Pomponia Graecina

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EDIZIONI E SAGGI UNIVERSITARI DI FILOLOGIA CLASSICA

Collana diretta da

G. CALBOLI, E. DEGANI, A. GHISELLI, I. MARIOTTI, A. TRAINA 8.

GIOVANNI PASCOLI POMPONIAGRAECINA

INTRODUZIONE TRADUZIONE, NOTE ESEGETICHE E APPENDICE

A CURA DI ALFONSO TRAINA

IV edizione riveduta e aggiornata

Copyright© 1993 by Pàtron editore via Badini 12, 40050 Quarto Inferiore - Bologna

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l' edizione 1967

2' edizione 1970

3' edizione 1973

4' edizione 1993

Ristampa 5 4 3 2 1 O 1997 1996 1995 1994 1993

PRIMA CHE IL LIBRO SCIENTIFICO MUOIA

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Stampato nello Stabilimento Editoriale Pàtron

40050 Quarto Inferiore -Bologna

INTRODUZIONE

-t(ç ò'ol6ev et l;ijv -toiill' 8 xÉxÌ..1)-ta:~lla:vetv, 'tÒ l;ijv ÒÈ llvl]UXEW É<T-tl; (Euripide, fr. 833 N.2)

Vita mihi mors est, Mors sit mihi vita quiesque. (Iscrizione del 1640)

Ali things that we love and cherish, Like ourselves must fade and perish. (Shelley, Death)

H Pascoli stesso dichiara le fonti antiche della sua Pomponia: Tacito, ann. 13,32 e un'iscrizione cristiana. Narra Tacito sotto l'anno 57: Et Pomponia Graecina insignis /emina, A. Plautio, quem ovasse de Britannis rettuli, nupta ac superstitionis externae rea, mariti iudicio permissa. Isque prisco instituto propinquis coram de capite famaque coniugis cognovit et insontem pronuntiavit. Longa buie Pomponiae aetas et continua tristitia fuit. Nam post Iuliam Drusi filiam dolo Messalinae interfectam per quadraginta annos non cultu nisi lugubri, non animo nisi maesto egit, idque illi imperitante Claudio inpune, mox ad gloriam vertit. Lo storico elogia il coraggio della donna nel portare apertamente il lutto per una vittima dell'imperatore, in tempi in cui piangere un parente condannato a morte era motivo sufficiente per seguirne la sorte (cfr. Tac. ann. 6,10: Ne feminae quidem exsortes periculi. Quia occupandae rei publicae argui non poterant, ob lacrimas incusabantur, necataque est anus Vitia, Fufii Gemini mater, quod filii necem flevisset). Ma già prima del Pascoli la continua tristitia di Pomponia era stata messa in rapporto con l'accusa di superstitio externa, e considerata come

INTRODUZIONE

una prova del suo cristianesimo 1 Il poeta accettò tale tesi, suffragata dall'autorità del grande archeologo G. B. De Rossi e diffusa dall'ondata di « quovadismo » che dominò la cultura italiana agli inizi del secolo 2 ; ma fece della tristitia non solo la causa, bensì anche la conseguenza del processo: Non cultu nisi lugubri Pomponia vitam, - non animo vixit nisi maesto, maestior ex quo... iudicium capitis, Plauti, te iudice, passa est ( 1 ss.). L'accresciuta tristezza di Pomponia è dovuta alla sua abiura 3 •

L'a>ltra fonte è un'iscrizione funeraria cristiana della fine del II secolo, scoperta e ricostituita dal medesimo De Rossi in una cripta del cimitero di S. Callisto: IIoMII!lNIOC

I'PHxELVoC 4 Per il De Ros1si fu un'ulteriore conferma del cristianesimo di Pomponia, se un suo discendente poté essere sepolto nelle catacombe. Il Pascoli con confessato arbitrio' (v. la sua not_aal v. 235) l'anticipò di un secolo e ne fece l'epitafìo di un nipote di Pomponia, vittima della persecuzione neroniana. Con ciò gli elementi del dramma erano dati: il processo, l'abiura per amore del figlio, il rimorso, la discesa nelle catacombe e l'incontro finale col cadavere del nipote. Nel ciclo dei Poemata Christiana -parte a loro volta di un più vasto ciclo, che avrebbe dovuto ordinare tutti i versi latini del Pascoli in un poetico affresco della « vita romana antica » 5

1 Sul cmtlanesimo di Pornponia e i relativi ·problemi dr. ora

* M. SORDI, Il Cristianesimo e Roma, Bologna, 1965, p. 68 _ss.

2 La prima traduzione italiana del Quo Vadis? usd nel 1899: parti* colari in Della Torre (v. Bibliografia), p. 7 ss.

3 Questi versi e il v. 151: Quae penitus posthac animo magis angitur aegra, non ci consentono di accettare la deduzione del Della Torre, che per il Pascoli la « quarantenne tristezza » della donna provasse che essa rimase cristiana fino alla morte (p. 13), e quindi neppure la con-· elusione che Ja seconda parte del carme tratti « l'irresistibile ritorno alla fede» (p. 4). Il finale di Pomponia, che ha molte consonanze con quello del Ru/ius Crispinus, ci lascia in sospeso: dr. J. J. HARTMAN, La poesia latina di G. Pascoli, trad. Barbieri, Bologna, 1920, p. 28; A. MocCHINO, L'arte di Pascoli nei carmi latini, Firenze, 1924, p. 61.

* 4 DE Rossi, Roma sotterranea cristiana, Roma, 1867, II, p. 363 s.; l'iscrizione è riportata da O. MARUCCHI, Le catacombe romane, Roma, 19052, p. 192 (un'altra fonte archeologica del Pascoli), che fece ancora in tempo a vededa, ma ne attesta già la scomparsa.

5 Si sa che nel 1908 il Pascoli scriveva a un amico: « Questi poemetti fanno un tutto organico. Descrivono la vita romana antica in

- Pomponia rappresenta il terzo momento, la penetrazione della nuova fede nell'alta società pagana, dopo il primo, ancora inconsapevole annuncio del Centurio e l'iniziale diffusione tra gli schiavi (T hallusa) 6 • Ma, se è vero che l'opera d'arte è interpretabile a diversi livelli, giova forse di più chiedersi, a un livello più profondo, quale sia il suo posto e il suo significato nel mondo poetico del Pascoli: il che equivale, in fondo, a chiederci quale sia il suo significato per noi.

È vecchia e palmare osservazione che l'ultimo Pascoli valido è quello latino 7 • Uno sguardo alle date: dal 1909 (l'anno della svolta: « comincia oi:a la mia vita di poeta e di scrittore e di educatore... » 8 ) abbiamo in italiano Le canzoni di re Enzio (1908-9), i Poemi Italici (1911) e i Poemi del Risorgimento (1913, postumi); in latino Pomponia Graecina (1909), Fanum Vacunae (1910), i due Hymni e Thallusa ( 1911 ). Alla nuova ispirazione storica e nazionalistica, di tipo carducciano, che aduggia l'ultima opera italiana del Pascoli, in latino rispondono solo gli Hymni in Romam e in Taurinos (non per nulla bilingui!). Ma con gli altri tre carmi il Pascoli resta fedele a se stesso, a quella più genuina ispirazione che nei personaggi antichi dei Conviviali e dei Carmina aveva riconosciuto i poetici simboli dell'inquieto mondo pascoliano. Il latino in bocca ai Latini9: la poetica delle cose

tutti i tempi, in tutte le condizioni, in pace e in guerra, in terra e in mare, nella politica e nella domesticità, in città e in campagna; poeti, artigiani, grandi uomini e dònne, e piccoli e piccole, e paganesimo e cristianesimo, e le origini e la fine... » (A. GANDIGLIO,G. Pascoli poeta latino, CiHà di Castello, 1924, p. 49 s ; cfr. P. VANNUccr,Pascoli e gli scolopi, Roma, 1950, p. 386). Anche i Carmina avrebbero dovuto inquadrarsi in una storia poetica dell'umanità, nel « poema della psyche umana» (G. PASCOLI,Nell'anno mille, Bologna, 1923, p. 41: da un appunto del 1904). Aggiungi M. PASCOLI,(A. VrcINELLI),Lungo la vita di G. Pascoli; MHano, 1961, p. 943.

6 Della Torre, op. cit., p. 3; Gandiglio, op. cit., p. 71.

7 Cfr. per es. G. PETROCCHI,Poesia e gusto del Pascoli latino, « Letteratura », 1955, p. 55. [ = Poesia e tecnica narrativa, Milano, 19652 , p. 40].

8 Lungo la vita di G. P., cit., p. 913. Il Vicinelli per altro non riesce a conciliare l'ispirazione degli ultimi poemetti latini (p. 942) con la tendenza all'eroico dell'ultimo Pascoli (p. 939).

9 Su ,questo fondamentale principio della poetica pascoliana mi permetto di rinviare al mio Saggio sul latino del Pascoli (v. Bibliografia), p. 26 ss. ( = p. 14 ss.).

INTRODUZIONE

aiuta il Pascoli a liberarsi dalla retorica della storia e della patria e a scegliere tre volti cui affidare gli ultimi, segreti messaggi del suo inconscio: Pomponia, Orazio, TaUusa. Un poeta e due madri. •

Orazio: il poeta della mediocritas, che il Pascoli identifica con la rinunzia, identificandosi quindi con Orazio. L'antico poeta nella sua villa sabina diviene il Pascoli nella sua « bicocca» di Castelvecchio; e la « giornata del poeta», come può intitolarsi il Fanum V acunae10 , diviene il testamento poetico del Pascoli, la sintesi dei suoi temi lirici, su cui il simbolo sepolcrale dell'edera getta l'ombra presaga della morte: tu nudos vestis muros, tu pulla ruinas - atque sepulcra memor (416 s.). Né manca, attraverso l'esperienza di Orazio, l'allusione alla madre troppo presto perduta, il cui volto svanisce dalla memoria: Nam matris ille neutiqÙam vultum videt, - immemorabiliter imaginem dulcem sequens (28 s.; cfr. Anniversario:'« e già gli occhi materni io penso a vùoto,mamma, e più non ti so » ). Non poteva mancare nel testamento poetico del Pascoli un accenno al motivo della madre, che, marginale in Fanum Vacunae, quantitativamente se non qualitativamente 11 , è al centro di Pomponia e di Thallusa.

« Une oeuvre poétique » ha scritto il Bachelard 12 « ne peut guère recevoir son unité que d'un complexe ». Non sarà caso che l'opera poetica del Pascoli sia stata di recente accentrata intorno al simbolo del « nido », che proprio il Bachelard aveva suggestivamente definito « fa •grande image des intimités perdues » i:;. Ecco come il Bàrberi Squarotti introduce la sua intelligente Interpretazione della simbologia pascoliana14:

JO Sul significato del Fanum Vacunae e sulla identificazione del Pascoli con Orazio mi sono diffuso in Introduzione alle « Saturae » del Pascoli, in A:AVV., Nuovi Studi Pascoliani, Bolzano-Cesena, 1963, p. 140 ss. ( = G. PASCOLI.,Saturae, a cura di A. Traina, Firenze, 19772, p. X,VJ ss.). Cfr. ora anche C. F. GoFFIS, Significato di Fanum Vacunae, « Paideia », 1966, p. 119 ( = Pascoli antico e nuovo, Brescia, 1969, p. 245): « Orazio questa volta è trasparentissimo velo del Pascoli».

11 Immemorabiliter è il più bello dei pochi hapax pascoliani, dr . Saggio, p. 58 ss. ( = p. 55 s.).

12 La psychanalyse du feu, Paris, 1965, p. 38.

13 La poétique de l'espace, Paris, 1958, p. 100.

14 « Lettere Italiane», 1963, p. 286. L'articolo è stato ristampato nell'opera del medesimo A., Simboli e strutture della poesia del Pa-

« L'immagine che ritorna più frequentemente entro la poesia familiare del Pascoli è quella della casa. come "nido", caldo, chiuso, segreto, raccolto in una sua esistenza senza rapporti con l'esterno, ma brulicante di complici intimità, di istinti e affetti viscerali, sotto il segno di quasi tribali miti ». Peccato che l'analisi del Bàrberi Squarotti si arresti - con la solita dicotomia tanto negata in teoria quanto attuata nella prassi critica -dinanzi al Pascoli latino 15 • Proprio perché si radicano nel « complesso » simboleggiato dall'immagine del nido, Pomponia e Thallusa restano poeticamente vitali nel momento in cui il Pascoli va sempre più estraniandosi dalle ragioni profonde della sua poesia.

Al cuore del nido, al centro di questa rete di gelosi affetti familiari sta, naturalmente, la madre: sia che il Pascoli rievo- * chi il nido distrutto (« E come, o madre, quella parola -ti si confisse tanto nel petto, -che assomigliava la famigliuolatua nuda a quella d'un uccelletto? », Il nido di « farlotti » ), sia che, per un istante, lo vagheggi ricostruito (« Io vidi allor la mia - vita passar soave, - tra le sorelle brave, - presso la madre pia», Casa mia 16 ). La tenace fedeltà del poeta al « nido » familiare, il bisogno della sua· calda protezione contro la realtà esterna non potevano meglio rivelarsi che in questi versi, dove il ricordo si proietta in un impossibile futuro: « Qui sperderò le oscure - nubi e la mia tempesta, - presso la madre mesta, -tra le sorelle pure » (ibid. ). Che altro cercò di fare il Pascoli negli anni di Massa e di Livorno, se non ricostruire il nido con le « sorelle pure » n ? Si compren-

scoli, Firenze, 1966 {p. 9 ss.), che prescinde anch'essa completamente dai Carmina.· Sulla critica psicanalitica del Pascoli si veda M. DAVID, Letteratura e psicanalisi, Milano, 1967, pp. 151 ss.

15 Che avrebbe potuto dargli interessanti conferme formali. Analizzando il diminutivo nidulus scrivevo a p. 141 del Saggio ( = p. 141): « Questo simbolo, così ricco per tutti di risonanze affettive ..., si direbbe naturpliter pascoliano ».

16 Bene G. Trombatore commenta: « Solo dalla morte della madre egli si senti colpito a morte, anche lui. Se la madre fosse sopravvissuta, anche sola, nella sua casa. con le due figlie superstiti, quella sarebbe stata sempre la famiglia » (Il ritorno a S. Mauro, m AAVV., Studi per il centenario della nascita di G. Pascoli, Bologna, 1962 [ma la comunicazione fu tenuta nel 1958], III, p. 153).

17 « Che tempo buono quello, o Ida e Maria» (Lungo la vita, p.

INTRODUZIONE

de meglio la sua patologica reazione al matrimonio dell'Ida, che distruggeva il nido per la seconda volta 18 , e il successivo, progressivo rinserrarsi nel bozzolo 19 di Castelvecchio con la sola superstite del vecchio nucleo familiare, e con l'ossessiva presenza dei morti.

Perché « il nido si prolunga oltre la morte, con tutta la sua gelosa e chiusa difesa della cerchia familiare » 20• Viene subito in mente l'emblematica collocazione di Il giorno dei morti alle soglie di Myricae: « Stretti tutti insieme, - insieme tutta la famiglia mesta ... » (non sfugga l'espressivo accaval• larsi dell'avverbio). La famiglia preesiste al tempo ( « Posa ogni morto; e nel suo sonno culla - qualche figlio de' figli, ancor non nato», ibid.), e quando il vivente si sveglierà « dal sogno della vita », troverà i suoi morti ad attenderlo (« no, non solo! Ll presso è il camposanto, - con la sua fioca lampada di vita. - Accorrerebbe la mia madre in pianto ...Verranno gli altri ... », Il bolide). Se mai il Pascoli pensò a un paradiso, non fu certo la beatifica visione del Dio cristiano, ma la reintegrazione dei perduti affetti familiari 21 , nel segno di un'arcaica pietas pagana: « No! - mi rispose: là c'è il camposanto. - Tua madre ti riprende sui ginocchi;tu ti rivedi i fratellini accanto. - Si trova un bacio quando * qui s'è pianto: - si trova quello che smarrimmo qui>> (Giovannino). È diverso il paradiso di Pomponia?

Né Pomponia né T allusa potrebbero applicare a sé il detto evangelico: « chi ama, - più di me, figlio o fi~lia, non è degno - di me» (Tolstoi, I). In entrambe iJ cristianesimo non fa che aggiungere al loro amore materno la speranza - o la 275). È di quel tempo (31 XII 1890) il secondo Anniversario: « ...hanno un tetto, hanno un nido, ora, mio vanto: - e l'amor mio le nutre e il mio lavoro... - io le guardo - o mia sola erma famiglia! »

18 « Io credevo la novità nuziale dell'Ida come una specie di sfacelo della mia piccola famigliola>>(lettera a Mariù del maggio 1895, in Lungo la vita, p. 420; ibid. passim l'impressionante documentazione di quella crisi).

19 « Noi... faremo 11 bozzolino » ( lettera ad Attilia Caproni del giugno 1906, in Lungo la vita, p. 823).

20 BÀRBERI SQUAROTTI, op. cit., p. 292 ( = p. 20 del libro).

21 Cfr. U. P1ROTTI, Per un'interpretazione del Pascoli, « Convivium », 1955, p. 695.

disperazione _:_ dell'eternità. Tallusa non accetta, non si rassegna, non perdona; si ribella alla promessa divina in nome di una maternità irreparabilmente offesa: Credo, moriar quandoque, resttrgam: - parve puer, te non in primo flore videbo, - cum risum risu tentabam promere primum (132 ss.). Il suo dramma non si dissolve con la morte né si risolve con l'immortalità, perché 1a resurrezione non si configura come la restaurazione degli affetti terreni: Me nescit matrem, mihi qui non riserit umquam! (v. 135). Amore «viscerale» (direbbe il Bàrberi Squarotti), cui l'allusione virgiliana dà la sua classica cadenza 22 ; e perciò appunto dolore immedicabile dallo spiritualismo cristiano: madre e figlio sono destinati a rimanere estranei per sempre: Hic luctus fauces inconsolabilis angit. - Nil contra Deus ipse potest, nil ipsa potest mors (136 s.).

Il cristianesimo è la causa diretta del dramma di Pomponia. Ma è un cristianesimo che proietta nell'eterno il «nido» familiare e ne perpetua oltre la morte gli affetti: Quod precor ut tibi tu, mihi sim tecum ipsa superstes, - atque olim caros, ipsa duce morte, parentes - incolumes visat dulcis puer, Aule, putabis - esse nefas? Amor est (126 ss.). Questo amore, che non è l'amor Dei, si trova al processo dinanzi al conflitto di due diverse dimensioni temporali: quella immediata e contingente, in cui vive Pomponia, e quella futura ed escatologica, in cui si risolve per lei il messaggio cristiano. Il suo amore materno è, come quello di Tàllusa (con cui Pomponia ha in comune .certe reazioni ferine 23 ), ancora troppo legato ai moti del sangue per non rispondere aHa voce del figlio: Mater ubi est? (v. 133). Ma, compiuta l'abiura, non è l'offesa fatta a Dio a tormentarla, bensì l'attesa della parusia che segnerà la fine degli affetti terreni. Perché, si noti, il polo negativo dell'aldilà di Pomponia non è 1a dannazione eterna, contrapposta all'eterna beatitudine, ma l'annullamento, la morte definitiva che coinvolgerà madre e figlio e il loro amore: Puero moriendum est funditus! Omnis - ipsa die mo-

22 In Saggio, p. 204 ( = p. 206), ho analizzato le variazioni che il Pascoli operò sul celebre verso virgiliano.

z3 V. infra, la nota al v. 70.

INTRODUZIONE

riar finita! Quicquid amavi, - nil fuerit (194 ss.). La morte degli affetti, la vanità d'un amore destinato a finire: questo è l'inferno di Pomponia: Mortalis amor, dolor immortalis! (v. 197). Coerentemente il suo paradiso è la sopravvivenza degli affetti 24 : nel giorno del giudizio la donna avrebbe valicato la barriera di fuoco tenendo il figlio per mano: dextra ... prehensum 25 - deducens puerum (190 s.). E questo è anche il paradiso di Alessàmeno, il giovane martire di Pae· dagogium: mater eunti - constituit mihi fida locum quo visere rursum - complectique iterum decreto tempore possem ( 152 ss. ). Perciò Alessàmeno può andare a morte sereno: Et liceat mihi visere matrem ( v. 172) 26 • La stessa aspirazione -non la stessa fede -vibrava, un decennio prima, in un'invocazione del poeta alla madre: « fa che ritorni a sperare! - A sperare e ora e nell'ora - così beHa se a te conduce!... ....,..... O madre, a me non dire, Addio, - se di là è, se teco è Dio! » (Commiato). Alla vigilia della morte, al fondo di Tallusa e di Pomponia l'erede del Carducci ritrovava Zvanì. Ma se i due carmina nascono da un medesimo « complesso », l'intuizione lirica in cui esso si esprime è diversa. Tallusa guarda a un passato la cui memoria ossessiva obnubila il presente. Immemor la descrive il poeta, con la costanza di una parola tematica 27• Il culmine del carme si ha quando il passato e il presente si sovrappongono in un'allucinante compresenza, che ci ha dato il più pascoliano dei versi latini del Pascoli: Flet Thallusa canens, aeque memor, immemor aeque (v. 180).

24 È quella che il Goffis ha chiamato con formula felice « La sopravvivenza fisiologica» nei .Poemata Chriltiana ( « Belfagor », '1967, * pp. 681-695 = Pascoli antirn e nuovo, cit., p. 283 ss.).

25 Si noti la clausola virgiliana ( Aen. 2, 592), che rimanda a un altro gesto materno (cfr. Epos, p. 124).

i 6 Qualche risponàenza col sentimento dei primi Cristiani è attestata nel De mortalitate di Cipriano, 26: · Magnus illic nos carorum numerus exspectat, parentum, fratrum, filiorum frequens nos et copiosa turba desidera! Ad horum conspectum et complexum venire quanta et illis et nobis in commune laetitia est? Anche la distruzione totale delle anime dannate si ritrova in Arnobio (2, 14), cfr .. E. RAPISARDA Arnobio, Catania, 1965, p. 69. '

27 Cfr. Saggio, p. 105 ss. ( = p. 102 ss.).

Pomponia vive in una realtà cui il messaggio cristiano ha sfumato i contotni e distrutto le certezze, al limite di due mondi antitetici, ciascuno dei quali rovescia i valori dell'altro: la vita dei pagani è morte per i Cristiani e viceversa. Incapace di una scelta definitiva, la donna appartiene all'uno per la sua speranza e all'altro per i suoi affetti. Perciò il poeta le ha creato intorno un'arcana compresenza di vita e di morte, che è il costante sfondo della sua storia: nella scena del processo le maschere degli avi si animano e i presenti si pietrificano; la solitudine delle catacombe brulica del respiro e del canto dei sepolti; lo sguardo d'un morto con la sua muta domanda sigilla il poemetto. Pochi carmi del Pascoli sono cosf coerenti 28 • Questa unità tematica si riflette in una serie di scelte stilistiche, di innovazioni semantiche e sintattiche, di variazioni allusive tra le più felici del Pascoli latino: le ho indicate e commentate nelle note 29 • La mia traduzione non ha esitato ad accettare le soluzioni dei predecessori - tutti citati nella Bibliografia - quando non era soddisfatta delle proprie. A pié di pagina ho posto, dalla parte del latino, le note del Pascoli; dalla parte dell'italiano, brevi note illustrative di dominio comune. Le « note esegetiche » non sono un commento continuo, cui supplisce in qualche modo la versione, ma contributi all'intelligenza del testo. Ho cercato di non ripetere gli altri, ma non ho potuto evitare di ripetere me stesso: già nel Saggio sul latino del Pascoli molti passi di Pomponia, e forse i più significa• tivi, erano analizzati. Ho in parte riassunto·, in parte trascritto quelle analisi. Mi sia almeno di scusa la consapevolezza che non molti le avranno lette.

28 Non condivido perciò il giudizio di G. Puccioni sul « carattere sostanzialmente frammentario del carme» (Il «Centuria» di G. Pascoli, « Annali della Scuola Normale di .Pisa », •l%4, ,p. 216 { = Roma, 1968, p. 95]; il commento del Puccioni è per altro esemplare, e utile a tutti gli esegeti del Pascoli).

29 V. per es. le note esegetiche ai vv. 7, 53, 82, 93, 150, 178, 194, 239, 269, 272, 300 s.

INTRODUZIONE

La seconda edizione si presenta largamente innovata. Non solo perché ho potuto tener conto di recensori competenti (mi è grato nominare G. Bernardi Perini, « Riv. Fil. Class. », 1968, pp. 231-233; C. F. Goffis, « Paideia », 1967, pp. 304-305; E. Pasoli, « Convivium », 1968, pp. 758-761), ma anche perché la pubblicazione del mio commento al Catullocalvos e al Fanum Vacunae (Firenze, 1968) e l'allestimento della seconda edizione del Saggio mi hanno dato occasione di rimeditare le note esegetiche, ora rettificandole, ora arricchendole, ora aumentandole. Inoltre ripetute visite all'archivio di Castelvecchio mi hanno permesso di esaminare i brogliacci di Pomponia e di trarne varianti delle stesure anteriori e la traccia italiana, qui trascritta in Appendice (ho sfruttato in parte questo materiale nell'articolo Poesia in fieri. Dalle carte-del Pascoli latino,« Belfagor », 1968, p. 517-531 [=Il latino del Pascoli2, pp. 282-299]). Anche la traduzione è stata ritoccata, quand'era possibile, per tradurre il Pascoli con il Pascoli.

Come prefazione alla terza edizione devo solo aggiungere che ho aggiornato la bibliografia e arricchito qualche nota. Di qualche svista corretta sono debitore ad Aldo Lunelli e Ro. berta Strati.

* * *

Dalla terza edizione (1973) sono trascorsi vent'anni, densi di contributi pascoliani, altrui e miei: fra questi, i Poemi Cristiani tradotti da E. Mandruzzato, introdotti e annotati da me per la BUR (Milano, 1984) costituivano già un primo, parziale aggiornamento di Pomponia, che non ho qui trascritto (e quindi le due edizioni sono complementari). Ho aggiunto quanto allora • non potei, per non esorbitare dal livello della Collana, e quanto sono venuto annotando in quest'ultimo decennio (ma non ho potuto rimandare alla mia edizione annotata delle Res Romanae, tradotte da P. Ferratini, che la BUR pubblicherà entro il 1994). Aggiunte, e qualche conferma: quasi mai, e me ne rallegro, rettifiche. Le ho raccolte negli Addenda, raramente, dove si poteva, nel testo, fra pare°'tesi quadre. Sono grato all'Editore di avermene dato la possibilità: non so se il Pascoli latino abbia scritto nulla di più alto di Pomponia Graecina.

BIBLIOGRAFIA

Data la scarsezza di commenti, ho tenuto presenti anche le traduzioni, desumendole dalla accurata Bibliografia della critica pascoliana di F. FELCINI(Firenze, 1957).

Pomponia Grecina, poemetto di G. Pascoli, tradotto e illustrato da V. BoNGI,Lucca, 1913 (traduzione in esametri, introduzione sulle fonti).

A. DELLATORRE,La « Pomponia Grecina » di G. Pascoli, illustrazione e traduzione, Firenze, 1913 ( traduzione in esametri; introduzione, lunga e originale, sulle fonti soprattutto moderne; note « bibliografiche ed interpretative », di carattere esegetico, e « illustrative », di carattere storico-antiquario. Resta il lavoro fondamentale sull'argomento).

Recensione di A. GANDlGLIO a Della Torre, op.cit., « Atene e Roma», XVII, 1914, coll. 55-61 (alcuni buoni contributi ermeneutici).

G. Pascoli, Poemetti Cristiani, tradotti e annotati da R. DE LORENZIS,Napoli, 19161 ; Firenze, 19222 (traduzione in endecasillabi).

G. Pascoli, Carmi Latini, tradot~i e annotati da L. V1scm, Bologna, 1920 (traduzione in I endecasillabi; le note, sommarie, sono rifluite nel commento del 1945).

T. BARBINI,Dai Carmi Latini di G. Pascoli, Pistoia, 1921 1 , 1926 2 (sola traduzione in endecasillabi).

BIBLIOGRAFIA

U. GHIRON,Pomponia Grecina, « Nuova Antologia», .313, 1924, pp. 248-258 (sola traduzione in endecasillabi).

G. Pascoli, Carmi Latini. I poemetti cristiani, tradotti da Q. PICARI,Imola, 1925 (sola traduzione in esametri).

Poemetti Cristiani di G. Pascoli, tradotti da A. BELARDINELLI, Lanciano, 1926 (traduzione in esametri con qualche nota).

U. E. PAOLI,Prose e poesie latine di scrittori italiani, Firenze, 19261, 1963 7 (la I edizione conteneva Pomponia dal V. 198 alla fìne, l'ultima la contiene tutta, con un commento fìne e abbastanza ampio).

Poemetti Cristiani di G. Pascoli, interpretati e ridotti da P. G. GALIZZI,Crema, 19.33 (inutilizzabile riduzione in prosa).

HILDEFESTAMoNTESI,Pomponia Graecina carmen]ohannis Pascoli, « Atti dell'Accademia degli Arcadi », XIX - XX, 1939-40, pp. 87-118 (parafrasi in prosa con ampia e divagante introduzione, non priva di qualche utile spunto).

E. TuROLLA,La Poesia latina di G. Pascoli, Venezia, 1945 (lezioni universitarie raccolte da M. Benincasa. Di Pomponia si parla nelle pp. 86-107: traduzione in prosa accompagnata da annotazioni estetiche. L'idea principale dell'A. -che Pomponia rappresenti la nostalgia del poeta per la fede perduta -è ripresa in I poemetti cristiani, « Il Ponte», 11, 1955, pp. 1797-1815).

Pascoli, Poemetti Latini, a cura di L. VISCHI, Milano, 1945 1 , 1954 2 (contiene intera Pomponia con un frettoloso commento).

G. Pascoli, Poesie Latine, a cura di M. VALGIMIGLI,Milano, 19511, 1970' (testo con l'appendice critica di A. GANDIGLIO[19.30]; buona traduzione m prosa di F. MoRÀBITO; buone note della traduttrice e soprattutto di M. BARCHIESI).

C. F. GoFFIS, Pascoli antico e nuovo, Brescia, 1969 (Si parla di Pomponia a p. 283 ss.). Mia recensione in « Maia », 22, 1970, pp. 81-84.

BIBLIOGRAFIA

G. CALIENDO,Poemetti latini cristiani del Pascoli tradotti in versi italiani, Napoli, 19702 (in endecasillabi).

Per la bibliografia generale sul Pascoli latino cfr. A. TRAINA,• Saggio sul latino ael Pascoli, Padova, 19611, pp. 34-46, Firenze, 19712 (Il latino del Pascoli. Saggio sul bilinguismo poetico), pp. 23-41 (i riferimenti alla seconda edizione sono tra parentesi). ,

TESTO E TRADUZIONE

Non cultu nisi lugubri Pomponia vitam, . . • . . . I non an1mo vix1t ms1 maesto, maestlor ex quo ante aramque focumque domus veteresque penates iudicium capitis, Flauti, te iudice, passa est, 5 in cuius cum farre manum convenerat uxor.

Nam mulier soles ita surgere et ire sinebat, ut demum extinctis tacito fruitura sepulcro. Prorsus vitabat ludos certamina pompas: illam rugitus non perstrinxere leonum

10 ientantum in circo, non mollia brachia mimi, non venetus vinctus loris auriga, neque illa stans caedebat equos salientis verbere cordis: numquam Graecinam podio quaesivit in aureo et verso moriens gladiator pollice vidit.

15 Dis eadem nec tura dabat nec floribus aras cingebat nec vota precesque ad tempia ferebat dum vir abest et in extremos movet arma Britannos. Illa domi parvo defixa haerebat in Aulo,

Sempre in lutto visse Pomponia e sempre triste nel cuore, più triste dal giorno in cui davanti all'altare e al focolare della casa e agli antichi Penati fu giudicata per delitto capitale, e tu eri il giudice, Plauzia, a cui l'offerta del farro aveva dato su lei potestà di marito. La donna lasciava che i giorni sorgessero e andassero come se, una volta finiti, dovesse godere il silenzio della· tomba. Evitava i giochi le gare le feste: non le diedero un brivido i ruggiti dei leoni che si sfamavano nel circo, non agili braccia di mimo, non auriga veneto cinto di briglie: né, in piedi, sferzava i cavalli con i palpiti del cuore: mai il gladiatore cercò Grecina nella tribuna dorata né morendo la vide col pollice in giù. E neppure dava incenso agli dei, né cingeva di fiori gli altari, né recava ai templi voti e preghiere, mentre il marito era lontano, ai confini. del mondo, a combattere i Britanni.

Chiusa in casa, era tutta per il piccolo Aulo, a cui aveva

v. 5. Cum /arre: la focaccia di farro (il più antico cereale conosciuto dai Romani), che gli sposi gustavano assieme, donde questa arcaica e solenne forma di matrimonio, di origine patrizia, si disse confarreatio. Tacito ne attesta la decadenza nell'età imperiale (ann. 4, 16: omissa con/arreandi adsuetudine aut inter paucos retenta). Manus è la potestà giuridica del marito sulla moglie, che diviene filiae loco (cfr. v. 48).

v. 11. Venetus: della fazione «azzurra», una delle quattro distinte dal colore della tunica. [Per avere le mani libere, l'auriga si avvolgeva le briglie intorno al corpo.]

v. 13. Podio: il primo giro di posti intorno all'arena ( da podium iJ nostro «poggio»). Cfr. Veian. 55: podium ingrederis tu, maxime Caesar. Aureo: bisillabo per sineresi, dr. v. 284.

v. 17. Britannos: la spedizione del 43-44 d. Gr., sotto Claudio.

TESTO E TRADUZIONl!

cui natum caro Graecinum fratre sodalem

20 fecerat. His !usus communes, una palaestra ambobus, tabulae similes, idemque magister atque eadem mater, vultus aevumque gemellis. At prisco de se vitantem more susurros rodebat vulgus: « Quid habet Gràecina, quod intus

25 sic servet? Lanamne fadt? Texitne retexitque annosam telam? Reducem, quin nuper, ovarttem amplexata virum, nihilo minus angitur, odit aegra diem, latet in tenebris. Quae tempia deorum aut supplex adit aut grates habitura? Quibusve

30 damnatur votis? » Tandem delator in aurem principis: « Insignis sequitur, puto, femina ritus » sibilat « externos. Vereor ne nescio quae non spreta superstitio servis, infecerit ampli flaminis uxorem Graecinam. Credere nolim... »

35 Tum rea fit muliet: iudex datur ipse vir Aulus Plautius. Hic prisco vocat ad se more propinquos. Excipiunt tristes fumosis tristia ceris atria. Iudicio sunt saecula multa corona. Sublucet focus et dominam levis ignibus adflat,

40 quae sedet in longa, secura at pallida, sella. Altius et coram coniunx sedet: incipit: « Uxori

Ilio te mihi conubio quo sanctius est nil, fictìle simpuvium summique secespita iunxit pontificis: testesque decem flamenque dialis

dato per compagno il figlio di un suo caro fratello, Grecino. Avevano giochi comuni, una sola palestra per entrambi, uguali tavolette, lo stesso maestro e la stessa madre, erano come gemelli per l'aspetto e l'età. Ma benché cercasse di non far parlare di sé secondo l'antico costume, la gente la criticava: « Che ha Grecina da starsene sempre dentro? Fila la lana? Tesse e stesse un'interminabile tela? Or ora ha riabbracciat.o il marito che tornava in trionfo, e nondimeno si tormenta, odia la luce, sta nascosta nell'ombra. Quali templi degli dei frequenta per supplicarli o ringraziarli? A quali voti è legata? » Finalmente un delatore sibila all'orecchio del principe: « Una donna in vista, sospetto, segue riti stranieri. Temo che non so che credenza non sgradita agli schiavi abbia contagiato la moglie del nobile flamine, Grecina. Non vorrei crederlo... » Allora la donna è incriminata: come giudice le è dato proprio il marito, Aula Plauzia. Egli secondo l'antico costume convoca in casa i parenti.

Li accoglie cupi l'atrio cupo dai ritratti anneriti. Molte generazioni fanno cerchio al giudizio. Rosseggia il focolare e manda un fioco riverbero sulla padrona, che siede, tranquilla ma pallida, su un lungo seggio. Più in alto, di fronte a lei, siede il marito: comincia: « Moglie! A me ti ha congiunto col vincolo più sacro il simpuvio d'argilla la secespita del sommo pontefice, alla presenza di dieci testimoni e del flamine di Giove. Tu

v. 26. Ovantem: la ovatio era urta forma minore di trionfo, decretata a P1auzio nel 47. Il trionfo vero e proprio lo aveva celebrato Claudio nel 44.

v. 31. Principis: Nerone.

v. 34. Flaminis: uno dei sacerdoti maggiori. Facendo di Plauzio un flamine, il Pascoli ha acuito il conflitto morale di Pomponia: la flaminica era tenuta a particolari obblighi religiosi.

v. 43. Simpuvium: piccolo vaso con cui si libava il vino nei sacrifici (Festo, p. 455 Linds.). Secespita: coltello di fer,ro con manico di avorio, usato dai sacerdoti maggiori (ibid. p. 473).

TESTO E TRADUZIONE

45 adfuerunt. Panem confectum ex farre tulisti ipsa sacris epulis. Sacris communibus usi miscuimus vitas ut non modo Gaia fores tu, ipse uhi Gaius eram, sed ut esses filia iure mancipii. Pater hinc et herus sum factus, et idem

50 nunc iustus iudex permissu Caesaris exsto. Uxor, responde. Quid volt sibi cultus et usus iste? Quid usque manes et maeres? Quid fogis omnes? Quid tecum vivis? Vivis? Quis dixerit istam vitalem vitam, tibi quae magis abdita mors est? »

55 Sic ait: et mulier clementia lumina tollens triste quid adrisit suavique haec ore locuta est: « Malebas aliter tibi me vixisse, pater, quam lanificam fas est frugique domique sedentem Romanam, satis et pueris et coniuge comptam?

60 In te quod vitae dulce est impendere, mors est? Nostro quod tribuo puero, vitale negas tu? » Hic cum singultu lactimas et verba repressit. « Ne me» vir sequitur lenito corde « putaris de te praeterquam sanctae tibi credere matri.

65 Sed sunt qui prava te religione susurrent obstringi, te falsa sequi mysteria... » « Nonne et spectata fides et recti denique mores sunt, Flauti, nobis? Frux unicus arboris index: nemo de spinis umquam collegerit uvam ».

70 Haec indignanti similis iacit uxor: • at ille in tacito gaudere sinu, dein dicere laetus: « Prae me iampridem sic me sentire ferebam mores esse tibi testes, spondere tibi me. "Num patrios, patrium retinet quae sancta pudorem,

75 reicit illa deos?" aiebam: "iudice, princeps, • nil opus est". At de piena tamen, uxor, acerra

v. 69. Matrh. VII: numquid colligunt de spinis uvam aut de tribulis ficus?

stessa portasti al sacro convito pane di farro. Partecipi dello stesso culto, abbiamo unito le nostre vite in modo che non solo tu fossi Gaia dov~ io ero Gaio, ma che tu mi fossi figlia per diritto di proprietà. Da quel giorno sono divenuto tuo padre e padrone, e ora sempre io per concessione di Cesare ti sto dinanzi come legittimo giudice. Moglie, rispondi. Che vuol dire questo modo di vestire e di vivere? Perché sempre cosl chiusa e triste? Perché fuggi tutti? Perché vivi in te stessa? Vivi? Ma chi direbbe vera vita cotesta, che· è piuttosto per te una morte segreta? » Così disse: e la donna alzando i miti occhi ebbe un triste sorriso e rispose dolcemente: « Volevi, padre, che io vivessi diversamente da come deve una romana, frugale, sempre in casa a filare la lana, contenta del marito e dei figli? La vita che tni è dolce spendere per te, è morte? Quella che dò al nostro bambino, tu dici che non è vita? » A questo punto represse singhiozzando lacrime e parole. « Non pensare » prosegue l'uomo intenerito « che su te io creda ad altri che a una madre virtuosa come te. Ma c'è chi va mormorando •che ti leghi a un culto perverso, che segui falsi misteri ... »

« Non ho forse, Plauzio, fede specchiata e retti costumi? L'albero si conosce solo dal frutto: nessuno mai raccoglierà uva dal pruno ». Tali parole avventa in atto di sdegno la moglie: e l'uòmo godeva fra sé, poi disse lieto: « Già da tempo non facevo mistero della mia opinione: che i costumi ti erano testimoni, che io garantivo per te. "Come può ripudiare gli dei aviti, lei che l'avito pudore custodisce santamente?" dicevo: "non c'è bisogno di giudice, principe". Tu però, moglie, dal colmo incen-

v. 45. Adfulrunt.

v. 76. Acerra: cassettina dove si poneva l'incenso (Festo, p. 17 Linds.).

TESTO E TRADUZIONE

tus impone focis. Haec huius summula causae ».

Subrisit: simul uxori porrexit acerram.

Contracta rugas exsolvunt fronte propinqui

80 atque hilares animam pieno de pectore ducunt.

Ipsi luce foci tacti gliscente penates attonitum risum rident oculis defixis.

Tum mulier: « Quid opus sacris et ture? » Siletque et tacitis vultum lacrimis rigat. « Uxor, apud me

85 non tibi mica salis, non granum turis opus: frux arboris a nostris cultae maioribus index: sed princeps id amet, cui me parere necesse est.

En age casta lares atque atria ture vapora.

Quid dubitas? Num te quasi victam suppudet? Atqui

90 vincis. Iamque lita: magnos cole ture deos ... Heu! »

Prunam paulatim velat cinis: ecce recedunt in tenebras solitas longumque situm magni di, obscuraeque virum formae lemuresque sedentes cordi quisque suo velut auscultare videntur.

95 Ipsa sinum fìxis oculis fovet. « Heu! quid ovantem me victis iuvat » Aulus ait « rediisse Britannis?

Uxor, si fas est istud iam dicere nomen, quae te saga magis illexit cantibus? unde ista superstitio tnuliebres perculit aures?

100 unde odium vitae et dari fastidia solis? unde hic humani generis contemptus? » « At » inquit extollens secura caput Pomponia « falso!

Nam fratrum quasi convictum coetumque sororum ipso patre Deo nostrum genus esse putamus.

105 Et vitam nec amo, coniunx dilecte, nec odi:

siere metti l'incenso sul focolare. Qui sta tutta la causa ». Sorrise e porse alla moglie l'incensiere. Sulla fronte aggrottata spianano le rughe i parenti e traggono dal petto un respiro di sollievo, Gli stessi Penati, colpiti da un guizzo della fiamma, ridono negli occhi fissi un attonito riso.

Allora la donna: « Che bisogno c'è di sacrifici e d'incenso? », e tace, e riga di silenziose lacrime il volto. « Moglie, ai miei occhi non hai bisogno di una mica di sale né di un grano d'incenso: dal frutto si conosce l'albero coltivato dai nostri padri. Ma l'imperatore ne avrebbe piacere, e io non posso non ubbidirgli. Suvvia, profuma piamente d'incenso i Lari e l'atrio. Perché esiti? Hai vergogna di apparire vinta? E invece sei tu a vincere. Ora fa l'offerta: venera con l'incenso i grandi dei... Ahimé! » Lentamente la cenere vela la brace: ecco sprofondano nelle solite tenebre e nell'antico squallore i grandi dei, e oscure forme di uomini come fantasmi sembrano sedere ascoltando ciascuno il suo cuore. Essa non alza gli occhi dal seno. « Ahimé! che mi giova» dice Aulo « essere tornato trionfatore dei vinti Britanni? Moglie, se ancora è lecito pronunziare questa parola, quale maga ti ha stregato con i suoi incantamenti? Da dove viene cotesta superstizione che ha colpito le tue orecchie di donna? Da dove l'odio della vita, l'avversione per la luce del sole? Da dove questa misantropia? » « Ma è falso! » risponde Pomponia sollevando sicura la testa. « Noi consideriamo il genere umano come una comunità di fratelli e di sorelle che ha per padre Dio stesso. E per la vita non ho, caro sposo, né amore né odio: la

v. 85. Mica salis: allusione alla mola salsa, farro macinato misto a sale, usato nei sacrifici.

v. 93. Lemures: gli spettri dei morti, larvae nocturnae (Nonio, p. 197. Linds.).

v. 99. Muliebres, cfr. Glad. 431: muliebris (scansione normale in poesia dattilica).

TESTO E TRADUZIONE

vita via est: quo te ducat tantummodo refert. Ut laudem, quaeso, quae me remoretur euntem? Ut temnam, caelo quae me quandoque reponat? »

At saevo surgens vir cum maerore: « Fateris »

110 exclamat. Nunc adfines circumspicit amens atque in imaginihus pallentihus haeret avorum. « O domus antiquis quae stahas morihus, o gens magna domi, iustis et veris magna triumphis, ecce ut nescioqui servus iudaeus, ut aiunt,

115 te mergit. Mulier, quo nos auctore relinquis? furciferone aliquo? Tu dedignaris... An ipso Graecino patre? Quam molli qui pectore Romam venerit ex Asia, posita feritate Quirina, novimus... At susque id deque est. Cole ture deos, aut

120 i, iam cara, foras hinc atque tuas tihi hahe res. Me satis hic orhum parvus solahitur Aulus ».

Exululat subito consurgens caeca sedili protenditque manus ut opem latura querenti filiolo mater, lacrimasque effundit amaras

125 singultitque diu. Dein vocem rompere tentat:

« Quod precor ut tihi tu, mihi sim tecum ipsa superstes, atque olim caros, ipsa duce morte, parentes incolumes visat dulcis puer, Aule, putahis esse nefas? Amor est». « Ergo ne desere iam nunc! »

130 Haec vir firmus ait fixusque. Ohmutuit uxor. Tum vox auditur, gracilisque silentia rumpit, custodem pueri patulo rogitantis in oeco:

« Mater uhi est? » Cohihet cor palmis perdita mater. « Mater uhi est? ». Matremne diu sic quaerere perget,

135 inveniet nusquam? lacrimas nocturnus inanes et gemitus effundet inauditamque querelam?

v. 117. Cfr. Ov. Pont. I, VI.

vita è una via: solo la meta importa. Come lodarla, se ritarda il mio cammino? Come disprezzarla, se un giorno mi restituirà al cielo? »

Allora il marito balzandQ in piedi con un selvaggio dolore grida: «Confessi». Fue># di sé volge intorno lo sguardo sui parenti e lo fissa sulle. pallide immagini degli avi. « O casa che ti reggevi sugli antichi costumi, o gente grande in pace, grande per i legittimi e veri trionfi, ecco non so che schiavo giudeo, come dicono, ti annienta. Donna, di chi è la colpa del tuo abbandono? Di un . pendaglio di forca? Tu neghi sdegnata... O di tuo padre stesso, Grecino? Con che animo fiacco tornò a Roma dall'Asia, deponendo la rudezza romana, lo sappiamo... Ma ciò mi è indifferente. Venera con l'incenso gli dei, o va, non più a me cara, fuori di qui con le tue cose. Alla mia solitudine darà abbastanza conforto il piccùlo

Aulo ».

Con un urlo improvviso balza cieca dal seggio e tende le braccia la madre, come per correre al pianto del figlio, e versa lacrime amare e singhiozza a lungo. Poi con voce strozzata: « Se io prego che tu sopravviva a te stesso, e io a me insieme a te, e che un giorno il nostro dolce figliolo riveda salvi i cari genitori, guidato dalla morte stessa, questo, Aulo, lo ritieni una colpa? È amore». « Dunque non lasciarci sin d'ora! », replica il marito fermo e rigido. Ammutoll la moglie. Allora si ode una voce, e gracile rompe il silenzio, di bimbo che chiede al custode nella vasta sala: « La mamma dov'è? » Si preme il cuore con le palme la madre smarrita. « La mamma dov'è? » Continuerà così a cercare a lungo la mamma, senza mai trovarla? Di notte verserà lacrime vane e gemiti e lamenti inascoltati? « La mamma dov'è? »

v. 107 s. Laudem etc.: congiuntivo di protesta, col cosiddetto ut indignantis; remoretur e reponat sono congiuntivi causali.

TESTO E TRADUZIONE

« Mater uhi est? » Tres est passus progressa vacillans, quos cuncti pariter gradienti corde secuntur: stat circumspiciens, tactaque parumper acerra,

140 dat tria tura foco. Fragrans odor atria mulcet. Adclamant omnes. Tunc Aulus Plautius: « Uxor, insontem iudex ego te, sanctissima, dico. Quin desiderio confectam testor amicae munditias omnesque animi posuisse lepores.

145 Haec illi referam, matrem qui fecit honestam de cultu luctuque ream. Quod restat, adhortor ne nimium tribuas domui, pia, fida, priori. Graecinum propriis sine iam custodibus uti et laribus puerum. Tibi vero deprecor, uxor,

150 ne discors animo iam pugnet laeta parum frons ».

Quae penitus posthac animo magis angitur aegra. Heu quotiens, puero dulcem quaerente sodalem, exanimis surgit simulans se forte vocari, conceditque alio! Quotiens: « Aegrotat » ait! « Cur

155 non igitur visam? » respondet filius. « Est ·quod contactum caveam ». « Me non sic ante docebas! »

Atque alias: « Numquid nobis succenseat? » « Ecquis? »

« Graecinus ». « Quid ais? » « Vitat nos usque nec usquam est ».

« At peregre est ». « Uhi terrarum? » Suspirat et: « Heu ! quo »

160 inquit « iam non est ut tecum consequar, Aule! »

Saepe puer sero dicebat vespere: « Mater, quin aliquid narras, ut lenius •obdormiscam? »

« Lectorem qui narret, habes ». « Minus ille movet me, nam bellas verbo tenus accipio fabellas:

165 tu vero ... Dic, mamma, patrem, cui filius... Hic rem detractam patri peregre consumpserat omnem:

v. 143. Tac. 1. I.: post Iullam Drusi filiam ... interfectam. v. 165. Ev. Luc. XV.

Avanza vacillando tre passi, che tutti accompagnanocoi battiti del cuore: si ferma guardandosi intorno, e toccato un attimo l'incensiere offre al focolare tre grani d'incenso. La fragranza impregna l'atrio. Tutti acclamano. Allora Aulo Plauzio: « Moglie, in qualità di giudiceio ti proclamo innocente: la tua vita è irreprensibile. E dichiaro che per dolore dell'amica perduta hai rinunziato a ogni ornamento e divertimento. Lo riferirò a chi ha imputato una donna onorata di vivere in lutto. Per l'avvenire ti esorto a non dedicarti troppo, o pia e fedele, alla tua famiglia di prima. Lascia che il piccolo Grecino se ne stia ormai con i suoi in casa suà. In te poi, moglie, ti scongiuro, l'aria triste non sia più in disaccordo col cuore».

Ma, da quel giorno, essa sempre più afflitta si tormenta nel profondo dell'anima. Ah quante volte, quando il bambino chiede del caro compagno, sentendosi mancare si alza come se la chiamassero e va altrove! Quante volte dice: « Sta male! « Allora perché non vado a trovarlo? risponde il figlio. « Perché devo stare attenta al contagio». Prima non m'insegnavi cosi! » E altre volte: Che sia in collera con noi? Chi? Grecino ». « Che. dici? » « Ci evita continuamente e non c'è in nessun luogo ». « Ma è fuori Roma ». « In che paese? »

Sospira e dice: « Ahimé, dove non è più possibile raggiungerlo con te, Aulo! »

Spesso il bambino diceva a tarda sera: Mamma, perché non mi racconti qualcosa, che mi aiuti ad addormentarmi? « Hai il lettore per questo». « Ma non è la stessa cosa; delle sue belle storie m'interessano solo le paxole, tu invece... Racconta, mamma, del padre che aveva un figlio... E questo la sua parte dei beni paterni l'aveva tutta dissipata in un paese lontano: ma poi voleva

v. 163. Lectorem: schiavo addetto alla lettura, grecamente anagnostes, cfr; Ruf. Crisp. 141: (mater aures) praebet anagnostae. •

TESTO E TRADUZIONE

post vero ventrem siliquis implere volebat, porcorum, puto, relliquiis... erat ipse subulcus... nec quisquam dabat. Ecce, miser, procul omnibus "Heu me"

170 inquit "apud patrem famulis est panis abunde: ipse fame morior!" Quid dixit deinde? Quid? "Ibo ad patrem dicamque: -Pater miserere mei, qui cum non sim dignus tibi :filius appellati, utere me servo: da panis vivere frustis .-".

175 Ad patrem rediit. Pater autem... Mamma, quid egit, ut longe vidit, pater? Hoc, matercula, narra, nam tu sola vales hoc enarrare diserte.

Quidve exclamavit? Nonne "Hic ex morte revixit"?

Plenius· hoc mihi tu ». Lacrimis cui mater inusta:

180 « Haec ego non memini: sed tu reminiscere tecum ». Paulatim vero tum consobrinus amatus ex animo effiuxit pueri, tum glande relicta nequicquam ventrem cupiens implere subulcus, nec iam pastoris collo-referentis ovem nec

185 quaerentis meminit drachmam de nocte lucernae.

Sed labi Graecina dies exhorret et annos anxia guttatim, quasi de vitrea clepsydra: • namque dies aderat Domini, quem sanguis et ignis et fumi vapor anteiret. Non palma nec alba est

190 iam stola, qua vestita queat dextraque prehensum deducens puerum mortem transmittere mundi.

I psa sua puerique sui de fronte notata delevit signum. Deus ut dignoscat? ut ignis nunc det iter? « Puero moriendum est funditus! Omnis

195 ipsa die moriar finita! Quidquid amavi,

v. 188. A. A. II, 19 sq.: dabo prodigia... sanguinem et ignem et vaporem fumi... antequam veniat dies Domini magnus...

v. 192. Apoc. VII, 3: signemus servos Dei nostri in frontibus eorum.

riempire il ventre coi baccelli, avanzi dei porci, mi pare ... lui era porcaro ... e nessuno gli dava niente. Ecco, il poveretto, lontano da tutti, "Ahimé" disse "da mio padre c'è pane in abbondanza per i servi: e io muoio di fame". E poi che disse? "Andrò da mio padre e dirò: Padre, abbi pietà di me: se non sono degno di essere chiamato tuo figlio, tienmi come servo: lasciami vivere di tozzi di pane". Tornò dal padre. Il padre allora... Mamma, che fece il padre, come lo vide da lontano? Questo, mammina, raccontalo tu, perché tu sola lo sai raccontare bene. E che cosa gridò? Non gridò: "Questo è risuscitato dalla morte?" Raccontamelo tu per intero». E a lui la madre, con gli occhi bruciati dalle lacrime: « Io non me ne ricordo più: tu cerca di ricordartene da solo ».

Ma a poco a poco svani dall'animo del bambino il cugino amato e il porcaro che invano desiderava di riempire il ventre con le ghiande avanzate, e più non ricorda il pastore che riporta in collo la pecora né la lucerna che cerca la moneta nella notte. Grecina invece vede con orrore scorrere i giorni e gli anni goccia a goccia, come da una clessidra di vetro: perché era vicino il giorno del Signore, che doveva essere preceduto da sangue e fuoco e vapore di fumo. Non c'è più la palma né la stola bianca, indossando la quale e conducendo per mano il bambino possa passare oltre la morte del mondo. Lei stessa ha cancellato il segno impresso sulla fronte sua e del suo bambino. Dio come potrà riconoscerli? Come potrà ora il fuoco far largo? « Mio fìglio deve morire interamente! Anch'io morirò tutta nel giorno prestabilito! Tutto quello

v. 189. Anteiret: con e puramente grafico: ant(e')iret. v. 190. Stola: veste lunga, originariamente femminile, poi anche sacerdotale. Sul passaggio all'accezione moderna dr. C. TAGLIAVINI, Storia di parole, Brescia, 1963, p. 4io ss.

TESTO E TRADUZIONE

nil fuerit ». Puerum tunc furtim respicit ac flens ingeminat: « Mortalis amor, dolor immortalis! »

Interea patuit fumo manifestus et igni caeca nocte Deus. Nimbus caliginis urbero

200 texit, et innumeris nubes sparsere favillis veloces, ventis rigide ringentibus actae.

Nam qui ventorum naresque iubasque tenebant, tandem praecipites e cunctis partibus orbis laxarant. Urbs Roma velut rogus ardet, et orbem,

205 ingens ceu leti fax, collustrare videtur.

Sanguine deinde pluit. Gladiis flammisque necantur insontes. Alias contectos pelle ferina discerpsere canes: alii per Caesaris hortos arserunt pice fumantes et sulphure taedae.

210 Romanos pascunt venientes undique corvos in crucibus patres; iactantur cornibus alte taurorum in circo, turba clamante, puellae. Quippe fatebantur quod iam Graecina negavit, infelix! Sumptis illae de sanguine palmis

215 alboque indutae violatum corpus amictu ibant dormitum, è:ryptis in pace sub imis exspectaturae vitalis mane diei.

Nec valuit Graecina nigris obsistere curis.

Ecce sub occasum postico cauta domo se

220 subtrahit atque vias et vicos urbis oberrat ancillae similis: mutat calvatica vultum.

Devitat currus et equos turpesque susurros: donec ad impositos venit arcus salva Capenae. Egreditur Roma. Minor est clamorque fragorque.

225 In tetris umbrae, roseoque crepuscula caelo. Adsurgunt veteres utraque ex parte columnae

v. 203. Apoc. VII, 1: vidi quatuor angelos... tenentes quatuor ventos terrae.

v. 214. Apoc. VII, 9: amicti stolis albis et palmae in manibus eorum.

v. 223. Iuv. III XI. Arcus autem aquae Marciae.

che ho amato, non esisterà più». Allora furtivamente guarda il bambino e piangendo ripete: «Mortale amore, dolore immortale!»

Intanto nel fumo e nel fuoco di una cieca notte si manifestò Dio. Una coltre di caligine coprl la città, e nubi veloci la cosparsero di innumerevoli faville, spinte dal!'aspro ringhio dei venti. Chi teneva le narici e le criniere . dei venti, li aveva alfine scatenati da tutte le parti del mondo. La città di Roma arde simile a un rogo, e sembra illuminare il mondo come un'immensa face di morte. Poi piove sangue. Con le spade e le fiamme si fa strage di innocenti. Alcuni rivestiti di pelli ferine li sbranarono i cani; altri arsero nei giardini di Cesare, torce fumanti di pece e di zolfo. I padri sulle croci sono pasto dei corvi di Roma, accorsi da· ogni parte; nel circo le fanciulle sono sbalzate dalle corna dei tori, fra gli schiamazzi della folla. Perché professavano quello che Grecina ha abiurato, infelice! Prese le palme a prezzo di sangue e indossata una bianca stola sul corpo violato andavano a dormire, aspettando in pace, sotto le cripte profonde, l'aurora del giorno della vita.

Non poté Grecina resistere ai neri affanni. Ecco al tramonto ·per la porta di dietro si allontana cautamente da casa e si aggira per le vie e i vicoli della città, simile ad ancella: un velo le dissimula il volto. Evita i cocchi e i cavalli e gli osceni sussurri, finché giunge sana e salva agli archi di porta Capena. Esce da Roma. Minore è il rumore e il fragore, Sulla terra l'ombra, e nel cielo di rosa il crepuscolo. Si ergono da una parte e dall'altra vecchie

v. 198 ss. È. l'incendio di Roma del 64, che ebbe per conseguenza la prima persecuzione dei Cristiani. La fonte è Tacito, ann. 15, 38 ss. v. 223. Arcus ,.. Capenae: la porta Capena, sopra la quale passava l'acquedotto dell'acqua Marcia (Giovenale, 3, 11: madidam Capenam, donde Pascoli, Mor. 1: udam Capenam), immetteva nella via Appia.

TESTO E TRADUZIONE

cippique et scripti lapides gestuque rigentes aeterno statuae. Mediis it sola sepulcris iam mulier, nec iam strepitus ferit ullus euntem

230 praeterquam plaustrum presso procul axe gemens et cantus agasonis larvas metuentis et umbras. Pone vaporato flam.marum sanguine Roma velatur: tenuis venit a circo ululatus et par exiguis gannitibus ira leonum.

235 Tum vero in notam transverso tramite villam devertit Graecina: memor per opaca locorum progreditur densaque domum petit arbore tectam. Adloquitur paucis custodem: lampade sumpta, descendit gradibus praeruptis pallida nocti

240 sub terras: planumque solum vix contigit, atque per tenebras coepit longo levis ire meatu, donec ad os aliud patulae telluris et arctum descensum venit. Inferior descendit ad umbras mater, qua. nigrans hinc inde cuniculus hiscit

245 et quoquoversus labor ancipitis labyrinthi.

Attollens graditur dubitantem lenta lucernam, et cur hac vadat, quid quaeritet, ipsa sibi vix respondere queat. Sub terris lampade quaerit amissam drachmam. Gradiens legit ordine notos

250 iam titulos, animo quos non deleverat aetas, cum nocturna piis coleret mysteria cryptis. Hic agnum videt, hic sacrum reminiscitur ichthyn, hic modium frugum superantem vota satoris. Hac equus excursis spatiis in sede quiescit;

255 hunc redit in portum ratis; et fert ore columba ramum oleae, latas aut ad caelum explicat alas: atque in perpetuum tandem tenet ancora vitam. Et circum paries atque ipsa silentia putresque

v. 235. Villam, puto, Lucinae, quam unam eandemque esse atque Grae• cinam I. B. De Rossi suspicatur. Pomponius autem Grekeinos in inscrip• tione quadam memoratur, quam vero ad saec. II referunt.

colonne e cippi e lapidi incise e statue impietrite in un gesto eterno. Va ormai sola tra i sepolcri la donna, e non ode più alcun rumore, tranne il lontano cigolio di un carro pesante e il canto di un mulattiere che ha paura degli spettri e delle ombre. Alle sue spalle Roma si vela ài un sanguigno vapore di fiamme: fiochi ululati giungono dal circo e, simile a deboli guaiti, ·l'iroso ruggito dei leoni. Allora

Grecina per una via traversa svolta in una nota villa: memore avanza per l'oscurità del luogo e si dirige verso una casa nascosta da folta vegetazione. Rivolge poche parole al custode: presa una lampada, per gradini scoscesi scende pallida nella notte di sotterra: •appena tocca il piano, comincia ad andare leggera fra le tenebre per una lunga galleria, finché giunge al largo imbocco di un'altra botola e a un'angusta discesa. Scende più in basso la madre verso le ombre, dove di qua e di là si spalancano nereggianti cunicoli e si dirama in ogni direzione un intricato labirinto.

Avanza lenta sollevando la lucerna oscillante, e perché faccia questa via, che cosa vada cercando, appena saprebbe rispondere a se stessa. Sotto terra cerca con la lampada la moneta smarrita. Andando rilegge via via le iscrizioni già note, che il tempo non le aveva cancellato dalla memoria, quando di notte frequentava le cerimonie segrete nelle pie cripte. Qui vède l'agnello, qui riconosce il sacrò pesce, qui il moggio di grano che supera i voti del seminatore. In questo luogo riposa il cavallo, giunto al traguardo; in questo porto ritorna la barca; e la colomba porta nel becco un ramo d'olivo, o spiega larghe verso il cielo le ali: e l'àncora tiene finalmente ferma in eterno la vita. E intorno le pareti e lo stesso silenzio e le tenebre .

v. 233. Con iato in clausola: circo ululatus, come in Verg. Aen. 4, 667 e 9, 477: femineo ululatu, più volte imitato dal Pascoli [cfr. D. NARDO, La mimesi metrica de/Pascoli latino, in Modelli e messaggi, Bologna, 1984, p. 130].

TESTO E TRADUZIONE

ingeminant tenebrae, tremulo dum labitur igni

260 lychnus: EN EIPHNH, VIVAS IN PACE DEI, PAX. Depositos ita dulcis habet pax. Est suus uni cuique locus somni. Petra est excisa sepulcrum: ostia sunt lapides. Simili Deus aede quievit. Miratur mulier quod m.tper PACE sepulti

265 et REFRIGERIO careant: sed balsama lampas urit et hos iuxta beneolenti lumine lucet. • Dependent phialae sparso modo sanguine tinctae.

Lenta per ambages et dormitoria pergit, et placidi somni demulcet anhelitus aures

270 ac respirantis sonitus vigil undique mortis. At lenis strepitus sensim mutatur in hymnum ignotum totaque infìnitate remotum, mortuus in somnis velut unus cantet; et omnes a cellis melos occlusis et verba canentis

275 excipiant fratres exilique ore sorores. Tum consectatur gradiens Pomponia cantum. Naenia clarescit muliebri mixta querela.

Naenia profecto est, qualis cantatur ut infans dormiat. Infantes sunt qui moriuntur, ut olim,

280 et manci, linoque iterum, dum sidera surgunt, vinctos in cunis deponit sedula mater.

Nimirum exaudit voces IN PACE canentes et cernit Graecina faces coetumque. « Quid hoc est? » Nil aliud quam spargentes opobalsama vitreis

285 e phialis pueri et demisso crine puellae. Atque alii palmas agitant et dicere certant: àOSA wr EN XPn:m. Mussantes flebile matres et myrrha curant et suavi corpus amomo eximimuin pueri. Tenèr··et :vivente videri

290 pulcrior est. Metuit Graecina agnoscere vultum: q1,1aetamen adstantes paulatim dimovet. ac se

v. 264. Pax et Refrigerium in martyribus supervacuum videbatur.

odoranti di muffa ripetono, mentre vacilla la tremula fiamma del lume: IN PACE, v1v1 NELLA PACE DI DIO, PACE.

Così i sepolti hanno la dolce pace. Ciascuno ha il suo posto per il sonno. Il sepolcro è una roccia scavata: le porte sono pietre. In una cella simile riposò il Signore. Stupisce la donna che gli ultimi sepolti non abbiano l'iscrizione PACE e REFRIGERIO: ma accanto ad essi una lampada brucia profumi e splende .di luce odorosa. Pendono fiale macchiate di sangue recente.

Lenta s'inoltra per i meandri del cimitero, e le accarezza l'orecchio l'alito di un placido sonno e l'assiduo respiro della morte onnipresente. Ma a poco a poco quel lene suono si muta in un inno ignoto e infinitamente lontano, come se un morto cantasse nel sonno, e tutti dalle chiuse celle, i fratelli e le sorelle, rispondessero al canto e alle parole con esile voce. Allora Pomponia cammina seguendo quel canto. Si sente più chiara una nenia mista a lamenti femminili. È una nenia, come si cantano al bambino perché dorma. Bambini sono quelli che muoiono, come un tempo, e privi di forze, e di nuovo fasciati di lino li adagia nella culla, al sorgere delle stelle, la madre amorosa. Grecina distingue voci che cantano « in pace » e scorge fiaccole e un gruppo di gente. « Che è mai? » Solo fanciulli che spargono balsami dalle fiale di vetro e fanciulle coi capelli sciolti. E altri agitano palme e dicono a gara: « Gloria a te in Cristo». Con un pianto sommesso le madri cospargono di mirra e di amomo odoroso il corpo esanime di un bambino. È delicato a vedersi e più bello che vivo. Teme Grecina di riconoscerne il volto: tuttavia a poco a poco si fa largo

v. 266. Beneolenti: v. la nota al v. 189.

V. 277. Muliebri.

v. 278. Profecto, dr. Saggio, p. 81. •

v. 284. Vitreis: bisillabo per sineresi, come aureo al v. 13 e Post occ. 74, e la clausola aureis in Verg. Aen. 1, 726 (cfr. la nota di Epos, p. 97).

TESTO E TRADUZIONE

inserit. Heu! iugulum super albo pectore morsum et latus excisum sulcatamque unguibus alvum horret, et amenti similis: « Quid fecit? » ait. « Quid?

295 Est fassus Christum ». Pellis iacet hirta ferae, qua celatum gracilem puerum fregere molossi. « Nomine quis? » Graecina rogat. « Lege », fossor ait « sis ».

Et simul ostendit lapidem « POMPONIOS hic est GREKEINOS ». Laceris membris inducitur alba

300 nunc stola: molle suo caput ipsum pondere nutat . . Ille oculis ambit matrem quam saepe vocabat, et dulcem quaerit, siqua est. hinc inde gemellum.

fra gli astanti. Ahimé! Vede inorridendo sul bianco petto la gola morsicata e i fianchi dilaniati e il ventre solcato dalle zanne, e come fuori di sé chiede: « Che ha fatto? » « Che ha fatto? Ha professato Cristo ». Giace la pelle irta della fiera, sotto la quale i molossi hanno sbranato il gracile fanciullo. « Il suo nome? », chiede Pomponia. « Leggi, se vuoi », risponde il becchino. E insieme mostra l'iscrizione: « Qui c'è POMPONIO GRECINO ». Le membra straziate sono ora rivestite di una bianca stola: la testa ciondola mollemente per il suo stesso peso. Egli avvolge con gli occhi quella che tante volte chiamava mamma, e cerca di qua e di là, se mai vi sia, il suo gemello.

NOTE ESEGETICHE

v. 1. NoN CULTUNISI LUGÙBRIetc.: il carme inizia con la citazione tacitiana (v. supra, p. 7), ripresa al punto dove essa è più patetica (mentre è posposta la determinazione temporale, post ... annos, che in Tacito precede) e dove la sua struttura anaforica meglio si presta al ritmo poetico (v. il commento ad loc. di P. Wuilleumier, Paris, 1964). L'anafora è accentuata dalla figura etimologica vitam vixit al posto di egit (cfr. Ad A. Fratti, IV: « qual vita viveva il tuo cuore?») e dal poliptoto maesto maestior, che ristrutturano la frase tacitiana secondo il gusto tipicamente pascoliano delle riprese (si pensi, tanto per fare un esempio, all'apertura di Psyc_he: « O Psyche, tenue più del tenue fumo - ch'esce alla casa, che se più non esce, -la gente dice che la casa è vuota ... »).

v. 7. NAM MULIERSOLESetc.: extinguo è il verbo atteso per indicare lo « spegnersi » della luce, la cui idea è implicita in sales (e sol deficere extinguique visus est si legge, a proposito di un'eclissi, in Cic. rep. 6,24); ma qui è allusivo allo spegnersi di Pomponia, che secondo l'interpretazione della gente (ut: il prorsus del v. 8 vi contrappone i fatti) viveva solo in attesa della morte (tacito fruitura sepulcro: è il « tacito avello » di La poesia, V). In realtà, la morte è per la cristiana l'inizio dell'immortalità (v. 108), e tutta l'espressione pascoliana suona come il rovesciamento concettuale di Catull. 5, 4 s.: sales occidere et redire possunt: - nobis cum semel occidit brevis lux, - nox est perpetua una dormienda: simbolo di quel rovesciamento di valori nel rapporto vita-morte, che è il Leitmotiv del poemetto.

V. 9. ILLAM RUGITUSNON PERSTRINXERELEONUMetc.: perstrinxere ha, per zeugma, una duplice accezione: nasce

come sensazione uditiva con rugitus 1 (cfr. Hor. carm. 2, 1, 17 s.: iam nunc minaci murmure cornuum - perstringis au. res, che il Pascoli echeggiò in Sos. fratr. 33: qui perstrictus lituis et cornibus aures ..., e tradusse in Lyra, p. 197: « as• sordi » ), ma si fa visiva coi soggetti successivi, mollia brachia (da Ovid. ars 1,593) e venetus auriga (alla scelta del colore non sarà estranea l'allitterazione con vinctus), anzi psichica, a indicare una forte impressione sia in senso negativo che po• sitivo, benché in latino sia prevalentemente negativo (cfr. Liv. 1, 25, 4: horror ingens spectantis perstringit; non male molti, seguendo la suggestione liviana ma conservando l'ambiguità del testo, hanno tradotto « fecero rabbrividire »).

v. 10. IENT ANTUM: il poeta ne rinverdisce la connessione e. timologica con ieiunus, un po' oscurata nell'accezione comune ( « faccio colazione » ), forse per influsso di alcuni passi del Quo vadis? che parlano delle belve tenute digiune nell'anfiteatro: anticipando, così, il motivo del v. 234. Cfr. A. LUNELLI, Pascoli, « Pomponia Graecina » 10, in AAVV., Contributi a tre poeti latini. Bologna, 1969, pp. 199-206.

V. 11 s. NEQUE ILLA ........,STANS CAEDEBAT EQUOS etc.: stans monosillabico a principio di verso è lezione virgiliana (cfr. J. HELLEGOUARC'H, Le monosyllabe dans l'hexamètre latin, Paris, 1964, p. 49). Il Pascoli ha sempre sfruttato, an• che in italiano, l'icasticità di questo verbo nella sua accezione latina di « star dritto, in piedi », cfr. Alla cometa di Halley, V: « Stava. Egli solo nello spazio immenso ... » (non senza influsso dello «stette» manzoniano, v. Saggio, p. 117 s.). In stans, grazie alla « metafora tacita » che identifica lo spettatore con l'atleta (Saggio, p. 93 s. [ = p. 92 s.] ), c'è compresenza d'immagini: la donna in piedi a fare il tifo per i suoi colori, e l'auriga dritto sul cocchio in corsa.

V. 18. ILLA DOMI PARVO DEFIXA HAEREBAT IN AULO: modulo virgiliano (Aen. 1, 495): dum stupet obtutuque haeret

1 Rugitus è tatdolatino(Vulgata e Historia Augusta); il corrispondente classico è fremitus (cfr. Pec. 156: caeci fremitus). Qui rugitus può rappresentare un italianismo; inversamente è un latinismo « fremere » per «ruggire» in Alexandros, VI: « egli ode belve fremere lontano» (v. Saggio, p. 123 e 225 [ = p. 122 e 227). Sulla quantità della u radicale cfr. DEL, s.v.

defixus in uno (Enea di fronte alle porte del tempio). Senonché il participio latino descrive un atteggiamento di fissità e d'immobilità psico-fisica («inchiodato»), cfr. Sen. dial. 5, 4, 1: oculis in uno obtutu defixis et haerentibus; Val. Flacc. 7 ,81 s.: perstrinxerat horror - ipsum etiam et maesta stabat defixus .in ira (segue: non ita ... stupe!). Col complemento di persona l'antecedente più vicino pare Val. Flacc. 5,375 ss.: (regina) in solo stupuit duce. Nec minus inter - ille tot ignoti socias gregis haeret in una - defixus, sempre col medesimo valore 1 : è l'effetto paralizzante di un reciproco colpo di fulmine,· per il quale un poeta della Palliata aveva usato l'espressione cor torporare (Turpi!. 76 Ribb.3). Nel Pascoli è interamente interiorizzato, a significare un esclusivo e quasi ossessivo attaccamento al figlio, introducendo così, attraverso la deviazione semantica, un elemento del futuro contrasto. Per esprimere tale esperienza il latino aveva - e lo usò il Pascoli in Ult. Lin. 5, Thall. 189 omnis o totus in aliquo (Saggio, p. 107 [ = p. 106 J ).

v. 22. VuLTus AEVUMQUEGEMELLIS:la clausola oraziana (ep. 1, 10, 3: cetera paene gemelli) dissimula un'audacia sintattica: l'accusativo di relazione, normale col pronome neutro e con parti del corpo o facoltà psichiche, è insolito, ed evidentemente analogico, con aevum. C.F.W. Miiller (Syntax des Nominativus und Akkusativus im Lateinischen, Leipzig u. Berlin, 1908, p. 112) cita Val. Flacc. 1, 771: aevum rudis (ma parte dei codd. e delle edizioni ha aevi) e CE 1530, 5: vitam insons, integer aevum. La prima redazione aveva: formaque aevoque, corretta in voltus annosque e successivamente in * voltus atque aevum.

V. 24 s. Qum HABETlTRAF.CINA.QUODINTUS- SIC SERVET?: i1 concetto è quello, più volte citato, del famoso epitafio di Claudia: domum servavit, lanam fecit (J.l Pascoli in * Lyra, p. 11, ne ttaduce la prima frase: « fu donna da casa»), 'ma l'uso assoluto di servo viene da Plauto, Aul. 81: redi nunciam intro atque intus serva (con le varianti plautine e terenziane domi e in aedibus), « custodire la casa» e quindi « starsene in casa». Che così intendesse il Pascoli questa formula di lingua

1 Anche in Claudian. 21, 54 ss. ricorre il significativo accostamento di stupeo e defixus: stupuere severi - Parthorum proceres... defixaeque hospite pulchro - Persides... suspiravere.

NOTE ESEGETICflE

d'uso, è confermato dalla sua variatio in Sen. Cor. 139: tu /ore servas, « tu resti fuori », e dal suo equivalente nella stes• sa Pomponia, v. 58: lanificam ... domique sedentem (lanifica e domiseda porta un altro epitafio di età adrianea, Plessis, Épitaphes, p. 151). Il Gandiglio invece, citato dal Vischi senza * indicazione di fonte, intende: « Grecina che ha da custodire in segreto? »

V. 25 S, TEXITNE RETEXITQUE -ANNOSAM TELAM?: già segnalata, a partire dal Bongi, l'allusione alla tela di Penelope, assicurata, aggiungiamo, dal riscontro verbale con Cic. Acad. 2, 95: Penelopae telam retexens; il gioco semplice/composto, ricco di precedenti antichi (Verg. Aen. 6, 622: fixit leges pretio atque refixit; 6, 122: itque reditque viam; 12,753: mille fugit refugitquè vias) e di paralleli pas,co1iani(In occidente, II: « ei tesseva e stesseva il suo destino », etc.), è impreziosito dal gioco delle enclitiche e dal verso ipermetro, che suggerisce il senso di un lavoro interminabile: agli occhi dei maligni, Pomponia è una Penelope alla rovescia, che tesse la tela dopo il ritorno del marito. E che il Pascoli pensasse alla tela di Penelope, è provato dalla prima redazione: illam nunc telam.

V. 30 S. DELATOR IN AUREM -PRINCIPIS ... SIBILAT: il modulo sintattico in aurem dicere (insusurrare, garrire, etc.) è semanticamente innovato da sibilo, che evoca l'immagine del serpente, cfr. Verg. Aen. 11, 754: serpens ... sibilat ore.

v. 37. Sulla prima redazione di questo verso (Excipiunt tacitos fumosis atria ceris - tristia) cfr. Poesia in fieri. Dalle carte del Pascoli latino, « Belfagor », 1968, p. 526 ( = ll latino del Pascoli2, p. 297 ).

v. 39. Focus ... DOMINAM LEVIS IGNIBUS ADFLAT: sull'uso pascoliano di afflo dicevo tra l'altro in Saggio, p. 112 s. ( = p. 112): « è comune afflare ignem alicui o igni aliquem, specie trattandosi di incendio o di fulmini. Anzi in quest'ultimo caso è termine tecnico, cfr. Sen. nat. 2, 40, 4: (/ulmen) tribus modis urit: aut afflat et levi iniuria laedit È un fuoco autentico, che scotta e brucia ... Ma è solo il riflesso del fuoco, un gioco d'ombra e di luce in Pomp. 39 ».

v. 40. IN LONGA ... SELLA: longa avvisa che '1a sella è in realtà una cathedra,. la sedia a spalliera inclinata propria della donna, cfr. Iuv. 9, 52: longa cathedra; Mart. 12, 38, 1:

femineis catbedris; Calp. 7, 27: inter femineas catbedras (DAREMBERG-SAGLIO,s. v. catbedra, p. 970 s.); e su una catbedra siede Poppea in Ruf. Crisp. 139: molli suffulta catbedra (cfr. Iuv. 6, 91: molles catbedras).

v. 41. CoRAM... SEDET: la traduzione pascoliana di coram sarebbe « di contro», cfr. Anticlo, VI: « E contro gli sedeva Helena Argiva »; L'ultimo viaggio, VI: « Sedeva al fuoco, e la sua vecchia moglie -... contro lui sedeva»; Sileno: « Il giovinetto gli sedea di contro », etc., ed è calco omerico, cfr. Il. 9, 218: C"LÙ"t"Ò<;o'&.v"t"LOVL½,EV'Ooucrcrfjo<; 1'e:loio; Od. 2.3, 89: E½,E"t"'E'ltEL"t"''Ooucrfjo<; ÈV!XV"t"L1).

V. 49. PATERHINCET HERUSSUM FACTUS: ci attenderemmo il giuridico dominus, specie in coppia con pater, « il ca~ pofamiglia », invece del familiare e affettivo ( b )erus, che è il padrone rispetto al servo (cfr. Cic. off. 2, 24: adbibenda saevitia, ut eris in famulos) 1• Herus par dovuto a un dqppio influsso: semantico, per opposizione a mancipium precedente, e fonico, per l'allitterazione con bine. Difatti H Pascoli, che usa di norma la forma deaspira ta erus (Catulloc. 179, P bid. 123, Fan. Ap. 88, Can. 189), usa berus in un nesso allitterante onomatopeico: bic, bere, quiesce quamlibet (Catulloc. 16, cfr. ibid. 5: bic bic, beri qui : in entrambi i casi mimesi del « chicchirichi », v. Saggio, p. 32 [ = p. 21 J, e PASCOLI,Saturae, a cura di A. Traina, Firenze, 19772, p. 138). Nei versi successivi le figure di suono sono rappresentate dalla paronomasia manes et maeres (che anche semanticamente a me pare un concetto unico: « te ne stai in perpetua tristezza ») e dalle figure etimologiche iustus iudex 'e vitalem vitam. *

V. 53 s. Qms DIXERITISTAM -VITALEMVITAM... ?: allusione, più che enniana, ciceroniana (Lael. 22: qui potest esse vita vitalis, ut ait Ennius, quae ?): il Pascoli ne acuisce la pregnanza mediante il contrasto con mors (tibi quae magis abdita mors est?), facendone un'altra espressione dell'antitesi tematica del carme (Saggio, p .. 196 [ = p. 197 s.] ). *

I L'unico esempio di erus in un testo giuridico, stando al Thesaurus, è Ult>. dig. 9, 2, 11, 6: ero... hoc est domino. II giurista parla della lex Aquilia, il cui testo porta solo dominus.

NOTEESEGETICHE

v. 56. TRISTE QUIDADR1SIT:accusativo interno « che non ha precisi corrispondenti in latino, dove s'incontrano da una parte pronomi come in Cic. nat. deor. 1, 79: video, quid adriseris, dall'altra aggettivi come adridere dulce (Sil. 11, 390), subamarum (Amm. 27, 11, 5), etc. Triste crea con adrideo un ossimoro per noi comune, ma insolito in latino, mentre l'indefinito lo smorza in un'ombra di sorriso » (Saggio, p. 233 [ = p. 235 s.]).

V. 63 s. NE ME ... PUTARIS-DE TE PRAETERQUAMSANCTAETIBI CREDEREMATRI: la traduzione della Moràbito è inesatta: « Non pensare ... ch'io creda di te se non ciò che si deve credere di una madre santa quale tu sei » (cosl pure il Turolla e altri); cioè traduce come se il testo avesse de sancta matre invece del dativo: « non pensare che sul tuo conto io creda a nessuno se non a te che sei una madre irreprensibile». Bene parafrasa il Vii.s-chi:« io ho sempre avuto fiducia in te; ma sono gli altri che ti accusano ~>. La retta esegesi di questo passo risale al Della Torre.

v. 68. FRux UNICUSARB0RISINDEX:come il proverbio del verso successivo, la fonte è Matteo, 12, 33: ex fructu arbor agnoscitur (cfr. anche 7, 16 e Luca, 6, 44: unaquaeque arbor de fructu suo cognoscitur). Da notate la forma epigrammatica in cui il Pascoli ha rifoggiato il proverbio evangelico, serrandolo in una frase nominale e dandogli per soggetto l'inusitato frux [Ennio, cfr. Epos, p. 50]: patina di arcaismo alla gnome?

V. 70. HAEC INDIGNANTISIMILIS IACITUX0R: non è solo « sdegnata », come rende la maggior patte dei traduttori, ma « con aria sdegnata» o « in atto di sdegno », giacché similis col participio presente è iunctura fortemente icastica, atta a descrivere l'apparenza o l'atteggiamento esteriore. Di origine omerica (Il. 6, 389: µ!X.woµÉVU Etxui:!X.), diffusa in poesia alessandrina (Arat. 63: µoyfov-rt Èotx6c;; Theocr. 2, 51: µ!X.woµÉv~ tXEÀoç,), è largamente sfruttata da Virgilio (cinque esempi: georg. 3, 193: laboranti similis, v. Arato; Aen. 5, 254; 7, 502; 8, 649; 12, 754) e da Ovidio (nove esempi) 1 , donde

1 È interessante che Ovidio, trattando il medesimo mito - una donna trasformata in bestia - usi una volta CO?.noscentisimilis (met. 2, 501), un'altra tamquam cognosceret (fast. 2, 185). Cfr. A. TRAINA, Laboranti similis. Storia di un omerismo virgiliano, « Maia », 1969, pp. 71-78 [=Poeti latini (e neolatini), II, cit., pp. 91-104]; A. LuNELLI, ibid. 1969, p. 341 s.

passa nel Pascoli: in Phid. 104 aliud agenti similis è Orazio assorto in unricordo; in Thall. 93 absenti similis dipinge il contegno quasi da sonnambula della schiava; qui indignanti similis discende direttamente da Verg. Aen. 8, 649: illum indignanti similem similemque minanti, dove il suo valore icastico è in funzione dell'Exq>pa.O"Lçdello scudo di Enea (aggiungi Apul. met. 8, 25). Pomponia è r,appresentata in tutta la ;iolenza delle sue reazioni, come avverrà nel momento culminant~ del processo, quando la madre uscirà in un urlo di disperazione inumana (v. 122): exululat subito consurgens caeca sedili. Anche Tallusa conosce questi sbalzi psichici: vultu iacit haec Thallusa ferino (v. 118). La maternità ferita le accomuna. Anche alla fine del carme, dinanzi al corpo del nipote, Pomponia sarà amenti similis ( v. 294): e qui avrà influito l'Andromaca omerica µa.woµÉvn Etxui:a. (v. supra [e cfr. Canz. Par. VIII 49: «simile a un folle»]).

V. 77. HAEC HUIUS SUMMULA CAUSAE: summula come diminutivo di summa nell'accezione di «punto essenziale» [cfr. Agap. 88] è hapax semantico, se è vero che summula classicamente è attestato solo nel senso di «sommetta» (Sen. ep. 77, 8: minutas summulas distribuit, etc.). Ma l'innovazione semantica, con cui Plauzio minimizza il sacrificio richiesto alla moglie, scatta all'interno del latino, senza intervento dell'italiano, che può tradurre solo con perifrasi verbali (« a ciò si riduce il processo », Bongi; « tutta qui sta la causa », Ficari, etc.) o con diversa metafora ( « picciol nodo », Barbini).

V. 82. ATTONITUM RISUM RIDENT OCULIS DEFIXIS: i mezzi linguistici, coi quali il Pascoli ottiene questa suggestiva animazione dei Penati, partecipi dei sentimenti dei vivi, sono: la figura etimologica risum ridere, solo parzialmente attestata in latino; la iunctura oraziana (ep. 1, 6, 14) defixis oculis, invertita nell'ordine delle parole e nella sede metrica a formare la clausola spondaica; l'insolito riferimento di attonitus ( aggettivo pascoliano in italiano e in latino} al riso. Ne risulta « una impressione di fissità arcaica, appena animata dall'affiorare di una vìta ancestrale » (Saggio, p. 230 [ = p. 232 s.], con più ampia documentazione). Il nucleo fantastico di questa scena il Pascoli l'ebbe forse da Hor. epod. 2, 66: circum renidentis Laris, così commentato: «le statùette di cera nitida, degli dei della casa: i Lari che rilucendo per la fiammata, se:nbrano prender parte alla festa» (Lyra, p. 147); cfr. Cen_.in Caud.

NOTEESEGETICHE

117: facie! ridere Penates. Sulla tormentata genesi di questo verso cfr. Poesia in fieri, cit., p. 527 ( = p. 298 ).

v. 84. TACITISVULTUMLACRIMIS.RIGAT:da Verg. Aen. 9, 251: vultum lacrimis atque ora rigabat (e 6, 699), con l'aggiunta di tacitis che non mi pare epiteto classico di lacrimae: il pianto antico raramente era silenzioso (Plauto lo rese con una coppia participiale asindetica, Bacch. 983: lacrumans tacitus auscultabat). Il la,tino rigo implica solo l'immagine del «bagnare» (cfr. irrigo), ma non escludo che il Pascoli vi sovrapponesse quella di « solcare», propria dell'omofono ita~ liano, cfr. Il ciocco, II: « rigano il cielo d'un pensier di luce». Altro esempio dell'arricchimento semantico dovuto al bilinguismo.

v. 90. MAGNOSCOLETURE DEOS: ripreso al v. 92 (recedunt - in tenebras solitas longumque situm magni di), è allusione enniana (ann. 201 Vahl.2: dono ducite doque volentibus cum magnis dis) e virgiliana (Aen. 3, 12: cum sociis gnatoque parentibus et magnis dis), che condensa nella clausola monosillabica 1 tutto il peso di una tradizione cui la donna tenterà invano di sottrarsi. H medesimo scopo ha, in bocca a Plauzio, l'allusione enniana del v. 112: O domus antiquis quae stabas moribus (cfr. ann. 500 Vahl.2: moribus antiquis res stat Romana). Cfr. Saggio, p. 196 ( = p. 198).

v. 93. OBSCURAE ... VIRUMFORMAEetc.: forma col genitivo è nesso virgiliano, cfr. Aen. 7, 18: ursi ac formae magnorum ululare luporum; 3, 591: nova forma viri (Epos, p. 152: « larva d'uomo». Il Pascoli lo usò in Chelid. 20: forma aquilae, al posto del semplice aquila della fonte svetoniana, Tib. 14, 4, e lo ripeté con chiaro effetto cromatico in Poem. et Epigr. 438: aquilae liquidum nigrescit forma per aurum. Cfr. anche Fan. Vac. 313 col mio commento [PASCOLI,Saturae, cit., p. 100] ). Di fronte al rifiuto di Pomponia, si crea intorno alla donna una solitudine popolata solo d'ombre. Virum formae riduce i presenti a contorni immobili e spettrali

1 Sulla quale il Pascoli richiama .l'attenzione in Epos, p. 32: « verso veramente enniano, che ha... tutta la solennità d'una formula pubblica. E notisi la terminazione».

(lemuresque ), in cui 1a vita si è ritirata nel profondo ( cardi quisque suo velut auscultare videntur: auscultare col dativo, che classicamente vale· solo « dare ascolto, dar retta», suggerisce un assorto autoascoltarsi chiuso al mondo esterno, v. Saggio, p. 94 [ = p. 93] ). È il momento opposto a quello del v. 81, quando i ritratti di cera sembravano affacciarsi alla vita.

v. 95. !PSA SINUM FIXIS OCULIS FOVET: all'atteggiamento assente dei parenti fa riscontro la fissità di ~omponia, espressa con una variatio sintattica del nesso (in) sinu fovere. Ossia fovea è usato nella accezione di tueor, con cui talvolta si trova in coppia (Sen. ben. 4, 15, 4: inutilia tueri ac fovere), ma sempre in senso metaforico, mentre qui lo strumentale fixis oculis gli dà il senso proprio di « fissare », che non sembra * attestato in latino. Ma l'accezione originaria di « tener caldo, carezzare», richiamata proprio dalla presenza di sinum, contribuisce a chiudere la donna nel cerchio geloso e ostinato delle sue convinzioni.

V. 98 ss. UNDE - ISTA SUPERSTITIO MULIEBRES PERCULIT AURES?: debole ed esterno « giunge » o « venne » di quasi tutti i traduttori. Percello è un urto che fa cadere 1, e im- * plica qui l'impressione psichica !atta sull'animo femminile (se no muliebres sarebbe tautologico 2 ), cfr. Cic. Verr. 3, 132: haec te vox non perculit? non pertttrbavit?, e per il concetto Colum. 1, 8, 6: sagas... quae vana superstitione rudes animos ... ad fiagitia compellunt. Ha compreso il valore del verbo il Bongi: « s'intruse nel femminile tuo cuore, ad avvincerlo».

V. 100 s. UNDE ODIUM VITAE ET CLARI FASTIDIA sous?UNDE HIC HUMANI GE'.NERIS CONTEMPTUS?: il secondo verso ripete l'accusa di misantropia rivolta agli Ebrei e ai Cristiani (Tac. ann. 15, 44: odio humani generis; l'espressione anche iµ Sen. dia!. 9, 15, 1), con la variatio di contempttts per odium, perché odium era già stato adoperato nella espressione prece-

1 Cicerone lo usa in coppia con affligo ed everto, cfr. ·TRAINA, Pervellitpedem, in MiscellaneacriticaTeubner, Leipzig, 1965, II, p. 344 [=Poeti latini (e neolatini), I, Bologna, 1986', p. 5].

2 Cfr. l'analogia semantica di un passo di -Thallusa,51: dicis mulier de more benigne, dove mulier, dai traduttori solitamente tralasciato o inteso come vocativo, mi pare· predicativo, e l'assenza di punteggiatura lo conferma: « da donna qual sei». Cfr. TRAINA, Due note pascoliane, «Giorn. ital. filo!.» 1972, p. 380 [e la nota ad loc. del mio commento cit.]

NOTEESEGETICHE

dente, odium vitae. II primo verso somma Lucr. 3, 79 s.: vitae odium ... lucisque videndae e Sen. ep. 24, 26: vitae non odium sed fastidium. Quanto all'epiteto clari, per la sua provenienza e l'uso pascoliano v. la mia nota a Catulloc. 295 (PASCOLI, Saturae, cit., p. 47): ma avverti che qui è motivato dall'antitesi con fastidia.

v. 104. NoSTRUM GENUS: il Goffis nella sua recensione (« Paideia », 1967, p. 305) mi obietta che nostrum genus in bocc~ a Pomponia va inteso come forma reticente per « noi Cristiani ». Non credo: la donna confuta l'accusa dei marito, humani generis contemptus.

v. 105 ss. ET VITAMetc.: le espressioni di Pomponia sono ambigue: pur suonando fondamentalmente cristiane, riflettono la più alta saggezza pagana. Come vita via est del verso seguente viene da Cicerone (rep. 6, 106: vita via est in caelum, cfr. la nota del Barchiesi), così il concetto di questo verso è senecano (ep. 24, 24 ): ne nimis amemus vitam et ne nimis ode* rimus.

v. 112 s. O GENS-MAGNADOMIetc.: molti intendono domi genitivo, io, col Della Torre e col Barbini, ci vedrei un locativo, « in pace», per i seguenti motivi: 1) il genitivo in -i è raro ed arcaico, e, stando al Thesaurus, solo in funzione di genitivo oggettivo dipendente da verbi (memini, taedet, etc,); 2) domus nel senso di « casa » era già stato usato nel verso precedente, né si vede qui il motivo· di un nesso in fondo tautologico come gens domi, mentre gens da solo appare l'attesa variatio del precedente domus; 3) magna, determinato dal locativo, restaura il parallelismo semantico e sintattico con magna triumphis, dove triumphis implica l'idea della gì}erra, sicché tutto il verso si presenta come la variazione e l'arricchimento della formula tradizionale (magna) domi bellique.

v. 116. FuRCIFERONEALIQuo?: la traduzione del Della Torre, «furfante», dispiacque al Gandiglio, che propose « un * briccone di schiavo» (p. 59). In realtà il termine è intraducibile nella sua pregnanza allusiva. Furcifer è, sl, per Plauzio. un sinonimo peggiorativo di « schiavo» (cfr. v. 114: nescioqui servus iudaeus), ma agli orecchi cristiani di Pomponia e

del lettore non può non suonare nella pienezza del suo valore etimologico, « portatore della forca » 1 , il Cristo (il Bongi ha inteso bene: « un tale ... da forca»).

v. 116. Tu DEDIGNARIS ... : non è « ti sdegni», che sarebbe indignaris, né « ci disdegni » o « ci disprezzi », ma indica il gesto di sdegnata negazione con cui Pomponia reagisce alla sferzante domanda di Plauzio, giusta il senso di «respingere,· rifiutare» che il preverbio dà al verbo; solo che nel Pascoli è più netta la .compresenza dei due valori, visivo e psichico: « tu neghi sdegnata». La riprova è nell'usus scribendi del * Pascoli, che in Sos. fratr. 72 così descrive l'atteggiamento di un vecchio grammaticus nel leggere versi moderni: explicat et dedignatur quandoque volumen (« di tanto in tanto fa gesti di spregio», Pasquali).

v. 118. Pos1TA FERITATEQUIRINA:il Pascoli, come avverte. egli stesso in nota, identifica 2 il padre di Pomponia con un Grecino cui Ovidio dedica una lettera dal Ponto (1,6), presentandolo come uomo sensibile e colto (5 s.: non cadit in mores feritas inamabilis istos, - nec minus a studiis dissidet illa tuis). Ripresa della feritas ovidiana, la feritas pascoliana non può quindi valere «fierezza», com'è traduzione concorde (con la variante « fiero spirito» di Barbini e Turolla), ma «rudezza»: feritatem exuere in Ovid. fast. 3,281 significa « dirozzarsi, incivilirsi », e cfr. il desertorem feritatis homullum del Pascoli (Can. 10).

v. 120. I ... F0RASHINCATQUETUASTIBI HABERES: solo il Paoli ha notato che .qui il Pascoli ha fuso due formule di repudium, i foras (cfr. Mart. 11,104,1: uxor, vade foras, e Thesaurus, s. v. foras, col. 1035 s.) e tuas res tibi habe o habeto (Gaio, dig. 24,2,2,1, etc., cfr. Lyra, p. 30): quest'ultima appuntita dalla clausola monosillabica, che risponde al monosillabo iniziale, quasi ad accompagnare la perentorietà del gesto.

1 Sull'accezione etirriologka nel Pascoli v. Saggio, p. 170 ( = p. 171), dove fra gli altri portavo l'esempio di « Cristoforo » scomposto in « portator del Cristo» (Il ritorno di Colombo, Ili) [e Poeti latini, III, cit., p. 283].

2 È identificazione accreditata, dr. Hanslik in Pauly-Wissowa, Real., s. v. Pomponia.

NOTEESEGETICHE

v. 122. Si noti l'insistita perfettività di questo verso: exululo, subito, con-surgo. La reazione della madre ha l'immediatezza incontrollata dell'istinto (v. supra, 70).

V. 123 ss. PROTENDIT... MANUSUT 0PEM LATURAQUERENTI- FILIOL0 MATER: « la madre stende le mani 1 come a corrergli in aiuto; oppure stende le mani come una madre che corra in aiuto del figlio » (Vischi nel commento; nella traduzione adotta la seconda interpretazione). L'ambiguità sintattica è dovuta alla studiata collocazione di mater, spostata in fine di frase per l'accostamento con filiolo, col quale forma un gruppo semantico isolato da due pause. Un caso analogo, e forse più artificioso, in Ruf. Crisp. 119 s.: nec quicquam interea nisi toto cogitet exul - te tuus hic animo matrem puer (la prima pausa è quella della cesura).

v. 125. VocEM RUMPERE:l'uso causativo di rumpo, « fare erompere, prorompere», è un virgilianismo modellato su p'Tjywµt CJ)WV'TJ\I(v. Saggio, p. 180 [ = p. 182], con relativa bibliografia). Ma in Virgilio rumpere (vocem) è sinonimo di edere, con in più l'accezione della subitaneità e della violenza: in Aen. 2, 129 è Calcante che rompe un lungo silenzio (cfr. la nota del Conington: « here probably with the notion of br<;aking silence » ); in 3, 246 è l'inattesa profezia di Celeno; in 11, 377 è l'irosa reazione di Turno alle parole di Drance. Nel Pascoli invece per una specie di recupero etimologico si tratta di rompere il nodo delle lacrime che impediscono alla voce di uscire (donde tentat, che non converrebbe a nessuno dei passi virgiliani). Ciò è confermato da Agap. 131, dove erumpere vocem, che ha solo il precedente classico di Petr. 124, 282: (Discordia) erumpit furibundo pectore voces, significa superare l'ostacolo psicofisico di un lungo mutismo prodotto da choc (dr; v. 58: ex illo muta): at surrexit anus vocemque erupit anhelam.

v. 130. FIRMUS... FIXUSQUE:la coppia isosillabica allitterante viene da Cic. Luc. 141, ma riferita a cose, come del resto sempre fixus nel latino classico, tranne l'accezione di fidelis che assume in Ovidio (am. 3,11,7). Il Pascoli J'ha tra-

1 Cioè « le braccia », essendo bracchia propriamente « gli avambracci»: perciò « portare in braccio» è manibtts gestare, etc.

sferita ad esprimere la irremovibilità di Plauzio (immobilis sive stabilis, chiosano fixus i glossari). Non dunque « reciso » di Vischi, Ghiron, Moràbito; « immoto » di Barbini e « immobile » di Turolla sono più vicini, ma ancora esterni.

V. 131. TUM V0XAUDITUR,GRACILISQUESILENTIARUMPIT etc.: sul valore uditivo di gracilis, estraneo al latino classico. (che direbbe tenuis) e qui sottolineato dall'antitesi con silentia, plurale aumentativo, v. Saggio; p. 55 ( = p, 52). È la o-cpprl.ylc;pascoliana in un verso che sembrerebbe la contaminazione di Verg. georg. 4, 260: tum sonus auditur, e di Ovid. met. l, 384: rumpztque silentia voce, con clausola lucreziana (4, 583 ): taciturna silentia rum pi. La prima redazione era: tum vox est audita per atria plena silentz. Patulo oeco è da Vitruvio, 6, 7, 2: oeci magni, in quibus matres familiarum cum lanificis habent sessiones; ma l'archeologia pascoliana di rado rimane inespressiva: nella vastità e nel silenzio dell'ambiente l'esile voce del bambino suona con un accento di solitudine e di pena, che prefigura la condizione dell'orfano e determina l'abiura di Pomponia (dr. 134 s.: matremne diu sic quaerere perget, - inveniet nusquam?). Anche la domanda del bambino: Mater ubi est?, dall'inevitabile gioco delle allusioni letterarie acquista un'eco di dolore e di morte: Hector ubi est? (Verg. Aen. 3, 312); « Mio figlio ov'è? » (Dante, Inf. 10, 60) 1

V. 133. COHIBETC0R PALMIS PERDITAMATER: l'epiteto 2 viene da un'altra madre dolente, la virgiliana bucula di ecl. 8,88: viridi procumbit in ulva, - perdita, nec serae meminit decedere nocti (clausola echeggiata dal Pascoli in Bel. XI 31: clara dies decedere nocti - cum nollet). Il contesto di Virgilio, in cui il participio è al limite fra l'accezione propria e quella psichica, ci suggerisce anche il termine italiano più vicino: «smarrita». Deperdita è anche Tallusa smarrita in una allucinazione (v. 183); e della sorella di Alessandro il Pascoli aveva detto: « Olympiàs in un sogno smarrita». Siamo nella sfera semantica di immemor, v. Saggio, p. 103 ss. ( = p. 102 ss. ).

I Sul rapporto Dante-Virgilio cfr. A. RoNCONI, Per Dante interprete dei poeti latini, «Studi danteschi», XLI, s. d., p. 10 ( = Filologia e linguistica, Roma, 1%8, p. 205}.

2 Sostituito a iJn precedente pallida.

NOTEESEGETICHE

V. 135. LACRIMASNOCTURNUSINANES-ET GEMITUSEFFUNDETINAUDITAMQUEQUERELAM?:rimando al Saggio, p. 240 s. ( = p. 243 s.), per il frequente uso predicativo di nocturnus 1,più espressivo dell'avverbio noctu (in questo caso « la notte è un tempo interno, dilatato dalla solitudine e dall'angoscia dell'orfano»), p. 161 ( = p. 161 s.) per il recupero etimologico di inauditus, che nel latino classico vale «inaudito, mai udito» e nel latino pascoliano «inascoltato» (cfr. Il focolare, II: « Passano loro grida -inascoltate » ). La clausola del v. 135 è virgiliana, Aen. 10,465: lacrimasque effundit inanis (Epos, p. 347: « inanis: sa che non può aiutarlo»); se ne appropriò il Sannazaro, part. Virg. 1, 378 [cfr. Poeti latini, II, cit. p. 222 s.].

V. 138. Quos CUNCTIPARITERGRADIENTICORDESECUNTUR: « Comune in latino è salienti corde, "col cuore palpitante" (v. supra, v. 12) ... Gradienti corde, formalmente cosl vicino al modello da sembrare solo una variante erudita, serve invece a sincronizzare i passi di Pomponia e l'eco che essi hanno nel cuore dei presenti: mediante questa sincronia si crea intorno alla scena la tensione angosciosa del silenzio » (Saggio, p. 93 s. [ = p. 93 ]). La prima redazione portava: dum cuncti passus nutante corde secuntur.

v. 139. TACTA... PARUMPERACERRA:che significa parumper? Una traduzione come quella della Moràbito, « un attimo indugia, tocca l'incensiere », è sintatticamente ingiustificata, perché l'avverbio determina tacta. D'altra parte l'indugio non può neppure consistere nel toccare l'incensiere, come intendono il De Lorenzis e il Turolla. Al contrario, ci attenderemmo una mossa fugace e furtiva, uno sfiorare più che un toccare ( e « sfiorando » traduce, a senso, il Belardinelli). La verità è che il Pascoli usa parumper non nella accezione comune di « per poco tempo», ma in quella arcaica di « appena un poco», cito et velociter, attestata da Nonio (p. 603 Unds.) in Ennio (ann. 53 Vahl. 2 ) e registrata dal Pasicoli in * Epos, p. 18. « Appena » è soluzione felice di molti traduttori, a partire dal Bongi; conservandone il valore temporale di base, proporrei « un attimo ».

1 Al v. 251: cum nocturna piis coleret mysteria cryptis, nocturna può essere tanto attributo di mysteria quanto predicativo del soggetto._ Decisiva è la variante pernox degli abbozzi.

v. 140. FRAGRANS ODOR ATRIA MULCET: mulceo, da una * radice indoeuropea che .significa « toccare », è verbo tattile, e anche quando è usato figuratamente non perde il ricordo della sua concretezza etimologica: è il vento che fa oscillare i fiori (Catull. 62, 41: quem mulcent aurae; Prop. 4, 7, 60: mulcet aura rosas; Ovid. met. 1, 108: mulcebant zephyri flores), il volo o il canto degli uccelli che fa vibrare l'aria (Cic. Ar. 88: mulcens aethera pinnis; Verg. Aen. 7 ,34: aethera mulcebant cantu; Ovid. fast. 1, 155: volucres con"centibus aera mulcent; cfr. Lucr. 4, 136: [nubes] aera mulcentes motu 1). Riferendolo all'immaterialità del profumo, il Pascoli lo sconcretizza del tutto, in armonia con le tendenze del suo linguaggio poetico; dr. anche Catulloc. 296: ( violae) permulcent auras 2 , cui risponde in italiano: « tu le dolci sere - imbalsamavi co' tuoi fiori, ornello » (Edera fio• rita); « il fiore ... inebria l'aria» (Digitale purpurea, I). Il Pascoli ha però avuto un precursore nel Marullo, naen. 2,12: mulcet aera odoribus 3

v. 141 s. UxoR, - INSONTEM IUDEX EGO TE, SANCTii-;STMA, DICO: dico è termine tecnico e solenne (dr. Enn. se. 149 Vahl. 2 : dico vicisse Orestem ), e chiude il verso, iniziato da insontem, con una sentenza irrevocabile. Al centro, dopo la cesura, i due pronomi in antitesi. Sanctissima non è attributo di uxor (su cui vedi la fine nota di Barchiesi), ma un secondo vocativo con implicito valore causale. Il medesimo valore, al v. 147, hanno i due predicativi asindetici pia fida, coi quali Plauzia giustifica l'attaccamento di Pomponia alla famiglia paterna (pietas!) nel momento stesso in cui la esorta a staccarsene.

V. 150. NE DISCORS ANIMO 1AM fUGNET LAETA PARUM fRONS: Plauzio esorta Pomponia a essere serena, ma lo dice

1 R. WRESCHNIOK, De Cicerone Lucretioque Ennii imitatoribus, Vratislaviae, 1907, p. 13, così commenta i passi cit. di Cicerone e Lucrezio: « huic :verbo vis leniter movendi tribuitur ».

2 Qui però c'è un precedente catulliano {64, 284): permulsa domus odore. Cfr. Saggio, p. 135, e PASCOLI, Saturae, cit., p. 47.

3 Stando all'ultimo fascicolo del Thesaurus, che contiene l.a voce mulceo, solo nel latino cristiano questo verbo viene esteso a sensazioni olfattive, ma sempre nell'ambito umano, cfr. Prud. per. 2, 389 ss.: sensus nares mulcet.

NOTEESEGETICHE

con un'allusione virgiliana (Aen. 6,862: sed frons laeta parum), che proietta sul volto della donna l'ombra di morte diffusa intorno al capo di Marcello (« presentisce la morte imminente». commenta il Pascoli in Epos, p. 262). V. Sa1r.11.io, p. 195. L'espressione virgiliana ha risolto una serie di tentativi imperniati sul sostantivo frons (ut iamnunc animus tibi sit iucundior / festivior et frons; laetior ut iamnunc animoque et fronte revivas, etc.).

v. 165 ss. La parabola del figliuol prodigo {Luca, 15). Il Pascoli l'ha rielaborata in un latino lessicalmente e soprattutto sintatticamente più classico, filtrato, si direbbe, attraverso le parole di Pomponia. Nel tradurlo, ho tenuto presente la traduzione dello stesso Pascoli, Sul limitare 4, p. 379.

v; 165 e 175. MAMMA: nel senso di «mamma» è voce della Kindersprache, attestata solo tre volte nel latino letterario (che usa l'ipocoristico matercula), cfr. Var,rone ap. Non. p. 113 Linds.: cum cibum ac potionem buas ac pappas vocent, et matrem mammam, patrem tatam (aggiungi Mart. 1,101 e MarL Cap. 5, 514; meno raro nelle iscrizioni. Cfr. W. HERAEus, Kleine Schriften, Heidelberg, 1937, p. 160 s.; TRAINA, * PreistoriadiThallusa, «Belfagor», 25, 1970, p. 75, n. 13). La sua relativa frequenza nel latino pascoliano (Thall. 20, 79, 154, 172 Ruf Crisp. 33) è indice dell'anticlassicismo del Pascoli 1, sia per la sua apertura verso il mondo dell'infanzia 2 , sia per la

1 Sul quale è sempre da ricordare il sicuro gim;liziodi G. PASQUALI, Poesia latina di Pascoli, in Terze pagine stravaganti, Firenze, 1942 (ma risale al 1937), pp. 251 ss. ( = Pagine stravaganti, Firenze, 1968, II, p. 178 ss.l.

2 V. Saggio, p. 154 s. ( = p. 154 s.) So bene che E. Paratore si è scandalizzato della mia affermazione, che « la letteratura antica non ha occhi per i bambini», definendola una «bestemmia» e obiettandomi proprio quel T orquatus volo parvolus catulliano che io stesso citavo come eccezione, insieme all'Astianatte omerico (La poesia latina del Pascoli, in AAVV., Pascoli, Atti del Convegno Nazionale di Studi Pascoliani del 1962, Santarcangelo di Romagna, 1965, p. 163 [ = Antico e nuovo, Caltanissetta -Roma, 1965, p. 425] ). Attendiamo che il Paratore ci comunichi « i celebri brani dei poeti latini intorno ai fanciulli » (ce li ha comunicati in Di alcune questioni vivamente discusse, « Riv. cult. class. e * med. » 1972, p. 57 s.), e facciamo intanto un istruttivo confronto tra il Pascoli e un poeta umanistico celebre -lui sì -per i suoi versi sui bambini, il Pontano. Se c'è un'opera in cui ci attenderemmo di trovare mamma, per il suo contenuto e per· il suo tono, sono le Naeniae: e invece s'incontra solo mater, perché mamma è riservata all'altra e più

mimesi linguistica che approda a un plurilinguismo 1 ignoto agli antichi. L'alternanza mamma ... matercula ricorda quella di La madre: « madre ... mamma ... mammina».

v. 178. H1c EX MORTEREVIXIT?:queste parole corrispondono a Luca, 15, 32: frater tuus hic mortuus erat, et revixit. Non l'infinito .valore della pecorella smarrita agli occhi dd pastore ha interessato Pomponia ( e di riflesso ricorda il piccolo Aulo ), ma il simbolo della sopravvivenza. Anche il senso della parabola si adegua al Leitmotiv del poemetto.

v. 179. LACRIMIScm MATERINUSTA: il participio si dice di chi conserva sul suo corpo '1etracce indelebili di un marchio a fuoco (cfr. Ecl. XI 166 s.: inustum stigmate custodem): le lacrime sono il marchio che il dolore ha segnato sul volto della madre. La nuova iunctura pascoliana è visiva e psichica a un tempo (Saggio, p. 184 [= p. 185 s.]).

v. 185. È la parabola della dracma perduta (Luca 15, 8), contratta in modo che scompaia la persona (la mulier del testo evangelico) e si veda solo, nel buio, la luce.della lanterna. Cfr. Il ciocco, II: •« egli perduta -la monetina in una landa immensa, -la cerca inv•ano... -e nessuno ode e vede lui, ch'è ombra, -ma vede e svede un lume che cammina». Non cosl nella prima redazione: (effluxit) quaerentis drachmam tremulo puer igne lucernae.

V. 186 s. SEDLABIGRAECINADIESEXH0RRETET ANN0Setc.: labor è corrente con concetti temporali, basti ricordare l'oraziano: eheu, fugaces, fostume, Postume, - labuntttr anni (carm. 2, 14, 1 s.), ma la determinazione di guttatim [ «a goccia a goccia», La pecorella smarrita, I] gli restituisce l'originaria accezione concreta di «scivolare, scorrere giù»2, cfr. Ovid. trist. 1, 3, 4: labitur ex oculis... gutta meis; Arnob. 2, 59: quod guttatim comune accezione di « mammella», che, assieme a papilla, fa da protagonista nelle Naeniae (e non solo nelle Naeniae) pontaniane. Un punto d'incontro fra i due poeti si ha nel doppio ipocoristico bellae fabetlae (Naen. 2, 8; Pomp. 164), ma è comune la fonte, la bella fabella di Apuleio (met. 6, 25).

1 Sul quale dr. in particolare G. F. CbNTINI, Il linguaggio di Pascoli, in AAVV., Studi Pascoliani, Faenza, 1958, pp. 27 ss. ( = Varianti e altra linguistica, Torino, 1970, pp. 219-245).

2 Anche l'aggettivo labilis nel Pascoli è bivalente, spaziale e temporale: v. Saggio, p. 120 e p. 164 s. ( = p. 120 e 165 s.).

f aciat pluviam labi, e insieme capovolge il senso di fugacità del verbo oraziano, sostituendogli, semanticamente e ritmicamente (esametro spondaico), un altro senso del tempo, il tempo del rimorso e dell'attesa, con la sua esasperante, inesorabile lentezza: «E cadono l'ore, - giù giù, con un lento - gocciare» (Il nunzio )1 Sulla morfologia di exhorreo (nella prima redazione c'era il più scialbo miratur) v. Saggio p. 227 ( = p. 229); sulla costruzione infinitiva, che lo allinea ai verba affectuum, ibid. p. 67 (= p. 65). •

V. 191. MORTEM TRANSMITTERE MUNDI: la iunctura, stando agli strumenti di cui disponiamo, par nuova, né vedrei antecedenti in transmitto con concetti temporali come vitam (Sen. ep. 19,2) o tempus (Plin. ep. 9, 6 1 1), tratt:µidosi in tal caso dell'accezione di « passare, trascorrere ». Qui il valore è loca* le, « passare oltre », e deve la sua concretezza al fatto che la fine del mondo è vista come una barriera di fiamme da superare per raggiungere 1a vita eterna (cfr. v. 193 s.: ut ignisnunc det iter?). Transmittere al quinto piede è frequente i:n poesia dattilica, a partire da Verg. Aen. 6, 313.

V, 194 s. OMNIS -IPSA DIE M0RIAR FINITA: non varrebbe la pena notare l'ovvia allusione oraziana di carm. 3, 30, 6: non omnis moriar 2 , se non per indicare come il suo rovesciamento -da orgogliosa affermazione d'immortalità a disperata certezza di annullamento -si iscriva con perfetta naturalezza entro i termini dell'antitesi tematica del carme. Come ho detto nell'Introduzione, per Pomponia l'immortalità cristiana ha solo il polo positivo della beatitudine; il polo negativo, la dannazione, si identifica con la morte eterna (v. 194: puero moriendum est funditus!): anche qui all'antitesi paradiso-inferno (mai nominati) subentra quella vita-morte. Quanto a die finita, non è « finito il mio giorno » di Turolla, né « a sera» del Bongi, perché finita vale « determinato, fissato, prestabilito», cfr. Gic. fat. 30: finitus est moriendi dies: è il giorno del giudizio, il dies Domini (v. 188: perciò non è esatto neppure il Barbini: « nel giorno a me segnato»). Gli altri tra* duttori si sono ricordati del dies illa: « (in) quel giorno ».

1 Sullo sviluppo semantico del verbo « gocciare» nella poesia pascoliana dr. P. BoNFIGLIOLI, Il « ritorno dei morti» da Pascoli a Montale, in Pascoli, Atti del Convegno nazionale etc., cit., p. 62.

2 Per l'uso che ne fece iJ Pascoli negli altri carmi v. Saggio, p. 202 s. ( = p. 204 s.).

v. 197. La frase nominale conferisce una lapidarietà epigrammatica che è una conquista rispetto alla redazione anteriore: Heu! mortalis amor, dolor immortalis es - inquit. *

V. 198 s. lNTEREA PATUIT FUMO MANIFESTUS ET IGNI... DEUS: il Pascoli muta il rapporto sintattico del virgiliano vera incessu patuit dea (Aen. 1, 405), facendo del predicativo dea il soggetto Deus, e spostando il valore predicativo su manifestus 1 (che viene da un'altra epifania virgiliana, Aen. 3, 150 s.: [Phrygii Penates] visi ante oculos adstare iacentismulto manifesti lumine). Patuit fu tradotto dal Pascoli stesso « si mostrò» in Epos, p. 91; ma in una lirica anteriore al 1880, dal titolo appunto Patuit dea, lo aveva riecheggiato con « apparve» 2•

v. 201. (NUBES) VENTIS RIGIDE RINGENTIBUS ACTAE: sull'alchimia linguistica per cui il Pascoli muta un verbo visivo, ringor, « mostro i denti» (cfr. rictus), in uditivo, tramite la callida iunctura dell'avverbio allitterante ri.7.ide.v. Saggio, p. 252 ( = p. 255). Aggiungo raffronti col Pascoli italiano: « (la cincia) sbuffava i suoi piccoli ringhi - argentini» (Nella macchia); « lontanò essa (la cavalla) con un ringhio acuto» (Un ricordo); « un tremulo ringhio di polledri » (Pietole, I); « risuona tutta la campagna intorno - d'allegri ringhi e cupi mugli lunghi» (ibid. III); « i cavalli e gli eroi misero un ringhio - acuto» (La cetra di Achille, I); « a mezzo un ringhio acuto, per le froge - larghe prendiamo il vento» (L'ultimo viaggio, II), etc.: donde trapela la costante preoccupazione onomatopeica del Pascoli, fin troppo manifesta nell'aggettivazione (ma in Fior d'acanto, « fiore- che ringhi dai diritti scapi », e nel Cacciatore, I: « Po ringhiò, fece biancheggiare i denti », « ringhiare» è viceversa visivo, è il latino ringor, come in Sen. Cor. 42: ringentis ab ore leonis, che descrive la bocca di leone aperta 3: uno stesso termine è talvolta latinismo nel Pascoli

1 Pateo come variante espressiva di videor piacque al Pascoli, che amò variarne il predicativo, cfr. Sos. fratr. 75 s.: qui... pateret grammaticus; Poem. et Epigr. 474: patuit maior, tradotto dal poeta stesso: « sembrò più grande».

2 Adattando la medesima espressione di Virgilio alla Trasfigurazione di Cristo, Battista Spagno'i, il Mantovano, aveva invece rispettato la struttura sintattica del mod~llo (de calam. temp. 2, 467): patuit deus, « si rivelò come un dio » ( traduzione di L. Gualdo Rosa in Poeti latini del Quattrocento, Milano-Napoli, 1964, p. 925).

3 Cfr. Colùm. 10, 98: hiantis saeva leonis ora.

italiano e italianismo nel Pascoli latino!). Cosi si prepara il paragone dei venti coi cavalli, che .sarà esplicito al v. 202: qui ventorum naresque iubasque tenebant, dove sulla grandiosa immagine biblica (Apoc. 7, 1: vidi quattuor angelos tenentes quattuor ventos terrae) s'innesta la connessione classica dei venti coi cavalli (Verg. Aen. 2, 418; Hor. carm. 4, 4, 44; Val. Flacc. 1, 610, ecc.).

v. 211. IN CRUCIBUS PATRES: « gli anziani», commenta i.J.Paoli. Credo invece che vi sia una dimensione sociale, « i * capifamiglia», per contrasto col supplizio servile che subiscono (cfr, l'analogia di Suet. Dom. 10, 1: patrem familias ... detractum spectaculis in barena canibus obiecit), donde il forte rilievo della posizione. È vantaggiosamente subentrato a un precedente vetuli (Poesia in fieri, cit., p. 524 [ = p. 294] ).

V. 211 s. !ACTANTUR CORNIBUS ALTE - TAURORUM IN CIRCO ... PUELLAE: si è pensato al Quo vadis?, perché la fonte tacitiana (ann. 15, 44) non parla di questo supplizio; ma il Pascoli poteva ricordarlo -anchedagli Acta SS. Perpetuae et Felicitatis, c. 20: prior Perpetua iactata est [nonché da Lucr. 5, 1323: iactabantque suos tauri].

V. 213. QUIPPE FATEBANTUR QUOD iAM GRAECINA NEGA· VIT: l'imperfetto viene testualmente da Tacito, loc. cit.: correpti qui f atebantur; ma al senso pagano e giuridico di « confessare» (cfr. v. 109: fateris) si sovrappone quello cristiano e religioso di« professare» la propria fede, cfr. v. 295: est fassus Christum (attestazioni in BLAISE, Dictionnaire des Auteurs Chrétiens, s. v. fateor).

v. 214. SuMPTIS ... DE SANGUINE: sumptis ha valore concreto, « prese in mano» (cfr. v. 238: lampade sumpta), ma la determinazione di provenienza de sanguine Io complica della accezione astratta di « acquistate; ottenute», ricevendone in cambio un secondo valore locale e visivo, come se quelle palme grondassero sangue. Tale s.intes-ilinguistica può riflettere la contaminazione, forse inconscia, di clausole come Verg. Aen. 2, 662: aderit multo Priami de sanguine Pyrrhus, ibid. 10, 203: Tusco de sanguine vires, e come ibid. 8, 69: cavis undam de flumine palmis.

V. 216 s. lBANT DORMITUM ... -EXSPECTATURAE VITALIS

MANE DIEI: la teoria delle martiri biancovestite ricorda « le

morte undicimila vergini ... di bianco lino ... vestite» di Suor Virginia, V. L'attacco è virgiliano, come lo schema ritmico spondaico, cfr. Aen. 6, 268: ibant obscuri sola sub nocte per umbram; al valore puramente finale di dormitum, exspectaturae aggiunge il senso della predestinazione, la pacata certezza della vita futura, in contrasto con l'inquieta ,angosciadi Pomponia 1. . Mane sostantivato ha sapore cristiano, cfr. Greg. Magn. moral. praef. 13, p. 524 (cito dal Thesaurus): aeternum nobis mane nuntias (aggiungo Auson. eph. 1, 1: mane clarum), cosl come * vitalis (dies) nel senso di « (giorno) della vita» (Blaise, op. cit., s. v. vitalis).

v. 218. NIGRIS ... CURIS; niger, non attestato, al posto di ate~ (cfr. Hor. carm. 3, 1, 40: atra cura; 3, 14, 14; 4, 11, 36; Boeth. cons. 3, m. 5, 8) è un probabile omerismo (Il. 4, 117: µÉÀ.cxwaL Òòuvm, etc.) subentrato al banale tantis della prima redazione.

v. 221. MuTAT CALVATICAVULTUM:calautica è definito da Nonio, p. 861 Linds., un tegmen muliebre, quod capiti innectitur, col quale Clodio si travestl da donna (Cic. in Clod. fr. 23 Puccioni): sulla forma caltiatica, variante deteriore di alcuni codici accolta in vecchie edizioni e difesa dal Porcellini, v. Saggio, p. 57 ( = p. 54 ). Il problema è di sapere non tanto in che cosa consistesse realmente, ma che cosa vi vedesse il Pascoli. Il quale partiva probabilmente dal Porcellini 2,che, riportata la definizione di Nonio, vi aggiungeva il riscontro col ,c:P1')6Eµvovomerico. Ora in due dei passi omerici, Il. 22, 469 e Od. 1, 334, :xpT)OEµvov è tradotto dru Pascoli con «velo» (rispettivamente p. 1567 e 1581 dell'edizione mondadoriana): d'accordo con gli Scholia Bobiensia al citato frammento di Cicerone, che definiscono la calautica: < x6C"µou> genus,. quo feminae capita velabant 3 •

1 Fu una faticosa conquista. Gli abbozzi hanno: ibant dormitum: quae nunc in pace sub atris/imis - exspectant/sperabant tacitis / cryptis vitalis mane diei.

2 La sorella Maria informa che fin dal 1892 il Pascoli aveva acquistato il Lexicon del Porcellini (Padova 1827-31, cfr. Lungo la vita, cit., p. 330).

3 Il Daremberg-Saglio, s. v., così la descrive: « il consistait sans doute en une bande d'étofte nouée autour de la tete de manière à servir de coiffe et peut-etre au bésoin de voile». Per J. André (Vraies et fausses étymologies grecques, « Rev. :e.t. Lat. », 1960, p. 158 s.) si tratterebbe di un greoismo, xttÀttu6a.xn, con apofonia e intermediario etrusco.

v. 225. RosEOQUE CREPUSCULACAELO:la clausola è classica, Rut. Nam. 1, 277: roscida puniceo fulsere crepuscula caelo (ma si tratta dell'alba), che contamina due versi di Stazio, Theb. 1, 342: sed nec puniceo rediturum nubila caelo, e ibid. 344: longa repercusso nituere crepuscula Phoebo (che è a sua volta clausola ovidiana, am. 1, 5, 5: qualia sublucent fugiente crepuscula Phoebo ). In questo impasto tradizionale roseo caelo è notazione cromatica moderna e pascoliana: « dal cielo roseo pullu:la una stella » (Vespro); « levarsi su nel roseo cielo un fumo» (L'ultimo viaggio, XXI); « tutto il cielo è color rosa » (La cucitrice); « una stella nell'aria di rosa » (L'imbrunire), etc.; in latino Hymn. Rom. 110: in roseo dubius tremis, Hespere, caelo. Roseus in latino antico è topico per il colore dell'aurorà po606axi:vÀ.oc;,ma non pare determini mai caelum né l'ora del tramonto (E. HAEFLIGER,T ag und Nacht bei den rdmischen Dichtern, Diss. Zi.irich, Luzern, 1903, p. 68 s.; H. BARDON,L'aurore et le crépuscule, « REv. Ét. Lat. », 1946, pp. 109 ss.; J. ANDRÉ,Étude sur les termes de couleur dans la langue latine, Paris, 1949, p. 111 s.),

V. 227 ss. GESTUQUERIGENTES-AETERNOSTATUAE:fa via Appia era fiancheggiata da sepolcri, dr. Mor. 16 ss.: Raeda viros rapit: octipedem sonat Appia plausum. - Elabebantur, vixdum conspecta, sepulcra - ex oculis, motaeque basi per inane columnae - certabant raedam subito contingere cursu. - T um sculpti pueri faculas praetendere dextramarmoreoque sequi vivos maerore puellae. È moderno questo relativismo ottico che risolve la cosa nella sensazione: le statue, immobili agli occhi di Pomponia, ,.o.ppaionoin corsa ai passeggeri della carrozza (ricorda i cipressi di S. Guido, « quasi in corsa giganti giovinetti ... » ). Eppure il dettaglio archeologico nòn è fine a se stesso: il solitario andare tra i sepolcri (mediis sepulcris, cfr. Ovid. met. 13, 423) prefigura la scena delle catacombe.

V. 230. PRAETERQUAMPLAUSTRUMPRESSO PR0CUL AXE

GEMENS: il plaustrum gemens è iunctura virgiliana (Aen. 11, 138), intessuta in un contesto allitterante onomatopeico di stampo oraziano (sat. 1, 6, 57).

V. 232 s. VAPORATOFLAMMARUMSANGUINEROMA -

VELATUR:v. Saggio, p. 113 s. ( = p. 112 s.), per il valore intensamente crClmatico che vapor e il suo denominativo vaporo

assumono nel Pascoli. Qui in particolare vaporato sanguine è una specie di ipallage per sanguineo vapore (cfr. La fonte di Caste/vecchio: « i culmini Apuani -il sole cinge di un vapor vermiglio » ), e sanguineus per designare un rosso sinistro, foriero di sventura è in Glad. 50: sanguineo a lumine solis (in Virgilio è detto delle comete che lugubre rubent, Aen. 10, 273, e cfr. Plin. 2, 97: fi,t [caeli] sanguinea species et, quo nihil terribilius mortalium timori est, incendium ad terras cadens • inde). Il Della Torre ha osservato che anche in una scena simile del Quo vadis? si parla di « luce sanguigna ».

v. 234. ET PAR EXIGUISGANNITIBUSIRA LEONUM:clausola lucanea (6, 487) 1 , ma la sensazione uditiva richiama piuttosto Verg. Aen. 7, 15: bine exaudiri gemitus iraeque leonum (« voci furiose», Epos, p. 265), come virgiliana è la-clausola del verso precedente (v. nota a p. 39) e quella del v. 236 (Aen. 2, 725, v. Saggio, p. 127 [ = p. 127]; il Pascoli la variò in Paed. 158: per opaca viarum, contaminandola con angusta viarum di Aen. 2, 332).

v. 239. DESCENDIT... PALLIDANOCTI-SUB TERRAS:nocti (che il Turolla sospetta errore di stampa per nocte) è dativo di direzione 1 e l'intera iunctura viene da Silio Italico, 13, 708: descendere nocti, come fu notato dal Gandiglio, che citava anche il descensus Averno virgiliano. Trattandosi in Silio di una discesa nell'oltretomba, l'allusione ne conserva l'eco nel descendit pascoliano, che è anch'esso una discesa fra i morti (v. Saggio, p. 196 [ = p. 198] ): lo conferma la ripresa del v. 243: descendit ad umbras, che è termine ambiguo, è il buio e sono i morti.

V. 245. LABORANCIPITISLABYRINTHI:anceps in relazione al labirinto viene da Verg. Aen. 5, 588 s., ma labor da Aen. 6, 27, sempre del labirinto: labor ille domus et inextricabilis error, che il Pascoli chiosa: labor domus = laboriosa domus (Epos, p. 221). Bene il Vischi e la Moràbito: « il faticoso intrico di un labirinto».

V. 246. ATTOLLENSGRADITURDUBITANTEMLENTALUCER· NAM: « Magnifica enallage. La dubitante è Pornponia •> (Turolla) 2• Può essere: non sarebbe alieno dalla compresenza

1 Il Pascoli la usò anche in Glad. 85, 'V. Saggio, p. 54 ( = p. 50).

2 Già, implicitamente, tl Della Torre: « Lenta e dubbiosa or procede, la lampada in alto levando ».

NOTE ESEGETICHE

pascoliana. Ma non va taciuto ohe il Pascoli eredita dalla tradizione poetica italiana «dubitare» nella accezione concreta di «oscillare» (cfr. « i dubitanti vertici» del Carducci); probante è il riscontro con Il ciocco, Il: « una lanterna pendula * che oscilla». Non si può neppure escludere una terza accezione di dubitantem: «incerta», riferita alla luce e non al movimento (così intendono >ilFicar.i e la Moràbito, e dr. Tolstoi, I: « con quehla fioca 1ampada pendente»), perché, se in latino dubito è quasi esclusivamente psichico, dubius non di rado determina concetti di luce (Ovid. met. 11, 596; Lucan. 4, 473; etc.), e il Pascoli può essere risalito dall'aggettivo al verbo, cfr. in italiano Rio Salto: « fughe remote al dubitoso lume».

v. 249 s. LEGIT ORDINE NOTOS -IAM TITULOS: ordine in quinta sede è anche in Red. Aug. 76: clamosos nidus bibit ordine pullos, la cui iunctura viene da Ovid. fast. 5, 513: da nunc bibat ordine, dixit (Saggio, p. 197 [ = p. 199]). Il confronto con Il focolare, I: « Via via l'immensa ombra. li beve» ci fornisce la traduzione pascoliana di ordine.

V, 254. EQUUS EXCURSIS SPATIIS... QUIESCIT: il cavallo come simbolo religioso nelle catacombe il Pascoli lo trovava nel Manuale d'archeologia cristiana del Marucchi, Roma, 1908, p. 222 {cito dal Della Torre), che rimandava a S. Paolo, 2 Tim. 4, 7: cursum consummavi. Ma il linguaggio è classico, enniano (ann. 374 Vahl. 2 : ut fortis equos, spatio qui saepe supremo - vicit Olympia, nunc senio confectus quiescit, in Epos, p. 49) e terenziano (Ad. 860: excurso spatio; comunemente ,si diceva decurso, dr. Ecl. XI 8 e TRAINA, Comoedia, Antologia della Palliata, Padova, 1969 3, p. 144).

v. 257. Il simbolo è dichiarato dal Pascoli stesso in Hymn. Rom. 271 ss.: Navem - iactatam ventis et ruptam fulmine tandem - in tuto placidam fundaverat ancora caelo.

v. 258 ss. PUTRESQUE -INGEMINANT TENEBRAR ... PAX: puter in latino è essenzialmente tattile-visivo, « marcio, floscio»; il Pascoli ne trae un'accezione olfattiva, « odoranti di muffa», cfr. Hymn. Rom. 262: putre sepolcretum, tradotto dal poeta stesso: « muffito sepolcreto» (già indicato dal Della Torre), e in italiano Napoleone, Ili: « una muffita nebbia». E tuttavia questo spostani.ento semantico è in fondo

un recupero etimologico, giacché puter è dalla radice di pus e di puteo (il cui va:lore olfattivo fu riservato all'aggettivo putidus). Ingeminant è metaforico con paries; forma ossimoro con silentia, e sinestesia con tenebrae: l'ossessione della parola ripetuta nelle iscrizioni è tale che essa sembra detta e non letta, e si appunta nella clausola monosillabica PAX ( sui suoi paralleli pascoliani v. Saggio, p. 160 s. [:::::p. 161] ). Tra poco, Pomponia udrà veramente la parola «pace» (v. 282) 1

v. 261. DEPOS1Tos ITA DULCISHABETPAX: l'ipallage (al posto di depositi habent pacem) si deve forse all'assimilazione della pace al sonno, dr. Verg. Aen. 3, 147: animalia somnus babebat. Del resto questi scambi sintattici, rinnovando l'espressione e animando il soggetto astratto, sono un elemento di lingua poetica, dr. Sen. Herc. fur. 174 s.: novit paucos secura quies.

v. 268. AMBAGESET DORMITORIA:endiadi, « i meandri del cimitero». Ambages viene dalla descrizione virgiliana del labirinto (Aen. 6, 29), ripresa in Hymn. Rom. 258: illi per fl,exus atque ambages labyrinthi; dormitoria è uno di quei calchi (xoLµt}'tTJpux) che tanto piacevano al senso etimologico del Pascoli (Saggio, p. 169 [ = p. 171]; ma è già attestato nelle iscrizioni cristiane, cfr. Blaise, op. cit., s. v.). La fonte è il Wiseman, v. infra, p. 82 n:

V. 269 s. PLACIDISOMNIDEMULCETANHELITUSAURESAC RESPIRANTISSONITUSVIGILUNDIQUEMORTIS:il « respiro dei morti » è ricorrente nella poesia pascoliana con espressioni analoghe nelle due lingue: levem somnum mortuus halat . (Hymn. Rom. 266); « il tuo lene respiro ... ; al leggiero tuo alito» (Lapide); « col loro anelito lieve» (La tovaglia). Anbelitus, giJ riferito in latino sia al sonno che all'agonia (dr; Stat. Theb. 10, 300: somnique et mortis anhelitus una volvitur), può dunque rendersi con uno dei tre termini italiani citati; preferirei « alito », che è l'ac_cezioneprevalente di anhelitus nel latino pascoliano (documentazione in Saggio, p. 116 [ = p. 115]), e perciò non c'è contrasto con placidi. Sonitus risponde· a « il

1 Il v. 260, come il v. 287 e Red. Aug. 1, 3 [cfr. il mio commento, cit., p. XXII s.], etc., è greco:latino: il Pasquali, op. cit., ne ha sottolineato il carattere anticlassico, accostandoli invece ai versi italo-inglesi di Italy, Hammerless gun, etc. È sempre la mimesi linguistica a portare il plurilinguismo.

NOTEESEGETICHE

suon del sonno, eguale e piano» di L'aurora boreale. Vigil * fu esattamente spiegato dal Gandiglio: «assiduo»; può citarsi a rincalzo « un alito incessante » del mare (La vertigine, I; dove « alito» a sua volta risponde ad anhelitus, cfr. Fan. Ap. 92: maris aestus anheli); ma è da aggiungere che, mentre in un caso come Hymn. Rom. 417: vigil imminet ignis (la lampada eterna di Pallante) 1, il senso di « assiduo, ininterrotto » si accorda con la metafora del « vegliare » (« vegliava un fuoco», traduce H Pascoli), nel verso di Pomponia si ha tra vigil e somnus un ossimoro che in questo luogo di morte risveglia l'idea della vita e prepara il trapasso dal sonno al canto.

v. 272. TOTA... INFINITATEREMOTUM:sulla prosodia di infinitate. che si ritrova in Hymn. Taur. 182 e fu segnalata dal Gandiglio, Pascoli poeta latino, cit., p. 45, trascrivo dal Saggio, p. 80 s. ( = p. 78 s.): « È una lontananza reale -un canto di fedeli viene dal fondo delle catacombe -, che si fa simbolo di quella incommensurabile distanza che separa la morte dalla vita, cioè, per Grecina, la disperazione di chi ha abiurato dalla pace di chi ha testimoniato. Ma infin'itas ha ia penultima breve, che, inserita fra due sillabe lunghe, esclude la parola dal1'esametro. Difatti infinitas non ricorre mai in poesia, e anche in prosa è termine filosofico, forse foggiato da Cicerone per tradurre éi.1tEtpov.Il Pascoli ha allungato la sillaba - infinitas - dando al verso un lento ritmo spondaico. Non ci sarebbe, in nessun caso, bisogno di giustificare un'innovazione_ prosodica cosi espressiva. Eppure essa è motivata anche dal punto di vista del sistema linguistico, perché il Pascoli è risalito dal derivato al semplice e ha esteso a infinitas la penultima lunga di infinitus. Procedimento legittimo, se il Thesaurus Linguae Latinae segna, sl, la i breve, ma tra parentesi e con punto interrogativo mette la lunga ». L'epiteto ignotum fu scelto tra cinque varianti incolonnate: ambiguum / incertum / * obscurum / ignotum / praedulce.

V. 275. EXCIPIANTFRATRESEXILIQUEORE SORORES:ore excipere in Cicerone significa accogliere in un bacio l'ultimo respiro di uno (Verr. 5, 118), in Quintiliano ricevere in viso

1 Da Verg. Aen. 4, 200: vigilem ... sacraverat ignem (segue: excu.hias divom aeternas).

una ferita (6, 3, 75). Qui -lo ha ben visto, al solito, il Gandiglio -indica il «rispondere» del coro al canto intonato da un morto, cfr. Ruf. Crisp. 12: tamquam ... exciperent laeti, quotiens avus hisceret, ipsi - vocibus (è il coro dei bambini che sembra rispondere al brontolio del mare). A tale insolita accezione si giunge partendo da quella di « tener dietro, seguire immediatamente», anche parlando, cfr. Caes. civ. 3, * 87, 1: bune Labienus excepit; Tac. ann. 16, 32: loquentis adhuc verba excipit Soranus; Hymn. Rom. 291: quem sic excepit dicentem plura tremendo - ore ... vates ( « seguì con voce piena d'orrore», Pascoli): con felice scelta semantica, perché l'etimologia stessa del verbo implica l'idea di « ricevere, ascoltare » che costituisce la prima fase del « rispondere» («far eco» traduce bene il Picari), cfr. Hymn. Taur. 311 s.: quam (bucinam) clangore tubae, litui stridore canentem - exciperent, « ... un coro ricevea canoro» (Pascoli). Exilis è epiteto caro al poeta per la voce dei suoi tanti morti, cfr. Il bolide: « con loro esili gridi»; Il sonno di Odissea, XXII: « esile sul mare - il loro morto mormorio svanì». * Ricordo omerico delle ombre "tPlsouO'"a.L?La prima redazione aveva: et blanda voce.

v. 279. INFANTES: il paragone poté venire al Pascoli da M. *

ARMELLINI, Le chiese di Roma, Roma, 18871, 1891 2, che da una relazione inedita su scavi nelle catacombe, fatti nel 1626, riporta fra l'altro: « corpi... cinti e fasciati con legature a guisa di bambini» (vol. Il, p. 876 della 3a ed., Roma, 1942).

Il libro però non risulta posseduto né dalla biblioteca pascoliana di Castelvecchio, né dalle biblioteche pubbliche di Lucca e di Bologna.

v. 280. MANGI: l'epiteto manci, « senza forze» (Gandiglio), che accomuna i bambini ai morti, è chiarito da uncelebre passo di Lucrezio (5, 223 ): nudus humi iacet, infans, indigus omni - vitali auxilio ( = mancus), che il Pascoli riecheggia in Thall. 160: (homullum) cuiusvis opera, cuiusvis rebus * egentem. In Glad. 316 mancum agmen è la schiera stremata degli schiavi. La clausola dum sidera surgunt è virgiliana (Aen. 6, 338): dum sidera servat, e ha sostituito surgentibus astris.

V. 287 S. MUSSANTES FLEBILE MATRES _;__ ET MYRRHA

CURANT ET SUAVI CORPUS AMOMO: flebile mussare è iunctura

*

inedita, ma non senza paradigmi analogici, meno audaci (-fl,ebile cantare, Ovid. rem. 36; resonare, Manil. 5, 567; latrare, • Lucan. 1, 548): è un pianto sottovoce, indistinto, dr. Il ritorno di Colombo, III: « il lor pianto sommesso -piangeano gli schiavi» (sul sintagma v. Saggio, p. 229 s. [= p. 231 e 236] ). Curare è termine tecnico dell'imbalsamazione, cfr. Curt. 10, 10, 13: Aegyptii iussi corpus Alexandri suo more curare; sarebbe « trattare », se non fosse così freddamente tecnico.

V. 289 S, TENERET VIVENTE.VIDERI-PULCHRIOREST: videri pulchrior, cioè un aggettivo determinato da infinito equi• valente a un ablativo di limitazione ( visu ), è sintagma poetico, il cui capostipite è maior videri, calco dell'omerico µiyac; òpciacri}ai (esempi in Saggio, p. 219 [ = p. 222]).

v. 293. LATUSEXCISUM:excido, « reseco », è verbo tecnico della chirurgia (dr. Cels. 5, 26, 5), ma il Pascoli ha preso l'intero nesso latus excisum da Virgilio, Aen. •6, 42: excisum Euboicae latus ingens rupis in antrum (« scavato a formare un antro», Epos, p. 221), piegandolo a rappresentare le profonde lacerazioni, le « caverne » ohe sfigurano il fianco del piccolo martire, forse non senza ricordo di Aen. 9, 700: spe• cus atri vulneris.

v. 300. MOLLEsuo CAPUTIPSUM FONDERENUTAT:molle è predicativo, come in Fan. Vac. 74: laxantur molles... artus e in Lucr. 3, 596: mollia cadere membra (nello svenimento). Pondere nutare . è nesso virgiliano (ecl. 4, 50: nutantem pondere mundum) e ovidiano (ars 2, 263: rami pondere nutant), e non c'è dubbio che il suo primo significato. sia « tentennare, oscillare, dondolare», dr. Glad. 500: ere- . bris iam motibus oris - nutabant (di uomini insonnoliti). Ma l'etimo-del verbo, frequentativo di *nuo (cfr. ad-nuo, ab-nuo), suggerisce che agli occhi allucinati di Pomponia il capo di Grecino sembra « far. cenni », come un misterioso richiamo dall'oltretomba. Non è una nostra sottigliezza esegetica: si * ricordi il finale di L'ultimo viaggio, XXIV: « Giaceva in terra, fuori -del mare, al pié della spelonca, un uomo, -sommosso ancor dall'ultima onda: . e il bianco -capo accennava di saper quell'antro, -tremando un poco»; con la diffe. renza che il termine latino ha permesso quella compresenza di accezioni che in italiano sono rappresentate da due verbi

diversi 1• Una lontana, ma non banale conferma può fornire per analogia di situazione ed espressione l'ultimo periodo di Padrona e servi della Deledda: « Il vecchio, piano piano, cadeva seduto con le spalle al muro e dondolava la testa e pareva accennasse di sl, di sì» 2 (cfr. anche G. BERNANOS,Sous le solei! de Satan, Paris, 1926, p. 303: « La tete retombe et roule sur l'une et l'autre épaule ... Elle a l'air de dire: Non!. .. Non! » ).

v. 301. OcuLIS AMBITMATREM: oculis ambit (prima redazione mulcet) non è né « fissa » né « segue » né « guarda » né «rivolge», ma « gira attorno con gli oc.chi» (Della Torre), donde bene il Barbini « cogli occhi avvolge ». Ambio è comune * nel senso figurato di « sollecitare, circuire per ottenere qualcosa» (cfr. Hor. carm. 1, 35, 5; Fan. Vac. 405). Si ripete la bivalenza di nuto: appoggiandosi all'analogia di oculis lustrare, il Pascoli ha foggiato una nuova iunctura che associa il moto degli occhi, dovuto al dondolio del capo, a una muta, insistente domanda. Il poeta non dice quale sarà la risposta.

1 Tale duplicità cli accezioni il Pascoli poteva trovare nel nutanter,. tJondere mundum virgiliano. che vedrebbe cosi sanata ogni aporia, come ho cercato di dimostrare altrove («Conuexo nutantem pondere mundum». Cosmologiae poesia, in MiscellaneaDiano di prossima pubblicazione [ora in Poeti latini, I, cit. pp. 197-218]). Ma non ho prova che il Pascoli ci avesse pensato. Aggiungo ora che la medesima ambiguità semantica•si ritrova in Hymn. T aur. 109: virides audita voce puellae (le sorelle di Fetonte tràSformate in pioppi) - populeis nutare comis.

2 Superfluo ricordare che proprio partendo dal verbo adnuo in Catull. 61, 157 ss. (tremulum movens - cana tempus anilitas - omnia omnibus adnuit) -il Pascoli costrul la sua poesia La nonna (« .la tremula testa dell'ava - diceva sì! sì!»). E se ne ricordò in Agap. 109: adsensuque anus excitJit omnia nutuque - assiduo (cfr. v. 49: canum * caput assidue tremit, ripreso al v. 52: crinibus annuita/bis). Cfr. GIOVANNA

CATAUDELLA, Catullo nella «Lyra» del Pascoli, «Atti 1st. Veneto», class. mor., 118, 1960, p. 229.

APPENDICE

Nell'archivio della casa Pascoli, a Castelvecchio, la busta di Pomponia Graecina contiene: 1) una redazione più antica, copi,ata a mano in 7 fogli; 2) una redazione quasi definitiva, copiata a mano in 7 fogli, col motto primaque per caelum (Verg. Aen. 5, 502); 3) abbozzi molto incompleti. Da questi manoscritti ho tratto le varianti occasionalmente citate nel commento e la traccia italiana del carme, già pubblicata nel mio articolo Poesia in fieri. Dalle carte del Pascoli latino, «Belfagor», 23, 1968, pp. 528-531 ( = Il latino del Pascoli2,pp. 282-299), al quale rimando per. altri dettagli. Una prima pubblicazione, ma parziale e lacunosa, ne aveva curato G.B. Pighi di sulle carte del Gandiglio (Inediti pascoliani dalle carte di A. Gandiglio, «Convivium», 22, 1954, pp. 712-724 [ = Scritti Pascoliani, a cura di A. Traina, Roma, 1980, pp. 36-59]).

Ho indicato col corsivo le parole di lettura incerta, con [ ] quelle indecifrabili; fra < > ho messo i rari supplementi.

I FOGLI0 1

I. Nerone imperitante, rea supersuuonis externae (57 d. Cr. 810 u. c.). Abiurat coram marito et propinquis. II. Cultu lugubri, animo maesto. Supplicia Christianorum ad paenit<entiam> redigunt (sec. Tacito aveva cominciato prima post Juliam Drusi interfectam).

1 Contiene anche indicazioni di fonti antiche e moderne: oltre Tacito (ann. 13, 32), Ovid. Poni. l, 6 per il padre di Pomponia, autori cristiani come Minucio Felice (12, 5-6) e Tertulliano (ap. 38) sulla vita ritirata dei Cristiani; il Marucchi (Le catacombe romane! Roma, 19052; Manuale di archeologia cristiana, Roma, 19082) e tl Costa (Emilio Costa, in quegli anni ,professore di diritto romano a Bologna: da •una sua opera non identificata il Pascoli trasse la formula del d1-. vorzio i foras mulier!).

III. Catacumbas visit ... (Caeciliae cat.? Lucinae? cryptasPomponios Grekeinos - Mar<ucchi> 158 area Lucinae uhi Paulus conditur?).

Pomponia vestiva sempre a lutto, era sempre mesta. Più mesta anzi dal giorno che tale lutto le fu a male apposto. Dicevano che era ream externae ... Fu· mandata al giudizio del marito, propinquis coram ...

Ella disse

Allora fu detto ch'ella piangeva la morte di Julia Drusi; ma ella piangeva sé stessa.

Ella va, atterrita dalle persecuzioni, perché sta in dubbio sulla vita del giovinetto Grecino.

II FOGLI0 2

Vorresti fossi diversa? Non cosl deve vivere una donna romana? Sedere e far lana: e aver e far grandi i figli? Perché chiami morte la vita che si spende in te 3

Non credere che io creda Io ti conosco, mea vita. Ma sunt qui ... pravam ut aiunt religione ...

2 Contiene anche fonti cristiane sul dies Domini: Ap. VIII (3 e 9-10), Luc. 12 (49), A.A. II 19, Ad Cor. I 3, 13. J Latinismo sintattico,. cfr. v. 60: in te quod v#ae dulce e'SI impendere.

un nembo di scintille tra la caligine ondeggiò su Roma, e i venti liberati dalle briglie ringhiando mossero e [ ] come eccitati dagli angeli la sferzarono da per tutto; cessato il fuoco, l'altro prodigio cominciò: il sangue. Correpti qui fatebantur. Palmae erant in manibus eorum 4 Furono bruciati innocenti avvolti, come torce, nella pece e nel zolfo. Sono coperti di pelli e inseguiti da cani come selvaggina, <a> modo di fiere. Fanciulle erano sbalzate dalle corna dei tori.

III FOGLIO 5

Dalla porta Capena, lungo la via Appia, a due miglia ab urbe, rasentando i vari sepolcri, arrivò a una villa - quale? - a man dritta dalla via. Con una lanterna discese. Si chiamava coemeterium. Si sprofonda subito mediante i gradini di una scala ripida; così si arriva al primo piano, poi nel medesimo modo si discende e :,i arriva al secondo e al terzo. È diviso in tre parti calli o vii::, camere o spazi quadrati, e chiese. I calli sono strette gallerie: volta e pareti ad angolo retto. Le pareti laterali e anche i gradini sono piene di sepolcri. Due o tre sono uno sull'altro. Il corpo era li davanti, mentre il fossore scavava alla sua statura e larghezza. Era avvolto in un lenzuolo si chiudeva con una lastra di marmo o con larghi mattoni [ cementati.

4 La prima frase è di Tacito, ann. 15, 44; la seconda dell'Apocalisse, 7, 9 (citata dal Pascoli in cake al v. 214).

5 Contiene anche fonti sulle catacombe e i riti funebri dei Cristiani. fra i moderni il solito Marucchi, fra gli antichi P(atrologia) Gr(aeca) t. V col. 1043, Aug. Con/. IX 12, Damasi insçriptiones ed. lhm 1894.

L'epitaffio o era incavato nel marmo o graffito nei mattoni. Perché cosi?

A somiglianza del Cristo.

Noi siamo sepolti con 'lui nel battesimo, con la morte con lui risorgeremo.

Non si deve seppellire ma deporre, in pace. Deposti, fin che Dio li chiami. Poi sono confidati alla terra in deposito pietroso e provvisorio. Sono in un dormitorio. Sonerà poi la tromba .. , È il locus o loculus, quello dove riposano aspettando. Il loro lieve respiro di morti ... Imprimevano una moneta nella calce, per riconoscerli.

L'olio dei martiri che unito al balsamo bruciava nelle lampade accanto al loro sepolcro.

C'è accanto al sepolcro un pilastrino di pietra per ricevere la lampada 6

6 Questa traccia dimostra quanto fosse nel giusto il Della Torre additando nella Fabiola del Wiseman una delle fonti di Pomponia. Dalla traduzione di A. Gianetti {iMi:Jano,1871-72) trascriviamo i passi corrispondenti, talora alla lettera, alla traccia pascolianii: « Le catacombe si profondano a un tratto nella terra ordinariame11te per mezzo d'un'erta foga di gradini... Giunti che siate quivi voi vi trovate al primo piano del cimitero, dal quale per mezzo d'altre scale discendesi più basso, giù nel secondo e nel terzo... Una catacomba può essere di.visa in tre parti, in catlaje o vicoli, in camere o spazi quadrati ed in chiese. Le callaie sono lunghe e strette gallerie, tagliate con bastevole regolarità, in guisa che la volta e il pavimento formano angolo retto colle pareti... I loro muri come le pareti delle scale, sono pieni di sepolcri, cioè, di file d'incavature, grandi e piocole... Talvolta ve ne ha fin quattordici le une sovrapposte alle altre, talvolta tre o quattro soltanto. Furono, 8 quanto si vede, fatte con precise misure, e si può dire che il corpo_ giaceva a fianco del sepolcro mentre questo si sca· vava. Allorché ,il cadavere, avvolto in un lenzuolo... veniva collocato nella sua piccola cella, se ne chiudeva il dinanzi ermeticamente, o con una lastra di mal\ffio, o più &pesso,con molti larghi mattoni... L'epitaffio scolpivasi sul marmo o scrivevasi con graffi nel cemento ancor umido» ( p. 281-82); « Due principii... determinarono questo genere di sepolture: ed il primo fu il modo stesso con cui fu sepolto Cristo: il quale venne collocato in un sepolcro scavato nel sasso, ravvolto in lini, imbalsamato con aromi; e da una pietra soprasigillata fu chiuso il di Lui sepolcro. Siccome S. Paolo ce Lo propone spesso qual modello della nostra risurrezione, affermando che noi pure fummo con Lui sepolti nel Battesimo, era naturale che i suoi discepoli desiderassero d'essere sepolti giusta il suo esempio, onde così esser pronti

IV FOGLIO

EtpTJV'J)Pax Pax tecum

E legge nomi noti di morti. .. Pax tecum in ELPTJVTI

E altri, no - niente', ma una lampada inconsumabile ardeva avanti essi con balsamico odore. Ed essa va ... sono seppelliti come Cristo ... sono resurrecturi. A lei pare di sentire il loro calmo respiro di dormienti...

A un tratto sente un dolce suono ... Sono essi che son desti e cantano, con le voci chiuse? sono angeli che li cullano con eterne melodie?

Va avanti, dice parole non dimenticate, entra, con la 83,

a risorgere con Lui. Questa aspettazione di una risurrezione fu il secondo pensiero che li guidò nelfa formazione di questi cimiteri. Ogni espressione infatti usata in quei luoghi allude ad una risurrezione futura. La parola seppellire è sconosciuta nelle iscrizioni cristiane. "Deposto in pace", "•la deposiz.ione di", sono le e!>pressioniquivi in uso: che è quanto dire, i morti furono quivi deposti solo • per qualche tempo, per essere di nuovo rivocati, come un pegno, od oggetto prezioso, dato in fedele ma temporaria custodia. Il nome stesso de' cimiteri suggerisce l'idea che essi non sono altro se non che un luogo di riposo, o come direbbesi, un dormitorio, dove molte persone riposano per quakhe tempo, per sorgere e partirne quando il suono della tromba venga a risvegliarle. Per ciò il sepolcro è detto unicamente "il luogo", o più giustamente "la piccola dimora" [in nota: « Locus, loculus »] <,leimorti in Cristo ... Quando [i sepolcri] si chiudevano, i parenti o gli amici erano soliti, per riconoscerli, d'imprimere nella calce tuttavia umida e lasciarvi dentro, o una moneta o un cammeo... » (pp. 283-85); « Un'altra sorte di reliquie era quel.la che chiamavasi comunemente l'olio dei martiri, vale a dire, quell'olio che, talvolta mescolato coi ba,lsami, ardeva in una lampada vicino alla loro tomba. Spesso vedesi, vicino a un monumento, una rotonda colonnetta di pietra... la quale probabilmente serviva a sostenere ;le lampade » (pp. 29798). Come si vede, la traccia è in gran ,parte il riassunto di queste pagine; ma vi è inserito lo spunt~ poetico, tutto pascoliano, del « lieve respiro di morti », che darà. vita ai vv. 269 s.

lampada (che s'era spenta o accesa ancora?). Vede gente che canta, hanno un cadavere di fanciullo avanti... cosi bianco, cosi gentile ... Alcuno lo veste della stola bruna ... Un fossore ha già scavato il loculo dove egli aspetterà l'aurora del giorno. Ella allora entra tra lo stupore dei nuovi, tra le lagrime di quelli che la piangevano assente e perduta, e guarda: è Pomponio Grecino? Cosi egli aveva vesti ... Un morso ... Il corpo sbranato. Eça deposto in segreto. Può essere? Getta gli [ occhi sulla lapide. C'è Pomponios Grekeinos.

INDICI

SIGLE DELLE OPERE LATINE DEL PASCOLI

Agap. = Agape

Can. = Canis

Cast. = Castanea

Catulloc. = Catullocalvos

Cen. in Caud. = Cena in Caudiano Nervae

Chelid. = Chelidonismos

Ecl. XI = Ecloga XI sive Ovis peculiaris

Fan. Ap. = Fanum Apollinis

Fan. Vac. = Fanum Vacunae

Glad. = Gladiatores

Hymn. Rom. = Hymnus in Romam

Hymn. Taur. = Hymnus in Taurinos

Mor. = Moretum

Paed. = Paedagogium

Pec. = Pecudes

Phid. = Phidyle

Poem. et Epigr. = Poematia et Epigrammata

Post occ. = Post occasum Urbis

Red. Aug. = Reditus Augusti

Ruf. Crisp. = Rufius Crispinus

Sen. Cor. = Senex Corycius

Sos. fratr. = Sosii fratres bibliopolae

Thall. = Thallusa

Ult. !in. = Ultima linea

V eian. = Veianius

INDEX NOMINUM

Alessameno, 14

André, 67 s. Armellini, 73

Bachelard, 10

Bàrberi Squarotti, 10 ss.

Barbini, 17, 53, 56, 59, 64, 75

Barchiesi, 18, 56, 61

Bardon, 68

Belardinelli, 18, 60

Benincasa, 18

Bernanos, 75

Bernardi Perini, 16

Bonfiglioli, 64

Bongi, 17, 50, 53, 55, 57, 60, 64

Caliendo, 19

Caproni, 12

Carducci, 14, 70

Cataudella, 75

Contini, 63 Costa, 79

David, 11

Deledda, 75

Della Torre, 8 s., 17, 52, 56, 69-70, 75, 82

De Lorenzis, 17, 60

De Rossi, 8

Felcini, 17

Festa Montesi, 18

Ficari, 18, 53, 70, 73

Galizzi, 18

Gandiglio, 9, 17 s., 50, 56, 69, 72 s., 79

Ghiron, 18, 59

Goffis, 10, 14, 16, 18, 56

Gualdo Rosa, 65

Haefliger, 68

Hanslik, 57

Hartman, 8

Hellegouatc'h, 48 Heraeus, 62

Lunelli, 16, 48, 52

Marucchi, 8, 70, 79, 81

Marullo, 61

Mocchino, 8

Morabito, 18, 52, 59, 60, 69 s. Miiller C. F. W., 49

Orazio, 10

Paoli, 18, 57, 66

Paratore, 62

Pascoli M., 9, 67

Pasoli, 16

Pasquali, 57, 62, 68

Petrocchi, 9

Pighi, 79

Pirotti, 12

Plessis, 50 . Pontano, 62 s.

Puccioni, 15, 65

Rapisarda, 14 Ronconi, 59

Sannazaro, 60

Sordi, 8

Spagnoli, 65

Strati, 16

INDEX NOMINUM

Tagliavini, 35 Tallusa, 10, 12-14, 53, 59

Trombatore, 11 Turolla, 18, 52, 57, 60, 64. 69

Valgimigli, 18 Vannucci, 9 Vicinelli, 9 Vischi, 17 s., 50, 52, 58 s., 69

Wiseman, 71, 82 Wreschniok, 61 Wuilleumier, 47 !

INDEX RERUM

Accezione etimologica, 55, 57-58, 60 s., 63, 71, 73 s. accusativo di relazione, 49; interno, 52 allitterazione, 48, 51, 58, 65, 68 allusione, 59; ciceroniana, .51; enhiana, 54; oraziana, 64; siliana, 69; virgiliana, 54, 62, 66 69 ambiguità, 48, 58, 69, 75 ' anafora, 47 an ticlassicismo, 62, 71 antitesi, 56, 59, 61; a. tematica vita/morte, 14 s., 47, .51, 55, 64, 72

arcaismo, 52, 60 asindeto, 54, 61 astratto soggetto, 71

Bilinguismo, 54 bivalenza, 75

Calco, 50, 71 causativo, 57 clausola monosillabica, 54, 57, 71; spondaica, 53, 64, 69; lucanea, 69; lucreziana, 59; oraziana, 49; ovidiana, 68; n,itiliana, 68; virgiliana, 14, 59, 60, 66, 73 compresenza, 14 s., 48, 56, 69, 74 congiuntivo causale, 31; di protesta, 31 contaminazione, 59, 66, 68 cristianesimo, 12 ss. cromatismo, 54, 68

Diminutivo, 53

Enallage, 69 endiadi, 71 epigrammatica (forma), -52, 65

Figura etimologica, 47, 51, 53 frase nominale, 52, 65

Grecismo, 58, 67; v. omerismo

Hapax, 10; semantico, 53

lato, 39 .icasticità, 48, 52 s. infanzia, 62 innovazione semantica, 53 interiorizzazione, 49 ipallage, 69, 71 ipermetro (verso), 50 ipocoristico, 62 s. isosillabismo, 58 italianismo, 48, 66 iunctura oraziana, 53; ovidiana, 70, 74; siliana, 69; virgiliana, 68, 74; callida i., 63-65

Kindersprache, 62

Lingua d'uso, 49 s. locativo, 56

INDEX RERUM

Metafora tacita, 48 mimesi linguistica, 51, 63, 71

Nido (simbolo del n.), 10-13

Omerismo, 51, 52, 67, 73 s. onomatopea, 51, 65, 68 ossimoro, 52, 71 s.

Parallelismo, 55 paronomasia, 51 perfettività, 58 plurale aumentativo, 59 plurilinguismo, 63, 71 poetica delle cose, 9 poliptoto, 47 posposizione, 47

Quovadismo, 8

Riprese, 47

Sconcretizzazione, 61 sineresi, 23, 41 sinestesia, 71 spondaico (ritmo), 64, 67, 72; v. clausola

Variatio, 50, 55, 60, 65 virgilianismo, 48, 54 58 65, 69, 74 ' '

Zeugma, 47

INDEX VERBORUM

Acerra, 27 adrideo con accusativo interno, 52 aevum in accusativo di relazione, 49

afflo, 50 ambio, 75 anhelitus, 71 s. attonitus, 53 ausculto col dativo, 55

Calvatica e calautica, 67 confarreatio, 23 coram, 51

Dedignor, 57 defixus, 48 s., 53 dico, 61 domi, 56 dubito, 69 s.

Erumpo vocem, 58 erus, v. herus excido, 74 excipio, 72 s. excursis spatiis, 70 exhorreo, 64 exilis, 73 extinguo, 47

Fateor, 66 /eritas, 57

finitus, 64 fixus, 55, 58 s. //amen, 25 flebile mussare, 73 s. forma col genitivo, 54 foveo, 55 frux, 52 furcifer, 56 s.

Gracilis, 59

Herus, 51

lento, 48 immemor, 14, 59 immemorabiliter, 10 inauditus, 60 infinitas, 72 inustus, 63

Labor, 63 s.

Mamma, 62 mancus, 73 mane sostantivo, 67 manus, 23, 58 mollis, 74 mulceo, 61

Nidulus, 11, nigrae curae, 67 nocturnus predicativo, 60 nuto, 74

Ordine, 70 ovatio, 25

Parumper, 60 pateo, 65 percello, 55 perditus, 59 perstringo, 47 s. profrcto, 41 puter, 70 s.

Rigo, 54 ringor, 65 risum ridere, 53 roseus, 68 rugitus, 48 rumpo causativo, 58

INDEX VERBORUM

Secespita, 25 sella e cathedra, 50 s. servo assoluto, 49

similis col participio presente, 52 s. simpuvium, 25 sto, 48 stola, 35 summula, 53 sumo, 66

T acitae lacrimae, 54 transmitto, 64

Ut indignantis, 31; soggettivo, 47

Vaporo, 68 s. venetus, 23, 48 vigil, 72 vitam vivere, 47

ADDENDA

P. 8, n. 1. E più di recente G. ScARPAT, Il pensiero religioso di Seneca, Brescia, 1977, pp. 130-132.

P. 8, n. 2. Domine, quo vadis? si legge in un programma inedito delJ909 (cart. LV, busta 1, foglio 3): cfr. A. TRAINA,Poeti latini (e neolatini), III, Bologna, 1989, p. 277.

P. 8, n. 4. Alla stessa opera di De Rossi .aveva attinto G. Albini nel 1896 per descrivere le catacombe in un poemetto, Cryptarum investigatori, pubblicato in G. ALBINI,Carmina inedita, a cura di A. Traina, Bologna, 1988, p. 8 ss.

P. 10, n. 10. Anche nella Introduzione a G. Pascoli, Reditus Augusti, a cura di A. TRAINA,Firenze, 1978.

P. 11. Sul rapporto fra «madre» e «nido» cfr. G. BoRGHELLO, Il simbolo e la passione, Aspetti della linea Pascoli-Pasolini, Milaa no, 1986, p. 47; lo ridimensiona discutibilmente F. Olivari (v. Bibliografia), pp. 207 ss., v. infra, n. al v. 126.

P. 12. Varie, A Orazio Bacci, 18-20: «mi crederei - giunto, tra sì gran pene, al mio destino: - là dov'è babbo e mamma e tutti i miei».

P. 14, n. 24. In una lettera ad A. Orvieto del 1896, pubblicata ne «Il Ponte», 11, 1958, p. 1876, il Pascoli segnalava all'ami. co poeta la seguente strofe: «Gli avi miei, gli avi miei! Scala superna - gettata nell'azzurro immenso! E anch'io - riposo il piede mio - qui sulla scala eterna, - che nel futuro oscilla - e dei nipoti miei tutta sfavilla».

P. 17. Integrazioni alla Bibliografia: F. FELICINI,Bibliografia della critica pascoliana (1879-1979), degli scritti dispersi e delle lettere del poeta, Ravenna, 1982

ADDENDA

(da integrare con A. TRAINA,Cento anni di studi pascoliani (Addenda alla Bibliografia del Felcini), «Stud. e probi. di crit. test.», 25, 1982, pp. 335-342).

A. GANDIGLIO, I «carmina» del Pascoli, «Ann. lstr. Media», VI, 3-4, 1930, pp. 338-348 (in polemica col giudizio negativo del Croce, analizza i vv. 24 s., 52, 195 s., 232 s. di Pomponia).

G. Pascoli, Opere, a cura di C.F. GoFFIS, II, Milano, 1978, pp. 224-240 (traduzione in prosa, molto aderente, corredata di brevi note. Mia recensione in «Maia», 32, 1980, pp. 216 s.).

G. Pascoli, L1operapoetica, scelta e annotata da P. TREVES, Firenze, 1980, pp. 730-777 (introduzione, traduzione [della Morabito] e commento. Mia recensione in «Maia», 34, 1982, pp. 99-101).

F. OLIVARI,Modi e significati del Pascoli latino, Azzate, 1982, pp. 205-224.

G. Pascoli, Poemi Cristiani, introduzione e commento di A. TRAINA,traduzione di E. MANDRUZZATO,BUR, Milano, 1984. (pp. 78-95 traduzione in prosa, pp. 170-180 note).

G. PASCOLI,Thallusa, introduzione, testo, traduzione e note di A. TRAINA,Bologna, 1984 1 (199Y) (pp. 10-13 sul tema della mater dolorosa).

A. TRAINA,Adolfo Gandiglio, un «grammatico» tra due mondi, con una traduzione inedita di Pomponia Grecina e una bibliografia ragionata degli scritti del G. a cura di Monica Bini, Bologna, 1985 (pp. 59-74 la traduzione in prosa del Gandiglio).

C. SBARBARO,L'opera in versi e in prosa, Milano, 1985, pp. 679-690 (traduzione in versi liberi). •

A. LA PENNA,Pascoli, Giovenale e P. Cossa, Note alla Pomponia Graecina, «Belfagor», 45, 1990, pp. 574-578 (presenza di Giovenale nel carme e probabile reminiscenza di un dram. ma del Cossa, Messalina, del 1876, II, 4, nella discesa di Pomponia alle catacombe).

P. 48, v. 11. L'incipitario stans celsa in puppi di Verg. Aen. 3, 527 e 8, 680 è trasferito in Poem. Ris., Pepin, I, 11: «e stette a prua»; cfr. anche Andrée, II, 9: «stette, come su rupe aquila nera», e P.G. CONTI,Saggio pascoliano, Napoli, 1977, p. 63 s., cui però sfugge la matrice latina.

P. 49, v. 22. L'opposto in Paed. 40 s.: omnia... - disco/or et faciem vocemque et membra sodali.

ADDENDA

P. 49, v. 24 s. Sulla topica epigrafica di lanam fecit, domum servavi! MARIATERESASBLENDORIOCuGus1,Osservazionisulla condizione della donna a Roma durante la crisi della repubblica (CLE 52, 55, 56 Buecheler), «Atti e Mem. Arcadia», S. 3, V. VII, f. 2, 1978, pp. 162 e 170.

P. 50, v. 24 s. La fonte è I «carmina» del Pascoli (v. Bibliografia), p. 340 s., e nella traduzione del Gandiglio si legge infatti: «Che cosa (che segreto) ha Grecina da custodire gelosamente in casa?» (op. cit., p. 60).

P. 51, v. 52. Quid usque manes... ? è inteso e tradotto dal Gandiglio: «Che cosa continui ad aspettare ... ?» (I «carmina» del Pascoli, cit., p. 340 s.; TRAINA,A. Gandiglio, cit,, p. 62), il che mi sembra introdurre un elemento estraneo alle accuse fatte a Pomponia, imperniate sulla vita appartata e malinconica (cfr. vv. 1 ss. e 24 ss.), e i due concetti sono qui correlati dalla coppia isosillabica, allitterante e omeoteleutica manes / maeres. Un parallelo nelle accuse di Careio al cristiano Alessàmeno, Paed. 60 s.: Nam quid secedis? quid muttis usque? quid arces - et fugi~ aequales?

P. 51, v. 53 s. Cfr. Glad. 438: haud vitali... vita, e la mia nota in Poeti latini (e neolatini), II, Bologna, 19912, p. 220.

P. 55, v. 95. L'accezione di tueri è confermata da Post occ. 182: fixis oculis... tuetur. Il Gandiglio dà due traduzioni alternative (p. 64): «Essa cova il seno con gli ocèhi (tiene lo sguardo fisso sul seno)», il Goffo, invece, forzando il senso del verbo, intende: «bagna di lacrime il seno».

P. 55, v. 98 ss. Ma v. ora «venne a colpire» del Gandiglio (p. 64) ed «è giunta a colpire» del Goffis.

P. 56, v. 105 ss. La simmetria del periodo senecano è perfezionata dal parallelismo ritmico e lessicale dei vv. 107-108 (ut laudem, quaeso, quae me ... ?/ ut temnam, caelo quae me ... ?), cui ubbidisce la selezione del raro e poetico temno in luogo dell'usuale composto contemno.

v. 109. SAEvo... MAERORE:variatio del virgiliano saevi... doloris (Aen. 12,945).

P. 56, v. 116. La proposta del Gandiglio è passata nella sua traduzione (p. 65), con la variante «ribaldo». Sembra che gli sia sfuggita l'allusione etimologica.

ADDENDA

P. 57, v. 116. Bene Gandiglio (p. 65): «Tu fai un atto di sdegno».

P. 58, v. 126. Mrn1 SIM TECUMIPSASUPERSTES:cfr. Ult. lin. 107: ero mihi ego ipse superstes! (ma qui è la sopravvivenza della poesia, cfr. la nota ad loc. di MARINELLATARTARICHERS0NI nel suo commento di Ultima linea, Bologna, 1989, p. 93 s.). L'aggiunta di tecum, che associa il marito alla moglie e al figlio (cfr. anche v. 127: parentes), invalida la tesi dell'Olivari (v. supra, Addenda a p. 11).

P. 59, v. 130. «Irremovibile» (variante «inflessibile») è la traduzione del Gandiglio (p. 66).

P. 59, v. 131. Tum vox auditur, a segnare una svolta nella vicenda, anche in Fan. Ap. 104.

P. 59, v. 131. Quando notavo la funzionalità dell'allusione virgiliana e dantesca, ignoravo che in un articolo del 29 agosto 1909 (dunque contemporaneo alla stesura di Pomponia, conclusa entro il settembre) il Pascoli prendeva da E. Pistelli proprio l'esempio dell'intenzionale rapporto fra i versi di Dante e di Virgilio per sostenere, contro il Croce, l'utilità della «critica delle fonti». Dati e discussione in Poeti latini, III, cit., pp. 239-249 (Il Pascoli e l'arte allusiva).

P. 59, v. 134. MATREM ... QUAERERE:cfr. Fan. Ap.· 233: quaerentis matrem, e la comune fonte, Hor. carm. 1, 23, 2 s.: (inuleo) quaerenti ... matrem, donde risalta la distanza tra la grazia alessandrina del paragone erotico oraziano e la drammaticità pascoliana del rapporto madre/ figlio (cfr. la mia Introduzione ai Poemi Cristiani, cit., p. 39).

P. 60, v. 139. Gandiglio (p. 66) si mostra incerto fra «lentamente» e «appena» (entrambe le traduzioni segnate con punto interrogativo).

P. 61, v. 140. Dat tria tura foco: il gesto rituale viene da Ovid. Fast.2, 573: tria tura... ponit. La successiva accezione olfattiva di mulceo ricorre anche in Cast. 28 s.: spargit odoremexedrium mulcens («un odorino ... che addolcisce la stanza» è traduzione di P. Puccinelli, approvata dal Pascoli, cfr. G. Pascoli, Castanea, trad. di P. PuccINELLI,a cura di ·M. LOMBARDI-LOTTI,Lucca, 1976, p. 37).

P. 62, v. 162. UT LENIUS0BD0RMISCAM?: la clausola spondaica, formata da un incoativo quadrisillabico estraneo alla lingua poetica latina, dà al verso un ritmo «sonnacchioso» (Treves,

con tacito riferimento a NARDO,op. cit., p. 128, che forni~e altri esempi analoghi).

P. 62, v. 165. Preistoria di Thallusa è ristampato nel cit. commento di Thallusa ( = p. 29, n 17), di cui si veda anche la nota al v. 20. •

P. 62, n. 2. Ma che l'antichità grecolatiria fossa andro-e non pedocentrica lo ribadiscono ora O. G1GON,Problemi fondamentali della filosofia antica, trad. ital., Napoli, 1983, p. 148; G. CAMBIANO,Diventare uomo, in J.P. VERNANT(ed.), L'uomo greco, Barì, 1991, p. 114; A.G. HAMMAN,La vita quotidiana dei primi cristiani, trad. ital., Milano, 1993, p.316, e lo sapeva bene il Pascoli, che in una lezione bolognese del 1908-09, edita da S. CAMPANINI(Tra due sognate concordie, «Riv. 4, 1992, p. 47) diceva: «Virgilio è un poeta dei fanciulli. Queste cose nell'antichità non erano tanto frequenti...»

P. 64, v. 191. Transmittunt (campos) di Verg. Aen. 4, 154 è tradotto «passano.» in Epos, p. 164.

P. 64, v. 194 s. «Nel giorno fatale» traduce il Gandiglio (p. 69), il quale poi intende il successivo quidquid amavi come accusativo interno, «l'immenso amore di cui sono stata capace» (cfr. anche 1 «carmina» del Pascoli, cit., p. 340 s.). Può essere, benché il verso precedente (puero moriendum est funditus) e il seguente (puerum ... respicit) ci orientano verso il puer come oggetto. Comunque la persona e il sentimento s'identificano.

P. 65, v. 197. Si aggiunga che l'anticipazione del verbum dicendi (ingeminat) ha dislocato in clausola il dispondeo immortalis (estranea alla poesia antica: Lucrezio, per esempio, su 17 occorrenze di immortalis, -i, -e non ne ha nessuna in clausola), spostando il peso del chiasmo sull'antitesi etimologica degli epiteti. La mia traduzione conserva l'ambiguità del testo, che può interpretarsi, come fanno tutti, «l'amore (è) mortale, il dolore immortale», ma anche «un amore mortale ( è) un dolore immortale».

P. 66, v. 211. Non pasces in cruce corvos, fa dire Orazio a uno schiavo (ep. 1, 16, 48).

P. 66, v. 215. ALBO... AMICTU:il Pascoli se ne ricordò anche nell'abbozzo drammatico Nerone (Testi teatrali inediti, a cura di A. DE LoRENZI,Ravenna, 1979, p. 199): «Sì: dopo ...

ADDENDA

verrà il giorno ... Le stole candide ...» Sulla loro simbologia nella letteratura cristiana antica cfr. la nota di SANDRA!SETTAa p. 202 della sua edizione di Tertulliano, L'eleganza delle donne, Roma, 19872 •

P. 67, v. 216 s. Mane illud ultimum si legge in un inno riportato da A.S. WALPOLE,Early Latin Hymns, Cambridge, 1922 ( = Hildesheim, 1966 ), p. 279. La clausola mane diei ricorre con la medesima valenza metaforica in Agap. 104.

P. 70, v. 246. «Oscillante» traduce Gandiglio (p. 72), ma, a favore di «incerta», cfr. quanto osservo in Poeti latini, II cit., p. 209 s., a dubia splendente lucerna del tema scolastico in versi Extrema Torquati dies, 50.

P. 72, v. 269 s. «Non interrotto» è traduzione alternativa del Gandiglio (p. 73)

P. 72, v. 272. Per una probabile reminiscenza dannunziana cfr. la mia nota ad !oc. nei Poemi Cristiani, cit., p. 179.

P. 73, v. 275. Cfr. Epos, p. 322 (a Verg. Aen. 2, 258): «excipit: sottentra a dire», e cfr., con referenti non umani, Glad. 516: Excepere tubae sonitum, «risposero al suono».

P. 73, v. 275. Cfr. anche Prose, II, p. 1530: «i canti ... sono più esili delle voci dei morti». Perciò dubito che abbia ragione il Gandiglio a riferire exilis solo alla voce delle donne.

P. 73, v. 277. NAENIA:in latino può essere una lamentazione funebre (cfr. Poem. et Ep. 87; Prose, I, p. 794) o una ninnananna (cfr. Glad. 429): qui le due accezioni sono compresenti (come in un passo di Apollinaire segnalato da M. RIFFATERRE, La production du texte, Paris, 1979, p. 54).

P. 73, v. 279. Questa volta il debito sembra essere di d'Annunzio, Contemplazione della morte, Milano, 1912, p. 41: «Come il pargolo nelle fasce, il cadavere era avvolto nelle bende».

P. 73, v. 280. Cfr. la mia nota ad !oc. nel cit. commento di Thallusa, p. 90. La storia del topos in alcuni poeti antichi e moderni è fatta da B. ROCHETTE,Nudus . .. infans. A propos de Lucrèce, V, 222-227, «Les Étud. Class.», 60, 1992, pp. 63-73, ma non si parla del Pascoli.

P. 74, v. 297. S1s: (da si vis) è formula di lingua d'uso attenuativa di un imperativo (J.B. HOFMANN,la lingua d'uso latina, trad. ital. a cura di Licinia Ricottilli, Bologna, 19852, p. 288), abbastanza frequente in Pascoli, cfr. per esempio Thall.

ADDENDA

63 (nella stessa sede metrica): vide sis. Stranamente il Goffis: «se sai».

P. 74, v. 300. L'accostamento era già in ANNA FUMAGALLI, Ellade Pascoliana, Napoli, 1958, p. 88.

P. 75, v. 301. «Avvolge con gli occhi» anche Gandiglio (p. 74).

P. 75, n. 2. Si veda la nota ad Agap. 4 9 nel commento del poemetto a cura di MARIELLA BONVICINI,Bologna, 1989, p. 107 s.

INDICE GENERALE

Introduzione .

Testo e traduzione

Note esegetiche

Appendice.

Indici.

Sigle delle opere latine del ,Pascoli

Index nominum .

Index rerum

Index verborum.

Addenda . Pag. 5

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