leva sulla cosiddetta “borghesia mafiosa”, quegli insospettabili che, forti della propria fedina penale pulita, non esitano a mettersi al servizio delle organizzazioni criminali.

Centro Studi Sociali contro le mafie-Progetto San Francesco. La criminalità organizzata, così, riesce a farsi avanti con le sponsorizzazioni fittizie, la collusione con alcune fasce di ultras, la gestione dei bar, della biglietteria e del merchandising, fino al match fixing. Secondo il dossier Le mafie nel pallone, pubblicato da Libera nel 2010 e diventato un libro di Daniele Poto, sarebbero circa una trentina i casi in cui i clan controllano, in modo più o meno diretto, i club.

UN SQUADRA PER LA LEGALITÀ L’INTERESSE DELLE MAFIE A mostrarsi più vulnerabile non a caso è il calcio, lo sport più amato e praticato del Belpaese. Nel 2013 la Figc censisce 1.360.000 tesserati e 14.451 società, di cui 119 professionistiche, 11.260 dilettantistiche e 3.072 giovanili e scolastiche. Le mafie si interessano soprattutto ai campionati minori, più lontani dalla ribalta mediatica, ma più vicini al territorio. Campionati in cui i club non godono dei fatturati miliardari delle big di serie A e quindi, in certi casi, fanno più fatica a dire di no al denaro di dubbia provenienza. Tanto più in questo periodo di crisi. «Purtroppo mancano anche le regole, cosa ben diversa altrove: perché le società non pubblicano i bilanci e certificano i flussi finanziari antiriciclaggio?», aggiunge Alessandro De Lisi, direttore del

Era fra questi la Quarto Calcio fino al 7 maggio 2011, quando, nel blitz per l’operazione Polvere, viene arrestato il suo presidente e azionista, Castrese Paragliola. La squadra, che militava in Eccellenza, dopo il sequestro disputa un campionato disastroso che si chiude con la retrocessione. A quel punto la procura la affida a Luigi Cuomo, responsabile dell’associazione per la legalità SOS Impresa. «Ho il compito di fare l’opposto di ciò che faceva il clan: da strumento per affermare il ruolo della mafia, la squadra deve diventare una leva per la legalità», spiega. Da quel momento, tante soddisfazioni e tanti traguardi. Come la cavalcata trionfale in campo, con la vittoria del campionato di Promozione, e la conquista dei playoff in Eccellenza. Ma, ancor più, l’onore di ospitare allo stadio Giarrusso l’allenamento degli azzurri di Prandelli a ottobre 2013. «Non è comune che una squadra come la nostra giochi con i propri idoli. Abbiamo dimostrato che, con la legalità e la correttezza, si possono realizzare obiettivi all’apparenza impossibili. Se abbiamo vinto questa scommessa, riusciremo anche nella nostra sfida più grande», auspica Cuomo: quella di consegnare la squadra a una cordata di imprenditori quartesi che offrano garanzie di trasparenza. La strada in questa direzione è stata intrapresa. Ma è in salita. «Il primo anno – racconta – abbiamo


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fatto fronte di continuo a raid, intrusioni e danneggiamenti, i cui responsabili non sono mai stati individuati. Quest’anno sono passati alla delegittimazione con la frase detta a mezza bocca e la chiacchiera al bar. È una criminalità impalpabile, che pervade i settori più fragili e conservatori di questa città. Cerchiamo di resistere allargando gli orizzonti: da sola Quarto non può liberarsi da un condizionamento mafioso radicato per decenni». Se, quindi, a Quarto c’è ancora chi ha paura di farsi vedere troppo spesso allo stadio a tifare una squadra che fa dell’antimafia la propria bandiera, a riempire gli spalti sono tante persone che arrivano da lontano. Persone che, insieme «allo straordinario sostegno della procura e della parte sana della città», sono state l’elemento che ha fatto la differenza rispetto ad altre esperienze che hanno avuto un epilogo ben più opaco. Come quello della Rosarnese, divenuta AC Libertas per poi fondersi col Cittanova nell’Interpiana. La formazione calabrese, che militava nella categoria Dilettanti, è stata per decenni sotto il controllo del clan Pesce. Dapprima ne teneva le redini Salvatore Pesce: dopo il suo arresto la gestione è passata a Marcello, per poi finire al cugino Francesco che, dopo averne vestito la maglia, ne è stato dirigente dal 2004 al 2010. Francesco Pesce, stando agli inquirenti, ne sarebbe stato anche il finanziatore occulto: nelle casse della squadra sarebbero finiti i proventi dell’estorsione perpetrata ai danni delle piccole imprese locali. La famiglia nel 2005 aveva anche tentato invano di mettere le mani sul Cosenza, all’epoca in serie B, e l’anno successivo aveva piazzato per qualche mese Marcello Pesce come direttore generale del Sapri. La parabola dei Pesce si conclude il 21 aprile 2011 con l’operazione All Clean, condotta dal sostituto procuratore della Dda di Reggio Calabria, Alessandra Cerreti, che mette i sigilli a beni per 190 milioni di euro e confisca la squadra. Una rinascita come quella del Quarto, però, non arriva. I tifosi spariscono, l’Interpiana non ha più uno stadio di casa, i finanziatori non si trovano. I giocatori, dopo settimane passate ad allenarsi in campetti di terra battuta senza l’acqua calda negli spogliatoi, nel 2012 se ne vanno uno dopo l’altro. L’anno in cui la formazione di Rosarno torna alla legalità, quindi, è anche l’anno del suo tramonto. Una sorte simile tocca all’Albanova, società calcistica di Casal di Principe finita sotto sequestro con un blitz nel 1995, quando militava al secondo posto del campionato di C2. Le indagini ricostruiscono presunti rapporti tra i vertici della società e il clan dei Casalesi, allora guidati da Francesco Schiavo-

ne, detto Sandokan. Da allora, la squadra sprofonda nelle serie inferiori, facendo emergere un pericoloso parallelismo tra la fine delle sue fortune e la fine del regime mafioso.

La Quarto nel 2013 ha ospitato la nazionale italiana. FOTO EMANUELE D’ANGELO

DAL CAMPO MESSAGGI MAFIOSI Per una cosca, infatti, spiega De Lisi, la squadra di calcio di un paese di provincia è innanzitutto «una porta d’ingresso al sistema sociale del territorio». Non stupisce l’allarme suscitato dagli episodi di deferenza ai boss arrivati dai campi da calcio. Come il lutto al braccio portato da tre giocatori del San Luca, squadra calabrese di serie D, come segno di deferenza per Antonio Pelle detto “Gambazza”. Morto il 4 novembre 2009, era un esponente storico della ’ndrangheta, protagonista della faida di San Luca a cui è legata la strage di Duisburg del 2007. La società, presieduta dal prete anti-’ndrangheta don Pino Strangio, ha subito preso le distanze dall’iniziativa. Ma ciò non è bastato a evitare un’ammenda, la squalifica di sedici giocatori e il Daspo (il divieto d’accesso alle manifestazioni sportive) per un anno per il vicepresidente Giuseppe Trimboli. Ha dovuto scontare dieci mesi di squalifica anche il capitano del Mazara calcio che, il 22 marzo 2009, nella partita di Eccellenza contro il Marsala, ha dedicato il proprio goal a “Nino e Vito”, che una settimana prima erano stati arrestati nell’ambito dell’operazione “Eolo” condotta dalla direzione distrettuale antimafia di Palermo. Pochi mesi dopo Gioacchino Sferrazza, presidente della formazione di Eccellenza siciliana Akragas, avrebbe dedicato una vittoria “all’amico fraterno Nicola Ribisi”, all’epoca detenuto in regime di custodia cautelare per associazione mafiosa. Ma l’episodio più clamoroso è arrivato mentre scrivevamo questo inserto, con gli uomini delle forze dell’ordine costretti a chiedere il permesso di giocare la finale di Coppa Italia Fiorentina-Napoli a Gennaro De Tommaso, meglio conosciuto come Genny ’a carogna, capo della curva A e figlio di un affiliato al clan Misso del rione Sanità. ✱ 7


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Sulla pelle degli atleti Il doping è un mercato da 800 milioni di euro che coinvolge 500 mila italiani, dagli atleti famosi alle palestre di quartiere. Un mercato che non riguarda solo gli sportivi, ma anche il mondo che li circonda

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n giro d’affari da 800 milioni di euro, che interessa a vario titolo circa 500 mila italiani e macina tassi di crescita vertiginosi, che arrivano addirittura al 25% annuo. Se stessimo parlando di un’azienda sana, si tratterebbe di un fiore all’occhiello per l’imprenditoria del nostro Paese. Peccato che siano i numeri del doping. Un fenomeno di rilevanza planetaria che, partendo dall’erronea convinzione di migliorare le prestazioni sportive, finisce per distruggere i presupposti alla base dello sport in sé. Abbiamo ancora tutti negli occhi le lacrime di Alex Schwazer nella conferenza stampa dell’agosto 2012 in cui confessava di aver fatto ricorso all’EPO

perché non riusciva più a reggere alla pressione e ai durissimi allenamenti. L’atleta che, solo quattro anni prima, esultava per il record olimpico nella 50 km di marcia, sventolando la bandiera italiana, era diventato un uomo sconfitto, che chiedeva soltanto una vita normale e un lavoro normale.

LA “NORMALITÀ” DEL DOPING Episodi così eclatanti, che gettano ombre sulle vittorie che poco prima erano un vanto nazionale, sono soltanto la punta dell’iceberg. Un iceberg fatto di 370 milioni di dosi di sostanze dopanti che circolano ogni anno nel nostro Paese, per essere assunte da almeno 220 mila persone. Sorvegliate specia-

“REGOLE, REGOLE, REGOLE” LA RICETTA DEL CONI LOMBARDIA Pierluigi Marzorati chiede punizioni più severe contro chi infanga lo spirito sportivo. Ma i violenti negli stadi non rappresentano lo sport italiano Un passato sul campo, come bandiera della Pallacanestro Cantù dal 1969 al 1991, e un presente ai vertici di Coni Lombardia, dove da subito si è speso in prima persona sui temi della trasparenza e dello sport pulito. Abbiamo intervistato Pierluigi Marzorati, po8

chi giorni dopo la finale di Coppa Italia Napoli-Fiorentina, una serata buia dominata, non dall’agonismo, ma dai violenti scontri dentro e fuori dallo stadio. Ecco la strada che propone per dare risalto alla parte sana dello sport. Parliamo di sport, trasparenza e legalità: un tema delicato, a pochi giorni di distanza dai fatti successi alla finale di Coppa Italia… Bisogna fare i dovuti distinguo: non è un momento critico per lo sport, è un momento critico per il calcio, che – per quanto prioritario – è solo una delle 45 discipline dello

Pierluigi Marzorati, ex cestista italiano, icona della Pallacanestro Cantù, da luglio 2010 è presidente del Comitato Regionale Lombardo Coni.

sport italiano. Certo, fa più rumore una pianta che cade rispetto a milioni di piante che crescono giorno per giorno. Proprio ieri ho assistito alla partita di volley tra Cantù e Monza, una sorta di derby per la promozione in A1, e lo spettacolo era totalmente diverso: i tifosi incitavano la propria squadra, ma nulla a che vedere con i cori offensivi e violenti che si ascoltano altrove.


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li, le palestre di body building: si stima che circa 69 mila dei loro frequentatori ricorrano al doping. Ma, per intercettare i giri di sostanze illecite, non ci si può fermare a chi ne fa uso. Come ricorda la World Anti Doping Agency (WADA), quello del doping è un universo che coinvolge anche gestori e istruttori di palestre, promotori commerciali di integratori, farmacisti e medici, dirigenti e allenatori, addetti alla sicurezza come i buttafuori. Fino a lambire addirittura chi, per il ruolo che ricopre, dovrebbe essere saldamente schierato all’altro lato della barricata: ovvero rappresentanti delle Forze dell’ordine e impiegati delle farmacie ospedaliere. Le sacche di penetrazione più pericolose, quindi, sono proprio quelle che tendono a restare fuori dai riflettori. Sono quelle delle discipline che difficilmente si conquistano le prime pagine dei giornali, monopolizzate dal calcio. E sono quelle dei dilettanti e dei giovani che, spesso perché impreparati, rischiano di ricorrere a scorciatoie sbagliate pur di raggiungere il risultato. Una recente analisi, che fa una sintesi di diversi studi epidemiologici, stima che l’incidenza del doping sia compresa tra il 3 e il 5% dei bambini che praticano sport.

UNA PRATICA DIFFICILE DA DEBELLARE Ciò non significa che manchi l’attenzione delle istituzioni. Anzi, l’Italia è stata in assoluto uno dei primi Paesi ad attivarsi nel contrasto al doping, a partire dagli anni Cinquanta (vedi INFOGRAFICA ). Ma il lungo iter legislativo intrapreso dal nostro Paese non è bastato a fermare in modo davvero efficace le pratiche illecite. Difficile scovare le grandi quantità di farmaci che vengono rubati giorno dopo giorno (si stima che il loro valore, dal 2006 ad oggi, sia di 18 milioni di euro) per poi essere smerciati sui 30 mila siti web che offrono medicinali scontati o contraffatti. Ancora troppo bassa la quantità di sostanze dopanti intercettata dalle Forze dell’ordine: ad oggi è ferma solo al 3% del totale. I test antidoping, d’altronde, vengono effettuati soprattutto durante le gare, ma molto più raramente nel corso della preparazione: in questo modo, oltre a risultare prevedibili, lasciano un’area pericolosamente scoperta. Senza contare che, anche quando si riesce ad arrivare a un processo, nella maggior parte dei casi si ferma tutto con la prescrizione. Lasciando il Belpaese in un pericoloso ritardo rispetto agli altri Stati europei. ✱

Quindi ciò che è successo a Roma non è rappresentativo? Diciamo che è rappresentativo, ma in negativo. E dimostra che, evidentemente, c’è qualcuno a cui fa comodo che le squadre abbiano un seguito di questo livello, mascherato da tifo. Tanto, quando succede qualcosa, il polverone mediatico dura una decina di giorni e poi è destinato a spegnersi senza che nulla cambi davvero. L’Italia in questo dovrebbe prendere esempio dagli Usa: basti pensare alla NBA, che ha radiato a vita il presidente dei Los Angeles Clippers che aveva pronunciato alcune affermazioni razziste. Dare meno peso al calcio potrebbe essere una soluzione? In Italia sarebbe abbastanza un’utopia, ma

è chiaro che bisogna iniziare a punire. Se la si obbliga a disputare cinque o dieci partite senza pubblico, e si tocca così il suo portafogli, una società è indotta a regolarsi di conseguenza. In sintesi, bisogna mettere da parte il buonismo e iniziare ad applicare regole, pensate per il bene della società e non per salvaguardare determinati interessi economici. Lo sport, d’altronde, non insegna a essere buonisti: col buonismo non si vincono né i trofei sportivi né le partite della vita. Si vocifera che il governo Renzi abbia intenzione di tagliare i fondi per lo sport. Cosa ne pensa? Secondo me è una scelta positiva perché andrebbe a scovare lo sperpero di risorse

Emanata la legislazione penale antidoping

2007

L’Italia rende esecutiva la Convenzione antidoping del Consiglio d’Europa

2000

Si inizia a parlare di EPO (eritropoietina)

1995

Emerge il fenomeno dell’emotrasfusione: se ne interessano il Parlamento e il ministero della Sanità. L’Associazione Nazionale dei Medici di Famiglia segnala la crescente richiesta di steroidi anabolizzanti da parte dei giovani atleti e dei loro genitori

ANNI ’90

Emanata la prima legge italiana che punisce tanto gli atleti quanto chi fornisce loro le sostanze illecite

ANNI ’80

Apre il primo laboratorio di analisi a Firenze

1971

1961

CINQUANT’ANNI DI LOTTA AL DOPING: LE TAPPE L’Italia ratifica la convenzione UNESCO contro il doping nello sport

all’interno di certe Federazioni. Sicuramente è un lavoro lungo, ma lo sport vero, che mette in campo progetti seri, è perfettamente in grado di trovare i finanziamenti che gli servono. Lei è presidente di Coni Lombardia ormai da tre anni e mezzo, arrivando da una storia sportiva importante. Può fare un bilancio della sua esperienza? Ho trovato un ambiente in cui tante persone lavorano con onestà perché credono in prima persona nello sport. Dall’altro lato, bisogna ancora cambiare tante cose, perché c’è anche chi cerca di sfruttare il loro lavoro per farsi strada. Ma lo sport è meritocrazia: a vincere medaglie è chi si allena duramente. 9


IL VALORE DELLO SPORT

SCOMMESSE E TRASPARENZA: MISSIONE POSSIBILE Il gigante delle scommesse on line Betfair dichiara guerra alla truffa e lancia un monitoraggio dei flussi di denaro. A coordinarlo un ex ufficiale di Scotland Yard

Un team di sei esperti, con sede a Londra, coordinati da un ex ufficiale di Scotland Yard. Il loro compito è quello di seguire, tramite avanzati strumenti informatici e statistici, i flussi di denaro che vengono scommessi quotidianamente sugli eventi sportivi in tutto il mondo. E, una volta scovate eventuali anomalie, reagire di conseguenza. È la scelta di Betfair, uno dei giganti globali nel panorama delle scommesse legali on line (nel 2013 ha contato su un giro d’affari da 387 milioni di sterline, con 4 milioni di utenti registrati e 1.800 dipendenti). Fondata nel 2000, alla fine del 2002 ha dato avvio alla propria struttura di monitoraggio. Alla base, un principio che dovrebbe essere molto più condiviso: è interesse di tutti che lo sport sia esente da tentativi di manovra e combine. È interesse degli sportivi, delle federazioni e di chi scommette legalmente. Per questo l’attività di ogni utente rimane tracciata: dal momento in cui accede al sito, alla singola puntata, alle telefonate. Sulla base di questi dati, l’Integrity Team prende in esame le anomalie. «Un episodio inusuale non si traduce necessariamente in un episodio sospetto», spiega il capo del team. «Nella valutazione entrano in gioco le caratteristiche del campionato di riferimento e la nostra esperienza. Le transazioni che si posso10

IL “NO” DEL PALERMO

Abbiamo già raccontato come le squadre delle realtà più periferiche rischino di essere preda dei clan. Ma non è stata immune da un tentativo di attacco nemmeno una formazione blasonata come il Palermo che, mentre scriviamo, ha appena riconquistato la serie A. Questa vicenda, che risale al 2008, si è però risolta positivamente perché la dirigenza della squadra ha preso saldamente in mano la situazione, opponendosi ai clan. A tentare di mettere le mani sul vivaio rosanero sarebbe stato il clan dei Lo Piccolo, per mano del suo legale e factotum Marcello Trapani, reinventatosi procuratore. Gli inquirenti hanno indagato su una serie di ipotesi: dal traffico di biglietti omaggio al tentativo di “spingere” la carriera di alcuni giovani protetti, anche quando erano privi di reali capacità tecniche, in modo tale da poterli cedere ad altre squadre intascando le plusvalenze e guadagnando il rispetto delle loro famiglie. Tutto questo a costo di dover mettere in atto pressioni ai danni degli organi societari. Quando nel 2007 l’allora direttore sportivo Rino Foschi è oggetto di vere e proprie minacce mafiose, che vanno dalle telefonate anonime alla testa di capretto mozzata recapitatagli per Natale, Zamparini prende in mano la situazione, denunciando l’accaduto all’allora procuratore antimafia Pietro Grasso, suo amico e grande tifoso del Palermo. Ne nasce l’indagine Face off della direzione distrettuale antimafia di Palermo, che porta nel 2008 all’arresto di Trapani (che dopo un mese decide di collaborare con la giustizia) e Giovanni Pecoraro, per anni responsabile delle formazioni under 18, che nel frattempo era già stato allontanato da Zamparini. Il procedimento penale contro Pecoraro è stato archiviato a marzo 2010 dal Gip del Tribunale di Palermo.

no definire sospette non sono certo cosa di tutti i giorni». Quando accadono scatta la segnalazione in tempo reale a una delle 58 autorità sportive competenti con cui sono stati siglati accordi di collaborazione. Tra di esse ci sono UEFA e FIFA, ma anche l’ATP per il tennis, la Sei Nazioni, la Liga Spagnola, il CIO (Comitato Internazionale Olimpico). Le Federazioni italiane, però, mancano alla lista. «Abbiamo preso alcuni contatti in passato ma non siamo purtroppo

mai riusciti a siglare nessun accordo. Sarebbe sicuramente una possibilità interessante», continua, specificando che, quando serve, si provvede comunque ad allertare il regolatore italiano. Chi prende accordi con Betfair può anche usufruire di Bet Monitor, un software che permette di tracciare in tempo reale (tutelando l’anonimato dello scommettitore) tutte le puntate di valore superiore ai mille euro e, se necessario, far partire un’indagine.


LA LEGA PRO A SCUOLA DI LEGALITÀ Un Integrity Tour in tutta Italia, per insegnare ai ragazzi il valore della legalità

37 città visitate in nove mesi per incontrare 4.800 persone tra arbitri, calciatori, allenatori, giovani e dirigenti. Sono le cifre dell’edizione 2013/2014 dell’Integrity Tour della Lega Pro (nella FOTO ), che si è concluso lo scorso 29 aprile ad Ascoli. Un percorso che la Lega Pro (che l’anno prossimo tornerà a chiamarsi Serie C) ha intrapreso dal 2011, il suo anno più difficile, che l’ha vista travolta dallo scandalo del calcioscommesse. Quali sono le sanzioni penali e sportive per i tesserati coinvolti nelle frodi legate alle scommesse? Come mettersi in contatto con le autorità se si viene avvicinati per un tentativo di corruzione? Cosa prevede il Codice Etico adottato dalla Lega Pro a partire dal 2011? Su questi e altri temi si concentra il

percorso formativo, condotto dagli esperti di UISS (Unità Informativa Scommesse Sportive), GISS (Gruppo Investigativo Scommesse Sportive) e Sportradar, l’agenzia che è stata incaricata di monitorare in ogni momento le scommesse su tutte le partite di campionato e Coppa Italia. Un giro d’affari che, per il terzo campionato italiano, vale ogni anno 240 milioni di euro, con picchi di 240 mila euro per la singola partita. E in cui le infiltrazioni criminali si fanno sempre più sofisticate. «Non siamo certo noi a doverci occupare di indagare sugli attacchi criminali: è compito della magistratura. A noi interessa che, qualunque sia l’irregolarità, i ragazzi la denuncino», ci spiega il direttore generale della Lega Pro Francesco Ghirelli. I risultati, lentamente, sembra che stiano arrivando. «All’inizio – continua Ghirelli – il nostro compito principale era l’alfabetizzazione. Passo dopo passo, stiamo cercan-

IL NOVARA RIPARTE IN CONTROPIEDE

Coppa Italia, 30 novembre 2010: Chievo Verona-Novara 3-0. Campionato di serie B, 2010-2011: Novara-Ascoli 1-0, Siena-Novara 2-2. Queste le partite su cui si sono concentrate le indagini per lo scandalo del calcioscommesse, che nel 2011 ha coinvolto decine di squadre italiane. Vicende che hanno pesato come macigni su quella che, fino ad allora, sembrava la bella favola del Novara. La formazione piemontese, dopo quasi tre decenni passati tra la C1 e la C2, tra il 2009 e il 2011 aveva completato in tempo record la propria marcia alla massima serie, che si sarebbe bruscamente conclusa dopo un solo campionato. Uscito a pezzi dalle vicende giudiziarie che hanno coinvolto alcuni suoi tesserati, e di conseguenza la società per il meccanismo della responsabilità oggettiva, il Novara decide di fare diversi passi avanti per la legalità e la trasparenza. Dopo aver adottato un Codice antifrode, nel 2012 sigla un accordo con Federbet, un ente no profit belga specializzato nel monitoraggio del match fixing. Federbet monitora costantemente le quote di 5mila bookmaker internazionali, incrociandoli con quelli dei suoi 150 affiliati. In questo modo riesce a segnalare eventuali anomalie. La società da parte sua si impegna ad allertare immediatamente gli osservatori FIGC presenti sul campo, inviare una segnalazione alla Procura Federale e avvertire i propri tesserati e i dirigenti della formazione avversaria. È un deterrente per i giocatori, che sanno di essere controllati, e un paracadute per la società, che in caso di tentativi di illecito risulta più tutelata. Nei mesi successivi anche Udinese e Sampdoria hanno stretto un accordo con Federbet.

IL VALORE DELLO SPORT

do di rompere il muro di silenzio e di omertà. Tempo fa, ad esempio, mi è capitato di prendere da parte un nostro giovane calciatore per ringraziarlo di aver denunciato un tentativo di corruzione. Lui mi ha risposto che non c’era motivo per ringraziarlo, perché aveva fatto soltanto una cosa normale. Ecco, questa per me è stata la soddisfazione più grande». E a novembre scorso i rappresentanti di Lega Pro hanno esposto questo progetto al Palazzo delle Nazioni dell’Onu a Ginevra.

GIOVANI MIGRANTI, GIOCARE È PER POCHI

Erano 34 ragazzi della Costa d’Avorio. Per loro la prospettiva di giocare in una società europea era l’unica speranza di riscatto. Ma si sono ritrovati in Mali, a lavorare in condizioni di schiavitù. Questa storia, raccontata al Fatto Quotidiano da Becky Harvey del movimento Stop The Traffik, purtroppo non è un caso isolato. Una ricerca dell’università di Neuchâtel rivela che solo il 13% degli africani che emigra in Europa per giocare a calcio riesce a migliorare le proprie condizioni. E per i duemila di loro che militano nelle squadre professionistiche, afferma l’associazione Foot Solidaire, sono dieci volte tanti i minorenni convinti a lasciare il loro Paese da falsi procuratori che, dopo aver intascato i soldi dalle famiglie, li abbandonano a destinazione. Per contrastare il fenomeno, la FIFA ha adottato una normativa severa, che vieta i trasferimenti internazionali di minorenni. Ma la soluzione non può essere solo quella di inasprire i vincoli alla circolazione dei giovani atleti. Perché lo sport, quando è sano, è un fondamentale veicolo di integrazione. «Dall’Afghanistan, dove facciamo uscire le ragazze di casa portandole a giocare a pallavolo, fino a Torino, dove usiamo il calcio e l’hip hop per motivare i NEET (Not in Employment, Education or Training, ragazzi che non studiano né lavorano)», ci conferma il Segretario generale di ActionAid Marco De Ponte. L’integrazione deve essere una priorità. Si parla sempre più spesso di ius soli sportivo: la possibilità per le Federazioni di considerare italiani gli atleti di origine straniera nati nel nostro Paese. La federazione del pugilato, dell’hockey e del cricket hanno già introdotto la norma, battendo sul tempo la politica. 11



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