Pedagogika.it - Anno XV_4

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condividere il pessimismo di Procolo Falanga, napoletano, venditore di libri nel meridione del nostro Paese: “Sentite a me, ch’io so’ zoccola vecchia! Trent’anni di marciapiede! Sentite a me: ‘e libri nun se vendono! Ma nun è che nun se vendono mo’. ‘E libri nun se so’ venduti maie!”. Chiaro? Siamo realisti, è così! ci sono libri che escono dalla tipografia come se avessero un bollino giallo con su scritto “vado e torno”, cioè esco dal magazzino e vado a finire subito nelle rese, gli fa eco un altro collega. E ancora: quando un giovane funzionario, assunto dall’Editore (una parodia di Arnoldo Mondadori), si rivolge al nostro Procolo per chiedergli un parere sui libri dell’anno, la risposta del nostro venditore gela subito qualsiasi entusiasmo: buoni per accendere il fuoco, sentenzia, in dialetto campano. Il funzionario chiede spiegazioni. La risposta sarcastica di Procolo è implacabile: “Sentite, io capisco che scegliere libri è nu mestiere difficile. Capisco ca ccà tutti vonno scrivere e nisciuno vo’ leggere, però, dico io, primma ‘e ci presenta’ ‘sti libri passavate ‘na mano ‘ncoppa ‘a cuscienza!”. Mentre ora? Che succede? Il giovane funzionario si infervora, ma Procolo non arretra. Lui cita un poeta, Nicola Cattabiani, che definisce di culto per la sua generazione. Procolo lo conosce personalmente e racconta come in passato abbia più volte tentato di dissuaderlo: “Ero io che gli dicevo sempre Nico’ non scrivere chiù poesie! Nun te fa tentà! Ma isso niente, niente da fare. Scriveva! La vocazione! La vocazione? La vanità sentite a me, è chiù forte della vocazione!”. Voi vi starete domandando, a questo punto chi sia il lucido Procolo Falanga? E’ il protagonista dello spassoso e iperveridico racconto di Antonio Franchini: Memorie di un venditore di libri, per l’appunto. L’occasione è data da un incontro, metà lavoro metà gita premio, tra operatori del settore libra-

assurdi volti a formare il carattere e la morale di noi alunni, almeno nelle intenzioni degli insegnanti. Era difficile considerare i libri una merce tra altre merci, non fosse perché nell’immaginario sembravano garantire l’accesso ad un mondo altro, meno asfittico rispetto a quello in cui si viveva. Le Memorie di un venditore di libri di Antonio Franchini parlano di ciò che precede l’accesso ai libri da parte dei lettori. Procolo Falanga di mestiere non fa lo scrittore o il libraio, ma il venditore di libri in senso lato. E in senso strettamente commerciale, lui i libri va a proporli al libraio, a “piazzarli” anche nelle più lontane cartolibrerie o spacci del meridione d’Italia, a spingerli perché vendano. In trent’anni di mestiere lui ne ha viste di cotte e di crude girando per una serie di simillibrerie del Sud. C’è infatti da riorganizzare la rete-vendite e allora si tratta di andare a trovare i “librai” per chiudere i conti e riprendersi i volumi. Viene così descritta una nuova dantesca discesa agli inferi, tra uno che nasconde i libri del Pavone o della Stella d’oro sotto il letto “perché qua, sapete, i ragazzi se li arrubbano”, e il panettiere cui i libri erano stati dati per allargare il mercato e che li aveva bruciati nel forno, mentre un altro a Grottaminarda li teneva tra le salsicce della macelleria. Oppure in Calabria dove i libri erano affidati a chi vendeva anche i giornali, ovvero ai barbieri, e allora i libri arrivavano segnati dai luoghi che avevano attraversato, infarciti di capelli e peli che come un marchio ne segnavano la storia, oppure l’incontro a Eboli con un ragazzo che Procolo aiuta a crescere ma che poi gli si rivolta contro e arriva a dirgli “tu ti devi stare attento perché poi io sovvenzioni all’Editore”, oppure nella villona di un riccone, con la moglie incerta sugli acquisti per darsi un tono, così da proporre di attendere il rientro della figlia che sta all’università “Signò- la gela il nostro – è peggio ancora, perché vo-

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