Marzo 2024

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PRIMO PIANO

Il coraggio delle donne

Storie e visioni al femminile. Ecco chi è riuscita ad abbattere stereotipi e pregiudizi

PERSONAGGI

Andrea Pennacchi si racconta «Narrare è sempre stato il mio mestiere»

SOCIALE

Giornata del Fiocchetto Lilla Azioni e progetti per combattere i disturbi alimentari

EVENTI

VI Edizione Corti di Lunga Vita La premiazione del Concorso torna al Cinema Troisi di Roma

Il valore dell’esperienza | MARZO 2024 | Anno XLVI - n. 3 - € 2,50 I.P.

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Disegniamo il futuro con Fondazione 50&Più Carlo Sangalli 5

Diritti delle donne

Il dovere di una lotta giusta

In questo numero

Fondazioni, attiviste del bene comune

Le Vite imperfette di Barbara Cannizzaro

Mercato del libro: ottimisti con riserva

L’oratorio, dove crescere a tutte le età

Pasqua, origini e tradizioni

Genitorialità e dipendenze digitali

Anna Grazia Concilio 6

Dario De Felicis 24

Donatella Ottavi 28

Francesca Cutolo 34

Chiara Ludovisi 36

Ettore Costa 38

Elisabetta Pagano 62

Alexandra David-Neel, l’esploratrice Anna Costalunga 66

Previdenza, assegno unico

Fisco, legge di bilancio 2024

Maria Silvia Barbieri 84

Alessandra De Feo 86

Viaggi: dalla Sicilia al Canada a cura di 50&Più Turismo 90

Marzo, tempo di rinascita a cura di Barbanera 94

40

Giornata del Fiocchetto Lilla Progetti e iniziative per superare i disturbi alimentari di Ilaria Romano, Anna Giuffrida

45

Il

delle donne di Chiara Ludovisi, Leonardo Guzzo Francesca Cutolo, Mariella Pagliuca Valerio Maria

La vita e la morte dell’oppositore che ha sfidato il leader sovietico e incarnato la resistenza fino alla fine rimane, testamento della lotta per la libertà e la giustizia in Russia

L’appuntamento è fissato a Roma dall’11 al 13 novembre per vivere momenti di condivisione e ripercorrere gli ultimi cinquant’anni di storia dell’Associazione 50&Più

L’età fragile è il nuovo romanzo della scrittrice. Tra i candidati al Premio Strega 2024, il libro narra storie di fragilità e rapporti umani di donne e violenza

50&Più | marzo 2024 3 Sommario Anno XLVI - n.3 - marzo 2024
DONATELLA DI PIETRANTONIO CINQUANTENNALE
DI LIBERTÀ 72 58 30
NAVALNY E QUEL SOGNO
C.Caridi R.Minore
G. Capuano
coraggio
La forma delle nuvole Gianrico e Giorgia Carofiglio 10 Il terzo tempo Lidia Ravera 12 Anni possibili Marco Trabucchi 14 Effetto Terra Francesca Santolini 16
Urru Rubriche
50&Più il valore dell’esperienza

Personaggi

Andrea Pennacchi «Sono un amante delle storie»

di Giulia Bianconi 20

Salute

82

La salute della colonna vertebrale passa dai denti

di Alessandro Mascia

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NUMERO CERTIFICATO 9118

DELL’ 8/03/2023

ASSOCIATO ALL’USPI

UNIONE STAMPA

PERIODICA ITALIANA

50&Più | marzo 2024 4
marzo
di stampare: 04
Federica Manzon racconta l’Europa di Alma 74 Mirò, l’universo immaginifico dell’artista catalano 76 John Surman, un gigante del jazz 78 Napoli festeggia i vent’anni del teatro 80
Cultura
È la
il fulcro del corpo
bocca
umano

DISEGNIAMO IL FUTURO CON FONDAZIONE 50&PIÙ

Solidarietà, cura e assistenza sono alla base del nuovo progetto pensato per gli over Perché la tutela dei diritti delle persone anziane resta il nostro obiettivo primario

È nata Fondazione 50&Più. Lo abbiamo anticipato nei mesi scorsi e, ora, questo nuovo strumento con cui disegnare il futuro è realtà. Una tappa obbligata, se vogliamo, perché l’esperienza di studio, di attivismo e di servizio - che anima la nostra Associazione da cinquant’anni - deve percorrere anche nuove strade, perseguendo lo stesso obiettivo: creare condizioni e opportunità che rendano possibile la tutela dei diritti delle persone anzia-

«VOGLIAMO IMMAGINARE NUOVI MODELLI

A SOSTEGNO DEGLI ANZIANI IN PARTICOLARE FRAGILI E DELLE LORO FAMIGLIE»

ne. Una comunità, insomma, in cui nessuno resti indietro.

Quando ci siamo seduti intorno al tavolo e abbiamo iniziato a mettere nero su bianco le nostre idee per costituire

disposizione non sono ancora sufficienti, come non è sufficiente lo sforzo fatto fino ad ora per riformare il sistema assistenziale e le sue politiche. Insomma, lo Stato da solo non riesce a rispondere alle esigenze degli over e dei loro familiari che troppo spesso sono impegnati nel ruolo di caregiver, tra mille difficoltà, soprattutto economiche.

di Carlo Sangalli Presidente Nazionale 50&Più

Fondazione 50&Più, ci siamo guardati negli occhi e abbiamo capito che il progetto non poteva prescindere da due concetti fondamentali: la solidarietà e la cura. Ma non solo. A dare la quadratura del cerchio dovevano essere anche altri elementi: l’assistenza, il mutuo aiuto, la formazione. E allora siamo partiti da un dato, quello demografico: già perché, se da un lato il tasso di natalità in Italia continua ad avere un record negativo, dall’altro assistiamo a un aumento della popolazione anziana. Questo significa che nei prossimi anni le persone con fragilità aumenteranno e a loro si dovranno dare risposte. Lo dovranno fare le istituzioni - certamente -, anche noi però dobbiamo fare la nostra parte perché, come già dimostrato dalla recente approvazione del decreto attuativo sulla riforma della non autosufficienza delle persone anziane, le risorse messe a

La storia recente ci insegna quanto sia importante lavorare oggi per non cadere in emergenza domani. Anzi, più che importante direi è necessario lavorare oggi per non finire in uno stato emergenziale in futuro. Ricordate la forza e la tenacia della formica, la protagonista della favola di Esopo? Ogni giorno d’estate, senza mai perdersi d’animo, ha messo da parte qualcosa di utile per fronteggiare l’inverno. Ecco, anche noi dobbiamo compiere gli stessi passi, dobbiamo mettere un mattoncino dopo l’altro per costruire un futuro ricco di prospettive e opportunità che ci porti a vivere una società sempre più inclusiva e solidale.

Come trasformiamo nel concreto l’impegno di Fondazione 50&Più? Lo facciamo promuovendo occasioni di formazione, di studio e di progettazione. Vogliamo essere visionari e vogliamo immaginare nuovi modelli a sostegno degli anziani, in particolare fragili, e delle loro famiglie. Lo vogliamo fare anche progettando programmi e soluzioni di co-abitazione. La società sta cambiando e noi dobbiamo farci trovare pronti. Ci saranno nuovi diritti da tutelare, ci saranno nuove sfide da vincere, ci saranno altri mondi da esplorare. Dimostriamo quanto l’esperienza di questi anni sia vincente, quanto essere al servizio della comunità e farsi interprete delle esigenze dei fragili sia nostra prerogativa.

50&Più | marzo 2024 5

DIRITTI DELLE DONNE IL DOVERE DI UNA LOTTA GIUSTA

Siamo tutti chiamati a compiere azioni responsabili e consapevoli affinché la parità e l’uguaglianza di genere siano una costante in ogni ambito della vita che riguardi la sfera privata e quella pubblica. Una comunità senza soprusi e prepotenze è una comunità sana frutto di lungimiranza politica, di progresso e ricchezza

La lotta per i diritti delle donne non è solo una scelta o una questione di giustizia sociale, è anche un imperativo morale che richiede un’azione concreta e sostenuta, a beneficio di tutti, della comunità. Le scarpette rosse, le mimose - spesso accompagnate da eclettiche scatole di cioccolatini - i dibattiti nei talk show dei programmi di grido, sono importanti ma non sono la soluzione e nemmeno l’alternativa, perché ogni giorno, in qualsiasi contesto, noi donne dobbiamo difendere i nostri diritti. Lo facciamo in maniera silenziosa e, quando necessario, con rumore. Lo facciamo perché nonostante quella in cui viviamo sia una società progressista (almeno sulla carta), si fa ancora fatica a mettere sullo stesso piano gli uomini e le donne. Senza infilarci nelle maglie del diritto, senza ripercorrere tappe storiche che pure hanno fatto compiere passi avanti alla parità di genere, limitiamoci alla vita quotidiana. Noi donne abbiamo, prima di tutto, il diritto a

essere felici e questo dipende molto dalle scelte che decidiamo di compiere ogni giorno. Le nostre scelte, però, non devono diventare il tema di un’etichetta sociale, devono essere accettate e condivise alla stregua delle scelte che compiono gli uomini. Perché a noi viene chiesto come e se abbiamo difficoltà a ‘incastrare’ la vita privata con il lavoro? Avete mai sentito fare la stessa domanda a un uomo? Perché ci stupiamo quando a ricoprire un ruolo importante è una donna e non ci stupiamo quando lo stesso viene affidato agli uomini? Siamo figlie e figli di un retaggio culturale che vuole ancora la donna ‘angelo del focolare’? La storia parla per noi. Tante le battaglie condotte in nome di un diritto, a difesa dello stesso. Certo, ogni battaglia è stata e sarà sempre figlia dei tempi ma non è mai il tempo di smettere. E in questo siamo tutti coinvolti. Lo siamo noi, donne e uomini, lo sono i nostri figli, i nostri nipoti, lo è la società educante, lo sono le isti-

tuzioni e lo è la politica. La difesa dei diritti delle donne riguarda tutti ed è dovere di ognuno fare in modo che i diritti vengano tutelati. Penso all’adozione e all’attuazione di leggi che proteggano tutte, l’istituzione di programmi che promuovano l’uguaglianza di genere nell’istruzione e nell’occupazione; penso alla creazione di politiche pubbliche che contrastino la violenza di genere in tutte le sue forme e che facciano in modo che i ricchi e i meno abbienti abbiano le stesse possibilità perché è solo partendo da una base comune che si arriva lontano. Immaginate degli atleti ai nastri di partenza: è quello il punto da cui partire per vincere la corsa, ma il punto è uguale per tutti e si arriva primi o ultimi solo grazie alle capacità di ognuno, indipendentemente dal sesso, dal ceto sociale e dal paese di provenienza. Lo stesso principio deve governare tutti gli ambiti della vita. Affinché la nostra dignità e la nostra autonomia non siano calpestate.

50&Più | marzo 2024 6

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I volti nascosti nelle mappe

L’abilità di riconoscere figure in nuvole, sassi o macchie di umidità presuppone la capacità innata dell’uomo di attribuire nuovi significati alla realtà. Ma è possibile individuare figure in una mappa stradale? Le risposte si trovano nelle opere di Ed Fairburn, l’artista gallese noto per creare illustrazioni a china su carte topografiche. Le figure umane emergono, dando un nuovo significato alla nostra comprensione della geografia

LE MAPPE DI ED FAIRBURN

www.edfairburn.com

Volti di uomini e donne che compaiono sulle mappe delle nostre città: sono le illustrazioni di Ed Fairburn, l’artista gallese noto grazie ai suoi disegni a inchiostro

50&Più | marzo 2024 8 Punti
a cura di Elisa Rossi
di vista

Vuoi dare una mano a Don Stefano?

Ci sono situazioni di fronte alle quali la tentazione di girare la testa dall’altra parte è forte. Lo sa bene chi vive vicino ad un campo nomadi. Eppure, a volte, basta gettare il cuore oltre l’ostacolo per veder crollare in un istante il muro dei pregiudizi e scoprire, oltre quel muro, un panorama sorprendente.

È lo sforzo che compiono, ogni giorno, i parrocchiani di don Stefano Meloni, alla Magliana. Un gruppo di volontarie ha iniziato ad accompagnare alcune donne della comunità romanì lungo il sentiero dell’alfabetizzazione e dell’imparare un mestiere, prendendo a cuore, contemporaneamente, la frequenza scolastica dei loro bambini. Ma l’attenzione di questa parrocchia è verso tutti gli ultimi, in un quartiere della periferia romana a amato di luoghi di aggregazione e socializzazione.

È qui che oggi si spende la vita sacerdotale di don Stefano, che quest’anno compie 70 anni e ne celebra 25 di messa. La sua vocazione, maturata quando era già adulto, a onda le radici in un incontro davvero speciale. «Da ragazzo – racconta con emozione – ero uno dei collaboratori più assidui delle suore di Madre Teresa nella casa di accoglienza “Dono di Maria”: lì ho imparato la gioia del servizio e della fede». La “scintilla” scocca durante un incontro con Madre Teresa in persona: «Un pomeriggio – prosegue commosso -

dopo avermi chiesto se mi fossi sposato, mi disse che dovevo diventare prete. Io mi sentivo appagato, l’idea non mi aveva ancora mai s orato, poi invece una serie di coincidenze mi portarono proprio a entrare in Seminario». E oggi è un uomo sereno e realizzato, e dopo vent’anni trascorsi in una parrocchia a Villa Gordiani, da cinque anni a bene ciare del suo servizio pastorale è la bella comunità di San Gregorio Magno.

Dal 1989, per legge, il sostentamento dei sacerdoti non è più a carico dello Stato ma è stato a dato a tutti noi. A tutte quelle persone di buona volontà che, attraverso la rma per l’8xmille alla Chiesa cattolica o direttamente attraverso le o erte deducibili per i sacerdoti possono contribuire a garantire loro un tenore di vita dignitoso. Dalle montagne alle isole, nelle grandi città come nei piccoli paesi, grazie ad un sistema che si fonda sulla perequazione e la corresponsabilità, ciascuno di loro ha bisogno del contributo di tutti. Anche del tuo.

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Basta una piccola dimostrazione del tuo sostegno.

Don Stefano, e tanti altri don come lui, te ne saranno grati, insieme alle loro comunità.

In foto: don Stefano Meloni parroco di San Gregorio Magno alla Magliana (Roma)

La

forma delle nuvole Un padre e una figlia osservano il mondo

IL LAVORO NON DIVENTI CAUSA DI MALESSERE

di Gianrico e Giorgia Carofiglio

C«Secondo un recente studio, circa la metà della Generazione Z e il 40% dei Millennial provano ansia e stress Un fenomeno che spesso sfocia in uno stato di fatica cronica dovuto soprattutto allo stress lavorativo»

’ è una crisi di salute mentale che non possiamo più ignorare. Secondo una ricerca di Deloitte, che ha coinvolto oltre 22.000 persone in 44 Paesi, quasi la metà della Generazione Z e il 40% dei Millennial riferiscono di provare molto spesso ansia e stress, con le donne a guidare questa tendenza. Sono numeri allarmanti, soprattutto quando questi fenomeni sfociano nel burnout, uno stato di fatica cronica dovuto principalmente allo stress lavorativo, uno sfinimento che causa incapacità di portare avanti le attività quotidiane. Non è chiaro se le ultime generazioni ne soffrano più di quelle precedenti, o siano solo più consapevoli del proprio disagio. Sicuramente su questo disagio incidono una sensazione di insicurezza cronica, una crescente consapevolezza rispetto alle disuguaglianze sociali, le paure legate al cambiamento climatico e alle tensioni geopolitiche, i timori per l’instabilità economica.

Ventenni e trentenni sembrano anche essere più inclini a riconoscere il proprio dolore, chiedere aiuto e mostrarsi vulnerabili. Probabilmente è merito della maggiore sensibilità culturale a questi temi, di un lessico che gli permette di definire il loro malessere. La difficoltà è reale. Ma le persone sono anche più disposte a comprenderla.

Secondo lo studio di Deloitte, una delle principali cause del declino nel-

la salute mentale dei giovani risiede nel mondo del lavoro. La mancanza di equilibrio e spazio dedicato alla vita personale, le responsabilità e i carichi eccessivi, spesso dovuti alla mancanza di personale, una cultura aziendale che favorisce il presenzialismo e una competizione serrata sono alcuni dei fattori possibili. Una mentalità aziendale arretrata e poco flessibile rende difficile ammettere debolezze o vulnerabilità. Soprattutto quando le posizioni lavorative sono precarie e ogni passo falso può mettere a rischio l’impiego.

Nonostante i progressi fatti per sradicare lo stigma associato alla salute mentale, esso persiste ancora sul luogo di lavoro, dove trascorriamo la maggior parte della nostra vita adulta. È difficile ammettere di aver bisogno di giorni di malattia a causa dei sintomi dovuti ad un malessere di natura psicologica, o richiedere, quando necessario per queste ragioni, la possibilità di lavorare da casa. Se la malattia mentale inizia ad essere paragonata a quella fisica - con l’idea che non vi è nulla di vergognoso in essa - l’ufficio rimane un ambiente in cui questa prospettiva fa fatica ad affermarsi. Secondo la ricerca di Deloitte, oltre la metà di coloro che hanno preso giorni di malattia per problemi di salute mentale non hanno rivelato il vero motivo dell’assenza. Difficile immaginare uno scenario simile per un’influenza, un braccio rotto o una brutta emicrania.

50&Più | marzo 2024 10

Alcuni fenomeni che sono emersi dopo la pandemia, diventando sempre più rilevanti, possono essere compresi all’interno di un contesto diffuso di disagio lavorativo. Uno di questi è il quiet quitting letteralmente, il “licenziarsi in silenzio” l’“abbandono silenzioso”. L’espressione si è diffusa partendo dai social media e, come antidoto allo stress cronico, propone di fare solo il minimo indispensabile, limitandosi a rispettare i requisiti minimi e gli orari stabiliti dal proprio contratto, ma evitando di assumersi ogni ulteriore responsabilità o impegno. Ciò potrebbe significare non intervenire durante le riunioni, non offrirsi volontario per compiti aggiuntivi e rifiutarsi di fare gli straordinari. In pratica, limitarsi allo stretto neces-

sario per evitare di perdere il posto. È la manifestazione di una più ampia tendenza a rifiutare il successo professionale come fulcro dell’esistenza. A rifiutare la premessa stessa che valga la pena prendere sul serio le dinamiche lavorative, l’ambizione, il desiderio di scalare le gerarchie. Una forma di difesa da dinamiche considerate insalubri, ma che allo stesso tempo mostra un’allarmante rassegnazione rispetto allo status quo, un ripiegarsi in soluzioni individuali, minuscole, e l’incapacità di immaginare un miglioramento se non collettivo, perlomeno personale.

Il sintomo più preoccupante e sistemico è forse questo: la rassegnazione. Scegliere di abbandonare la propria professione licenziandosi o praticar-

la facendo il minimo indispensabile, può essere una risposta razionale a uno stato d’ansia persistente o allo stress che si è accumulato nel tempo. Provare rimedi quali la psicoterapia, l’uso dei farmaci o la meditazione è sano e auspicabile. Ma perché non siamo capaci di concepire prospettive migliori? Un problema così comune non può essere solo individuale, come sembra a chi è in preda a un malessere profondo e solo apparentemente solitario, ma richiede un ripensamento del modo stesso in cui viviamo. Bisogna essere capaci di tornare a coltivare un’immaginazione collettiva. Un altro modo per chiamare la politica, nella sua accezione più nobile: l’unico vero rimedio alla rassegnazione.

50&Più | marzo 2024 11

Il terzo tempo

IL CORPO TOGLIE VOCE ALLE DONNE

Incomincerò da una toccante citazione di Guerra e Pace . Se non l’avete mai letto leggetelo, c’è dentro tutto il mondo.

“Il principe Andrej non soltanto sapeva di dover morire, ma si sentiva morire, sentiva già d’essere morto a metà. Egli aveva la coscienza di essere estraneo ad ogni cosa terrena e di sperimentare una lieta e strana facilità ad esistere. Senza fretta e agitazione aspettava ciò che gli sarebbe toccato. Quella cosa minacciosa, eterna, sconosciuta e lontana, la cui presenza non aveva mai cessato di sentire durante tutta la sua vita, ora gli era vicina e - per quella strana facilità ad esistere che provava - gli era quasi comprensibile e sensibile”. Nel suo maestoso romanzo, Lev Tolstoj così racconta un uomo di fronte alla morte: il principe Andrej, ferito gravemente nella battaglia di Borodino, nella guerra contro Napoleone, pur provando “una strana facilità ad esistere”, o forse proprio perché finalmente la prova, si lascia morire, nonostante le cure affettuose di Sonja.

La vecchiaia degli uomini, nella letteratura, si misura quasi sempre in distanza dalla morte.

Nella letteratura, perciò, l’uomo invecchia a qualsiasi età. Anche quando è molto giovane.

Diverso e più concreto si fa il discorso quando si parla della vecchiaia delle donne.

Perché le donne assai più degli uomini devono fare i conti con il corpo, sono innanzitutto corpi, le donne. Il corpo delle donne è stato, fin dalla notte dei tempi, l’involucro che spinge il maschio ad accoppiarsi con la femmina e la specie a perpetuarsi. Deve essere bello, attraente, desiderabile.

Come la livrea primaverile di certi uccelli.

Il corpo della donna è al servizio della specie.

E la donna che lo abita deve averne cura, mantenerlo fresco, migliorarlo, usarlo per ricevere status, un tetto sulla testa, nutrimento per sé e per i figli. Il corpo delle donne è bottino di guerra quando gli uomini si combattono fra loro.

50&Più | marzo 2024 12

Oggetto del nemico per sfregio, per disprezzo, per imporre la sua legge, per sottolineare la sua supremazia, per torturare psicologicamente gli avversari.

Attraverso il corpo della donna si celebra la vittoria, si enfatizza la sconfitta, si esaspera l’odio. Le cose sono cambiate molto meno di quanto amiamo pensare. Basterebbe il ritmo tragico dei femminicidi a ricordarcelo.

Il corpo delle donne è e resta un oggetto. Continua ad essere un oggetto. Anche se nessuno osa dirlo apertamente.

Il corpo può essere una condanna, per le donne, signoreggia sulle loro vite, la fa da padrone. E questo da subito. Sempre e per sempre. Fino alla fine.

Finché sono stati soltanto gli uomini a pubblicare romanzi e poemi (non a scrivere, a pubblicare) il corpo delle donne è stato luminoso e perfetto, giovane e voluttuoso. Mai vecchio, mai grasso, elegante nella malattia, adorabile nella morte.

Da quando sono le donne, sempre più spesso, a scrivere romanzi e a pubblicarli, il corpo femminile è raccontato, sempre più spesso, come un problema, come il responsabile di un cronico senso di inadeguatezza, come una fonte di sofferenza mentale.

Sia il corpo/piacere della sensualità realizzata, sia il corpo/limite della malattia e della vecchiaia. Il corpo è la parte di sé con cui la donna è costretta ad identificarsi. Le piaccia o no. Sempre. Ascoltate la voce di una delle madri fondatrici del femminismo anglosassone:

“Ogni donna sa bene che, a prescindere da tutti i traguardi che possa avere conseguito, se non è bella è un fallimento. Sa anche

che, per quanto bella possa essere, la bellezza, giorno dopo giorno, furtivamente, la abbandona. Fosse anche dotata della bizzarra avvenenza delle top model, le cui immagini vede riprodotte intorno a sé fino al punto di esserle più famigliari dei lineamenti della propria madre, non sarà mai bella abbastanza. Ci saranno sempre parti di lei inadeguate: le ginocchia, i piedi, i glutei, i seni. (...) È un essere umano, non una dea né un angelo”.

Così l’australiana Germaine Greer, saggista, femminista, scrive nel suo La donna intera, 1999, pubblicato in Italia da Mondadori nel 2000.

C’è un nome per la malattia che descrive: Body Dysmorphic Disorder, BDD.

È la Sindrome dismorfica che avvelena la vita delle adolescenti quando si ammalano per essere più magre e delle “anziane” quando devono fare i conti con tragedie come la “prova costume” o le rughette sopra le labbra meglio note come “codice a barre”.

Anche se le donne sopra i sessanta sono sempre di più, il modello di bellezza resta fissato ai 23 anni. Agli uomini nessuno chiede di restare giovani e belli per tutta la vita. Alle donne sì.

Noi donne dobbiamo vestire per 86 anni (tale è la nostra prevista media longevità) la livrea degli oggetti di desiderio. Vi pare giusto?

PARLIAMONE

Per scrivere a Lidia Ravera

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50&Più | marzo 2024 13

“ANNI POSSIBILI”

SE I SERVIZI E LE CITTÀ

FUNZIONANO

Potrebbe sembrare retorico affermare che la vita delle persone anziane è “vita buona” solo se esistono sistemi di supporto che permettono di conservare la salute del corpo e della

mente durante il trascorrere degli anni. In questa prospettiva vorrei riassumere schematicamente quali sono, a mio giudizio, i servizi indispensabili e quale deve essere lo stile organizzativo per le città. Un

riassunto realistico, perché le indicazioni teoriche, spesso massimaliste, non portano alcun vantaggio all’organizzazione sociale. Infatti, i limiti organizzativi, economici, di personale non possono essere trascurati, perché qualsiasi buona idea cammina sulle gambe delle potenzialità concrete che una comunità può realizzare con gli strumenti a sua disposizione. Premetto anche un’altra condizione importante: per realizzare seriamente una possibile “vita buona” occorre grande impegno di studio e sperimentazione. Infatti, l’invecchiamento della popolazione è avvenuto in tempi così veloci che non hanno funzionato i sistemi spontanei di adattamento delle società, come è stato per secoli. Oggi bisogna precedere gli adattamenti naturali, perché avverrebbero troppo lentamente rispetto alle esigenze concrete delle nostre comunità; c’è bisogno di pensiero, di studio, di sperimentazioni, di verifica dei risultati. E, invece, purtroppo in que -

50&Più | marzo 2024 14
Anni possibili

sti anni sono mancati proprio questi investimenti in cultura da parte del mondo politico e da quello dei privati; anche l’attuale enfasi sull’intelligenza artificiale non sembra mirata ad affrontare queste tematiche. Dedico le prossime righe a delineare i servizi per le persone anziane che conservano la propria autonomia e hanno una condizione di salute in equilibrio. A loro bastano atti di accompagnamento e di cura anche “leggeri”, che normalmente producono risultati di buon livello e quindi con un rapporto costo-beneficio molto favorevole.

Mi riferisco prima di tutto all’organizzazione della città che deve essere “gentile” verso le persone non più giovani. Recentemente Confcommercio ha pubblicato dati drammatici sulla desertificazione dei nostri centri urbani a causa della progressiva chiusura di realtà commerciali di ogni tipo. Il fatto ha ricadute drammatiche sulla qualità della vita delle persone non

più giovani, che così perdono luoghi di incontro e di scambio, realtà amiche dove rivolgersi per qualsiasi esigenza. Inoltre, la mancanza di punti di riferimento fuori dalla casa induce a non uscire, riducendo di fatto sia l’attività motoria sia la possibilità di incontro con altre persone, fonte di stimolazione psichica. Recentemente si è avuta notizia che il Comune di Milano ha

di affrontare l’uscita anche da parte di chi non ha più un’adeguata forza muscolare. Si deve ricordare lo scandalo di edifici di proprietà degli Istituiti Autonomi Case Popolari che sono abbandonati, con gravi conseguenze non solo per quanto riguarda gli ascensori, ma anche la manutenzione delle scale, la pulizia delle parti comuni, la prevenzione della violenza. Sembrerebbe che le

La vita delle persone anziane è “vita buona”

solo se esistono sistemi di supporto che permettono di conservare la salute del corpo e della mente durante il trascorrere degli anni

dedicato stanziamenti rilevanti per evitare il processo di desertificazione urbana, supportando in maniera mirata alcune attività commerciali. Vedremo se questi interventi, augurandoci che siano presi anche da altri comuni, potranno indurre un ritorno indietro rispetto ad un processo che sembra non avere ostacoli; potrebbero avere un ruolo molto importante per rendere “possibili” (o quanto meno migliori) gli anni di tanti nostri connazionali.

Sempre rispetto agli interventi a favore delle persone perché possano vivere nel proprio domicilio - ricordiamo l’adagio degli antichi domus propria, domus optima (casa propria, casa ottima ndr) - si collocano anche scelte a favore dell’organizzazione degli edifici. In alcune aree ormai vi sono grandi edifici abitati quasi esclusivamente da persone anziane. Sarebbero quindi necessari interventi per la costruzione di ascensori che permettano l’uscita di casa di chi abita ai piani alti. Spesso si tratta solo di garantirne la manutenzione, per evitare che gli anziani si sentano “incarcerati” per tempi lunghi, quando basterebbero un po’ di interventi mirati per permettere

pubbliche autorità non abbiano a cuore la possibilità per gli anziani di avere una “vita buona”, esprimendo al meglio le proprie potenzialità, anche al servizio della comunità. Pare che molti Comuni non abbiano capito che pochi interventi mirati possono rendere disponibili per la vita collettiva molte energie espresse dalle persone anziane, importanti per le comunità, diventando allo stesso tempo occasione di stimolazione fisica e psichica per chi non è più giovane. Nelle rubriche dei prossimi mesi descriverò la migliore organizzazione dei servizi per le persone affette da malattie croniche, con problemi di autosufficienza. Perché per tutti deve essere possibile una “vita buona”.

PARLIAMONE

Per scrivere a Marco Trabucchi

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50&Più | marzo 2024 15

PER UN SISTEMA AGRICOLO AMICO DELLA SALUTE

Pesticidi, nitrati, antibiotici, tra i motivi delle proteste degli agricoltori che hanno invaso le strade di mezza Europa, c’è il piano europeo “Farm to Fork”, dal produttore al consumatore, che prevede di diminuire l’uso dei prodotti chimici in agricoltura. Un provvedimento molto ambizioso che ha come obiettivo principale il passaggio a un sistema alimentare

sostenibile, con la riduzione del 25% dei pesticidi entro il 2030 e l’aumento dei terreni coltivati ad agricoltura biologica, sempre entro lo stesso orizzonte temporale.

Se è vero che l’utilizzo di queste sostanze chimiche in agricoltura ha permesso negli anni un incremento della produzione agricola e la protezione delle colture dai parassiti, è altrettanto vero che sono ormai am-

50&Più | marzo 2024 16 Effetto Terra

piamente documentati i rischi per la salute umana legati all’utilizzo dei pesticidi.

Con i pesticidi, infatti, abbiamo un serio problema: possono ritrovarsi nel cibo che mangiamo, nell’acqua che beviamo e nell’aria che respiriamo. Ad esempio, l’uso di nitrati in agricoltura rappresenta una fonte d’inquinamento delle falde acquifere che può avere effetti pericolosi sulla salute dell’uomo.

Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, quasi tutte queste sostanze rientrano fra gli “interferenti endocrini” e cioè interferiscono con il funzionamento del sistema endocrino e riproduttivo. L’Associazione Italiana Medici per l’Ambiente fa riferimento ad una recente revisione per identificare i rischi per la salute umana da espo-

sizione a pesticidi: danni al sistema immunitario, danni riproduttivi, in particolare riduzione della fertilità maschile, danni al sistema endocrino (in particolare alla tiroide), danni neurologici/cognitivi. Particolarmente interessante appare l’aumentato rischio di patologie neurodegenerative degli adulti, quali il Parkinson,

occupati per la propria sopravvivenza economica. Ma la strategia “Farm to Fork” rappresenta davvero una minaccia per la produzione agricola? L’argomentazione principale usata dagli agricoltori è che alla riduzione dei pesticidi corrisponda una riduzione delle rese agricole e quindi del reddito. In realtà, recenti studi dimo-

«Si fa sempre più largo l’agroecologia un insieme di pratiche basate sull’eliminazione progressiva dei fertilizzanti sintetici e sulla ridistribuzione di praterie naturali»

in seguito al consumo di acqua contaminata da pesticidi.

Se poi guardiamo ai dati dell’ultimo report di Legambiente Stop ai pesticidi nel piatto, secondo cui il 67,96% dei campioni di frutta contiene tracce di pesticidi, il quadro è sempre meno confortante.

Per questo da anni a Bruxelles si discute sulla necessità di agganciare i finanziamenti all’agricoltura (PAC), che rappresentano circa un terzo del bilancio europeo, agli obiettivi di sostenibilità, a dire il vero senza grandi risultati.

Vale la pena ricordare che il Parlamento europeo ha già bocciato una proposta di riduzione del 50% dei pesticidi, dopo le molte pressioni delle associazioni di categoria. Non solo. La Commissione europea ha deciso di rinnovare per altri dieci anni l’uso del glifosato, l’erbicida che l’Agenzia Internazionale di Ricerca sul Cancro ha classificato come probabile cancerogeno per le persone. Decisioni che di fatto hanno già depotenziato gli obiettivi del Green Deal, il grande piano ambientale voluto da Bruxelles che dovrebbe condurci ad emissioni zero nel 2050. La difficile sfida è dunque tra i cittadini preoccupati per la propria salute e gli agricoltori pre-

strano come l’efficienza economica dell’uso dei pesticidi sia diminuita a causa dell’inquinamento del suolo provocato dalle stesse sostanze chimiche, mentre l’agricoltura biologica, nonostante abbia rese più basse, sia significativamente più redditizia di quella convenzionale.

Per questo, si fa sempre più largo l’agroecologia, cioè un insieme di pratiche agricole che si basa sull’eliminazione progressiva dei fertilizzanti sintetici, sulla ridistribuzione di praterie naturali e sull’ampliamento di infrastrutture naturali come siepi, alberi, stagni, capaci di interagire positivamente con il territorio e il paesaggio. Intraprendere nuove strade è diventata ormai una necessità per fermare i pesticidi, una risposta necessaria per il passaggio ad un sistema agricolo amico dell’ambiente e della nostra salute.

PARLIAMONE

Per scrivere a Francesca Santolini

posta - C/O Redazione 50&Più via del Melangolo, 26 - (RM) fax - 066872597 email - redazione@50epiu.it

50&Più | marzo 2024 17

LA CITTADINA AUSTRALIANA DOVE SI VIVE SOTTOTERRA

a cura di Dario De Felicis

Coober Pedy è la capitale mondiale dell’opale. È anche un luogo dove il tempo sembra essersi fermato, qui la natura e l’uomo hanno trovato il modo di convivere in armonia

In un’area desertica dell’Australia meridionale, a circa 850 km da Adelaide, esiste una cittadina unica al mondo: Coober Pedy. Ha una particolarità: la maggior parte dei suoi 2.500 abitanti vive 4 metri sotto terra, in case scavate nella roccia arenaria, chiamate “dugouts”. Ma non si cada nell’inganno immaginando piccoli bunker sotterranei; si tratta di case moderne, dotate di elettricità e acqua corrente. E se in superficie la comunità sembra essere un posto piuttosto deserto, con poche case, qualche ristorante, una stazione di polizia, una scuola, un ospedale, la cittadina sotterranea è tutta da scoprire. Non mancano ristoranti, hotel, chiese, musei, gallerie d’arte e negozi. Molti di questi locali sono stati ricavati da miniere dismesse e sono collegati tra loro da una rete di gallerie. Alcune case sotterranee sono dotate di tutti i comfort, piscine, caminetti e arredi di lusso, un esempio lampante dell’ingegno umano. Altre sono più semplici e rustiche ma tutte hanno in comune un buon sistema di ventilazione, per assicurare la circolazione dell’ossigeno e la fuoriuscita dell’umidità. L’accesso all’appartamento avviene, in genere, a livello strada e la casa si estende in orizzontale al di sotto della collina. A prescindere dalla temperatura esterna, l’arenaria protegge e isola le abitazioni, regolando la quantità di umidità e rendendo lo spazio interno insonorizzato. Storicamente, Coober Pedy deve il suo nome a una parola aborigena che significa “bucato dell’uomo bianco”, in riferimento ai primi minatori che si stabilirono nella zona nel 1915, dopo la scoperta di ricchi giacimenti di opale, una pietra preziosa molto rara e ricercata, che si forma in cavità sotterranee riempite di acqua. Oggi Coober Pedy è considerata da tutti la “capitale mondiale dell’opale”, in quanto produce il 90% dell’opale bianco e il 70% dell’opale nero del mondo. L’attività mineraria è ancora la principale fonte di reddito per la città, ma negli ultimi anni la comunità locale si sta impegnando attivamente nel promuovere un turismo sostenibile, cercando di preservare l’ambiente naturale e la cultura nativa. Inoltre, gli operatori turistici offrono visite guidate nelle miniere di opali dismesse e nelle abitazioni sotterranee, offrendo un’esperienza unica ai visitatori. Un viaggio a Coober Pedy che vale la pena intraprendere, soprattutto se si ha il desiderio di immergersi in una realtà diversa, una realtà lontana che sfida le convenzioni e dimostra come l’uomo sia in grado di adattarsi a condizioni ambientali difficili e diverse.

Periscopio

In giro per il mondo

UN NUMERO MISTERIOSO

Il pi greco, uno dei più noti e misteriosi numeri matematici, ha una lunghezza infinita di cifre decimali che non si ripetono mai in modo regolare. Qualcuno si diverte a memorizzare quante più cifre possibili di pi greco, come Rajveer Meena che, nel 2015, ha guadagnato il record recitando a memoria 70.000 cifre di pi greco in 10 ore.

www.focus.it

NÉ TIGRE NÉ LEONE

Il ligre, animale raro che si trova solo in cattività, è un ibrido ottenuto dall’unione di un leone maschio e una tigre femmina. Può raggiungere i 350 cm di lunghezza e i 125 cm di altezza al garrese, e arrivare a pesare oltre 400 kg. Il suo aspetto è una combinazione delle caratteristiche delle due specie.

www.biopills.net

UN PROTOTIPO “VIOLA”

In origine, il nome in codice del primo iPhone era “Purple”. Il nome era stato scelto da Steve Jobs, che voleva che l’iPhone fosse associato a qualcosa di elegante e lussuoso e perché era un nome breve e facile da ricordare. Jobs voleva anche che il nome fosse in linea con il nome di altri prodotti Apple, come iMac e iPod.

www.apple.com

A PROPOSITO DI...

Considerando la piattaforma Spotify come la più utilizzata al mondo, la canzone più ascoltata di tutti i tempi è Shape of You di Ed Sheeran, con oltre 2,7 miliardi di stream.

Nel 1995, il pianista irlandese Sean Shannon ha recitato il soliloquio di Amleto “essere o non essere” in 23,8 secondi, diventando l’uomo più veloce nel parlare di sempre.

DOVE DIMORA LA SAPIENZA

La Biblioteca di Alessandria, in un momento di particolare splendore, ospitava una quantità enorme di libri e di sapere. Si stima che, al tempo di Tolomeo II Filadelfo, i rotoli conservati fossero tra i 490.000 e i 700.000. La biblioteca era divisa in due parti: la principale, situata nel Palazzo reale, e la Biblioteca del Serapeo.

www.storicang.it

IL DENTE SCANDINAVO

Il nome Bluetooth (“dente blu”) inventato negli anni ‘90 da un ingegnere Intel, deriva dal soprannome di Harald Blåtand, re di Danimarca dal 970 al 986. La tecnologia Bluetooth è stata così definita per la capacità di unire diversi dispositivi, proprio come Harald Blåtand unì diversi regni scandinavi.

www.nationalgeographic.it

ODORE DI CUCCIOLO

I pinguini possono distinguere il richiamo del loro partner da quello di altri individui della stessa specie, anche in mezzo al rumore di fondo. Questi animali possono anche identificare la prole dal loro profumo. Hanno la capacità di navigare attraverso colonie affollate e trovare la strada utile a tornare dai cuccioli.

www.animalqueries.com

IN NUMERI – GLI SCRITTORI PIÙ PROLIFICI

In letteratura esistono autori di ogni genere e stile. Tra questi, ce ne sono alcuni che si distinguono per la loro prolificità, ovvero per la capacità di produrre un gran numero di opere in un periodo di tempo relativamente breve. Qualcuno tra loro ha realizzato opere che hanno avuto un impatto significativo sulla cultura, qualcun altro forse meno. Eppure tutti sono uniti da un’unica caratteristica: la soddisfazione di scrivere il più possibile, per esprimere la propria creatività e condividere le idee con il mondo.

50&Più | marzo 2024 19
NUMERI RECORD
PAROLE IN VELOCITÀ
4.000 libri
STRATEMEYER
1.300 libri
INOUE
1.086 libri
BOSWORTH PAINE (USA,
1.000 libri
MUSICA SENZA LIMITI
CORIN TELLADO (SPAGNA, 1927-2009) oltre
EDWARD
(USA, 1862-1930) oltre
RYOKI
(BRASILE, 1946)
LAURAN
1916-2001) oltre

Personaggi

«Narrare è sempre stato il mio mestiere Scrivo, racconto urlo, piango È tutto parte della stessa passione»

ANDREA PENNACCHI «SONO UN AMANTE DELLE STORIE»

Dopo anni di palcoscenico l’attore padovano approda anche al cinema e in televisione interpretando serie di successo: «Il mestiere è sempre lo stesso, cambiano forme e regole»

Ha una lunga carriera teatrale alle spalle, ma il grande pubblico lo ha scoperto più recentemente. Prima nella trasmissione Propaganda Live nei panni del Pojana, poi nelle serie Petra, dove interpreta il vice ispettore Antonio Monte al fianco di Paola Cortellesi, e Tutto chiede salvezza di Francesco Bruni, nel ruolo di Mario, grazie al quale ha vinto un Nastro d’Argento come “Miglior attore non protagonista”. Dopo averlo visto anche lo scorso febbraio in tv tra i protagonisti del film La Rosa dell’Istria, Andrea Pennacchi, padovano, 54 anni, è tornato al suo primo amore, il teatro. Sarà in tournée, in giro per l’Italia fino ad aprile, con lo spettacolo Arlecchino?, diretto da Marco Baliani. Pennacchi, come mai Arlecchino? con il punto di domanda? È un modo per mettere in discussione la tradizione, con il massimo rispetto e vitalità. Io, Marco e il resto degli attori veniamo dal teatro di ricerca e abbiamo voluto testare un classico come Arlecchino servitore di due padroni di Carlo Goldoni, anche con la complicità dell’autore che lo ha scritto nel Settecento, regalandoci un testo ancora giovane.

Allora non è una frase fatta

quando si dice che i classici sono senza tempo.

Lo sono per un motivo. Io mi ci sono avvicinato pensando che fossero addirittura noiosi e invece mi sono accorto che sono testi radianti, vivi e pieni di energia. Hanno solo bisogno di essere rispolverati un po’ in superficie. Ha rivisitato anche i poemi di Omero, portandoli in tv. È ancora possibile restituire al grande pubblico la potenza di testi come questi?

La loro potenza parla da sola. Risco-

prirli ha fatto bene prima di tutto a me. Una volta che riescono a raggiungere l’orecchio, l’occhio, l’attenzione dello spettatore non c’è storia. Anche senza gli effetti speciali, Omero rimane più avvincente degli Avengers. Prendendo in prestito il titolo di una delle sue riletture, considera il suo mestiere “una piccola Odissea”?

Direi piuttosto una “grande Odissea”, da un teatro all’altro, dai set ai festival. Ma alla fine l’immagine del guitto viaggiante sulle scene mi ha sempre affascinato. E per fortuna non c’è Circe a trasformarmi in un porseo (maiale in veneto, ndr). Già nella vita siamo eredi di Odisseo, e lo siamo anche in questo mestiere. In questo momento che peso ha la cultura nel nostro Paese?

Direi scarsetto, politicamente. Non c’è un’idea generale di come aiutare a far crescere e sostenere la cultura italiana, neanche un’idea di quanto sia importante. Ma alla fine siamo noi a decidere che peso ha. Per fortuna ci sono ancora persone che fanno cultura e che hanno voglia di andare a teatro o al cinema, e di vedere serie che hanno tanto da raccontare.

L’attore in una scena dello spettacolo teatrale Arlecchino?

FOTO SERENAPEA 50&Più | marzo 2024 21

Personaggi

Anche grazie alle serie il grande pubblico l’ha scoperta in tv.

All’inizio questa cosa mi faceva molto ridere. C’era chi mi chiedeva: ma dove ti eri nascosto? Ho fatto teatro per molti anni. Poi è arrivata l’occasione di fare altro. Il mestiere è sempre lo stesso, solo attraverso forme e regole diverse.

Il suo Mario di Tutto chiede salvezza ha saputo conquistare gli spettatori.

Ho avuto la fortuna di interpretare un personaggio decisamente forte, che resta nel cuore. Ma la vittoria è di squadra. È una serie scritta benissimo che ha il pregio di affrontare con sensibilità un tema (quello della malattia mentale, ndr) di cui si parla ancora troppo poco.

Anche il vice ispettore Monte di Petra mostra una sensibilità assai lontana dall’immagine del poliziotto che spesso ci ha consegnato la tv americana.

Sono cresciuto in un ambiente in cui il maschio doveva mostrare forza e combattività. Ma le debolezze e le fragilità ti scavano dentro ed è importante mostrarle. Monte trova in Petra un’amica che lo aiuta e lo sprona. La forza della serie, come dei romanzi, è che, oltre a essere un giallo, è un’esplorazione di relazioni umane.

Ci sarà una terza stagione?

Dovremmo tornare sul set la prossima estate, stiamo solo aspettando la conferma.

L’abbiamo vista recentemente anche nel film tv La Rosa dell’Istria, sulla tragedia degli esuli italiani dai territori dell’Istria e della Dalmazia durante e dopo la Seconda guerra mondiale. Come attore e uomo ho sentito forte la responsabilità di raccontare questa storia dimenticata e cancellata da logiche di schieramento. Una storia drammatica di deboli che vengono

schiacciati dai forti. Spero che il mio personaggio, Antonio, sia riuscito a trasmettere al pubblico tutta la sua grande umanità.

A questo punto della sua carriera, in che modo sceglie i progetti? In generale in base all’interesse e soprattutto alla possibilità di divertirmi. Certo, poi devo esser convinto del progetto in sé. Io sono un amante delle storie, quando incontro quelle che posso raccontare allora dico di sì. Sul suo profilo Instagram si definisce proprio “storyteller innamorato delle storie”. Oggi è più difficile scriverle o raccontarle?

Raccontarle è sempre stato il mio mestiere, anche quando stavo dietro il bancone di un bar o facevo formazione nelle scuole. Scrivo, racconto, urlo, piango. È tutto parte della stessa passione.

I social sono uno strumento utile per raccontare più chi si è o cosa si fa?

Io li uso perché voglio che la gente venga a vedere gli spettacoli che fac-

cio. Poi, se si parla di un attore, la differenza tra chi si è o cosa si fa non è poi enorme.

Il pubblico la conosce anche per il Pojana. Questo personaggio quanto è specchio della nostra società?

È una maschera che riassume in sé esperienze vere vissute tra capannoni e tangenziali del Nord-Est, figure mitologiche di un’antropologia da Gazzettino e contraddizioni imparate tra scuola, osterie e campi da rugby. Il Pojana è rozzo e brutale, ma non stupido. È un demone piccolo, non privo di saggezza, che è dentro ognuno di noi. E il Pojanistan è una terra che vive di paradossi estremi e provocazioni, per questo risulta universale. In fondo tutti possiamo essere delle Pojane.

Il Pojana è un personaggio anche dalle ambizioni cinematografiche?

Con colleghi e amici ho scritto la sceneggiatura di un film. Speriamo di vederlo presto anche sul grande schermo.

50&Più | marzo 2024 22
Andrea Pennacchi durante uno spettacolo dal vivo FOTO JACKPACK

FONDAZIONI

PROTAGONISTE DEL BENE COMUNE

Sono veicoli che trasformano risorse finanziarie in progetti positivi per la società. Un tipo di ente privato senza scopo di lucro con una visione strategica e di lungo periodo: le fondazioni. Queste organizzazioni possono aiutarci a costruire un tessuto sociale più resiliente e inclusivo. La loro missione, portata avanti con discrezione e impegno, spazia dalla salute all’istruzione, dal sociale al benessere, passando per il supporto agli anziani, fino all’ambiente, l’arte e la ricerca scientifica. Come nascono e cosa fanno? Le fondazioni si costituiscono quando qualcuno - una persona o anche un ente - si pone come obiettivo quello di destinare parte delle proprie risorse a favore del bene pubblico. Come prima cosa è necessario produrre un atto di fondazione che spieghi lo scopo dell’organizzazione, quanto denaro o beni abbia, chi la dirige, le regole

Operano per il benessere della comunità e per il cambiamento. Da quest’anno nel panorama del non profit, si affaccia anche

Fondazione 50&Più: con uno sguardo verso il futuro e pronta a nuove sfide sociali

di Dario De Felicis

che devono essere seguite (meglio: il codice etico?) e un atto di dotazione che trasferisca i beni alla fondazione. A questo punto, per dare inizio alla propria attività, la fondazione ha bisogno di un riconoscimento legale, che può essere conferito - in base ai suoi scopi - dal prefetto, dal Ministero dell’Interno, dei Beni Culturali o da quello dell’Istruzione. Un passaggio, quest’ultimo, che serve ad assicurarsi che l’ente stia operando nel modo giusto.

In Italia esistono diversi tipi di fon-

dazioni, ad esempio Bancaria, di Comunità, di Impresa, di Famiglia, etc. Ognuna con uno scopo specifico e un modo unico di operare. Le fondazioni di origine Bancaria, ad esempio, hanno come principale obiettivo quello di promuovere lo sviluppo economico e sociale del territorio in cui operano. Quelle di Comunità, invece, nascono per migliorare la qualità di vita della comunità locale, agendo come intermediarie tra le diverse parti sociali

segue a pag 26

Attualità 50&Più | marzo 2024 24

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Diamo vita ad azioni concrete per garantire i diritti delle persone anziane e costruire un futuro inclusivo e solidale, per tutti.

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ETS
INFORMAZIONE PUBBLICITARIA

presenti nella zona, lavorando insieme per affrontare i bisogni emergenti e promuovere la cultura del dono. Le fondazioni di Impresa lavorano per migliorare l’impatto sociale delle aziende, mentre quelle di Famiglia per preservare e dare continuità a una parte del patrimonio familiare, utilizzandolo anche per scopi sociali e solidali.

Da quest’anno si aggiunge una nuova realtà al vasto panorama degli enti non profit in Italia: è la Fondazione 50&Più. Un organismo impegnato nella promozione di progetti civici e socialmente utili, con particolare attenzione alla difesa dei diritti delle persone anziane, nata per contribuire così a una società più inclusiva e solidale.

Questi tipi di organizzazioni - libere finanziariamente - non perseguono il profitto. Proprio per questo sanno adattarsi velocemente alle nuove necessità e affrontare in modo dinamico le sfide della comunità. La loro flessibilità economica gli consente di investire risorse in settori che richiedono attenzione in determinati momenti e risolvere così problemi urgenti là dove serve.

Grazie anche alle loro caratteristiche, le fondazioni agiscono come “catalizzatori di cambiamento”. Finanziando progetti innovativi e ricerca, investendo in iniziative sociali e culturali, alimentano un ciclo virtuoso di progresso. La loro attività, tuttavia, va anche oltre il semplice erogare fondi: fungono da forza trainante, ispirando innovazione e trasformazione nella società.

Un ulteriore punto di forza delle fondazioni, infatti, è rappresentato dalla loro visione a lungo termine. Questa prospettiva consente loro di affrontare problemi complessi con un margine

di azione che va oltre il breve termine, cercando soluzioni sostenibili e durature. Spicca poi un’altra dote, propria delle onlus: la collaborazione tra istituzioni. Queste strutture non profit spesso lavorano in partenariato con organizzazioni, istituzioni governative e aziende private per massimizzare l’impatto delle loro azioni. Una sinergia che consente di combinare risorse, competenze e prospettive diverse, generando soluzioni ancora più complete ed efficaci.

Per capire meglio l’attuale situazione delle fondazioni nel nostro Paese basta dare uno sguardo ai risultati del Censimento permanente Struttura e profili del settore non profit fornito dall’Istat (dati 2020). In Italia, dal 1982 - anno della prima rilevazione - c’è stata una crescente costituzione di fondazioni: da 1.845 si è arrivati a quasi 8.300 nel 2020 per un totale di circa 150.000 dipendenti, con una concentrazione geografica maggiore nel Nord Ovest. Tra i principali settori

in cui operano spiccano la sanità, l’assistenza sociale e la protezione civile (2.513), l’istruzione e ricerca (2.110), le attività culturali e artistiche (1.599), le attività sportive, ricreative e di socializzazione (561) e, infine, la filantropia e il volontariato (463). Il quadro che emerge mostra il loro grande peso sociale, sebbene necessitino di un costante supporto da parte di tutti, a seconda della loro natura, della loro missione e delle loro modalità di intervento, per mantenersi attive. Oltre che fare donazioni, naturalmente, si può collaborare con queste istituzioni, attraverso la divulgazione dei loro obiettivi oppure sostenendo le loro cause con il volontariato.

In un periodo come quello attuale, carico di sfide globali, le fondazioni assumono un ruolo ancora più importante. Sono un punto di partenza per un cambiamento positivo, la stella polare verso un futuro più sostenibile per tutti.

Attualità segue da pag 24
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Premi

VITE IMPERFETTE

IL VALORE DELLA FOTOGRAFIA

Barbara Cannizzaro vince il premio IgersItalia 2023 nella categoria ‘Ritratti’ La sua opera - Virginia - racconta la storia di una donna con alopecia e il suo desiderio di normalità

di Donatella Ottavi

Si intitola ‘Virginia’ l’opera vincitrice dell’undicesima edizione del Premio Fotografico Nazionale IgersItalia. A realizzarla, Barbara Cannizzaro, impegnata nella fotografia sociale, che ha spiegato: «Virginia, affetta da alopecia universale dall’età di 14 anni, è una splendida giovane donna, dolcissima e sensibile. L’ho incontrata a Perugia, a casa del suo compagno, perché lei aveva il desiderio di raccontare l’amore capace di superare tabù e stereotipi e di essere sé stessa senza paura dei giudizi del mondo. Così è nata questa immagine, una calda mattina di dicembre, affacciata ad una finestra, abbracciata dal sole». Barbara Cannizzaro, romana, classe 1973, è prima classificata nella categoria “Ritratti”. Le premiazioni del Concorso, patrocinato dal Ministero della Cultura e volto a valorizzare le migliori produzioni di amatori e professionisti pubblicate su Instagram, si sono svolte lo scorso gennaio negli studi di Cinecittà, in una gremita Sala Fellini. Educatrice e assistente sociale, con un master in fotografia terapeutica, Cannizzaro cura la sua passione studiando presso Officine fotografiche e il Centro di Fotografia Sperimentale Adams di Roma. Da sempre attenta a tematiche sociali, attraverso i suoi scatti intende veicolare e sostenere messaggi concreti. Per questo motivo promuove iniziative su body shaming (derisione dell’aspetto fisico ndr) e body positivity (accettazione del proprio corpo ndr), disturbi alimentari e rielaborazione del sé a seguito di importanti malattie, fino a giungere al suo progetto più recente: Vite imperfette, che la porta in tutta Italia per raccontare la quotidianità di donne ‘non conformi’.

«Racconto la vita che non si vede di ragazze e donne normali, “modelle” che rappresentano la bellezza fuori dagli schemi e che hanno trovato il coraggio di mostrarsi. Giro

l’Italia, le incontro e ascolto le loro storie, quelle di chi ha deciso di raccontare difficoltà e sogni attraverso le mie immagini», ha detto. Nel dettaglio, ha spiegato: «Si tratta di vite uniche ma che somigliano a tante vite, unite dalla convinzione che essere sé stesse, e raccontarlo, sia la via migliore per aiutarsi e aiutare. Il progetto, nato in collaborazione con l’agenzia di moda inclusiva I’mperfetta project, è aperto a chiunque senta la necessità di condividere la propria storia imperfetta. Sono profondamente convinta che la condivisione sia un potente mezzo di autocura e cura».

Come Virginia, molte donne hanno deciso di parlare attraverso il riflesso della loro immagine per condividere storie, per superare timori, per mostrarsi nella loro unicità. Per sentirsi libere di essere.

FOTO BARBARA CANNIZZARO

Nell’ultima immagine che lo ritrae Alexei Navalny è solo, dietro le sbarre di una gabbia, pronto a fare una battuta. «Sto rimanendo senza soldi, un giudice ben pagato come lei potrebbe farmi un prestito», corte, magistrato, avvocati, tutti sorridono. L’oppositore più temuto da Vladimir Putin era interamente dentro questa frase. Anche costretto in condizioni miserabili, non aveva perso la necessità di usare l’ironia contro il sistema che gli ha tolto la libertà, e la vita. Navalny era in videocollegamento dalla colonia penale Ik-3, conosciuta come Lupo Polare, in Siberia a 2mila chilometri da Mosca e dai suoi avvocati. Viveva un isolamento durissimo: cella minuscola senza mobili, eccezion fatta per uno sgabello e letto a ribalta che, alle 5 del mattino, veniva chiu-

ALEXEI NAVALNY

IL PRESIDENTE CHE LA RUSSIA

NON HA MAI AVUTO

L’oppositore del Cremlino è stato trovato morto in carcere, lo scorso 16 febbraio: la sua morte ha indignato e ha generato proteste. Il ritratto dell’attivista politico che sosteneva: «Votate chiunque tranne il partito dei ladri e dei cialtroni»

so e bloccato al muro. Diversamente dagli altri detenuti non gli era permesso acquistare cibo supplementare. L’ora d’aria era di 35 minuti: una passeggiata, solitamente all’alba, in un cortile “piccolo come una cella”.

Ed è proprio in uno di questi momenti all’aria aperta che, secondo la ricostruzione fornita dalle autorità carcerarie russe, Navalny è morto. Con una serie di imbarazzanti silenzi e piccoli abusi, il corpo dell’uo -

50&Più | marzo 2024 30
Esteri

mo è stato spostato da una struttura all’altra. Rendendo impossibile, alla famiglia e ai suoi sostenitori, accertare le cause della morte con un’autopsia imparziale. Il cadavere di Navalny è l’ennesimo messaggio a chi manifesta e si schiera contro il Cremlino. La sola esistenza, anche se in carcere, testimoniava una resistenza al pensiero unico imposto dal regime. Nel privato delle cucine tutti possono essere liberi di esprimere le proprie opinioni su Putin e sullo stato della democrazia in Russia. Navalny è stato l’unico, in quasi vent’anni, ad avere carisma sufficiente per convincere altri singoli cittadini a trasformare quel risentimento privato in una protesta pubblica. Avvocato e attivista aveva tentato di candidarsi alla presidenza della Federazione russa alle ultime elezioni, nel 2018. La commissione elettorale glielo vietò per una condanna: appropriazione indebita secondo la corte, una sentenza politica per l’opinione pubblica. In una manciata di anni è stato avvelenato, arrestato, processato e condannato a 30 anni di carcere. Al momento della sua morte era imputato in altri 14 processi. Dal suo arresto, il 17 gennaio 2021, è stato per ben 27 volte in isolamento. Le punizioni avevano sempre motivazioni rasenti il pretestuoso: un bottone aperto della giubba o l’aver chiamato la guardia carceraria per grado e cognome omettendo il nome proprio. Per molti Navalny era una versione russa di Nelson Mandela: il mantra, morto con lui in Siberia, era “un giorno sarà liberato dal carcere per guidare il Paese”.

Navalny non era un liberale. Utilizzava anglicismi e faceva continui riferimenti a serie tv statunitensi, più volte ha rivendicato mosse politiche ispirate da The Wire . Ma era un uomo di destra, un nazionalista.

A metà degli Anni 2000 marciò per le strade di Mosca con degli estremisti xenofobi. Non ha mai rinnegato quel momento, ha spiegato che pur di protestare contro il governo di Putin era pronto a scendere in piazza con chiunque. “Il silenzio viene spesso scambiato per accettazione, ma in realtà è un segno di paura”. Prima con un blog, poi attraverso i social media, esponeva le malversazioni dei vertici della gerarchia russa. Il fulcro del suo lavoro era la corruzione. Indicava con precisione persone e importi. La struttura del potere lo temeva proprio perché non risparmiava nessuno. Non potendosi candidare, aveva costruito una piattaforma per sostenere altri candidati, anche nelle più remote località del circolo artico. “Votate chiunque tranne il partito dei ladri e dei cialtroni”. In un paio di occasioni era riuscito a limitare Russia Unita, il partito di Putin, sotto il 50% e vincere delle elezioni locali. Ad agosto 2020, su un volo che lo riportava a Mosca dopo un comizio in Siberia, si sentì male. Degli agenti Fsb (già Kgb)

avevano cosparso le sue mutande con il novichok, un agente nervino considerato la firma degli omicidi dall’intelligence russa. Atterraggio di emergenza e intervento medico gli salvarono la vita. Navalny è in coma e solo la pressione internazionale convinse il Cremlino a lasciarlo partire verso Berlino. Con il ricovero in Germania il mondo ha la certezza dell’avvelenamento. Poteva finire così. Ma Navalny fuori dalla Russia, come qualsiasi altro oppositore, non ha mordente sui suoi concittadini. Dopo oltre quattro mesi di cure decise di tornare in Russia. Arrestato ancor prima di lasciare l’aeroporto, nei tre anni in carcere rimane il peggior nemico di Putin. Le apparizioni alle udienze, le comunicazioni trafugate dai suoi avvocati, tutto è teso a ridicolizzare Putin e il suo entourage. Si può perdonare tutto, ma non chi ride di te. Difficilmente verrà mai fatta chiarezza sulla sua morte, ma per i suoi sostenitori c’è una certezza: Alexei Navalny è stato il miglior presidente che la Russia non ha mai avuto.

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Roma, 19 febbraio 2024: fiaccolata in ricordo di Alexei Navalny

IL MURALE SENZA LIMITI SIMBOLO DELLA LOTTA

ALLA MENINGITE

Un messaggio di speranza e di coraggio disegnato sulla facciata di un palazzo a Milano

di Redazione

Si intitola Limitless – Senza limiti – il murale realizzato da SMOE Studio sulla facciata di un palazzo in via Toscana, a Milano. L’obiettivo dell’opera, inaugurata lo scorso febbraio, è quello di sensibilizzare tutti alla lotta contro la meningite. Al taglio del nastro, ha partecipato anche l’atleta paralimpico Andrea Lanfri.

Il murale, inserito all’interno del progetto ‘Nulla Virtus’, raffigura uno sciatore paralimpico che porta sul casco i colori della Bandiera della Lotta alla Meningite, simbolo di unione e speranza, lanciata da Sanofi, azienda farmaceutica, a fine 2023 in collaborazione con la Fondazione per la Ricerca sulla Meningite e la Confederazione delle Organizzazioni per la Meningite. «Lo sport è l’arte dell’anima e del corpo. Abbiamo voluto restituire questo immaginario attraverso una narrazione che ha come tela la città stessa. In Limitless abbiamo utilizzato i colori della bandiera della lotta alla meningite: il giallo, il viola e il blu. Questo messaggio di sensibilizzazione rende il nostro lavoro ancora più significativo» è stato il commento di uno degli autori del murale.

La meningite colpisce ogni anno oltre 2,5 milioni persone nel mondo di qualsiasi età e registra un tasso di mortalità pari al 10%. Tra coloro che riescono a guarire, circa il 20% deve convivere con complicazioni gravi e a lungo termine

come anche lesioni cerebrali e amputazioni degli arti colpiti. Limitless vuole trasmettere il coraggio di superare i propri limiti e le avversità, così come ha fatto Andrea Lanfri. L’ex atleta paralimpico due volte argento nella staffet-

mio desiderio, durante la malattia, era tornare alla mia vita, alle mie passioni. Dare la mia testimonianza ad altre persone che hanno vissuto o stanno attraversando la mia stessa esperienza mi ha dato una spinta in più. Mia madre all’inizio mi disse che non avrei mai più scalato una montagna e io d’istinto le risposi ‘Chi te l’ha detto?’ Quando poi le annunciai che sarei andato sull’Everest prima non mi credette, poi mi domandò perché volessi farlo. Ricordo di averle ribattuto, scherzosamente, ‘Per dimostrare che quel giorno ti sbagliavi’» ha raccontato l’ex atleta. «Ci avviciniamo sempre di più alla data di avvio dei Giochi Olimpici. Questo progetto vuole essere un inno alla vita attraverso immagini che ci accom-

ta 4x100 prima ai Mondiali di Londra nel 2017, poi ancora l’anno dopo agli Europei di Berlino, è stato colpito da meningite nel 2015, aveva soli 29 anni. Dopo aver affrontato l’amputazione delle gambe, Lanfri non si è arreso e ha continuato a combattere. «Bisogna lanciare un messaggio forte e chiaro. Il

pagneranno fino alle settimane di gara, ricordandoci tutte quelle persone che scenderanno in pista superando proprio le difficoltà e gli ostacoli che hanno caratterizzato il loro percorso di vita» ha concluso Lara Magoni, sottosegretaria allo Sport e ai Giovani per Regione Lombardia.

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Iniziative

MERCATO DEL LIBRO OTTIMISTI CON RISERVA

Il settore delle vendite registra una crescita rispetto allo scorso anno anche se permangono alcune difficoltà L’esperienza di Piero Piperno

con Spazio Sette, la sua attività nel centro di Roma

Il settore del libro, si sa, non sta affatto bene. Ma ultimamente si intravedono all’orizzonte degli spiragli di ripresa. Lo stato di salute lo certifica l’Istat, che fotografa l’andamento degli ultimi 10 anni delle oltre 4.000 librerie presenti in Italia. Analizzando i dati, notiamo che, dal 2012 al 2021, c’è un calo del 5% che si sta però riducendo negli ultimi due anni, considerando che le librerie stanno aumentando come numero di imprese e come unità locali. C’è vita tra gli scaffali, lo conferma anche l’Osservatorio delle librerie 2023, realizzato da ALI Confcommercio e Format Research.

La ricerca mostra la tenuta del mercato del libro con una crescita a valore per l’anno scorso dell’8%, secondo l’Associazione Italiana Editori (AIE), con il 58% delle librerie che ha visto

aumentare, nel primo semestre del 2023, la clientela e la vendita di libri rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Buone notizie, quindi? Sì e no. Per Paolo Ambrosini, presidente di ALI, Associazione Librai aderente a Confcommercio, l’ottimismo c’è perché si intravede una ripresa della rete delle librerie, anche se non vanno ignorati alcuni segnali preoccupanti: «Questi dati - spiega Ambrosini a 50&Più - dicono molto della bontà della Legge sul libro e dei provvedimenti che ne sono seguiti che, ahimè, con l’ultima finanziaria purtroppo sono stati

Economia
Paolo Ambrosini, presidente di ALI Associazione Librai Italiani aderente a Confcommercio

azzerati. Poi si aggiungono le problematiche inerenti all’aumento dei costi fissi e le difficoltà, in alcuni casi, ad ottenere finanziamenti». La speranza è che «il Governo e il Parlamento comprendano che quella del libro è la principale industria culturale del Paese, garantisce occupazione, contribuisce al benessere diffuso e per questo merita attenzione, al pari degli altri comparti e al resto del mondo della cultura». Intanto a contribuire ad infondere vivacità nel settore è il successo della Scuola Librai Italiani, che quest’anno darà il via al suo 18° corso di alta formazione in Gestione della Libreria. «Lavorare in libreria è una cosa molto affascinante e molto romantica - ci dice Aldo Addis, il direttore della Scuola - ma non bisogna dimenticare che la libreria è a tutti gli effetti un’attività commerciale e come tale va gestita. Per questo la nostra Associazione Librai ha fondato nel 2006 questa scuola che offre corsi in Gestione della Libreria, con la direzione scientifica della cattedra di Management dell’Università Ca’ Foscari di Venezia». Quasi tutti i giovani allievi alla fine del percorso trovano lavoro come librai, oppure riescono ad

aprire una loro attività, come nel caso di Piero Piperno, romano trentaquattrenne che assieme ad altri tre allievi della scuola, dopo 4 anni dal diploma di libraio, non solo ha coronato il suo sogno, ma è andato ben oltre, come racconta lui stesso: «Io sono sicuramente un fortunato. Ho fatto della mia passione il mio lavoro. Sono cresciuto in mezzo ai libri. Anche mia mamma per un periodo della sua vita - quando io ero piccolo - ha lavorato in una libreria. Il mio locale, Spazio Sette, è in pieno centro a Roma, è molto grande e sono riuscito a coinvolgere nella mia avventura altri tre compagni del mio corso». Ovviamente anche per Piero ci sono stati ostacoli lungo il suo percor-

so, soprattutto - spiega - a livello burocratico: «Mille problemi, lacci e lacciuoli, per così dire, per autorizzazioni per aprire l’attività anche perché la mia non è solo una libreria, ma ospita all’interno un bar e un paio di sale per ospitare eventi». Qual è il segreto per stare al passo e rimanere sul mercato? Piero non ha dubbi: «Mai fermarsi: la libreria è un’attività che deve sempre essere in movimento. Ogni mattina io e i miei collaboratori ci chiediamo: cosa ci inventiamo oggi? Cosa proponiamo alla nostra clientela? Sicuramente i libri che vendi devono essere di qualità e di catalogo ma non puoi pensare di fare solo attività strettamente di vendita». È proprio così. Da tempo basta passeggiare per le strade delle nostre città che ci appaiono i nuovi volti delle librerie con angoli di lettura e relax, salottini per incontri con l’autore ed eventi culturali, area bar e ristoro: tutte cose che tendono a coinvolgere e coccolare la clientela. Per la salute del libro e delle librerie molto fanno anche i social network. Pensiamo al successo di “BookTok”, il fenomeno culturale nato in piena pandemia che vede una comunità virtuale di lettori che discute di nuovi autori, consigli di lettura e recensioni. È d’accordo anche Piero che però ci racconta come, nel suo caso, siano i social degli altri a portare risalto alla sua attività: «I social sono fondamentali per il nostro lavoro. Per quanto ci riguarda avviene, ad esempio, che le singole persone di un gruppo di lettura che ospitiamo fisicamente in libreria, magari autonomamente, si metta a postare video e fotografie di un nostro evento o del locale stesso. Creando curiosità e movimento sul web, spesso anche con momenti di confronto su letture e proposte varie. Sicuramente ci aiuta anche Minerva, il nostro gatto, che gira tra gli scaffali e i banconi della libreria. Molte delle foto dei clienti sono per lui e di conseguenza contribuiscono a far parlare di noi».

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Sopra e in alto, libreria Spazio Sette

il suo legame personale con l’oratorio: «L’ho frequentato tra il 1956 e il 1977 e mi è stato di grande utilità nel lavoro che svolgo oggi, che non consiste solo nel condurre sondaggi per mezzi d’informazione, partiti e istituzioni, ma nello sforzo di capire le ragioni dei comportamenti umani. Anche la scelta di optare per il servizio con gli anziani è maturata all’oratorio, dove il volontariato mi ha lasciato un certo modo di interpretare il lavoro».

L’ORATORIO UN

POSTO PER CRESCERE A TUTTE LE ETÀ

In Italia sono circa 8.000. Un viaggio nella Penisola tra luoghi di aggregazione e socialità attraverso le voci di educatori e responsabili «Abbiamo sempre bisogno di stare in compagnia»

“Sembra

quand’ero all’oratorio, con tanto sole, tanti anni fa. Quelle domeniche da solo, in un cortile, a passeggiar...”. Era il 1968 quando Adriano Celentano, cantando Azzurro, ricordava gli oratori. Come lui, tanti dei nostri genitori ci sono cresciuti, alcuni di noi li hanno frequentati, i nostri figli e i nostri nipoti,

forse, non sanno cosa siano. Eppure, gli oratori ci sono ancora e godono di buona salute. Qualche anno fa, sono stati oggetto della prima indagine condotta da Ipsos, su commissione del Servizio Nazionale per la Pastorale Giovanile della Cei, Un pomeriggio all’oratorio” (Edb 2017). Nando Pagnoncelli, il noto sondaggista che ne ha coordinato i lavori, non nasconde

Secondo i dati raccolti, in Italia oggi esistono circa 8.000 oratori: diffusi e radicati soprattutto al Nord, nella maggior parte dei casi sono aperti tutti i giorni e offrono svariate attività, per lo più gratuite o a prezzi accessibili, dal doposcuola allo sport, dal teatro all’alfabetizzazione per gli stranieri, fino ai centri estivi e alle vacanze. Quasi sempre sono le parrocchie ad ospitare gli oratori, dedicando spazi esterni e interni più o meno grandi: esistono, soprattutto in città, oratori molto vasti, che comprendono campi di calcetto o di calcio, ma anche sale musicali e cinematografiche, bar, saloni per le feste, cucina, teatro.

L’oratorio non è più “solo un cortile e un pallone”, spiega Daniele Spadolo, che dopo aver frequentato l’oratorio per tutta l’infanzia è diventato educatore e responsabile. «Se negli Anni ’50-’60 aveva una funzione soprattutto aggregativa, oggi invece è più esplicita la sua funzione soprattutto educativa: l’oratorio permette ai ragazzi di “assaggiare” diverse attività, per scoprire il proprio talento. In molti territori, come quello del ragusano, in cui vivo io, l’oratorio è spesso l’unica possibilità che i giovani hanno di svolgere attività extrascolastiche. E noi abbiamo il compito di garantire loro questa possibilità e dobbiamo farlo al meglio». Per questo, Daniele e sua moglie, per un certo periodo

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FOTO ARCHIVIO COR

di tempo, hanno lasciato tutto per dedicarsi a questo compito: «Nel 2006 l’oratorio di Modica rischiava la chiusura: ci è stato chiesto di farcene carico. Da Ragusa ci siamo trasferiti in un appartamento dentro l’oratorio di Modica. Siamo diventati anche genitori affidatari, aprendoci all’accoglienza. Nel 2010 è nata Irene, che ha vissuto così i primi anni della sua infanzia in un clima di condivisione e di accoglienza. Ora siamo di nuovo a Ragusa, abbiamo ripreso il nostro lavoro e la nostra vita, ma io continuo a essere il referente dell’oratorio. Credo molto nella sua funzione: non più togliere i ragazzi dalla strada, visto che i ragazzi stanno molto più a casa che in strada, ma aiutarli a costruire un senso di appartenenza e a scoprire il proprio posto nel mondo». Anche Micaela Castro è entrata in oratorio da bambina e non ne è più uscita: oggi ha 59 anni ed è vice presidente del Centro Ora-

tori Romani (COR) - fondato a Roma nel 1945 da Arnaldo Canepa, laico romano per cui è in corso il processo di beatificazione -. «Ero la seconda di cinque figli e mio padre mi portava in oratorio insieme ai miei fratelli, soprattutto per alleggerire mia mamma. Per me, l’oratorio era spazio di libertà: all’epoca, o stavamo a scuola o stavamo a casa, non avevamo molte attività per noi ragazzi. Oggi di attività ce ne sono tante, eppure gli oratori sono tutt’altro che morti: si stima che, complessivamente, li frequentino circa 2 milioni di bambini e ragazzi. Da una parte, l’oratorio intercetta un bisogno ancora forte delle famiglie, che emer-

ge con particolare evidenza in estate: assicurare ai figli un posto sicuro di socialità e di svago. Dall’altra parte, l’oratorio riconosce ai ragazzi un ruolo e una responsabilità, fin da giovanissimi. E questo accade raramente nella nostra società. Fin dai 14-15 anni, in oratorio vengono coinvolti in attività formative che permettono loro di acquisire competenze spendibili non solo all’interno, ma anche all’esterno». E tanti di loro poi restano: dopo aver frequentato l’oratorio “da piccoli”, molti continuano il loro percorso come animatori o come educatori; ecco perché in oratorio non si incontrano solo volti giovani, ma anche tanti adulti e anziani. «Alcuni, come me, non sono mai usciti dall’oratorio: dopo averlo frequentato da bambini, sono diventati animatori, a volte coordinatori, per restituire ciò che hanno ricevuto. Altri invece, dopo essersi allontanati, si riavvicinano e ritornano, magari nel momento in cui accompagnano i figli o i nipoti, e si fermano a chiacchierare. L’oratorio è sempre vivo, così come il bisogno che abbiamo di stare insieme, a qualsiasi età».

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Roma, immagini di repertorio di attività svolte in oratorio FOTO ARCHIVIO COR FOTO ARCHIVIO COR FOTO
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Curiosità

ORIGINI E TRADIZIONI

La ricorrenza più importante del Cristianesimo tra antichi miti pagani e storie millenarie di Ettore Costa

Può sembrare strano ma la festa cristiana della Resurrezione e della Salvezza non ha una data certa. Una particolarità che risale al concilio di Nicea del 325, convocato dell’imperatore Costantino, che stabilì di celebrare l’importante solennità la prima domenica successiva al plenilunio dopo l’equinozio di primavera. Le origini della festività risalgono alla commemorazione ebraica dell’uscita dall’Egitto. Così l’attraversamento (in ebraico pesah) del mar Rosso, dalla schiavitù alla liberazione, per i cristiani diventa la festa del passaggio dalla morte alla vita di Gesù Cristo.

Numerose sono le tradizioni legate alla Pasqua, tutte di origini antichissime. In passato esisteva già un comandamento per la Pasqua ebraica che prescriveva il sacrificio dell’agnello; successivamente per il Cristianesimo l’agnello immolato per la salvezza dell’umanità diventerà Cristo stesso resuscitato. Se a Natale si festeggia la nascita del Salvatore, la Pasqua è infatti la festa più solenne della religione cristiana, quella che, con la Resurrezione, ne segna l’evento centrale: la vittoria sulla morte e la salvezza dell’umanità.

Interessante è scoprire che se in molte lingue europee la parola Pasqua deriva dall’antico Pesah - dive-

nuto in greco Páskha -, in altre rivela origini differenti, legate a miti e leggende precristiane. L’inglese Easter e il tedesco Ostern, infatti sembrano legate alla figura delle dea della luce e della fertilità Eostre, festeggiata da Germani e Sassoni nell’equinozio di primavera. I colori della festa erano il verde, il giallo e il viola e i simboli utilizzati le lepri e le uova, chiari riferimenti di fertilità e nascita per le civiltà contadine arcaiche. Peraltro, questi temi si riscontrano in molte culture. In Persia le uova colorate sono associate alla celebrazione della primavera almeno dal 500 a.C.

Nei paesi dell’Est Europa, in particolare in Ucraina, l’usanza delle uova colorate (chiamate pysanka) è preesistente al Cristianesimo ed è legata al culto del dio del sole Dazhboh. La decorazione delle uova bollite si diffuse successivamente tra i primi cristiani

non solo perché questi ne mutuarono l’evidente significato di rinascita, ma anche per essere uno dei pochi alimenti concessi durante la Quaresima, che vietava il consumo di carne. Tra i re e gli aristocratici si diffuse la consuetudine di regalare uova d’oro o d’argento, le più famose delle quali sono le creazioni ottocentesche dell’orafo Fabergé, incaricato dallo zar Alessandro III di preparare per la zarina preziosissime uova decorate. E la lepre, antico simbolo pagano di fecondità? Sant’Ambrogio ne fece una rappresentazione della rinascita cristiana per la sua capacità di cambiare manto a seconda delle stagioni. Seppure sostituita nei secoli da un tenero coniglietto di cioccolata, rimane nei miti più antichi, come in quello della leggenda di Eostre.

La dea celtica della primavera - sempre lei -, passeggiando d’inverno in un bosco si imbatte in un uccellino ferito e ormai incapace di volare, e per salvarlo lo trasforma in una lepre. Nell’universo magico accade però che l’animaletto continui a deporre le uova e che - dopo averle decoratene faccia dono alla sua salvatrice in segno di gratitudine. Da qui l’usanza tedesca di regalare ai bambini un coniglietto vivo per Pasqua. Tradizione giunta poi negli Stati Uniti, dove prese piede la consuetudine della caccia alle uova, nascoste tra i cespugli proprio dal dispettoso animaletto pasquale.

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Focus - Giornata del Fiocchetto Lilla

#CIBOAMICO UN CORSO DI CUCINA PER COMBATTERE I DISTURBI ALIMENTARI

Dieci incontri gratuiti, aperti a giovani e adulti volti a offrire un supporto a chi ha intrapreso un percorso per superare le difficoltà

Daniela Galdi, presidente dell’Associazione

Italiana Chef: «Accompagniamo la terapia»

In Italia il 5% della popolazione affronta un disturbo del comportamento alimentare. Si tratta di tre milioni di persone, prevalentemente giovanissimi fra i 12 e i 25 anni ma non solo, perché negli ultimi tempi il fenomeno è in aumento anche in altre fasce di età, in prevalenza fra le donne. Le conseguenze sulla salute, se non si interviene il prima possibile, possono essere gravissime e interessano tutto l’organismo, con il rischio di cronicizzazione della situazione e, nei casi più severi, anche di mortalità.

Il 15 marzo è la Giornata nazionale del Fiocchetto Lilla, dedicata a chi soffre di anoressia, bulimia e obesità. Il simbolo del Fiocchetto Lilla ha origine in America e rappresenta la lotta ai disturbi alimentari da oltre trent’anni. In Italia la Giornata nazionale nasce nel 2012, su proposta dell’Associazione “Mi nutro di vita”, per volontà di Stefano Tavilla, in ricordo della figlia Giulia. Per supportare le terapie mediche di chi intraprende un percorso per superare i disturbi alimentari e fare del cibo un alleato, l’Associazione Italiana Chef,

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nell’ambito del progetto Lifeness, ha dato vita a #Ciboamico, un percorso di dieci incontri gratuiti attualmente in corso che si rivolge a giovani e adulti, con il supporto di medici specializzati.

«Se pensiamo che nel 456 a.C. Ippocrate diceva “fa che il cibo sia la tua medicina e che la medicina sia il tuo cibo” - dice a 50&Più Daniela Galdi, presidente dell’Associazione Italiana Chef, esperta in nutrizione e ideatrice di Lifeness - proviamo ad andare un po’ indietro nel tempo, con un ritorno alla natura. Ormai tantissimi studi, dalla Harvard University in poi, confermano che l’alimentazione influisce per l’80% sulla salute dell’organismo. E l’intestino è quello che guida il nostro stato di benessere e di salute psicofisico».

Come è stato organizzato il corso?

L’idea è parte dal progetto Lifeness, nato da una costola dell’Associazione Italiana Chef, che è dedicato interamente all’educazione alimentare. Abbiamo fatto incontri con le scuole, eventi per parlare di alimentazione come prevenzione ma anche come supporto in caso di patologie esistenti. In questo caso ci rivolgiamo a coloro che hanno un momento di difficoltà, un rapporto conflittuale col cibo, facendogli capire che il controllo, perché il non mangiare è una forma di controllo, si può ottenere in un modo più sano. Il cibo non è un nemico, ma un alleato per sviluppare la propria identità, secondo i propri gusti ed esperienze. Pensiamo agli chef: se diamo gli stessi ingredienti a chef diversi, verranno fuori ricette differenti.

Come sono stati selezionati i partecipanti?

Dopo la comunicazione dell’evento, abbiamo raccolto e raccogliamo le adesioni per via telefonica allo 06. 35496189 o via mail a lifeness@associazioneitalianachef.it.

dedicata ai disturbi del comportamento alimentare

#Ciboamico si avvale anche della collaborazione di medici specialisti: può essere considerato parte di una più ampia terapia per i disturbi alimentari?

La nostra non vuole essere una terapia, piuttosto qualcosa che accompagni la terapia, per questo ci avvaliamo della collaborazione dell’Ospedale Gemelli nella persona del dottor Lucio Rinaldi, psichiatra e psicoterapeutica che si occupa di adolescenti con anoressia e bulimia. Ci affianchiamo alle terapie cercando di trovare una chiave per portare i ragazzi fuori dagli ospedali e dagli studi medici, all’interno di un bel contesto, l’Accademia di arti culinarie “Italian Chef Academy”, che è un’oasi nella natura.

Cosa si impara in questo percorso?

Oltre a cucinare, perché si impara a fare la pasta fatta in casa, il pane, la pizza, l’uovo di cioccolato in occasione della Pasqua, la cucina vegetariana, si fanno conoscere i prodotti in base alla stagionalità e ci si abitua a lavorare sui sensi, a stimolare olfatto, tatto e gusto. Ci sono anche dei momenti di confronto, dedicati al dialogo, alle confidenze, alla mindfulness. Andremo tutti al mercato a fare la spesa e l’ultimo giorno ci sarà

una grande festa con un pranzo che organizzeranno i partecipanti guidati dagli chef. Quello che mi auguro è che l’esperienza diventi una sorta di ancoraggio nei momenti difficoltà. Come si spiega l’aumento di disturbi alimentari degli ultimi anni?

Dal 2019 in poi c’è stato un aumento del 40% e si è abbassata l’età media, dai 12 ai 25 anni: purtroppo in questa fascia d’età i disturbi alimentari sono la seconda causa di morte dopo gli incidenti stradali. L’isolamento della pandemia non ha giovato a nessuno, ma anche l’utilizzo dei social ha contribuito molto. Prendiamo TikTok, esistono delle intelligenze artificiali, una si chiama Biometric Mirror, che si attivano quando i ragazzi usano i filtri. C’è un esperimento che spesso propongo nelle scuole: se ci soffermiamo per qualche frazione di secondo su un’immagine, che può essere quella di un corpo molto magro, o di qualcosa che ha a che fare con il cibo, l’applicazione tende a riproporla ogni 66 secondi. Quello che avviene è una vera e propria manipolazione. Un disturbo alimentare, anche se in percentuale minore, può interessare anche persone adulte. C’è qualcosa di talmente profondo dietro a questi disturbi che non conosce né età né sesso. Pensiamo al caso recente di Emanuela Perinetti, morta a 34 anni di anoressia. Si tratta di disturbi spesso ambivalenti: si pensa al non mangiare ma c’è anche il rovescio della medaglia, ossia il mangiare troppo, altrettanto grave. Chi non mangia a volte ha momenti di bulimia, di grandi abbuffate, spesso i due estremi sono correlati, e comunque si tratta sempre di un rapporto tutt’altro che sano col cibo. Il corpo ha bisogno di tutto, ma le parole d’ordine dovrebbero essere equilibrio, moderazione e varietà. Su questo si basa tutta l’alimentazione.

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Daniela Galdi, presidente dell’Associazione Italiana Chef

Focus - Giornata del Fiocchetto Lilla

ANIMENTA, LA RETE CHE COMBATTE L’ISOLAMENTO

Un progetto creato da due giovani professioniste con esperienze di disturbi alimentari alle spalle diventate un punto di riferimento a sostegno delle fragilità «Raccontare per

sensibilizzare»

Troppe e troppi ne soffrono. Nessuno ne parla”. Da frase scritta su uno striscione alla realtà, passando dai social. Quella dei Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA) è una condizione di invisibilità e di solitudine che coinvolge oltre 3 milioni di persone. Un dato

cresciuto negli ultimi cinque anni, complice la pandemia, quando i casi erano 680mila.

Serve “raccontare per sensibilizzare”, anche evitando gli stereotipi sia sul corpo che sulla salute mentale. Con questo motto l’Associazione Animenta si impegna nella divulgazione e nel supporto alle persone affette

dai Disturbi del Comportamento Alimentare. «Il disturbo alimentare è una patologia psichiatrica che, più di tutte probabilmente, ha dei risvolti importanti a livello fisico - spiega Laura Montanari, psicologa clinica, counselor, socia fondatrice e vicepresidente di Animenta -. Spesso, però, il corpo non fa diagnosi, non parla. Così, una persona che soffre di bulimia potrebbe essere normopeso ma a livello comportamentale manifestare difficoltà, come fare dieci ore di attività fisica al giorno o indursi il vomito anche 10-15 volte al giorno». Esperienze e storie di vita raccontate da chi ha vissuto la malattia diventano, nel progetto di Animenta, anche preziosi momenti di incontro e i social uno dei luoghi da cui ripartire. Come è successo alle fondatrici dell’associazione, durante i mesi della pandemia da Covid. «Animenta come realtà associativa nasce nel 2021, ma lavoriamo al blog e ai post sul canale Instagram dal 2020. Per forza di cose abbiamo dovuto muoverci online - racconta Laura Montanari, che ha fondato Animenta con Aurora Caporossi presidente dall’associazione - Aurora e io siamo vicine di casa e, ai tempi delle ‘zone rosse’, abbiamo cominciato a parlare e a creare i primi contenuti sui social. Abbiamo iniziato a fare iniziative live come Let’s Eat Together. Si tratta di cene virtuali, diventate appuntamenti fissi una volta al mese, dove le persone si possono prenotare gratuitamente e condividere il momento del pasto, che è quello più delicato. Non si è obbligati a consumare un pasto durante la chiamata. Semplicemente si sta insieme, si chiacchiera come fosse un pranzo tra amici. Appena è stato possibile abbiamo iniziato a lavorare anche in presenza, portando il progetto nelle scuole. Poi, grazie alla collaborazione con la Fondazione Cotarella, sono nati

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i laboratori di cucina e gli aperitivi lilla. Aperitivi sociali dove, anche qui, non sei obbligato a consumare». Montanari prosegue: «Il concetto del cibo è centrale, perché si vuole provare a ricostruire la quotidianità. Quando vivi un disturbo alimentare, anche un momento come l’aperitivo può diventare insormontabile». Una malattia che è trasversale, ormai. Si comincia fin dalle scuole elementari: «Adesso l’età si è abbassata, e già i bambini di 8-10 anni manifestano dei sintomi», precisa Montanari. Un disturbo che, pur rimanendo prevalentemente femminile, coinvolge anche i ragazzi che «a causa di una narrazione a senso unico non si sentono in diritto di chiedere aiuto. Online ci arrivano richieste di aiuto in qualsiasi forma, anche da persone adulte, che sono quelle che più faticano ad essere prese in carico dalle realtà pubbliche, nella convinzione che i DCA siano patologie adolescenziali». Ed è sul tema delle cure che si concentrano le battaglie della rete nazionale del Movimento Lilla, di cui fa parte Animenta. Ogni anno si registrano 4mila morti, dovuti alle complicanze da DCA, a causa di diagnosi tardive o per non avere preso in carico i pazienti in tempo.

I disturbi dell’alimentazione richiedono l’intervento non solo di psicologi o psichiatri, ma di un équipe multidisciplinare che possa comunicare tra specialisti sullo stato di salute dei pazienti. «Questa cosa non è quasi mai possibile, perché al Nord ci sono molte più risorse e strutture residenziali rispetto al Sud - fa sapere Laura Montanari -. L’Umbria è la regione con i servizi più completi. Il Molise, invece, non ha nulla. Altro problema sono le esenzioni: ad esempio, il disturbo da binge eating (alimentazione incontrollata ndr) non ha esenzioni». Carenze, strut-

turali economiche e culturali, che non sembrano trovare soluzione nel fondo straordinario di 10 milioni di euro annunciato dal Ministero della Salute, che dovrebbe prendere corpo

da aprile nel decreto Milleproroghe. Un fondo che vorrebbe compensare il mancato rinnovo della Legge di Bilancio del 2021, che destinava 25 milioni per i disturbi alimentari. Il Ministero non ha tenuto conto delle richieste, fatte dal Movimento Lilla, di scorporo dei DCA all’interno dei LEA, Livelli essenziali di assistenza, destinati alle malattie psichiatriche. Un intervento che garantirebbe un percorso di cura e un budget autonomo, destinati ai disturbi alimentari. E azzererebbe le morti.

Dieci milioni che non rappresentano un traguardo, ma un punto di partenza. «Una volta finiti questi fondi, cosa dobbiamo fare? Dobbiamo tornare in piazza, a batterci?», si chiede laconica Laura Montanari.

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Manifestanti in piazza per chiedere maggiori tutele nei confronti delle persone con DCA Laura Montanari vicepresidente di Animenta dedicata ai disturbi del comportamento alimentare

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2024

IL CORAGGIO DELLE DONNE

Si deve a loro l’approvazione di molte leggi che hanno contribuito a scrivere la storia del nostro Paese, diventando autentici tasselli di democrazia e uguaglianza. In una società in cui si fa ancora fatica a riconoscere la parità dei ruoli e l’uguaglianza di genere, emergono figure femminili esempio di forza, tenacia, passione e competenza Abbiamo incontrato alcune di loro e queste sono le loro storie

a cura di Chiara Ludovisi, Leonardo Guzzo, Francesca Cutolo Mariella Pagliuca, Valerio Maria Urru

Primo piano

Primo piano

LA STORIA D’ITALIA NELLE LEGGI SCRITTE DALLE DONNE

Una rassegna delle norme più significative - e delle rispettive promotrici - che hanno cambiato il volto del Paese, contribuendo a combattere le discriminazioni e a tutelare i più fragili

di Chiara Ludovisi

Dietro le grandi leggi, ci sono spesso grandi donne: leggi che hanno trasformato il volto dell’Italia, segnando conquiste civili e sociali di cui ancora oggi raccogliamo i frutti. Per lo più leggi “sociali”, volte a tutelare i fragili, a superare le discriminazioni, a promuovere l’inclusione: leggi delle donne, ma non solo per le donne. Qui abbiamo scelto le più significative, per raccontare la storia dell’impegno politico e legislativo delle donne nel nostro Paese. Il nostro viaggio inizia nel 1950, quando Teresa Noce e Maria Federici promuovono la legge per la “Tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri” (n. 860/1950), che tra l’altro introduce il divieto di licenziamento fino al compimento del primo anno di vita del figlio. Nel 1958, la senatrice socialista Lina Merlin presenta una legge che prende il suo nome: la n.75/1958, contro lo sfruttamento della prostituzione. Saltiamo ora al 1967, quando la senatrice Maria Pia Dal Canton, con la Legge 431, rivoluziona la cultura dell’adozione, ponendo al centro il diritto del bambino ad avere una famiglia, piuttosto che il diritto dei genitori ad avere un figlio. Qualche anno dopo, nel 1975, quattro parla-

mentari uniscono le forze, per portare avanti la Riforma del diritto di famiglia (n. 151/1975): sono Nilde Iotti, Giglia Tedesco, Franca Falcucci e Maria Eletta Martini. Grazie a questa legge, “il marito e la moglie

acquistano gli stessi diritti ed assumono i medesimi doveri”: una conquista epocale, in una società segnata ancora dal patriarcato. Dobbiamo a una donna anche il superamento delle classi “speciali” e quindi il primo, ufficiale impegno per l’inclusione scolastica degli alunni con disabilità: è l’allora ministra della Pubblica Istruzione Franca Falcucci, con la Legge n. 517/1977. In quello stesso anno, troviamo il volto di Tina Anselmi, prima donna ministro della storia italiana, dietro la legge che sancisce la “Parità di trattamento di uomini e donne in materia di lavoro” (n. 903/1977): l’inizio di un’altra conquista epocale, su cui ancora resta tanto da fare. Non è una donna, ma ci sono tante donne, dietro la Legge 194, che nel

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Roma, 1978: Nilde Iotti e Tina Anselmi, allora ministra della Sanità

1978 definisce la “tutela sociale della maternità e l’interruzione di gravidanza”: essa è frutto delle battaglie portate avanti negli Anni ’70 dai movimenti femminili e femministi. Arrivando con un balzo agli Anni ’90, ecco altri volti e nomi di donne, accanto a leggi storiche: Rosa Russo Iervolino, ministro degli Affari sociali dal 1987 al 1992, sostiene e fa approvare, tra le altre, la “Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”, nota come Legge 104, seguita con particolare passione anche dalla deputata Leda Colombini.

Dal 1993 al 1994 il ministero della Sanità sarà in mano a Maria Pia Garavaglia, successivamente commissario straordinario e poi presidente della Croce Rossa. Soprattutto a lei si deve la Legge 42/1999, pietra miliare per il riconoscimento e l’indipendenza delle professioni sanitarie. Dal 1996 al 2001, ci sarà Livia Turco, ministra delle Politiche sociali, dietro una serie di leggi fondamentali: come la Legge 285/97 per la promozione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, che ha messo in moto tanta creatività e progettazione sociale. Ma anche la cosiddetta “legge della dignità”, ovvero la “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali” (n. 328/2000).

Ma arriviamo alle elezioni del 2013, quando le donne conquistano il 31% dei seggi. La legislatura si apre con l’approvazione della cosiddetta “Legge sul femminicidio” (n. 75/2013), con cui, su proposta di Federica Mogherini e di altri deputati e deputate, viene ratificata la Convenzione di Istanbul. Molte altre sono le leggi condotte in porto da donne, tra cui la prima legge nazionale sull’autismo (n. 134/2015), voluta dalla senatri-

ce Paola Binetti; il “Codice Rosa”, approvato come emendamento alla Legge di Bilancio del 2016, per iniziativa della deputata Fabrizia Giuliani; e la legge per il “Dopo di noi” (n. 112/2016), portata avanti dalla deputata Elena Carnevali e dalla senatrice Annamaria Parente. Anche nella lotta contro la povertà, le donne sono in prima linea: “madre naturale” del Reddito di Cittadinanza (Legge n. 26/2019) si considera la senatrice Nunzia Catalfo. Porta un nome di donna anche la prima legge sui minori stranieri non accompagnati (n. 47/2017), conosciuta come “Legge Zampa”, dal nome della sottosegretaria alla Salute, che l’ha portata avanti con tenacia e determinazione. Arriviamo ai giorni nostri e troviamo la “Legge Lorenzin” (n. 18/2020), dal nome dell’allora ministra della Salute; la “Delega al governo in materia di disabilità”, portata avanti dall’allora

ministra per le Disabilità Erika Stefani; e il Family Act (n. 32/2022), voluto dalla Ministra per le Pari Opportunità e la Famiglia, Elena Bonetti. Alla fine del 2022, per la prima volta nella storia d’Italia, viene eletta una donna presidente del Consiglio., Giorgia Meloni. Citiamo solo alcune delle leggi che portano la sua firma: le “Deleghe al Governo in materia di politiche in favore delle persone anziane” (Legge 33/2023), ma anche le nuove misure di contrasto alla povertà (Legge n. 85/2023), entrambe portate avanti dalla premier e dalla ministra Calderone. Tra gli ultimi provvedimenti promossi dalla premier Meloni c’è il Piano Mattei (n. 2/2024), per la costruzione di un nuovo piano di sviluppo e cooperazione tra l’Italia e gli Stati del Continente africano. La storia dell’Italia è stata scritta dalle donne. C’è da immaginare - e da sperare - che lo sarà anche il suo futuro.

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Rosa Russo Iervolino Maria Pia Garavaglia

Primo piano

IMMACOLATA POSTIGLIONE

«LA PROTEZIONE CIVILE È PASSIONE E CURA»

Il vicecapo della struttura che protegge le persone e l’ambiente in caso di calamità racconta la sua carriera e loda lo spirito solidale degli italiani «Lo testimonia il volontariato»

«La vita mi ha regalato gioie inattese». Ha l’aria di sentire e ponderare tutto quello che dice, Immacolata Postiglione. Una dote non indifferente per la prima donna a ricoprire, dal 2021, l’incarico di vicecapo del Dipartimento della Protezione Civile, la struttura governativa che coordina l’attività del servizio nazionale di protezione civile. Modi gentili, chiarezza di pensiero e una perspicacia che le consente di andare dritto al punto, la dottoressa Postiglione descrive il suo percorso come un fatale succedersi di combinazioni. «Dopo la maturità classica a Salerno, la mia città, al momento di decidere in quale ambito proseguire gli studi, mi sono lasciata guidare dalla suggestione. Una chiacchierata con un amico mi ha fatto innamorare della Geologia: una perfetta sintesi, mi sembrava, tra umanesimo e scienza; una disciplina che studia la terra, ma anche l’impatto della terra sull’uomo e dell’uomo sulla terra. Dopo la laurea a Napoli ho conseguito un dottorato in Vulcanologia ed ero convinta di dedicarmi alla ricerca. L’incontro con la mia professione è stato casuale. Nell’attesa di discutere la tesi di dottorato ho frequentato un corso di tecnico della Protezione Civile, a Fabriano, e ho avuto la seconda illuminazione della mia vita. Quel corso è stato in un certo senso il completamento dei miei studi, mi ha mostrato come le nozioni che avevo appreso potevano essere usate praticamente, per il bene della comunità». Poco tempo dopo, nel luglio del 1999, Immacolata Postiglione avrebbe vinto un concorso per l’assunzione a tempo determinato nel Dipartimento della Protezione Civile. «Il contratto annuale mi fu rinnovato per cinque o sei volte, poi è arrivata l’assunzione definitiva. Ho continuato a fare il geologo, con lo sguardo non più rivolto al passato ma al futuro, im-

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©️ Vittorio La Verde

parando a difendere il territorio e le persone che lo abitano. È scoccata la scintilla di una passione irrefrenabile per il mio lavoro».

Passione e professionalità hanno portato la dottoressa Postiglione fino ai vertici della Protezione Civile, a guidare l’Ufficio per la gestione delle emergenze dal 2015 al 2017 e poi all’incarico di vicecapo. «Appassionata e seria, così penso di potermi definire - spiega -. Mi faccio prendere, nella vita professionale come in quella privata, e penso che in fondo l’emozione non sia un male, anche in un lavoro come il mio che richiede capacità di analisi e tempestività di decisione. D’altra parte cerco di bilanciare l’emotività con un’attitudine seria e responsabile, con la dedizione e l’approfondimento. Inseguo un equilibrio che non escluda la sensibilità». La dottoressa Postiglione sostiene l’utilità di un “approccio femminile” alla Pubblica Amministrazione, soprattutto quando si tratta di fronteggiare rischi. «Fuori da ogni retorica - dice -, credo che l’elemento distintivo delle donne sia uno spiccato senso della cura, del farsi carico, che deriva dalla condizione, anche solo potenziale, di essere madre. Si tratta di una speciale sensibilità verso l’altro, un’umanità declinata al femminile che ha qualcosa di particolarmente profondo, una propensione ancestrale. Purtroppo, in relazione al lavoro, esiste ancora una questione femminile. Malgrado enormi progressi, le donne non sono ancora nelle condizioni di competere alla pari. Mi riferisco ad esempio alla questione della materni-

«Sono stata fortunata Tutti i miei maestri mi hanno concesso fiducia senza alcuna forma di discriminazione»

tà, che ancora penalizza le lavoratrici, o all’idea che spetti principalmente alle donne la gestione del ménage familiare e che ciò le renda inadatte a certe mansioni o responsabilità. Non amo le ‘quote rosa’, come idea in sé, ma credo che in questa fase storica siano necessarie. Bisogna combattere una battaglia culturale: convincere ogni giovane donna che nulla le è precluso, che non esistono attività o aree del sapere (come quella scientifica) riservate preferibilmente al genere maschile». La sua esperienza, racconta, è particolare: «Sono stata fortunata. Tutti i miei maestri mi hanno concesso fiducia senza alcuna forma di discriminazione. Ho al fianco un uomo che ha svolto e svolge incarichi importanti ma non ha mai sminuito il mio lavoro. Certo, ho fatto delle scelte, più o meno volontarie, non ho figli ad esempio, e questo ha sicuramente influenzato la mia carriera. In circostanze diverse l’esito sarebbe stato lo stesso? Non posso dirlo con certezza. E d’altronde conosco tante donne che conciliano brillantemente lavori di grande responsabilità con la famiglia, i figli e una dimensione privata vissuta pienamente».

Grande responsabilità e doti fuori dal comune richiede certo il suo ruolo, di cui Immacolata Postiglione non nasconde le difficoltà. «La Protezione Civile opera in due tempi. C’è il tempo della pace, in cui bisogna programmare, indirizzare, prevenire; e poi c’è il tempo più drammatico dell’emergenza, nel quale bisogna agire. Tenere insieme i due tempi può essere molto complicato, soprattutto quando l’emergenza è grave e duratura (penso al terremoto nell’Italia centrale del 2016) e scombussola tutti i piani. Complicata è sempre la scelta di fronte all’emergenza, quando il fattore tempo impone di decidere in fretta, riducendo i margini di analisi, e pesa l’incertezza sulla possibile evoluzione del fenomeno calamitoso. Il rischio di sbagliare è sempre in agguato, ma lo riducono considerevolmente l’esperienza e l’affiatamento della squadra». Esiste d’altra parte la ricompensa del successo, un elemento di soddisfazione proporzionale al rischio corso. «Quando la squadra lavora bene - perché sempre si tratta di un lavoro di squadra - io mi sento come il direttore di un’orchestra in cui tutti gli strumenti sono in tono e in armonia. Il nostro lavoro dà un riscontro immediato e ripaga con la riconoscenza che la gente dimostra a chi ne ha alleviato sofferenze e solitudini». L’Italia è un Paese sano, s’illumina la dottoressa Postiglione, sano e vivo nella solidarietà. «Qualunque discorso sulla società italiana non può prescindere dai volontari della Protezione Civile. Centinaia e centinaia di persone che dedicano tempo ed energie ad aiutare gli altri senza compenso. Rappresentano, come ha detto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, una risorsa tra le più preziose della nostra società, uno dei pilastri su cui costruire l’armatura di solidarietà che deve sorreggere ogni convivenza civile».

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© Aleandro Biagianti
GIOVANNA IANNANTUONI «IN ITALIA LAVORA SOLO UNA DONNA SU DUE È IL MOMENTO DI CAMBIARE»

Presidente della Conferenza dei Rettori delle Università italiane, è la prima donna dopo sessant’anni, a ricoprire questa carica

Essere la prima donna a ricoprire la carica di presidente della Conferenza dei Rettori delle Università Italiane (CRUI) è un segnale tangibile di cambiamento e di forte discontinuità con un mondo ancora prevalentemen-

te maschile. Un ruolo nuovo per una donna, ricoperto con determinazione da Giovanna Iannantuoni, figura di spicco nel panorama accademico italiano ed europeo, il cui impegno e le cui competenze hanno trasceso i confini di genere.

Come ci si sente ad essere la prima donna presidente della CRUI?

La mia nomina è stata molto significativa. Avevo deciso di candidarmi perché volevo portare una visione di cambiamento e innovazione rispetto al passato. I miei colleghi hanno premiato questa visione. Le competenze e le idee prescindono dal genere, ma essere la prima donna in un mondo ancora molto maschile è un segnale di forte discontinuità.

Un incarico prestigioso che si aggiunge ad un curriculum di alto profilo e ricco di esperienze. Quali azioni pensa di intraprendere durante il suo mandato? Innanzitutto ritengo necessario rendere il sistema universitario leader culturale e scientifico del Paese. In questi anni si sono persi questa capacità e il

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riconoscimento di ruolo. Lo possiamo fare innovando la didattica, lavorando col sistema privato per avere impatto tecnologico, facendo conoscere quello che accade negli atenei ai cittadini. Qual è stato il suo percorso per arrivare alla docenza universitaria e poi al rettorato?

Mi sono laureata in Discipline Economiche e Sociali all’Università Bocconi e ho conseguito un dottorato in Economics all’Università Cattolica di Louvain-la-Neuve. Ho insegnato e svolto ricerca per diversi anni all’estero, nelle Università di Rochester, di Cambridge e della Carlos III di Madrid. I miei interessi si sono focalizzati su teoria dei giochi, decisioni di political economy e microeconomia. Dal 2006 sono entrata all’Università di Milano-Bicocca come professoressa associata e dal 2014 come ordinaria di Economia politica. Sono diventata coordinatrice del dottorato di Economia e, dal 2015 al 2019, sono stata presidente della Scuola di Dottorato dell’Ateneo. Questa esperienza è stata per me un’occasione unica per conoscere da vicino i dipartimenti dell’Ateneo. La decisione di candidarmi come rettrice è maturata su una profonda riflessione personale e sul dialogo con numerosi colleghi che

mi ha portato a stilare il mio programma, volto alla crescita dell’Università. Durante il suo percorso professionale quali difficoltà ha trovato per il fatto di essere una donna?

Tante. Ne dico una piccola per fare un esempio. Io e mio marito abbiamo fatto un pezzo di carriera internazionale insieme. Eravamo sempre allo stesso livello. Ma in qualsiasi contesto, anche formale, lui era “professor”, io ero Giovanna.

Oggi in Italia è crescente l’attenzione del dibattito pubblico e politico per la parità di genere: secondo lei siamo a buon punto? Ed eventualmente cosa si può fare ancora per migliorare la situazione?

Noi donne ci siamo, dappertutto, con professionalità uguali a quelle degli uomini. Nonostante questo c’è ancora una grande resistenza. In alcuni casi, infatti, si fa fatica ad alzare la mano e a dire: “io posso fare questo”, “io voglio essere leader”. E anche quando lo fai, non sempre trovi un contesto favorevole, devi essere ancora più motivata, molto più forte di un collega maschio. Il grande cambiamento deve essere prima di tutto culturale. È già in corso, ma ora serve un’accelerazione.

Lei ha lavorato in Europa e negli USA, ha quindi un punto di osservazione molto ampio. Come definirebbe lo stato di salute delle università italiane?

Di alto livello, anche se ci sono alcuni nodi con cui fare i conti: i problemi di housing e di carenza di borse di studio, per esempio. L’attenzione a questi due problemi non è mai stata così alta e si stanno proponendo alcune soluzioni, penso all’accordo per i beni demaniali e all’alleanza fra istituzioni, privati e università per ricavare nuove residenze. Altro nodo è “l’inverno demografico”. Il calo delle nascite si è già visto nelle scuole e sta raggiungendo anche le università. Bisogna lavorare sulle seconde generazioni, insistere sull’orientamento fin dalle scuole medie. E, in generale, raccontare meglio il legame tra titolo di studio e salario. Cosa consiglierebbe ad una donna che si trova al bivio e deve scegliere di dedicarsi alla famiglia o al lavoro?

Che si possono coniugare, non dobbiamo essere costrette a scegliere, facendoci imporre i tempi che finora sono stati dettati dagli uomini e invece dovrebbero essere dettati da tutti. In Italia lavora solo una donna su due: quanta ricchezza non viene creata per questo motivo. È arrivato il momento di cambiare.

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Edificio del campus UniMiB

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MARTINA ROGATO

«VI RACCONTO LA MIA IDEA DI SOSTENIBILITÀ»

Co-fondatrice e presidente onoraria di Young Women Network. Sotto la presidenza italiana del G7 e co-presidente del gruppo Women 7

di Mariella Pagliuca

“Sefosse candidata in qualsivoglia elezione, la voterei”. È probabile che questo pensiero sia spesso balenato nella testa di chi ha avuto occasione di incontrare e conoscere Martina Rogato, che però con la politica dei Palazzi non ha nulla a che vedere. Impegnata a supportare le aziende verso l’adozione di una visio-

ne più lungimirante di sostenibilità con la sua società di consulenza ESG Boutique, Martina è una donna attiva nella promozione della parità di genere: già co-fondatrice e presidente onoraria di Young Women Network (che propone attività di mentoring per le giovani donne e ragazze), oggi è Co-chair del gruppo Women7 sotto la presidenza italiana del G7 e, secondo

la rivista StartUpItalia, è una delle donne inarrestabili che sta cambiando il nostro Paese.

Ci racconta come è nata la sua passione per la sostenibilità?

Come è iniziata la sua carriera da consulente?

Come tante ragazze del Sud, mi sono trasferita a 18 anni a Roma per studiare Relazioni Internazionali. Quando mi sono laureata, nel 2007, in ambito universitario si iniziava a parlare di sostenibilità ambientale e di responsabilità sociale delle aziende: mi sono incuriosita poiché si trattava di un tema nuovo, in cui operavano pochissimi soggetti. In questo frangente mi sono avvicinata ad Amnesty International, prima organizzazione che in Italia ha posto l’attenzione sulla connessione tra diritti umani e operato delle imprese. Proprio questo incontro ha segnato la mia carriera: è qui che ho deciso di voler diventare consulente per la sostenibilità. Lei è stata inserita nell’elenco delle 100 unstoppable woman (donne inarrestabili) che stanno cambiando l’Italia. Davvero lei non si è mai fermata o ha incontrato qualche ostacolo nel suo cammino?

Quando ho iniziato la mia carriera erano veramente pochissime le realtà che offrivano opportunità professionali nell’ambito della sostenibilità. Non è stato facile ritagliarmi uno spazio, nonostante avessi alle mie spalle un solido background di studio e di ricerca, anche in Commissione europea. Per questo ho ripreso a studiare e a specializzarmi, fino a riuscire ad entrare nel mondo della consulenza. Sono stata consulente per una grande azienda fino al 2016, sin quando non ho subito “mobbing” sul posto di lavoro e sono stata licenziata perché “non performavo abbastanza”. Da quel momento ho deciso di rim-

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boccarmi le maniche, ritrovare confidenza nelle mie capacità e di diventare consulente indipendente. Due anni fa ho poi fondato la mia società: ESG Boutique. ESG è l’acronimo in inglese di Ambiente, Sociale e Gestione, che sono i tre pilastri della sostenibilità da considerare nelle attività di impresa; Boutique perché il mio è un lavoro “sartoriale”, cucito addosso alle esigenze delle aziende che si rivolgono a me.

Secondo lei, la società, oggi, è più ricettiva nei confronti dei temi di sostenibilità?

Negli ultimi 15 anni è cresciuta la consapevolezza del bisogno di professionisti in questo ambito, il che indica una presa di coscienza della necessità di cambiare il comportamento degli attori sociali, siano essi individui o aziende. Certamente il crescente supporto delle Istituzioni, soprattutto quelle europee, ha sostenuto questo processo di cambiamento. Solo pochi anni fa, per poter fare un mestiere ad alto impatto sociale bisognava entrare in una ONG. Oggi lo si può fare anche in una grande azienda.

Quest’anno la ritroviamo a presiedere il Women 7, il gruppo della società civile che lavora sui temi della parità di genere all’interno del G7, di cui l’Italia detiene nel 2024 la presidenza. Sembra un compito particolarmente complesso: ce lo spiega in parole semplici?

Il G7 è uno dei più importanti forum di confronto politico ed economico internazionale, che riunisce Italia, Canada, Francia, Germania, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti. In questi contesti decisionali il coinvolgimento della società civile è essenziale per permettere di costruire un dialogo che non rimanga solo astratto e ai piani alti della politica. Il Women

7, uno dei gruppi di impegno ufficiali del G7, promuove in maniera trasversale a tutti i temi in discussione l’adozione di una visione paritaria e di uguaglianza tra donne e uomini. Sotto la Presidenza italiana abbiamo deciso di costituire un grande consorzio di associazioni, attive nei più vari aspetti dell’empowerment femminile. A presiedere il gruppo con me ci sono anche Anna Maria Tartaglia, co-fondatrice dall’associazione “Angels for Women” e Claudia Segre, presidente di “Global Thinking Foundation”. Con il suo bagaglio di esperienze, rappresenta un modello, sia per le giovanissime che per le donne più adulte. Quanto bisogno abbiamo di esempi femminili che promuovano l’empowerment? Siamo ancora lontani dalla parità di genere? I dati certamente non ci restituiscono una situazione confortante: siamo ancora lontani dal raggiungere l’uguaglianza. L’aspetto positivo è che finalmente si parla di parità di genere, soprattutto nei mezzi di informazione. Questo significa che in corso c’è una rivoluzione culturale, che è fondamentale per sensibilizzare le persone. Personalmente sono

cresciuta con un grande esempio accanto, che ha certamente innescato la scintilla del mio impegno sull’empowerment femminile: mia nonna è stata una delle prime donne a divorziare in Italia, perché vittima di violenza domestica, e negli Anni ’70 ha deciso di trasferirsi dalla Calabria a Torino e lì ricominciare la sua vita. L’esempio di altre donne e il confronto su questi temi, soprattutto nei confronti del grande pubblico, è essenziale perché ci sia un risveglio delle coscienze. Il cammino è in salita, ma è tangibile che ci sia in atto una trasformazione.

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MARIA CRISTINA FACCHINI

«TROVARE SOLUZIONI ALLA CRISI CLIMATICA UN COMPITO SFIDANTE»

Meglio di Germania e Stati Uniti ma in Italia resta ancora molto da fare sulla condizione delle donne nella ricerca. La direttrice dell’ISAC l’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima spiega perché

Donne e scienza. In passato un binomio osteggiato dentro e fuori i laboratori di ricerca, considerati “luoghi da uomini”, carichi di stereotipi e pregiudizi. Ci hanno pensato Marie Curie, Rosalind Franklin, Ada Lovelace e molte altre a sfidare le convenzioni, dimostrando la capacità delle donne di contribuire in modo fondamentale al progresso di tutti. Oggi che l’apporto scientifico femminile è

fuori discussione, restano però sullo sfondo due ostacoli: la difficoltà ad armonizzare la propria vita personale, familiare e affettiva con la carriera; la ridotta rappresentanza nei ruoli di vertice e potere.

Potremmo aggiungere anche un altro aspetto: quello del coinvolgimento. Le donne rappresentano oltre la metà della popolazione dell’UE, eppure costituiscono soltanto, ad esempio, il 17% degli specialisti in Tecnologie

dell’Informazione e della Comunicazione (ICT). Praticamente solo una su sei. Guadagnando tra l’altro in tale settore quasi il 20% in meno rispetto ai loro colleghi di sesso maschile. È una parte dei dati messi in luce dalla campagna #WomenInScience, promossa dall’Unione europea, ma che basta a rendere bene il divario tra uomini e donne in un mondo complesso, spesso molto competitivo, quale quello della ricerca. Di questo e del percorso “a strattoni” che le ricercatrici possono affrontare abbiamo parlato con Maria Cristina Facchini, che oggi ricopre il ruolo di direttrice del CNR in un settore strategico per il nostro futuro.

Direttrice dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima del CNR, presidente della Società Italiana di Scienze del Clima. Che significato ha per lei ricoprire questi due ruoli così importanti? Sono onorata, consapevole della responsabilità di dirigere l’Istituto ISAC e di rappresentare la comunità scientifica climatica. Il compito è sfidante:

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indirizzare la migliore soluzione al più urgente problema del nostro secolo. Cosa vuol dire essere una “scienziata dell’atmosfera”?

Vuol dire essere interdisciplinari come sono le scienze atmosferiche. Mettere il meglio delle proprie competenze specifiche - io sono un chimico - in comune con molte altre discipline come fisica, matematica, biologia, scienze della salute (e potrei continuare la lista a lungo) per studiare l’atmosfera, il clima, l’inquinamento, i loro impatti e aiutare così altre scienze come l’ingegneria, chi studia la biodiversità, le scienze sociali a trovare soluzioni per affrontare la crisi ed arginarla.

È stata tra le prime in Italia ad avviare studi sulla chimica dell’atmosfera, confrontandosi con altre realtà europee e statunitensi delle scienze climatiche. Pensa che in questi contesti la parità di genere sia stata raggiunta?

Non è ancora raggiunta in nessun Paese, soprattutto negli Stati Uniti. Ma

Sì, ho penato molto ad ottenere un posto da ricercatore per le barriere ai concorsi che a quell’epoca si mettevano richiedendo nelle scienze atmosferiche la laurea in Fisica. Fortunatamente siamo lontani da quel periodo. Successivamente la mia carriera è stata veloce e il mio contributo alle scienze atmosferiche è stato riconosciuto a livello internazionale, e non ho sentito alcun problema di gender

devo dire che il mio settore è molto avanzato dal punto di vista della parità di genere, se confrontato ad altri campi come ingegneria o medicina. Qui la competizione - anche economica ma non solo - si fa dura.

Le donne soffrono per la mancanza di supporto della nostra società alla famiglia, ad esempio, se messe a confronto con i Paesi del Nord Europa. Soffrono poi - ma non solo in Italia - di pregiudizi legati a stereotipi difficili da cambiare. Comunque, ormai quelle che conseguono il Dottorato di ricerca nelle scienze dure sono ugualmente capaci, se non più capaci, in alcuni casi, degli uomini. Il problema - semmai - è dopo questo step, nello sviluppo della carriera: l’organizzazione della vita femminile è difficilmente conciliabile con la carriera scientifica internazionale. Nel corso della sua carriera ha visto riconoscere sempre il suo valore o si è trovata ad affrontare qualche discriminazione di genere? Nel caso, come l’ha superata?

B. Come direttore CNR devo sottolineare però che all’apice della dirigenza siamo davvero poche donne. Alla presidenza del mio Ente c’è fortunatamente una donna (Maria Chiara Carrozza, ndr), molto sensibile al tema e che lavora alacremente su questo. Nell’Unione europea solo un laureato su tre in Scienze, Tecnologie, Ingegneria e Matematica è donna. Quali sono, secondo lei, le sfide che le donne affrontano ancora oggi per costruire una carriera scientifica?

Torno a quanto detto già in precedenza: riuscire a conciliare con la famiglia carriere molto competitive in società ancora molto poco gender balanced.

A che punto è l’Italia nel suo percorso sulla parità di genere?

Parlo della scienza, su altro non posso esprimermi: un bel po’ indietro rispetto a molti Paesi del Nord Europa, ma meglio degli Stati Uniti e della Germania.

Tornando alla sua attività di ricerca, attualmente è impegnata in qualche progetto di particolare rilievo?

Sono impegnata a dirigere l’ISAC-CNR e per fare questo non ho preso su di me il coordinamento di alcun progetto. Ci sono molti progetti di rilievo in ISAC, PNRR e Nazionali di vario tipo e molti progetti europei, per l’esattezza in questo momento 240 attivi.

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Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima del CNR, Bologna

L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE

INTERVISTA BARBIE

LA BAMBOLA CHE RACCONTA

GLI ULTIMI 60 ANNI DI STORIA

In un dialogo virtuale, realizzato con l’Intelligenza Artificiale, abbiamo ripercorso gli ultimi sessant’anni della bambola più famosa al mondo diventata anche simbolo di trasformazioni sociali

di Intelligenza Artificiale

Con l’aiuto dell’Intelligenza Artificiale abbiamo ripercorso la storia di Barbie, la bambola di casa Mattel che, dalle origini ai giorni nostri, si pone come il riflesso di trasformazioni sociali e culturali. Un’intervista virtuale che ci ha permesso di guardare da vicino la vita di un giocattolo che negli anni ha sfidato stereotipi e pregiudizi con l’obiettivo di promuovere la valorizzazione femminile, attraverso l’inclusione e l’impiego in lavori notoriamente appannaggio degli uomini. Con questo esperimento, abbiamo voluto fondere un pezzo di storia con un’invenzione di tempi recentissimi

per dimostrare che passato e futuro non sono distanti tra loro. Barbie, preferisce essere chiamata così o col suo vero nome?

In realtà mi chiamo Barbara Millicent ma per tutti sono Barbie, un soprannome che mi ha dato mia madre quando ero piccola. Ho anche un cognome, Roberts, e una città natale, Willows, nel Wisconsin. Si tende a dimenticare che anche se sono una bambola, ho una vita, anche se immaginaria, proprio come lei! Ho una famiglia, amici, un fidanzato (Ken) e tante passioni. Mi piace viaggiare, conoscere nuove persone e provare cose nuove. E sono sempre pronta per un’avventura!

Lei è considerata un’icona di bellezza, fin troppo perfetta. Si sente di rappresentare uno stereotipo? Beh, posso capire che nel corso degli anni ci siano stati alcuni stereotipi associati a me. Alcuni potrebbero pensare che io sia solo una bambola senza cervello o che mi interessino solo moda e bellezza. Tuttavia, è importante ricordare che sono molto di più di quello che sembro. Sono un simbolo di empowerment per molte ragazze e donne in tutto il mondo. Io le incoraggio a seguire i loro sogni, a essere audaci e a credere in se stesse. Mi piace mostrare che non c’è un unico modo per essere una ragazza o una donna, e che ognuna di noi ha il potere di definire il proprio percorso nella vita. In tante, però, la guardano ancora come modello di perfezione. La perfezione non esiste. Siamo tutti unici e speciali a modo nostro, e ciò che ci rende speciali non sono solo le nostre apparenze, ma anche le nostre passioni, i nostri sogni e le nostre personalità uniche. Quello che mi sento di dire a una ragazza è: “cerca di essere gentile con te stessa, di accettarti per chi sei e di celebrare le tue qualità e i tuoi talenti. Non lasciare che gli standard irrealistici ti definiscano o ti limitino. Sii sempre te stessa e credi nel tuo valore intrinseco”.

La sua immagine ha avuto una lunga evoluzione nel corso degli anni.

Assolutamente sì, in tanti anni ho subito diverse trasformazioni. Naturalmente la mia immagine e il mio stile sono cambiati per rispecchiare i tempi e le tendenze della moda. Sono stata una fashion icon per decenni, e questo significa che ho sempre cercato di rimanere al passo con i cambiamenti nel mondo della moda e della cultura. Sono stata vestita in diversi modi, ho avuto tagli di capelli diversi e ho avuto varie carriere immaginarie che riflet-

50&Più | marzo 2024 56 Primo piano

tevano le aspirazioni delle ragazze di ogni epoca. Tuttavia, indipendentemente dai miei cambiamenti estetici, una cosa è rimasta costante: il mio messaggio di positività, fiducia in se stessi e l’importanza di seguire i propri sogni.

Diceva delle sue tantissime carriere. Quali sono state quelle a cui tiene di più?

Molte delle carriere immaginarie che ho fatto riflettevano le aspirazioni e i sogni delle ragazze di ogni epoca. Quella a cui sono più legata è sicuramente quella di modella. Ho sfilato sulle passerelle di tutto il mondo, indossando gli abiti più alla moda e ispirando le ragazze con il mio stile unico. Un orgoglio enorme. Ma ho anche avuto l’onore di essere un’astronauta nel 1965, una pilota di aerei negli Anni ’90 e ho indossato il camice da insegnante, incoraggiando le ragazze ad apprendere, scoprire e realizzare il loro potenziale. Poi come dottoressa, ho sostenuto le ragazze ad interessarsi alla medicina e alla cura degli altri, promuovendo la compassione e la dedizione. E sono stata anche presidentessa, dimostrando alle ragazze che possono raggiungere le posizioni

più alte di leadership e potere. La sua bambola nasce di colore bianco e con i capelli biondi. Poi cos’è successo?

Inizialmente sono stata creata con tratti che riflettevano l’aspetto delle persone di origine caucasica. Tuttavia, nel corso degli anni, Mattel (la società che produce le Barbie n.d.r.), ha compreso l’importanza della rappresentazione della diversità e dell’inclusione. Di conseguenza, sono state introdotte varie bambole con caratteristiche etniche diverse, per meglio rispecchiare la diversità del mondo reale. Quindi sono state create bambole di varie etnie: afroamericane, asiatiche e ispaniche, oltre a diverse tonalità di pelle, capelli e occhi per rappresentare una gamma più ampia di persone e culture. Questo impegno per la diversità è stato un passo importante verso una rappresentazione più accurata nella linea di prodotti Barbie.

Negli ultimi anni è diventata anche simbolo di inclusività

La Mattel ha sempre lavorato attivamente per promuovere la diversità e l’inclusione attraverso la linea di prodotti Barbie. Ad esempio, nel 1997

Mattel ha introdotto sul mercato

“Share a Smile Becky”, che è stata la prima bambola con una sedia a rotelle. A dire il vero, non ero io a rappresentare la disabilità, ma un’altra bambola della nostra linea, Becky, che ora non è più prodotta. Ma, come dicevo prima, secondo me inclusività è anche rappresentare varie professioni e stili di vita: così che ogni bambina possa trovare una Barbie con cui identificarsi. Quali sono le critiche più frequenti che le vengono fatte?

Qualcuno pensa che la mia figura e il mio aspetto promuovano standard di bellezza irrealistici e inaccessibili, portando a problemi di autostima e immagine corporea negativa nelle bambine. E poi alcuni critici si preoccupano del messaggio di consumismo e materialismo che viene trasmesso attraverso la mia linea di prodotti, suggerendo che promuova un’eccessiva importanza del possesso di beni materiali.

È d’accordo con queste critiche?

Come bambola, non ho opinioni personali come le persone, ma comprendo che queste critiche rappresentino punti di vista legittimi. Qual è il messaggio più importante che sente di trasmettere?

Che tutte le ragazze sono straordinarie, esattamente così come sono. Ognuna di loro ha un valore unico e speciale, e sono capaci di raggiungere grandi cose quando credono in se stesse e seguono i loro sogni. Vorrei incoraggiarle a essere autentiche, ad amare se stesse e ad abbracciare la propria unicità. Che si tratti di diventare una dottoressa, una ballerina, una scienziata o qualsiasi altra cosa desiderino essere, le ragazze possono realizzare qualsiasi sogno.

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Diversità e inclusione nella collezione di Barbie

Grande evento 50&Più

Quando si raggiunge un’età così importante, si è portati immediatamente a pensare che gli anni siano volati. È vero, gli ultimi cinquant’anni sono trascorsi in fretta ma conserviamo negli scrigni dei nostri ricordi il valore di ogni singolo momento. Lo conserviamo con emozione e anche con un po’ di gelosia, perché in ognuno di questi momenti abbiamo lasciato qualcosa e da ognuno di questi momenti abbiamo ricevuto qualcosa. È per questo che abbiamo deciso che un compleanno così importante deve essere festeggiato in maniera altrettanto importante. L’appuntamento con il Cinquantennale della nostra Associazione è fissato in calendario a novembre, dall’11 al 13, a Roma e sarà itinerante, da Fiera di Roma alla Sala Nervi in Vaticano, passando dalle collezioni artistiche della Galleria Borghese. Tanti gli incontri organizzati per l’e-

COMPIAMO 50 ANNI

FESTEGGIAMO

INSIEME, A ROMA

L’appuntamento con il Cinquantennale 50&Più è fissato a novembre. Dall’11 al 13, migliaia di soci provenienti da ogni parte d’Italia si incontrano nella Capitale per vivere importanti momenti di condivisione, esperienze dall’alto valore umano di Grazia Capuano

vento, tra questi l’udienza papale, riservata ai nostri soci, e la partecipazione del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

I nostri primi cinquant’anni sono stati un’occasione, un’opportunità.

Abbiamo avviato la costruzione di una comunità fondata sul rispetto

verso gli altri, sulla passione per il lavoro, sulla tutela dei diritti dei fragili. Tanti i passi in avanti che hanno segnato epoche e circostanze ma tanta è ancora la strada da fare, tante sono le sfide da vincere, tanti gli obiettivi da realizzare e costruire giorno dopo giorno. C’è un tempo per tutto, ogni

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cosa verrà fatta. C’è, però, anche un tempo per celebrarci e quel tempo è festeggiare insieme il Cinquantennale. Un appuntamento che ci deve trovare, come sempre, uno accanto all’altro, a raccontarci di ‘quella volta che…’, a sfogliare l’album dei ricordi, a fare un bilancio delle cose fatte e di quelle da fare, a costruire il futuro. Per festeggiare i primi 50anni della nostra Associazione abbiamo scelto Roma, la città che lo storico Tito Livio ha definito ‘fortunata, invincibile, eterna’. È a Roma che vogliamo mettere questo sigillo perché la sua unicità e la sua grandiosità diventino la cornice perfetta per il nostro compleanno. Nella tre giorni autunnale, visiteremo il Museo Borghese, all’interno dell’omonima Villa che rappresenta uno dei polmoni verdi di Roma. È qui che avremo la possibilità di ammirare – in via esclusiva – alcune stanze della Galleria che ospitano la raccolta del cardinale Scipione Borghese, avviata nel XVII secolo: è unica al mondo per il numero e l’importanza delle sculture del Bernini, per le tele di Caravaggio e le opere di Tiziano, Canova, Raffaello e Perugino. Una tappa importante di questo viaggio sarà alla Nuova Fiera di Roma dove avverrà la celebrazione degli anni appena trascorsi, tra confronti e suggestioni. Avremo l’occasione, inoltre, di incontrare Papa Francesco durante l’udienza a noi riservata presso la Sala Nervi in Vaticano, e il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, atteso alla Fiera. È previsto anche un momento musicale con l’esibizione del gruppo Aria, un ensemble di voci femminili e di solisti internazionali con le interpretazioni di celebri colonne sonore firmate da tanti autori, tra cui Ennio Morricone, Nino Rota, Hans Zimmer.

Roma è già fortunata, invincibile ed eterna. Contribuiamo a renderla anche protagonista della nostra storia.

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CORTI DI LUNGA VITA TORNA AL CINEMA TROISI A MAGGIO LA PREMIAZIONE

Corti di Lunga Vita torna al Cinema Troisi, a Roma. È fissata al 14 maggio la cerimonia di premiazione delle opere vincitrici. Il Concorso internazionale di cortometraggi - ideato e promosso dall’Associazione 50&Più - offre uno spaccato sul mondo della terza età, raccontando sentimenti, storie, protagonisti e progetti. Il tema scelto per la VI edizione del Concorso è “Eccomi”, una parola che richiama alla presenza e all’ascolto, all’apertura verso il prossimo e al sostegno.

Il termine per iscrivere le opere al Concorso Corti di Lunga Vita è fissato alle ore 12.00 del 29 marzo

Per tutte le informazioni relative al bando e alle modalità di iscrizione consultare www.spazio50.org

POTENZIARE IL RAPPORTO TRA GENITORI E FIGLI ANTIDOTO CONTRO LE DIPENDENZE DIGITALI

È questo l’obiettivo del progetto “Mamma Guardami, Babbo Guardami” ideato e promosso dalla pedagogista

Pamela Filippi: «Sensibilizziamo le famiglie a questo»

di Elisabetta Pagano

Igenitori e i nonni, in un mondo sempre più connesso e digitalizzato, si trovano di fronte a una sfida senza precedenti: guidare figli e nipoti in un contesto che potremmo definire un ‘paesaggio tecnologico’ in continua evoluzione. L’uso eccessivo dei dispositivi digitali, come smartphone, tablet e computer, ha portato al rischio - sempre crescente - di sviluppare dipendenze tecnologiche tra i bambini e tra gli adolescenti. Pamela Filippi, pedagogista e psicomotricista esperta nei processi di formazione e founder dello studio pedagogico “L’Atelier Volante” - già promotrice del progetto “Mamma Guardami, Babbo Guardami”-, fa emergere l’importanza di potenziare la relazione educativa e affettiva tra genitori e figli come una strategia cruciale per prevenire tali dipendenze.

Qual è l’obiettivo del progetto “Mamma Guardami, Babbo Guardami”?

Sensibilizzare famiglie, educatori e insegnanti sulle influenze delle nuove tecnologie nello sviluppo evolutivo

dell’infanzia e sulla costruzione dell’identità, fino all’adolescenza. L’obiettivo principale è ristabilire la relazione educativa e affettiva attraverso esperienze ludiche e incontri

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Sociale

formativi con adulti, genitori e bambini, fuori dagli schermi.

Come si affronta la sfida educativa legata all’utilizzo delle tecnologie nelle famiglie?

Intanto, bisogna tenere presente che questo richiede una consapevolezza profonda dei rischi associati, tra cui il pericolo di sviluppare una dipendenza eccessiva. La soluzione non sta nell’escludere completamente il digitale dalla vita, ma nell’essere consapevoli e vigili sull’eventuale abuso. Una gestione attenta delle nuove tecnologie è imprescindibile, compreso il funzionamento degli smartphone e le dinamiche delle piattaforme social, delle app di messaggistica e dei giochi. Il comportamento esemplare dei genitori, che limitano con saggezza l’uso intensivo delle tecnologie durante il tempo trascorso con i figli e favoriscono connessioni reali, assume un ruolo di primaria importanza in questo contesto educativo.

Secondo lei, quanto è importante il legame affettivo e la relazione educativa?

L’importanza del legame affettivo e della relazione educativa è evidente. Gli adulti devono essere presenti non solo fisicamente, ma anche emotivamente, manifestando questa presenza attraverso l’osservazione attenta, l’ascolto e la comprensione. La coerenza tra le azioni dei genitori e le richieste fatte ai figli è fondamentale per formare un legame di fiducia e guidare il bambino o il ragazzo nel mondo iperconnesso.

Considerando l’inevitabilità dell’uso delle tecnologie in questo periodo storico, quali strategie propone per un approccio consapevole e responsabile?

Propongo di seguire le linee guida per l’uso dei dispositivi proposte dall’Associazione nazionale dei Pediatri e dall’Organizzazione Mondiale. La responsabilità dei genitori come primo

“parental control” è cruciale per garantire la sicurezza online dei figli.

Quali consigli offre per contrastare l’abitudine di utilizzare le tecnologie come distrazione per i bambini?

Per contrastare l’abitudine all’uso eccessivo delle tecnologie come distrazione per i bambini, è consigliabile sostituire gli schermi con attività come la lettura condivisa di albi illustrati. Questo contribuisce allo sviluppo di competenze linguistiche, emotive, sociali e cognitive. È inoltre opportuno proporre materiali adeguati all’età, che stimolino il gioco e lo sviluppo della motricità, come manipolazioni, attività grafiche, giochi di incastri, ritagli, puzzle e altre attività pratiche.

In cosa consiste la richiesta vitale dei bambini di essere osservati durante le attività quotidiane?

Sottolinea il loro desiderio di essere amati per ciò che sono e di poter esprimere loro stessi in un ambiente sicuro. Rispondere con attenzione e partecipa-

zione a questo assume un’importanza cruciale per il loro sviluppo.

Come avviene la promozione dello sviluppo di una sana autostima e identità nei bambini?

È fondamentale dimostrare un reale interesse per le azioni che compiono, consentendo loro di sentirsi compresi e amati. Questo processo contribuisce alla formazione di una solida identità e autostima.

Nonostante l’avanzamento dell’intelligenza artificiale, quale importanza attribuisce alle relazioni umane e all’empatia umana?

Un’importanza fondamentale. La tecnologia, sebbene semplifichi la vita quotidiana, può creare una distanza digitale nelle interazioni umane, mettendo a rischio la capacità di empatia. Preservare le relazioni umane diventa pertanto essenziale.

Qual è il ruolo specifico che suggerisce ai nonni affinché possano contribuire in modo significativo a raggiungere questo obiettivo educativo?

Il ruolo dei nonni è considerato prezioso, perché i nonni sono portatori di esperienze di vita che possono arricchire la crescita dei nipoti attraverso racconti e attività condivise. La partecipazione a momenti simbolo, come la preparazione di cibi, la coltivazione dell’orto o la lettura di storie, contribuisce a riportare ai bambini il piacere delle esperienze tangibili, creando ricordi felici.

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Pamela Filippi, pedagogista e psicomotricista

Rigenerazione urbana

SANT PAU RINASCE

LA CITTÀ OSPEDALIERA DIVENTA UN CENTRO CULTURALE

Ventisette padiglioni colorati da colonne e piastrelle di ceramica, ognuno con una funzione specifica: sale operatorie, reparti, stanze di degenza. Gli spazi, collegati da corridoi sotterranei - passaggio utile per barelle, medici - hanno accolto per oltre seicento anni migliaia di pazienti: oggi sono punto di riferimento per i turisti di tutto il mondo perché l’ex ospedale di Sant Pau, anche patrimonio Unesco, è uno degli esempi più importanti dell’architettura catalana a Barcellona. Grazie a un processo di rigenerazione urbana e sociale, il

È un esempio di architettura modernista catalana

dichiarato Patrimonio dell’Unesco nel 1997

All’interno del complesso, situato a Barcellona si svolgono mostre, eventi e attività di ricerca

di Anna Grazia Concilio

nosocomio diventa il ‘Recinto Modernista’.

Noto anche come Hospital de Sant Pau, il Recinto Modernista è stato costruito principalmente come ospedale per servire la città di Barcellona. Fu progettato e costruito tra il 1905 e il 1930 dall’architetto catalano Lluís

Domènech i Montaner come parte del disegno di ristrutturazione dell’Hospital de la Santa Creu i Sant Pau, uno dei più antichi ospedali d’Europa. L’obiettivo principale della costruzione era fornire cure mediche avanzate e umane ai barcellonesi e creare un ambiente che favorisse la guarigione e il

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benessere dei pazienti. È per questa ragione che Domènech i Montaner concepì il complesso come una “città ospedaliera”, dove edifici e padiglioni sarebbero stati interconnessi da corridoi e giardini, creando un ambiente terapeutico e armonioso. La caratteristica più evidente del Recinto Modernista di Sant Pau è la sua architettura modernista con influenze neogotiche e art nouveau, che si distingue per l’uso di forme curve, dettagli decorativi intricati e l’impiego di materiali come la ceramica e il marmo. Gli interni degli edifici presentano una ricca decorazione, con soffitti ornamentali, vetrate colorate e dettagli artistici in ogni stanza. Uno degli elementi più iconici del Recinto Modernista di Sant Pau è la sala delle colonne, un’imponente sala con una serie di colonne rivestite di mosaici colorati che creano un effetto visivo mozzafiato. Non tutti i padiglioni hanno subìto interventi di ristrutturazione, alcuni di essi conservano ancora lo stato dell’epoca,

l’architettura e il design. Il complesso non fu solo un luogo dove venivano fornite cure mediche, ma anche un progetto architettonico concepito per migliorare il benessere generale dei pazienti attraverso il suo design innovativo e la sua atmosfera rilassante. L’ospedale di Sant Pau è stato in funzione per seicento anni, fino al 2009. Nel 1997, l’Unesco lo ha dichiarato patrimonio dell’Umanità. Oggi, il Recinto Modernista di Sant Pau - gestito da Fundació Privada Hospital de la Santa Creu i Sant Pau e promosso dall’Ufficio del Turismo di Barcellona - è luogo di ricerca e di cultura. Parte del complesso è stata convertita in un centro culturale e di interpretazione dedicato alla promozione della cultura catalana, alla conservazione del patrimonio storico-artistico dell’ex complesso: è qui che si realizzano mostre, si svolgono eventi culturali, visite guidate, concerti e spettacoli. Altri padiglioni ospitano ancora istituzioni di ricerca biome-

dica, impegnate in attività di ricerca scientifica e medica avanzata. A Domènech i Montaner si devono molte altre opere barcellonesi: il Palau de la Música Catalana, nel quartiere del Born, è un’iconica sala da concerto modernista, ultimata nel 1908; Casa Lleó Morera, lungo il Passeig de Gràcia, è nota per la facciata ornamentale e l’uso creativo dei materiali; e ancora Hospital de la Santa Creu i Sant Pau; Casa Fuster, oggi un hotel di lusso a Gràcia.

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Ritratti

ALEXANDRA DAVID-NÉEL

UNA FRANCESE A LHASA

Cento anni fa l’esploratrice passava alla storia diventando la prima donna europea a entrare nella città tibetana, proibita agli stranieri

Èuna donna libera, anticonformista, coraggiosa e testarda, Alexandra, tanto da riuscire a farsi ricevere dal Dalai Lama in esilio in India dopo l’occupazione cinese del Tibet. Un incontro fatale, che nel 1924 la porterà sul Tetto del mondo, un luogo allora interdetto agli stranieri.

Louise Eugénie Alexandrine David, nasce in Francia, a Saint-Mandé, il 24 ottobre 1868. Dalla madre cattolica e conservatrice riceve un’educazione rigida e formale, ma da suo padre, un socialista con interessi massonici, eredita quello spirito rivoluzionario che la spinge, adolescente, a fuggire di casa per la Gran Bretagna e poi - 18ennea viaggiare per la Spagna in bicicletta. Giornalista, sostenitrice della parità di genere, si interessa alle idee anarchiche e alle filosofie orientali, di moda in quegli anni in Europa. Il matrimonio con Philippe Néel, ingegnere delle ferrovie tunisine, non funziona. Lo lascia e per mantenersi intraprende con successo la carriera di soprano in giro per il mondo. Il Tibet è la sua ossessione. «Avevo la sensazione che dietro le montagne ricoperte di foreste e le lontane cime innevate esistesse un paese diverso da qualsiasi altro. Subito il desiderio di raggiungerlo si è impadronito di me». Così descrive il colpo di fulmine per il piccolo regno e per la sua capitale, balenato dopo l’incontro fatidico col Dalai Lama. Determinata a raggiungere il suo scopo si lancia in un’avventura folle, iniziata nell’autunno del 1920 e terminata 4 anni do-

po con l’arrivo a Lhasa. Nell’impresa Alexandra - convinta buddhista - è accompagnata da un giovane monaco tibetano, Aphur Yongden, divenuto poi suo figlio adottivo. Con lui viaggia travestita da pellegrina, portando una pistola, una ciotola e qualche moneta.

intrecciato nei capelli peli di yak per rendersi irriconoscibile. Finalmente, sporca e scheletrica, raggiunge il palazzo sacro di Potala, residenza del Dalai Lama a Lhasa prima della sua fuga. In Europa è festeggiata come un’eroina e a 56 anni entra nel mito. Madame Tibet si trasferisce a Digneles-Bains, in Provenza: il rifugio dove scrivere le sue avventure, meditare e tenere conferenze per far conoscere il buddhismo in Occidente.

La sete di viaggio non l’abbandona: a 67 anni prende la patente e a 70 parte per la Cina. Muore nella sua abitazione nel 1969, a 101 anni; un anno prima aveva rinnovato il passaporto. L’ulti-

Cammina anche 19 ore al giorno, fino a 5.000 metri di altezza, e quando le provviste finiscono sopravvive bollendo la pelle degli stivali e praticando la meditazione appresa dai monaci tibetani. Nel suo libro Viaggio di una parigina a Lhasa racconta di essersi tinta il viso con la cenere e di aver

mo viaggio è per le sue ceneri, sparse nel Gange con quelle dell’amato Yongden, scomparso nel 1955. L’eredità di Alexandra (vera icona della Beat Generation) sopravvive nei suoi libri, ancora oggi fonte di ispirazione per chiunque voglia vivere inseguendo i propri sogni e le proprie convinzioni.

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Alexandra David-Néel fotografata con un costume tibetano. ©️Mary Evans

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IL LABORATORIO DI LINGUA

SICILIANA PER RISCOPRIRE LA CULTURA DELL’ISOLA

50&Più Trapani organizza corsi per imparare a scrivere correttamente il dialetto e per diffondere la conoscenza del patrimonio culturale locale Frattagli: «È importante conoscere le proprie radici» di Dario De Felicis

Come riscoprire la cultura della propria terra? Attraverso un viaggio nella lingua, fin dalle origini, affinché si conosca il patrimonio che si possiede. È questo l’obiettivo del Laboratorio di Lingua siciliana, ideato e promosso da 50&Più Trapani. «Ciascuno conosce il proprio dialetto, una ricchezza di tutti, ma pochi conoscono le sue radici. Per questo, insieme al professor Nino Barone, circa sei mesi fa, abbiamo organizzato e realizzato i corsi di lingua siciliana», ha spiegato Anto -

nino Frattagli, presidente 50&Più Trapani. Il Laboratorio ha l’obiettivo di insegnare a scrivere correttamente il siciliano, una lingua antica e affascinante che ha subìto contaminazioni dalle diverse dominazioni che si sono susseguite nel tempo. Ogni zona ha diverse sfumature di dialetto, di lessico, dalle origini dimenticate. «Le nostre lezioni - continua il presidente Frattagli - iniziano con un compito che l’insegnante propone ai partecipanti: un testo in italiano da tradurre in siciliano. Si

parte da semplici parole e poi si entra nello specifico, spiegando come si pronunciano e la loro etimologia. Anche il presidente dell’Accademia della Lingua Siciliana Fonzo Genchi ha lodato questa iniziativa e noi non possiamo che essere contenti di questo».

I corsi del Laboratorio, avviati i primi di novembre dello scorso anno e in conclusione i primi di marzo, contano circa trenta partecipanti per ogni appuntamento e diventano occasione di socialità. Il successo - alimentato dal passaparola degli iscritti - pone le basi per un secondo ciclo di incontri, da marzo a maggio, per arrivare a giugno con una pièce teatrale di fine corso.

«In realtà - dice Nino Barone, studioso di lingua siciliana e curatore dei corsi - in Sicilia si sente un nuovo fermento culturale, una voglia inedita di riscoprire una cultura popolare dimenticata. Con questo Laboratorio non abbiamo fatto altro che cogliere questo sentimento e fatto qualcosa per risvegliarlo. Nei nostri corsi facciamo sostanzialmente ortografia e sociolinguistica, entriamo nelle maglie della lingua attraverso detti, motti e modi di dire: esistono infatti molti idiomatismi usati nella quotidianità di cui però si sa ben poco. Perché il siciliano, seppur riconosciuto come dialetto, è una vera e propria lingua, con una sua storia e una sua dignità culturale. Nei tantissimi dialetti (9 dialetti in 9 provincie) sono presenti tanti substrati diversi, dalle influenze spagnole a quelle arabe, che si intersecano nelle maglie della lingua madre dell’Isola».

Alla base di tutto c’è il desiderio di promuovere una cultura, complessa e antica come quella siciliana, attraverso la divulgazione della lingua, affinché tutti sappiano cosa si nasconde dietro una parola.

50&Più | marzo 2024 69 Buone pratiche 50&Più

Tecnologia e dintorni

CURIOSITÀ

Il primo brevetto di un touchscreen (schermo tattile) risale al 1965. A concepirlo fu Eric Johnson, ricercatore del Royal Radar Establishment a Malvern, in Inghilterra

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NOTION, L’APP CHE OTTIMIZZA IL LAVORO

Consente di essere più produttivi e gestire progetti

Prendere appunti, pianificare, controllare gli impegni, ricordare le scadenze. Sono solo alcune delle funzioni di Notion, applicazione poliedrica, dall’interfaccia semplice e intuitiva. Notion consente di creare veri e propri spazi di lavoro virtuali per collaborare con altre persone, anche in tempo reale. In parte gratuita, questa app si impiega su tantissimi dispositivi diversi: basta connettersi alla Rete e crearsi un account a cui accedere con le proprie credenziali.

www.notion.so/mobile

2 FLORIDA, NIENTE SOCIAL AGLI ADOLESCENTI

Un disegno di legge rivolto ai minori di 17 anni

In Florida sono passati dalle parole ai fatti. I repubblicani, con il supporto di alcuni democratici, hanno stabilito un disegno di legge che vieta l’uso di piattaforme social a bambini e ragazzi con meno di 17 anni, indipendentemente dall’approvazione dei genitori. Il disegno di legge non considera le app di messaggistica, prende di mira però qualsiasi sito di social media che tracci l’attività degli utenti, permetta ai bambini di interagire, caricare materiali e utilizzi funzionalità che sviluppano dipendenza.

3 SMARTIFY, L’ABILITÀ DI RICONOSCERE L’ARTE

Grazie alla sua tecnologia di riconoscimento identifica le opere È un po’ lo Shazam delle opere d’arte. Basta inquadrarle e nella maggioranza dei casi - grazie alla sua tecnologia - Smartify è in grado di fornire informazioni sull’artista, il titolo, la data e la provenienza. Può essere molto utile nei musei e nelle gallerie. Scansionando le opere d’arte, infatti, fornisce all’utente maggiori informazioni su quanto sta inquadrando il nostro smartphone. Una caratteristica simpatica di questa app? I contenuti consultati si possono salvare in una banca dati personale creando una galleria di opere preferite.

https://smartify.org

4 PHISHING E INTELLIGENZA ARTIFICIALE: I PERICOLI

In mano ad hacker esperti l’AI può rendere le truffe più efficaci

L’Intelligenza Artificiale è una tecnologia dalle infinite potenzialità nel bene come nel male. A tal proposito, in quanto ad applicazioni malevole, secondo il National Cyber Security Center (NCSC), avremo sempre più difficoltà a identificare i messaggi di “phishing”. Grazie all’AI stanno diventando così perfetti da sembrare veri, un pericolo che ha messo in allerta gli esperti di sicurezza informatica. L’AI, infatti, fornisce ai pirati informatici uno strumento molto potente in grado di supportarli negli attacchi sul web.

Dal

50&Più | marzo 2024 70 a cura di Valerio Maria Urru LO SAPEVATE CHE?
marzo si svolgerà ad Anversa, in Belgio, il Summit EuroHPC 2024. L’evento riunisce le principali parti interessate di supercalcolo e computer. Per maggiori informazioni: www.eurohpcsummit.eu
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Fragilità e rapporti umani, donne e violenza

Questa l’anima de L’età fragile, ultimo romanzo dell’autrice candidato al Premio Strega 2024

di Renato Minore

Cultura FOTO STEFANO SCHIRATO
PREMIO

Donatella Di Pietrantonio è impegnata in un tour di incontri sul suo ultimo fortunato romanzo, L’età fragile, candidato al Premio Strega 2024. La intercetto durante i giorni pugliesi, mi dice subito il sentimento da cui è stata spinta a scrivere sulla fragilità dei rapporti che si snodano tra non detti e dialoghi spezzettati, del dolore che scaturisce da una quotidianità domestica. «Era qualcosa di profondo, legato al mio territorio che ha una natura importante, con queste montagne bellissime, queste distese di boschi dove non ti aspetteresti mai la violenza».

La violenza è un tragico fatto di sangue, per settimane riempie le cronache negli anni Ottanta. È “il massacro della Majella”, “il pastore macedone” incrocia tre escursioniste che hanno perso la strada. Finge di accompagnarle, invece spara e uccide la prima, violenta la seconda, insegue per finirla la terza che miracolosamente si salva nel bosco. Una terribile notte che sconvolge la piccola comunità montana abruzzese. In cosa consiste questa sua “radice” presente anche nei precedenti romanzi?

Attraverso i personaggi racconto la mia stessa appartenenza a una terra forte e aspra, silenziosa e proverbialmente gentile. Ma, come per i personaggi, la mia appartenenza è sempre complessa, ambivalente, è legame e insofferenza del legame, incanto per la bellezza, indignazione per come a volte la sporchiamo. Non offrirò mai ai lettori cartoline dall’Abruzzo, cerco di ritrarlo nella sua verità.

Fondamentale il rapporto con la montagna? Che non è solo idillico.

Volevo scardinare lo stereotipo della montagna bella e buona, dell’aria pura, della natura materna. Come

dice il personaggio della magistrata nel romanzo, i boschi sono meravigliosi ma anche pieni di ombre e nessun luogo è davvero sicuro. “Dove arriva l’uomo, può portare il male”.

Un esordio tardivo, il suo, prima del successo.

Sono nata in una famiglia contadina, non c’erano libri in casa. Scrivere o leggere, a parte lo stretto necessario per la scuola, era una perdita di tempo e io lo facevo di nascosto. Però i miei genitori ci tenevano che mi laureassi. Dopo il liceo non ho trovato il coraggio di dirgli che avrei voluto studiare letteratura o giornalismo, mi sono avviata verso una professione più comprensibile, rassicurante. Ho esercitato l’odontoiatria per una vita, ma la scrittura non mi ha mai abbandonato: poesie senza metrica, racconti. Scrivevo di nascosto: solo qualche amica leggeva o qualcuno di cui mi innamoravo. Poi distruggevo fogli e quaderni, o li chiudevo in un armadio. Per decenni non si è sentita autorizzata a pubblicare, o almeno a provarci?

L’idea era che in fondo fosse una perdita di tempo. Non mi sentivo all’altezza, un sogno che non osavo sognare. In vista dei cinquant’anni ho iniziato a scrivere e a quel punto qualcosa si è liberato dentro di me. Ho inviato il testo alla casa editrice Elliot e tutto è cominciato. L’ultimo romanzo è dedicato alle sopravvissute. Mi sembra che le sopravvissute alle violenze siano troppo spesso dimenticate. Forse perché sono scomode, ci interrogano su come sia possibile che in un mondo dominato da una tecnologia spinta all’estremo - vedi l’Intelligenza Artificiale - le donne siano ancora vittime della più barbara e atavica violenza, quella di genere. E poi le sopravvissute sono

rubricate nella categoria di chi ha avuto fortuna, l’ha scampata: perché preoccuparci di loro e di quello che si portano dentro in tutta la vita? Un femminicidio, il suo, lontano nel tempo. Come spiega l’attuale fenomeno, la vera emergenza del femminicidio?

Se devo guardare al presente, potrei forse ipotizzare che questa inaccettabile frequenza di femminicidi sia la risultante di un potere maschile fortemente in crisi, che dà gli ultimi - spero - colpi di coda. Ci vedo la difficoltà del maschio di oggi a ridefinirsi in una prospettiva di parità e giuste differenze. Voglio credere che tutte e tutti insieme riusciremo a superare questo momento e approdare a un mondo di relazioni non violente. Ma non ne sono affatto certa. C’è qualcosa che accomuna il suo lavoro di odontotecnica alla scrittura? La manualità, la precisione, la determinazione temporale?

Forse l’attitudine chirurgica. I grandi maestri dell’odontoiatria dicevano che ciò che togli è più importante di ciò che metti. Questo vale soprattutto nelle terapie canalari, cioè nelle devitalizzazioni. La mia scrittura è in sottrazione, ripulisco la pagina come i canali radicolari dalla polpa infetta. Cerco l’essenza, provo a raccontare il silenzio.

In cinque righe può immaginare la scheda di Donatella Di Pietrantonio in un dizionario letterario del 2050?

Ha raccontato le relazioni dentro le famiglie biologiche ed elettive, cercando di entrare nelle pieghe dell’umano bisogno di stare con gli altri. Ha scritto dei legami che possono ferire e rendere fragili, soli, abbandonati. Nei personaggi sofferenti troviamo una spinta a trasformare il dolore, a rintracciarne almeno un senso più alto.

50&Più | marzo 2024 73 Incontro con l’autore

Cultura

NELL’EUROPA DI ALMA L’IDENTITÀ È UN MOSAICO

Il quinto romanzo di Francesca Manzon è dedicato a Trieste e all’arte difficile di vivere su un confine. Un libro-mondo per dire che la convivenza si fonda sulla comprensione e la patria è un sentimento

Ha molti talenti, Federica Manzon. All’attività di scrittrice (è autrice di cinque romanzi, tra cui Di fama e di sventura, premio Selezione Campiello nel 2011) affianca quella nell’editoria, che poco più di un anno fa le ha regalato un onore, e un onere, speciale: assumere la direzione editoriale di una casa editrice storica

come Guanda. Sensibilità e passione, che traspaiono dalle sue parole, spiegano bene le ragioni di questo traguardo, ma non è stato - racconta lei - un percorso facile: «Il mondo dell’editoria non è per niente paritario. Le donne formano gran parte del mercato librario e sono presenti nei ranghi delle case editrici, ma raramente in posizioni di vertice.

Federica Manzon

Alma

Feltrinelli

272 PAGINE

18,00 EURO

Certo qualcosa sta cambiando e mi fa piacere esserne un esempio. Non credo che le donne abbiano un diverso approccio alla scelta dei testi da pubblicare, che dovrebbe sempre essere guidata da cultura e curiosità. Ho però l’impressione che esprimano una diversa idea del potere e dell’organizzazione del lavoro editoriale. Per quanto mi riguarda credo

50&Più | marzo 2024 74
FOTO ADOLFO FREDIANI

a una gestione non verticistica ma collaborativa di questo lavoro. Credo nel contagio dell’entusiasmo piuttosto che nella dittatura degli obiettivi. Quelli si raggiungono come logica conseguenza del buon lavoro». Da gennaio, di Federica Manzon è in libreria l’ultimo romanzo, Alma, pubblicato da Feltrinelli. Un omaggio alla città del cuore, Trieste, e insieme una riflessione letteraria sul tema dell’identità, che l’autrice riassume in poche chiare battute: «Alma nasce dall’idea che l’identità non sia qualcosa di monolitico, ma un mosaico di tanti tasselli, che stanno insieme a volte armonicamente e a volte in maniera più problematica. Una caratteristica ancora più evidente quando l’identità si costruisce lungo un confine. Trieste, per la sua localizzazione e per la sua storia, è un’ambientazione ideale per rappresentare questa instabilità, questa lotta complicata e spesso irrisolta». Nel romanzo, però, Trieste non viene mai nominata. «Non è una scelta casuale - spiega Federica Manzon -. Volevo che Trieste fosse percepita non tanto come un luogo geografico, quanto piuttosto come uno stato d’animo. Un punto di vista, non solo sulla ex Jugoslavia, sull’Est, ma su tutta l’Europa e sul nostro modo di essere europei». La storia di Alma, la protagonista, copre quasi mezzo secolo, dalla fine della Jugoslavia di Tito ai nostri giorni, si snoda tra fughe e ritorni a Trieste e si intreccia con quella di una manciata di personaggi fortemente simbolici, ognuno dei quali ha dentro un mondo. I nonni di Alma rappresentano il retaggio della Mitteleuropa; la madre è la ribellione all’ordine costituito; il padre è la fede politica, l’idea pura del socialismo; Vili, il fratello abusivo di cui Alma s’innamora, è lo sradicato in cerca di un posto. L’autrice rivendica un’intenzione precisa: «La mia scrit-

tura non nasce dalla caccia a una storia. Mi interessano piuttosto i mondi, fatti di spazi, di geografia, di Storia e di storie. Scrivere, dal mio punto di vista, è un modo per connettere i mondi che si agitano dentro di noi, le suggestioni e gli spiriti che ci popolano, con le grandi domande che ci muovono, le questioni profonde che spingono avanti la nostra vita. In Alma ho voluto raccontare il modo in cui la grande storia si riverbera sulle vite delle persone comuni e al tempo stesso il modo in cui la geografia influenza la costruzione dell’identità e delle relazioni. L’identità frammentata che si costruisce lungo un confine è una ricchezza ma anche una condanna all’instabilità, a una perenne necessità di riequilibrarsi e trovare nuovi equilibri con gli altri. Si pensi alle vite di grandi triestini: a Svevo e i suoi tormenti d’amore, a Saba e i suoi esili, le sue malinconie». Nel corso del romanzo il padre di Alma ripete che la geografia prevale sulla storia, la posizione nel presente sugli echi del passato; ma alla fine lascia alla protagonista un’eredità di memoria. Federica Manzon non trova contraddizioni: «Il romanzo vuole appunto

rappresentare una tensione. Da una parte c’è l’importanza di conoscere, di approfondire, di scoprire la memoria, per scoprirci e ricordarci quello che siamo. Dall’altra c’è il bisogno di immaginare un futuro libero dalle zavorre e dai veleni del passato. Ha ragione il padre di Alma, quando le raccomanda questo slancio; e ha ragione anche il nonno, quando le spiega l’importanza di un ancoraggio». Una sintesi sembra realizzarsi nel rapporto tra Alma e Vili, uniti dal caso, allontanati e poi riavvicinati dalle forze della vita e della Storia, legati dai ricordi ma ogni volta innamorati nel presente. Federica Manzon concorda: «Alma e Vili sono un destino. E una patria, uno per l’altra. Sono legati, al di là della lontananza e dei tentativi di fuga, da qualcosa di più grande di loro. Qualcosa che prende la forma della sorte, della Storia, del padre di Alma che affida proprio a Vili l’eredità da consegnare alla figlia. Nella storia di Alma e Vili si realizza il miracolo del passato che si scioglie nel presente. Tutti gli screzi, le recriminazioni, le distanze si risolvono nell’amore. Nella forma più profonda di amore, che è la comprensione».

50&Più | marzo 2024 75 Incontro con l’autore

L’UNIVERSO IMMAGINIFICO DELL’ARTISTA CATALANO

Pittura, stampa calcografica, scultura, passioni a cui il Maestro ha dedicato l’esistenza, lasciando un segno indelebile

A Catania, fino a luglio, la mostra Mirò. La gioia del colore di Serena Colombo

Profondissimi blu per catturare il profumo del mare, l’intensità del cielo e l’infinito, rossi accesi per il sole al tramonto, per esprimere la rabbia e la disperazione. Una manciata di colori, linee, stelle filanti e code d’aquiloni, sono lo strumento che Joan Mirò (1893-1983) usò per dare vita all’universo immaginifico che è in ogni uomo e che rende le sue opere universali. Come scriveva Gillo Dorfles: «L’incontro

di fantasia e di controllo, di oculatezza e di generosità, che forse si può considerare una caratteristica della mentalità catalana, può spiegare, in parte almeno, la base fondamentale dell’arte e della personalità di Joan Mirò. Un’arte in apparenza così lontana da ogni schema, così libera e selvaggia. Ma che è così pazientemente calibrata, così rigorosa, così simile dunque al carattere stesso dell’artista: introverso,

poco espansivo, anche se profondamente gentile, affabile; eppure, nel suo intimo, esuberante per una continua proliferazione di idee, di forme, di sentimenti contrastanti». Il colore come espressione di una realtà diversa, in una visione poetica e surreale del mondo: è questo il filo conduttore della mostra Miró-La gioia del colore allestita presso il Palazzo della Cultura di Catania. Terzo capitolo - dopo Trieste e Torino - dell’omaggio italiano al maestro catalano, l’esposizione raccoglie circa un centinaio di opere tra dipinti, tempere, acquerelli, disegni, sculture e ceramiche, oltre a una serie di opere grafiche, libri e documenti. Sessant’anni - dal 1924 al 1981 - di un’esistenza, ci racconta Vincenzo Sanfo, curatore della mostra insieme ad Achille Bonito Oliva e Maïthé Vallès-Bled, «normale, lontano dai cliché che ci sono stati tramandati, quelli di artisti maledetti, scapestrati, sempre con vite tormentate e sopra le righe. Mirò ha avuto una vita apparentemente normale, direi quasi impiegatizia, scandita da ritmi regolari, passati tra lo studio e la sua unica moglie. Circondato dall’affetto dei suoi cari e dalla stima e amicizia di chi ha avuto la fortuna di conoscerlo e frequentarlo». Il padre, avendo scarsa opinione della pittura, gli trovò un posto come impiegato in un ufficio. Giacca e cravatta, scrivania, libri contabili. Sui quali Mirò lasciava disegni fantasiosi e colorati, fatto che gli causò il licenziamento. Gli rimase, però, l’aplomb da ragioniere, da uomo semplice, da persona comune. Lontano anni luce dal carattere di Picasso, «prepotentemente genio, egoista, sciupa femmine, pronto a farsi fotografare anche in mutande, pur di alimentare il proprio mito», racconta ancora Sanfo.

«Ma, ciò che colpisce in Miró è lo sfavillare del suo sguardo, il sorriso pacato e sereno che accompagna tutte le sue immagini e che ci fa intuire che,

50&Più | marzo 2024 76 Cultura
Le lézard aux plumes d’or 3, 1967, litografia

dietro quello sguardo, vi sia una qualche stanza segreta, un mondo tutto suo in cui sparire, una sorta di specchio di Alice in cui tuffarsi, per entrare in un mondo che si intuisce sereno e gioioso». Nella sua lunga vita si è dedicato con la stessa passione alla pittura, alla scultura e alla ceramica, ma, soprattutto, alla stampa calcografica, di cui ha esplorato potenzialità e significati. Fondamentale, e ben documentata in mostra, è stata l’esperienza di collaborazione con Aimé Maeght, editore e mercante tra i più importanti del dopoguerra e a cui si deve la Foundation Maeght di San Paul de Vence. Con la carta, libero dalle sovrastrutture implicite nel gesto pittorico, Mirò può “giocare” con la materia, con gli acidi, con i supporti più disparati e, soprattutto, con i colori. Da questa passione nasce anche la collaborazione con Derrière le Miroir, la mitica rivista edita da Maeght, «una palestra di sperimentazioni grafiche in cui il suo segno veniva esaltato dalla ristrettezza del formato che, anziché castrare la sua creatività, la esaltava offrendogli la possibilità di dare sfogo al suo universo interiore e in cui riversare sperimentazioni sia di segno grafico che di tecnica di stampa,

vista l’estrema libertà che gli consentiva l’editore».

Nel 1937 Mirò partecipò all’Esposizione internazionale di Parigi, realizzando per il Padiglione spagnolo l’affresco, andato perduto, del Mietitore o Contadino catalano in rivolta. Rispetto a Picasso, che per l’occasione aveva denunziato pubblicamente il bombardamento della cittadina basca di Guernica, Mirò non trattò mai esplicitamente il tema della guerra: «Devo confessare che allora io non ero consapevole di dipingere la mia Guernica», scriverà in seguito. Tuttavia in quegli anni la sua pittura divenne inquieta, adirata, avendo la potenza di un grido. Come spiega ancora Sanfo: «Esiste un corpus di lavori concepiti tra la fine degli anni Trenta e l’inizio degli anni Quaranta - esposti a Catania - che ci svelano i mostri che popolavano la sua mente. Opere in cui compaiono figure mostruose alla Hieronymus Bosch, colori scuri, ben lontano dai toni squillanti e gioiosi

dei decenni successivi che sono un vero inno alla vita».

All’amicizia tra i due pittori catalani, Mirò e Picasso, sbocciata nel 1917, è stata dedicata a Barcellona, luogo del loro incontro, la mostra Miró-Picasso (terminata il 25 febbraio scorso) con oltre 250 opere divise tra la Fundació Joan Miró e il Museo Picasso. Curata da Teresa Montaner, Sònia Villegas, Margarida Cortadella ed Elena Llorens, l’esposizione ha visto la collaborazione dell’Ufficio del Turismo di Barcellona. Sono state realizzate visite guidate nei luoghi degli artisti, e una serie di iniziative nell’ambito di Picasso Celebration 1973-2023, l’evento che celebra il centenario della morte dell’autore di Guernica attraverso cinquanta mostre in tutto il mondo, tra cui l’esposizione appena inaugurata al Mudec, Museo delle Culture di Milano Picasso. La metamorfosi della figura, dedicata alla predilezione di Picasso per l’arte “primigenia”.

50&Più | marzo 2024 77 Arte
Le Lézard aux plumes d’or, 1971, litografia
Mirò – La gioia del colore Catania, Palazzo della Cultura, fino al 7 luglio 2024 Orari: lunedì-venerdì ore 9.30-19.30; sabato, domenica e festivi ore 9.30-20.00 Info e biglietteria: tel. +(39) 351 3364334 +(39) 333 6095192
Il manifesto dell’Exposition XXI Salon de Mai, 1966

JOHN SURMAN UN GIGANTE DEL JAZZ

Festeggia i suoi 80 anni con un nuovo quartetto e un disco da portare in tutto il mondo

Il suo eponimo album di debutto è datato 1968, un anno agitato e turbolento per le nuove generazioni di mezzo mondo. Da allora, il polistrumentista (clarinetto basso, sassofoni, sintetizzatore) e compositore inglese John Surman ha percorso mille territori del jazz contemporaneo, esplorando le alternative estetiche da contrapporre al predominio esercitato fino a quel momento dagli improvvisatori d’Oltreoceano, verso la conquista di una progressiva in-

dipendenza dai dettami afroamericani. Ha attraversato il periodo del ‘free’ e della sperimentazione (nel formidabile trio di sassofoni SOS, con Mike Osborne e Alan Skidmore), e collaborato con tutti i migliori, da McLaughlin a Holland, da Wheeler a Bley, dal bandleader Gil Evans alla cantante Karen Krog, sua partner nella vita.

Ha sviluppato un percorso in cui i sogni malinconici e le meditazioni arpeggiate, i riferimenti al folklore

e l’uso dell’elettronica, sollecitano un continuo gioco di contrasti del tutto personale, con armonie complesse e sfumature multicolori. La sua imponente carriera da solista, costellata di capolavori, propone prove in solo, in trio, quartetto, big band, a cui se ne aggiungono altre con gli archi o con ampi gruppi vocali. Oggi Surman festeggia i suoi 80 anni con un nuovo quartetto, formato dal vibrafonista americano Rob Waring, dal chitarrista inglese Rob Luft e dal batterista norvegese Thomas Strønen. Con loro ha registrato un album di grande caratura, Words Unspoken, e si appresta a un tour che toccherà anche il nostro Paese. «Words Unspoken si riferisce al fatto che possiamo raccontare storie con la musica senza l’uso delle parole - ci ha detto in esclusiva -. Naturalmente le storie saranno diverse per ogni ascoltatore e questo fa parte della magia della musica. A volte, come compositori, possiamo suggerire un titolo per la storia che possa stimolare l’immaginazione dell’ascoltatore, e altre volte è richiesto qualcosa di enigmatico: il punto è che la musica significa cose diverse per persone diverse. C’è, tuttavia, un’altra ragione per cui ho pensato che il titolo si sarebbe adattato bene a questa registrazione ed è perché, quando ho presentato le mie idee ai musicisti, non ho offerto alcun suggerimento verbale su come avremmo affrontato la musica, ma semplicemente abbiamo iniziato a suonare. Credo che questo abbia permesso a ognuno di trovare il proprio modo di interpretare le note messe sulla carta». Sono il jazz, la musica che mantengono giovani e con una viva intelligenza espressiva oppure ha qualche altro segreto?

C’è sempre così tanto da scoprire sul fare musica, così tante strade da

50&Più | marzo 2024 78 Cultura

Musica

esplorare e sviluppare. Penso che lavorare con altri musicisti aiuti a mantenere le proprie idee fresche e dia a tutti noi energia extra per continuare l’avventura. Mi sento privilegiato di aver lavorato con così tanti musicisti straordinari nel corso degli anni: non solo nomi famosi, ma anche colleghi stretti che hanno fatto parte della mia vita musicale per così tanti anni.

Pensa che oggi il jazz sia diventato una musica universale, in grado di miscelarsi con le altre, dalla classica al folk, al pop, arricchendole oppure che così perda la propria identità, la propria storia?

La mia sensazione è che fin dall’inizio il jazz fosse una “musica mondiale”. Guardi tutte le prime influenze dei ritmi africani, della musica delle bande musicali, del suono creolo, del blues, della musica popolare europea, del ‘bluegrass’ e così via. Tutto questo e altro ancora combinato per creare quello che divenne noto come jazz. Naturalmente si è sviluppato e si è spostato in aree più specifiche, come il ‘be-bop’, ma in tutto ciò il nucleo centrale è sempre stata l’idea espressiva individuale e l’improvvisazione. Non sono molto interessato alle etichette, semplicemente condivido l’idea che esista musica interessante e musica noiosa. È evidente che i mu-

sicisti che hanno trascorso un po’ di tempo suonando “jazz” tendono a essere piuttosto flessibili e adattativi verso altre forme di fare musica. La musica di Ellington non era abbastanza universale? Penso che forse lo fosse anche allora.

Lei ha 80 anni, Waring 67, Strønen 51, Luft solo 30. Qual è il collante che unisce generazioni così diverse di musicisti? Forse la curiosità nei confronti della musica? La volontà di provare cose nuove? Rob, Thomas e Rob sono tutti musicisti con una vasta gamma di interessi musicali, a loro agio in diverse aree del fare musica. E buoni ascoltatori a cui piace condividere idee. Forse aiuta anche una consapevolezza condivisa della storia musicale. Quando un musicista si sente appagato? Quando dice “ho finalmente lasciato qualcosa di me”? Non conosco la risposta a questa domanda ma, come musicista, se mai mi sentissi davvero finalmente soddisfatto di qualcosa, le prometto che glielo farò sapere.

50&Più | marzo 2024 79
FOTO ERIK
FUGISOTH/ECM RECORDS
John Surman, Thomas Strønen, Rob Luft, Rob Waring FOTO ROBERT LEWIS/ECM RECORDS

ANDIAMO A TEATRO EMOZIONIAMOCI, DIVERTIAMOCI

IMPARIAMO A CONOSCERCI MEGLIO

Da Latella a Livermore passando per Brook e Rau, De Rosa e Giordana Pasqual e Lidi, Andò e Pugliese, ma anche Binasco e Gassmann e Cirillo le grandi firme registiche raccontano il Teatro di Napoli

Roberto Andò, direttore del Teatro di Napoli Teatro Nazionale, nelle sue note di presentazione della nuova stagione teatrale, rammenta un anniversario importante, vent’anni di teatro pubblico della città. Ricordando inoltre come «l’articolo 9 della Costituzione sancisce che la cultura è un bene comune. E che un teatro pubblico è un avamposto della cultura». Aggiungerei anche, per sottolineare ulteriormente la forza e il valore della cultura, che l’articolo 9 è fra i principi fondamentali della Costituzione italiana. E per confermare l’impegno profuso nella scelta di un cartellone di grande autorevolezza, troviamo un parterre di stimati registi e interpreti della nostra scena fra i quali ricordiamo Umberto Orsini, Massimo Popolizio, Luigi Lo Cascio, Moni Ovadia, Nanni Moretti, Fabrizio Bentivoglio, Lino

di Mila Sarti

Musella, Antonio Rezza e Flavia Mastrella, Isa Danieli, Isabella Ragonese, Elisabetta Pozzi, Laura Marinoni, Gaia Aprea, Marina Confalone, Lina Sastri, Iaia Forte. Artisti con testi e linguaggi diversi ma con un comune denominatore, restituirci un teatro capace di interrogarsi, progettare, illuminarci. Un teatro che fa dialogare, crea comunità, è vita. Tre gli spettacoli a marzo al Mercadante: Cecità con la Compagnia di danza di Virgilio Sieni, Il lupo e la luna di Pietrangelo Buttafuoco, Ciarlatani, testo e regia di Remón col grande Silvio Orlando. Al San Ferdinando Elia Shilton ne Il rito di Bergman, Donatella Finocchiaro ne La Lupa di Verga e Lunetta Savino col testo di Zeller, La madre. Al Ridotto Tonino Taiuti interpreta Play Viviani, segue la performance Prometheus, secondo movimento: Iò.

DA NON PERDERE

PERUGIA

Sul palco del Morlacchi una carrellata di attori amati dal grande pubblico

Fino al 1° Monica Guerritore in Ginger e Fred. Quindi Igra e i surreali Mastrella e Rezza con Hybris. The City è il nuovo progetto registico di drammaturgia contemporanea di Jacopo Gassmann e grande prova d’attrice per Lunetta Savino ne La madre di Zeller.

GENOVA

Politeama, divertimento intelligente lungo sei spettacoli

Si comincia con Enzo Paci seguito dal gruppo comico musicale Oblivion. Geppi Cucciari è Perfetta nell’ultimo monologo teatrale di Mattia Torre. Con Luca Bizzarri si ride di noi stessi. Grande ritorno del coreografo Ezralow e poi la graffiante e ironica Teresa Mannino.

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Cultura Teatro
Una scena tratta dallo spettacolo Ciarlatani

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Salute

LA SALUTE DELLA COLONNA VERTEBRALE PASSA ANCHE DAI DENTI

La bocca è un sistema di altissima ingegneria meccanica e chimica, riceve e trasmette informazioni dall’ambiente esterno e dal corpo

La bocca è un eccezionale analizzatore chimico grazie alle migliaia di recettori sensoriali (in media un adulto può avere tra le 2.000 e le 10.000 papille gustative) ed è al suo interno che inizia il processo di digestione dei cibi (grazie alla presenza di enzimi contenuti nella saliva).

La bocca è nutrimento ma anche comunicazione e quindi socialità. La sua importanza non è relativa soltanto alla funzione digestiva ma costituisce anche un elemento cardine per l’intero sistema muscolo-scheletrico. Grazie ai suoi rapporti con il cranio, con la gola e con la colonna cervicale, la mandibola è parte integrante del controllo posturale antigravitario sia statico che dinamico. Vale a dire che si adatta in relazione alla posizione e al controllo

dell’equilibrio del corpo, sia da fermo che in movimento. Ma è vero anche il contrario, ossia che la sua posizione, o meglio la “mal posizione”, produce effetti e cambiamenti lungo tutta la colonna vertebrale fino a modificare la distribuzione dei carichi degli arti inferiori e dei piedi.

Normalmente si pensa che la mandibola abbia soltanto due articolazioni con il cranio (articolazioni temporo-mandibolari). In realtà le articolazioni sono tre. Questo perché il contatto tra i denti (articolazione interdentale) costituisce una terza articolazione fondamentale, deputata alle due funzioni di base della bocca: la masticazione e la deglutizione. Queste tre componenti articolari sono in continuo adattamento reciproco. Questo complesso sistema meccani-

co è fondamentale anche per la respirazione, la mimica facciale e, non da ultimo, l’equilibrio posturale. Queste funzioni sono di estrema importanza per il sistema nervoso centrale. Basti pensare che circa il 50% della corteccia cerebrale è impegnata per le suddette funzioni.

Il movimento che la mandibola può effettuare in avanti o indietro (traslazione) funziona da vero e proprio fulcro di bilanciamento dei carichi, modificando il baricentro di tutto il corpo. In base alla posizione della mandibola rispetto all’arcata superiore (allineamento tra primo molare superiore e primo molare inferiore) si distinguono tre classi. La prima classe identifica il corretto allineamento. Nella seconda classe la mandibola è retroposta (con l’evidenza degli incisivi superiori che sporgono in avanti). Nella terza classe la mandibola è invece traslata in avanti rispetto ai denti dell’arcata superiore (con l’evidenza del mento che sporge in avanti).

Mentre per il soggetto con “prima classe occlusale” si ha normalmente

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una corretta distribuzione dei carichi e delle tensioni del corpo ed un corretto allineamento del baricentro, per gli appartenenti alle altre classi le cose cambiano.

I soggetti con “seconda classe occlusale” presentano uno spostamento della testa in avanti (associato normalmente al dorso curvo). È spesso presente un’accentuazione delle curve della colonna cervicale e lombare (iperlordosi). Ne deriva uno squilibrio anteriore di tutto il corpo e sono soggetti che soffrono di dolori articolari.

I soggetti che invece appartengono alla “terza classe occlusale” mostrano lo spostamento della testa indietro ed hanno normalmente un dorso piatto e la perdita delle curve della colonna. Soffrono prevalentemente di ernie discali, sia cervicali che lombari.

Quando i problemi dentali causano alterazioni e difetti della postura, oltre a rivolgersi al dentista, a un odontoiatra o a uno gnatologo, è necessario ricorrere all’osteopata e al fisioterapista specializzato in rieducazione posturale. Sono figure che devono lavorare in équipe per consultarsi e modulare le correzioni sul medio e lungo periodo. Trattamenti troppo invasivi e aggressivi possono essere la causa di dolori muscolari e articolari, ma anche di cefalea, emicrania e disturbi dell’equilibrio.

GLI EFFETTI DELLO STRESS E DELL’ANSIA

Le articolazioni della bocca risentono degli stati emotivi. In modo particolare durante il sonno questi sistemi (con movimenti di serramento e digrignamento) sono coinvolti nella rielaborazione subconscia di ciò che è successo durante il giorno e delle preoccupazioni che ci affliggono.

Un dato non trascurabile è che il danno provocato dal “bruxismo notturno” è di gran lunga superiore a quello della tensione che si sviluppa durante la giornata. Se questo comportamento produce disturbi e dolori su un soggetto con una masticazione normale, si può facilmente intuire quanto possa essere dannoso per chi ha un difetto occlusale. La combinazione tra il sovraccarico funzionale e la presenza di una malocclusione produce degli effetti a catena sullo spostamento del baricentro del corpo e l’aumento delle tensioni lungo tutta la muscolatura della colonna vertebrale. Sono questi i casi in cui può essere di grande aiuto l’utilizzo di una “placca di svincolo” o occlusale. È anche comunemente chiamato “bite” ed è utile per interrompe il circolo vizioso originato dalla contrazione muscolare, dall’incoordinazione della meccanica della masticazione e deglutizione, oltreché dagli effetti dovuti alla difesa dal dolore.

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CLASSE I CLASSE II DIVISIONE 1 CLASSE II DIVISIONE 2 CLASSE III

a cura di Maria Silvia Barbieri

ASSEGNO UNICO 2024

NUOVI IMPORTI, FASCE ISEE E PAGAMENTI

Nessuna nuova domanda per l’Assegno unico ma l’ISEE fissa gli importi e va rinnovato entro il 30 giugno per avere gli arretrati da marzo di quest’anno

Anche quest’anno, “in applicazione del principio di semplificazione”, non sarà necessario presentare una nuova domanda di Assegno unico e universale, salvo il caso in cui la richiesta già trasmessa all’Inps “non si trovi nello stato di decaduta, revocata, rinunciata o respinta”. Lo precisa l’Inps nel messaggio 15 del 2 gennaio 2024. Tuttavia, l’Istituto chiarisce che “ai fini della determinazione dell’importo della prestazione sulla base della corrispondente soglia ISEE, è comunque necessaria la presentazione di una nuova Dichiarazione Sostituiva Unica (DSU) per il 2024, correttamente attestata”.

Ricordiamo ai nostri lettori che l’Assegno unico e universale (AUU), introdotto a decorrere dal 1° marzo 2022 con il D.Lgs. 230 del 21 dicembre 2021, è una prestazione a sostegno dei nuclei familiari con figli a carico. L’assegno è stato definito “unico”, in quanto sostituisce molte misure di tipo fiscale e assistenziale riconosciute in precedenza, e “universale”, in quanto garantito in misura minima a tutte le famiglie con figli a carico, anche in

assenza di ISEE o con ISEE superiore alla soglia massima (€ 45.574,96 per l’anno 2024). L’assegno viene pagato direttamente dall’Inps al richiedente per ogni figlio a carico minorenne e, al ricorrere di determinate condizioni, fino al compimento del 21° anno. Non ci sono limiti di età per i figli disabili. L’importo spettante è determinato in base alla condizione economica del nucleo familiare e varia in ragione del valore ISEE.

L’Inps comunica che “In assenza di ISEE, l’importo dell’Assegno unico e universale sarà infatti calcolato a partire dal mese di marzo 2024 con riferimento agli importi minimi previsti dalla normativa. Qualora la nuova DSU sia presentata entro il 30 giugno 2024, gli importi eventualmente già erogati per l’annualità 2024 saranno adeguati a partire dal mese di marzo 2024 con la corresponsione dei dovuti arretrati”. Vale la pena ricordare che gli ex percettori di Reddito di cittadinanza, ai quali l’Assegno unico ha continuato ad essere erogato sulla carta RdC fino a febbraio 2024 per l’intero importo spettante, in base all’ISEE valido al 31 dicembre 2023, dovranno provve-

dere alla presentazione di una nuova domanda di AUU e al rinnovo dell’ISEE entro il 30 giugno 2024 per non perdere gli arretrati. L’Inps ha chiarito infatti che anche l’eventuale domanda di Assegno di inclusione (ADI) non sostituisce in alcun modo la richiesta di Assegno unico che pertanto andrà sempre presentata.

Per quanto riguarda gli importi, proprio nelle ore in cui scriviamo queste righe, l’Inps ha finalmente pubblicato un ulteriore messaggio, il numero 572 dell’8 febbraio, nel cui allegato 1 sono riportate le nuove somme in pagamento e le relative soglie ISEE adeguate in base alla rivalutazione annuale del 5,4%. L’adeguamento comporta un aumento dell’assegno minimo, al netto delle maggiorazioni, da € 54 a € 57 (per chi non presenta l’ISEE o in presenza di una soglia ISEE oltre i 45.574,96 euro) e da € 189 a € 199 dell’importo massimo, in presenza di ISEE fino a € 17.090,61. La maggiorazione per i due genitori lavoratori sale a € 34,15 per ciascun figlio.

Riguardo ai pagamenti, l’Istituto, al fine di “agevolare le famiglie che percepiscono l’Assegno unico e universale per i figli a carico, assicurando la conoscenza dei tempi di erogazione della prestazione”, prosegue la collaborazione con la Banca d’Italia e comunica, per il periodo gennaio-giugno 2024, le seguenti date di pagamento:

• 17, 18, 19 gennaio 2024

• 16, 19, 20 febbraio 2024

• 18, 19, 20 marzo 2024

• 17, 18, 19 aprile 2024

• 15, 16, 17 maggio 2024

• 17, 18, 19 giugno 2024

Come di consueto, il pagamento della prima rata avverrà nell’ultima settimana del mese successivo alla presentazione della domanda. Nella stessa data sarà accreditato anche l’importo delle rate spettanti nel caso in cui l’assegno sia stato oggetto di conguaglio.

50&Più | marzo 2024 84 Previdenza

Entro il 31 marzo 2024

è possibile chiedere il riconoscimento delle condizioni di accesso all’Ape Sociale

TI ASPETTIAMO NEI NOSTRI UFFICI PER VERIFICARE I TUOI REQUISITI E PER INVIARE LA DOMANDA!

APE SOCIALE PRIMA SCADENZA DEL 2024

PER BENEFICIARE DELL’ANTICIPO PENSIONISTICO “APE SOCIALE” È NECESSARIO ESSERE IN POSSESSO DEI SEGUENTI REQUISITI:

almeno 63 anni e 5 mesi di età almeno 30 anni di anzianità contributiva per chi è disoccupato, invalido o con parenti di 1° grado con disabilità grave almeno 36 anni di anzianità contributiva per chi svolge attività gravose, previste dalla normativa non essere titolari di alcuna pensione diretta.

La richiesta di riconoscimento delle condizioni per accedere al beneficio va inviata entro il 31 marzo 2024 con risposta entro il 30 giugno.

Chiama il numero unico nazionale o trova la sede a te più vicina sul nostro sito www.50epiuenasco.it

Gli uffici 50&Più Enasco sono a tua disposizione per un’analisi personalizzata della tua posizione contributiva. Valuteremo il diritto alla pensione e cureremo l’inoltro della domanda.

ISTITUTO DI PATRONATO E DI ASSISTENZA SOCIALE

ISTITUTO DI PATRONATO E DI ASSISTENZA SOCIALE

LEGGE DI BILANCIO 2024

LE PLUSVALENZE PER I FABBRICATI OGGETTO DI SUPERBONUS 110%

I redditi derivanti dalla cessione di immobili possono essere o meno esenti da imposte. Un’analisi dei casi

La cessione di immobili è stata da sempre oggetto di interesse del legislatore, tanto che, ai fini delle singole imposte (dirette e indirette, Irpef, imposta registro, Iva), le sono state riservate diverse normative.

Il Testo Unico delle imposte dirette tratta la materia negli articoli 67 e 68 e considera il reddito (plusvalenza), che deriva dalla cessione, un “reddito diverso”.

In particolar modo, l’articolo 67, comma 1, lettera b) disciplina in generale la fiscalità delle plusvalenze generate dalle cessioni di immobili da parte delle persone fisiche che agiscono come privati, ossia al di fuori del reddito d’impresa arti e professioni. La cessione di fabbricati genera plusvalenza esente da imposta a meno che si rientri nei seguenti casi, alternativi:

• il fabbricato era posseduto da meno di cinque anni;

• il fabbricato non è pervenuto per successione (nel caso di donazione si assume il costo fiscalmente riconosciuto al donante);

• il fabbricato, se abitativo, non sia stato adibito per la maggior parte del periodo di possesso ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari (coniuge, parenti fino al III grado ed affini entro il II grado).

Nei casi indicati, quindi, l’eventuale plusvalenza è oggetto di tassazione. A seguito delle agevolazioni relative alle detrazioni di imposta (cosiddetto Superbonus) disposte negli ultimi anni (articolo 119, D.L. 34/2020), il legislatore è intervenuto aggiungendo una ul-

teriore fattispecie di imponibilità. La Legge 30 dicembre 2023, n. 213 (Legge di Bilancio 2024) ha infatti inserito nell’articolo 68 del D.P.R n. 917/1986, un nuovo caso di plusvalenza. È stato disposto che, a decorrere dal 1° gennaio 2024, rientrano tra i “redditi diversi” anche le plusvalenze realizzate dalla cessione di immobili sui quali sono stati effettuati interventi Superbonus 110%, conclusisi da non più di dieci anni all’atto della cessione. In altre parole, per il contribuente che cede un immobile che è stato oggetto di interventi Superbonus 110%, prima di dieci anni dalla fine dei lavori, la cessione è soggetta a imposta sul reddito.

A questa regola, generale, sono però previste alcune eccezioni. Infatti, gli immobili esclusi da tale imposizione sono:

• gli immobili acquisiti per successione;

• gli immobili che sono stati adibiti ad abitazione principale dal cedente o da un suo familiare per la maggior parte dei dieci anni antecedenti la cessione, ovvero per la maggior parte del periodo se, tra acquisto e cessione, siano decorsi meno dei dieci anni stabiliti.

La determinazione della plusvalenza

La plusvalenza per la cessione, in via di principio, è data dalla differenza tra il valore realizzato dalla cessione e il costo di acquisto, al quale vanno aggiunti i costi inerenti.

Riguardo ai costi inerenti, l’articolo 68, 1° comma, del D.P.R. n. 917/1986, così come modificato dalla Legge 213/2023, stabilisce che:

- in caso di conclusione degli interventi Superbonus 110% da non più di cinque anni all’atto della cessione, non si deve tener conto delle spese relative a tali interventi se si sia usufruito della cessione del credito o dello sconto in fattura; - in caso di conclusione degli interventi Superbonus 110% da più di cinque anni, ma entro i dieci all’atto della cessione, si deve tener conto del 50% delle spese oggetto del 110% che sono state oggetto di cessione del credito o dello sconto in fattura.

Per gli stessi immobili acquistati/costruiti da oltre cinque anni alla data della cessione, il prezzo di acquisto o il costo di costruzione viene rivalutato in base all’indice dei prezzi al consumo.

L’imposta sostitutiva

Per tali plusvalenze è ammessa l’applicazione dell’imposta sostitutiva del 26%, come stabilito dalla Legge 296/2005, articolo 1, comma 496. Si fa infine presente che la nuova penalizzazione impositiva in esame sembrerebbe estendersi ad ogni caso di intervento per il quale si è beneficiato (o si beneficerà) del Superbonus, a prescindere dalla misura stabilita (110 o ridotta, per gli anni successivi, al 90, 70, e 65%). A tale proposito si auspica un chiarimento da parte degli Organi preposti.

50&Più | marzo 2024 86 Fisco
a cura di Alessandra De Feo

L’ISEE in corso di validità permette di richiedere prestazioni sociali agevolate e riduzioni di costo di alcuni servizi di pubblica utilità.

RIVOLGITI A

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ISEE 2024

LA CERTIFICAZIONE ISEE DÀ DIRITTO A:

tariffe agevolate per le prestazioni socio sanitarie

riduzione delle tasse scolastiche (es. nido, università, mensa)

incentivi statali

assegno unico familiare

ADI (Assegno di inclusione)

riduzione per servizi di pubblica utilità (bonus energia, idrico, gas);

agevolazione abbonamenti trasporti

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Gli Uffici 50&PiùCaf sono a tua disposizione per offrirti assistenza e consulenza nell’elaborazione dell’attestazione ISEE.

Abruzzo

Le sedi 50&Più provinciali

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L’Aquila - viale Corrado IV, 40/F 0862204226

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Modena - via Begarelli, 31 0597364203

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Ravenna - via di Roma, 104 0544515707

Reggio Emilia - viale Timavo, 43 0522708565-553

Rimini - viale Italia, 9/11 0541743202

Friuli Venezia Giulia

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Biella - via Trieste, 15 01530789

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Novara - via Giovanni Battista Paletta, 1 032130232

Torino - via Andrea Massena, 18 011533806

Verbania - via Roma, 29 032352350

Vercelli - via Duchessa Jolanda, 26 0161215344

Puglia

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Lecce - via Cicolella, 3 0832343923

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Sardegna

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Pordenone - piazzale dei Mutilati, 6 0434549462

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Rieti - largo Cairoli, 4 0746483612

Roma - via Cola di Rienzo, 240 0668891796

Viterbo - via Belluno, 39/G 0761341718

Liguria Telefono

Genova - via XX Settembre, 40/5 010543042

Imperia - via Gian Francesco De Marchi, 81 0183275334

La Spezia - via del Torretto, 57/1 0187731142

Savona - corso A. Ricci - Torre Vespucci, 14 019853582

Lombardia Telefono

Bergamo - via Borgo Palazzo, 133 0354120126

Brescia - via Trento, 15/R 0303771785

Como - via Bellini, 14 031265361

Cremona - via Alessandro Manzoni, 2 037225745-458715

Lecco - piazza Giuseppe Garibaldi, 4 0341287279

Lodi - viale Savoia, 7 0371432575

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Nuoro - galleria Emanuela Loi, 8 0784232804

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Catania - via Mandrà, 8 095239495

Enna - via Vulturo, 34 093524983

Messina - via Santa Maria Alemanna, 5 090673914

Palermo - via Emerico Amari, 11 091334920

Ragusa - viale del Fante, 10 0932246958

Siracusa - via Eschilo, 11 093165059-415119

Trapani - via Marino Torre, 117 0923547829

Toscana

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Arezzo - via XXV Aprile, 12 0575354292

Carrara - via Don Minzoni, 20/A 058570973-570672

Firenze - via Costantino Nigra, 23-25 055664795

Grosseto - via Tevere, 5/7/9 0564410703

Livorno - via Serristori, 15 0586898276

Lucca - via Fillungo, 121 - c/o Confcommercio 0583473170

Pisa - via Chiassatello, 67 05025196-0507846635/30

Prato - via San Jacopo, 20-22-24 057423896

Pistoia - viale Adua, 128

0573991500

Siena - via del Giglio, 10-12-14 0577283914

Trentino Alto Adige Telefono

Bolzano - Mitterweg - via di Mezzo ai Piani, 5 0471978032

Trento - via Solteri, 78 0461880408

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Perugia - via Settevalli, 320 0755067178

Terni - via Aristide Gabelli, 14/16/18 0744390152

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Aosta - piazza Arco d’Augusto, 10 016545981

Veneto

Belluno - piazza Martiri, 16 0437215264

Padova - via degli Zabarella, 40/42 049655130

Rovigo - viale del Lavoro, 4 0425404267

Treviso - via Sebastiano Venier, 55 042256481

Venezia Mestre - viale Ancona, 9 0415316355

Vicenza - via Luigi Faccio, 38 0444964300

Verona - via Sommacampagna, 63/H - Sc. B 045953502

Le sedi 50&Più estere

USA

WWW.50EPIU.IT 50&Più SISTEMA ASSOCIATIVO E DI SERVIZI VITA ASSOCIATIVA ASSISTENZA PREVIDENZIALE ASSISTENZA FISCALE
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Riviere des Prairies 001 5144946902 Montreal Saint Leonard 001 5142525041 Ottawa 001 6135674532 St. Catharines 001 9056466555
001 4166523759 Germania Telefono Dusseldorf 0049 021190220201 Portogallo Telefono Lisbona 00351 914145345 Svizzera Telefono Lugano 0041 919212050
Telefono Montevideo 0059 825076416
Montreal
Toronto
Uruguay
Telefono Fort Lauderdale 001 9546300086

Turismo

dal 30 maggio all’8 giugno

9 NOTTI / 10 GIORNI

dall’8 al 16 giugno

8 NOTTI / 9 GIORNI

In Sicilia con i GRANDI VIAGGI (iGV)

Presso il Villaggio di Marispica (RG)

Dal 30 maggio al 16 giugno

MARISPIC A

Partecipare agli “Incontri 50&Più” significa condividere il piacere di trascorrere una vacanza all’insegna del mare incantevole, della buona cucina siciliana, del divertimento e del relax, e insieme prendere parte a una festa di inizio estate, incontrando soci 50&Più provenienti da tutta Italia.

Il soggiorno è arricchito con attività sportive, incontri dedicati, gara di ballo, torneo di burraco, cinema serale e molto altro. L’assistenza dello staff 50&Più in loco è un valore aggiunto, che insieme alla ricchezza delle attività proposte, determina il successo di partecipazione conquistato negli anni da questo evento.

QUOTE DI SOGGIORNO PER PERSONA (camere standard)

Riduzioni bambini su richiesta

Dal 30 maggio all’8 giugno (9 notti/10 giorni)

Dall’8 giugno al 16 giugno (8 notti/9 giorni)

QUOTE DI SOGGIORNO PER PERSONA (camere Superior/Suite)

Riduzioni bambini su richiesta

Dal 30 maggio all’8 giugno (9 notti/10 giorni)

Dall’8 giugno al 16 giugno (8 notti/9 giorni)

€ 790

€ 765

SINGOLA

690

3° e 4° LETTO ADULTI

€ 880 - € 790

€ 855 - € 770

Le quote di soggiorno sopra riportate sono riservate ai soci 50&Più Associazione Per i non soci 50&Più è previsto un supplemento di € 50 a partire dai 18 anni

LA QUOTA COMPRENDE: Soggiorno al Marispica iGV • Trattamento di pensione completa a buffet, bevande incluse • Servizi balneari in spiaggia attrezzata (1 ombrellone, 1 lettino e 1 sdraio per camera) • Facchinaggio in arrivo e in partenza • Animazione diurna e serale con spettacoli, piano bar, giochi e tornei • Partecipazione ad attività culturali e ricreative organizzate da 50&Più • Assistenza in loco di personale medico dedicato H24 • Assistenza

in loco di personale 50&Più e 50&Più Turismo • Assicurazione bagaglio/sanitaria e annullamento

LA QUOTA NON COMPRENDE: Trasporti da e per il Village di Marispica • Escursioni da prenotare e pagare in loco • Eventuali pasti extra, da regolare in loco • Imposta di soggiorno comunale (attualmente € 2,50 al giorno per persona oltre i 12 anni) • Noleggio Telo mare € 5 (compresi 2 cambi) •Tutto quanto non sopra specificato

50&Più | marzo 2024 90
DOPPIA DOPPIA
SINGOLA
e 4°
USO
LETTO ADULTI
€ 1.080 € 715
€ 1.040 €
DOPPIA
DOPPIA USO
2024

dal 12 al 19 luglio

7 NOTTI / 8 GIORNI

FIORDI NORVEGESI CON COSTA DIADEMA

L’imponenza dei panorami, l’aria pulita e frizzante, l’intensità della luce, con il sole che praticamente non tramonta mai: l’estate al Nord è un’esplosione di natura e di colori. Tutta da scoprire al ritmo lento della crociera, con la nave che vi porta nel cuore dei fiordi, vi fa ammirare cime innevate e ghiacciai da una prospettiva straordinaria, vi fa entrare nelle città da una porta d’ingresso speciale. Costa opera in Nord Europa dal 1973: oltre 50 anni di esperienza per garantirvi organizzazione e qualità non solo a bordo, ma anche a terra.

MONACO E CASTELLI DELLA BAVIERA

• Monaco

• Castello di Nymphenburg

• Castello di Hohenschwangau

• Castello di Neuschwanstein

• Castello di Linderhof

Monaco di Baviera è una delle destinazioni turistiche più emozionanti della Germania, con le sue birrerie, la cucina bavarese, le chiese storiche come la cattedrale Frauenkirche, le località tipiche come Oberammergau e gli imponenti castelli della zona: il Castello di Nymphenburg in stile barocco, di Linderhof, con il meraviglioso giardino, di Hohenschwangau e di Neuschwanstein.

Quota individuale in camera doppia (3 notti/4 giorni)

minimo 30 partecipanti € 1.030

Le quote di soggiorno sopra riportate sono riservate ai soci 50&Più Associazione. Per i non soci 50&Più è previsto un supplemento di € 50 a partire dai 18 anni

Quota per persona

nelle cabine prescelte con volo da Roma

Tipo cabina CAT in camera doppia

Interne

IC € 1.320 (tasse escluse) + € 400 in singola

Esterne EP € 1.500 (tasse escluse) + € 520 in singola

Esterne con balcone

BC € 1.650 (tasse escluse) + € 620 in singola

Le quote di soggiorno sopra riportate sono riservate ai soci 50&Più Associazione. Per i non soci 50&Più è previsto un supplemento di € 50 a partire dai 18 anni

SUPPLEMENTI E TASSE OBBLIGATORI

Tasse Portuali € 180

Quote di servizio (obbligatorie e da pagare a bordo) € 77

Assicurazione e annullamento viaggio (obbligatoria) € 60

dal 2 al 5 maggio

3 NOTTI / 4 GIORNI

La quota comprende: volo di linea da Roma a Monaco e ritorno • Trasporti in pullman • Sistemazione in hotel 3/4 stelle con trattamento di mezza pensione • Visite guidate (parte di ingressi inclusi) • Auricolari • Tasse aeroportuali • Assicurazione medico-bagaglio

La quota non comprende: facchinaggio, Assicurazione annullamento (€ 28) • Mance • Bevande e quanto non specificato

Per maggiori informazioni e prenotazioni contattare: mail: infoturismo@50epiu.it - tel. 06.6871108/369 oppure la sede provinciale 50&Più di appartenenza (Aut. Reg. 388/87)
KIEL STAVANGER COPENAGHEN BERGEN HELLESYLT ÅLESUND GEIRANGER

dal 29 giugno al 5 luglio

6 NOTTI / 7 GIORNI

SETTIMANA DELLA CREATIVITÀ

Madonna di Campiglio (TN) nelle Dolomiti di Brenta

Nel cuore della Val Rendena, tra le Dolomiti di Brenta e il Parco naturale dell’Adamello e della Presanella, Madonna di Campiglio - situata a 1.550 metri d’altezza - nella seconda metà del ‘900 era luogo di soggiorno della nobiltà e della ricca borghesia austriaca. Oggi, grazie ai suggestivi paesaggi da cartolina, è la meta ideale per chi ama passeggiare all’aria aperta in cerca di ispirazione artistica.

Nella splendida cornice delle Dolomiti, torna a luglio l’appuntamento con la nuova edizione della Settimana della Creatività: saranno organizzati laboratori creativi che faranno emergere l’estro di ogni partecipante e aspiranti artisti si cimenteranno nelle più disparate forme d’arte, in un clima di amicizia e socialità. Durante l’Evento verranno premiati anche i vincitori della 42ª edizione del Concorso 50&Più, che valorizza e premia la creatività.

SISTEMAZIONE

ALBERGHIERA

Il Relais des Alpes (4 stelle) è situato nel cuore del paese, oltre ai servizi standard troverete: piscina coperta, beauty farm, idromassaggio, piano bar, ristorante e garage (a pagamento) ed il Salone Hofer, noto per le sue magiche serate. Il ristorante offre una cucina accurata e raffinata con un’ampia scelta tra piatti di cucina tradizionale ed internazionale.

Quota individuale di partecipazione DoppiaSingola

Dal 29 giugno al 5 luglio (6 notti/7 giorni)€ 590€ 875

Riduzioni adulti e bambini in 3°/4° lettosu richiesta

Le quote di soggiorno sopra riportate sono riservate ai soci 50&Più Associazione. Per i non soci 50&Più è previsto un supplemento di € 50 a partire dai 18 anni

La quota comprende: soggiorno in camera doppia in Hotel • Trattamento di pensione completa a buffet (acqua in caraffa inclusa ai pasti) • Partecipazione ai laboratori - Ingresso alla piscina interna ed esterna • Assistenza staff 50&Più • Assicurazione.

La quota non comprende: trasporti da e per Madonna di Campiglio • Bevande extra ai pasti • Parcheggio coperto (€ 7 al giorno) • Escursioni facoltative • Tassa di soggiorno Comunale attualmente pari a € 2.50 al giorno (da regolare in loco) • Mance, extra in genere e tutto quanto non specificato.

50&Più | marzo 2024 92
Turismo

dal 29 settembre all’8 ottobre

9 NOTTI / 10 GIORNI

SOGNANDO IL CANADA

Un viaggio incredibile tra Quebec e Ontario

1° giorno: Partenza per Montréal. Partenza dall’aeroporto di Roma Fiumicino (da Milano, su richiesta) con volo Air Canada per Montréal. Arrivo nel pomeriggio e incontro con la guida per il trasferimento in Hotel. Cena e pernottamento.

2° giorno: Montréal. Giornata dedicata alla visita della città moderna, della Cattedrale, del Boulevard Saint Laurent, della “Little Italy” e del Centro Olimpico. Cena e pernottamento.

3° giorno: Montreal - Québec (circa 240 km). Trasferimento al Mont Royal per ammirare l’incredibile panorama della città. Visita del quartiere di “Chinatown” e della città storica. Pranzo libero e tempo a disposizione per shopping o visita del museo. Partenza in pullman per Québec City. Cena e pernottamento.

4° giorno: Québec. Visita guidata della vecchia Capitale francese con la “Citadelle” e la fortezza militare. Camminata tra le viuzze fino al magnifico Château Frontenac. Pranzo libero. Salita in funicolare per visitare il vecchio borgo medievale. Cena e pernottamento.

5° giorno: Québec - Ottawa (430 km). Partenza per Ottawa con sosta a Berthierville, per visitare il museo del campione di Formula 1 Gilles Villeneuve. Arrivo a Ottawa, passando il canale Rideau che attraversa tutta la città. Passeggiata con la guida e cena in ristorante locale. Pernottamento in Hotel.

6° giorno: Ottawa. Visita a piedi della panoramica “collina parlamentare”, la biblioteca, la cattedrale, la spianata del Museo delle belle arti, il mercato e i negozietti che circondano il mercato. Pranzo e pomeriggio libero per shopping oppure per visitare il meraviglioso Museo dell’Uomo. Cena e pernottamento in Hotel.

7° giorno: Ottawa - Toronto (440 km). Partenza per Toronto e sosta a Rockport per una minicrociera nelle Mille Isole sul fiume San Lorenzo, un arcipelago con 1.865 isole abitate da persone e da uccelli migratori. Arrivo in Hotel. Cena e pernottamento.

8° giorno: Toronto. Visita all’Acquario e alla CN Tower e, nel pomeriggio, tour panoramico della città, una delle più multiculturali nel mondo. Cena e pernottamento in Hotel.

9° giorno: Escursione alle Cascate del Niagara. Partenza per le spettacolari Cascate che si affacciano su un fronte canadese e uno americano, con l’imponente portata d’acqua che gli indiani nativi chiamavano “Rombo di Tuono”. Rientro nel pomeriggio. Cena e pernottamento.

10° giorno: Toronto - Rientro in Italia. Mattinata a disposizione in città. Trasferimento in aeroporto in tempo per il volo di linea per Roma.

11° giorno: Arrivo in Italia. Arrivo in mattinata all’Aeroporto di Roma Fiumicino.

Tour organizzato in collaborazione con Serving People Group

Quota individuale di partecipazione (9 notti / 10 giorni)

Camera doppia

Camera doppia uso singola - su richiesta

€ 4.400

Le quote di soggiorno sopra riportate sono riservate ai soci 50&Più Associazione. Per i non soci 50&Più è previsto un supplemento di € 50 a partire dai 18 anni

La quota comprende: Voli di linea Air Canada da Roma Fiumicino a Montreal e ritorno da Toronto, in classe economica • Trasferimenti durante il tour con pullman privati • Pernottamenti in camera doppia in Hotel 4 stelle prescelti

• Trattamento di prima colazione e cena come indicato in programma • Guida accompagnatore locale parlanti italiano per tutto il viaggio in Canada • Assistenza di personale 50&Più dall’Italia • Visite ed escursioni con ingressi indicati in programma • Assicurazione bagaglio-sanitaria e annullamento viaggio Unipol Sai.

La quota non comprende: Tasse aeroportuali (€ 90, importo da riconfermare all’emissione del biglietto aereo) • Escursioni e visite facoltative, non previste in programma

• Pasti non previsti, menu à la carte, bevande, ingressi, mance ed extra di carattere personale e tutto quanto non espressamente indicato.

Per maggiori informazioni e prenotazioni contattare: mail: infoturismo@50epiu.it - tel. 06.6871108/369 oppure la sede provinciale 50&Più di appartenenza (Aut. Reg. 388/87)

Vivere in armonia

seguendo le stagioni

IL TEMPO DELLA RINASCITA

«A primavera si fanno le cure depurative Giova ancora usare i medesimi abiti adoperati per l’inverno specialmente quelli di fibra delicata»

Almanacco Barbanera 1887

a cura di

MARZO

Tutto muta a marzo. L’aria, i colori, il vento gentile che spazza via le nubi. L’equinozio spalanca le porte alla primavera, stagione portatrice di bel tempo e rinascita della natura e dell’uomo. Un’esplosione di foglie e fiori dipinge a nuovo la campagna, inonda l’aria di dolci profumi nel tempo in cui i proverbi abbondano, testimoni dei cicli del cielo e della terra, dell’energia di un mese che non vuol stare con le mani in mano. È un momento speciale, di quelli che rimettono il mondo in movimento, che ci chiedono di raccogliere i primi frutti, ma soprattutto di guardare avanti, con le giornate che si allungano e qualche acquazzone che, con nuova lena, fa germogliare la terra. Perché ad arrivare c’è la prima esuberante fioritura dell’anno di mimosa, da raccogliere quando l’attenzione si volge alla Festa della donna. E poi c’è anche la Festa di san Giuseppe, momento per festeggiare i papà. Tutto in attesa della primavera, per raccontarci nuove antiche storie del bel tempo che verrà.

L’ORTAGGIO

Coltiviamo patate

Si deve attendere la fine del mese, quando il rischio di gelate tardive dovrebbe essere ormai scongiurato. Si piantano allora le patate, con la Luna calante, in un terreno ben lavorato. Ortaggio generoso e importante, richiede attenzioni

e dedizione, perché far crescere bene i tuberi significa zappare e rincalzare le piante durante il periodo di crescita, a luglio-agosto, e fino a settembre, quando sarà il momento della raccolta. Meglio in una giornata asciutta e ventilata: sarà una vera gioia! A patto però di aver tenuto lontani i nemici: la peronospora, ma anche il marciume e altri funghi. Per evitarli, basteranno trattamenti a base di rame. Senza dimenticare che si potrà pure scegliere di coltivare varietà bianche e rosse, ma anche blu e violette come la “Vitelotte noire”.

Verdi amicizie

Le patate sono amiche di leguminose come fave e piselli, che oltre a migliorare il terreno fissando l’azoto, tengono anche lontana la dorifora, temibile insetto che non ama affatto quelle piante.

Da sapere

Sono pronte da raccogliere quando la pianta ingiallisce.

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BUONO A SAPERSI!

In vista della Pasqua, che quest’anno si celebra il 31 marzo, si possono preparare bellissime uova decorate. Si fanno sode, per renderle più robuste, poi si dipingono con colori per alimenti. Per un effetto spettacolare, si avvolge l’uovo con un pizzo fissato con colla fatta con acqua e farina. Poi si passa un pennello intriso nel colore preferito, quindi si mette ad asciugare sopra degli spilli conficcati su mezza patata. Una volta asciutto, basta staccare il merletto per svelare il disegno rimasto sul guscio!

FIORI E FRUTTI SUL BALCONE

LA VIOLA MAMMOLA

La viola cresce negli angoli ombrosi e freschi. Le sue foglie, a forma di cuore, si possono anche m angiare, crude o cotte. Coltivata, la ‘viola odorata’ chiede terreno fresco, luce soffusa e un po’ di umidità. Cresce facilmente in vaso, magari ai piedi di una pianta arbustiva più grande. In giardino si diffonde da sola per seme o per stolone, rametto che si allunga sul terreno dalla base. La prima viola che appare va mangiata: esaudirà un desiderio!

COLTIVARE CON LA LUNA

NELL’ORTO, NEL GIARDINO, SUL BALCONE

Le temperature che si alzano e le giornate che si allungano rendono più piacevoli i lavori nell’orto. Ecco allora la Luna crescente che ci chiede di seminare in semenzaio cetrioli, melanzane, peperoni, peperoncini, pomodori, meloni, timo. In piena terra mettere invece il lattughino da taglio e le fave. Senza dimenticare di trapiantare le aromatiche, ma anche l’asparago bianco e verde, le carote nelle varietà tardive, i piselli e di accogliere la valerianella. In Luna calante, seminare in semenzaio basilico, lattuga, maggiorana e sedano. ll’aperto, cavolo cappuccio primaverile ed estivo, bietola da orto e rapa. Trapiantare la cipolla.

NEL GIARDINO

Preparare alla bella stagione il giardino è attività di questo mese. Prepariamoci allora a seminare in Luna crescente, in coltura protetta, i ciclamini. Seminare invece all’aperto le specie annuali, tra cui calendula, papavero e iberide. Piantare i bulbi a fioritura estiva-autunnale, ad esempio ciclamini e amarillis. Iniziare la semina dei tappeti erbosi e riprodurre le rose. Terminare, in fase calante, le potature degli alberi e degli arbusti spoglianti. Infine, preparare il terreno per la messa a dimora di nuove piantine e rinvasare le piante da interno, le fucsie e le ortensie.

NEL CESTINO

Ortaggi: carciofi, cardi, carote, catalogna, cavolfiori, cavolini di Bruxelles, cavoli broccolo, c avoli cappuccio, cavoli verza, cicorie, cicorini da taglio, cime di rapa, cipolle, finocchi, indivie, lattughe e lattughini, porri, rape, radicchi rossi, ravanelli, sedani, spinaci, valeriana, valerianella e rucola.

Aromi: alloro (Laurus nobilis), ottimo per lenticchie al tegame. E anche rosmarino, salvia e timo.

IL SOLE

DICE IL PROVERBIO

Marzo secco e caldo fa il vignaiol spavaldo

Nulla si dimentica più presto dei benefici

La primavera è per l’occhio e l’autunno per la bocca

Frutta: arance, clementine, kiwi, limoni, mandarini, mele, pere Conference e pompelmi.

L’1 sorge alle 06:35 e tramonta alle 17:51

L’11 sorge alle 06:18 e tramonta alle 18:02

Il 21 sorge alle 06:01 e tramonta alle 18:14

L’1 si hanno 11 ore e 16 minuti di luce solare. A fine mese, 85 minuti di luce in più

LA LUNA

L’1 tramonta alle 08:56 e sorge alle 23:58

L’11 sorge alle 06:57 e tramonta alle 19:38

Il 21 tramonta alle 04:41 e sorge alle 14:32

Luna calante dall’1 al 9 e dal 26 al 31

Luna crescente dall’11 al 24

Luna Piena il 25. Luna Nuova il 10

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Giochi

di Lionello e Favolino

REBUS Lionello 3 4 5 5

REBUS Lionello 10 7

» PADRE INGIUSTO

Cinque fratelli: due stan coricati e gli altri tre devono restare alzati perché il padre così sempre dispone nell’esercizio della sua funzione

INDOVINELLO Favolino

» L’AMICO DEL CUORE

Di me conosce ogni cosa trepide speranze, nascosti segreti e i sogni di ogni giorno A lui confido gioie e dolori ansie e timori che lui custodisce come uno scrigno

INDOVINELLO Lionello

TEST 1

Osservate attentamente le seguenti sei figure e dite, utilizzando un criterio logico da determinare, quale di esse può essere considerata “intrusa”.

TEST 2

Osservate attentamente le otto seguenti sequenze di numeri e lettere e determinate le lettere che, secondo logica, sostituiscono i punti interrogativi nelle ultime due sequenze.

TEST 3

Osservate attentamente le seguenti figure e le due lettere che le precedono e dite quali lettere sostituiscono i due punti interrogativi secondo un criterio logico da determinare.

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Stuzzica Cervello di Enrico Diglio
a) b) c) d) e) f) a) b) c) d) 5 3 7 C A L P G F O Z 4 e) f) g) h) D G ? 3 M R S T 7 9 5 ? AM AR OT ??

BAZAR

a cura del Centro Studi 50&Più

LONGEVITÀ

STUDIARE

ALLUNGA LA VITA

Ogni anno in più di istruzione riduce il rischio di morte del 2%, mentre 18 anni di istruzione lo riducono del 34%. Sono alcuni dati emersi da un nuovo studio condotto su vasta scala in merito al legame tra istruzione e longevità, pubblicato di recente su The Lancet Public Health. La ricerca ha evidenziato una correlazione importante tra i due aspetti. Chi gode di un livello educativo più elevato ha maggiore consapevolezza di prevenzione e stili di vita salutari. L’istruzione, inoltre, influenza il contesto sociale ed economico in cui le persone vivono, il che a sua volta influenza positivamente la salute generale e l’aspettativa di vita.

A QUALE “INVECCHIOTIPO” APPARTENETE?

Secondo il genetista Michael Snyder dell’Università californiana di Stanford, il nostro organismo invecchiando viaggerebbe su quattro direttrici principali: problemi immunitari, epatici, renali e metabolici. A questi quattro talloni d’Achille sarebbero collegati, secondo lo studioso, quattro principali tipi di invecchiamento o “invecchiotipi”. Capire quale sia il nostro potrebbe aiutarci a puntare ad interventi mirati verso le parti destinate a invecchiare più in fretta e male. Ulteriori indagini intanto hanno già aumentato ad almeno 9 gli invecchiotipi possibili e lo stesso Snyder sostiene che potrebbe essere molti di più: uno per organo.

Informazioni, curiosità, notizie utili, luogo d’incontro e di scambio Inviate segnalazioni e quesiti a: centrostudi@50epiu.it

TECNOLOGIA

RECALLCUE, L’APP DI CAREGIVING

RecallCue Connect e RecallCue Clock sono due applicazioni “compagne”. Si installano, rispettivamente, su qualsiasi dispositivo di un parente o caregiver e su quello della persona anziana da monitorare. Una volta configurate entrambe le app, è possibile inviare promemoria, note e file multimediali alla persona monitorata per ricordarle, magari, di assumere un farmaco stimolando così memoria e ricordi. Va detto che RecallCue non è destinato a curare la demenza o il deterioramento cognitivo lieve (MCI). Inoltre, entrambe le applicazioni sono scaricabili gratuitamente, ma l’uso della piattaforma richiede la sottoscrizione di un abbonamento.

A MILANO

IL PROGETTO “CURA”

Dallo scorso giugno, il Comune di Milano sta sperimentando qualcosa di nuovo per l’assistenza domiciliare degli anziani. Grazie al progetto “CURA - anziani domotici” intende promuoverla attraverso dispositivi capaci di prolungarne il tempo di permanenza presso la propria abitazione. Un modo per evitare o ritardare l’inserimento in RSA. “CURA” prevede forme di assistenza domiciliare intensive con monitoraggio a distanza e l’introduzione di elementi di domotica. La sperimentazione, finanziata dal PNRR con 2,46 milioni di euro, è frutto di una coprogettazione con diverse cooperative e vede un bacino di utenza di cento anziani.

FILM

THE ETERNAL MEMORY di Maite Alberdi con A. Góngora, P. Urrutia

Documentario, Cile, 2023 Cosa succede quando l’Alzheimer tocca una persona che è la memoria di un Paese intero? Ce lo racconta il caso di Augusto Góngora, cileno, che negli anni di Pinochet narrò clandestinamente la realtà nascosta dal regime. Lui, insieme a Paulina Urrutia, è uno dei protagonisti del documentario The Eternal Memory. Quando nel 2014 gli viene diagnosticato l’Alzheimer, Paulina ne diviene la caregiver fino alla scomparsa di Augusto. Le riprese del documentario raccontano una storia d’amore che fa riflettere su un valore perduto: l’indissolubilità dei legami.

LIBRI

L’INVENZIONE DEL BOOMER di M.Bordone - Utet, 2023, pp. 144 Nel 2019, in un’infiammata seduta del parlamento neozelandese, Chloe Swarbrick - parlamentare 25ennezittisce con sarcasmo un collega più anziano dicendogli: «Ok, boomer». Da allora queste due parole sono diventate il grido di uno scontro tra i “figli del boom” e le generazioni del nuovo millennio. Matteo Bordone ricostruisce la storia di questa faida tra “giovani” e “vecchi”, con una domanda: questa contrapposizione è vera? È utile? L’invenzione del boomer, infatti, cambia forma e funzione di continuo, quasi fosse un tassello del nostro modo di raccontarci.

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Soluzioni giochi

REBUS (3 4 5 5)

U N agita, F UO riporta = Una gita fuori porta

GIOCHI IN VERSI INDOVINELLI

REBUS (10 7)

asso R, D ante; bacca NO = Assordante baccano

Padre ingiusto = La benedizione L’amico del cuore = Il diario

Stuzzica cervello

TEST 1 - La figura “intrusa” è quella contrassegnata dalla lettera e). In essa, infatti, le linee blu che sono disposte sul contorno del cerchio verde sono sette e non sei come nelle altre cinque figure.

TEST 2 - Le lettere che sostituiscono i punti interrogativi nelle sequenze g) e h) sono rispettivamente la N e la Z. Esse, infatti, garantiscono il rispetto del criterio utilizzato nelle altre sei sequenze: nelle sequenze dove la prima lettera è seguita da un numero in basso a destra, tale numero rappresenta quanti posti nell’alfabeto italiano occorre scendere dalla prima lettera per trovare la lettera posta in alto a destra; mentre nelle sequenze dove la prima lettera è seguita da un numero in alto a destra, tale numero rappresenta quanti posti nell’alfabeto italiano occorre salire dalla prima lettera per trovare la lettera posta in basso a destra.

dalla S (posizione numero 17) si arriva alla N (posizione numero 12) scendendo di 5 posizioni.

g) h)

dalla S (posizione numero 17) si arriva alla N (posizione numero 12) scendendo di 5 posizioni.

N 3 S T 5 Z

dalla T (posizione numero 18) si arriva alla Z (posizione numero 21) salendo di 3 posizioni.

dalla T (posizione numero 18) si arriva alla Z (posizione numero 21) scendendo di 3 posizioni.

TEST 3 - Le lettere che sostituiscono i due punti interrogativi sono O e G. Esse, infatti, permettono di rispettare il criterio valido per le altre tre figure: la prima e la seconda lettera rappresentano rispettivamente l’ultima e la prima lettera del nome del fiore a lato rappresentato.

GAROFANO O G

Hai problemi di memoria?

QUESTE COMPRESSE FORNISCONO I NUTRIENTI NECESSARI AL CERVELLO PER AIUTARE LA MEMORIA E LA CONCENTRAZIONE

Quando sei di fretta perdi di vista l’essenziale e arrivi a dimenticarti persino i nomi delle persone. Migliaia di persone sono affette da perdita di memoria legata all’età, ma oggi esistono le compresse naturali Clear Brain™ che ti aiutano a mantenere una buona funzione celebrale.

Una vera innovazione

Clear BrainTM, basato su nutrienti essenziali per il cervello, (noci, melograno, corteccia di pino, vitamine, minerali) aiuta a migliorare le prestazioni mentali e le funzioni cognitive come memoria, attenzione e concentrazione.

I risultati degli scanner sul cervello*

Clear BrainTM è ricco di L-teanina, un aminoacido. Gli scanner mostrano molto chiaramente che l’attività delle onde cerebrali aumenta entro un’ora dall’assunzione della compressa. Nelle zone rosse (attive) notiamo le aree celebrali della memoria e della concentrazione. In confronto possiamo distingue le zone in blu, inattive, nelle persone che hanno assunto un placebo (una compressa senza principio bioattivo).

Noci e cervello

La noce ha un aspetto che ricorda il cervello umano e contiene molti nutrienti essenziali per il corretto funzionamento di questo organo. Diversi studi scientifici hanno dimostrato che il consumo di noci favorisce una buona memoria grazie a una doppia azione di protezione antiossidante e al miglioramento della circolazione sanguigna nel cervello.

*JOURNAL OF MEDICINAL FOOD - J Med Food 14 (4) 2011, 334–343

Clear Brain™ è disponibile in tutte le farmacie o visita il sito www.newnordic.it

Per maggiori informazioni: 02.89070845 - info@newnordic.it

L’Albero Argento è il logo di New Nordic, è un simbolo di qualità e autenticità riconosciuta da milioni di persone in tutto il mondo

Clear Brain™ 60 compresse - codice 939478400

Clear Brain 120 compresse – codice 976733978

Ho ritrovato fiducia in me stessa

Ruth si sta godendo il suo pensionamento. “Sono sempre riuscita a mantenere il controllo, ma un giorno ho notato che non avevo più le idee chiare. È diventato difficile affrontare la quotidianità. Non ricordavo più dove stavo mettendo le mie cose e stavo perdendo fiducia in me stessa. Ora prendo le compresse di Clear Brain™ ogni giorno”.

Posso godere della compagnia dei miei amici “È molto importante per me mantenermi attiva, affrontare i problemi quotidiani, divertirmi con i miei nipoti, prendermi cura del mio giardino e giocare a carte con i miei vicini. Voglio rimanere attiva senza perdere il controllo o sentimi confusa o stanca. Non sono il tipo di persona che sta seduta tutto il giorno a guardare la TV; voglio uscire e godermi la mia famiglia e i miei amici”.

Il percorso della vitalità
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