Pedagogika it xxi 2 ridotta

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Rivista di educazione, formazione e cultura 2017_XXI_2 - â‚Ź 9

Narrare di sĂŠ

Rivista trimestrale di educazione, formazione e cultura Registrazione Tribunale di Milano n.187 del 29/3/1997 ISSN 1593-2559



Rivista di educazione, formazione e cultura

anno XXI, n° 2 Aprile, Maggio, Giugno 2017


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Rivista di educazione, formazione e cultura esperienze - sperimentazioni - informazione - provocazioni

Fondatore e ispiratore Salvatore Guida Anno XXI, n° 2 Aprile/Maggio/Giugno Direttrice responsabile Maria Piacente - maria.piacente@pedagogia.it Redazione Serena Bignamini, Marco Taddei, Dafne Guida, Nicoletta Re Cecconi, Carlo Ventrella, Mario Conti, Cristiana La Capria, Claudia Alemani, Emilia Chiara Canato, Massimo Jannone, Marta Franchi, Federica Rivolta, Alessia Todeschini, Coordinamento pedagogico Coop. Stripes. Comitato scientifico Silvia Vegetti Finzi, Fulvio Scaparro, Duccio Demetrio, Don Gino Rigoldi, Eugenio Rossi, Barbara Mapelli, Alfio Lucchini, Pino Centomani, Ambrogio Cozzi, Pietro Modini, Angela Nava Mambretti, Anna Rezzara, Angelo Villa, Giancarla Codrignani. Hanno collaborato Duccio Demetrio, Federico Batini, Roberto Travaglini, Angelo Villa, Bruna Graziani, Valentina Piazzi, Marina Piazza, Giorgio Macario, Alessia Todeschini, Franco Cambi, Margherita Mainini, Maurizio Disoteo, Barbara Mapelli, Roberta Soverino, Jarin Morelli, Ilenia Parenti, Carmelo Salvatore Benfante Picogna, Federico Bertozzi, Ombretta Degli Incerti, Maria Cristina Fedrigotti, Carla Franciosi, Silvia Pinciroli, Francesco Cappa.

Responsabile testata on-line Igor Guida - igor.guida@pedagogia.it Progetto grafico/Art direction Raul Jannone - raul.jannone@pedagogia.it Promozione e abbonamenti ordini@pedagogia.it Pubblicità advertising@pedagogia.it Registrazione Tribunale di Milano n.187 del 29/3/1997 issn 1593-2559 Stampa: Studio Rabbi Bologna Distribuzione in libreria: Clueb Distribuzione - Via Marsala, 31 - Bologna Duffusione biblioteche scuole e altri enti ordini@pedagogia.it è possibile proporre propri contributi inviandoli all’indirizzo e-mail articoli@pedagogia.it I testi pervenuti sono soggetti all’insindacabile giudizio della Direzione e del Comitato di redazione e in ogni caso non saranno restituiti agli autori Immagini: http://www.freepick.com http://it.freeimages.com

Edito da Stripes Coop. Soc. Onlus Via San Domenico Savio, 6 - 20017 Rho (MI) Direzione e Redazione Via G. Rossini n. 16 - 20017 Rho (MI) Tel. 02/9316667 - Fax 02/93507057 e-mail: pedagogika@pedagogia.it Sito web: www.pedagogia.it Facebook: Pedagogika Rivista

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Questo periodico è iscritto a Unione Stampa Periodica Italiana Coordinamento Riviste italiane di cultura


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Editoriale Maria Piacente

..Dossier/Narrare di sé 8 Il valore della conoscenza di sé Duccio Demetrio 16 La scrittura per “sapere chi siamo” Federico Batini 22 I l processo autorealizzativo e creativo nella narrazione di sé Roberto Travaglini 26 Il colore del gelso Angelo Villa 34 Autobiografia familiare Bruna Graziani 38 La narrazione di sé: raccontare e raccontarsi nella vecchiaia Valentina Piazzi 41 Narrare di sé, delle altre e del mondo Marina Piazza 45 Dall’abbandono della scrittura alla semplificazione del pensiero Giorgio Macario 51 Tu chiamala se vuoi, Awumbuk Alessia Todeschini

65 Appunti per l’uso dell’autobiografia musicale nella scuola Maurizio Disoteo 69 Tra le pagine chiare e le pagine scure… a cura della Redazione ../Temi ed esperienze 73 Amore e fragilità Barbara Mapelli 78 Ai confini dell’educazione Roberta Soverino 82 I comportamenti oppositivi e provocatori in un bambino con disabilità Jarin Morelli 87 I bisogni sociali e di salute nelle persone con disabilità Ilenia Parenti, Carmelo Salvatore Benfante Picogna ../Cultura 92 Scelti per voi a cura di Claudia Alemani 101 Arrivati in redazione 104 Scelti per voi ragazz* di Serena Bignamini 107 Arrivati in redazione ragazz*

56 Note autobiografiche di bambini: tracce, narrazioni, pratiche Franco Cambi 61 Narrarsi e rileggersi. Scrivere per se stessi e rileggere per ripensarsi Margherita Mainini

108 Musica di Goffredo Villa 111 Cinema di Cristiana La Capria 113 Un villaggio per educare a cura di Alessia Todeschini 117 Sillabario pedagogiko di Francesco Cappa

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PIANO EDITORIALE 2017 Robot in educazione Narrare di sé oggi La scuola e il patto fiduciario Responsabilità educativa

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Narrare di sé Maria Piacente

Vorremmo indagare in questo Dossier come il narrare di sé possa diventare uno strumento di conoscenza ed essere coltivato nei vari campi del sapere e nelle scuole attraverso l’esperienza diretta della scrittura autobiofrafica: ciò che si comprende e si percepisce con il proprio corpo agisce anche a livello emotivo e ciò che si impara attraverso il corpo e le conseguenti emozioni che sentiamo, difficilmente si dimentica. Dunque si tratta, o dovrebbe trattarsi, di scrivere per sapere chi siamo, per sapere del mondo o dei mondi possibili, per farsi riconoscere, per svelare un mistero o non svelarlo… È possibile utilizzare la scrittura come dispositivo di conoscenza delle materie di studio, delle discipline e della vita in generale? Scrive la scrittrice americana Flannery O’Connor, «ciò che crea (lo scrittore/scrittrice) avrà la propria fonte in un reame assai più vasto di quello che la sua mente cosciente può abbracciare, e sarà sempre una sorpresa maggiore per lui di quanto non potrà mai esserlo per il suo lettore». Con questa ultima frase si concludeva l’invito inoltrato a tutti i collaboratori che hanno partecipato alla stesura di questo Dossier dedicato alla scrittura e alla narrazione di sé. Abbiamo voluto sottolineare l’importanza che ha la scrittura, anche di tipo autobiografico, come luogo misterioso nel quale accadono cose che ci interrogano, alle quali non sappiamo dare risposte sicure (e forse mai sapremo). Ma che ci arricchisce e ci orienta nella conoscenza di noi stessi e del nostro stare al mondo. Al di là di quello che noi desideriamo scrivere e realmente scriviamo, il testo parla e racconta di noi molto, molto di più di quello che vogliamo far sapere agli altri e alle altre e di quello che non vorremmo fare sapere. È un di più che ha valenze diverse per ciascuna o ciascuno di noi, certo, poi la destrezza di ognuno sarà in grado di sottolineare con più o meno efficacia ciò che lo scrittore autobiografico sarà capace di dire. Non ci aspettiamo che le raccomandazioni fatte dalla grande scrittrice americana molto nota, morta precocemente a soli 39 anni possano essere “capite” da tutti coloro che si accingono alla scrittura e quindi anche alla narrazione di sé. “Credo che uno scrittore serio descriva l’azione solo per svelare un mistero”, disse una volta la scrittrice, “naturalmente può darsi che lo riveli a se stesso, oltre che al suo pubblico. E può anche darsi che non riesca a rivelarlo nemmeno a se stesso, ma credo che non possa fare a meno di sentirne la presenza”. Ecco, “sentirne la presenza” sentire, dico io, qualcosa di noi che ci sembra autentico, profondo, irripetibile. Sentirne il mistero, recepirlo, intuirlo. Sentire la propria solitudine guidati dalla poesia e da quel sapere dell’anima di cui è grande Maestra la filosofa spagnola Maria Zambrano. Nascondere qualcosa perché venga trovata, o almeno percepita. Raccontarsi non è anche questo?

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E, pensiamo, anche molto altro. Andate a leggere gli interrogativi che ci siamo posti dopo la lettura di tutti gli articoli scritti dai collaboratori per questo numero. Tra le pagine chiare e le pagine scure… è il resoconto di alcuni punti di vista che la Redazione ha voluto mettere nero su bianco. Si tratta di “Note a margine” del Dossier che vogliono arricchire i contributi e dare ulteriori elementi di riflessione e commenti a voi lettrici e lettori. È una modalità che vorremmo mantenere anche in futuro: desideriamo creare occasioni e avere un filodiretto con voi, che potrete scriverci per dire la vostra, per formulare altri interrogativi o semplicemente per comunicarci cosa ne pensate. L’indirizzo email è quello che trovate in fondo a pagina 70, ma ve lo riscrivo: pedagogika@pedagogia.it, è l’indirizzo della Redazione; di sicuro riceverete un riscontro. Insomma, è l’occasione per mettervi in relazione con noi, con gli altri lettori e con i collaborari della Rivista. Vi aspettiamo!

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Il valore della conoscenza di sé Le sfide dell’educazione interiore Duccio Demetrio*

Culture della soggettività La cultura “degli individui”1, è bene ribadirlo, non appartiene soltanto alla rappresentazione egoistica, avida e sostanzialmente antisociale, che ne fecero (e ne fanno ancora) i suoi detrattori. La sua tradizione nata nel secolo dei Lumi, quando apparve per la prima volta la parola in Francia, non è riconducibile infatti soltanto alla sua versione liberistica, della quale il pensiero economico si appropriò con conseguenze ben note. Il cosiddetto “individualismo democratico” americano, in Europa sostenuto da Alexis de Toqueville (da non confondersi con l’egoismo sociale di cui si rese portatore il materialismo affaristico borghese), si ispirò fin dai suoi esordi a valori egualitari, libertari, solidali. Alla necessità di valorizzare i talenti individuali per metterli al servizio della società tutta. «Individualismo - in questa accezione - non significa isolamento elitario ma nemmeno identificazione comunitaria totalizzante», ribadisce la politologa Nadia Urbinati2. Il principale protagonista di questa corrente, Ralph W. Emerson, ebbe più volte a ribadire ad esempio che: «Un individuo realizza se stesso nella misura in cui riesce a trascendere il Sé empirico e sociale, come se il punto più alto del possesso di sé coincidesse con la stessa depersonalizzazione... dove il controllo di sé, il dominio delle circostanze e infine la capacità di elevarsi oltre la propria individualità empirica per giungere alla contemplazione della vita da un punto di vista più elevato».3 Inoltre, nel saggio recente di Tzvetan Todorov, a tal proposito, possiamo leggere, risalendo lo studioso bulgaro ai motivi ispiratori della corrente americana (certo più e più volte traditi) aggiunge quanto segue: «La morale illuminista, pur enfatizzando i diritti dei diversi soggetti, l’autodeterminazione, l’emancipazione e i meriti personali, nonché in verità soggettiva, bensì intersoggettiva: i principi del bene e del male sono oggetto di un consenso che è potenzialmente quello di tutta l’ umanità e che viene stabilito dallo scambio di argomenti razionali fondati anch’essi dunque su una caratteristica umana universale. È una morale che non deriva dall’egocentrismo, ma dal rispetto dell’umanità… L’illuminismo stimola a coltivare lo spirito critico… a difendere la libertà di opinione, comprese le opinioni che disturbano.»4 Se quanto Todorov afferma ci convince, pur appartenendo ad altre tradizioni di pensiero, non possiamo non ritrovare tracce del suo pensiero nell’idea stessa di persona. 1  Mi riconduco al bel libro illuminante di Z. Bauman, Individualmente insieme, tr.it.Diabasis, Reggio Emilia, 2008. 2  Si veda l’eccellente saggio di N. Urbinati, Individualismo democratico. Donzelli, Roma, 2009, p. XV. 3  Ibidem, pp.100-101 4  T. Todorov, Lo spirito dell’illuminismo( 2006),tr.it. Garzanti,Milano, 2007,pp. 34.

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Tutti e tutte potenzialmente siamo di conseguenza, in questo senso, individui in quanto “persone” che si muovono verso la realizzazione piena di questo ideale. Grazie ad uno stile di vita morale, ai principi che vedono negli altri prima di tutto la problematicità delle persone, al ruolo determinante (se la si assecondi, pratichi, proponga) dell’ educazione nel corso della vita, non solo per la professione ma per lo sviluppo integrale della nostra individualità laicamente riconosciuta nei suoi diritti e doveri in tensione verso la persona. Scriveva il fondatore del Personalismo E. Mounier già nel 1949: «Posto il fatto che la singolarità di ciascuno di noi viene prima di tutto, dobbiamo sapere che la persona non è qualcosa che possiamo trovare al fondo dell’ analisi di noi stessi o una combinazione di tratti eccentrici. Se fosse una somma di questi, sarebbe inventariabile come tutte le cose: mentre per me persona è tutto ciò che non è catalogabile… Persona è il luogo della libertà, è una presenza piuttosto che un’ essenza: attiva e senza fondo … Io sono un individuo, io ho un nome proprio. Questa mia sensazione di unitarietà non corrisponde all’ identità morta della roccia… Occorre scoprire in se stessi il desiderio di cercare questa unitarietà vivente… senza mai essere certi di poterla possedere»5. Ma in anni precedenti, in un clima che già prefigurava una aspirazione verso il mondo nuovo nel pieno della catastrofe bellica, uno spirito laico come Hans Georg Gadamer, fondatore dell’Ermeneutica filosofica contemporanea, nel 1944 volle ribadire che: «Sembra appartenere all’essere stesso dell’uomo il porsi la domanda sull’essere e l’essenza suoi propri. Nessun altro essere vivente si pone davanti a se stesso così da non tirare semplicemente a campare ma, come si dice in modo pregnante, da condurre la propria vita… L’ uomo singolo non è mai soltanto un esemplare della sua specie: egli è individuo, unico e insostituibile. Il modo in cui conduce la sua vita è lui stesso. Appartiene dunque all’essenza propria della vita umana il fatto che le forme della nostra condotta di vita siano scelte da noi»6. Ebbene, nella condotta di vita di ciascuno – se intende condurre la vita in quanto uomo-donna/persona – la dimensione interiore che ci chiede una continua conoscenza e coltivazione di noi stessi, rappresenta il focus problematico (fonte di inquietudini, esami di sé, dubbi…) rispetto al quale chiunque ne rifugga forse autenticamente persona non può dirsi e annunciarsi. E forse nemmeno individuo o cittadino che sia. L’auto-narrazione interiore Molte sono le strade e i cammini che attraversano una progressiva maturazione della nostra vita e storia interiore. Sono cammini di ricerca la cui letteratura laica e religiosa è leggendaria, attinge alle tradizioni monastiche e meditative anche precristiane, così come trova ampio spazio nelle correnti della filosofia platonica e neoplatonica, oltre che stoica. La storia dell’educazione interiore7 è una vicenda di libertà, di affer5  E. Mounier, Personalisme, Puf, Paris,1949, pp. 48 - 53 6  H.G. Gadamer, da una citazione in: Bildung e umanesimo, a cura di G. Sola, il Melangolo, Genova, 2012,p. 93. 7  Mi permetto di citare un mio saggio di più di un decennio fa:D. Demetrio, L’ educazione in-

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mazione della propria soggettività di donne e uomini pensanti, dediti alla preghiera, alla maturazione della propria dedizione caritatevole o solidaristica verso i sofferenti e chi si attende una giustizia terrena. Conoscere se stessi, nella ripresa della ben nota massima socratica, ancor oggi mantiene desto un filo rosso rappresentato dalla volontà, non psicologica, di riscoprire il senso e la missione della propria esistenza. L’uno e l’altra non ci vengono proposti soltanto dall’incontro con il mondo, ma in seguito ancora una volta alla libera adesione ad un ideale sapienziale che nato dentro di noi, non si accontenta narcisisticamente di promuovere il nostro ego. La conoscenza di sé è una via e un viatico auto pedagogico, ovvero auto formativo, indispensabile per la persona quale sia la sua posizione rispetto alle responsabilità verso gli altri. Le quali hanno bisogno di crescere anche in quanto responsabilità verso se stessi. L’auto-narrazione vede naturalmente nella parola, orale, pensosa, scritta la sua fonte principale di progressione. Nella solitudine del raccoglimento, ma nondimeno nella condivisione con chiunque riconosca il valore di un viaggio formativo che non può essere programmato a priori. Ma che affidandosi alla riflessione, alla scrittura, alla autoanalisi esistenziale del proprio essere, agire, fare, vive esperienze che conducono verso approdi contrassegnati da grande respiro intellettuale e desideri di ulteriorità. Il procedimento narrativo non alieno da una sua metodicità cui andiamo accennando, mette al primo posto la propria storia di vita: rappresenta un’attitudine, un tirocinio, una volontà di conoscersi ricorrendo ad atti cognitivi retrospettivi e introspettivi definiti autobiografici. L’autobiografia non è più soltanto, e forse non lo è mai stato del tutto, un genere letterario. Si trattò - e tratta - di una tendenza apparsa originariamente in tali ambiti, che in anni recenti si è preso a valorizzare in educazione. Il promuovere momenti di autonarrazione, se all’inizio ebbe il compito e il merito di stimolare le capacità di raccontare e di raccontarsi oralmente non potè, di conseguenza, che includere la prospettiva di sollecitare il passaggio dalla oralità alla verbalizzazione scrittura. Se Jerome Bruner, uno dei grandi protagonisti della rivalutazione della prospettiva autiobiografica agli inizi degli anni ’80, trascurò la questione scrittura , intendendo con questo termine ogni forma di auto-narrazione, oggi la sua scuola si mostra molto attenta nel distinguere tra le modalità orali di parlare di se stessi e le modalità, certo più impegnative, di trascrizione della propria esperienza. Dove questa non può che valorizzare ancora più la soggettività del narratore e l’autodisciplina mentale semplice o complessa che lo scrivere inevitabilmente esige. Comunque, con il riferimento emblematico all’autobiografia in senso lato e adeguato, egli intese enfatizzare la: «Capacità che ha il racconto di modellare l’esperienza quotidiana». Si domandò inoltre: «perché usiamo la forma del racconto per descrivere eventi della vita umana, ivi comprese le nostre vite… Perchè questa predilezione, apparentemente innata? Anche l’etimologia ci avverte che narrare deriva dal latino narrare, sia da gnarus, che è chi sa narrare in un particolare modo… La narrativa ci offre un mezzo pronto e flessibile per trattare gli incerti esiti dei nostri progetti e delle nostre aspettative»8. teriore. Introduzione alla pedagogia introspettiva, Scandicci- Milano, La Nuova Italia- Rcs, 2000. 8  J. Bruner, La fabbrica delle storie, tr.it. Laterza, Roma-Bari, 2003, pagg19- 31. Vedi

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La “svolta” indusse Bruner a coniare, a tal proposito, il concetto di pensiero narrativo per sottolineare che questo non può che ricondursi ad un io narrante (e soprattutto scrivente, che si avvale della prima persona singolare) unico e insostituibile.9 Al contempo, egli metteva in luce che ogni io narrante si esplica in rapporto ad un “con-testo”. Ovvero ai racconti che hanno costruito giorno dopo giorno la sua storia e che l’inducono, se intenda scriverne qualche episodio o qualche testo più impegnativi implicante la ricostruzione del proprio passato, ad avvalersi delle altrui risorse narrative. Delle altrui storie di vita: declinabili in rapporto a specifiche, peculiari, circoscritte vicende e problematiche meritevoli di essere salvate e condivise grazie al potere ineguagliabile della scrittura. Narrare scrivendo la propria storia è più del comunicarla La voce narrazione, specie se autobiografica, per poter essere vissuta e descritta teoricamente ha bisogno di includere la categoria di intenzionalità che, come ben sappiamo è nozione tipicamente pedagogica. Se perciò, ogni contesto abitato da individui - persone – come abbiamo visto – per essere tale include la categoria di comunicazione (noi comunichiamo anche quando non ce ne accorgiamo, ricordiamolo), la narrazione invece ha bisogno sempre di un narratore, di qualcuno che voglia e desideri narrare ora per scopi palesi, ora esprimendo soltanto un desiderio, qualcosa del mondo che ha appreso da altri o direttamente esperito. Insomma: è mai possibile dar vita ad una narrazione se non ci sono narratori e ascoltatori intenzionati ad ascoltare? Inoltre, se il narratore si avvale della tecnica dello scrivere - con una raffinata o elementare tecnologia - l’aspetto volontario, intenzionale, si rende ancora più indispensabile e fonte di miglioramenti sia cognitivi che relazionali che, fra l’altro, potranno dare un contributo all’avanzamento delle situazioni comunicative. È noto che un racconto, la lettura di una storia, sono modalità di interscambio comunicativo generatrici di maggior attenzione. La curiosità, la voglia quasi endemica di sapere dell’altro, la disponibilità a prendersi cura, da che mondo è mondo, delle storie altrui oltre che delle proprie, di custodirle e proteggerle affinché non vadano perdute sono tutti motivi che la parola comunicazione non includeva. I gesti concreti della scrittura autobiografica, da centinaia di anni, non cessano di declinarsi in testimonianze diaristiche, in memoriali, in fitti epistolari, in prove autobiografiche e biografiche di grande o modesto rilievo: grazie ai quali si è costruita gran parte della storia stessa dell’educazione. Così come oggi non vanno affatto trascurate le interazioni e gli scambi di storie e narrazioni di sè incalcolabili che l’introduzione della scrittura digitale (con il movimento internazionale del Digital story telling) ha saputo universalmente stimolare e sollecitare catturando il consenso delle nuove generazioni autobiografiche. Si è dato vita alla informatizzazione delle autobiografie e ad archivi online sia personali che a livello di comunità online: blog, Facebook, youtube ,ecc. Non va infatti dimenticato che laddove le scritture individuali generano momenti di anche A. Smorti, Narrazioni. Cultura, memorie, formazione del sè, Giunti, Firenze, 2007 9 D.Demetrio, L’educazione non è finita. Idee per salvarla, R. Cortina, Milano 2009

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confronto, assistiamo al costituirsi di agorà virtuali che danno vita a storie intrecciate, a libri collettivi, ad antologie narrative dove si depositano le più disparate esperienze umane. Il che crea un flusso autobiografico non solo ininterrotto, ma infinito, e nuove memorie globalizzate. In ogni caso, le scritture di sè tradizionali o realizzate sulle “scrivanie digitali” non cessano di svolgere il loro compito di consentire ai singoli narratori di rispecchiarsi in quel che scrivono e di cercare lettori: al fine di uscire dalla solitudine, di dedicarsi a modalità narrative che possano svelare gli stati d’animo e i vissuti più intimi, di crescere intellettualmente e, in base a quanto detto, di partecipare nella loro individualità libera e liberatoria di scriventi alla quanto mai umana necessità di contattati, di condivisioni, di lettori. L’applicazione sistematica delle attività di scrittura – quale sia l’età degli scriventi – allena la memoria personale, a breve o a lungo termine; scrivendo i propri ricordi – che includono sempre memorie altrui o vissuti condivisi – si scopre che la propria vita è un “materiale”di informazioni ed emozioni provate, che lo scrivere riattualizza, precisa, ripropone socialmente. Nei momenti difficili e critici dell’esistenza le “scritture dell’io” (una denominazione felice che include ogni narrazione di carattere autobiografico) può rivelarsi un aiuto a disposizione di tutti coloro che abbiano ancora la forza di affidarsi alla penna, per ricominciare a vivere, a sperare, a riaffezionarsi al presente senza pretendere di cancellare il passato.10 L’approccio autobiografico qualora venga pedagogicamente declinato (cui si applica esemplarmente la categoria di intenzionalità) si rivela di conseguenza un metodo attivo e auto-maieutico di tono anche curativo e persino terapeutico, oggi sempre più riconosciuto in contesti clinici o di accompagnamento di chi viva disagi anche gravi. Chi scrive, nel libero desiderio personale o in condizioni in cui questa libertà venga incoraggiata e stimolata, ricorrendo, prima di scrivere, ad altre proposte espressive, mette in atto, spesso all’inizio inconsapevolmente, una volontà di cambiare i propri orizzonti di significato, gli stili di pensiero, i comportamenti.11 Poiché la scrittura trasforma chi la pratica, si tratti di un bambino piuttosto che di persona adulta e anziana. Pedagogicamente, l’educatore o il formatore professionista, ma anche il genitore e chiunque si occupi di formare chicchessia oltre che se stesso, si avvede che tale approccio travalica l’esclusiva funzione trasmissiva, comunicativa, funzionalistica della scrittura. Scrivere, per tutti, è una esperienza di maturazione dei modi di stare con se stessi e con gli altri. L’attività genera quando sia applicata con metodo e rigore percorsi di miglioramento, riscatto, emancipazione, sviluppo della consapevolezza, in molti casi persino riaffezione ad una esistenza che sia stata ferita 10  I. Tassi, Le scritture dell’io, Laterza, Roma- Bari 2007 11  Sulla declinazione pedagogica della prospettiva qui delineata: D. Demetrio, Raccontarsi. L’autobiografia come cura di sè, R. Cortina, Milano, 1996 (11° ed); ed inoltre Idem, Autoanalisi per non pazienti. Inquietudine e scrittura di sè, R. Cortina, Milano, 2003;Idem, Ricordare a scuola. Fare memoria e didattica autobiografica, Laterza, Roma- Bari, 2003; Idem, La scrittura clinica. Consulenza autobiografica e fragilità esistenziali, R. Cortina, Milano, 2008; Perché amiamo scrivere. Filosofia e miti di una passione, R. Cortina, Milano 2011. C. Laneve, Scrittura e pratica educativa.Un contributo al sapere sull’insegnamento, Erickson, Trento, 2009.

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dal dolore e nondimeno rimotivazione al contatto con gli altri12. Ritenere che la scrittura personale sia una forma solipsistica di reagire alle sventure, non è esatto: lo scrivere il più solitaria ambisce ad un destinatario, alla riconquista di un dialogo e al ritorno alla possibilità di comunicare con il resto del mondo. Una via alla conoscenza di sé La conoscenza di sé, come già accennato, allena a coltivare – come ebbe a dire Michel de Montaigne - una “testa ben fatta”, più che “piena” di inutili nozioni. Sede di sensibilità, attitudini, talenti non immediatamente visibili ed estroversi. La stessa parola introspezione (dall’inglese introspection) viene introdotta dalla filosofia empiristica anglosassone a designare le facoltà cognitive atte a decifrare i processi mentali di cui il discente deve impadronirsi divenendo “oggetto” principale del proprio conoscere. Sperimentando se stesso dinanzi alle difficoltà e redigendo, anche per iscritto, sinceri o veridici autoesami. Sia per dominare i propri istinti - all’insegna del principio del self-control -, sia per indirizzare impulsi e talenti ancora allo stato nascente, troppo individualistici, verso interessi più collettivi. In una prospettiva, per noi contemporanei ancora attuale e che oggi denominiamo educazione alla autoriflessività, alla metacognizione, alla cura e coscienza di sè. L’educazione interiore, per la pedagogia laica - commisurata alle diverse età di chi apprende - consiste in questo. I suoi obiettivi mirano a creare, a scuola e altrove, occasioni ed esperienze capaci di generare eventi mentali ed emotivi di rilevanza introspettiva. Tali da poter rappresentare un tema guida e una costante all’interno di diversi saperi, saper fare e linguaggi. Invogliare a mantenere con la propria vita interiore un dialogo ininterrotto e suscitare una maggiore responsabilità etico-sociale verso il senso del proprio essere al mondo, verso i valori più importanti, sono questi i due momenti fondamentali affidati a questa prospettiva pedagogica. Affinché l’educazione interiore, da vocazione confessionale, o parallelamente a questa, possa divenire la costante attività invisibile, individuale e civile, di chi a scuola e in famiglia abbia trovato adulti capaci di apprezzarla e stimolarla. Una buona e precoce abitudine all’interiorizzazione dell’esperienza, dei propri vissuti, delle proprie azioni può accendere e far crescere attitudini filosofiche, artistiche, letterarie. Nonché morali e spirituali. Aiuta ad imparare a stare bene con se stessi anche nella solitudine, ad apprezzare il silenzio e il piacere della meditazione. Ad esempio, inerenti lo sviluppo delle capacità di rievocare e ricordare (obiettivo: sviluppo della memoria di sé); delle abilità cognitive a ragionare su se stessi, sui propri comportamenti e atteggiamenti, successi e sbagli compresi (obiettivo: sviluppo dell’autoanalisi personale); delle propensioni al monologo interiore, a rivolgersi ad un tu immaginario che entra in dialogo con noi stessi (obiettivo: sviluppo del dibattito interiore). L’obiettivo pedagogico consiste nell’indurre consuetudini alla interiorizzazione delle esperienza; una via cruciale per rielaborarle anche dal punto di vita emotivo. Concerne inoltre lo sviluppo di comportamenti, capaci di diven12  A. Chiantera, E. Cocever,(a cura di), Scrivere l’esperienza in educazione, Clueb, Bologna, 1996;A. Canevaro, et Alii( a cura di), Scrivere di educazione, Carocci, Roma, 2000

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tare vere passioni e vocazioni autobiografiche che contemporaneamente attivano il piacere di scrivere eventi, emozioni, impressioni man mano che questi accadono; di leggere, raccogliere, analizzare le storie degli altri. Imparando ad intuire, a decifrare, a rispettare gli indizi delle loro vite interiori. Implicazioni per le professionalità educative Di conseguenza, un punto di vista autobiografico dovrebbe permeare le attività di presa in carico educativo, nelle circostanze molteplici in cui lavorano educatori e insegnanti, ma anche le più diverse figure della cura. Per arrivare a questo - nella delicatezza di non forzare i tempi, le sensibilità individuali, di non rendere quello che deve rappresentare la coltivazione di un desiderio, di un’imitazione piacevole, di una gioia creativa non soltanto un compito scolastico - è dunque necessario condividere (sperimentando ciò in prima persona) un pensiero e una coerente tenuta realizzativa di dichiarato tono autobiografico. Il cui fine ulteriore è stimolare precocemente condotte che incoraggino a non dimenticare, ad usare le esperienze della vita- pur brevi di un bambino – affinché anche i più piccoli apprendano precocemente quale sia il valore della scrittura anche quando siano ancora distanti dal potersi avvalere della tecnica.13 Alla quale però possono essere introdotti attraverso vie preparatorie non solo in riferimento alle attività ben note di pre-scrittura: bensì attraverso l’allestimento di climi favorevoli ad indurre curiosità verso chi ama scrivere, più che per dovere, per diletto, ad esempio in famiglia. Dove l’esempio adulto, di genitori e nonni, ha un valore determinante, quando i libri “casalinghi” e cioè non scritti dagli scrittori famosi della biblioteca domestica, raccontino storie di famiglia da sfogliare, raccolte memorialistiche, epistolari… E soprattutto è importante e cruciale che i genitori, e gli educatori professionali, tengano diari e momenti speciali della crescita dei loro figli, dei loro allievi e assistiti. I quali li possano far sentire al centro di un’attenzione diversa da quella materiale e affettiva. L’attenzione autobiografica ricevuta, è fonte, secondo alcune ricerche, di un rapporto diverso con l’apprendimento e l’arte dello scrivere che seguirà. Ma non sono affatto da trascurare, oltre a tali sensibilità pedagogiche che possono veder l’allestimento di corsi di scrittura autobiografica con finalità educative, le implicazioni per la vita riflessiva del nostro agire quotidiano. Il che ci consente di tornare all’inizio del nostro saggio, per rendere più comprensibili le ragioni per le quali siamo partiti così da lontano. In quanto: 1. La scrittura dell’esperienza educativa vissuta insieme, tra colleghi, il confronto non solo di parole ma di scritti relativi agli avvenimenti, agli incidenti critici, alle disfunzioni di comunicazione, sono soltanto alcune delle occasioni in cui lo scrivere di sé e insieme, in uno scambio non solo orale (sovente dispersivo e vaniloquente) 13  Questa prospettiva è alla base della nascita della Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari (www. lua.it ) nel 1998 e di Graphein, Società di Pedagogia e didattica della scrittura. Fondata nel 2007

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può essere un ottimo modo per accrescere il senso di appartenenza lavorativa e la capacità di individuare quello che non funziona. La scrittura dei problemi accentua le analisi in profondità degli eventi, costringe alla ponderazione delle idee, lascia tracce e documentazione a livello di redazione di un’autobiografia professionale e collegiale. 2. La scrittura nella professione inoltre, per i caratteri di cui sopra, corrobora i legami tra i membri dell’organizzazione, li familiarizza tra loro è una modalità di accoglienza delle nuove colleghe, è una sorta di biglietto da visita che reciprocamente ci si scambia per conoscersi di più. Pertanto, come abbiamo detto, il raccontarsi pur professionalmente include il riferimento a storie personali che ben lungi dall’accentuare le distanze tra le educatrici, come del resto avviene nella spontaneità dei momenti di pausa, pre o post lavorativi, consolidano anche le solidarietà di ruolo. Ciò contribuisce a sdrammatizzare gli incidenti comunicativi anche per il valore simbolico del raccontarsi. Se perciò la comunicazione è attività che ci rinvia ad aspetti di natura formale (trasmissione di consegne, ordini di servizio, protocolli di comportamento, ecc), quando la si reinterpreti da un punto di vista narratologico, ecco che quel che accade si muta in storia di vita, in esperienza umana, che non per questo elude questioni di correttezza procedurale. In quanto il valore emotivo, fluido, affettivo del narrare - utilizzando o meno la penna per dire di sé - può facilitare il formarsi e consolidarsi di quella collaborazione tra professionisti cui è bene anche la dimensione amicale non sia in difetto. 3. Infine, il promuovere da parte dei dirigenti della scuola e dei servizi educativi o degli esperti in consulenza autobiografica occasioni autoformative dedicate alla scrittura di sé, come molte esperienze hanno dimostrato in numerosi ambiti dell’educazione, è fonte di rilassamento, di distensione, di reciproco divertimento dopo tante ore di lavoro. Perché la scrittura non soltanto è in grado di migliorare il nostro impegno, di sciogliere le complicazioni afferenti alla organizzazione e alle sue modalità di comunicazione, ma è fonte di piacere e autostima. Come ogni cosa che ci consenta di attenuare le tensioni e di aprirci anche la mente, ci aiuti a realizzarci. Con il vantaggio in più - non indifferente – di consentirci di rileggere anche a distanza di tempo quel che eravamo e siamo riusciti a diventare, migliorandoci, nella consapevolezza di essere cresciuti come adulti anche per i non adulti. Infine, ancora una volta non possiamo auspicare che la conoscenza di sé rappresenti anche, un modo per mettere in crisi pregiudizi tra culture dell’individuo e della persona. Queste a lungo hanno coltivato pratiche di sviluppo dell’interiorità nella distanza reciproca. Non posso quindi che chiudere questo scritto evocando due grandi figure di pensatori: un laico non credente, Salvatore Natoli, e un credente cristiano come Enzo Bianchi. *Direttore scientifico della Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari, da lui fondata nel 1998

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Temi ed esperienze Offre al lettore uno spazio dedicato ad articoli di vario interesse legati ai campi del sapere educativo sia teorico, sia esperienziale e testimoniale.

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I bisogni sociali e di salute delle persone con disabilità Valutazione, qualità e cultura partecipativa1 Ilenia Parenti*, Carmelo Salvatore Benfante Picogna**

Nel contesto culturale, sociale e politico di questi ultimi anni la complessità del SSN si integra con la partecipazione sociale che, sempre più attivamente, contribuisce alla costruzione delle politiche sociali e sanitarie nel territorio di riferimento. Questo elemento – che incontra le aspettative e le esigenze dei cittadini – è stato il denominatore per lo studio esplorativo, condotto nel territorio di Caltanissetta e San Cataldo, sui bisogni sociali e di salute delle persone con disabilità. La promozione dello studio si è, infatti, attivata proprio su impulso del CESVoP (Centro sociale di volontari) che, all’Assessorato alla Salute della Regione Siciliana (DASOE), ha rappresentato l’esigenza di effettuare una ricognizione dei servizi esistenti nel territorio nonché di programmare i servizi calibrati sui bisogni della persona con disabilità. D.A.S.O.E.2, CeSVoP3, ASP di Caltanissetta4, CEFPAS5 e G.L.I.P.6 hanno così avviato un articolato processo di valutazione, che si esplica in modalità diverse e calibrate sui diversi attori coinvolti. Gli Obiettivi dello studio tendevano ad esplorare i bisogni globali di salute delle persone disabili dei comuni di Caltanissetta e San Cataldo e ad identificare i servizi socio-sanitari ed educativi fruibili dalle persone disabili. L’esperienza ambiva a rappresentare un contributo metodologico per mostrare come, in un contesto culturale partecipativo, la valutazione possa essere una componente strutturale per la programmazione di servizi socio-sanitari ed educativi efficaci e basati sui bisogni rilevati (progetto personalizzato). L’ambito di interesse dello studio è, pertanto, quello dell’Efficacia attesa, intesa come pianificazione dell’intervento “ideale”, potenzialmente in grado di soddisfare il bisogno di salute del destinatario. Uno strumento di definizione del “punto di partenza” per l’implementazione di servizi routinari, interconnessi all’ambito dell’Efficacia pratica (risultato in termini di salute e benessere ottenuti dall’applica1  La versione integrale di questo articolo è disponibile sul sito www.pedagogia.it 2 D.A.S.O.E. (Dipartimento per le Attività Sanitarie e Osservatorio Epidemiologico) dell’Assessorato Salute della Regione Sicilia 3  CeSVoP (Centro di servizi per il volontariato) di Caltanissetta- S. Cataldo 4  ASP (Azienda Sanitaria Provinciale) di Caltanissetta – U.O. Educazione alla salute aziendale 5  CEFPAS (Centro per la formazione permanente e l’aggiornamento del personale del servizio sanitario) 6  G.L.I.P. (Gruppo di Lavoro Interistituzionale Provinciale) Ufficio Scolastico Regionale Sicilia Ufficio VI - A.T.- Caltanissetta/Enna.

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zione dell’intervento pianificato) e dell’Efficienza (capacità di raggiungere i risultati attesi con l’ottimale utilizzo delle risorse). Ciò trova ragione nel fatto che il valore dello studio è proprio quello di rappresentare l’impianto metodologico ed una base di dati per le scelte razionali di programmazione e pianificazione di servizi, da parte delle Istituzioni e degli altri enti eroganti (ASP, Amministrazioni comunali, scuola, terzo settore, ecc.). Livelli di partecipazione e attori coinvolti Rispetto alle forme di partecipazione7, in base al ruolo attribuito ai cittadini organizzati in organismi di rappresentanza dei pazienti – si è attivato un processo di partecipazione effettiva, capace di innescare un processo di forte credibilità e fiducia nelle successive ricadute dell’attività svolta (legittimazione dei policy makers). Come definisce Corposanto (2007), questa impostazione sta significando uno sviluppo del capitale sociale, inteso come «elemento costitutivo e, allo stesso tempo, risultato dell’approccio partecipativo. Lo sviluppo delle reti sociali genera un tessuto sociale, caratterizzato da solidarietà e fiducia nelle istituzioni formali ed informali che caratterizzano la comunità. Il radicamento del capitale sociale, inoltre, rappresenta un vincolo all’azione delle strutture amministrative, che operano nel contesto». La definizione del processo valutativo, come anche la fase operativa, sono state concepite e condivise come responsabilizzazione comune per tutti gli attori coinvolti nello studio. La partecipazione effettiva dei diversi soggetti, riconosciuti come stakeholders e considerati come interlocutori legittimi, ha permesso di incentrare il co-controllo diretto ed operativo nelle diverse articolazioni dell’attività condotta. Ciascun attore, con proprie risorse e competenze, ha contribuito alla realizzazione del meta-obiettivo dell’empowerment, frutto proprio del processo tra pari di condivisione del programma di lavoro che, rispetto alle problematiche discusse ed affrontate, ha generato la rappresentazione dei fenomeni osservati da più punti di vista e con chiavi di lettura diverse e non preclusive tra loro. La rete di interazioni promossa dal gruppo di lavoro che ha condotto lo studio sulla disabilità, connota la valutazione partecipata secondo la classificazione proposta da Gregory (2000). Infatti, in linea con i tre criteri elencati da Gregory8per la definizione di valuta7  I livelli delle forme di partecipazione si distinguono in ascolto, partecipazione e partecipazione effettiva. Il primo coinvolge il cittadino meramente per una conoscenza della propria opinione. Il secondo livello, invece, oltre all’ascolto prevede un’interazione per consulti o azioni propositive di istituzioni, Enti, organismi non lucrativi, associazioni, ecc. in rappresentanza dei cittadini. Nel terzo livello, infine, il potere decisorio è condiviso e costruito tra tutti gli attori del processo, considerati stakeholders legittimi 8 Amanda Gregory, per discriminare la valutazione partecipata dalle altre forme di partecipazione, individua i seguenti tre criteri: 1. Gli Stakeholders devono avere un ruolo attivo nel processo di valutazione, cioè avere la possibilità di evidenziare informazioni importanti e termini di riferimento, piuttosto che meramente avere un ruolo passivo come

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zione partecipata tutti gli stakeholders hanno evidenziato informazioni importanti e contribuito alla definizione delle domande valutative, svolgendo un ruolo attivo all’interno del processo di valutazione; 1 Sia i rappresentanti dei beneficiari (volontari CESVoP) che quelli delle istituzioni eroganti/finanziatori dei servizi hanno preso parte attiva al processo; 2 Gli stakeholders hanno partecipato almeno a tre fasi del processo: elaborazione dei termini di riferimento (item), interpretazione delle informazioni e utilizzo dei risultati della valutazione. Il focus sulla partecipazione fin dalle riunioni preliminari, ha avviato un processo cooperativo ai diversi adempimenti, con un ruolo riconosciuto di co-decisori ed al contempo operatori-esperti o fruitori dei servizi. Approccio e Modelli teorici di riferimento Particolare attenzione è stata posta all’aspetto metodologico ed alle modalità partecipative condivise in riunioni di programmazione tra i soggetti che hanno operativamente effettuato l’indagine sul territorio (CESVoP, GLIP, CEFPAS e ASP). Gli apporti di precedenti ricerche sul campo condotte dal GLIP hanno rappresentato un utile ingrediente nel processo della presente attività. Il GLIP ha contribuito con due documenti: “Ricerca sull’inclusione degli alunni disabili nelle scuole della provincia di Caltanissetta” (2013) e con “Ricerca sulla percezione della disabilità nelle scuole della provincia di Caltanissetta” (2014). Nel primo documento sono classificati tutti gli alunni disabili che frequentano le scuole della provincia di Caltanissetta, distinti per ordine di scuola e per tipo di disabilità, secondo il codice ICD 10. Nel secondo documento sono riportati gli esiti di una ricerca, condotta con l’Università degli Studi di Udine, su come viene percepita la disabilità negli ambienti scolastici. Sono stati presi in considerazione diversi aspetti della vita a scuola di un alunno disabile e per ognuno di questi è stato chiesto ad alunni (disabili e non), docenti (di sostegno e non), genitori (di alunni disabili e non) e dirigenti scolastici di rispondere a delle domande. Ne è venuto fuori un quadro interessante e per molti aspetti incoraggiante. Emerge che, per fortuna, la disabilità è vissuta non come un problema ma come una risorsa. L’aspetto strategico nell’applicazione della partecipazione ai processi, è stato fortemente governato per non correre quei rischi che evidenzia Corposanto (2007) di «partecipazione facilmente manipolata e strumentalizzata a favore degli interessi specifici ed impliciti dei soggetti più potenti all’interno del contesto manipolativo». Ne è un esempio di prevenzione del rischio, sia lo spazio di confronto e formazione sulle metodologie esplorative della ricerca, attivate durante gli incontri di fonte di informazioni. 2. Poiché è praticamente impossibile attivamente includere tutti gli stakeholders nel processo di valutazione, dovrebbero partecipare almeno i rappresentanti dei beneficiari, del management e dei finanziatori. 3. Gli Stakeholders dovrebbero partecipare a tre fasi del processo: elaborazione dei termini di riferimento, interpretazione dei dati e utilizzo dei risultati delle valutazioni.

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programmazione, che i momenti dedicati di formazione degli intervistatori. Tale acquisizione di competenze e coinvolgimento ha fatto sì che il senso di responsabilità comune sia stato inserito in quadri conoscitivi e di senso condivisi da tutti. Con approccio “prospettivista”, dall’incrocio dei diversi approcci di utenti, familiari, operatori socio-sanitari e associazioni dei pazienti, il gruppo di lavoro ha elaborato adeguati strumenti di valutazione, costruiti secondo criteri e metodi utili a consentire la rilevazione quali-quantitativa e oggettiva dei bisogni dell’utenza disabile e la contestualizzazione del concetto di appropriatezza del servizio per il soddisfacimento del bisogno percepito. Nella costruzione degli strumenti di indagine9, il modello teorico che ha guidato la scelta delle dimensioni qualitative, valutate in ogni Servizio per disabili, trova un primo riferimento nella classica tripartizione di Avedis Donabedian (qualità organizzativa, professionale e percepita.) e alle dimensioni proposte da Liva e Di Stanislao (Qualità tecnica, manageriale e percepita). Rispetto alla qualità percepita, si è intesa, come specifica Focarile (Accessibilità, appropriatezza, continuità, competenza, efficacia attesa e pratica, efficienza, sicurezza, tempestività, e umanizzazione). Risultati La lettura dei risultati sembrerebbe riflettere l’esigenza di sviluppare ulteriori strategie organizzative che possano consentire la personalizzazione dell’assistenza, superando i limiti della tradizionale pratica di omologazione nei confronti di pazienti con stessa diagnosi, ma con livelli di complessità del bisogno assistenziale differente. La complessità che caratterizza i servizi alla persona ha una base di ancoraggio ai valori, principi ed al contesto di riferimento della persona come individuo e come parte delle formazioni sociali – es. famiglia. Ciò è fortemente correlato con l’idea che per la fruizione dei servizi l’unico referente non è la funzione pubblica ma si deve fare appello anche agli ambiti di relazione solidale (famiglia, lavoro, comunità/territorio). In particolare la dimensione che sembrerebbe poter dare un importante contributo al miglioramento della qualità dell’assistenza è la continuità (Focarile, 1998), intesa come grado di integrazione tra operatori e strutture socio-sanitarie per persona (o gruppo).

9  Strumento 1) Intervista strutturata agli utenti o familiari fruitori dei servizi sociali o sanitari per disabili; Strumento 2) Interviste di gruppo che hanno interessato operatori sanitari dei servizi per disabili dell’ASP di Caltanissetta ed associazione di familiari di pazienti autistici; Strumento 3) Intervista strutturata, tramite le insegnati di sostegno, per acquisire le informazioni riguardo i servizi esistenti per i soggetti in età scolare e l’esplicitazione dei servizi di cui sente il bisogno; Strumento 4) Scheda di ricognizione dei servizi esistenti nel territorio.

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* Esperto di formazione, referente gruppo attività di ricerca e innovazione metodologica del CEFPAS (Centro per la formazione permanente e l’aggiornamento del personale del servizio sanitario). ** Responsabile settore inclusione alunni disabili presso USR Sicilia – Ufficio VI, A. T. di Caltanissetta/Enna. Bibliografia A. Tanese e A. Terzi, “Il cittadino stakeholder della sanità” in “I Quaderni di Monitor, Elementi di analisi e osservazione del sistema salute”, Anno XII numero 32 2013, Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali; AA.VV. “Il sistema sanitario e l’empowerment” in 6° Supplemento al numero 25, 2010 di Monitor Monitor, Elementi di analisi e osservazione del sistema salute”, Anno IX Numero 25, 2010; Salvatore Benfante Picogna – Francesco Pira, “Ricerca sulla percezione della disabilità nelle scuole della provincia di Caltanissetta”. 2014, Edizioni Libreriauniversitaria.it; C. Salvatore Benfante Picogna, “Ricerca sull’inclusione degli alunni disabili nelle scuole della provincia di Caltanissetta – confronto e interpretazione di datti aa. ss. 200405/2012-13. 2013 Paruzzo Editore; C. Corposanto, “La valutazione e lo sviluppo della ricerca valutativa”, in AA.VV. in Salute e Società, Sulla valutazione della qualità dei servizi sociali e sanitari, Anno VI – 2/2007, Franco Angeli; A. Gregory “Problematizing Partecipation: a critical review of approaches to participation” in Evaluation Theory, 2000; P. Poletti, “La partnership” in Salute e Territorio, Anno XXXI n.183-2010; F. Di Stanislao e C. Liva “Accreditamento dei servizi sanitari in Italia”, Ed. Centro Scientifico Editore, 1998; A. Donabedian “Explorations in Quality Assessment and Monitoring” - Vol I: The Definition of Quality and Approaches to its assessment, 1980; F. Focarile, “Indicatori di qualità nell’assistenza sanitaria”, Centro Scientifico Editore, Torino, 1998.

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ARRIVATI_IN_REDAZIONE Pierluigi Malavasi Scuole, lavoro! La sfida educativa dell’alternanza Vita e Pensiero, Milano 2017, pp. 152, € 13,00 Far fiorire le scuole per generare lavoro creativo, libero e solidale: questa è la pedagogia che percorre il libro, un’alleanza per dare risposta a tanti giovani che si trovano in situazione di disagio e di esclusione, che non lavorano e non studiano. Sulla scia dell’innovazione legislativa che prevede l’alternanza scuola-lavoro, la sfida è di accendere il desiderio di imparare e l’avventura di insegnare. Nel curricolo del secondo ciclo di istruzione, includere moduli in cui gli allievi possano svolgere esperienze in contesti lavorativi reali presenta un carattere piuttosto inedito per la realtà italiana...

Jose Perez Ledo Questa non è una storia d’amore TRE60, 2017, pp. 449, € 18,00 «Non è l’amore a far muovere il mondo, ma l’illusione di viverlo come in un film.» Daniel ne è sicuro: l’amore è una bugia. Cinema, libri, canzoni non fanno altro che alimentare desideri irrealistici. Non fanno altro che deludere. Quindi l’amore è ben lontano dalla sua vita. Fa lo scrittore, ma scrive aride biografie di manager che vanno in pensione. Ha degli amici, ma li tiene (un po’) a distanza. Perché non si sa mai chi ti può ferire. E poi conosce Eva. Che, nell’ordine, ha: i capelli nerissimi, un orecchino sulla narice destra e una lunga gonna bianca. Che è tutta sporca di colori a tempera perché lavora in un asilo. E che prova un’istantanea, irrefrenabile antipatia per Daniel...

Claudia Adamo (a cura di) Bilinguismo nei bambini: 10 domande dei genitori

Claudia Adamo (a cura di) Bilinguismo nei bambini: 10 domande dei genitori Open Minds, 2017, ebook gratuito I contenuti di questo ebook scaturiscono dall'incontro, tenutosi il 1 Marzo 2017, presso la Scuola Primaria Bilingue "Brianza Bilingual Education", con il Patrocinio del Comune di Cesano Maderno e della Provincia di Monza e Brianza. Il suo obiettivo è quello di illustrare come funzionano il bilinguismo, l'acquisizione e l'apprendimento linguistico, e come concretamente possiamo implementare strategie per sostenere i nostri bambini e ragazzi in questo compito.

Liana Soligo Trattatello che ha per oggetto la scuola Ibiskos editrice Risolo, 2017, pp. 66, € 10,00 “La concezione di scuola sostenuta in questo libro è l’inevitabile conseguenza di una concezione della vita che ne è alla base e ne costituisce l’imprescindibile premessa: il mondo è una creazione in perfetta armonia cui l’uomo deve solo aderire. Chi parla ad un bambino di ‘dovere’ in realtà dichiara la sua sfiducia nella vita.”

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Angela J Hanscom Giocate all’aria aperta! Il leone verde edizioni, 2017, pp. 208, € 18,00 Oggi è raro vedere bambini che si rotolano giù dai pendii erbosi o si arrampicano sugli alberi per divertimento. Preoccupazioni legate alla sicurezza ci hanno indotto a eliminare giostrine e altalene. Ma mentre la vita dei nostri figli è sempre più “virtuale” e ruota attorno agli schermi di Tv, smartphone e computer, gli insegnanti notano una diminuzione dell’attenzione e i dottori denunciano un aumento allarmante dei disturbi emotivi e sensoriali. E dunque, come assicurare ai nostri bambini un pieno coinvolgimento di mente, corpo e tutti i sensi?

Adele Faber, Eline Mazlish Come parlare perché i bambini ti ascoltino & come ascoltare perché ti parlino Mondadori, 2017, pp. 307, € 14,00 Esperte nella comunicazione intergenerazionale, Adele Faber e Elaine Mazlish hanno scritto questo libro che unisce testo e apparato grafico, arricchito di questionari, vignette, schemi ed esempi. In questa nuova edizione le due autrici rivedono i loro consigli alla luce delle sfide poste dalle generazioni di «nativi digitali», aggiornato per tutte le questioni educative della vita quotidiana: gestire la rabbia; stabilire regole ferme (e farle rispettare); trovare alternative efficaci alle punizioni; guadagnare la collaborazione attiva dei più piccoli; risolvere i conflitti familiari.

Loris Alleman Ricomincio da qui Il ciliegio, 2017, pp. 203, € 15,00 La tendenza evolutiva, insita nella natura stessa della coscienza umana, viene facilmente ostacolata da diversi fattori anti-evolutivi, generando ogni sorta di malessere e insoddisfazione. Per contro, quando sussistono le condizioni favorevoli, la coscienza umana tende a espandersi, procurando all’individuo pace e vitalità. Scopo principale di questo libro è quello di fornire al lettore strumenti concreti ed efficaci nel facilitare il progresso della coscienza. L’essere umano possiede una coscienza; la coscienza umana tende a espandersi...

Emanuele Isidori Pedagogia e sport. La dimensione epistemologica ed etico-sociale Franco Angeli, 2017, pp. 180, € 21,50 Lo sport rappresenta oggi uno dei fenomeni culturali di maggiore complessità e diffusione nella società contemporanea. La sportivizzazione della società e della cultura è un processo inarrestabile che presenta profonde implicazioni educative e richiede lo sguardo attento e critico della pedagogia quale scienza umana per essere compreso. Utilizzando un approccio ermeneutico volto a fare emergere le valenze, le contraddizioni e i paradossi del rapporto tra pedagogia e sport, il volume rintraccia la genesi storico-culturale della pratica sportiva evidenziando come essa sia, sin dalle sue origini, profondamente educativa.

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ARRIVATI_IN_REDAZIONE_RAGAZZ* Diego Bianki Il puzzle infinito Kalandraka, Firenze 2017, pp. 56, € 17,00 Età di lettura: dai 3 anni Pulci, cani, oche, iene, pappagalli, mosche, conigli... vivono affianco a noi come altri miliardi di animali e persone. Se provassimo a contare quelli che vivono in cielo e, più in là delle nubi, nello spazio interstellare, sembrerebbe impossibile trovare una cifra che ci contenga, in questo immenso numero in cui rappresentiamo solo un pezzo di un puzzle infinito. Nonostante il nostro numero smisurato e le nostre differenze, c’è qualcosa che ci rende uguali: la diversità. Forse non c’è un numero che ci contenga, però c’è una parola in cui possiamo ritrovarci: noi. Mavis Miller Lisbeth e il segreto della città d’oro DeA Pianeta Libri, Milano 2016, pp. 480, € 14,90 Età di lettura: dai 9 anni Al di là di tutti i confini esiste una città magnifica. Non c’è al mondo luogo più felice della Città d’Oro, e non ci sono al mondo persone più felici dei suoi abitanti. Sì, perché i Lucenti sono dotati di poteri straordinari. All’età di tredici anni, vedono i capelli diventare d’oro e i piedi staccarsi dal suolo in un volo gentile. Ed è per questo che tutti i ragazzini della Città d’Oro attendono il fatidico compleanno. Tutti, compresa Lisbeth. Qualcosa però va storto: la mattina del suo tredicesimo compleanno, Lisbeth si sveglia con i soliti capelli marroni e le solite caviglie rotonde che non si sollevano dal suolo nemmeno di un millimetro. Ma come è possibile? Forse lei non è Lucente come tutti gli abitanti della Città d’Oro? Irene Biemmi, Lucia Scudieri La principessa azzurra Coccole Books, Belvedere Marittimo (CS) 2016, pp. 24, € 11,00 Età di lettura: da 3 anni Chi dice che ci sono:“cose da maschi” e “cose da femmine”? È tempo di recita a scuola e quindi di ruoli da interpretare. Rosino sarà il principe azzurro e Azzurra sarà la bella addormentata. Ma non è tutto così semplice… E se il principe azzurro non sapesse andare a cavallo? E se la bella addormentata fosse una tipa molto sveglia? I due amici troveranno insieme una soluzione… che lascerà tutti a bocca aperta!

Elena Parodi Robotica creativa per giovani tecnologici Quintadicopertina, Genova 2016, pp. 112, € 12,00 Cosa accade quando la robotica si mescola alla creatività per dare vita a tante ricette da fare a casa e a scuola? Trasformarsi in un cuoco e muovere i primi passi nel mondo della robotica non è mai stato così semplice: con l’aiuto di genitori e insegnanti, ma anche autonomamente, il manuale di ricette guida bambini e ragazzi nella costruzione di macchine automatiche e robot utilizzando materiali di recupero. È il Tinkering, un modo di esplorare il mondo della tecnologia e della scienza stimolando la creatività e realizzando piccole macchine personali. Provare le ricette proposte diventa un gioco, liberare la fantasia il primo requisito necessario.

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PROGRAMMA SETTIMANALE orario APERTURA dalle 9.00 alle 16.30 09.00 - 09.30 Accoglienza 09.30 - 10.30 Learning Time 10.30 - 13.30 Laboratori pratico tecnologici: costruire, programmare, inventare e sperimentare 13.30 - 14.30 Pranzo al sacco 14.30 - 16.00 Officine creative e scientifiche: creare, giocare, manipolare e scoprire 16.00 - 16.30 Merenda al sacco 16.30 - Uscita Quota settimanale 260 euro ad personam a settimana La quota comprende: educatori specializzati, materiali tecnologici e artistici, assicurazione

Info e prenotazione: serena.bignamini@pedagogia.it http://tecnosummercamp.pedagogia.it

Mezzi pubblici: Stazione Rho Fiera Milano della metropolitana MM1 e delle Ferrovie/Passante ferroviario. Ingresso pedonale “Triulza” dell’ex sito Expo Milano 2015 e proseguire lungo il Decumano fino a Cascina Triulza. In auto: Parcheggio del Carcere di Bollate, Via Cristina Belgioioso, Milano e accesso pedonale dal cancello di Cascina Triulza Coordinate GPS: 45.522094, 9.098503 I campus si svolgeranno in Cascina Triulza, una delle location più suggestive e originali dell’area metropolitana milanese. Cascina Triulza, ubicata all’interno dell’ex area Expo Milano, fa parte dell’importante patrimonio storico, architettonico e ambientale costituito dalle cascine milanesi. Completamente ristrutturata, ha ospitato durante Expo 2015 il primo Padiglione della Società Civile. Attualmente è la sede operativa di Fondazione Triulza e di un Lab-Hub per l’Innovazione Sociale.


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