Maggio_2025

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CIÒ CHE RESTA

L’eredità di Francesco

Quei dodici anni di pontificato che hanno scritto la storia dalla parte degli ultimi. Viaggio nell’era Bergoglio tra pandemia, diritti, telefonate improvvise e ‘prime volte’

PERSONAGGI

Monica Guerritore dietro

la macchina da presa «Racconto l’interregno femminile spesso dimenticato»

PRIMO PIANO

Sul red carpet del Festival di Cannes

Miti, scandali e influencer

L’industria cinematografica cambia

SPECIALE LAVORO

La denuncia di Alleanza contro la povertà «Oggi più di tre milioni di lavoratori sono poveri»

PAPA FRANCESCO: UN RICORDO PERSONALE E UN OMAGGIO

«Fratelli e sorelle, buonasera. Voi sapete che il dovere del Conclave era dare un vescovo a Roma, sembra che i miei fratelli cardinali siano andati a prenderlo quasi alla fine del mondo. Ma siamo qui. Vi ringrazio per l’accoglienza». È il 13 marzo del 2013, sono da poco passate le 20, piazza San Pietro è gremita di fedeli, sopra la folla sventolano

«ABBIAMO INCONTRATO IL PONTEFICE IN OCCASIONE DEL CINQUANTENNALE DELL’ASSOCIAZIONE E ABBIAMO CONDIVISO UN TEMPO DI PREGHIERA LA SUA ATTENZIONE ALLE PERSONE ANZIANE NON SARÀ DIMENTICATA»

bandiere argentine, i flash dei cellulari puntellano il buio come tante stelle. Jorge Mario Bergoglio si affaccia dalla loggia centrale della Basilica di San Pietro, sorride, è papa Francesco. Lui ancora non lo sa, e non lo sappiamo nemmeno noi, ma da quel momento si apre un nuovo capitolo nella storia dell’umanità: una fase in cui i diritti di tutti guadagnano posizioni prioritarie nell’operato del Pontefice. Le quattro encicliche diventano il suo testamento: è da questi scritti che emerge la figura di un Papa sui generis, devoto all’accoglienza verso tutti, soprattutto i più vulnerabili. Ricorderemo sempre il Pontefice che pregherà

per l’umanità in una piazza San Pietro deserta, sotto la pioggia, davanti a Cristo in croce, in una fredda sera di marzo, mentre il mondo piange migliaia di morti uccisi dal Covid. È a questa immagine suggestiva che abbiamo dedicato la copertina del numero di maggio perché rappresenta un momento storico importante. Ed è proprio a piazza San Pietro che mi lega un personalissimo ricordo di papa Francesco. Era lo scorso novembre quando, in occasione del Cinquantennale della nostra Associazione, tutti insieme lo abbiamo incontrato e abbiamo condiviso un tempo di preghiera e di riflessione. La sua attenzione alle persone anziane è stata significativa e non sarà dimenticata. Voglio omaggiarlo, ricordando ancora una volta le sue parole: «Gli anziani non devono essere lasciati soli, devono vivere in famiglia, in comunità, con l’affetto di tutti. E se non possono vivere in famiglia, noi dobbiamo andare a cercarli e stargli vicino. Pensiamoci un momento. Non è molto meglio un mondo in cui nessuno deve aver paura di finire i suoi giorni da solo? È triste questo mondo. Chiaramente sì, è triste. E allora costruiamolo questo mondo, insieme, non solo elaborando programmi di assistenza, quanto coltivando progetti diversi di esistenza, in cui gli anni che passano non siano considerati una perdita che sminuisce qualcuno, ma un bene che cresce e arricchisce tutti: e come tali siano apprezzati e non temuti». Grazie, papa Francesco.

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Anno XLVII - n. 5 - maggio 2025

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Papa Francesco: un ricordo personale e un omaggio Carlo Sangalli 3

Radici e futuro là dove le generazioni si incontrano Anna Grazia Concilio 6

In questo numero

Cagliari, pioniera dell’invecchiamento attivo Alessandra Espis 26 L’arte dell’intreccio passa da Cerisano Claudia Benassai 28

Rete contro il gioco d’azzardo «Vietare pubblicità» Anna Giuffrida 30

«La medicina non può essere una moda» Francesca Cutolo 32

Alì Moshely, il caimano d’Egitto

G.Carlo La Vella 78

Inps, transizione demografica Maria Silvia Barbieri 84

Incontri, Concorso, Olimpiadi Tour Grecia classica a cura di 50&Più Turismo 88

34

Speciale Lavoro

Dati, senior e politiche di sostegno al reddito Fotografia di una società che cambia di C.Ludovisi, V.M.Urru

Rubriche

41

Dal mito De Niro agli influencer 78 anni di Festival di Cannes La kermesse francese, tra storia volti simbolo e aneddoti di A.Costalunga, F.De Bernardinis G.Bianconi, A.G.Concilio

Terzo tempo Lidia Ravera 10

Anni possibili Marco Trabucchi 12

Effetto terra Francesca Santolini 14

Monica Guerritore

«Racconto l’interregno femminile troppo spesso dimenticato»

di Giulia Bianconi

Cultura

Bajani rompe il silenzio sul “regime” familiare 66

Cristiano Godano: «Cerco la purezza della musica suonata» 68

L’ultima (forse) missione impossibile di Tom Cruise 70

Gauguin: la sua arte in mostra a Torino

Perché Star Wars è diventato leggenda

Giacomo Casanova, un saggio celebra i suoi trecento anni

L’angolo della veterinaria

Le fasi del sonno

Ecco come dormono cani, gatti, uccelli e altre specie animali

a cura di Irene Cassi

Credit foto: Agf, Contrasto, Shutterstock, Antonio Barella. Shutterstock: New creative ideas, Fred Duval, RaffMaster, Antonio Gravante, MikeDotta, Filmbildfabrik, Massimo Todaro, astudio, Renato Murolo 68, betto rodrigues, Zigres. Foto di copertina: ©Vatican Media

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IL PROGETTO CHE SFIDA LA DEMENZA

Obiettivo dell’iniziativa è fare da ponte fra i servizi, fornire indicazioni chiare, mettere a disposizione un punto d’incontro e di ascolto dei bisogni di pazienti e famiglie

DALLE AUTO AI CARRARMATI

In Germania, l’industria automobilistica e quella della difesa stanno ipotizzando una riconversione delle linee di montaggio: abbandonare le berline per costruire veicoli militari

INFERMIERI IN FUGA SANITÀ A RISCHIO

Poco valorizzati in Italia, cercano migliori opportunità all’estero. Foad Aodi: «Senza l’impegno di professionisti stranieri chiuderebbero tanti dipartimenti nel nostro paese»

Finito di stampare: 30 aprile

RADICI E FUTURO, LÀ DOVE LE GENERAZIONI SI INCONTRANO

Andrea raccoglie l’eredità di nonno Luigi e in un paese a rischio spopolamento concentra tutte le sue migliori energie per far rivivere un mestiere destinato a scomparire, quello del cestaio. Questa storia arriva dalla provincia di Cosenza, cuore pulsante della Calabria, la racconta per noi - qualche pagina più avanti - Claudia Benassai. È una storia emozionante - certamente - ma è anche una storia che avvia a una riflessione e accende i riflettori sull’importanza dello scambio intergenerazionale che - senza se e senza ma - è e deve essere una delle colonne portanti della comunità dinamica e coesa che abitiamo.

Da un lato c’è nonno Luigi, depositario di un’arte che oggi in pochi praticano, dall’altro c’è Andrea, suo nipote che - in questo frammento di secolo, in questa società spesso frenetica e in velocità - si rende conto di quanto sia importante conservare le radici e preservare l’inestimabile patrimonio culturale avuto in ere -

dità dal nonno: l’arte e la maestria del saper fare. È proprio qua che si incontrano due generazioni, quella che rappresenta la tradizione e quella che, sull’impegno del presente, guarda al futuro. Gli strumenti che oggi abbiamo a disposizione non sono gli stessi di qualche decennio fa, è vero. Oggi la tecnologia fornisce mezzi incredibili, la nostra quotidianità quasi non può prescindere dall’utilizzo dell’intelligenza artificiale ma non c’è nulla che possa sostituire il valore della tradizione, il valore del saper fare, il valore del sacrificio, della fatica e il significato della riconoscenza e della soddisfazione di aver creato qualcosa con le proprie forze perché queste maestranze non hanno eguali. Non ci sarà mai nessun software in grado di ricreare quello che due mani sapienti possono realizzare.

L’importanza dello scambio intergenerazionale si trova proprio qui, nella fusione di due mondi, apparentemente lontani ma incredibilmente

uniti: quello dei giovani - portatori di innovazione, entusiasmo e una visione in continua trasformazione - e quello delle persone più anziane, portatrici di competenze, tradizioni, storia.

L’incontro tra generazioni favorisce la comprensione reciproca, abbatte gli stereotipi e riduce il divario tra le età, promuovendo inclusione e solidarietà. Non solo, arricchisce la vita di tutti e offre nuove prospettive, stimolando l’apprendimento continuo e combattendo solitudine e isolamento, definiti da più parti i ‘mali del secolo’.

E allora tutti noi, società civile, terzo settore e politica, dobbiamo unire le forze per preservare questo incredibile patrimonio storico. 50&Più è da tempo impegnata, attraverso le sue iniziative, nella promozione e nella valorizzazione degli antichi mestieri che crediamo radici irrinunciabili di ogni società, perché ricordiamolo sempre: non c’è futuro senza passato.

Fastidi articolari?

Il collagene può aiutarti a ritrovare movimento e benessere

Hai fastidio alle ginocchia quando fai le scale?

Ti senti rigido appena ti alzi dal letto?

Eviti certe attività perché “le articolazioni non tengono più”?

Sehai risposto sì, non sei solo.

Con l’età, è normale sentire le articolazioni più affaticate. Ma c’è una buona notizia: oggi puoi aiutare il tuo corpo a reagire in modo naturale, grazie al collagene idrolizzato. Cos’è il collagene e perché è così importante?

Il collagene è una proteina fondamentale: è il “mattone” che sostiene le cartilagini, i tendini, i legamenti e persino la pelle. Dopo i 40 anni, il corpo inizia a produrne sempre meno, e questo può causare dolori, rigidità e perdita di mobilità. Integrare il collagene nella tua routine quotidiana significa dare al tuo corpo un aiuto concreto per rimanere attivo, mobile e flessibile.

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Cosa dice la scienza?

Studi scientifici confermano che l’uso quotidiano di collagene idrolizzato (10g al giorno) porta a miglioramenti significativi nei problemi articolari, soprattutto nelle persone over 50 o attive ma con fastidi cronici

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Tenere fuori dalla portata dei bambini. Non superare

Punti di vista

I MONDI INCANTATI DI LUCE E OMBRA DI AYUMI SHIBATA

Ayumi Shibata è una ‘paper artist’ giapponese che trasforma la carta bianca in sculture e scenografie con una tecnica a prima vista semplice. I suoi paesaggi di carta - a volte minuscoli e intimi, altre volte imponenti e immersivi - nascono da un’ispirazione profonda la natura, la spiritualità, la connessione tra luce e materia Ogni stratificazione di carta racconta una storia

Terzo tempo

DALLE PIAZZE INFIAMMATE AL PIANTO SILENZIOSO

ECCO IL MIO PERCORSO DI CRESCITA

di Lidia Ravera

Sono pochi gli episodi della mia lunga lunga vita per cui provo rimorso. I conti che faccio ciclicamente con me stessa mi rimandano coerenza e una certa armonia. Provo rimorso soltanto per quel giorno in cui, nel corso di una manifestazione - credo per il 25 aprile - gridai, con convinzione sonora, il seguente slogan: “per i fascisti non basta una sfilata/prognosi prognosi riservata”. Il pugno chiuso, i ‘cordoni’ formati da un intreccio di braccia fra compagni, è tutto un bel ricordo, non quella frase. Quel modo superficiale di augurare il male, sotto la forma spaventosa e realistica della malattia, della terapia intensiva. È un brutto ricordo. Non avrei dovuto, non dovevo, non si fa. Avevo sedici anni e una incrollabile fede antifascista. Avevo sedici anni e non era ancora cresciuta, dentro di me, la malapianta dell’empatia. Ho dovuto maturare parecchio per imparare a non augurare sofferenza, mai, neanche agli avversari. Ho dovuto diventare vecchia per capire che non esiste ‘il nemico’, ma soltanto l’avversario. E che l’avversario è

da combattere con le parole e con l’esempio, mai con calci e pugni e spranghe, meno ancora con carrarmati e droni, bombe e mine antiuomo. Oggi, felicemente insediata nel terzo tempo mentre ribollono le guerre attorno a me, oggi che la terra trema e saltano tutti i fragili meccanismi che hanno, fin qui, garantito una pace nervosa ma solida, oggi, l’empatia è diventata, per me, causa di un sordo dolore costante, come un sottofondo di lutto che impedisce ogni allegria, ogni desiderio. Mentre sono qui che scrivo, stanno morendo decine di bambini; prima che la rivista su cui scrivo sia stampata e distribuita, altre famiglie saranno sterminate, altri ospedali bombardati, altri prigionieri torturati. Sento il pianto delle madri. Lo sento. È una voce flebile e terribilmente nitida che mi impedisce di ragionare, di dividere il mondo in zone d’influenza, di confrontare la strage del 7 ottobre con la distruzione sistematica di Gaza e dei palestinesi (anche quelli più piccoli). È un pianto leggero e senza speranza, che mi allontana dal pollaio televisivo, da quel ring arti-

Pietà, compassione e pena sono sentimenti profondi che rispondono soltanto alla coscienza di chi li prova E fanno male

ficioso in cui tutti ce l’hanno con tutti e non puoi criticare Netanyahu senza sentirti dare dell’antisemita. Anche questo scambio di accuse farlocche è violenza. È violenza continuare a spedire armi sempre più mortifere in Ucraina, perché l’Ucraina ha bisogno che la guerra finisca e la Palestina ha bisogno che la guerra finisca e il popolo di Israele ha bisogno che la guerra finisca. E io, e voi che mi state leggendo e tutti noi abbiamo bisogno che la guerra finisca, ma finché si investono miliardi per armare chi deve difendersi e chi vuole rispondere ai suoi aggressori e chi vuole vendicarsi per essere stato aggredito (credete che sia facile operare questi sottili distinguo?) la pace non si farà. La pace non svuoterà i teatri di guerra. E continueremo a essere circondati, condizionati e sopraffatti dalla violenza. Basterebbe applicare un comando semplice ed edificante, che conosciamo fin da quando eravamo bambini: “non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te”. Basterebbe questa frase che è un progetto di vita, a far tacere i cannoni. Ma naturalmente il mondo-mercato fa affari con le guerre e non vuole eliminare, perciò, le guerre, dal suo vocabolario triste. Da un vocabolario che vede la parola ‘profitto’ più gettonata della parola ‘amore’. No, non fate quella faccia buffa, non consegnatevi al vostro stupore, ve la leggo negli occhi la domanda di rito: “Ma come? Quella di Porci con le ali è diventata buddista, è diventata cattolica, ha avuto una crisi mistica,

si è ravveduta, si è rimbecillita, si è convertita?”.

No, non mi sono convertita. Mi sono pentita. E mi sono pentita così, liberamente, senza sconti di pena, mi sono pentita di aver sottovalutato il veleno che la violenza sparge sulle nostre vite, nelle relazioni famigliari, a scuola, nei posti di lavoro. Per le strade.

Oggi, lo confesso, non sopporto più neppure chi alza la voce, chi spinge, chi deride i più deboli, chi non sta al suo posto nella fila d’attesa, chi provoca per divertirsi, chi giudica senza pensare, chi interrompe chiunque stia parlando o cercando di parlare. Non sopporto più chi vuole mettere una divisa alla pietà, una divisa , una bandiera, un colore, e usarla per continuare a schierarsi. La pietà, la compassione, la pena non accettano di indossare una livrea, non le puoi irreggimentare, sono sentimenti profondi e profondamente liberi, rispondono soltanto alla coscienza di chi li prova. E fanno male. Se ti metti nei panni di chi ha avuto la sua casa disfatta e rasa al suolo dalle bombe, se senti il pianto delle madri, delle nonne che non hanno potuto proteggere i loro piccoli, non hai più voglia di discutere, di prevedere, di esecrare o di commentare, vuoi soltanto unirti a quel pianto e offrire il tuo dolore, perché non hai nient’altro da dare.

PARLIAMONE

Per scrivere a Lidia Ravera

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Anni possibili

AI BISOGNI DEGLI ANZIANI

Solitudine e sicurezza. Sono i due problemi che con maggiore intensità preoccupano la persona anziana. È quindi doveroso per le comunità individuare risposte possibili a questi problemi; non importa se solitudine e sicurezza sono condizioni oggettive e soggettive del singolo cittadino, perché in ogni modo sono in grado

di rendere la vita incerta e difficile. In questo scenario, si collocano recenti indicazioni suggerite da più parti, sulla predisposizione di ambienti di vita dove l’anziano trovi risposta alle due problematiche che maggiormente ne limitano la serenità, cioè strutture abitative definite come cohousing, in grado di fornire una buona qualità della vita, perché

aperte alla relazione e alla garanzia di sicurezza.

Molte sono le risposte possibili per rendere vivibile l’esistenza degli anziani in una società in continua trasformazione: centri diurni, luoghi di ritrovo e di aggregazione spontanei o predisposti dal volontariato, assistenza domiciliare leggera, counseling per organizzare una vita decente, in particolare in presenza di malattie croniche come la demenza. Rispetto a queste alternative, la scelta del cohousing non deve essere una soluzione imposta obbligatoriamente dalle circostanze (solitudine, paure, incertezza sul futuro) perché, prima di sradicare una persona dal suo luogo di vita (vedi “aging in place”), è doveroso percorrere altre soluzioni. Le soluzioni di cohousing devono avere alcune caratteristiche per essere davvero luoghi ‘possibili’, dove la persona non più giovane può trovare una prospettiva per il proprio futuro: a) estetica accurata, sia negli esterni sia negli interni; è un aspetto molto importante per la qualità della vita dei futuri inquilini, che talvolta

abbandonano abitazioni dignitose. Gli interni devono essere piacevoli, adatti in particolare alle donne che desiderano ricostruire angoli di vita personalizzati. Gli inquilini non devono quindi vivere come un fallimento personale le nuove soluzioni abitative. Inoltre, la città nel suo complesso deve riconoscere che la bellezza è un diritto di tutti, indipendentemente dall’età. Se è possibile, inserire nei nuovi edifici piccole opere d’arte. Per l’architettura contemporanea la progettazione di un cohousing rappresenta una sfida;

è un aspetto irrinunciabile: troppe opere esteticamente banali abbiamo visto in questi anni nell’ambito della cura degli anziani!

b) dimensioni che permettano l’organizzazione di una vita in comune; quindi dedicare circa un 10% degli spazi a luoghi di incontro. Inoltre, deve essere previsto un appartamento per chi esercita le funzioni di portierato (privilegiando una famiglia giovane con figli);

c) collocazione in zone piacevoli e con servizi adeguati (trasporti, negozi, uffici, chiese, ecc.); non si deve dimenticare che gli abitanti del cohousing possono diventare componente significativa del microambiente esterno. Se possibile, è importante costruire alcune aree verdi fruibili da parte degli inquilini (alcune delle quali disponibili anche per il vicinato);

allarme e collegamenti con servizi adeguati in caso di emergenze sanitarie o legate alla sicurezza personale. In alcuni casi, si possono fornire pasti a domicilio, anche se la scelta di fondo deve essere a favore della più ampia autonomia dei cittadini ospiti. Lo stesso vale per il periodico accesso a un servizio infermieristico. La conduzione del cohousing dovrà dedicare particolare attenzione a evitare che gli inquilini si ‘adagino’ sui servizi, perdendo progressivamente la propria autonomia psicologica e fisica;

d) le dimensioni degli appartamenti devono essere modulabili a seconda della richiesta (singoli, coppie, presenza di badante, ecc.), con particolare attenzione alle donne sole. Inoltre, è necessario garantire sistemi di

Per scrivere a Marco Trabucchi

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e) un cohousing attuale deve adottare criticamente le nuove tecnologie. Particolare attenzione deve essere data al controllo dell’ambiente di vita e della condizione di salute dell’inquilino attraverso l’adozione di rilevatori indossabili. I diversi dati devono essere raccolti in un data base centrale, che permetta attraverso l’intelligenza artificiale di delineare la possibile evoluzione futura delle condizioni dell’inquilino. È necessario infine prevedere la possibilità di un percorso protetto verso una Rsa per gli ospiti del cohousing nel caso di perdita dell’autosufficienza. È un aspetto delicato ma molto importante, perché i timori per un futuro incontrollabile in caso di bisogno è diffusissima tra gli anziani. Nell’insieme l’ospite deve sentirsi libero ma protetto; non è una contraddizione, ma il risultato di una conduzione prudente e determinata. Le dimensioni degli appartamenti devono essere modulabili a seconda della richiesta (singoli, coppie presenza di badante) con particolare attenzione alle donne sole

PARLIAMONE

SPAZIO E RIFIUTI L’ALTRA FACCIA DELLA RIVOLUZIONE TECH

di Francesca Santolini

Se pensate che lo spazio riguardi solo razzi e astronauti, vi state sbagliando di grosso. Ogni volta che ordiniamo una pizza a domicilio, usiamo il Gps per trovare una strada più veloce, preleviamo da un bancomat o controlliamo le previsioni meteo, stiamo usando tecnologie spaziali.

Lo spazio non è più solo fantascienza ed esplorazione, e anche se non ce ne accorgiamo, sta cambiando la nostra vita quotidiana.

Aree remote del pianeta possono connettersi con velocità e affidabilità mai viste, grazie ai satelliti oggi è possibile monitorare il clima, rilevare disastri naturali, costruire modelli predittivi sulla deforestazione o mappe per riconoscere zone a rischio frane.

Dietro a questa rivoluzione silenziosa, però, si nasconde un altro aspetto meno evidente ma sempre più preoccupante, la cosiddetta space junk, la spazzatura spaziale, che sta creando un problema ambientale senza precedenti.

Ogni giorno, quattro o cinque satelliti

rientrano nell’atmosfera - fenomeno conosciuto come deorbiting - disintegrandosi e rilasciando polveri metalliche che potrebbero alterare il clima e danneggiare lo strato di ozono.

Per questo motivo, alcuni esperti chiedono di aggiornare il Protocollo di Montreal, includendo anche l’impatto ambientale dei satelliti tra le minacce per l’ozono.

Ma l’inquinamento orbitale non riguarda solo l’atmosfera. Si stima che attorno alla Terra fluttuino oltre 3.000 satelliti non funzionanti e milioni di frammenti di detriti spaziali, derivanti da collisioni e malfunzionamenti. Ogni collisione tra questi oggetti genera nuovi frammenti, innescando un effetto domino pericoloso per le future missioni spaziali. Oltre al rischio per i satelliti e per le missioni con equipaggio, i detriti spaziali stanno diventando una minaccia anche per l’aviazione civile.

In alcune zone del mondo, come nei cieli tra Australia e Sudafrica, gli aerei sono costretti a fare lo slalom per non scontrarsi contro i detriti spaziali e alcune compagnie aeree, come

Qantas, modificano regolarmente le rotte, ritardando i voli, per evitare i detriti dei razzi.

E la situazione rischia di peggiorare: tra il 2021 e il 2024, il numero di lanci spaziali è quadruplicato, passando da 33 a 134 all’anno. Con la crescente corsa allo spazio, soprattutto da parte di aziende private come SpaceX, Amazon e Blue Origin, il traffico

orbitale sta diventando sempre più congestionato.

Per affrontare il problema, l’Agenzia Spaziale Europea ha commissionato alla startup svizzera ClearSpace la prima missione di pulizia orbitale. L’obiettivo è inviare in orbita dispositivi in grado di catturare e rimuovere i detriti più grandi che possono creare maggiori problemi, insomma

una sorta di spazzino orbitale. Anche la Nasa e altre aziende private stanno sviluppando tecnologie per il recupero e il riciclo dei materiali spaziali, tentando di trasformare il problema in una possibile opportunità economica.

Tuttavia, la soluzione non può essere solo tecnologica: servono nuove regole per la gestione sostenibile dello spazio.

Si stima che attorno alla Terra fluttuino oltre 3.000 satelliti non funzionanti e milioni di frammenti di detriti spaziali derivanti da collisioni e malfunzionamenti

Alcuni scienziati propongono di rendere obbligatorio il recupero dei satelliti al termine della loro vita, mentre altri suggeriscono l’uso di materiali biodegradabili per ridurre l’impatto ambientale dei rientri atmosferici. C’è addirittura chi propone di conservare la spazzatura spaziale come testimonianza delle nostre esplorazioni, come l’antropologo Justin Holcomb. Così come gli artefatti raccontano la storia umana sulla Terra, i detriti spaziali, dai satelliti alle sonde, tracciano i nostri primi passi nel cosmo. Una scienza chiamata geoarcheologia che può aiutarci a capire come l’ambiente altera i manufatti umani.

Insomma, lo spazio è diventato un’infrastruttura essenziale per la vita moderna, ma il suo utilizzo deve essere responsabile. Se non affrontiamo il problema dei rifiuti spaziali oggi, rischiamo di compromettere il futuro dell’esplorazione e delle tecnologie che ormai diamo per scontate, e la nostra sicurezza. La spazzatura spaziale non è solo un problema per gli astronauti: riguarda tutti noi.

PARLIAMONE

Per scrivere a Francesca Santolini

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L’EREDITÀ DI FRANCESCO

a prima Porta Santa l’ho aperta a Natale in San Pietro, ma ho voluto che la seconda Porta Santa fosse qui, in un carcere. Ho voluto che ognuno di noi che siamo qui, dentro e fuori, avessimo la possibilità anche di spalancare le porte del cuore e capire che la speranza non

di Anna Grazia Concilio

delude». Era il 26 dicembre, a Roma il freddo - come un fendente - tagliava l’aria: lui era lì, tra i detenuti di Rebibbia perché quegli ultimi fossero primi, almeno una volta nella vita. E lo ha fatto ancora, lo ha fatto tante volte, prima e dopo quel giorno. Papa Francesco ha abbracciato i migranti sbarcati a Lampedusa,

Con lui gli ‘ultimi’ sono diventati ‘primi’. Dalla ‘fine del mondo’, come lo stesso Bergoglio ha detto il giorno della sua elezione, è arrivato a Roma e si è messo a sedere sullo scranno più alto dello Stato Pontificio Ha bacchettato potenti della Terra e, per la prima volta nella storia del Giubileo, ha aperto la Porta Santa all’interno di un istituto di pena. Lascia a tutto il mondo un’autentica lezione di vita

ha aperto le sue braccia a naufraghi sopravvissuti, in fuga da guerre e prepotenze. Ha accorciato le distanze tra le confessioni religiose, ha bacchettato i potenti della Terra. È volato dall’altra parte del mondo, incontrando i fedeli all’Havana, pregando davanti al Muro occidentale. La sua immagine, sulle scale di un aereo qualsiasi, con la valigetta nera in mano come un viaggiatore qualunque. E quando gli hanno chiesto il perché ha risposto: «Io sono andato sempre con la borsa quando viaggio: è normale. Ma dobbiamo essere normali». Il suo italiano, contaminato dalla lingua spagnola, probabilmente gli ha concesso una corsia preferenziale per entrare nel cuore di tutti perché quel viso - buono e trasparente - ha suscitato empatia da subito. Le sue fughe da Città del Vaticano, a bordo di una Fiat 500L, e le telefonate improvvise a gente comune, lo hanno reso un simbo -

lo, un uomo che non vive a ridosso della storia ma la attraversa, senza arroganza e con l’umiltà di chi sa che c’è ancora tanto da fare. Francesco lascia un’eredità pesante, quella di un buono che - in tutti i modi in cui ha potuto - ha cercato di ripulire l’immagine della Chiesa, ogni tanto sporcata da chi, forse, dimentica la parola di Dio.

© VATICAN MEDIA

Personaggi

MONICA GUERRITORE

«RACCONTO

L’INTERREGNO

FEMMINILE

TROPPO SPESSO DIMENTICATO»

Abbiamo incontrato l’attrice romana alla vigilia delle riprese della sua opera prima

Magnani - L’alba del giorno dopo dedicato a ‘Nannarella’

Sarà regista e protagonista

Nella sua lunga e significativa carriera Monica Guerritore si è fatta guidare da «scelte di qualità che potessero lasciare un segno». L’attrice romana, 67 anni, ha interpretato donne diverse e piene di sfumature, sul palcoscenico (raccontandole anche nel suo spettacolo La sera della prima) come al cinema. Ha anche avuto il coraggio di affrontare ruoli dirompenti e scandalosi. Ha riso, sofferto con i suoi personaggi, da Madame Bovary a Lady Macbeth, da Giocasta a La lupa, emozionando il pubblico. Recentemente sul piccolo schermo, nella serie Inganno di Netflix, ha dato voce e corpo a una sessantenne che si innamora di un giovane (Giacomo Gianniotti) e si lascia travolgere dalla passione. Perché, oggi più che mai, «c’è bisogno di raccontare un interregno femminile che esiste, ma che spesso è stato dimenticato».

Abbiamo incontrato Guerritore all’ultimo Bif&st (Bari International Fil-

m&Tv Festival), dove è stata protagonista anche di un appuntamento con il pubblico. Appena salita sul palco del Teatro Petruzzelli, accolta dall’affetto degli spettatori, l’attrice ha ricordato Anna Magnani. «Dopo aver vinto l’Oscar, disse alla sua agente: “Torno in teatro, torno a volare”. Gli attori aprono le braccia e lasciano che l’applauso del pubblico li sollevi. Possono volare, come sto facendo io ora».

Non è un caso che Guerritore abbia citato una frase di Magnani. Per lei Nannarella non è stata solo una delle più grandi interpreti del cinema italiano. Negli ultimi tre anni ha fatto parte della sua vita. Nel 2022, infatti, Guerritore, insieme ad Andrea Purgatori, ha iniziato a scrivere la sua opera prima, che la vedrà regista e protagonista, dal titolo (per ora) Magnani-L’alba del giorno dopo. Un film biografico, le cui riprese sono iniziate a fine aprile, che ripercorre la vita e la carriera dell’attrice scomparsa oltre cinquant’anni fa, partendo dalla sera del 1956 in cui stava aspettando la telefonata degli Oscar (che poi conquistò per La rosa tatuata) e fu lasciata da Roberto Rossellini. Guerritore, è diverso tempo che sta lavorando a questo film su Magnani.

Gli ultimi tre anni sono stati complicati. Nonostante io sia nota e abbia una certa esperienza, non è stato semplice trovare dei produttori che credessero in questa storia. Come mai?

Per alcuni sembrava non avesse la forza di coinvolgere il pubblico. Siamo anche in un momento in cui si danno più possibilità alle giovani di esordire dietro la macchina da presa, e io non sono più giovane. Comunque non ho mai smesso di credere che un giorno avrei realizzato questo progetto. Mi avevano chiesto di fare una serie, ma io volevo realizzare un film per il cinema. Ha deciso di partire da un momento delicato e difficile della car-

riera e della vita di Nannarella. A un certo punto, Anna Magnani è stata messa da parte. Il suo viso non corrispondeva più al cinema americano. Era lontana da quell’immaginario che da un determinato momento in poi hanno incarnato, invece, altre attrici come Ingrid Bergman. Nel 1956 Magnani non ha più un uomo accanto a sé, è sola, ferita, nessuno la chiama più. In questo film racconto l’avventura di Anna, mostrando anche la sua disperazione,

bile. Il pubblico, non solo femminile, sentiva il bisogno di seguire un racconto reale, senza falsità, su una donna che supera la mezza età ma che prova ancora una gamma ampia di emozioni e sentimenti. Quando Inganno (remake dell’inglese Gold Digger) è arrivato in America, lì ci hanno visto un grande potenziale. È diventata la serie italiana più vista al mondo su Netflix ed è possibile che sarà realizzata anche una seconda stagione.

C’è un universo femminile di cui spesso il cinema e la televisione si è dimenticato, ma che invece va raccontato.

le difficoltà che ha provato, l’assenza d’amore, il tradimento. Si è mai sentita messa da parte nel suo lavoro?

Ho avuto sempre grandi possibilità nella mia carriera. Anche ultimamente ho fatto pellicole importanti e spettacoli di successo. Però, nel caso del film su Magnani, ho provato sicuramente molta frustrazione. È reduce dal successo mondiale di Inganno. Secondo lei, perché ha riscontrato un così grande favore del pubblico?

Il successo è stato davvero imprevedi-

Bisogna tornare a dare una verità, un corpo, una carnalità alle donne, anche quando si superano i cinquant’anni. Troppe volte siamo passate dall’essere madri all’essere nonne. Eppure anche le donne, in qualsiasi momento della loro vita, possono essere protagoniste di avventure umane e reali. Non possiamo essere legate solo a un immaginario di giovinezza e bellezza. Il compito di noi attrici è quello di dare una forza passionale e interpretativa ai personaggi maturi, con profondità e complessità. Ed è quello che sto cercando di continuare a fare nel mio lavoro.

A sinistra, Monica Guerritore al Bif&st 2025 Sopra, con Giacomo Gianniotti in una scena della serie Tv Inganno

A MILANO IL PROGETTO SOLIDALE CHE SFIDA

LA DEMENZA

Raffaele Benaglio, responsabile Teseo, spiega l’iniziativa: «L’idea, oltre a riunire idealmente i settori sanitario e sociosanitario, è quella di iniziare a sensibilizzare gli operatori che lavorano nei servizi specialistici»

di Ilaria Romano

Affrontare una diagnosi di demenza è ancora oggi un percorso che può fare paura, a chi la riceve e a chi gli è accanto. Per dare indicazioni chiare e soprattutto accompagnare le famiglie in un percorso di conoscenza della patologia e dei servizi a disposizione, è nato a Milano il Progetto Teseo, dalla collaborazione tra la capofila Fondazione Don Gnocchi, Caritas Ambrosiana, Sociosfera Onlus, Associazione per la Ricerca Sociale e Airalzh Onlus. «Oggi, gli over 80 con demenza sono il

20% - spiega a 50&Più Raffaele Benaglio, responsabile del Progetto Teseo - e se contestualizziamo il dato alla realtà di Milano città metropolitana, su 253mila cittadini con più di 80 anni, il 20% vuol dire quasi 50mila. I servizi sociosanitari esistono e c’è la possibilità di prendere in carico queste persone, la stessa Fondazione Don Gnocchi è un ente accreditato; ma il problema diventa sempre più grande perché il numero degli anziani aumenta, il caregiver non sempre è presente e quando c’è non è detto che sia formato per

occuparsi di persone con demenza». Il Progetto Teseo è stato pensato proprio con l’obiettivo di fare da ponte fra i servizi, che siano sociosanitari o sociali, e per mettere a disposizione un punto di incontro e di ascolto dei bisogni delle famiglie. Ce ne parla Emanuele Tomasini, Clinical Manager del Progetto Teseo. «Teseo è uno dei progetti vincitori del bando della Fondazione Cariplo Welfare in ageing e ha sviluppato una sorta di centrale operativa che raccoglie sistematicamente i servizi del territorio che ci sono e funzionano, ma purtroppo non si parlano». Cosa significa una diagnosi di demenza per un paziente e la sua famiglia?

La diagnosi di demenza è un evento traumatico perché destinato a cambiare gli equilibri familiari, quelli psichici e comportamentali. Quindi capire la storia di vita dei pazienti e delle loro famiglie ci permette di indirizzarli secondo gli standard di cura ma accompagnandoli nel servizio più idoneo per loro. C’è bisogno di un lavoro sulla segue a pagina 24

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domanda, per conquistare la fiducia delle persone per poi attivare i servizi. Chi sono gli specialisti che operano nell’ambito del Progetto? In Teseo operano principalmente psicologi, psicoterapeuti, assistenti sociali e neuropsicologi che hanno il vantaggio di leggere la stessa domanda da prospettive differenti, cogliendone le peculiarità ed evitando che ognuno si occupi solo della propria parte. Cerchiamo di ricomporre un quadro di bisogni composito. L’idea, oltre a riunire idealmente i settori sanitario e sociosanitario, è stata quella di iniziare ad attivare e sensibilizzare gli operatori che lavorano nei servizi specialistici. Siamo partiti all’interno del nostro partenariato facendo comunità fra noi rispetto alle nostre esperienze con le persone con demenza. Poi abbiamo fatto sensibilizzazione fra gli operatori che lavorano nei nostri servizi, abbiamo messo in comune la nostra competenza, tenuto degli incontri su come aprirsi ai diversi bisogni e su quali servizi potessero essere più opportuni in determinati casi. Tramite Caritas Ambrosiana e i centri di ascolto abbiamo creato delle piccole comunità proprio per sensibilizzare sul tema delle demenze ed educare all’attenzione per quei campanelli d’allarme che possono emergere in una rete di comunità, anche fra vicini di casa. Due guide dedicate a pazienti e caregiver offrono informazioni e consigli pratici: perché è importante dare strumenti a entrambi i soggetti?

leggi che dicono che ai primi segni bisognerebbe parlare con la persona per capire come voglia essere trattata, ma in realtà difficilmente questa è la prassi nel sistema italiano. Li escludiamo dalle decisioni relative al sistema di cura ma poi li obblighiamo a starci. D’altra parte anche il caregiver si sente isolato, perché se anziano perde parte della sua quotidianità, se è giovane ha da mantenere non solo il suo ruolo lavorativo ma anche le necessità della propria famiglia. Teseo, in questi tre

dra Mosca, psicoterapeuta di Airalzh, che le ha adattate al contesto italiano e milanese in particolare. Sono due perché crediamo che anche le persone con decadimento cognitivo iniziale, quando i primi disturbi compaiono, abbiano bisogno di avere uno strumento per fare ricognizione su quello che potrà succedere, che permetta di contenere il senso di angoscia del non sapere cosa accadrà.

Come si attiva Teseo?

«L’obiettivo è fare da ponte fra i servizi e mettere a disposizione un punto d’incontro e di ascolto dei bisogni delle famiglie»

Per scelta non abbiamo attivato una linea telefonica perché altre associazioni sul territorio che si occupano di demenza e anche il Comune hanno delle linee dedicate. Abbiamo una rete interna di segnalazioni, grazie al partenariato, e poi il sito internet che dà modo alla persona di sintetizzare meglio di una chiamata la sua problematica. La segreteria prende poi in carico la domanda e viene fissato un primo colloquio con l’assistente sociale per decidere quale sia il profilo più adatto alla famiglia. Il filtro di Teseo ci ha permesso anche di discriminare quali potevano essere sintomatologie neuropsicologiche da prendere in carico e sintomatologie psicologiche causate da stati d’ansia, depressione o stress molto elevato, in cui il profilo cognitivo può mimare alcuni deficit che possono far pensare ad altro.

Le persone con demenza vivono a qualsiasi stadio il fatto di non essere più presi in considerazione. Ci sono

anni, ha cercato di rispondere al senso di solitudine. Ci siamo accorti che anche laddove la risposta non c’era, la possibilità di essere ascoltati ha permesso di superare la situazione. Da qui la creazione delle due guide che sono la traduzione di quelle dell’Alzheimer Society britannica, curate da Alessan-

Qual è il prossimo obiettivo? Dare vita a una comunità “dementia friendly”, con interi quartieri dove lavorare per creare una sinergia affinché la persona riprenda la socialità che non trova nel servizio specialistico. Per lavorare non solo dal punto di vista medico e sociale, ma anche ambientale. Una comunità che cura, appunto.

Sociale

Promozione della salute, contrasto all’ageismo e partecipazione attiva sono alcune delle sfide dettate dalla transizione demografica che Cagliari ha scelto di affrontare, rispondendo a precise esigenze della popolazione. La Città metropolitana, situata nel cuore Sardegna, ha così strutturato il primo Piano per l’invecchiamento attivo, una piccola rivoluzione che mette al centro la tutela dei diritti delle persone anziane e quelli delle loro famiglie. L’iniziativa, inoltre, nasce in una delle regioni più longeve d’Italia: la Sardegna, infatti, è considerata una delle cinque ‘blue zones’ al mondo, aree in cui la popolazione vive più a lungo. «Il Piano per l’invecchiamento attivo riguarda l’intera Città Metropolitana e coinvolge la popolazione adulta e anziana. Le cure preventive, le iniziative di prevenzione e di inclusione, lo sport e la vita attiva, le politiche sociali e di istruzione sono tutti elementi di miglioramento delle condizioni di vita», ha detto Massimo Zedda, sindaco di Cagliari.

«I temi della denatalità e della popolazione anziana ci impongono politiche attive, allo stesso tempo è necessario attrarre giovani e talenti. Il rischio è che non ci sia una popolazione in età da lavoro sufficiente a pagare le pensioni alla popolazione anziana, per questo continuano a essere incomprensibili i tagli del governo ai comuni», ha aggiunto il primo cittadino.

A raccontare nel dettaglio il Piano è Isabella Ligia, ingegnere responsabile del Servizio Pianificazione Strategica per la Città Metropolitana di Cagliari, coordinatrice dell’Ufficio Pnrr, dell’Ufficio Vas e del Laboratorio Metropolitano di Innovazione Labmet. In quale contesto nasce il Piano? Il percorso per la definizione del Piano è iniziato da una stretta collabora-

CAGLIARI PIONIERA

DELL’INVECCHIAMENTO ATTIVO IL PIANO PER FAVORIRE L’INCLUSIONE

Massimo Zedda, sindaco: «Sport, vita attiva, cure politiche sociali e di istruzione sono elementi di miglioramento delle condizioni di vita»

di Alessandra Espis

zione all’interno di un gruppo di lavoro composto da esperti, amministratori locali della Città Metropolitana, rappresentanti della società civile e portatori di interesse dell’età anziana. Il lavoro preparatorio ha messo in luce come le principali sfide legate al-

la transizione demografica offrano in realtà l’opportunità di rivedere il paradigma stesso dell’invecchiamento e come questo possa essere considerato un investimento per tutte le generazioni. Ci siamo quindi interrogati sul come attuare delle azioni che potesse-

Massimo Zedda

ro promuovere e generare politiche e iniziative capaci di valorizzare il ruolo dei cittadini metropolitani, garantendo loro benessere, autonomia e partecipazione attiva. Attraverso una mappatura delle opportunità già esistenti ci si è resi conto che l’invecchiamento è, tra tanti temi, un anello fondamentale per la società, un tema trasversale che non riguarda solo gli anziani ma tutta la comunità.

Quali sono gli obiettivi?

Abbiamo scelto sei assi di azione su cui lavorare. Il primo è stato pensato per la promozione della salute: si intende quindi rafforzare il benessere psicofisico e sociale delle persone lungo tutto l’arco della vita, puntando su stili di vita sani e un ambiente sociale coeso. Contrastare l’ageismo e promuovere l’empowerment sono

i concetti alla base del secondo asse che si pone l’obiettivo di combattere le discriminazioni legate all’età. Il terzo asse si concentra sulle relazioni intergenerazionali e sul contrasto all’isolamento sociale. La partecipazione attiva, civica e sociale è il principio chiave del quarto asse, che si concretizza proprio nel favorire un senso di appartenenza alla comunità, incentivando l’attività sociale e la partecipazione alla vita collettiva. Non poteva mancare un focus all’adeguamento degli spazi pubblici e abitativi. Il quinto asse è quindi orientato ad azioni destinate a un lavoro costante per creare ambienti urbani inclusivi e che promuovano la mobilità. L’ultimo asse è dedicato all’apprendimento continuo e quindi alla promozione di programmi che

permettano agli anziani di sviluppare e trasmettere competenze. Qual è il livello di coinvolgimento degli attori sociali?

Il coinvolgimento attivo dei cittadini, in particolare degli anziani, è sicuramente un aspetto fondamentale. Il Piano è stato costruito attraverso un processo di indagine conoscitiva e partecipativa, in cui sono stati ascoltati i bisogni e le aspettative dei cittadini. Proprio il loro contributo ha messo in luce la necessità e le potenzialità di un Piano strategico. Come vengono garantiti accessibilità e inclusione?

Per esser sicuri che il Piano sia davvero una via maestra per l’invecchiamento attivo, oggi come in futuro, è importante che le opportunità offerte dalla Città Metropolitana siano a disposizione di tutti gli anziani, siano essi disabili o con risorse limitate. Per questo sono state pensate delle misure trasversali che, ad esempio, promuovono la salute per tutte le età, assicurano opportunità e sostegno per la costruzione di un “progetto di vita” individuale che tenga conto delle realistiche condizioni dell’anzianità. Inoltre, avere uno sguardo inclusivo ci permette di contrastare l’isolamento.

Quali prospettive future?

Il Piano per l’invecchiamento attivo è stato ideato proprio con uno sguardo al futuro. L’obiettivo che ci siamo posti non è solo quello di rendere la città a misura di ogni età, ma di introdurre un cambio di paradigma in cui l’invecchiamento viene visto e vissuto come un investimento collettivo, un impegno da oggi e per sempre. Un obiettivo secondario, inoltre, è quello di aderire al network Unesco delle Lifelong Learning Cities, permettendo alla città di promuovere progetti innovativi e di scambiare buone pratiche a livello internazionale.

Isabella Ligia

L’ARTE DELL’INTRECCIO PASSA DA CERISANO

LA SCOMMESSA DI ANDREA FA RIVIVERE LE TRADIZIONI

Il giovane cosentino, sulle orme di nonno Luigi riporta in vita il mestiere di cestaio tra le vie di uno dei piccoli borghi calabresi che soffre lo spopolamento. In cantiere anche l’apertura di un museo

di Claudia Benassai

«A

nno dopo anno, mi convinco sempre di più che al Sud, considerato fanalino di coda, serva questo: dare vigore al verbo fare anche per sfatare stereotipi che ci accompagnano da sempre. Le tradizioni sono la nostra identità, senza la nostra storia, senza la conoscenza del nostro passato non possiamo avere un futuro. Per questo, le tradizioni non solo vanno recuperate ma soprattutto tramandate alle future generazioni affinché si mantenga vivo questo legame indissolubile con i nostri antenati e la nostra terra». Andrea Perrotta, classe 1988, ha trasformato la passione per l’artigianato in una missione: preservare e far rivivere le arti calabresi che altrimenti si sarebbero perse per sempre. Mentore speciale? Nonno Luigi, l’ultimo depositario dell’arte della cesteria, che probabilmente oggi avrebbe sorriso sapendo che anche grazie a lui sorgerà un museo, dove il passato rivivrà nelle immagini ingiallite e in bianco e nero. Teatro della vicenda? Cerisano, un piccolo borgo arroccato sull’appennino costiero, a dieci chilometri da Cosenza, in Calabria, che, come tante piccole realtà, soffre lo spopolamento. Un pugno allo stomaco per tanti, poiché da sempre è polo culturale e centro attrattivo dell’interland cosentino: «Sarà banale e scontato ma per me - dice in premessa Andrea - che ci sono nato, cresciuto e vivo questa realtà, è il paese più bello che esista dove valori come l’accoglienza, la solidarietà, la propensione verso il prossimo sono forti e radicati. In questo mondo, basato sull’individualismo dove prevale l’egoismo, tutto questo non è scontato». E anche le reminiscenze di Andrea bambino, che appaiono come flashback, sono musica per il cuore: «I ricordi - racconta - che ho di mio nonno sono legati alla fanciullezza, forse gli anni migliori perché è in quel momento che la vita ci plasma e ci rende individui. Le cose che più mi hanno colpito

di lui, e che cerco di fare mie, sono la calma e la pacatezza con cui affrontava tutte le vicissitudini. Da lui ho appreso molto, ma tra i tanti insegnamenti quello che mi ha profondamente segnato è che la vera ricchezza non si basa sui “denari”, sui beni materiali, ma su quello che si lascia nel cuore della gente». Il protagonista di questa storia ha sempre aiutato il nonno che, ormai in là con gli anni, aveva difficoltà nel raccogliere e preparare il materiale d’intreccio ma il suo impegno si fermava lì, Andrea non ha avuto mai la possibilità di apprendere questa tecnica tradizionale fatta di pazienza e lentezza. Quando il nonno, motore di tutto, è venuto a mancare si è reso conto dell’immenso patrimonio culturale svanito con lui, e ha deciso di riprendere da autodidatta, studiando i lavori avuti in eredità da nonno Luigi. Non è stato semplice. Da sempre l’intreccio è stato pensato e tramandato per essere realizzato con mano destra e anche i mancini in passato dovevano intrecciare a man destra.

«Io ho imparato - precisa - dapprima ad intrecciare con la destra poi però ho deciso di capovolgere la tecnica riuscendo così ad intrecciare con la mano sinistra. E mi piace ricordare anche un aneddoto. Nell’ultima estate trascorsa con mio nonno, mentre preparavamo il materiale necessario, mi aveva dato delle talee di salice chiedendomi di piantarle nell’orto. Davanti alla mia perplessità, quasi come se sapesse cosa aveva in serbo il destino per me, mi ha detto; “tu vacci chianta, ca pue ti ci truavi…” (tu valle a piantare, che poi al momento opportuno le troverai…). Nel 2012 mentre ripulivo il terreno dai rovi uscirono fuori queste piante di salice che potai, e l’anno successivo raccolsi quelle verghe che mi fecero appassionare e scoprire la cesteria». Il giovane artigiano ha poi recuperato le tradizioni di Cerisano, ha intrapreso gli studi umanistici e si è laureato in storia all’Università della Calabria: «La laurea

«Senza la nostra storia, senza la conoscenza del nostro passato non possiamo avere un futuro»

è stata indispensabile per ricercare e studiare con metodo la tradizione. Dopo aver appreso le tecniche di cestaio, ho deciso di recuperare le tradizioni delle varie zone della Calabria Citeriore girando per i vari borghi alla ricerca degli ultimi cestai presenti». Storia recente è invece ciò che nascerà: un laboratorio con una sala didattica e un piccolo museo per tramandare questa tradizione grazie anche all’utilizzo di fondi del Pnrr: «Questo piano - conclude - è linfa per il territorio. Per fortuna, il nostro sindaco, Lucio Di Gioia, è mol-

to attento al tema dello spopolamento e sta lottando per evitarlo grazie alla realizzazione di progetti che puntano a una crescita turistica del borgo. Tra le tante cose Cerisano è attraversato dalla “via dell’eremita” del Cammino di San Francesco di Paola, e questi progetti non possono che giovare e incentivare i pellegrini a sostare e vivere esperienze uniche nel nostro paese. E io sulle orme di nonno sono contento di fare la mia piccola parte». Perché sono le microstorie, aggiungiamo noi, a costruire la storia grande.

FEBBRE DEL GIOCO IN ITALIA

ADOLESCENTI E ANZIANE PIÙ A RISCHIO DIPENDENZA

Lotto, Gratta e Vinci, Bingo o scommesse. L’offerta di gioco, anche online, è ampia e a portata di mano, sia sul cellulare che a poca distanza da casa. Giochi veloci, facilmente accessibili, che possono diventare un rischio, e una dipendenza, per chi vive condizioni di fragilità: nel 39% dei casi si gioca per curiosità e come alternativa a stati di noia, per il 21% dei giocatori è l’occasione per “dimenticare i problemi” e sentirsi meno soli, e per un 12% il

Denise Amerini responsabile dei coordinamenti regionali e territoriali della campagna di sensibilizzazione: «Davanti alla patologia è difficile che una persona ammetta di essere un giocatore d’azzardo»

gioco rappresenta la “speranza di vincere denaro” (dati: Nomisma 2021). È ai giocatori che si rivolgono alcuni recenti spot pubblicitari, delle aziende che forniscono giochi autorizzati dall’Aams, Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato, con l’invito: “Gioca responsabile”. Una pubblicità che arriva in un momento di cambiamenti e dibattiti per l’approvazione di una nuova legge che regoli il gioco d’azzardo partendo, come proposto dal governo, dall’abolizione

del divieto di pubblicità del gioco legale, che il decreto Balduzzi, noto come decreto Dignità, nel 2012 aveva imposto. «Noi, come campagna “Mettiamoci in Gioco”, abbiamo insistito perché ci fosse il divieto completo di pubblicità del gioco d’azzardo, anche perché è ovvio che pubblicizzare qualcosa significa spingere le persone ad acquistare quella cosa, rendendola anche gradevole - spiega Denise Amerini, responsabile dei coordinamenti regionali e territoriali di “Mettiamoci in Gioco”, una rete che dal 2012 coinvolge fondazioni antiusura e associazioni laiche e cattoliche della società civile, tra cui Libera -. Nel gioco d’azzardo non si dice mai “può nuocere alla salute”. Si fa pubblicità senza mai usare il termine ‘azzardo’. Si parla sempre di gioco legale, facendo passare il messaggio che se è legale va bene, è ammesso. Ma anche il gioco legale è a rischio patologia, perché i meccanismi del gioco creano la dipendenza. Si parla di vincita in denaro, dando l’idea che il gioco può modificare la condizione economica di una persona. Alla fine si fa riferimento al gioco responsabile, però, a nostro parere, così si butta tutta la responsabilità sul singolo individuo, chiedendogli di limitarsi e sospendere il gioco. Ma quando ormai si è sviluppata una patologia da dipendenza, è difficile che una persona ammetta di essere un giocatore d’azzardo. Spesso le persone devono toccare il fondo prima di riconoscere di avere sviluppato questa patologia». Una dipendenza che è trasversale, per età e genere, ma che inizia a coinvolgere sempre di più i minori. I ragazzi e le ragazze tra i 14 e i 17 anni considerati problematici nel rapporto con il gioco sono circa 90mila, secondo una recente ricerca dell’Istituto Superiore di Sanità, e quelli fragili a rischio 130mila. Giovanissimi che vanno tu-

telati dai rischi della dipendenza sia da gioco online che da gioco offline, in bar, tabacchi e centri scommesse. Ragazze e ragazzi che nel 4% dei casi giocano ogni giorno, e sui quali manca il necessario controllo. Sempre secondo la ricerca dell’Iss, ai più giovani i documenti vengono richiesti solo 2 volte su 10.

Sui giovani e sugli adulti a rischio diventa fondamentale anche la distanza dai luoghi di gioco. «Da anni chiediamo misure come i distanziometri. Sappiamo che da sola è una misura parziale, ma se una persona che non ha sviluppato la patologia ed è a rischio non trova un’offerta smisurata dovunque, forse ha meno stimoli a giocare», precisa Denise Amerini. Una dipendenza che coinvolge sia le donne che gli uomini, ma che vede più esposte le donne, soprattutto anziane. «Un’alta percentuale di donne anziane sole vanno nelle sale slot anche perché così socializzano con altre donne anziane. Ma, di fatto, in una sala slot il giocatore è solo. La macchina lo ipnotizza con suoni e colori studiati per spingere a giocare sempre di piùaggiunge Amerini -. Bisogna anche distinguere tra gioco tradizionale e gioco d’azzardo: il primo è caratterizzato

«Serve una legge quadro nazionale che tuteli la salute delle persone e stabilisca limiti e distanze affinché l’offerta non sia continua»

dalla socialità, nell’azzardo la persona è sola; il gioco tradizionale inoltre ha a che fare con le capacità del giocatore, l’azzardo è casualità».

In Italia, dove si registra la percentuale più alta d’Europa di adulti con comportamenti di gioco a rischio azzardo, manca una legge che regoli l’offerta di gioco in tutte le sue sfaccettature. «Serve una legge quadro nazionale che parta dalla tutela della salute delle persone e stabilisca dei limiti, e delle distanze, perché l’offerta non può essere h24 - aggiunge Denise Amerini, con fermezza -. Serve confermare il divieto di pubblicità, occorre l’accesso completo ai dati, necessario alle amministrazioni locali per capire il proprio territorio. E chiediamo la ricostruzione dell’osservatorio per il contrasto al gioco d’azzardo, presso il ministero della Salute». E, concludendo, chiosa: «Sono stanca di sentir dire che senza i proventi dell’azzardo non si chiudono i bilanci dello Stato. Nessuno quantifica i costi sanitari e sociali. Si tratta di soldi sottratti all’economia reale: chi spende tutto lo stipendio o la pensione nell’azzardo non li spende al supermercato, in abbigliamento o nella cultura».

Denise Amerini

«La medicina estetica va trattata come qualsiasi altra specialità medica. Oggi, purtroppo, molti medici non hanno una preparazione adeguata. Se vai da un cardiologo, non gli chiedi un betabloccante solo perché un amico lo assume e si trova bene: lo stesso principio vale per la medicina estetica». Lo ripete come un mantra Emanuele Bartoletti, medico e presi dente della Società Italiana Medicina Estetica (Sime) e, da oltre 15 anni, re sponsabile del Servizio Ambulatoriale di Medicina Estetica per il Benessere Psicofisico nella Patologia, all’Ospe dale “Isola Tiberina-Gemelli Isola” di Roma. Il servizio è un’eccellenza non solo italiana, ma europea. Vi pre stano servizio quattro cosmetolo ghe e otto medici e, ad oggi, ha erogato circa 800mila prestazioni tra prime visite e terapie.

Negli ultimi anni abbiamo assistito a un boom della medicina este tica. Secondo lei, a cosa si deve questo incremento e quali sono i trattamenti più richiesti oggi? Il picco delle richieste l’abbiamo avuto, almeno in ospedale, nel 2010, poi si è stabilizzato fino agli anni del Covid per riprendere con un’accelerazione netta in questi ultimi anni. I social media hanno contribuito a far diventare la medicina estetica una moda, con tutte le conseguenze del caso. Ma noi sappiamo che la medicina non può essere una moda. Ci sono tante ragazzine adolescenti che vanno a rifarsi le labbra o il ritocco al naso senza averne bisogno, anzi, spesso peggiorandosi; poi mettono la foto sui social e tante loro amiche non si sentono di conseguenza adeguate se non fanno la stessa cosa. È un mare montante che ci sta preoccupando molto. La cosa che ci allarma di più è che purtroppo ci sono medici che danno seguito alle loro richieste.

«LA MEDICINA NON PUÒ ESSERE UNA MODA »

Emanuele Bartoletti, presidente della Società Italiana Medicina Estetica, racconta il boom delle richieste di interventi, le conseguenze di quelli fatti male e punta il dito contro i social

Chissà quante ne vede. Sì, di tutti i colori. Ma nel nostro centro ci atteniamo a dei principi etici e ci rifiutiamo di fare certi interventi. Pensi che ci sono madri, abituate a sottoporsi

a trattamenti estetici, che portano anche le figlie minorenni, o quantomeno adolescenti, chiedendo ‘un ritocchino’ a naso o labbra. La cosa assurda è che quando dico alle ragazze che non ne

hanno bisogno, che sono bellissime così - hanno sedici anni, santo cielo! -, loro si rilassano e cambiano espressione, come se finalmente qualcuno le vedesse davvero. Spesso queste ragazze sono spinte dalle madri, quasi montate: sono vittime. Ecco perché è fondamentale incontrare medici con un forte senso etico, non semplici ‘venditori’. Chi accetta di fare certi interventi a ragazze così giovani senza porsi domande, non può essere chiamato medico: è un venditore, punto. Sono frequenti le complicanze e i problemi dopo un intervento di medicina estetica ?

Purtroppo sì, se chi li fa non è un medico preparato. A un certo punto ci siamo accorti che al Pronto Soccorso dell’ospedale, ora Gemelli Isola, arrivavano con frequenza pazienti con problemi

gravi, come ustioni da laser o da radiofrequenza, oppure con danni vascolari da filler, ma anche meno gravi sempre legati a terapie riuscite male. Nel 2009 abbiamo deciso di aprire, nel nostro Centro di medicina estetica, un servizio ambulatoriale per gestire queste complicanze. Attualmente arrivano circa 10 casi a settimana: ragazze giovanissime rovinate da filler fatti male, ma anche persone sui 60, anche 70 anni, che magari si sono sottoposte a filler permanenti 20 anni fa e che improvvisamente hanno problemi di gonfiori e di edemi. Oppure, ancora peggiovista la facilità degli acquisti online -, persone si iniettano filler da sole, magari seguendo dei tutorial trovati su internet. È estremamente pericoloso: vediamo spesso casi di persone che si iniettano acido ialuronico nelle labbra

In apertura, Emanuele Bartoletti

A sinistra, durante il 45° congresso della Società Italiana di Medicina Estetica

e sviluppano complicazioni vascolari. Se intervengono entro le prime 24-48 ore, possiamo ancora fare qualcosa per risolvere il problema. Ma se arrivano troppo tardi, il rischio è che resti una cicatrice permanente.

Può dare qualche consiglio a chi ha intenzione di fare trattamenti di medicina estetica, come orientarsi e come scegliere il professionista a cui affidarsi?

Bisogna diffidare dei medici che accontentano le pazienti senza un confronto approfondito o che non fanno un check-up di medicina estetica, una visita con una serie di valutazioni che permettono di inquadrare il paziente e soprattutto di fare una diagnosi, perché non esiste una disciplina medica che non preveda una diagnosi prima di dare una terapia. Insomma, non basta essere laureato in Medicina per esercitare questa specifica professione. Noi medici estetici, a differenza di medici che “fanno” medicina estetica, dopo la laurea in Medicina e Chirurgia abbiamo intrapreso un percorso di formazione strutturato ad hoc della durata di 4 anni. Pensi come posso sentirmi oggi di fronte al fatto che molti medici vengono diplomati ‘iniettori’, avendo fatto un corso magari di 2 giorni presso un’azienda che vende filler. O peggio, ‘non medici’ improvvisati. Ricordo a tutti i pazienti che la medicina estetica deve essere eseguita da laureati in Medicina e Chirurgia che abbiano fatto un percorso specifico. Solo così avranno avuto la possibilità di maturare le competenze specifiche cliniche, etiche e pratiche per esercitare questa professione con sicurezza, per pazienti che potranno avere solo il positivo da questa bellissima disciplina.

Speciale lavoro

OGGI PIÙ DI TRE MILIONI DI LAVORATORI SONO POVERI

Il lavoro non basta a scongiurare la povertà, ma laddove il lavoro manca, è più facile che la povertà avanzi: per questo, garantire l’occupazione è fondamentale per ridurre i numeri - altissimi - della povertà assoluta nel nostro paese. Numeri che ha recentemente evidenziato Istat nel rapporto Condizioni di vita e reddito delle famiglie, pubblicato alla fine di marzo. Nel 2024, il 23,1% della popolazione italiana (circa 13,5 milioni di persone) era a rischio di povertà o esclusione sociale. Una percentuale molto alta, soprattutto se letta accanto a un altro dato, rivelato sempre da Istat: nel 2024, in Italia erano in povertà assoluta circa 5,7 milioni di persone, pari al

Antonio Russo, portavoce di Alleanza contro la povertà in Italia, spiega perché le misure di accompagnamento al lavoro sono destinate a fallire e quale impegno dovrebbero assumere le istituzioni

9,7% della popolazione residente. C’è un altro dato, che colpisce particolarmente, soprattutto a Maggio, quando ricorre la Festa del Lavoro: «Oggi, nel nostro paese, oltre 3 milioni di lavoratori sono poveri», lo mette in luce Antonio Russo, portavoce di Alleanza contro la povertà in Italia. «Appare evidente che nel nostro paese oggi non sia sufficiente lavorare

per avere una vita dignitosa - osserva -. Dobbiamo immaginare e poi mettere in campo politiche di sostegno al reddito, per restituire al lavoro la sua funzione di antidoto contro la povertà, ma soprattutto di strumento per una vita dignitosa».

Le misure di contrasto alla povertà non vanno in questa direzione? Non sempre. Queste misure hanno

finora seguito due differenti filosofie: quella che potremmo chiamare ‘lavorista’ e quella che definirei ‘familista’. Il Reddito di Cittadinanza, per esempio, apparteneva alla prima categoria: individuava, infatti, servizi e figure di accompagnamento al lavoro - i cosiddetti ‘navigator’ - per sostenere gli individui occupabili a rischio di impoverimento. Ed è proprio in questo che il Reddito di Cittadinanza ha drammaticamente fallito: questo sistema di accompagnamento al lavoro non ha funzionato. Dobbiamo però riconoscergli il grande merito di aver salvato dalla povertà, attraverso il sostegno economico, milioni di famiglie, sostenendo una

platea di beneficiari che è almeno il doppio di quella raggiunta oggi dalle attuali misure.

A quale ‘filosofia’ obbediscono le misure vigenti di contrasto alla povertà?

L’attuale Assegno d’Inclusione (Adi) è una misura per così dire ‘familista’, in quanto mira a sostenere le famiglie, più che gli individui, in presenza di componenti con determinati requisiti anagrafici, sanitari o sociali. Insieme all’Adi, va però detto, c’è il Supporto per la Formazione e il lavoro (Sfl), pure previsto dalla legge 85/2023: questa doveva essere la misura di accompagnamento al lavoro, prevedendo un sostegno economico per chi frequenti un corso di formazione ai fini di un inserimento lavorativo. Questa misura non ha funzionato per niente.

Sembra che le misure di accompagnamento al lavoro, nel nostro paese, siano destinate a fallire. Perché?

Perché non basta offrire occasioni di formazione o riqualificazione: occorre innanzitutto verificare che sul territorio esistano sbocchi. E se non esistono, bisogna crearli. E non basta neanche che il lavoro ci sia, è essenziale che sia dignitoso. Questo significa che non deve essere sottopagato, non deve imporre orari massacranti, non deve costringere a spostamenti insostenibili, non deve tollerare alcuna dinamica di sfruttamento. E, naturalmente, deve garantire condizioni di salute e sicurezza. In un contesto come quello che stiamo vivendo, il rischio è che tanti accettino condizioni inaccettabili pur di avere la sensazione di avere un lavoro e una dignità reddituale. Si riferisce soltanto ai giovani? Assolutamente no, anzi chi perde il lavoro dopo i 50 anni rischia di restarne fuori per sempre e, consapevole di questo, si costringe spesso ad

adattarsi al lavoro e alle condizioni che trova. La riconversione e la riqualificazione sono sempre molto complicate, anche per i profili più alti. All’indomani delle celebrazioni della Festa del Lavoro, quali impegni dovrebbero assumersi le istituzioni, per garantire lavoro e dignità a tutti, giovani e meno giovani?

Sicuramente un piano nazionale di contrasto alla povertà che preveda l’attuazione di misure straordinarie, oltre alla rivisitazione e al miglioramento degli strumenti ordinari. Nel contesto di crisi che viviamo, la povertà è in costante aumento ed è ormai un fenomeno strutturale, che come tale va affrontato. Per quanto riguarda in particolare il lavoro, bisogna assicurare salari adeguati e condizioni di lavoro dignitose. Occorre poi investire nella formazione e nella riqualificazione. E un’attenzione particolare verso chi perde il lavoro dopo i 50 anni: gli incentivi dovrebbero essere destinati anche alle aziende che assumano chi, non più giovane, ha perso il lavoro e rischia di non averne più uno.

Antonio Russo

Speciale lavoro

AL LAVORO, MA ANCORA CON I CAPELLI BIANCHI

Cresce la quota di lavoratori senior nel settore autonomo - soprattutto tra imprenditori e artigiani - e in quello dipendente mentre diminuiscono le fasce d’età più giovani

Secondo le ultime stime di Bankitalia, nel 2025, i lavoratori italiani sono scesi al di sotto dei 30 milioni. Anche il comparto dell’occupazione sta invecchiando. Stiamo lentamente tornando a livelli pre-boom, con addirittura un milione di lavoratori in meno rispetto al 1950. Sotto i nostri occhi, quindi, gli effetti di una transizione demografica che si fa sentire anche sul mondo del lavoro. Perché chi resta, sempre più spesso, ha i capelli bianchi. Soprattutto nel settore autonomo.

Il processo di “senilizzazione del lavoro” in Italia procede serrato e, tra denatalità e invecchiamento della popolazione, è più veloce del previsto. Un’indagine condotta dalla Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa (Cna) ha analizzato l’impatto prodotto da questa situazione. Nel mondo del lavoro dipendente come in quello autonomo, infatti, sono sempre di più i senior che resistono.

I titolari e i soci di imprese attive che contano fra 50 e 69 anni rappresentano oggi il 46,4% del totale, erano appena il 36% dieci anni fa. Nello stesso periodo la quota di over 70 è più che raddoppiata, passando dall’8,7 al 17,6%. Quindi, almeno un terzo degli imprenditori ancora in attività è in età da pensione. Anche l’imprenditoria artigiana ha subito un ridimensionamento anagrafico. In dieci anni si è verificata una diminuzione del 17,9% degli iscritti Inps nella gestione speciale, con un drastico calo tra i giovani under 30 (-47,5%) e un decremento più contenuto nella fascia 40-59 anni (-17,1%). Gli artigiani over 59, invece, sono aumentati del 35,1%, portando a un peso maggiore degli anziani rispetto ai giovani.

Tra il 2014 e il 2024 nel settore del lavoro dipendente gli impiegati sono aumentati complessivamente di oltre due milioni. Persino qui però ci sono profonde differenze anagrafiche. La fascia 35-49 anni è calata dal 44,7 al 36,7%

del totale. Il che vuol dire oltre un milione di persone in meno. Così come è diminuita la fascia 25-34 anni. Sono aumentate invece quelle 15-24 anni (+0,5%), 65-89 (+1,3%) e soprattutto 50-64 (+6,8%).

Ad innalzare l’età di quanti si recano in azienda o nel proprio laboratorio artigiano, così come dei lavoratori dipendenti, ci sta pensando il progressivo invecchiamento della popolazione. Va anche detto però che ci sono altri fattori. A cominciare proprio da come si invecchia oggi: certamente meglio rispetto alle generazioni passate. Gli anni passano, è vero, ma in maggiore salute. Il che consente di continuare a lavorare con meno disagio, in una situazione in cui è sempre più necessario per via dei cambiamenti nel sistema previdenziale e dell’inflazione sul potere d’acquisto. Spesso chi continua lo fa anche per aiutare figli e nipoti. C’è poi un’altra causa importante: il problema della trasmissione d’impresa. Molti, ormai in età da pensione, si stanno chiedendo “a chi lascio la mia attività?”. È una situazione che spesso li costringe a rimanere al comando. L’unica soluzione se non vogliono veder morire la propria attività imprenditoriale a cui hanno dedicato con passione una parte rilevante della loro esistenza.

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QUANDO LE CATENE

DI MONTAGGIO CAMBIANO L’AUTO LASCIA SPAZIO

AI MEZZI MILITARI

Düsseldorf (Germania) uno stabilimento Rheinmetall produttore di armi e veicoli corazzati

Le auto restano nei piazzali, ma gli arsenali vanno riempiti. L’industria dell’auto e quella della difesa stanno studiando come riconvertire le linee di montaggio: abbandonare le berline e iniziare a costruire mezzi blindati. La crisi automobilistica è evidente. Stellantis ha visto un calo del 7,4% nelle vendite del 2024, con una quota di mercato scesa al 15,5%. In Germania, Volkswagen ha annunciato piani per ridurre la forza lavoro di oltre 35.000 unità, con la minaccia di chiudere due stabilimenti tedeschi. La transizione verso i veicoli elettrici si sta rivelando più costosa del previsto, con una significativa diminuzione delle vendite. A questo si sono aggiunti i dazi imposti dall’amministrazione

Stephan Soldanski segretario dei metalmeccanici di Osnabrück: «Sarebbe miope concentrarsi esclusivamente sull’industria della difesa invece di promuovere attivamente settori economici alternativi e concetti orientati al futuro

di. A marzo 2025, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha presentato il piano “ReArm Europe”, una strategia quinquennale che mira a mobilitare fino a 800 miliardi di euro per rafforzare le capacità difensive dell’Europa (il Parlamento europeo ha bocciato ad aprile l’iter giuridico). L’incremento è alimentato dalle crescenti incertezze geopolitiche e dalla necessità di ampliare le capacità difensive del continente. In questo contesto, Volkswagen sta esplorando la possibilità di riconvertire il suo stabilimento di Osnabrück per la produzione di veicoli militari. Armin Papperger, ceo di Rheinmetall, ha dichiarato che la fabbrica di Osnabrück sarebbe “molto adatta” per la produzione di difesa, sottolineando che di Cosimo Caridi

Trump. Parallelamente, la spesa militare nell’Unione europea è in forte aumento. Nel 2023, gli Stati membri Ue hanno investito 279 miliardi di euro nella difesa. Nel 2024, questa cifra è aumentata a 326 miliar-

«prima di costruire una nuova fabbrica di carri armati in Germania, ovviamente la prenderemo in considerazione». Volkswagen ha confermato che nei prossimi 12-24 mesi verrà fermata la produzione dei T-Roc Cabrio, senza un altro modello si potrebbero iniziare a costruire i nuovi mezzi da consegnare alla Bundeswehr (esercito tedesco) e a tutti gli alleati europei. Tuttavia, questa prospettiva ha suscitato reazioni contrastanti da parte del sindacato IG Metall. Stephan Soldanski, segretario dei metalmeccanici di Osnabrück, ha espresso preoccupazione riguardo a una possibile focalizzazione esclusiva sull’industria della difesa: «Sarebbe miope concentrarsi esclusivamente sull’industria della difesa invece di promuovere attivamente settori economici alternativi e concetti orientati al futuro». Inoltre, IG Metall ha sottolineato l’importanza di mantenere Osnabrück come “sito industriale civile” e ha avvertito che una conversione verso la produzione militare trasformerebbe la città e tutto l’indotto. Queste dichiarazioni riflettono le preoccupazioni del sindacato riguardo all’occupazione e alla sostenibilità a lungo termine del sito, evidenziando la necessità di una strategia che consideri sia le opportunità economiche sia le implicazioni sociali di una tale trasformazione. Ma il matrimonio VW-Rheinmetall non è un

Volkswagen sta esplorando la possibilità di riconvertire il suo stabilimento. Alstom, gigante della manifattura ferroviaria ha annunciato la cessione del suo sito industriale di Görlitz a KNDS, specializzata in veicoli corazzati

caso isolato, anche altre aziende stanno seguendo questa tendenza. Alstom, gigante della manifattura ferroviaria, ha annunciato la cessione del suo sito industriale di Görlitz a KNDS, una joint venture franco-tedesca specializzata in veicoli corazzati. KNDS prevede di produrre componenti per il carro armato Leopard 2, il veicolo da combattimento di fanteria Puma e vari moduli per il veicolo corazzato Boxer. La transizione inizierà nel 2025 e dovrebbe concludersi entro il 2027, con il trasferimento di 350400 dipendenti da Alstom a KNDS. Queste riconversioni sono in parte motivate dalla necessità di ricostituire gli arsenali europei, svuotati dal supporto militare fornito a Kiev. La guerra in Ucraina ha evidenziato carenze nelle capacità di difesa dell’Europa, spingendo i paesi a incrementare la produzione di equipaggiamenti militari. Tuttavia, i sindacati esprimono dubbi su queste trasformazioni. La Fiom-Cgil ha sottolineato che la produzione di un carro armato richiede molti meno operai rispetto alla produzione di automobili, anche con una fabbrica a pieno regime. Il ministro delle

Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha avanzato l’idea di riconvertire anche parte della produzione automobilistica italiana verso il settore della difesa e dell’aerospazio. Urso ha sottolineato le affinità tra le tecnologie civili e militari, evidenziando che componenti come microchip e schede elettroniche possono essere utilizzate sia in veicoli civili che militari. Osservato speciale lo stabilimento di Mirafiori a Torino, uno dei più storici impianti automobilistici italiani, che ha affrontato nel 2024 una significativa riduzione della produzione. Secondo il report della FIM-Cisl, lo scorso anno sono state prodotte solo 25.920 unità, registrando un calo del 70% rispetto alle 85.940 unità del 2023. Attualmente, la produzione principale dello stabilimento è rappresentata dalla Fiat 500 elettrica. Tuttavia, la capacità produttiva di Mirafiori è notevolmente superiore ai volumi attuali. In passato, lo stabilimento ha raggiunto una produzione annua di oltre 463.000 veicoli.

Uno stand di Stellantis, uno dei principali produttori mondiali di automobili
Una fabbrica KNDS, specializzata in veicoli corazzati

QUELL’ATTO RIVOLUZIONARIO CHE SEGNA LA NASCITA

DEL FESTIVAL DI CANNES

Quello di Cannes non è il festival del cinema più antico del mondo. Il primato spetta alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, realizzata per la prima volta nel 1932 e il successo italiano è da subito enorme. Nel 1938, però, le pressioni politiche si fanno pesanti: vincono il tedesco Olympia di Leni Riefenstahl e Luciano Serra pilota di Goffredo Alessandrini, entrambi, al di là delle qualità estetiche, espliciti film di propaganda.

Questo risultato scandalizza molti dei partecipanti, in particolare la delegazione americana (la mostra quell’anno aveva premiato Biancaneve e i sette nani di Disney) e francese. Philippe Erlanger, funzionario del ministero degli Affari Esteri francese, insieme a figure influenti della cultura francese come Jean Zay (ministro dell’Educazione Nazionale e delle Belle Arti) e Henri Langlois (co-fondatore della Cinémathèque Française), propone la creazione di un festival cinematografico alternativo in Francia. L’idea è di creare un evento dove i film potessero essere giudicati esclusivamente per i loro meriti artistici, liberi da qualsiasi influenza politica. La città di Cannes, sulla Costa Azzurra, viene scelta per la sua bellezza, il clima favorevole e l’infrastruttura alberghiera già sviluppata, in grado di ospitare le delegazioni internazionali.

Il primo Festival Internazionale del Film di Cannes viene programmato per il 1° settembre 1939, in un clima di grande entusiasmo, ma - ironia della sorte - proprio quel giorno la Germania invade la Polonia, dando inizio alla Seconda guerra mondiale. La manifestazione viene quindi cancellata dopo la proiezione di un solo film, Il gobbo di Notre Dame di William Dieterle. Dopo la sospensione forzata dovuta al conflitto, il Festival tiene la sua prima vera edizione dal 20 settembre al 5 otto-

A sinistra, Alain Delon al Festival del Cinema di Cannes nel 1961. A destra Brigitte Bardot all’edizione del 1956

bre 1946, rappresentando, per questo, un momento significativo nella rinascita culturale dell’Europa post-bellica. In particolare, la Francia, appena uscita dall’occupazione nazista, vede nella manifestazione un’opportunità per riaffermare il proprio prestigio culturale e celebrare la liberazione. L’edizione inaugurale si svolge al Casino Municipale di Cannes (l’attuale Palais des Festivals sarebbe stato costruito solo anni dopo) con la partecipazione di ventuno paesi, per un totale di quarantaquattro lungometraggi. Un numero considerevole, specialmente considerando le difficoltà logistiche del periodo post-bellico. La giuria, presieduta dallo storico del cinema Georges Huisman, adotta un approccio diplomatico: invece di assegnare un unico premio principale, sceglie di conferire i riconoscimenti a una selezione di film rappresentativi delle diverse cinematografie nazionali, secondo lo spirito di riconciliazione internazionale del periodo. Tra i film premiati quell’anno figura un capolavoro del neorealismo italiano: Roma città aperta di Roberto Rossellini, una finestra sulle sofferenze della popolazione civile nella città occupata dai tedeschi. Nonostante le difficoltà economiche del dopoguerra, l’evento attira numerose stelle del cinema internazionale, tra cui Michèle Morgan, Jean Marais e Tyrone Power, che - con la loro presenza - contribuiscono a creare quell’aura di glamour che sarebbe diventata parte integrante dell’identità del festival. Il successo di questa prima vera edizione consolida la reputazione di Cannes come evento culturale di primo piano. Il festival, infatti, è riuscito nel suo intento originario: creare uno spazio dove celebrare il cinema come una forma d’arte libera da condizionamenti politici. An-

che se, va ricordato, la politica rimane parte integrante del contesto, come dimostra la cancellazione del 1968 in solidarietà con le proteste studentesche. Negli Anni ’50 e ’60, Cannes attira tutte le personalità del cinema mondiale. Sono gli anni dello star system d’oltreoceano, che vede protagonisti quali Marilyn Monroe, Elizabeth Taylor, Cary Grant e Alfred Hitchcock, divenendo - al contempo - il palcoscenico della Nouvelle Vague francese e dei maggiori registi italiani: Federico Fellini, Roberto Rossellini e Michelangelo Antonioni. Il festival in quel periodo si consolida come un evento culturale di prestigio e il punto d’incontro tra il cinema americano e quello europeo, in un’atmosfera di glamour e innovazione artistica. Figure come Brigitte Bardot e Alain Delon diventano simboli dell’eleganza e dello stile di Cannes. Gli Anni ’70 lo vedono abbracciare un cinema più politicamente impegnato, mentre gli Anni ’80 e ’90 sono caratte-

rizzati dall’affermazione di autori fuori dal coro, come Wim Wenders, David Lynch e i fratelli Coen. La Palma d’oro a Pulp Fiction nel 1994 segna un momento cruciale nell’evoluzione del cinema indipendente americano. Del resto, il Festival ha spesso accolto opere controverse, come nel caso de La grande abbuffata di Marco Ferreri (1973) o Crash di David Cronenberg (1996), che hanno contribuito alla sua reputazione di evento culturale disposto a sfidare le convenzioni.

Con il nuovo millennio, la kermesse ha ampliato la sua influenza creando sezioni come “Un Certain Regard” e la “Quinzaine des Réalisateurs”, che offrono spazio a voci emergenti e stili narrativi sperimentali. Un’ultima nota: la prestigiosa Palma d’oro, assegnata al miglior film in competizione, fu ufficialmente introdotta solo nel 1955, sostituendo il Grand Prix che era stato il premio principale in precedenza.

Nato in risposta alla propaganda cinematografica dei totalitarismi degli Anni ’30, l’appuntamento francese si è trasformato in seguito nella celebrazione mondiale del cinema d’autore

Primo piano

Anno 1958. A due anni dallo storico XX congresso del Pcus, dove Kruscev denuncia per la prima volta i crimini di Stalin, il festival si allinea alla cultura cosiddetta del disgelo, ovvero l’apertura dell’Unione Sovietica all’Occidente. Nonostante in concorso figurino autori del calibro di Ingmar Bergman e Pietro Germi, la Palma d’oro viene assegnata al film Quando volano le cicogne , di Mikhail Kalatozov: un premio chiaramente politico, indirizzato al nuovo corso dell’Unione Sovietica appena uscita dall’isolamento del “socialismo in un solo paese”, la parola d’ordine sotto la dittatura stalinista. Una curiosità: il titolo vero del film era in realtà Quando volano le gru, ma quando la distribuzione italiana si accinse alla traduzione dei dialoghi, invece di attingere direttamente alla versione originale russa, si servì della traduzione francese. In Francia, la parola ‘gru’ viene ritenuta inadatta, perché nello slang parigino essa significa ‘donna di malaffare’, ‘prostituta’, tanto che il curatore francese provvide alla sostituzione con il più innocuo ‘cicogne’. Il traduttore italiano, ignaro, senza controllare la versione russa, agisce sulle cicogne invece che le gru. E così, in Occidente, senza colpo ferire, il film diventa, e per sempre sarà, Quando volano le cicogne. Disgelo anche questo? Anno 1960. In concorso due grandi italiani, Federico Fellini con La dolce vita , e Michelangelo Antonioni, con L’avventura . Le proiezioni di entrambi i film vanno male, tra fischi e disapprovazioni. Monica Vitti racconta che i ‘buu’ iniziarono persino ai titoli di testa. Roberto Rossellini, che non ama il film di Fellini, si spende invece per quello di Antonioni. Scrive una lettera aperta

SCANDALI E ALLORI CRONACHE DA LA CROISETTE

La ‘cultura del disgelo’, le espulsioni per atteggiamenti antisemiti, la censura e le dimissioni. Viaggio dietro le quinte del Festival tra politica e trasgressione

di Flavio De Bernardinis, critico cinematografico

di strenua difesa de L’avventura , e la fa firmare a tutte le personalità presenti al festival - scrittori, registi, giornalisti- e poi affigge il documento ovunque negli spazi del festival, tanto che è impossibile non vederlo. L’esito sarà il Gran premio della giuria per Antonioni, e addirittura la Palma d’oro per La dolce vita , grazie a Georges Simenon, il ‘papà’ di Maigret, presidente della giuria, il quale incurante dei fischi, fiero, legge il verdetto in una sala recalcitrante e gremita.

Anno 1962. Fuori concorso, viene invitato il film a episodi Boccaccio ’70 , diretto da Mario Monicelli, Luchino Visconti, Federico Fellini, Vittorio De Sica. È un evento straordinario, quattro grandi maestri riuniti in un solo film. Uno però è forse un po’ meno illustre degli altri, Mario Monicelli, per il quale il festival costituisce una imprevista quanto spiacevole avventura, che lui stesso racconta così: «Nel ’62 a Cannes scoppiò un putiferio. Il film doveva aprire il festival in una serata di gala. Non si capì bene il perché, ma il produttore Carlo Ponti decise di tagliare il mio episodio, dal titolo evocativo Renzo e Luciana , la storia di due giovani operai a Milano, alle prese coi problemi del matrimonio. Giunto il mio avvocato da Roma per ricorrere alla magistratura francese, a quel punto mi convoca l’avvocato di Ponti, il quale mi offre ottanta milioni di lire per rinunciare al mio episodio. Io non accetto e vado avanti. Cosa incredibile, la magistratura francese, evidentemente corrotta, consente la proiezione del film privo del mio episodio. Mario Soldati, in giuria, per solidarietà, si dimette. L’esito è che l’episodio mio, Renzo e Luciana , compare ormai solo nell’edizione italiana del film: nelle proiezioni

Cannes, 1960: Federico Fellini con il premio vinto per La dolce vita

all’estero è rimasto invisibile». Anno 1973. Scandalo al festival. La proiezione de La grande abbuffata di Marco Ferreri, scatena polemiche, grida e una valanga di fischi. La storia di quattro personaggi che si chiudono in una villa e si lasciano morire rimpinzandosi di ogni genere di cibo, prestazioni sessuali con prostitute incluse, è una bomba, come sovente capita in simili casi, che decreta l’immediato successo di un film non destinato al grande pubblico. È ancora fresco il caso di Ultimo tango a Parigi di Bernardo Bertolucci, mentre di lì a poco scoppierà quello del Salò di Pasolini. Se il cinema, soprattutto quello italiano, si segnala per una maggiore tendenza alla trasgressione, allora il Festival di Cannes si presta sempre volentieri a ospitare simili casi. Anno 2011. Il regista danese Lars Von Trier, in concorso con il film Melancholia , durante la conferenza stampa di presentazione si lascia andare a frasi ambigue su Hitler e il nazismo, dichiarando di comprendere alcune idee del dittatore, apprezzando inoltre l’opera del nazi-architetto Albert Speer, fino a spendere indispettite parole su una collega regista che fecero persino pensare a un atteggiamento antisemita del cineasta danese. Lo scandalo fu enorme tanto che, nonostante le scuse, Lars Von Trier - dichiarato persona non grata - fu espulso dal festival. Il film rimase però in concorso, tanto che la protagonista, l’americana Kirsten Dunst, fu persino insignita del premio per la migliore interpretazione femminile. Ad ambiguità, giustamente, si risponde sempre con ambiguità.

Primo piano

LA PALMA D’ORO PARLA ITALIANO

Il made in Italy ha conquistato Cannes da Roma città aperta (1946) a La stanza del figlio (2001) Nel mezzo registi, attori e storie potenti hanno disegnato i contorni di un cinema internazionale

Registi visionari, attori carismatici e storie potenti. Sono tanti gli italiani che, negli ultimi 78 anni, hanno sfilato sul red carpet de La Croisette. Il made in Italy - fin dalla seconda metà degli anni Quaranta - lascia un segno al Festival di Cannes, scrivendo capitoli significativi nella storia del cinema internazionale. Proviamo a delinearne i contorni, con una rapida carrellata dei premi conquistati in Francia. Ad aprire le danze, è stato Roberto Rossellini quando nel 1946 ha vinto la Palma d’oro con il film Roma città aperta : è in quella pellicola che Anna Magnani e Aldo Fabrizi hanno interpretato due personaggi diventati iconici, simboli di un’epoca. Era il 1952 quando a vincere la Palma d’oro è stata la pellicola Due soldi di speranza di Renato Castellani, nel 1960 è toccato a La dolce vita di Federico Fellini. E anche qui, vogliamo ricordare una delle scene più epiche del cinema italiano: il bagno di Anita Ekberg nella splendida cornice della Fontana di Trevi, raggiunta da Marcello Mastroianni in una Roma deserta e silenziosa. E ancora nel 1963 il premio è andato a Il Gattopardo di Luchino Visconti e poi nel 1966 a

Signore & signori di Pietro Germi (ex aequo con Un uomo, una donna di Claude Lelouch), nel 1972 a La classe operaia va in paradiso di Elio Petri (ex aequo con Il caso Mattei di Francesco Rosi). Nel 1978 a vincere la Palma d’oro è stata la pellicola L’albero degli zoccoli di Ermanno Olmi e, infine, nel 2001 La stanza del figlio di Nanni Moretti. Il medagliere italiano annovera anche premi come miglior interpretazione maschile e miglior interpretazione femminile. Alla prima categoria di vincitori appartengono attori del calibro di Saro Urzì per Sedotta e abbandonata del ’64, Vittorio Gassman per Profumo di donna del 75 e ancora Ugo Tognazzi per La tragedia di un uomo ridicolo nel 1981. E ancora Elio Germano con La nostra vita del 2010, Marcello Fonte per Dogman, 2018. Tra le attrici italiane che hanno ricevuto il premio al Festival di Cannes, ricordiamo Sophia Loren per La ciociara nel 61, Ottavia Piccolo per Metello nel 1970 e ancora Virna Lisi con La regina Margot del 1994. Un palmarès che non solo celebra il talento individuale, ma testimonia la poliedricità del cinema italiano, capace di spaziare dai drammi neorealisti alle commedie graffianti.

Sofia Loren al Festival di Cannes del 1958

TUTTI I NUMERI

DI CANNES 2025

Fuori di Mario Martone è l’unico titolo italiano in corsa per la Palma d’oro. A presiedere la giuria una donna, l’attrice francese Juliette Binoche

A Robert De Niro il premio alla carriera

Quest’anno al Festival di Cannes ci saranno film che «raccontano il mondo con la sua violenza, ma anche con la sua umanità, le sue rivolte e i suoi valori universali».

Thierry Frémaux, il delegato generale della kermesse francese, presentando i titoli della 78ª edizione, in programma dal 13 al 24 maggio, ha parlato di «un momento di grande vitalità della settima arte, quando più volte era stata annunciata la morte del cinema».

Sulla Croisette sono arrivati oltre 2.900

lungometraggi. «Un vero record», ha sottolineato Frémaux, che ha selezionato più di sessanta titoli provenienti da tutto il mondo, tra la competizione principale e le sezioni collaterali.

A rappresentare il nostro paese in concorso sarà Fuori di Mario Martone, unico titolo italiano tra i diciannove in corsa per la Palma d’oro. Il regista e sceneggiatore napoletano torna in concorso a Cannes, tre anni dopo Nostalgia, con un film scritto insieme a Ippolita Di Majo, sulla scrittrice del Novecento, Goliarda Sapienza, interpretata

da Valeria Golino (regista a sua volta della serie L’arte della gioia, presentata lo scorso anno a Cannes e tratta dal romanzo di Sapienza). Di questa storia di amicizia, amore e libertà al femminile ambientata nella Roma del 1980, che arriverà nei cinema italiani distribuita da 01, sono protagoniste anche Matilda De Angelis e la cantante Elodie, ormai lanciata nel mondo del cinema. Sulla Montées des Marches sfileranno, come sempre, importanti autori e grandi star di Hollywood. Wes Anderson arriverà con il cast corale, tra cui Tom Hanks, Scarlett Johansson, Benicio Del Toro, Bryan Cranston e Benedict Cumberbatch, della commedia thriller di spionaggio The Phoenician Scheme. Approda per la prima volta a Cannes Ari Aster con la black comedy in stile western Eddington con Pedro Pascal, Emma Stone e Joaquin Phoenix. Presenti anche i più che veterani fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne che in Jeunes Mères raccontano una casa famiglia per giovani madri. Richard Linklater ricorda la Nouvelle Va-

In apertura, da sinistra, Matilda De Angelis

Valeria Golino ed Elodie in Fuori, di Mario Martone. A destra, Benicio Del Toro in The Phoenician Scheme, di Wes Anderson sotto Jodie Foster in Vie privée, di Rebecca Zlotowski. In basso, Alessandro Borghi e Nadia Tereszkiewicz in Testa o croce? di Alessio Rigo de Righi e Matteo Zoppis

gue, Joachim Trier firma il dramedy Sentimental Value e torna in concorso anche il regista dissidente iraniano Jafar Panahi con A Simple Accident. In La Venue de l’avenir Cédric Klapisch dirige Isabelle Huppert nei panni della miliardaria Liliane Bettencourt.

Se a decidere chi vincerà quest’anno la Palma d’oro sarà una giuria presieduta per il secondo anno consecutivo da una donna, l’attrice francese Juliette Binoche, dopo Greta Gerwig, saranno sei le registe in competizione. La francese Julia Ducournau, dopo aver vinto l’edizione 2021 con Titane, torna a Cannes con Alpha, storia di una 13enne problematica che vive da sola con la madre. Kelly Reichardt porta sulla Croisette il crime The Mastermind, Carla Simon il drammatico Romeria. In corsa La Petite Derniere di Hafsia Herzi, Renoir di Chie Hayakawa e Sound Of Falling di Mascha Schilinski. A inaugurare la manifestazione, fuori concorso, martedì 13 maggio sarà l’opera prima della francese Amélie Bonnin Partir un jour

La presidente della manifestazione, Iris Knobloch, ha parlato di donne, che «sanno prendere il loro posto senza aspettare che gli venga proposto. Sono finalmente ascoltate e il festival è particolarmente attento alla loro voce». Riguardo alla selezione generale, Knobloch ha poi spiegato: «Anche quest’anno a Cannes ci sarà il meglio del cinema mondiale, che racconta le evoluzioni della società con un grande impatto culturale e mediatico». Uno dei film più attesi è Mission: Impossible-The Final Reckoning, ottavo

e conclusivo capitolo della saga action con Tom Cruise, pronto ad approdare sulla Croisette fuori competizione il 14 maggio. La carriera di Robert De Niro sarà celebrata con una Palma d’oro in suo onore, mentre quella di Bono, frontman degli U2, verrà raccontata nel documentario Stories of Surrender, ricco di canzoni. Tra i titoli fuori concorso da segnalare, anche Vie privée di Rebecca Zlotowski, con Jodie Foster nei panni di una psichiatra che indaga sulla morte di uno dei suoi pazienti, e The Disappearance of Josef Mengele, film diretto da Kirill Serebrennikov sul medico tede -

sco noto per i crudeli esperimenti di eugenetica ad Auschwitz. In concorso nella sezione competitiva collaterale Un Certain Regard, ci sono il debutto alla regia di Scarlett Johansson, Eleanor The Great, e quello dell’attore britannico Harris Dickinson, Urchin. Tra i sedici film in concorso, anche due film italiani. Testa o croce?, western con Alessandro Borghi e Nadia Tereszkiewicz, diretto a quattro mani da Alessio Rigo De Righi e Matteo Zoppis, e il road movie ambientato in Veneto, Le città di pianura, opera prima di Francesco Sossai, che a Cannes due anni fa aveva presentato il cortometraggio Il compleanno di Enrico

INFLUENCER PREMI GONFIATI E NOSTALGIA

DEL PASSATO IL FESTIVAL OGGI

di Flavio De Bernardinis, critico cinematografico

Al di sotto del riconoscimento principale in ogni manifestazione cinematografica festivaliera che si rispetti, prolifera una miriade di concorsi in sedicesimo, il cui scopo risulta quello di garantire il “c’è posto per tutti”

Oggi i festival sono molto cambiati. All’entrata dei palazzi e palazzetti del cinema, sui tappeti rossi in passerella, scorre un sempre maggior numero di persone, che col cinema hanno poco a che fare. I cosiddetti ‘influencer’, per esempio, ovvero gli imperatori sovrani dei social media in rete, che garantiscono opportuna e copiosa cassa di risonanza a tutte le proiezioni. Proiezioni che diventano così eventi, quasi un festival nel festival.

Scorrendo i cenni storici su Cannes, ma anche Venezia Locarno e altre varie kermesse di cinema, infatti, si vedrà che la costante è quella di moltiplicare sezioni e premi. Al di sotto del riconoscimento principale, quello davvero iconico, la Palma o il Leone d’oro di rito, in ciascuna manifestazione cinematografica festivaliera che si rispetti, proliferano una miriade di concorsi in sedicesimo, ovvero tanti premi più piccoli, il cui scopo risulta quello di garantire il “c’è posto per tutti”.

Ampliare gli spazi, capaci di ospitare eventi, anche minimi, è obiettivo primario di ogni festival nel mondo. Segno di riconoscimento per un film, oggi, scherzando ma non troppo, potrebbe diventare così quello di essere scartato, rifiutato da un festival: condizione che fa scattare un sentimento, anche un pochino morboso, di curiosità immediata per il film stesso. Come mai questo titolo non ha mai avuto accesso a un festival? Forse è così trasgressivo che è stato rifiutato in blocco? Contiene elementi tanto scomodi da venire respinto da tutti i comitati di selezione? A tal proposito, mi sono chiesto spesso come non si sia ancora pensato a organizzare un festival dei film rifiutati dagli altri festival (che forse ci sta, esiste da qualche parte), formula che credo possa essere di discreto richiamo per

un pubblico di appassionati, e quindi forse di successo.

All’interno di un festival, da qualche tempo, è sempre presente una sezione di film storici. A Cannes, si chiama, non a caso, Cannes Classic, e si tratta di film del passato appositamente restaurati, ma anche documentari sulla storia del cinema o un autore in particolare. Ciò sembra particolarmente significativo: la comparsa, e la consistenza, come per il teatro o la musica, anche per il cinema, di un repertorio. Nell’età della rete, che altro non è che un gigantesco archivio dove passato e presente si intrecciano in un nodo inestricabile di connessioni, ciò che proviene dal tempo che fu diventa subito evento. Mi capita spesso di vedere film vecchi, molto belli, che immediatamente ispirano la più inutile delle

domande: perché ancora oggi non si fanno film così? Questione puramente accademica, dato che lo stesso e identico film, realizzato qui e ora, non interesserebbe a nessuno. Le proiezioni di pellicole del passato, accuratamente selezionate, come accade nei festival, invece, sono sempre gremite di pubblico. Perché ciò che oggi attira e seduce è il momento stesso del passato, inteso come tramonto di tutto quello che di bello c’era una volta, e ancora riesce a luccicare qui e là: una storia poliziesca o un melodramma, attori e attrici di un tempo, l’affascinante bianco e nero proveniente dall’alba della cine-fotografia, in sé, sono immediatamente un piacere per gli occhi. I festival questo lo sanno, e hanno provveduto ad ampliare tali spazi dedicati al ‘classico’, alla storia

del cinema, che attirano sempre di più l’attenzione dei mezzi di informazione, contribuendo così a promuovere il nome del festival stesso.

Cannes, la Costa Azzurra, il Principato di Monaco: accostamenti che confluiscono nello spazio della leggenda, in una parola la principessa Grace, ovvero Grace Kelly. Il mito di Cannes si intride di passato, anche al di là del festival stesso. Il film di Hitchcock, Caccia al ladro, sul cui set Grace Kelly incontrò il principe Ranieri di Monaco, da cui clamorosamente sarà condotta all’altare, è ambientato infatti nel prestigioso Hotel Carlton di Cannes. Anche se non farà mai parte della selezione ufficiale del festival, un film-evento come questo contribuisce a rinforzare il mito del cinema in riva alla Costa Azzurra: esempio per cui una pellicola, Caccia al ladro, e la location, Cannes, si fondono in un unico nodo fantastico, che va a contaminare, per attrazione fatale, anche il festival, nonostante questi sia rimasto estraneo all’intera vicenda. Tale è la forza del passato, che si irradia anche là dove non risultano tracce fisiche del passato stesso.

Per un regista, giovane o anziano, celebre o sconosciuto, piccolo o grande, così, andare comunque a Cannes significa entrare automaticamente nella storia del cinema. Realizzare il proprio film in autonomia, caricarlo su file o dvd e riempirci la valigia, partire per Cannes, e poi, durante il festival, assediare produttori e agenti raccontando loro di essere un grande nuovo giovane regista. Aprire quindi la valigia ficcando nelle tasche di ciascuno il file o dvd del proprio piccolo straordinario film. Anche senza partecipare ufficialmente al festival, magari, sarà proprio grazie al festival che sarà possibile farsi conoscere sgomitando un poco, e iniziare una carriera chissà quanto prestigiosa.

74° Festival di Cannes (2021)
Chiara Ferragni sul red carpet del film Stillwater

INFERMIERI IN FUGA «COSÌ LA NOSTRA SANITÀ È IN PERICOLO»

In occasione della Giornata mondiale dell’Infermiere il 12 maggio, abbiamo incontrato Foad Aodi presidente Amsi: «Oltre 36.000 professionisti di origine straniera lavorano nel nostro sistema sanitario. Senza di loro i nostri anziani non avrebbero assistenza»

Non si può certo dire che “rubino il lavoro agli italiani”: al contrario, assicurano cure e assistenza a tante persone, molte delle quali anziane. E permettono al nostro sistema sanitario di non affondare. Sono gli infermieri di origine straniera: più di 36.000 nel nostro paese, secondo i dati aggiornati al 31 dicembre 2024. A contarli, ma soprattutto a tutelarli rivendicandone il ruolo e il valore, è l’Associazione Medici di origine Straniera in Italia (Amsi), guidata dal professor Foad Aodi, medico fisiatra italo-palestinese e docente di Scienze Infermieristiche e Fisioterapia presso

l’Università di Tor Vergata, a Roma. Quanti sono oggi, in Italia, i professionisti della sanità di origine straniera?

Oltre 105.000. Tra questi, 36.400 sono infermieri, di cui alcune migliaia arrivati grazie al decreto Cura Italia. Parliamo di figure fondamentali, in un sistema sanitario che registra una carenza sempre più grave di medici e infermieri. Eppure, nonostante la loro competenza, le qualità umane e l’impegno quotidiano, sono spesso vittime di discriminazione e pregiudizi. Ma senza di loro, il Sistema Sanitario Nazionale dovrebbe chiudere tanti dipartimenti e servizi.

La situazione è davvero così critica, per la sanità pubblica nel nostro paese?

Credo che mai sia stata così grave: possiamo forse dire che stiamo vivendo il momento peggiore, sia per quanto riguarda i professionisti della sanità sia per quanto riguarda l’erogazione dei servizi. D’altra parte, le due questioni sono collegate. Infermieri e medici si dimettono dal pubblico o fuggono all’estero. Al tempo stesso, diminuiscono le iscrizioni universitarie. Questo a causa di una situazione molto difficile e preoccupante: le frequenti aggressioni ai danni dei professionisti della sanità, le denunce, i salari inadeguati. In particolare, per quanto riguarda gli infermieri, il loro ruolo, seppur fondamentale, è decisamente poco riconosciuto e valorizzato. Dopo la solidarietà e gli encomi durante la pandemia, questi professionisti sono stati dimenticati. Così, avviene un drammatico esodo dal sistema sanitario pubblico o addirittura dal nostro paese. Gli stipendi all’estero sono molto più alti: nei paesi del Golfo un infermiere guadagna in media 3.500 euro, ma se è specializzato può arrivare anche a 6.000.

Qual è, in particolare, la situazione degli infermieri di origine straniera?

La loro condizione è ancora più difficile. Per esercitare la professione in Italia esiste una via ordinaria, che è quella del titolo conseguito nello stesso paese, o del riconoscimento del titolo conseguito all’estero. Questo non crea particolari problemi, a parte il fatto che il riconoscimento richiede normalmente più di un anno. E poi c’è la via straordinaria, aperta dall’emergenza pandemica e dal decreto Cura Italia: con il governo Conte abbiamo scritto l’articolo 13, che ha permesso l’inserimento straordinario di professionisti dall’estero. Il decreto sarebbe scaduto a dicembre 2025: se così fosse stato, molte strutture avrebbero rischiato di chiudere. Per questo, abbiamo chiesto e ottenuto dal governo la proroga almeno fino a dicembre 2027, ricordando che oltre 2.500 dipartimenti sanitari, dal 2004 a oggi, sono stati salvati grazie alla presenza di professionisti stranieri. Questi professionisti devono poter continuare a lavorare e vedersi riconosciuti e valorizzati, senza alcun trattamento discriminatorio. Così come deve essere valorizzata, in generale, la figura dell’infermiere, oggi fortemente disconosciuta. Se non riusciremo a fermare l’emorragia di questi professionisti, tra 4 o 5 anni non avremo più infermieri sufficienti per assistere i nostri anziani.

Pensa che in particolare l’assistenza agli anziani sia a rischio?

Sì, con l’invecchiamento della popolazione, aumenta la necessità di assistenza, sia a domicilio che nei centri e nelle strutture. Gli infermieri sono troppo pochi e saranno sempre meno, se non invertiremo la rotta.

In che modo si potrebbe invertire? Primo, difendendo ruolo, competenza e professionalità degli infermieri italiani e di origine straniera; secondo, migliorando le condizioni economiche e valorizzando la carriera, per riuscire a far tornare tanti infermieri che sono fuggiti dal servizio pubblico o dal paese; terzo, combattendo le aggressioni e le denunce facili, che oggi spaventano tanti professionisti e scoraggiano i giovani dall’intraprendere questo percorso professionale. Infine, credo che un ruolo importante possa giocarlo la comunicazione: serve un’informazione migliore, una narrazione più positiva rispetto alla professione: bisogna veicolare messaggi più rassicuranti, che facciano avvicinare i ragazzi e le ragazze a questo lavoro, così bello e prezioso.

Foad Aodi, presidente Amsi

A ORISTANO PENSIONATI IN PRIMA LINEA CONTRO LA DISPERSIONE SCOLASTICA

L’iniziativa, ideata e promossa da 50&Più ha l’obiettivo di supportare gli studenti delle scuole medie. Augusto Grossi, presidente dell’associazione provinciale: «Siamo già al lavoro per il prossimo anno»

Cosa succede quando un gruppo di docenti in pensione sceglie di dedicare il proprio tempo a studenti alle prese con la matematica e l’inglese?

Che nasce un’iniziativa dall’alto valore intergenerazionale, con l’obiettivo di combattere la dispersione scolasti-

ca e creare comunità. Siamo a Oristano, nel cuore della Sardegna, la città della Sartiglia e della torre di Mariano: è qui che 50&Più è impegnata a sostenere chi ha maggiormente bisogno di aiuto: «Lo abbiamo fatto in passato, durante la pandemia, supportando strutture Rsa, abbiamo

continuato a farlo insieme alla Caritas e, da marzo, lavoriamo per aiutare gli studenti delle scuole medie a recuperare le materie più ostiche», ha commentato Augusto Grossi, presidente 50&Più Oristano. Per quattro giorni a settimana, di pomeriggio, gli studenti delle scuole medie cittadine si recano presso i locali di via Sebastiano Mele e, con l’aiuto di professori in pensione, provano a superare le difficoltà legate all’apprendimento di due materie in particolare: matematica e inglese. «A creare un ponte tra noi e la scuola è stata Rosella Bisonti, nostra socia ed ex docente, che ha condotto una ricerca tra gli istituti del nostro territorio - ha precisato Grossi -. Una volta compresa l’esigenza di studenti e famiglie, ci siamo immediatamente attivati per trovare risposte adeguate e così sono nati i nostri corsi. Tanti gli studenti che frequentano le attività di recupero, grazie soprattutto al passaparola e alla diffusione della notizia a mezzo stampa». Dopo il successo del primo trimestre di attività - l’iniziativa è nata a marzo e continuerà fino a giugno - 50&Più Oristano alza l’asticella e lavora per il prossimo anno, ampliando la platea di beneficiari: «Già in queste settimane abbiamo supportato nello studio una giovane studentessa delle scuole elementari - ha continuato Grossi -; per il prossimo anno contiamo di essere d’aiuto non solo agli studenti delle scuole medie e delle scuole elementari ma anche agli studenti della scuole superiori, principalmente per lo studio della chimica e dell’italiano». Un impegno, quello di 50&Più Oristano, che rende l’associazione provinciale una delle eccellenze del territorio sardo, delineando i contorni di una ‘buona pratica’ sia per lo scambio intergenerazionale che per il rapporto con le istituzioni e la lotta alla dispersione scolastica.

di Anna Grazia Concilio

giro per il mondo

PALLONE COL BRACCIALE: STORIA DI UN GIOCO DIMENTICATO

Regole e campioni di un gioco che affonda le radici nelle corti nobiliari e oggi sopravvive in poche, appassionate, roccaforti

Esisteva un’epoca in cui le piazze italiane risuonavano del colpo secco di una palla scagliata da un bracciale di legno, mentre folle entusiaste applaudivano le gesta di atleti celebrati come eroi. Questo era il “pallone col bracciale”, uno degli sport più amati in Italia fino ai primi del Novecento. Nato nel Rinascimento e inizialmente praticato nelle corti nobiliari, si svolgeva in uno sferisterio, un campo rettangolare lungo circa 80 metri e largo 18, spesso delimitato da un muro laterale alto 20 metri che permetteva il rimbalzo della palla. In campo scendevano due squadre, ciascuna composta da un battitore, una spalla e un terzino. Protagonista indiscusso del gioco era il ‘bracciale’, un cilindro di legno cavo, munito di punte, che i giocatori indossavano sull’avambraccio per colpire una palla di cuoio di circa 300 grammi. Il peso del bracciale, tra 1 e 2 chilogrammi, richiedeva forza e precisione, tanto che un uso improprio poteva causare gravi infortuni. A rendere tutto più difficile, il pallone veniva lanciato a velocità superiori ai 100 km/h, trasformando ogni partita in un’impresa atletica degna degli antichi tornei cavallereschi. Il punteggio seguiva una sequenza del tutto simile al tennis moderno: 15, 30, 40 e gioco. L’obiettivo? Mandare la palla oltre la linea di fondo campo avversaria. Tra i campioni leggendari spicca Carlo Didimi di Treia, la cui fama nel 1821 era tale da ispirare persino Giacomo Leopardi a dedicargli una poesia, e il celebre Rodolfo Sorcinelli di Mondolfo, campione indiscusso del XX secolo. Se un tempo, il pallone col bracciale era così popolare da essere amato persino dai papi (Gregorio XIII ne era un fan), tra il ’700 e l’800 ebbe l’apice del successo, attirando folle paragonabili a quelle degli odierni stadi. Poi, l’arrivo del calcio lo relegò nell’oblio; ma non del tutto. Città come Treia (Mc), Mondolfo (Pu) e Monte San Savino (Ar) organizzano ancora oggi tornei annuali che attirano piccole folle di appassionati e curiosi.

VALENTINA

LA MAMMA DEI RECORD

Nata nel 1707, la contadina russa Valentina Vassilyeva diede alla luce ben 69 figli in 27 parti: 16 coppie di gemelli, 7 di trigemini e 4 di quadrigemini. Senza contraccettivi e con la maternità vista come dovere sacro e obbligo religioso, la Vassilyeva è diventata la donna più prolifica (documentata) della storia.

QUEL GIARDINO SOSPESO DA SEICENTO ANNI

Sembra una favola, ma è storia: dal 1384 la Torre Guinigi di Lucca ospita un giardino pensile con sette lecci, simbolo di rinascita dell’antica famiglia omonima. A 44 metri d’altezza, tra pietra e cielo, cresce la “foresta urbana” più antica d’Italia. Una visione medievale che anticipava i tetti verdi moderni e incanta ancora oggi migliaia di visitatori.

AMSTERDAM ‘BATTE’ VENEZIA

Amsterdam, con i suoi 1.539 ponti, supera di gran lunga Venezia. Questa rete di collegamenti acquatici unisce 90 isole, creando un intricato sistema di canali progettato con precisione ingegneristica. Ogni ponte, frutto di secoli di innovazione, testimonia l’evoluzione di una città dove l’acqua e la terra si integrano in un perfetto equilibrio.

VIOLENZA GIOVANILE SE L’EDUCAZIONE AFFETTIVA DIVENTA MATERIA OBBLIGATORIA

Per contrastare gli episodi sempre più gravi e frequenti di violenza di genere tra gli adolescenti, il 70% degli italiani ritiene fondamentale l’introduzione dell’educazione alle relazioni come materia scolastica obbligatoria a partire dalle elementari

L’educazione sentimentale non

di Anna Costalunga

è solo il titolo di un celebre romanzo di Gustave Flaubert, ma anche - e soprattutto - uno strumento per puntare alla prevenzione di abusi e violenza di genere a partire dall’adolescenza. Per insegnare agli adolescenti il valore dell’altro e delle sue scelte, coinvolgendo la sfera degli affetti e della sessualità. L’ondata di violenza giovanile che sta scuotendo l’Italia, culminata in efferati delitti, ha di fatto acceso i riflettori su una problematica urgente: l’assenza di un’educazione affettiva strutturata nelle scuole. Ora un sondaggio dell’Ufficio Studi Coop, legato alla campagna Coop “Close the Gap” per l’inclusione e la parità di genere, rivela che il 70% degli italiani chiede a gran voce l’introduzione di questa materia, già a partire dalle primarie, ritenendola fondamentale per contrastare odio, emarginazione e violenza di genere. Per contro, solo 7 italiani su 10 non credono al rischio di una sessualizzazione precoce legata al fatto che l’educazione può favorire rapporti intimi troppo presto. Gli ultimi fatti di cronaca evidenziano la necessità di un intervento educativo e sociale mirato, che promuova il rispetto, l’empatia e la consapevolezza nelle relazioni sentimentali. La scuola, percepita come luogo di formazione e crescita, è chiamata a svolgere un ruolo chiave nella prevenzione di tali

fenomeni. Almeno per quel 70% di italiani, per la maggior parte donne, che ritiene fondamentale l’introduzione dell’educazione alle relazioni come materia scolastica obbligatoria. Nove intervistati su dieci sono inoltre convinti che l’educazione alle relazioni possa fornire ai giovani gli strumenti per costruire relazioni sane e rispettose, basate sul consenso e sull’empatia. Il sondaggio mette però anche in luce un dato preoccupante: la difficoltà dei genitori nel dialogare con i figli su temi delicati come sessualità e relazioni di coppia. Mentre il 44% dei genitori dichiara di parlare frequentemente con i propri figli di rapporti interpersonali con amici o familiari, questa percentuale scende drasticamente quando si affrontano argomenti come le relazioni di coppia (21%) e la sessualità (19%). Questa lacuna comunicativa evidenzia la necessità di un intervento educativo esterno, in grado di fornire ai giovani informazioni corrette e supporto psicologico. Gli intervistati hanno espresso chiaramente il desiderio di un approccio professionale all’educazione affettiva: il 68% ritiene fondamentale coinvolgere esperti esterni, come psicologi e pedagogisti, nei programmi scolastici, il 62% auspica la creazione di spazi di ascolto psicologico specializzati e il 51% chiede programmi di formazione specifici per gli insegnanti.

Decretate le Superfarfalle, il riconoscimento attribuito ai vincitori della 42ª edizione del Concorso 50&Più attraverso le votazioni dei lettori della rivista 50&Più e di Spazio50 Per info e partecipazione: www.50epiu.it

PROSA

Glauco Magini

Laureato in Medicina e Chirurgia e specialista in Cardiologia e Reumatologia. Cardiologo ospedaliero fino al pensionamento, è stato direttore della Cardiologia dell’Ospedale di Livorno. Collabora con un’associazione di volontariato, operando nella riabilitazione dei cardiopatici, nella diffusione della cultura della prevenzione e nella lotta all’arresto cardiaco. Partecipa al Concorso 50&Più per la seconda volta. Nel 2023 ha vinto la Libellula 50&Più per la Poesia e nel 2024 per la Prosa.

POESIA

Clara Bergomi

Milanese di nascita, vive a Vicenza. In pensione da oltre 15 anni, coltiva con interesse le sue passioni come la lettura, la fotografia, la pittura e i viaggi. Partecipa a Concorso 50&Più per la decima volta. Nel 2012 ha vinto la Farfalla d’Oro e nel 2014 la Libellula d’Oro per la Fotografia; nel 2018 ha ricevuto la Menzione speciale della giuria per la Pittura e, nel 2024, la Libellula 50&Più per la Poesia.

PITTURA

Emma Martin

Appassionata di pittura da sempre, ha cominciato a dipingere qualche anno fa e ha frequentato corsi di pittura on line per migliorare la tecnica. Socia da diversi anni di 50&Più, partecipa con entusiasmo alle attività turistiche e culturali che l’Associazione propone. Partecipa al Concorso 50&Più per la quarta volta. Nel 2022 ha vinto la Farfalla d’Oro per la Pittura e, nel 2024, la Libellula 50&Più, sempre per la pittura. Vive a Padova.

FOTOGRAFIA

Silvio Mario Valdiserra È nato a Camogli (Ge) e vive a Montaldo Scarampi (At). Ingegnere navale e dirigente d’azienda ora in pensione. Coltiva da sempre la passione per la fotografia. Partecipa al Concorso 50&Più per la seconda volta. Nel 2024 ha vinto la Libellula 50&Più per la Fotografia.

BOOM DI CICLOTURISMO IN ITALIA

Nel 2024, il turismo in bici ha generato 89 milioni di presenze, con un impatto economico stimato in quasi 9,8 miliardi di euro

Ecco l’identikit di chi sceglie il viaggio lento

di Gloria De Rugeriis

Il cicloturismo è una forma di viaggio lento che unisce l’esperienza turistica al piacere di spostarsi in bicicletta. Si tratta di percorsi alla scoperta del territorio, immersi nella natura, nei borghi e nelle culture locali. È un modo attivo e sostenibile di vivere il tempo libero. In Italia questa pratica è in forte crescita anche tra le generazioni più adulte. Secondo il Quinto Rapporto sul Cicloturismo in Italia, presentato da Isnart-Legambiente lo scorso mese di aprile, il turismo in bici ha generato 89 milioni di presenze nel 2024. L’impatto economico è stimato in quasi 9,8 miliardi di euro. Il cicloturista ha un’età media compresa tra i 30 e i 44 anni (nel 47,7% dei casi),

cui si aggiunge una quota del 35,4% di appartenenti alla generazione X (dai 45 ai 60 anni), caratterizzati da una maggiore capacità di spesa rispetto ai giovanissimi. Ma cosa cercano davvero gli over 50 in bicicletta? Benessere fisico, certo, ma anche libertà di movimento e la possibilità di seguire i propri ritmi senza vincoli, con il piacere della scoperta. La bicicletta diventa una compagna di viaggio discreta e fedele, che permette di entrare in contatto con i luoghi e le persone in modo autentico. È anche un mezzo per riconnettersi con sé stessi, rallentare, riflettere, respirare. C’è chi parte per mettersi alla prova, chi per mantenersi in forma, chi per vivere la natura fuori stagione, chi per esplorare

paesaggi familiari con occhi nuovi. Molti scelgono la e-bike, che rende le salite accessibili a tutti. Altri si affidano a tour guidati, dove ogni tappa è un’occasione di conoscenza: dalla Ciclovia del Sole alla Via Francigena, dalla Val Pusteria al Delta del Po, fino ai sentieri del Salento.

In Italia, il ciclismo non è solo sport: è parte della cultura nazionale, è memoria collettiva, è epica quotidiana. Ogni anno, il Giro d’Italia - che nel 2025 giunge alla sua 108ª edizione, in programma dal 9 maggio al 1° giugno - attraversa il paese come una grande narrazione popolare, accendendo i riflettori su strade, volti e paesaggi. E accanto alla corsa dei professionisti, c’è un’altra Italia che pedala: quella di chi sceglie la bicicletta per riscoprire sé stesso, il tempo e il territorio. Il cicloturismo, in questa cornice, rappresenta una variante accessibile e consapevole per tutti quegli appassionati che non vogliono rinunciare alle due ruote, senza l’impegno della competizione. Se il Giro ci racconta la velocità, la sfida e il sacrificio, il cicloturismo ci insegna che ogni pedalata può essere un nuovo inizio, un modo per abitare meglio il proprio tempo, restando in movimento con il cuore e con la mente.

Il percorso della vitalità

MARY CELESTE

IL MISTERO DELLA NAVE MALEDETTA

Quello del brigantino salpato in un freddo novembre del 1872 da New York e ritrovato alla deriva nell’Oceano senza un’anima a bordo è ancora oggi uno dei più grandi enigmi della storia della navigazione

Il 5 dicembre 1872, a circa 740 chilometri dalle coste delle Azzorre, l’equipaggio del Dei Gratia, comandato dal capitano David Morehouse, avvista una nave alla deriva. Dal ponte si riesce a leggere il nome scritto sul fianco, un nome di donna. È la Mary Celeste, salpata da New York per Genova con dieci persone a bordo e un carico di oltre 1.700 barili di alcol denaturato, che vaga senza meta e senza nessuno a bordo, in balia delle onde. Quando Morehouse e due marinai salgono in plancia trovano il brigantino completamente deserto: l’equipaggio sembra svanito nel nulla, lasciando il cibo nei piatti e gli oggetti personali nelle cuccette ancora sfatte. Non c’è traccia di violenza né di sangue, nulla che possa spiegare l’accaduto. La nave è in discrete condizioni, sebbene il fasciame sia impregnato d’acqua. Solo una delle pompe è ancora in funzione e nella stiva galleggia circa un metro d’acqua. Alcune vele sono lacerate, la bussola è danneggiata, mancano il sestante, il cronometro e l’unica scialuppa. Il carico di 1.701 barili di alcol, dal valore di 50mila dollari, appare intatto, anche se poi, una volta a Genova, si scopre che nove dei barili sono vuoti. Nella stiva ci sono ancora provviste di acqua e cibo per sei mesi. La maggior parte dei documenti è però scomparsa. Le ultime annotazioni ancora leggibili sul diario del capitano indicano che la nave aveva avvistato Santa Maria delle Azzorre il 25 novembre, 10 giorni prima. La Mary Celeste è, a tutti gli effetti, una nave fantasma.

Costruito nel 1861 in Canada, il vascello sembrò fin da subito perseguitato dalla sfortuna. Il suo viaggio inaugurale fu segnato dalla morte per polmonite del capitano e negli anni successivi subì diversi danni, culminati in un incagliamento sull’isola di Cape Breton. Passò di mano in

mano, finché giunse a un gruppo di proprietari del quale faceva parte il capitano Benjamin Spooner Briggs. La traversata fatale era iniziata il 7 novembre 1872, quando il Mary Celeste era salpato da New York con un carico di alcol e dieci persone a bordo: il capitano Briggs, la sua giovane moglie Sarah e la loro bambina Sophia Matilda, di appena due anni, oltre a sette membri dell’equipaggio. Le due settimane successive furono caratterizzate da condizioni meteorologiche avverse. L’ultima annotazione nel giornale di bordo, datata 25 novembre, localizzava il Mary Celeste a circa 11 chilometri dalle Azzorre.

Dieci giorni dopo, la nave fu avvistata dai marinai del Dei Gratia, che lo condussero fino a Gibilterra, a circa 1.482 chilometri di distanza, dove il procuratore generale Frederick Solly Flood avviò un’indagine sul caso, che nel frattempo aveva suscitato grande scalpore negli ambienti marittimi internazionali.

essendo Briggs comproprietario della nave, il guadagno derivante dall’assicurazione sarebbe stato esiguo e, diviso tra i due equipaggi, si sarebbe rivelato una perdita di tempo quasi inutile. L’ultima ipotesi teorizzava che l’equipaggio del Dei Gratia avesse assassinato quello del Mary Celeste

Per alcuni mesi, il procuratore si concentrò su tre ipotesi principali. La prima suggeriva che l’equipaggio si fosse ubriacato con l’alcol dei barili trovati vuoti e che avesse ucciso gli ufficiali per poi naufragare a bordo della scialuppa. Tuttavia, questa teoria fu scartata poiché la quantità e la gradazione alcolica dell’alcol nei barili non sarebbero state sufficienti a provocare un’intossicazione tale da causare una tragedia simile. La seconda ipotizzava un accordo fraudolento tra i capitani delle due navi per truffare le compagnie assicurative. Tuttavia,

Benjamin Spooner Briggs capitano della Mary Celeste apparentemente abbandonata il 4 dicembre 1872

Fonte: Wikimedia Commons

in cerca della ricompensa per aver riportato indietro la nave. Ma, in mancanza di prove, anche questa pista fu abbandonata dalla procura, lasciando ufficialmente il caso irrisolto. Il mistero della nave maledetta divenne un caso letterario nel 1884, quando lo scrittore Arthur Conan Doyle, il padre di Sherlock Holmes, pubblicò La

dichiarazione di J. Habakuk Jephson, il racconto di un sopravvissuto di un vascello fantasma chiamato Marie Celeste. Nella sua versione romanzata, un ex schiavo in cerca di vendetta uccideva i passeggeri. Lo scenario che nel tempo fu ritenuto più plausibile suggerisce che il capitano Briggs abbia erroneamente creduto che la nave stesse imbarcando troppa acqua e fosse sul punto di affondare. Questa teoria è supportata dal ritrovamento della sonda di sentina - che serve a misurare la quantità d’acqua nella stiva - sul ponte, il che ne suggerisce un utilizzo prima dell’abbandono. Inoltre, una delle pompe della nave - che fu ritrovata smontata come se qualcuno avesse tentato di aggiustarla - mostrava evidenti segni di malfunzionamento. L’errata valutazione potrebbe aver indotto il capitano Briggs a credere che la nave, sulla quale viaggiavano sua moglie e sua figlia, stesse per affondare e a ordinare l’abbandono. Successivamente, un incidente avvenuto sulla scialuppa di salvataggio o una tromba marina ne avrebbe provocato la deriva o l’affondamento, causando la morte di tutti i passeggeri. Nonostante fosse considerata una nave maledetta, la Mary Celeste continuò a navigare finché nel 1885 l’ultimo proprietario, Gilman Parker, la condusse contro una barriera corallina vicino ad Haiti per incassare i soldi dell’assicurazione. Le autorità scoprirono la truffa ma la nave, ormai danneggiata irreparabilmente, fu abbandonata sugli scogli andando incontro al suo lento e inesorabile destino.

Cultura

anniversario, che dà il titolo al romanzo di Andrea Bajani, non è un compleanno qualsiasi, ma il ricordo di un giorno in cui dieci anni prima un figlio ha lasciato la casa dei suoi genitori per non tornare più, dopo un’infanzia e un’adolescenza segnata da una violenza psicologica sottile e soffocante. Questa è l’occasione per raccontare la sua famiglia, con un padre padrone - come da rituale - e una madre che obbedisce senza un dubbio e ha abdicato alla propria individualità nel momento in cui si è sposata, con un passato cancellato, un presente al servizio della famiglia. L’anniversario (Feltrinelli), che è in lizza per lo Strega, è scritto in maniera dura, lucida, impietosa. Affonda il bisturi nella piaga con parole che colpiscono come dardi. Un libro che fa discutere per i temi che pone. Lo discutiamo con il suo autore, uno dei maggiori narratori degli ultimi anni, quarantanovenne che insegna Scrittura creativa a Houston.

Una prima domanda ‘ingenua’. È la storia della sua famiglia?

O non lo è?

È una storia collettiva, che riguarda centinaia di migliaia di famiglie. Quindi il contrario di una storia personale. È la rottura di un tabù. Quello che prevede che qualsiasi rapporto, se violento, possa essere interrotto - persino con il supporto dalla legge - mentre quelli familiari no. Perché stanno dentro l’arcaico, perché nella famiglia vige la legge del sangue.

Lei scrive che la forza totale del romanzo si disinteressa quasi sempre del reale e fornisce sempre il vero.

Il romanzo è quello che mi interessa, come scrittore. Molto più della testimonianza, che si fonda su una distanza di sicurezza tra chi scrive e chi legge: si dà a chi legge il ruolo dello spettatore al sicuro. Gli - o le - si

IL ROMANZO DI BAJANI ROMPE IL SILENZIO SUL

“REGIME” FAMILIARE

Lo scrittore racconta il dietro le quinte di L’anniversario

edito da Feltrinelli, in lizza per il Premio Strega

dice: riguarda solo me, leggimi, taci. Il romanzo chiama tutti dentro. Se Flaubert dice “Madame Bovary sono io”, è per dire “Madama Bovary siete voi che leggete”. Questa è la forza del romanzo, il non fondarsi sulla dichiarazione “una storia vera” (laddove per vera si intende reale), per concentrarsi su quel ‘vero’ che si raggiunge con la letteratura, che mescola reale e non reale per toccare l’universale di una condizione umana.

Ma, stando alla sua storia, la famiglia può essere qualcosa che esplode, che non lascia scampo? Oppure quello è un caso limite?

Il narratore de L’anniversario comincia sottraendosi da una in cui non si è sentito al sicuro e conclude formandone una che risponda a criteri differenti. La questione centrale non è dunque la famiglia in sé, ma è quando la famiglia si pone in uno spazio arcaico, fuori legge. In cui se la violenza, fisica e/o psicologica si manifesta, va accettata come tale, perché risponde a una legge non scritta, secondo cui il dominio maschile può avere la violenza come strumento di gestione dell’ordine. La storia che il narratore racconta non è un caso limite, ma è un caso statistico, che però in quanto ‘norma’ di solito non pare degno di nota.

Quella del suo personaggio è una rivolta o una liberazione? È la rivendicazione di un diritto, il che

è molto più semplice per certi versi. E questo è il suo scandalo. Si può leggere la sua storia all’ombra del patriarcato e del suo regime.

Credo che il movimento del narratore sia rifiutare l’eredità patriarcale. Per questo mi interessava che il narratore fosse un maschio, che discende da un maschio che invece interpreta il proprio ruolo nella famiglia, e nella società, secondo una legge non scritta secondo cui è lui il ‘capo’ famiglia, ha il diritto di istituire appunto un regime, e di assegnare i ruoli agli altri componenti. Dove alla madre, e

moglie, spetta lo spazio subordinato dell’invisibilità. Chi racconta, da maschio decide di rifiutare tutto questo, e di restituire, almeno nel racconto, la visibilità alla madre. Da invisibile, la fa protagonista.

Pensa che la forza della letteratura esca indebolita da questa immersione nella scrittura e nella realtà virtuale che ognuno di noi pratica e che è, può essere, una forma di distrazione e di evasione?

La forza della letteratura si rafforza con la letteratura. La nostra è un’epoca virtuale e al contempo iperrealista, di persone inghiottite dallo schermo e città rase al suolo. Per quanto solitario nell’atto di scrivere e di leggere, quello della letteratura è ancora un gesto comunitario.

Lei insegna Scrittura creativa a Houston. Dia un consiglio, una regola per scrivere un romanzo come il suo.

Provare a non scrivere un romanzo come il mio. Trovare il proprio. Un libro che ha avuto opzioni per la traduzione in 25 paesi. È il tema della famiglia che attrae?

Credo sia la forza del linguaggio, il rigore letterario, il sottrarsi all’effetto, il reclamare complessità senza istituire facili tribunali. E poi, certo, il tabù della famiglia.

Cosa pensa che del suo romanzo direbbe il suo amico Antonio Tabucchi?

Impossibile dirlo. Forse farebbe attenzione alla musica e troverebbe qualche termine impreciso.

Con che animo affronta la ‘battaglia’ dello Strega?

Siamo in un momento di battaglie e guerre tragiche, a qualsiasi latitudine. Per questo il Premio Strega, e tutto ciò che mette al centro la letteratura, non può che essere il contrario, cioè una festa e un’azione civile.

L’anniversario di Andrea Bajani
FELTRINELLI
128 PAGINE

CRISTIANO GODANO

«IL PANORAMA MUSICALE? TROPPO RUMORE CERCO LA PUREZZA DELLA MUSICA SUONATA»

Dopo il successo dei brani realizzati con i Marlene Kuntz per l’artista arriva il disco da solista. Il racconto

di Raffaello Carabini

Èdal 1989, insieme a Riccardo Tesio, il leader, cantante e chitarrista, nonché autore di tutti i testi della storica band piemontese Marlene Kuntz, riferimento del nostro alt-rock, rock ‘alternativo’, fuori dalle convenzioni, carismatico e amatissimo dalla critica. Oggi Cristiano Godano, dopo Mi ero perso il cuore del 2020, propone il suo secondo album da solista, Stammi accanto, dove duetta in un brano con Samuele Bersani. Otto canzoni intime e poetiche, che parlano d’amore e di difficoltà, di ansia quotidiana e di ricerca del sé, soprattutto di speranza contro l’angoscia dell’oggi, con sonorità minimali e calibrate. Quanto è difficile per un musicista che si avvicina ai 60 anni,

entrare a contatto con i giovani e nello stesso tempo restare in sintonia con la propria storia e con la propria generazione?

La storia dei Marlene Kuntz dimostra che noi calcoli non ne facciamo mai. Andiamo in sala prove e cerchiamo di dare il nostro meglio per quel che siamo in quel momento, con le nostre influenze, le nostre fascinazioni, cercando di mescolarle. Questo vale anche per il mio disco solista. Ho molta fiducia nel fascino che può promanare dall’approccio che propongo io con un uso calibrato e attento delle parole. A me sembra che sia una caratteristica che alla lunga possa affascinare. Chiaramente non tutti i giovani, ma un certo tipo di giovani stufi del pressapochismo dilagante, sì.

Come vede il panorama musicale italiano di oggi?

Vorrei saperne di più.

Provo anche a impegnarmi per conoscere meglio le musiche che si propongono oggi, anche non solo in Italia, ma c’è un tale sovraccarico di informazioni - ogni giorno nel mondo escono centinaia di dischi - che, complice anche l’età che avanza, in genere dimentico quello che ho ascoltato per quanto cerchi di ritenerlo. So che ascolto cose buone, ma non so rispondere sul clima generale. Però adesso il contraltare è tra la musica suonata, fatta e pensata con gli strumenti come la realizzo io, anche se non ho niente contro la musica elettronica che

pure mi piace, e le produzioni pop di un certo tipo, che non ascolto e non mi interessa ascoltare. E mi sembra che la musica suonata sia sostanzialmente in difficoltà. Non offre esattamente il suono del tutto conforme a certi canoni che si deve cercare se si vuole ottenere dello streaming. Un suono che è tutt’altro rispetto a quello della musica suonata in purezza, come credo di poter dire è quella del mio disco. Sta ancora cercando un centro di gravità in un qui e ora volubile come non mai in questi ultimi anni, come canta in Cerco il nulla?

Penso di sì. Mi piace dire che il testo che lei sta citando e un’altra canzone, che si chiama Vacuità, sono l’inizio di un percorso che avevo iniziato a fare avvicinandomi alle strategie della meditazione e per derivazione anche a tutti i capisaldi della spiritualità buddhista. Anziché arrivare a una definitiva soluzione, è stato come se facessi un passaggio che mi ha permesso di giungere dove sono in questo momento, di dichiararmi, come dice la vulgata comune, un “pessimista esistenziale”. A me sembra che il pessimismo sia la soluzione più pragmatica e meno illusoria di tutte. Le cose stanno come stanno e ahimè non trovo un senso in tutto ciò. C’è la vita, si nasce e poi si muore, fine. Quindi, secondo me, cercare un centro di gravità corrisponde a fare quello che dice il titolo della canzone da cui sono tratte quelle parole: Cerco il nulla. Il centro di gravità che io cerco è una sorta di sganciamento da tutto ciò che mi ha portato al nulla a tutti gli effetti. Forse adesso accetto questa realtà come uno che sa di poter vivere ancora venti, trent’anni al massimo. Però le do queste risposte con molta leggerezza e voglio che appaiano così. Non le dico appesantite da un gravame di qualche tipo. Prendo atto di come stanno le cose. Quello citato è

Stammi accanto di Cristiano Godano

WARNER MUSIC ENT.

8 TRACCE

l’inizio di un percorso che stavo cercando di costruire, complici anche le necessità dello smarrimento dovuto al Covid, con ciascuno di noi che da qualche parte ha cercato la sua soluzione di qualche tipo.

La soluzione, come canta in Eppure so, è nel continuare a sognare e sperare e inventare?

Sì. La speranza è uno degli ultimi appigli che abbiamo se abbiamo consapevolezza della deriva di questo mondo, che dal mio punto di vista non è messo bene. Possiamo avere fiducia soltanto nella bontà che è insita nell’essere umano. Ma la bontà non predomina, come dimostra il percorso dell’umanità. Se predominasse avremmo finalmente messo la parola fine alle guerre, che invece continuano a essere lì. Più che la bontà trionfa l’idiozia, purtroppo. Però la bontà c’è, per cui bisogna aver fiducia in lei, anche soltanto per preservare noi stessi. C’è questa intuizione nel disco, mi è piaciuto raccontarla. Il titolo Stammi accanto lo si può immaginare come: “noi persone consapevoli, che sappiamo che le cose stanno volgendo al peggio, facciamo comunità insieme, stiamoci accanto”.

Cultura

L’ULTIMA (FORSE) MISSIONE IMPOSSIBILE

DI TOM CRUISE

A maggio, l’agente Ethan Hunt torna sul grande schermo per l’ottavo titolo della saga

Anche stavolta, lo spericolato divo preferisce girare gran parte delle scene action senza uso di controfigure

di Giulia Bianconi

l film è stato girato quasi in con temporanea al precedente capi tolo, Mission: Impossible-Dead Reckoning, che, uscito nelle sale nel 2023, ha ottenuto al box office oltre 571 milioni di dollari nel mondo. Il 22 maggio arri va nei cinema italiani con Eagle Pictu res, dopo un’anteprima al 78° Festival di Cannes, Mission: Impossible-The Final Reckoning, ottavo e (davvero?) ultimo titolo della saga action di spionaggio, con protagonista Tom Cruise nei panni dell’agente dell’IMF (Impossible Mission Force) Ethan Hunt.

IIniziata nel 1996, e ispirata alla nota serie Tv degli anni Sessanta-Settanta, la saga cinematografica è diventata una delle più celebri e longeve del grande schermo, incassando, nell’arco di quasi trent’anni, oltre 4 miliardi di dollari. In tutti i film Cruise si è messo alla prova fisicamente, con acrobazie spettacolari e mozzafiato da vero stuntman. «Per tutta la vita ho sempre voluto fare paracadutismo, lanciarmi in nuove avventure, pilotare aerei ed elicotteri. Sono andato a lezione per imparare a farlo. Anche da piccolo, ero il tipo di bambino che si arrampicava sugli alberi e, con la saga di Mission: Impossible, ho messo in pratica tutte queste cose», ha raccontato la star hollywoodiana tre anni fa in un incontro pubblico a Cannes.

Ancora oggi, a 62 anni, lo spericolato divo preferisce girare gran parte delle scene action senza uso di controfigure o effetti digitali. Sprezzante del pericolo, in alcune sequenze ad alta tensione della saga, ha però rischiato persino la vita.

In Mission: Impossible-Rogue Nation del 2015, Cruise è rimasto attaccato a un aereo in decollo arrivando a un’altezza di oltre 1.500 metri. Già in Mission: Impossible, il primo capitolo del 1996 diretto da Brian De Palma, l’attore aveva sorpreso il pubblico scendendo da un cavo nel centro di controllo della Cia a Langley, Virginia. Una scena che è diventata iconica. Mentre nel penultimo film, Mission: Impossible-Dead Reckoning, girato anche per le strade di Roma, tra Castel Sant’Angelo e il Colosseo, si è lanciato da una scogliera a bordo di una motocicletta. Anche in questo ottavo capitolo, realizzato con un budget di ben 400 milioni di dollari (tra i più alti nel cinema), Cruise ha assicurato che non mancheranno sequenze piene di adrenalina. «Sarà un viaggio epico ed emozionante, un’odissea omerica», ha detto l’attore e produttore. Qui lo vedremo aggrappato a un biplano degli Anni ’30 in volo. «Quando si va a oltre 200 km all’ora, non ricevi più ossigeno. Ho dovuto imparare a respirare. A volte sono svenuto e non sono riuscito neppure a tornare in cabina di pilotaggio - ha spiegato riguardo alla sequenza adrenalinica -. Durante le

riprese, ho passato l’intera giornata ad allenarmi e la sera facevamo un’unica ripresa. Ma a ogni errore, la scena andava ripetuta il giorno dopo». Diretto da Christopher McQuarrie, che lo ha scritto insieme a Erik Jendresen, Mission: Impossible-The Final Reckoning vede nuovamente nel cast Hayley Atwell nel ruolo di Grace, che da ladra professionista è diventata un’agente dell’Imf, e Vanessa Kirby, nei panni di Alanna Mitsopolis, una trafficante d’armi e mediatrice del mercato nero che usa lo pseudonimo di “Vedova Bianca”. Tornano in questo capitolo finale anche Esai Morales, ossia l’assassino Gabriel, avversario di Hunt che lavora con l’Entità, un sistema di intelligenza artificiale onnipotente

che vuole governare il mondo; Ving Rhames, nel ruolo di Luther Stickell, il migliore amico del protagonista ed esperto hacker informatico che lavora per la divisione dell’Imf; Simon Pegg, alias Benji Dunn, altro amico storico di Hunt e membro della sua squadra, e Angela Bassett, che interpreta Erika Sloane, direttrice della Cia. Nel film del 2023, abbiamo visto Hunt e il suo team alle prese con un sistema di intelligenza artificiale in grado di infiltrarsi ovunque, ma che per funzionare ha bisogno di una chiave divisa in due, che fa gola sia a potenze mondiali sia a mercenari e criminali. Hunt scopre che per attivare l’Entità bisogna usare la chiave nel sistema sonar del sottomarino russo Sevastopol, che viene affondato da un siluro all’inizio della pellicola. Alla fine del film, Hunt riuscirà a entrare in possesso della chiave. Dopo essersi salvato da un conflitto a bordo di un treno - saltando giù dal convoglio che stava per precipitare da un ponte, utilizzando un paracadute - l’agente dovrà trovare il Sevastopol e fermare l’Entità. Dunque, cosa dobbiamo aspettarci da questa resa dei conti finale? Se è vero, come viene detto nel trailer di Mission Impossible-The Final Reckoning, che “le nostre vite sono la somma delle nostre azioni e delle scelte che facciamo”, Hunt dovrà accettare una nuova e conclusiva missione dalla quale dipenderà l’esistenza di ogni essere umano sulla Terra. Dobbiamo fidarci di lui, “un’ultima volta”.

Sopra, Angela Bassett in Mission: Impossible
The Final Reckoning. Sotto, una delle scene action girate da Tom Cruise

Cultura

L’ARTE DI GAUGUIN

La mostra a Torino racconta la fuga dall’Europa del pittore francese e l’incontro con l’Eden

ella notte dell’8 giugno, dopo sessantatré giorni di traversata, sessantatré giorni di febbrile attesa, scorgemmo degli strani fuochi che si muovevano zigzagando sul mare. Su un cielo scuro si stagliava un cono nero dentellato. Costeggiavamo Moorea per scoprire Tahiti. Qualche ora dopo si annunciava l’alba, e avvicinandoci lentamente alla scogliera

entravamo nello stretto e ormeggiavamo nella rada senza problemi”. È il 1891 e inizia così il racconto dell’avventura tahitiana di Paul Gauguin. Un sogno accarezzato a lungo, nato dal desiderio di fuggire dall’Europa per trovare “la terra promessa… la terra più sana che esista… dove la vita materiale può rinunciare al denaro… Sotto un cielo senza inverno,

su un suolo di fecondità meravigliosa, il Tahitiano non ha che da alzare un braccio per cogliere il suo nutrimento. […] Per loro la vita è canto e amore”. Gli anni di Tahiti rappresentano il periodo più fecondo della sua intera esistenza, che si conclude invece sull’isola di Hiva ‘Oa, dove si trasferisce nel 1910 e dove chiede di essere sepolto. Gauguin vuole fondersi con questa nuova civiltà, diventarne parte integrante. Per cercare un senso di appartenenza alle varie comunità che lo ospitano, va alla scoperta del profumo di questa terra. “Noa-noa” significa appunto “che profuma”, e così si intitola il diario scritto durante il suo primo soggiorno nella Polinesia francese. Per illustrarlo, l’artista francese realizza 23 xilografie stampate da Daniel de Monfreid, che sono il nucleo centrale della mostra allestita in questi mesi nelle sale del Mastio della Cittadella - Museo Storico Nazionale d’Artiglieria di Torino, con la curatela di Vincenzo Sanfo. «È una mostra - spiega il curatoreche racconta il primo viaggio di Gauguin nelle isole polinesiane. Tornato brevemente in Francia, compone questo libro spinto dai suoi amici. Il diario di Noa Noa è una sorta di apertura verso il mondo della natura polinesiana che è emblema dello spirito e della ricerca interiore di Gauguin, che cercava una vita più pura, più semplice. Lui era il figlio di un mondo in fase di cambiamento, con l’industrializzazione crescente tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Con questo diario cerca di far comprendere come, invece, ci possa essere un altro stile di vita».

Il percorso espositivo, che si compone di oltre 160 opere - tutte provenienti da collezioni private italiane, francesi, belghe, e da alcune collezioni museali francesi e italiane -, presenta oltre 100 tra xilografie, disegni e litografie realizzate da Gauguin, insieme a due opere a lui attribuite: l’olio su tela

1. Paul Gauguin (attr.), Femme de Tahiti, 1891 olio su tela, collezione privata

2. Paul Gauguin, Idole à la coquille, 1893 bronzo e conchiglia in madreperla collezione privata

3. Paul Gauguin, Tehura dal Diario di Noa Noa 1894, xilografia, collezione privata

Femme de Tahiti (1891) e l’acquerello

Paysage Tahitien.

Alla lontana Polinesia, guardata con curiosità e sospetto dai contemporanei francesi per la sua cultura ‘primitiva’, ma luogo d’elezione per l’irrequieto Gauguin, fanno riferimento anche le 16 litografie a colori della serie Ancien Culte Mahorie (1892) e il carnet di 38 disegni: erano studi per dipinti successivi, Gauguin li chiamava i suoi ‘documenti’, voleva capire con precisione le tonalità di colori e l’intensità della luce, i lineamenti dei volti, le espressioni, le proporzioni dei corpi, i gesti e le abitudini.

“La civiltà mi sta lentamente abbandonando - scriveva -. Comincio a pensare con semplicità, a non avere più odio per il mio prossimo, anzi ad amarlo. Godo tutte le gioie della vita libera, animale e umana. Sfuggo al-

la fatica, penetro nella natura: con la certezza di un domani uguale al presente, così libero, così bello, la pace discende in me; mi evolvo normalmente e non ho più vane preoccupazioni”. In Oceania Gauguin porta con sé anche i suoi scalpelli da scultore. Inizialmente fa pratica su alcuni utensili in legno, per poi usare la terracotta (in mostra un vaso da collezione privata) e i metalli, come il ferro e il bron-

zo. In mostra si possono ammirare la Maschera di donna tahitiana ‘Tehura’, in bronzo patinato, proveniente dal Musée Despiau-Wlérick in Francia, e una statuetta in bronzo (da collezione privata) chiamata Idole à la coquille, che raffigura una divinità seduta nella posizione del loto, con una grande conchiglia sopra il capo. Nel 1900, l’artista affida quelli che considera i suoi “soprammobili selvaggi” all’amico pittore Daniel de Monfreid, con il quale intrattiene una corrispondenza in Francia: “Per quanto riguarda le sculture, il mio desiderio è che l’opera, composta tutto sommato da un numero esiguo di pezzi, non venga dispersa e non finisca nelle mani di persone che non sarebbero in grado di apprezzarla; sarei estremamente onorato se voi accettastenon come regalo ma come segno di amicizia - l’intero insieme di sculture in legno di Tahiti”. Nel 1901, giunge nei Pirenei orientali la cassa contenente le sculture di Gauguin. Esposte al Salon d’Automne del 1906, queste sculture colpiscono profondamente il mondo dell’arte occidentale, diventando preziose fonti di ispirazione.

A testimonianza della continuità dei rapporti tra Gauguin e gli amici e colleghi francesi, in mostra sono esposte anche alcune stampe litografiche in facsimile contenute nell’ultimo libro scritto da Gauguin, Avant et Après, terminato due mesi prima di morire (1903) e pubblicato postumo. Si tratta di una sorta di zibaldone, ricco di appunti sotto forma di diario, in cui parla della sua concezione dell’arte, del suo quotidiano nelle nuove terre e dell’importanza dei rapporti di amicizia.

Gauguin. Il diario di Noa Noa e altre avventure

Torino, Mastio della Cittadella Museo Storico Nazionale d’Artiglieria fino al 29 giugno 2025 www.navigaresrl.com

COME STAR WARS È DIVENTATO LEGGENDA

Il 4 maggio il mondo celebra la saga che ha trasformato il cinema in mito unendo generazioni sotto il segno della Forza

Ogni anno, il 4 maggio, una semplice battuta risuona in ogni angolo del mondo: “May the 4th be with you” (“Che la Forza sia con te”), un gioco di parole che nasce dalla benedizione Jedi “May the Force be with you” (4th e Force hanno quasi la stessa pronuncia in inglese). Una frase magica che spalanca il cuore di milioni di appassionati. Quando, nel lontano 1977, George Lu-

cas presentò al mondo Star Wars (in Italia conosciuto come Guerre Stellari), probabilmente nemmeno lui immaginava l’impatto che avrebbe avuto. Concepita inizialmente come una ‘space opera’ ispirata ai serial degli Anni ’30 e ’40, la saga nel tempo si è trasformata in qualcosa di molto più profondo. Al di là degli effetti speciali, rivoluzionari per l’epoca, ciò che davvero conquistò da subito il pubblico fu

la capacità di Lucas di attingere all’universalità del mito.

Queste guerre nello Spazio divennero la perfetta incarnazione del “viaggio dell’eroe”, un percorso narrativo presente in quasi tutte le culture: un protagonista chiamato all’avventura, un insieme di prove da superare, un mentore saggio, poi la discesa nell’oscurità e la redenzione finale. Lucas stesso ha sempre ammesso di essersi ispirato agli studi del celebre studioso di mitologia Joseph Campbell, riuscendo nell’impresa di creare una storia capace di risuonare a livello inconscio per spettatori di qualsiasi età e provenienza.

Il risultato fu un successo immediato e travolgente. Il primo film incassò oltre 775 milioni di dollari a fronte di un budget di soli 11 milioni, ma fu incredibile quello che accadde dopo.

Star Wars smise praticamente da subito di essere solo un film e divenne un fenomeno culturale senza confini tracciabili. Nel 1978, solo un anno dopo l’uscita, si tenne la prima convention dedicata ai fan. Da allora, un infinito elenco di eventi, come la “Star Wars Celebration” che richiama ogni anno decine di migliaia di appassionati da tutto il mondo. Ma la passione vive anche in contesti più intimi con raduni locali, feste private e shooting fotografici tra amici.

Ma cosa rende Star Wars così speciale? Innanzitutto, la saga è riuscita a creare un universo incredibilmente dettagliato e coerente, con una propria storia, geografia, lingue e culture. Dal pianeta desertico di Tatooine alle foreste di Endor, dai Jawa agli Ewok, ogni elemento è costruito con cura maniacale. Dettagli che hanno permesso ai fan di “abitare” questo universo, esplorarlo e sentirlo come proprio.

In secondo luogo, Star Wars ha offerto qualcosa che va oltre il semplice intrattenimento: è un sistema di valori e una filosofia di vita. La ‘Forza’, concetto centrale della saga, è una brillante sintesi di elementi spirituali provenienti da diverse tradizioni religiose, dal taoismo al buddhismo, passando per il cristianesimo. I Cavalieri Jedi, con il loro codice d’onore e la loro disciplina, offrono un modello etico

in un’epoca di relativismi. Non sorprende che nel censimento del 2001, in Inghilterra, oltre 390.000 persone abbiano dichiarato ‘Jedi’ come propria religione. La saga ha anche avuto il merito di evolversi con il suo pubblico. La prima trilogia (1977-1983) racconta una storia di eroismo classico, la seconda (1999-2005) esplora temi più complessi come la caduta e la corruzione e la terza (2015-2019) affronta questioni contemporanee come l’eredità del passato e la costruzione dell’identità. Temi universali che hanno permesso a Star Wars di parlare a diverse generazioni, creando un raro fenomeno di passaggio di testimone. Se i bambini degli Anni ’80 si identificavano in Luke Skywalker, quelli di oggi si appassionano alle avventure di Rey o alla dolcezza di Grogu, venuti alla ribalta con le nuove serie. Padri che mostrano ai figli gli stessi film che vedevano da ragazzi; poi magari in regalo una maglietta con sopra il Millennium Falcon (l’astronave del protagonista), un portachiavi con una piccola spada laser, e il ciclo ricomincia. Ma sarebbe sbagliato pensare alla grandezza di Star Wars solo in termini di passione perché l’impatto economico è stato altrettanto straordinario. Il marchio ha generato oltre 70 miliardi di dollari, di cui solo un terzo

proveniente dai film. Il resto arriva da videogiochi, libri, fumetti, giocattoli e merchandise vario. La Disney, che ha acquisito la casa produttrice Lucasfilm nel 2012 per 4 miliardi di dollari, ha saputo capitalizzare questa eredità, espandendo l’universo con serie Tv come The Mandalorian, Andor, il più recente The Acolyte e creando parchi a tema come l’enorme “Galaxy’s Edge”. Interessi economici a parte, però, la vera forza di Star Wars risiede nella comunità che ha saputo creare. I fan non sono semplici consumatori, ma partecipanti attivi che reinterpretano, creano e condividono. Dal ‘cosplay’ (il travestirsi da personaggi del film) alle fan fiction, dai podcast ai gruppi di studio sulla filosofia Jedi, Guerre Stellari è diventato uno spazio di espressione creativa e di appartenenza. La saga, infatti, offre qualcosa di prezioso e unico: un linguaggio comune, un insieme di riferimenti e valori condivisi che trascendono barriere geografiche, generazionali e culturali. Non c’è differenza tra l’essere un bambino che sogna di impugnare una spada laser o un adulto che ricorda con nostalgia la prima volta che vide L’Impero colpisce ancora al cinema. Il messaggio è sempre lo stesso: la speranza resiste, gli ideali vanno difesi ad ogni costo e la Forza - in un modo o nell’altro - è sempre con noi.

Da sinistra, Mark Hamill, Harrison Ford, Peter Mayhew e Carrie Fisher in Star Wars Episode IV: A New Hope del 1977
Una scena tratta dalla serie televisiva Star Wars: Skeleton Crew del 2025

Cultura

Casanova non è “il casanova”. Il mito di Giacomo Casanova - diventato nome comune per definire l’instancabile (e irresistibile) seduttore - è alquanto diverso dalla figura storica dell’avventuriero veneziano. È questa la tesi di Giacomo Casanova. Il mito di un avventuriero, il saggio pubblicato dall’editore Carocci che Antonio Trampus, professore di Storia Moderna all’Università Ca’ Foscari di Venezia, dedica al “grande seduttore”. A trecento anni dalla nascita, Trampus parte dal dato biografico per fare un discorso più ampio sulla fortuna del personaggio. Il 2 aprile del 1725, a Venezia, lo mette al mondo l’attrice Zanetta Farussi: il padre naturale, il nobile Michele Grimani, non lo riconosce (il bimbo prende il cognome del marito della madre) ma lo proteggerà per tutta una vita di relazioni sociali turbolente e rocamboleschi rapporti amorosi. Giacomo abbozza la carriera ecclesiastica, lavora come avvocato e violinista, è dedito alla scrittura, alla filosofia e alle arti magiche. Gira in Italia e in Europa, da Costantinopoli a Parigi. Nel 1755, per

Donald Sutherland in una scena del film Il Casanova di Federico Fellini (1976)

CASANOVA COMPIE TRECENTO ANNI IL MITO TRA VERITÀ E FINZIONE

Giacomo abbozza la carriera ecclesiastica lavora come avvocato e violinista

Racconti di vita del grande seduttore veneziano un’accusa generica di libertinaggio, viene recluso nel carcere veneziano dei Piombi, da cui evade l’anno dopo con un’azione spericolata. Scappa in Europa centrale e poi si ferma a lungo a Parigi, protetto dall’amico cardinale De Bernis. Vive a Londra, visita Berlino, Mosca e la Spagna, conosce re, imperatori, letterati e artisti. Duella con le armi e con le parole, nientemeno che contro Voltaire. Nel 1774 finalmente torna a Venezia, dove sopravvive scrivendo e facendo la spia per conto dell’Inquisizione. Finché non rivela in un libro le sue origini nobili: la ‘vera’ nobiltà fa quadrato contro il ‘parvenu’ e nel 1783 Casanova è di nuovo costretto all’esilio. Diventa bibliotecario del conte Waldstein nel castello di Dux, in Boemia, dove muore nel 1798. Un personaggio complesso, dunque, che secondo Trampus può essere racchiuso nella definizione di ‘avventuriero’, o piuttosto di ‘avventuriero onorato’, dal titolo di una commedia di Goldoni del 1751. L’uomo che cambia mestieri e paesi e da ogni situazione trae il meglio, facendo leva sul suo talento, il suo fascino e la sua capacità di seduzione. Non un ‘sensuale’ che mira solo a soddisfare i capricci della carne, non

un libertino (ossia sregolato e dissoluto) né un impostore, perché non vive di truffa e, pur adattandosi al pubblico per suscitare interesse, rimane in fondo sempre sé stesso. Uno che non ha mai avuto “un solo scopo” e si è lasciato trasportare “dal vento che soffiava”. Alto, olivastro, non bello, vanesio, in vita non gli arride la fama: due fratelli pittori sono più noti di lui, l’idea di competere con Voltaire per abilità letteraria resta un’illusione, qualità personali e meriti artistici non gli valgono alcuna particolare considerazione. Oltre vent’anni dopo la morte, grazie alla pubblicazione delle sue intriganti memorie, conquista la ‘celebrità’, che è cosa diversa dalla fama e quasi prescinde dal personaggio, derivando piuttosto dalla pubblicità e dalla curiosità del pubblico verso aspetti morbosi della sua vita. Nel 1822 l’editore Brockhaus di Lipsia dà alle stampe Storia della mia vita: il testo traduce in tedesco, con qualche libertà, il manoscritto originale di Casanova, che è in francese (per una scelta legata alla popolarità della lingua) e resterà sotto chiave fino al 1960. In Francia circola una versione riadattata dal tedesco al francese. Nel 1834 la Santa Inquisizione mette al bando il libro, che chiama un papa ‘coglione’ e racconta di un

rapporto saffico tra suore, bloccando la pubblicazione di una versione italiana ma accrescendo la curiosità verso Casanova. La ‘Storia’, in effetti, si presta a varie letture: mostra l’aspetto perverso e oscuro del Secolo dei Lumi, ma anche quello dell’Ancien Regime. Il suo protagonista è, a seconda dei casi, un “missionario di sciagurata depravazione”, un coraggioso ribelle, un massone (anche se la massoneria del Settecento non aveva i caratteri patriottici di quella successiva), un eroe che fugge dalla stretta iniqua del sistema giudiziario, un esule sfortunato diviso dalla patria, un moderno ‘scapigliato’ dedito alla crudezza delle passioni e al libero fluire della vita. Solo nel 1922 il tribunale di Firenze legittima la pubblicazione delle memorie in Italia, ma intanto Casanova ha affascinato clandestinamente lettori illustri: Lombroso lo studia per confermare le sue teorie sul crimine, Svevo gli strizza l’occhio, Carducci lo trova immorale, D’Annunzio ne fa un inconfessabile modello, Marinetti lo imita. Nella seconda metà del Novecento il veneziano diventa un fenomeno mediatico, invadendo l’arte, la musica, il fumetto, la cinematografia. Si consuma una completa divaricazione tra il mito al servizio dei tempi e la figura storica di Giacomo, insieme esuberante e triste, tutta protesa all’incanto della narrazione. Due film simboleggiano, secondo Trampus, l’antitesi tra suggestione e realtà: Il Casanova di Federico Fellini e Il mondo nuovo di Ettore Scola. Il personaggio di Fellini è l’epitome del mito, perfino antifascista in quanto dissacratore del superficiale e del vacuo, della vita vissuta a suon di slogan; quello di Scola è il vecchio, benché raffinato, arnese di un mondo che scompare, lo scrittore grande e fallito che affida il suo messaggio in bottiglia a un futuro ipotetico, più clemente e indiscreto del presente.

LE BRACCIATE DI ALÌ IL CAMPIONE DI NUOTO RACCONTA

LE SUE IMPRESE

Lo studio da ingegnere e il lavoro per la costruzione della diga di Assuan gli allenamenti nel Nilo e i corsi a Roma Ecco chi è il caimano d’Egitto

di Giovanni Carlo La Vella

Dalle acque del Nilo all’azzurro Tirreno, per poi approdare sulle rive del Tevere. Questa, molto in breve, è la storia di Alì Moshely. Egiziano, nuotatore dalle doti non comuni, da sempre promotore dei benefici dello sport natatorio in tutte le sue declinazioni. Una storia, la sua, particolare, appassionante, fatta di imprese per le quali gli è stato dato l’appellativo di ‘caimano’. Oggi, continua a essere ambasciatore e fautore dei benefici del nuoto e dell’attività

fisica in generale, gestisce a Roma, in zona Eur, un’ampia struttura dove si svolgono attività di hydrofitness e non solo, ma è lui stesso che racconta di sé a 50&Più.

«Sono nato nel 1945 al Cairo, in Egitto, e fin da quando avevo tre anni ho imparato a nuotare nella piscina privata del Re Farouk, perché mio padre era il capo delle guardie del sovrano. Verso i sette anni ho iniziato a fare le prime gare e ho avuto i primi piccoli successi. Ho dunque imparato i vari stili natatori»

Alì, quando c’è stato l’approccio con le acque del Nilo?

Da ragazzo, assieme allo studio - durante le scuole regolari, mi sono laureato in ingegneria e ho lavorato alla realizzazione della diga di Assuanho cominciato ad apprezzare le gare di mezzofondo (distanze sui 3 chilometri) e le gare di fondo (dai 4 chilometri in su). I risultati ottimi mi hanno permesso di entrare nella squadra egiziana di nuoto e lì sono cominciati gli impegni seri. Per quelle distanze, dai 7 ai 12 chilometri, non era più sufficiente la piscina, per cui quasi giornalmente ci allenavamo nel Nilo che, al Cairo, vicino alla foce, scorre molto lentamente.

È lì che le è stato dato l’appellativo ‘il caimano’?

Esattamente. È un titolo, caimano del Nilo, che in Egitto viene dato ai nuotatori che raggiungono un certo livello, ed è rimasto qualcosa che ha connotato la mia persona in senso agonistico. Con la squadra egiziana abbiamo quindi cominciato a disputare delle gare internazionali e c’è stata l’occasione di effettuare la Napoli-Capri. Nuotando dietro la mia barca-guida non mi sono reso conto che ero in testa e quando sono arrivato sono stato piacevolmente sommerso dall’en-

A sinistra, una delle “traversate del caimano” organizzate a Scauri (Lt)

tusiasmo della gente napoletana. Mi sono affezionato al calore del popolo italiano, tanto che col tempo si è creato un legame forte. Mia moglie è napoletana e io, come mia figlia Karima, ho la nazionalità italiana. Insomma, l’Italia, dove ho deciso di rimanere, è diventata la mia seconda patria, senza dimenticare l’Egitto in cui sono nato. Come è diventato stabile il rapporto con il nostro paese?

Dopo il servizio militare sono torna-

to in Italia, dove ho conosciuto mia moglie, e mi sono stabilito a Roma. Ho continuato, ormai quasi 40enne, a lavorare nel nuoto, facendo l’istruttore. Un giorno la Federazione di nuoto, che aveva avuto modo di conoscermi, mi ha chiesto - erano gli Anni ’80 - di gareggiare in una staffetta 1.000 metri per 50 da disputare alla piscina olimpionica del Foro Italico. Nonostante lavorassi fino a tardi, ho dovuto accettare. Questo per dire che anche le istituzioni sportive del nuoto hanno apprezzato le mie doti.

Anche da istruttore ha continuato ad avere successo?

Sì, sono istruttore internazionale ri-

conosciuto. Tanti miei allievi sono diventati nuotatori di livello. Tra tutti vorrei ricordare Stefano Battistelli, prima medaglia maschile italiana in una olimpiade. Poi, grazie a una serie di circostanze, ho avuto modo nel 1995 di creare una mia realtà associativa: l’Euromar. E qui dal nuoto ho avuto modo di allargare l’offerta a tante altre discipline: ginnastica, danza, karate, ecc.

Tornando al nuoto, è vero che ha diversificato i corsi in base all’età degli allievi?

Sì, ho riservato spazi diversi per gli agonisti, per le signore che fanno ginnastica in acqua e per i bambini fin dalla più tenera età. Per loro ho realizzato una piscina più piccola con temperatura un po’ più elevata e con una più bassa concentrazione di cloro. Anche per i portatori di disabilità ci sono corsi riservati, due giorni alla settimana e a costi ridotti. Ho preso questa decisione come una missione, a fronte del fatto che praticamente non esistono realtà nel nuoto dedicate ai disabili. Lo stesso faccio con gli anziani, creando delle condizioni gradevoli per coloro che vogliono continuare a fare attività fisica anche in età avanzata. Sì, devo dire che sono riuscito a creare un ambiente amichevole e familiare nel mio centro e pretendo questa cordialità anche dagli istruttori che lavorano con me.

La passione per il nuoto di fondo è rimasta?

Sì, ‘il caimano’ c’è sempre in me. Dove vado spesso in vacanza in estate, ho organizzato la “traversata del caimano” tra Scauri e Minturno (Lt), una nuotata amatoriale per tutti coloro che vogliono sperimentare il nuoto di fondo, per me un amore che non finisce mai.

Tecnologia e dintorni

CURIOSITÀ

Nel 1992, al Comdex di Las Vegas, viene presentato il primo smartphone della storia

l’IBM Simon: dotato di schermo touch LCD, invia e riceve chiamate, e-mail e fax

1

SULLA LUNA C’È UNA TECNOLOGIA ITALIANA

A bordo del lander Blue Ghost, un ricevitore “Made in Italy”

Il lander Blue Ghost, finanziato dal programma Clps della Nasa, è atterrato sulla Luna. È il secondo lander privato ad allunare e trasporta dieci strumenti scientifici per testare varie tecnologie e raccogliere dati utili per future missioni. Tra i carichi, è presente LuGre, un ricevitore italiano che permette di connettersi direttamente ai satelliti Gps e Galileo. La missione, realizzata da Firefly Aerospace, mira anche a studiare il sottosuolo lunare e a fornire informazioni sul meteo spaziale.

2

CERCHIA E CERCA: GOOGLE LENS SI EVOLVE

Arriva su Chrome per iOS con una funzione simile

“Cerchia e cerca” è certamente una delle funzioni più comode tra quelle introdotte di recente da Google su Android. Ora, Google sta per portarne una simile a “Cerchia e cerca” su Chrome per iOS, chiamata però “Cerca sullo schermo con Google Lens”. Disponibile tramite il menu a tre puntini del browser, questa funzione consente di selezionare qualsiasi area dello schermo per avviare una ricerca tramite Google Lens, semplificando il processo rispetto al dover fare uno screenshot.

3

DAL REGNO UNITO UN NUOVO ROBOT UMANOIDE

Si chiama HMND 01 e vuole sfidare il dominio di Cina e USA

La startup britannica Humanoid ha presentato HMND 01, un robot umanoide progettato per competere con i colossi tecnologici nel settore dell’automazione. Alto 175 cm e pesante 70 kg, il robot si distingue per la sua agilità, la capacità di sollevare pesi fino a 15 kg e un’autonomia di 4 ore. Una delle caratteristiche più innovative è il suo design modulare: permette di personalizzarlo per diverse applicazioni, dai magazzini alle abitazioni private, rendendolo versatile e accessibile.

4

INTELLIGENZA ARTIFICIALE E MEDICINA SIMULATA

Un robot che simula reazioni umane per la formazione medica

Si chiama Hal, proprio come il supercomputer di bordo della nave spaziale Discovery e il principale antagonista del film 2001: Odissea nello spazio. Lui però non è cattivo. Tutt’altro. Hal, infatti, è un robot umanoide con un software IA con cui gli studenti possono esercitarsi in rianimazione presso il primo centro di simulazione medica avanzata dell’Università di Trieste. Hal presenta arti robotizzati e reazioni fisiologiche reali, parla, suda e piange. Può persino muovere occhi e braccio.

Dal 13 al 14 maggio, a Milano Fiera Rho, si tiene la 6ª edizione della AI Week 2025, il più grande evento europeo dedicato all’intelligenza artificiale per manager, imprenditori e professionisti. Per info: www.aiweek.it

VASCO TRANSLATOR E1

IL DIALOGO UNIVERSALE IN TEMPO REALE

L’auricolare traduce oltre 50 lingue unisce tecnologia avanzata e relazioni umane abbattendo le barriere e avvicinando le persone

Una volta c’erano i dizionari, poi sono arrivati i corsi di lingua, i viaggi studio e i vocabolari tascabili. Oggi, basta un piccolo un auricolare per parlare con il mondo. Il futuro, insomma, si mette all’orecchio. E non solo è un modo di dire: con il dispositivo Vasco Translator E1, si entra in una nuova era della comunicazione, un’era in cui il cinese, l’arabo o il norvegese non fanno più paura. Basta indossare questi auricolari, aprire un’applicazione e il dialogo è già iniziato.

Con un semplice collegamento via Bluetooth all’applicazione Vasco Connect (gratuita per Android e iOS), il Vasco E1 consente una traduzione simultanea in 51 lingue diverse, che diventano 64 se abbinato al Vasco Translator V4, un piccolo traduttore vocale con schermo e fotocamera. Una vera torre di Babele tascabile.

Il funzionamento è intuitivo: ognuno degli interlocutori indossa un auricolare, seleziona la lingua desiderata e inizia a parlare. Il dispositivo, tramite l’intelligenza artificiale, capisce, traduce e trasmette la voce dell’altro, tutto in pochi istanti. È possibile perfino leggere la traduzione sullo smartphone, o attivare la modalità altoparlante per usare solo un auricolare, utile in viaggio, al ristorante o in un museo. Indossare il Vasco Translator è altrettanto facile, con un archetto flessibile che si adatta all’orecchio senza particolari fastidi e li rende comodi per ore. Ogni cuffietta è disegnata per calzare il padiglione auricolare destro, scelta insolita ma funzionale: il set base ne contiene due, proprio per una conversazione in coppia. C’è anche spazio per le riunioni multilingue, dato che l’applicazione permette di collegare fino a 10 auricolari contemporaneamente,

ognuno impostato su una lingua diversa. Con la modalità “senza contatto”, poi, non serve neanche premere un pulsante: basta parlare e attendere la traduzione, mentre sullo smartphone compare anche il testo trascritto. Ma la cosa più interessante è che non si parla di un gadget per geek (appassionati di tecnologia). Il Vasco è stato pensato per tutti; professionisti, viaggiatori, ma anche per chi vuole fare semplicemente una chiacchierata con un passante straniero, senza sentirsi fuori luogo. Il prezzo, circa 389 €, può essere un investimento significativo, giustificato dalla versatilità del prodotto. Uno sguardo anche ai limiti. I tempi di risposta in conversazione non sono immediati (2-3 secondi), e in ambienti rumorosi è meglio scandire bene le parole. Ma il risultato è comunque sorprendente: le traduzioni sono accurate e l’audio è fluido e scorrevole. E’ come avere un superpotere; che sia per chiedere indicazioni a Tokyo o per una riunione di lavoro a Berlino, oggi si può parlare con chiunque, ovunque, senza barriere linguistiche.

di Dario De Felicis

L'angolo della veterinaria

a cura di Irene Cassi

IL SONNO NEGLI ANIMALI

Come dormono uccelli, cani, delfini e altre specie

Fasi, ritmo e narcolessia tra disturbi e patologie

CHE COS’È IL SONNO

Dare una definizione esaustiva è piuttosto complicato. Il concetto di sonno è strettamente correlato a quello di esistenza e rappresenta uno stato di incoscienza attivo in cui l’organismo entra in uno stato di riposo. Le diverse esigenze di vita e di comportamento possono influire sulla struttura del sonno degli animali. Per i mammiferi è particolarmente importante la fase appetitiva o preparatoria. Questa è peculiare in ogni specie animale ed è caratterizzata dalla ricerca, localizzazione e preparazione del luogo in cui dormire, oltre che dall’assunzione di particolari atteggiamenti del corpo. Alcune specie animali scelgono di dormire in caverne, altre in tane e altre ancora sugli alberi. Il criterio di scelta si basa sul grado di sicurezza e di conforto fornito da ciascun luogo. Animali come le zebre non ricer-

cano un luogo sicuro dove dormire, ma istituiscono turni di guardia per salvaguardarsi dai predatori.

GLI UCCELLI NEL SONNO

SI DIFENDONO

Gli uccelli presentano un sonno uni-emisferico, in pratica riuscirebbero a dormire con un occhio chiuso e uno aperto così da potersi difendere da eventuali predatori.

I DELFINI RESTANO SEMPRE VIGILI

I delfini dormono con un emisfero cerebrale alla volta, chiudendo un solo occhio, quello contro laterale. In questo modo possono riposare senza perdere il controllo dei movimenti volontari e mantenendo una certa vigilanza, salvaguardandosi anch’essi da eventuali predatori. In genere, durante il sonno i delfini tendono a stare in coppia, nuotando fianco a fianco.

LE FASI DEL SONNO

Possiamo differenziare il sonno in una fase REM, nota anche come sonno paradosso o sonno rapido, e in una fase NREM, detta anche sonno profondo o sonno lento. L’acronimo REM sta per “Rapide Eyes Movements”, che significa “rapidi movimenti degli occhi”.

QUANTO DORMONO GLI ANIMALI

Alcune specie come l’armadillo, l’opossum e il bradipo sono dei veri virtuosi del sonno, dormono anche fino a 20 ore al giorno. Il cane dorme più di 10 ore. Il gatto circa 12 ore, il coniglio oltre 11 ore, lo scimpanzé quasi 10 ore, l’anatra circa 11 ore, il maiale quasi 8 ore. Altri, invece, come il bovino, la pecora e il cavallo, dormono poche ore al giorno. Gli insettivori appena un'ora al giorno.

IL RITMO VEGLIA/SONNO

NEGLI ANIMALI DA COMPAGNIA

Negli animali da compagnia il ritmo veglia/sonno è fortemente influenzato dallo stile di vita del proprietario che rappresenta il referente più importante su cui viene tarato il loro orologio biologico. Il sonno ci è utile per capire il comportamento di cani e gatti che vivono nelle nostre case. Esso infatti subisce profonde modificazioni quando il pet manifesta un disagio psicofisico.

IPERSONNIA, IPOINSONNIA E INSONNIA

I disturbi del sonno riscontrabili negli animali da compagnia sono: ipersonnia, ipoinsonnia ed insonnia. Ipersonnia può essere classificata in ipersonnia senza modificazioni qualitative e ipersonnia con aumento parossistico della durata del sonno REM. I

soggetti con ipersonnia senza modificazioni qualitative presentano uno stato depressivo acuto, spesso determinato da problemi correlati alla sfera alimentare. Nell’ipersonnia con aumento parossistico del sonno paradosso corrisponde, invece, il quadro clinico della sindrome narcolessi-catalessi. L’ipoinsonnia è caratterizzata da una diminuzione globale della durata del sonno, senza alterazioni dello svolgimento dei cicli né di risvegli durante il corso del sonno. Si riscontra nella sindrome HSHA, nello stereotipie e nelle distimie. Le insonnie sono suddivisibili in insonnie a cicli regolari e in insonnie con inversione di ciclo. Nell’insonnia a ciclo regolare il pet si risveglia alla fine dei cicli completi, è agitato e talora sporca o distrugge oggetti. Questo tipo di insonnia si riscontra generalmente nei soggetti affetti da ansia da separazione. Nelle insonnie con inversione di ciclo il

quadro clinico è molto più complesso ed è caratterizzato da una diminuzione, talora assai marcata, della durata del sonno e da un addormentamento in sonno paradosso. Questo tipo di insonnia si riscontra, in genere, nei soggetti con depressione cronica o affetti da Sindrome di Cushing o con alcuni tumori cerebrali.

LA NARCOLESSIA

Rappresenta la principale causa di eccessiva sonnolenza diurna. È un disturbo su base genetica, a trasmissione autosomica recessiva, segnalato in razze come Dobermann, Labrador, Bassotto, Dogo Argentino, Rottweiler e Barboncino. È caratterizzata da alterazioni comportamentali piuttosto evidenti quali eccessiva sonnolenza diurna e cataplessia, causate da stimoli emozionali. Durante l’attacco il pet cade a terra e non riesce a muoversi.

TRANSIZIONE DEMOGRAFICA, INPS

“SFIDA

CULTURALE PRIMA ANCORA

CHE ECONOMICA”

Il 10 aprile scorso l’Istituto ha partecipato a un’audizione in Commissione parlamentare sugli effetti della transizione demografica in atto. Necessarie le politiche per incrementare la base contributiva ma anche per promuovere l’invecchiamento attivo

Le più recenti previsioni demografiche, aggiornate al 2023, confermano un quadro potenzialmente critico per il futuro del nostro paese. Lo si legge nella memoria dell’Inps illustrata in occasione dell’audizione davanti alla Commissione parlamentare di inchiesta sugli effetti economici e sociali derivanti dalla transizione demografica. Nei prossimi decenni si prevede infatti un progressivo calo della popolazione residente e, a parere dell’Inps, neppure negli scenari di natalità e mortalità più favorevoli il numero di nascite potrebbe compensare quello dei decessi, soprattutto considerando che nel 2024 il tasso di fecondità è stato di 1,18 figli per donna, nuovo minimo storico dal 1995. È evidente come queste dinamiche demografiche stiano progressivamente indebolendo il mercato del lavoro e come diventi determinante impiegare in modo strategico ed efficiente risorse che oggi non sono pienamente attive. Secondo l’Inps non vi sono al momento ragioni per sostenere che il nostro sistema pensionistico non sarà in grado di garantire in futuro le prestazioni cui è preposto, ma “occorre in ogni caso essere vigili e mettere in atto politiche pubbliche adeguate”. In particolare, l’equilibrio di un sistema a ripartizione come il nostro potrà essere garantito non solo con il contenimento della spesa pensionistica, ma anche con l’introduzione di politiche volte a incre-

mentare la base contributiva. Pertanto, sul fronte delle entrate, “è fondamentale incentivare la partecipazione al mercato del lavoro di donne e giovani, due categorie che storicamente registrano tassi di partecipazione piuttosto bassi, intervenendo per colmare il divario di genere e favorire una loro maggiore inclusione”. A tal fine, sarà necessario non solo rafforzare le misure introdotte negli ultimi anni a sostegno della genitorialità e della conciliazione tra vita familiare e lavoro, ma anche agevolare l’inserimento dei giovani nel mercato del lavoro attraverso iniziative volte a ridurre il gap tra domanda e offerta.

Per quanto riguarda invece le uscite, l’Istituto ritiene “che un lieve incremento dell’età effettiva di pensionamento, sotto forma di mera facoltà, risponda al duplice obiettivo di venire incontro alle esigenze personali dei lavoratori che hanno una rilevante anzianità contributiva e favorire il passaggio intergenerazionale delle competenze”.

Anche l’Inps sostiene che gli anziani debbano essere considerati una risorsa per il paese. La fascia di popolazione cosiddetta ‘silver’ si contraddistingue rispetto alle altre fasce d’età per una migliore condizione economica, ottenuta grazie ai risparmi e agli investimenti di una vita di lavoro e rimasta stabile durante la crisi. Proprio in considerazione del progressivo invecchiamento della popolazione, particolare rilievo assumono le politiche di promozione della

dignità e dell’autonomia degli anziani, come per esempio l’approvazione del decreto legislativo n. 29 del 2024, attuativo del cosiddetto “Patto per la terza età”.

Per quanto riguarda l’occupabilità dei lavoratori senior, è sempre più evidente, secondo l’Istituto, la necessità di un cambiamento culturale che superi i pregiudizi e il concetto che queste risorse rappresentino un problema per il mondo del lavoro. Al contrario, anche per far fronte alla carenza di manodopera in alcuni settori chiave, occorre potenziare ulteriormente le misure che incentivano la permanenza volontaria nel mercato del lavoro, come quelle introdotte dalla Legge di bilancio 2025. È fondamentale riconoscere e valorizzare il potenziale legato all’invecchiamento della forza lavoro, promuovendo per i lavoratori più anziani percorsi di uscita graduali, in modo da favorire la trasmissione delle competenze tra generazioni.

Concordiamo con l’Inps nel ritenere che oggi la sfida sia culturale, prima ancora che economica. Dopo anni di riforme volte a contenere la spesa pensionistica, a parere dell’Istituto, è indispensabile ripensare l’approccio al lavoro, anche attraverso l’inclusione generazionale e la valorizzazione del capitale umano. Se nei prossimi anni sapremo cogliere questa sfida, attuando politiche efficaci e integrate, quella che oggi appare come una minaccia può trasformarsi in una concreta opportunità di rinnovamento.

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DICHIARAZIONE DEI REDDITI 2025 CONSIGLI OPERATIVI

Prosegue

l’analisi del processo di attuazione del primo modulo di riforma dell’Irpef, iniziato con il decreto legislativo n. 216/2023

Come esaminato nell’articolo della rivista di aprile, con il D.Lgs. n. 216/2023 si è iniziato il processo di attuazione del primo modulo di riforma delle imposte sul reddito delle persone fisiche che, come è noto, ha apportato modifiche al sistema di tassazione dei redditi ai fini Irpef che ricordiamo, tra l’altro, come segue.

Aliquote IRPEF 2024

● 23% per i redditi fino a € 28.000;

● 35% per i redditi superiori a € 28.000 e fino a € 50.000;

● 43% per i redditi che superano € 50.000.

Si ricorda anche che questa modifica è stata resa strutturale con la Legge di Bilancio 2025.

Come avviene di sovente, l’introduzione di modifiche comporta la necessità di intervenire, in una fase successiva, su aspetti che vanno modulati e gestiti in corso d’opera.

Anche in detto caso, a seguito delle variazioni degli scaglioni e delle aliquote Irpef (si rinvia a quanto indicato nel nostro precedente articolo) è stato necessario l’intervento dell’Agenzia delle Entrate che, con il comunicato stampa n. 32 del 25 marzo 2025, ha esposto concetti il cui contenuto è di interesse generale e, conseguentemente, oggetto del nostro articolo.

Con il comunicato in esame l’Amministrazione finanziaria ha posto l’attenzione su quanto denunciato da alcuni Caf in merito a un maggior carico fiscale per i lavoratori dipendenti, che verrebbero gravati dell’onere di versare l’acconto Irpef per l’anno 2025

anche in mancanza di redditi ulteriori rispetto a quelli già assoggettati a ritenuta d’acconto. In particolare, il predetto maggior onere fiscale deriverebbe, secondo l’interpretazione riportata dai Caf, dall’applicazione della disposizione contenuta nell’articolo 1, comma 4, del D.Lgs. 30 dicembre 2023, n. 216, che, prevedendo la riduzione dal 25 al 23% dell’aliquota Irpef per i redditi da € 15.000 a € 28.000 e l’innalzamento della detrazione di lavoro dipendente da € 1.880 a € 1.955, ha stabilito che tali interventi non si applicano per la determinazione degli acconti dovuti per gli anni 2024 e 2025, per i quali si deve considerare la disciplina in vigore per l’anno 2023. Secondo l’Agenzia delle Entrate, l’incongruenza evidenziata dai Caf deriva dal fatto che le aliquote, gli scaglioni e le detrazioni Irpef sono stati in una prima fase modificati in via temporanea, per un solo periodo d’imposta (2024), e successivamente stabilizzate a regime dal 2025. Inoltre, reputa che con la disposizione in questione si intendeva sterilizzare gli effetti delle modifiche alla disciplina Irpef soltanto in relazione agli acconti dovuti dai soggetti la cui dichiarazione dei redditi evidenziava una differenza a debito di Irpef, in quanto percettori di redditi ulteriori rispetto a quelli già assoggettati a ritenuta d’acconto.

L’Agenzia “giustifica” la situazione affermando che l’intenzione del legislatore non era volta a intervenire nei confronti di soggetti - come la maggioranza dei lavoratori dipendenti e pensionati - che, in mancanza di altri

redditi, non sono tenuti a presentare la dichiarazione dei redditi. Considerando quanto sopra, l’Agenzia ritiene che la disposizione di cui all’articolo 1, comma 4, del D.Lgs. 216/2023 vada interpretata, nel senso che l’acconto per l’anno 2025 è dovuto, con applicazione delle aliquote 2023, solo nei casi in cui risulti di ammontare superiore a € 51,65 la differenza tra l’imposta relativa all’anno 2024 e le detrazioni, crediti d’imposta e ritenute d’acconto, il tutto però calcolato secondo la normativa applicabile al periodo d’imposta 2024.

In ogni caso, in considerazione dei dubbi interpretativi posti e al fine di salvaguardare tutti i contribuenti interessati, il governo interverrà anche in via normativa per consentire l’applicazione delle nuove aliquote del 2025 per la determinazione dell’acconto. L’intervento sarà realizzato in tempo utile per evitare ai contribuenti aggravi in termini di dichiarazione e di versamento.

In base a quanto sopra riportato, si evince e si consiglia al contribuente di operare con attenzione in sede di redazione della dichiarazione dei redditi, al fine di verificare che il risultato che ne deriva tenga conto della corretta interpretazione delle norme e dell’avvenuto intervento correttivo da parte delle autorità competenti.

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ULTERIORI

INCONTRI 50&PIÙ IN SARDEGNA AL MARINA BEACH DI OROSEI (NU)

GIUGNO 2025

Una grande festa di inizio estate dove ritrovarsi e condividere il piacere di una vacanza all’insegna del bel mare, del relax, del divertimento e della scoperta di luoghi. Una scelta di qualità arricchita con attività culturali, corsi di cucina, tornei di burraco e gara di ballo, oltre all’assistenza dello staff 50&Più e 50&Più Turismo. Vi aspettiamo nella bella Sardegna.

CLUB HOTEL MARINA BEACH

Un perfetto villaggio-vacanze nel Golfo di Orosei, direttamente sul mare e sulle spiagge incontaminate della Sardegna. Si trova a circa 50 minuti dal porto/aeroporto di Olbia, inserito in un Parco di 23 ettari con giardini meravigliosi e frutteti, proprio di fronte a una spiaggia di sabbia dorata lunga circa 7 km, una delle più belle della Sardegna. Le forme architettoniche, le piazzette interne, le grandi piscine e la posizione rispetto al mare fanno del complesso uno dei più belli ed eleganti realizzati in Sardegna. Servizio navetta dal Resort al vicino paese di Orosei servito anche da una pista pedonale illuminata.

PERIODO

QUOTA INDIVIDUALE DI PARTECIPAZIONE

DOPPIA / MATRIMONIALE DOPPIA USO SINGOLA 3° LETTO ADULTO

Dal 3 all’11 giugno (8 notti/9 giorni)

RIDUZIONI BAMBINI

Bambini 0/12 anni, non compiuti, in terzo letto

Bambini 0/12 anni, non compiuti, in quarto letto

gratuiti

Le quote di soggiorno sopra riportate sono riservate ai soci 50&Più Associazione. Per i non soci 50&Più è previsto un supplemento di € 50 a partire dai 18 anni

LA QUOTA COMPRENDE: Soggiorno di 8 notti/9 giorni (camere disponibili alle 15:00 del giorno di arrivo e liberate entro le ore 10:30 del giorno di partenza) • Trattamento di pensione completa a buffet dalla cena del giorno di arrivo al pranzo del giorno di partenza (per arrivi anticipati con il pranzo, i servizi terminano con la prima colazione del giorno di partenza) • Bevande ai pasti (acqua minerale e vino) • Tessera Club (dà diritto a tutte le attività sportive e ricreative del Marina Beach) • Servizi balneari riservati in spiaggia (un ombrellone e 2 lettini per camera) • Animazione diurna e serale con spettacoli, piano bar, giochi e tornei • Partecipazione ad attività culturali e ricreative organizzate da 50&Più • Partecipazione al Torneo di Burraco 50&Più • Assistenza medica H24 • Assicurazione bagaglio/sanitaria e annullamento viaggio UnipolSai SpA • Presenza di personale 50&Più e 50&Più Turismo.

L A QUOTA NON COMPRENDE: Tutti i trasporti da e per il Marina Beach (quote su richiesta) • Telo mare a noleggio (da affittare in loco) • Escursioni facoltative da acquistare e pagare in loco • Eventuali imposte di soggiorno comunali, da regolare in loco (attualmente € 1,20 per persona al giorno) • Extra in genere e tutto quanto non espressamente specificato. - 50%

CONCORSO 50&PIÙ APPUNTAMENTO CON LA CREATIVITÀ

dall’11 al 16 luglio 2025 (5 notti/6 giorni)

Si riparte con la 43a edizione del Concorso, l’Evento 50&Più rivolto a tutte le persone che vogliono trovare nell’esperienza artistica il piacere di comunicare e valorizzare la propria ispirazione e creatività.Nel corso della fase finale del Concorso, i concorrenti potranno partecipare a seminari e laboratori condotti da noti artisti e condividere la propria esperienza con altri “colleghi” pittori, scrittori, fotografi, dilettanti. Una Giuria, composta da affermati nomi della cultura, selezionerà le opere che saranno premiate con i due simboli del Concorso: la Farfalla e Libellula d’oro e d’argento.

GRAND

HOTEL DINO (4 STELLE

SUPERIOR) - BAVENO (VB)

A grande richiesta si ritorna sul Lago Maggiore!

Gli splendidi Hotel del Gruppo Zacchera Hotels, per la loro posizione privilegiata, il magnifico scenario del Lago Maggiore e delle Isole Borromee, la qualità del servizio, la professionalità e ospitalità attenta e personalizzata, sono una garanzia da oltre 150 anni!

Durante il soggiorno sarà prevista una escursione guidata alla scoperta dei dintorni, e inoltre sarà possibile effettuare escursioni facoltative, tra le quali: Locarno in Svizzera, le Isole Borromee o il Lago d’Orta, i giardini di villa Taranto o la Rocca Borromea di Angera.

QUOTA INDIVIDUALE DI PARTECIPAZIONE

In camera doppia

Supplemento camera singola

Supplemento a camera vista lago garantita

€ 740

€ 320

€ 350

Riduzioni adulti e bambini 3°/4° letto Su richiesta

Possibilità di arrivo anticipato al 10 luglio Su richiesta

Le quote di soggiorno sopra riportate sono riservate ai soci 50&Più Associazione. Per i non soci 50&Più è previsto un supplemento di € 50 a partire dai 18 anni

LA QUOTA COMPRENDE: Soggiorno (5 notti/6 giorni) in camera doppia in Hotel del gruppo Zacchera con trattamento di pensione completa (acqua minerale ai pasti, inclusa) • Partecipazione ai convegni e agli intrattenimenti proposti dall’organizzazione • Una escursione di mezza giornata • Ingresso alla piscina interna ed esterna • Assistenza staff 50&Più • Assicurazione.

LA QUOTA NON COMPRENDE: Trasporti da e per Baveno • Bevande extra ai pasti • Accesso al Centro Benessere SPA • Escursioni facoltative • Tassa di soggiorno (da regolare in loco) • Mance, extra in genere e tutto quanto non specificato.

Turismo

CASTELLANETA MARINA (TA)

dal 14 al 22 settembre 2025 (8 notti/9 giorni)

A grande richiesta si torna all’ETHRA RESERVE, nella Riserva Naturale di Stornara, un’area naturalistica protetta, affacciata su una lunga e selvaggia spiaggia riservata in una splendida costa lunga 5 km, con un mare pulito e incantevole. Saremo accolti nel pregiato Resort di cui verranno utilizzate le strutture turistiche del Valentino Village (4 Stelle e 4 Stelle Superior) e dell’EcoLodge Alborea (5 Stelle).

RISTORAZIONE - In pieno stile Bluserena dal menù ricco, vario e di qualità. Gli chef vi condurranno alla scoperta del territorio e delle tradizioni italiane anche con piatti cucinati a vista.

FORMULA PENSIONE PIÙ - Prima colazione a buffet con caffetteria da dispenser; pranzo e cena a buffet con show cooking, vino alla spina e acqua microfiltrata inclusi. In aggiunta è prevista la somministrazione al bar di un caffè dopo pranzo e un caffè dopo cena, oltre ad acqua microfiltrata tutto il giorno.

MARE E SPIAGGIA - Un’ampia pineta congiunge il Resort ad una spiaggia privata di sabbia fine perfetta per la balneazione. È attiva la navetta continua per il mare (circa 8 minuti di percorrenza).

TRASPORTI - In pullman organizzati dalle Sedi Provinciali - In aereo con voli per/da Bari e Brindisi, inclusi i trasferimenti al Resort (circa 50 minuti) - In treno per Bari/ Taranto, inclusi i trasferimenti al Resort.

QUOTA INDIVIDUALE DI PARTECIPAZIONE (8 notti/9 giorni)

VALENTINO Village (4 Stelle) IN DOPPIA IN SINGOLAIN 3° LETTO

Camera Classic € 750 € 970€ 600

Camera Premium € 870€ 1.150€ 690

ECO LODGE ALBOREA (5 Stelle) su richiesta

Riduzioni bambino in 3°/4° letto su richiesta

Le quote di soggiorno sopra riportate sono riservate ai soci 50&Più Associazione. Per i non soci 50&Più è previsto un supplemento di € 50 a partire dai 18 anni

LA QUOTA COMPRENDE: soggiorno di 8 notti/9 giorni presso la struttura prescelta con trattamento di pensione completa (acqua minerale e vino locale) • Formula Pensione Più (come sopra descritto) • Servizio di ombrelloni e lettini in piscina e in spiaggia • Noleggio telo mare € 7 per ogni cambio (oltre a € 10 di cauzione) • Tessera club Bluserena • Divisa sportiva • Animazione diurna e serale • Assistenza in loco di personale medico H24 • Assistenza Staff 50&Più e 50&Più Turismo • Assicurazione bagaglio-sanitaria e annullamento UNIPOL SAI.

LA QUOTA NON COMPRENDE: Tutti i trasporti da e per l’Ethra Reserve • Escursioni facoltative (da prenotare e regolare in loco) • Tassa di soggiorno (da regolare in loco) • Pasti extra e tutto quanto non specificato.

Le Olimpiadi 50&Più sono un evento nazionale tra i più partecipati e una gradita opportunità per trascorrere una vacanza al mare di fine estate, ricco di interessanti possibilità d’incontro e di numerose occasioni di svago.

È qui, infatti, che si incontrano tutti coloro che desiderano mettersi in gioco in un contesto di allegria e di sana competizione sportiva.

INFORMAZIONI SPORTIVE - L’organizzazione sarà gestita dallo Staff 50&Più supportata da Giudici FIDAL. I partecipanti, divisi per fascia d’età, gareggeranno per le seguenti gare: bocce, marcia, maratona, nuoto, bicicletta, ping pong, tiri a canestro, tennis, tiro con l’arco e freccette

GRECIA CLASSICA E LE METEORE

LA CULLA DELLA CIVILTÀ MODERNA

Tour alla scoperta del grande patrimonio culturale della Grecia, terra di miti, dèi e filosofi. Si visiteranno luoghi imperdibili come Atene, Epidauro, Micene, Olimpia, Delfi e infine le Meteore, uno degli spettacoli naturali più sorprendenti con formazioni rocciose che si innalzano maestosamente nel cuore della pianura tessalica.

QUOTA INDIVIDUALE DI PARTECIPAZIONE

(minimo 25 partecipanti)

In camera doppia

Supplemento camera singola

1° GIORNO Partenza dall’Italia per Atene e passeggiata con guida per conoscere la città.

2° GIORNO Atene. Visita guidata dell’Acropoli per ammirare il Partenone e i capolavori dell’arte greca, il Museo Archeologico e il Museo dell’Acropoli.

3° GIORNO Corinto - Epidauro – Micene - Olimpia. Partenza per il Peloponneso: sosta al Canale di Corinto, visite guidate del teatro di Epidauro e di Micene con l’Acropoli, Tombe Reali, Mura Ciclopiche e dell’esterno del Palazzo. Proseguimento per Olimpia.

4° GIORNO Olimpia - Itea. Giornata dedicata ad esplorare l’affascinante area archeologica di Olimpia: i resti dei templi di Zeus ed Era, dello Stadio Olimpico e l’antico laboratorio di Fidia. Partenza per Itea sul Golfo di Corinto.

5° GIORNO Itea - Delfi - Kalambaka. Visita del sito archeologico di Delfi, immerso in un paesaggio unico, con il celebre santuario di Apollo e il museo con importante raccolta di arte greca. Trasferimento a Kalambaka.

6° GIORNO Kalambaka - Le Meteore – Atene. Visita con guida delle Meteore, paesaggio unico al mondo con rocce alte 600 metri sormontate da monasteri, un tempo rifugio dei monaci ortodossi. Visita di due monasteri attivi. Trasferimento per Atene attraverso la fertile pianura della Tessaglia e le alte catene montuose.

7° GIORNO Atene - Rientro in Italia. Trasferimento in aeroporto in tempo utile e volo di ritorno per l’Italia.

dal 4 al 10 ottobre 2025 (6 notti/7 giorni) Per maggiori informazioni e prenotazioni contattare: mail: infoturismo@50epiu.it - tel. 06.6871108/369 oppure la sede provinciale 50&Più di appartenenza (Aut. Reg. 388/87)

€ 1.490

€ 510

Le quote di soggiorno sopra riportate sono riservate ai soci 50&Più Associazione. Per i non soci 50&Più è previsto un supplemento di € 50 a partire dai 18 anni

LA QUOTA COMPRENDE: Volo di linea da Roma ad Atene e ritorno • Trasferimenti in bus privato per il tour • Sistemazioni in hotel 4 stelle con trattamento di mezza pensione (prima colazione e cena) • Bevande a cena (1/2 di acqua e ¼ di vino) • Guida-accompagnatore locale durante il tour • Cocktail di arrivederci • Auricolari • Assicurazione medico bagaglio.

LA QUOTA NON COMPRENDE: Supplemento partenza da Napoli € 90, da Milano Linate € 70, sempre via Roma • Assicurazione annullamento € 40 • Pranzi e bevande • Tasse aeroportuali € 110• Ingressi a musei, monumenti e siti archeologici regolabili solo sul posto (circa € 160) • Mance, Extra personale e tutto quanto non indicato.

ANTEPRIMA PARTENZA DICEMBRE

CROCIERA SUL NILO E CAIRO

Partenza: dall'8 al 15 dicembre Esperienza indimenticabile nella terra dei faraoni. Luxor, Valle dei Re e delle Regine, Esna, Edfu, Kom Ombo, Assuan, Il Cairo (con nuovo Museo Egizio). Richiedere il programma a 50&Più Turismo

Epidauro
Meteora
MAR IONIO

Vivere in armonia

SOTTO UN SOLE GENTILE

«In questo mese badino i golosi a non fare abuso di frutta acerba che per avidità di guadagno taluni sogliono raccogliere immature»

Almanacco Barbanera 1887

a cura di

MAGGIO

Il sole gentile di maggio ci porta l’annuncio dell’estate. A braccetto con profumi e colori, il mese di Maia si annuncia sorridente, allegro, pronto alle prime uscite di primavera per far festa a san Giuseppe e alla giornata del Lavoro. Poi, d’un balzo, si arriva con i rosai fioriti a festeggiare la mamma. Perché a maggio ci si incontra, si va con il cestino fuori porta, ci si avvicina con garbo alla natura, pronta a narrare le sue storie di fiori e stelle. Balconi, orti e giardini ci chiamano al lavoro, è tempo di annaffiare, di seminare le polpose primizie dell’estate, di badare alle aromatiche che profumano insalate e ricette della tradizione. Ma sono anche i giorni per far festa alle prime spose dell’anno, per raccogliere le attese ciliegie e forse incontrare, sui campi di grano, le magiche lucciole, in un gioco della memoria che ci rasserena e ci fa salire il buonumore.

ECLETTICO CARCIOFO

Non ha certo la delicatezza di un giglio e nemmeno il profumo di una rosa, ma è un fiore anche il carciofo, seppur deciso e coriaceo. Cibo di lusso nel Rinascimento, epoca in cui si cominciò a coltivare, amato dai buongustai di ieri e di oggi, ci fu chi - come il poeta francese Pierre de Ronsardgli dedicò dei versi celebrandolo come ben più appetibile di pregiate carni. Tipico piatto primaverile, ha nelle varie regioni d’Italia nomi differenti: ‘articiocca’ in Piemonte, ‘ardisciocch’ in Friuli, ‘mazza ferrata’ in Toscana, ‘scarciofera’ in Abruzzo, ‘sgalera’ in Puglia. E diverse sono le varietà - una quindicina - che nascono in tutta la Penisola, con delle vere prelibatezze nel Lazio, Liguria e Sardegna.

IN CUCINA

Consumiamolo anche crudo, in insalata o in pinzimonio. Cotto mangiamolo caldo, tiepido o freddo, fritto, stufato, al forno.

FA BENE PERCHÉ...

Grazie alla cinarina, influisce sul metabolismo del colesterolo e sulla diuresi, protegge e disintossica il fegato. Per l’alto contenuto di ferro, poi, lo si consiglia agli anemici.

BUONO A SAPERSI!

● A 4 anni i bambini possono riporre i loro giochi; a 5, aiutarci a preparare i biscotti; a 6, sparecchiare la colazione; a 7, riordinare i cassetti della biancheria. Ogni anno affidiamo loro un nuovo compito educativo.

● Con la Luna calante laviamo e riponiamo i maglioni invernali. Controlliamo l’etichetta: se possibile, laviamoli a freddo in lavatrice dentro sacchetti con zip, con detersivo delicato o shampoo per bambini, evitando l’ammorbidente.

● Prima di appendere un quadro, verifichiamo la presenza di cavi nel muro passandovi sopra una calamita.

● Con la Luna nuova cambiamo abitudini: annaffiamo le piante con acqua del rubinetto, facendola decantare per un giorno in una bacinella per far evaporare il cloro.

DICE IL PROVERBIO

La lingua non ha osso ma rompe il dosso

Per santa Rita ogni rosa è fiorita Maggio e giugno fan buon fungo

COLTIVARE CON LA LUNA

NELL’ORTO

Maggio porta le prime raccolte: le fragole! In Luna crescente, utilizziamo per le semine di finocchi, bietole e lattughe contenitori in carta delle uova o vasetti di torba. Alla seconda serie di foglie, spostiamole in vasi più grandi o nell’orto. Con la Luna calante, trattiamo di sera le foglie di fagioli, piselli e fragole infestate da afidi e/o ragnetto rosso con macerato di ortica ed equiseto, che prepariamo con 1 kg tra fusti e fiori di equiseto e/o foglie di ortica fresca prima della fioritura, macerati in un vaso aperto per 3 giorni in 10 litri di acqua piovana.

IN GIARDINO

Con la Luna crescente seminiamo aquilegie, convolvoli, papaveri, piselli odorosi e zucchet te ornamentali. Interriamo i bulbi di ciclamini, dalie, lilium e gladioli. Essicchiamo i fiori di biancospino. Sul balcone piantiamo erbe aromatiche come basilico, salvia e rosmarino. Con la Luna calante accorciamo i gerani, rinnoviamo il terriccio delle piante in vaso, raccogliamo l’ortica per tutti gli usi.

GLI ORTAGGI

IL CESTINO DI MAGGIO

Aglio, agretti, asparagi, bietole, carciofi, carote, catalogna, cavolfiori, cavoli broccolo, cavoli cappuccio, cavoli verza, cetrioli, cicorie, cicorini da taglio, cipolle, fagioli, fagiolini, fave, finocchi, indivie, insalate, patate, peperoni, piselli, pomodori, porri, rape, ravanelli, rucola, sedani, spinaci, valerianella e zucchine.

LA FRUTTA

Albicocche, arance ovali o Valencia, ciliegie primaticce, fragole e nespole.

GLI AROMI

Basilico, menta piperita, mentuccia, prezzemolo, rosmarino e salvia.

FIORI E FRUTTI SUL BALCONE AL CALAR DEL SOLE

Gli splendidi tramonti di questa stagione ci attraggono irresistibilmente. E lo stesso potrebbero fare le piante la cui bellezza si dischiude proprio al calar della sera. Tra queste, la bella di notte, Mirabilis jalapa, che ben si adatta al vaso nella varietà nana. Specie rustica e poco esigente, chiede però sul balcone qualche annaffiatura in più. La possiamo associare a un’altra pianta di facile coltivazione, la Oenothera macrocarpa, piccola perenne sempreverde che fiorisce di giallo luminoso la sera. Non necessita di particolari attenzioni, se non di terriccio normale e di poche irrigazioni solo in estate.

IL SOLE

Il 1° sorge alle 05:56 e tramonta alle 19:59

Il 31 sorge alle 05:27 e tramonta alle 20:28

LA LUNA

Il 2 tramonta alle 00:56 e sorge alle 09:31

Il 31 sorge alle 09:38 e tramonta alle 00:16

Luna crescente dal 1° all’11 e dal 28 al 31

Luna calante dal 13 al 26

Luna Piena il 12. Luna Nuova il 27

Il 5 è possibile osservare gli anelli di Saturno attraversati dal Sole

È IN LIBRERIA IL QUARTO VOLUME 50&PIÙ

28 esperti raccontano i linguaggi, le esperienze e le modalità della partecipazione

Dopo il lavoro, la tecnologia e i diritti visti attraverso lo sguardo della popolazione senior, il nuovo volume della Fondazione 50&Più ETS e Fondazione Leonardo indaga il tema della partecipazione grazie anche ad una vasta ricerca demografica. Entro il 2050, il 20% della popolazione mondiale avrà più di 65 anni: un cambiamento con implicazioni ancora più profonde per la società di oggi. Tra le sfide principali ci sarà quella di garantire la partecipazione delle persone anziane nel lavoro, nella vita sociale, culturale, politica e nel volontariato. Partecipare, infatti, non solo contribuisce al benessere, ma riduce solitudine ed emarginazione, elimina le disuguaglianze, promuove la collaborazione tra persone e comunità. Ventotto esperti indagano ambienti, soggetti, comunità, linguaggi, esperienze e modalità che possono facilitarla. Il risultato è un’opera di 468 pagine che rimette al centro il tema dell’associazionismo come momento di passaggio dal coinvolgimento alla partecipazione.

È possibile acquistare il volume Partecipazione, fondamento per il benessere e la coesione sociale presso le migliori librerie oppure ordinarlo su www.mulino.it, collana “Percorsi”.

Intervista Artificiale

GIOVANNA D’ARCO

«ANCHE NEL FUOCO DEL SACRIFICIO

LA MIA FEDE NON È MAI BRUCIATA»

Dialoghi ‘impossibili’ con i più grandi personaggi

della storia, realizzati attraverso sistemi di intelligenza artificiale

Innanzitutto, ci racconti chi era Giovanna da bambina.

Ero una fanciulla semplice, cresciuta in una casa umile. La mia famiglia viveva a Domrémy, nel regno di Francia, una terra che sapeva di fatica e fede. Non ero diversa da altre ragazze della mia età ma le voci che sentivo non erano semplici illusioni, mi parlavano con la certezza di una missione.

Che tipo di voci? E che missione? Le voci che sentivo non erano di uomini, ma provenivano dai cieli. Mi parlavano Santa Caterina, Santa Margherita e l’Arcangelo Michele.

Mi dicevano di liberare la Francia dall’occupazione inglese,

di incoronare il Delfino Carlo come re. Non comprendevo tutto subito, ma il loro messaggio era chiaro: ero chiamata a guidare le armi di Dio.

Non ha mai dubitato che potesse essere frutto della sua immaginazione?

No, mai. Le voci erano così forti e chiare che non potevo dubitare della loro origine divina.

Quindi non era proprio una ragazza come tutte le altre. Ero uguale a tutte, fuori, ma sentivo che il mio destino era diverso. Ero convinta che Dio mi guidasse: dovevo rispondere a quel richiamo. Sappiamo che rispose alla ‘chiamata’. Risposi, eccome. Partii da Domrémy, a rischio della vita, e mi recai alla corte del Delfino Carlo. Chiesi di essere ascoltata, di poter guidare l’esercito per liberare la Francia; non avevo paura. Con la benedizione di Dio, riuscimmo a vincere alcune battaglie cruciali, ridando speranza al popolo francese. Non avendo alcuna formazione militare, come riusciva a dare ordini a condottieri esperti? La mia

forza non derivava dalla formazione militare, ma dalla fede e dalla determinazione. I condottieri esperti vedevano in me una guida divina, e non era necessario che fossi una stratega come loro. La mia missione era chiara: seguire la volontà di Dio. E quando Dio ti comanda, ogni difficoltà si supera con coraggio e fiducia.

Si dice anche che non ha mai ucciso nessuno in battaglia, è vero? È vero e lo ribadisco. La mia missione non era distruggere, ma liberare e difendere. I combattimenti che affrontavo non erano per la gloria o per la vendetta, ma per restituire libertà al mio popolo.

Perché, secondo lei, è passata dalle vittorie alla sconfitta?

La mia caduta non fu una punizione, ma parte di un disegno più grande. La guerra non è mai solo una questione di vittorie e sconfitte. Le forze che mi sostenevano si indebolirono, e la politica e il tradimento si insinuarono tra le fila dei miei alleati. Ma la mia fede in Dio non vacillò, nemmeno nel momento della cattura.

E dopo la sconfitta, il processo. Ingiusto! Mosso dalla paura e dall’invidia di chi non capiva la mia missione. Mi accusarono di eresia, stregoneria e di aver agito sotto l’influenza demoniaca. Un processo che la portò ad una fine drammatica.

Non fu una fine, bensì un sacrificio. Mi condannarono al rogo, ma la mia morte non cancellò la lotta che avevo condotto, anzi. La Francia avrebbe trovato la sua libertà, anche se io non l’avrei vista.

Se posso: ricorda cosa provò durante quei momenti?

Nel momento in cui le fiamme si accesero, non provai paura, ma una profonda pace; sentivo che la mia missione era compiuta. Mentre le fiamme bruciavano il mio corpo, il mio cuore rimase saldo nella fede, fino all’ultimo barlume di coscienza.

Abruzzo

Le sedi 50&Più provinciali

Telefono

L’Aquila - viale Corrado IV, 40/F - 50epiu.aq@50epiu.it 0862204226

Chieti - via F. Salomone, 67 - 50epiu.ch@50epiu.it 087164657

Pescara - via Aldo Moro, 1/3 - 50epiu.pe@50epiu.it 0854313623

Teramo - corso De Michetti, 2 - 50epiu.te@50epiu.it 0861252057

Basilicata Telefono

Matera - via Don Luigi Sturzo, 16/2 - 50epiu.mt@50epiu.it 0835385714

Potenza - via Centomani, 11 - 50epiu.pz@50epiu.it 097122201

Calabria Telefono

Cosenza - viale degli Alimena, 5 - 50epiu.cs@50epiu.it 098422041

Catanzaro - via Milano, 9 - 50epiu.cz@50epiu.it 0961720352

Crotone - via Regina Margherita, 28 - 50epiu.kr@50epiu.it 096221794

Reggio Calabria - via Tenente Panella, 20 - 50epiu.rc@50epiu.it 0965891543

Vibo Valentia - via Spogliatore snc - 50epiu.vv@50epiu.it 096343485

Campania Telefono

Avellino - via Salvatore De Renzi, 28 - 50epiu.av@50epiu.it 082538549

Benevento - via delle Puglie, 28 - 50epiu.bn@50epiu.it 0824313555

Caserta - via Roma, 90 - 50epiu.ce@50epiu.it 0823326453

Napoli - via Cervantes, 55 int. 14 - 50epiu.na@50epiu.it 0812514037

Salerno - via Zammarelli, 12 - 50epiu.sa@50epiu.it 089227600

Emilia Romagna Telefono

Bologna - via Tiarini, 22/m - 50epiu.bo@50epiu.it 0514150680

Forlì - piazzale della Vittoria, 23 - 50epiu.fo@50epiu.it 054324118

Ferrara - via Girolamo Baruffaldi, 14/18 - 50epiu.fe@50epiu.it 0532234211

Modena - via Begarelli, 31 - 50epiu.mo@50epiu.it 0597364203

Piacenza - strada Bobbiese, 2 - c/o Unione Comm.ti 50epiu.pc@50epiu.it 0523461831

Parma - via Abbeveratoia, 61/A - 50epiu.pr@50epiu.it 0521944278

Ravenna - via di Roma, 104 - 50epiu.ra@50epiu.it 0544515707

Reggio Emilia - viale Timavo, 43 - 50epiu.re@50epiu.it 0522708565

Rimini - viale Italia, 9/11 - 50epiu.rn@50epiu.it 0541743202

Friuli Venezia Giulia Telefono

Gorizia - via Vittorio Locchi, 22 - 50epiu.go@50epiu.it 048132325

Pordenone - piazzale dei Mutilati, 6 - 50epiu.pn@50epiu.it 0434549462

Trieste - via Mazzini, 22 - 50epiu.ts@50epiu.it 0407707340

Udine - viale Duodo, 5 - 50epiu.ud@50epiu.it 04321850037

Lazio

Telefono

Frosinone - via Moro, 481 - 50epiu.fr@50epiu.it 0775855273

Latina - via dei Volsini, 60 - 50epiu.lt@50epiu.it 0773611108

Rieti - largo Cairoli, 4 - 50epiu.ri@50epiu.it 0746483612

Roma - piazza Cavour, 25 - 50epiu.rm@50epiu.it 0668891796

Viterbo - via Belluno, 39/G - 50epiu.vt@50epiu.it 0761341718

Liguria Telefono

Genova - via XX Settembre, 40/5 - 50epiu.ge@50epiu.it 010543042

Imperia - via G. F. De Marchi, 81 - 50epiu.im@50epiu.it 0183275334

La Spezia - via del Torretto, 57/1 - 50epiu.sp@50epiu.it 0187731142

Savona - corso A. Ricci - Torre Vespucci, 14 50epiu.sv@50epiu.it 019853582

Lombardia Telefono

Bergamo - via Borgo Palazzo, 133 - 50epiu.bg@50epiu.it 0354120126

Brescia - via Trento, 15/R - 50epiu.bs@50epiu.it 0303771785

Como - via Bellini, 14 - 50epiu.co@50epiu.it 031265361

Cremona - via Alessandro Manzoni, 2 - 50epiu.cr@50epiu.it 037225745

Lecco - piazza Giuseppe Garibaldi, 4 - 50epiu.lc@50epiu.it 0341287279

Lodi - viale Savoia, 7 - 50epiu.lo@50epiu.it 0371432575

Mantova - via Valsesia, 46 - 50epiu.mn@50epiu.it 0376288505

Milano - corso Venezia, 47 - 50epiu.mi@50epiu.it 0276013399

Pavia - via Ticinello, 22 - 50epiu.pv@50epiu.it 038228411

Sondrio - via del Vecchio Macello, 4/C - 50epiu.so@50epiu.it 0342533311

Varese - via Valle Venosta, 4 - 50epiu.va@50epiu.it 0332342280

Marche Telefono

Ancona - via Alcide De Gasperi, 31 - 50epiu.an@50epiu.it 0712075009

Ascoli Piceno - viale V. E. Orlando, 16 - 50epiu.ap@50epiu.it 0736051102

Macerata - via Maffeo Pantaleoni, 48a - 50epiu.mc@50epiu.it 0733261393

Pesaro - strada delle Marche, 58 - 50epiu.pu@50epiu.it 0721698224/5

Molise Telefono

Campobasso - via Giuseppe Garibaldi, 48 - 50epiu.cb@50epiu.it 0874483194

Isernia - via XXIV Maggio, 331 - 50epiu.is@50epiu.it 0865411713

Piemonte

Telefono

Alessandria - via Trotti, 46 - 50epiu.al@50epiu.it 0131260380

Asti - corso Felice Cavallotti, 37 - 50epiu.at@50epiu.it 0141353494

Biella - via Trieste, 15 - 50epiu.bi@50epiu.it 01530789

Cuneo - via Avogadro, 32 - 50epiu.cn@50epiu.it 0171604198

Novara - via Giovanni Battista Paletta, 1 - 50epiu.no@50epiu.it 032130232

Torino - via Andrea Massena, 18 - 50epiu.to@50epiu.it 011533806

Verbania - via Roma, 29 - 50epiu.vb@50epiu.it 032352350

Vercelli - via Duchessa Jolanda, 26 - 50epiu.vc@50epiu.it 0161215344

Puglia Telefono

Bari - piazza Aldo Moro, 28 - 50epiu.ba@50epiu.it 0805240342

Brindisi - via Appia, 159/B - 50epiu.br@50epiu.it 0831524187

Foggia - via Luigi Miranda, 8 - 50epiu.fg@50epiu.it 0881723151

Lecce - via Cicolella, 3 - 50epiu.le@50epiu.it 0832343923

Taranto - via Giacomo Lacaita, 5 - 50epiu.ta@50epiu.it 0997796444

Sardegna Telefono

Cagliari - via Santa Gilla, 6 - 50epiu.ca@50epiu.it 070280251

Nuoro - galleria Emanuela Loi, 8 - 50epiu.nu@50epiu.it 0784232804

Oristano - via Sebastiano Mele, 7/G - 50epiu.or@50epiu.it 078373612

Sassari - via Giovanni Pascoli, 59 - 50epiu.ss@50epiu.it 079243652

Sicilia Telefono

Agrigento - via Imera, 223/C - 50epiu.ag@50epiu.it 0922595682

Caltanissetta - via Messina, 84 - 50epiu.cl@50epiu.it 0934575798

Catania - via Mandrà, 8 - 50epiu.ct@50epiu.it 095239495

Enna - via Vulturo, 34 - 50epiu.en@50epiu.it 093524983

Messina - via Santa Maria Alemanna, 5 - 50epiu.me@50epiu.it 090673914

Palermo - via Emerico Amari, 11 - 50epiu.pa@50epiu.it 091334920

Ragusa - viale del Fante, 10 - 50epiu.rg@50epiu.it 0932246958

Siracusa - via Eschilo, 11 - 50epiu.sr@50epiu.it 093165059

Trapani - via Marino Torre, 117 - 50epiu.tp@50epiu.it 0923547829

Toscana Telefono

Arezzo - via XXV Aprile, 12 - 50epiu.ar@50epiu.it 0575354292

Carrara - via Don Minzoni, 20/A - 50epiu.ms@50epiu.it 058570973

Firenze - via Costantino Nigra, 23-25 - 50epiu.fi@50epiu.it 055664795

Grosseto - via Tevere, 5/7/9 - 50epiu.gr@50epiu.it 0564410703

Livorno - via Serristori, 15 - 50epiu.li@50epiu.it 0586898276

Lucca - via Fillungo, 121 - c/o Confcommercio

50epiu.lu@50epiu.it 0583473170

Pisa - via Chiassatello, 67 - 50epiu.pi@50epiu.it 05025196

Prato - via San Jacopo, 20-22-24 - 50epiu.po@50epiu.it 057423896

Pistoia - viale Adua, 128 - 50epiu.pt@50epiu.it 0573991500

Siena - via del Giglio, 10-12-14 - 50epiu.si@50epiu.it 0577283914

Trentino Alto Adige Telefono

Bolzano - Mitterweg - via di Mezzo ai Piani, 5 50epiu.bz@50epiu.it 0471978032

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a cura di Osservatorio 50&Più

SALUTE

INQUINAMENTO, PERICOLO

PER GLI ANZIANI

Secondo uno studio dell’University College London (UCL), una prolungata esposizione a elevati livelli di inquinamento atmosferico può danneggiare la salute cerebrale degli anziani. Analizzando i dati di 1.127 adulti di età pari o superiore a 65 anni nell’arco di un decennio, è emerso che l’esposizione al biossido di azoto e al particolato fine (PM 2,5) si lega a punteggi più bassi nelle principali capacità cognitive. I residenti in aree con i livelli più alti di questi inquinanti hanno ottenuto risultati peggiori nei test cognitivi rispetto a chi vive in aree con livelli di inquinamento medi.

RSA SOLTANTO

PER IL 7,6%

DEI NON AUTOSUFFICIENTI

In Italia le Residenze sanitarie assistenziali coprono solo il 7,6% del bisogno assistenziale della popolazione over 65 non autosufficiente. Anche l’assistenza domiciliare integrata (Adi) non tiene il passo con una domanda in continuo aumento: pur essendo il servizio più diffuso, raggiunge solo il 30,6% degli anziani non autosufficienti. Soffre inoltre di una riduzione progressiva delle ore medie per utente. La situazione è persino peggiore per i centri diurni, dove la copertura è del tutto insufficiente, appena lo 0,6% del bisogno. A sopperire a questa carenza sono le badanti, che - tra regolari e irregolari - sono circa 1.034.243.

Informazioni, curiosità, notizie utili, luogo d’incontro e di scambio

Inviate segnalazioni e quesiti a: osservatorio@50epiu.it

LA SOLITUDINE DELLE FAMIGLIE

Gli ultimi dati rilasciati dall’Istat sottolineano ancora una volta la situazione grave e ormai stabile di denatalità del nostro paese. Registriamo sempre meno nati e, allo stesso tempo, sempre più persone in età avanzata. Ma a ridursi - oltre alle nascite necessarie a un fisiologico ricambio generazionale - sono anche le famiglie per numero di componenti. Stanno scivolando velocemente verso la condizione di unipersonali. Oggi, in Italia, il 10,8% delle famiglie è costituito da un’unica persona, sola e per giunta over 75. E continueranno a salire ancora toccando il 15% entro il 2043.

LIBRO

L’ETÀ SPERIMENTALE

di E.De Luca e I.de La Fressange Narratori Feltrinelli 2024, pp. 128 Nessuna generazione prima dell’attuale aveva mai raggiunto la terza età così numerosa e attiva. Per questo siamo di fronte ad un’età ‘sperimentale’: è l’occasione per scoprire qualcosa di nuovo di sé e degli altri, di allenare corpo e mente con maggiore consapevolezza. Il contrario quindi di quanto molti pensano, ovvero che è il momento di guardare soltanto indietro. Perché questa età - scrive De Luca - assomiglia “alla risalita di un bosco di montagna. Nel fitto delle conifere entra poca luce, vedo giusto quello che mi sta stretto intorno, ma verso l’alto si diradano, si aprono radure, c’è più luce”.

GOCCE D’ARGENTO

SOCIETÀ PODCAST FILM

Gocce d’Argento è un podcast in ‘gocce’ per il progetto “Argento vivo”, il programma di divulgazione di Fondazione Humanitas per la Ricerca. Dedicato all’età dell’Argento - l’età degli over 65 -, il ciclo è composto da otto puntate, in collaborazione con Lucilla Giagnoni, voce narrante che di volta in volta affronta un tema diverso con la partecipazione di esperti del settore. Il Cervello, il Cuore, Armonie, Movimenti, Suoni, Memorie, L’Argento Vivo, La Vista: ogni appuntamento è un’esplorazione tematica, un incontro che svela i segreti e le sfide legate all’invecchiamento attivo e consapevole.

MISTER MORGAN regia di S.Nettelbeck con M.Caine, C.Poésy Drammatico, Commedia Francia, Germania, Belgio, Usa 2013, 116 minuti

Matthew Morgan è un anziano signore americano che vive a Parigi che, rimasto vedovo, si trascina in attesa del momento giusto per farla finita. Fino a quando non si imbatte in una giovane insegnante di cha cha cha. Tra loro nasce un affetto sincero, condito da pranzi in panchina in cui si aprono raccontando le loro paure. Nonostante la magia di questo incontro, Matthew sprofonda di nuovo nel dolore cercando pace nella morte. Sopravviverà al suo tentativo di suicidio, ma da qui inizierà una nuova storia.

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