SEI MESI DI ANNO SANTO
Giubileo 2025: una porta aperta a metà sul futuro di Roma
Viaggio nella Capitale tra obiettivi centrati e altri da raggiungere
Sindaco Roberto Gualtieri: «La città è tornata a essere una grande capitale»
Prefetto Lamberto Giannini: «Macchina della sicurezza solida e reattiva»
Fipe Confcommercio Roma: «Una rete che si prende cura dei fedeli»
Usb Taxi: «Per noi disagi nella viabilità»
PERSONAGGI
Donatella Finocchiaro
si racconta tra lavoro e famiglia
«Sogno di fare un film con Pedro Almodovar e Quentin Tarantino»

SPECIALE AMBIENTE
Annarita Serra
da manager ad artista
«Salvo il mare realizzando opere d’arte con materiali di scarto»
STORIE
Alessandro Galassi
nella periferia del mondo
«Tra le strade di Haiti, dove comandano gang violente»

LA CURA DELL’AMBIENTE E LA CREAZIONE DI COMUNITÀ SONO DUE FACCE DELLA STESSA MEDAGLIA
Ri-generazione significa generare di nuovo, dare nuova vita all’esistente: pertanto, non esiste rigenerazione urbana che non sia anche rigenerazione umana, cioè che parta dall’uomo e abbia la capacità di trasformare la vita delle persone.
Questo principio, che abbiamo ripetuto tante volte occupandoci di città e imprese, trova riscontro nelle parole
È QUESTA UNA PREROGATIVA DEL VOLONTARIATO
E DELL’ASSOCIAZIONISMO MENTRE SI AIUTANO
GLI ALTRI, SI FINISCE PER SENTIRSI MEGLIO
PIÙ UTILI, PIÙ CAPACI, PIÙ VIVI
della bella intervista a Fabrizio Milone, presidente nazionale di Retake, che si trova nelle pagine di questo numero della nostra rivista. Milone dice infatti: «Il nostro impegno per il decoro delle città racconta tante storie incredibili, storie di persone che con l’associazionismo hanno scoperto la bellezza di stare insieme e di rendersi utili».

di Carlo Sangalli Presidente Nazionale 50&Più
Questo progetto di volontariato, che si propone, attraverso micro-azioni utili, di riqualificare quartieri e zone urbane, migliorandone e mantenendone il decoro, la pulizia e la vivibilità, finisce infatti per avere un potente effetto sulla vita delle persone. Gli effetti positivi, peraltro, non
si misurano solo in relazione a chi, grazie a una città più bella, vede migliorata la propria vita; tra l’altro consapevoli che sono spesso i più fragili, come gli anziani, i più esposti ai fenomeni di degrado e insicurezza delle città. Questa iniziativa di volontariato ha un effetto straordinario - in primo luogo - su chi la pratica. È questa una prerogativa del volontariato e dell’associazionismo: mentre si aiutano gli altri, si finisce per sentirsi meglio, più utili, più capaci, più vivi. Queste attività rispondono a un innato bisogno di senso e di relazioni che è dentro ognuno di noi e che nella “cura” - degli altri e dell’ambiente - trova un balsamo per l’animo e un motore di vita. Lo stesso Milone lo racconta bene, citando le tante persone allo sbando (non solo economico, ma spesso morale) che nel donare il proprio tempo e il proprio impegno hanno ritrovato la via. Questo succede in modo particolarmente potente in un progetto come Retake che si prende cura dei luoghi. Proprio nel tempo dei social, dello smart working, dell’intelligenza artificiale che pervade le case e le vite, il “luogo” è tutt’altro che superato. Dedicare il nostro tempo allo spazio fisico in cui abitiamo significa ri-appropriarsi anche del tempo delle nostre vite.
Torna in mente la saggezza di Alessandro Manzoni, quando scriveva: “Si dovrebbe pensare più a fare bene che a stare bene, e poi si finirebbe anche a star meglio”.
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Anno XLVII - n. 6 - giugno 2025

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La cura dell’ambiente e la creazione di comunità sono due facce della stessa medaglia Carlo Sangalli 3
Grandi eventi e città: il dualismo tra disagi e trasformazioni urbane Anna Grazia Concilio 6
In questo numero
Haiti, simbolo delle periferie del mondo Anna Grazia Concilio 30
Chiara Zaccone, una vita per il Sudan Claudia Benassai 32
Il ruolo degli smartphone in famiglia Chiara Ludovisi 34
L’Ue punta sul dialogo tra generazioni Valerio Maria Urru 58
Mobilità elettrica, a che punto siamo Dario De Felicis 60
Novella Calligaris, fuoriclasse del nuoto Gian Carlo La Vella 78
Pensioni: da giugno, recupero dei bonus Maria Silvia Barbieri 84
Crociera sul Nilo e Cairo, Vietnam Pellegrinaggi Giubileo, Olimpiadi a cura di 50&Più Turismo 88
24
Speciale ambiente
Forme d’arte green e recupero di spazi pubblici Iniziative e progetti contro inquinamento e degrado urbano di I.Romano e A.Giuffrida
Rubriche
39
Giubileo 2025, una porta aperta a metà sul futuro di Roma
A sei mesi dall’inizio dell’Anno Santo, un viaggio nella Capitale tra obiettivi centrati e da raggiungere di A.Costalunga, di V.M.Urru
A.G.Concilio, A.C.La Vella
Terzo tempo Lidia Ravera 10
Anni possibili Marco Trabucchi 12
Effetto terra Francesca Santolini 14
Donatella Finocchiaro
«La mia vita tra carriera e famiglia sognando un film con Almodovar e Tarantino»
di Giulia Bianconi

Cultura
Nadia Terranova esplora le proprie radici in Quello che so di te 64
Libertà negli occhi, Niccolò Fabi racconta il nuovo album
Wes Anderson torna a Cannes con La trama fenicia
A Roma, la mostra Salvador Dalí, tra arte e mistero

L’angolo della veterinaria
Fondamentale nell’educazioni dei cuccioli è anche un utile ausilio per cani adulti e anziani
Kennel, uno strumento essenziale 82 a cura di Irene Cassi
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Yasemin
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A.Giuffrida
MAESTRI DI STRADA E DI BELLEZZA
A Napoli, una rete di operatori fa da ponte tra ragazzi, scuola e famiglia. Antonella Saporito: «L’idea è proporre una socialità diversa dei giovani del quartiere»

BREXIT, DIECI
ANNI DOPO
La Gran Bretagna ha pagato a caro prezzo l’uscita dall’Unione europea, registrando il peggior decennio di crescita economica degli ultimi due secoli

50&PIÙ PREMIA IL GIORNALISMO INCLUSIVO
Un riconoscimento che nasce con l’intento di valorizzare i professionisti del mondo dell’informazione, impegnati ogni giorno a contrastare le discriminazioni legate all’età anziana

Anna Grazia Concilio Direttrice responsabile 50&Più
GRANDI EVENTI E CITTÀ: IL DUALISMO TRA DISAGI E TRASFORMAZIONI URBANE
I grandi eventi, di natura religiosa, sportiva o culturale, rappresentano per le città che li ospitano un’arma a doppio taglio. Da un lato, offrono un’occasione irripetibile di visibilità globale, attrattiva turistica e, soprattutto, un’opportunità di investimenti e riqualificazione infrastrutturale. Dall’altro, comportano una serie di disagi inevitabili per i residenti, che si trovano a fronteggiare una quotidianità alterata da cantieri, flussi di persone e misure di sicurezza straordinarie. Roma, in particolare, è un esempio emblematico di questa dicotomia, specialmente quest’anno, con il Giubileo. La Capitale, con la sua storia millenaria e la sua intrinseca vocazione all’accoglienza, è abituata a gestire grandi afflussi, ma il Giubileo rappresenta un evento di portata eccezionale, un vero banco di prova per molti aspetti, che sta portando a una trasformazione profonda. Basti pensare a città come Londra con le Olimpiadi del 2012 o Barcellona con quelle del 1992. In entrambi i casi, gli eventi hanno agito da catalizzatori per una riqualificazione urbana massiccia, lasciando un’eredità di infrastrutture moderne, aree verdi e
una rinnovata immagine internazionale. L’Expo di Milano 2015 ha riattivato processi di sviluppo urbano e ha rafforzato la percezione di Milano come città internazionale e dinamica. A Roma, i “disagi” legati al Giubileo sono evidenti: cantieri disseminati per la città, che generano traffico e rallentamenti, modifiche alla viabilità e una pressione sui trasporti pubblici già sotto stress. Per i romani, abituati a una città già complessa, questo significa un ulteriore carico sulla vita quotidiana: tempi di spostamento più lunghi, difficoltà nel trovare parcheggio e una maggiore congestione in aree nevralgiche. Il ‘Primo piano’ di questo numero è dedicato a un bilancio del primo semestre di questo Anno Santo. È con il sindaco Roberto Gualtieri, il prefetto Lamberto Giannini e il presidente Fipe Roma Sergio Paolantoni che abbiamo voluto tirare una linea per capire cosa è stato fatto e quanto ancora c’è da fare. È vero, come ha sottolineato Giannini, che la macchina della sicurezza e della gestione dei flussi si è dimostrata “solida e reattiva”, anche di fronte a eventi imprevisti come la morte di papa Francesco. Ed è altrettanto vero, come
ha detto Gualtieri, che Roma sta vivendo una “grande stagione di trasformazioni”, con investimenti significativi non solo nel rifacimento di piazze e strade storiche ma anche nell’acquisto di nuovi mezzi di trasporto pubblico, nella riqualificazione delle stazioni della metropolitana e in interventi sulle infrastrutture ambientali, come nuovi parchi e forestazione urbana. C’è però una terza verità: quella di chi Roma la vive ogni giorno, per lavoro soprattutto, e che non può non mettere sulla bilancia gli inconvenienti spesso quotidiani di chi si muove in macchina, per esempio. Di chi gira a vuoto per ore in cerca di un parcheggio, di chi rinuncia ai mezzi pubblici perché troppo pieni, di chi evita il centro perché ‘non si cammina nemmeno sui marciapiedi’. In tema di ‘verità’ però va anche detto che i sacrifici - non pochi - di questi mesi lasceranno spazio a una eredità duratura con una Roma più moderna, efficiente e vivibile. I grandi eventi sono, senza dubbio, sfide complesse che mettono alla prova la capacità organizzativa di una città. Il Giubileo può diventare una grande occasione per la città e per chi la vive. Sarebbe un peccato lasciarla scappare.




























































































































La sua arte nasce dall’incontro tra il passato e l’intuizione. Con l’uso di sole linee bianche - sottili, vive, quasi sussurrate - trasforma immagini già esistenti come antichi dipinti o fotografie pubblicitarie in nuove visioni Il suo segno, fragile eppure deciso non si limita a decorare racconta, disturba, svela Ogni linea è una crepa nel tempo, un’apertura su una storia nascosta un’emozione che prende forma e si impone allo sguardo
Tracce leggere storie profonde

ILIAS WALCHSHOFER, UN CREATORE DI CONTESTI
Dr. Propolus è un giovane artista, illustratore e regista austriaco-marocchino nato a Linz nel 1991. All’anagrafe Ilias Walchshofer, ha studiato Motion Design a Berlino, oggi vive a Parigi, città che ispira il suo immaginario visivo

VIA DALLA STRADA
Lagos - Nigeria
Dopo anni al fianco degli streetchildren, i salesiani stanno avviando un progetto di accoglienza e riabilitazione dedicato alle bambine, prime vittime della violenza e dello sfruttamento nelle immense periferie della metropoli nigeriana. Per terminare il centro dedicato alle bambine di strada c’è bisogno di tutto il tuo aiuto: dona ora su www.missionidonbosco.org





















Terzo tempo

IMMAGINARE IL MONDO SENZA DI ME, QUESTO È IL COMPITO CHE MI HA ASSEGNATO ESTHER
di Lidia Ravera
Di poche cose Esther era orgogliosa quanto della sua capacità di mantenersi serena ed equilibrata quando il discorso (o il pensiero) cadeva sull’inevitabile: l’usura degli organi interni, il ridursi progressivo del futuro e infine, a coronamento di una vita spesa ad approfittare del tempo, la morte. Frequentava con regolarità i funerali. Se se ne presentava l’occasione, cioè se fra lei e il morente c’era una certa familiarità, anche le agonie. Quando era molto più giovane aveva prestato servizio volontario in un hospice, aveva interrotto quando un novantaduenne con una aspettativa di vita di tre settimane si era innamorato di lei e non voleva più saperne di morire. «Non dovevo sbattergli in faccia la mia stupida salute», aveva dichiarato - in lacrime - presentando le sue dimissioni. E da allora aveva girato alla larga dalle strutture preposte alla cura degli incurabili. Del resto, come ammetteva senza remore, da quando aveva passato i settant’anni le occasioni di bazzica-
re i decessi non le mancavano. I mariti delle sue coetanee si spegnevano uno dopo l’altro come candeline travolte dal maestrale. Le sue coetanee resistevano ma, in quanto vedove, andavano seguite e preparate al prossimo appuntamento: non siamo immortali, ragazze mie, e non è nelle rughe che si annida l’avversario, un aspetto giovanile può essere utile fra i viventi, ma non sposta la data del trapasso. Sandra, Giulia e Manuela, le sue migliori amiche, si ripromettevano ciclicamente di non frequentarla più, ma poi accettavano i suoi inviti: cucinava con perizia. E serviva soltanto cene splendidamente indigeste: bucatini alla amatriciana, peperonata, spezie, carne rossa sanguinolenta, carciofi fritti. E l’immancabile pastiera. Le amiche si ripromettevano di portarsi da casa un pugno di riso lessato e una mela cotta, ma poi si avventavano su quel cibo proibito rischiando l’overdose. Nessuna di loro era mai morta ma non si stancavano di disapprovare e lasciavano la scena del crimine, lamentando


Confesso che ci ho provato. Non è facile i risultati sono modesti per ora, ma è un buon esercizio, riduce la smania di protagonismo che spesso ci attanaglia la ricerca ansiosa del successo
le abitudini alimentari selvagge di Esther e dichiarando che sarebbero state colte da ictus nel cuore della notte, oppure, quel che è peggio, sarebbero ingrassate. Del resto, benché la considerassero una pazza necrofila, una maniaca ossessionata dalla fine della vita, fin da quando la sua vita era appena incominciata, apprezzavano la sua vitalità. La passione che metteva nella sua professione. Il successo che gliene era derivato. La capacità di continuare a rilanciare sopra i settanta, invece di tirare i remi in barca. La seguivano. Erano le sue cavie, e lo sapevano.
Su di loro testava l’efficacia delle sue perorazioni. Per tutta la vita aveva svolto la professione di avvocata, da quando era in pensione arringava tutti quelli che incontrava: conoscenti, amici, ma anche sconosciute ad una presentazione, a un vernissage.
Come molte donne, era una instancabile frequentatrice di incontri culturali, scriveva piccole poesie graziose, leggeva moltissimo. Io l’ho conosciuta così, a uno dei mille incontri coi lettori in occasione dell’uscita di un mio libro. Ci siamo trovate subito d’accordo, così d’accordo che ancora adesso , dopo tre anni, ci scriviamo. Abbiamo tutte e due “una paura da morire di morire”, eppure l’esperienza ci affascina e abbiamo voglia di parlarne. Nessuno è mai tornato indietro per raccontarci com’è, che cosa succede esattamente quando il cuore smette di battere, quando il sangue nelle vene non pulsa più, l’en-
cefalogramma si appiattisce e il respiro si ferma. Nessuno è in grado di descrivere la fine. E ciò che non può essere descritto non esiste.
«Quindi la morte non esiste?». «Esiste, ma puoi solo immaginarla». «Devi esercitarti a pensare il mondo senza di te. Sei una scrittrice no?». Immaginare il mondo senza di me, questo è il compito che mi ha assegnato Esther.
Confesso che ci ho provato. Non è facile, i risultati sono modesti per ora, ma è un buon esercizio, riduce la smania di protagonismo che spesso ci attanaglia, l’ambizione sfrenata, la ricerca ansiosa del successo, così comune ormai, che nemmeno più ce ne rendiamo conto. “Il mondo non finisce con te, bella mia”, ho detto a me stessa, e mi sono sentita, chissà perché, subito più leggera. Meno responsabile di come sta andando a rotoli l’equilibrio globale, ma anche meno attaccata alle mie piccole disillusioni personali, alle paure ricorrenti, alla difficoltà esistenziale di dover attraversare un tempo che è aspro e faticoso, se vivi immersa in una cultura che non dà valore a chi ha molto vissuto. Soprattutto se appartiene al genere femminile. Mi sono sentita assolta da ogni bassezza e recriminazione, pensando alla morte. Aveva ragione il saggio filosofo Montaigne, nei suoi essays (saggi, ndr). “Non c’è nulla di male nella vita per chi ha ben compreso che la privazione della vita non è un male”. Correva l’anno 1580. Vogliamo provare ad allinearci con questa visione?
Per scrivere a Lidia Ravera
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LA GENTILEZZA È UNA CURA VI SPIEGO PERCHÉ
di Marco Trabucchi
Potrebbe sembrare una perdita di tempo, nel nostro mondo convulso e spesso indifferente, affrontare il tema della gentilezza come aspetto centrale nella cura delle persone anziane. Però, i lettori comprenderanno come l’in-
tera impostazione di questo nostro mensile sia volta a indicare i mondi possibili (che vuol dire realizzabili!), dove gli atti di cura dedicati alle persone fragili, in ogni ambito, inducono enormi e più stabili vantaggi se sono compiuti con gentilezza.
In questi giorni Nature, la più importante rivista scientifica del mondo, ha pubblicato un articolo dal titolo molto espressivo: La gentilezza come azione di sanità pubblica. È importante osservare che, dopo questo articolo, che è quasi un indicatore di percorso obbligato per i nostri servizi, la gentilezza passi dall’essere solo un’encomiabile e utilissima caratteristica del rapporto personale tra chi dona e chi riceve un aiuto, a rappresentare una caratteristica irrinunciabile per l’intera organizzazione della sanità pubblica. Di conseguenza, chi considera la gentilezza soprattutto come un’azione suggerita dal buon cuore deve ricredersi; il lavoro di Nature indica in modo preciso che la gentilezza ha rilevanti conseguenze sull’organizzazione dei servizi, nei quali deve diventare uno stile e non un’opzione. Se questo avverrà su larga scala, come è auspicabile e ‘possibile’, ne avranno vantaggio tutti i cittadini. Di seguito riassumo alcune modalità

attraverso le quali, a mio giudizio, si esprime la gentilezza nell’ambito dei servizi di cura. Infatti, permette di superare le barriere che talvolta erigono quelli che chiedono aiuto, i silenzi di chi non ha nemmeno il coraggio di chiedere un supporto o è troppo orgoglioso per farlo, i rifiuti di chi, pur essendo in difficoltà, non ha la capacità di accettare la mano tesa. La gentilezza è il segno esteriore di una moralità profonda, di un desiderio sincero, che si esprime con atti visibili, di essere utile per alleviare la sofferenza dell’altro. Il desiderio di curare toglie di mezzo qual-
Chi dimentica di vivere entro questa realtà di comunicazione continua si esclude di fatto dalla costruzione di dinamiche che caratterizzano una “vita buona”
siasi pretesa di risarcimento, concreto o psicologico. Inoltre, la gentilezza non è mai noiosa, ripetitiva, pesante, intrusiva, ma sempre lieve, pur senza perdere di concretezza e quindi di serietà e credibilità. Una delle espressioni della gentilezza è l’affidabilità, modalità per dare alla relazione un tono normale, di rapporto facile e concreto, stabile, che induce fiducia nell’altro, il quale così non deve ogni giorno preoccuparsi se i sentimenti positivi sono o meno destinati a durare nel tempo. La gentilezza nei rapporti tra le persone è una testimonianza che va controcorrente e, come tale, rischia talvolta di non essere compresa: perché un atto di cura, un sorriso, un gesto sereno in un mondo di persone distratte, lontane, prive di sentimenti di vicinanza? Talvolta, la gentilezza deve superare sé stessa, quando le circostanze vanno nel senso contrario; è stato sostenuto che, ad esempio, nel lavoro di cura rivolto a persone con malattie di lunga durata, che impongono disponibilità
sulle 24 ore, bisogna “essere santi” per non reagire in modo brusco ad eventuali pressanti richieste, dimenticando gli accenti della gentilezza. Ma in questi casi si gioca davvero la grandezza di un’umanità che non perde le sue fondamentali caratteristiche. La gentilezza deve essere un comportamento ‘normale’ nei servizi dove si prestano cure di valenza clinico-assistenziale, in particolare se dedicati a persone fragili, come l’anziano. Questo, soprattutto quando presenta una compromissione delle funzioni cognitive, è sensibilissimo alle modalità con le quali viene avvicinato, toccato, sostenuto. La gentilezza si esprime in un tono di voce senza accentuazioni, in una carezza che accompagna il contatto tattile, in un volto sereno, in occhi sorridenti. Frequentemente la persona non conserva memoria razionale di quanto ha ricevuto, ma un sentire positivo che dura nel tempo. La gentilezza viene sempre interiorizzata; anche se la risposta non è razionale, induce un sottofondo di vita serena, esso stesso una cura. Nelle Rsa, in particolare, queste indicazioni sono importantissime; è un mondo nel quale nulla passa senza lasciare il segno, in tutti i suoi abitanti, ospiti e operatori. Chi dimentica di vivere entro questa realtà di comunicazione continua, anche se non sempre apparente, si esclude di fatto dalla costruzione di dinamiche che caratterizzano una “vita buona”.
Per scrivere a Marco Trabucchi
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ANTI-AMBIENTALISMO MILITANTE
LA TENDENZA AMERICANA CHE FA PAURA
di Francesca Santolini
Una nuova forma di violenza, più sottile e insieme più sguaiata, si è affacciata nel dibattito pubblico. È una violenza che passa attraverso video virali, account falsi, shitstorm, frasi buttate lì con sconcertante leggerezza: “Se vedi un ambientalista, mettilo sotto con la macchina”, “Io il diesel lo lascio acceso apposta”, “Più plastica per tutti”. Slogan aggressivi che non hanno nemmeno la pretesa di essere intelligenti. Anzi, ostentano con orgoglio la propria stupidità. Crescono, si diffondono, vengono rilanciati quasi come atti di coraggio culturale, come gesti di ribellione. Non stiamo parlando solo di scettici del cambiamento climatico o di semplici negazionisti. Si tratta di un fenomeno nuovo: un’ostilità sistematica e teatrale verso l’ambientalismo, che diventa bersaglio di una campagna di ridicolizzazione e, in alcuni casi, di odio dichiarato. Una forma di anti-ambientalismo militante, orgoglioso, che si propone come trasgressivo, alternativo, perfino rivoluzionario.
Da dove viene questa nuova, virulenta ondata di anti-ambientalismo? Per ricostruire l’anatomia di questa nuova forma di violenza culturale dobbiamo partire da lontano, dall’altra parte dell’oceano.
Da qualche anno, negli Stati Uniti è diventata virale una tendenza chiamata Rolling Coal - letteralmente “carbone ambulante” -, dove i proprietari di enormi pick-up modificano deliberatamente i loro motori diesel per emettere nubi inquinanti. Colonne di fumo nero sparato in faccia a ciclisti, pedoni e automobilisti che guidano auto elettriche, e cioè contro chi osa rispettare l’ambiente. Questa idiozia viene poi filmata e condivisa sui social: principale spazio di incubazione di questo demenziale fermento anti-ambientalista. Ma cosa può spingere una persona a spendere fino a 5.000 dollari per trasformare il proprio veicolo in una locomotiva a carbone? La risposta è tanto semplice quanto sconcertante: il piacere di inquinare. I fan del Rolling Coal considerano simili scel-

te un’affermazione della loro libertà individuale, una sfida ai movimenti ambientalisti e, in certi casi, persino un’affermazione politica.
Il Rolling Coal ha guadagnato popolarità con l’ascesa di Trump, in un contesto in cui il negazionismo climatico è diventato qualcosa di cui andare orgogliosi. Così come un’altra, tra le tante sottoculture di internet nate come reazione all’onda verde del veganismo e più in generale dell’attenzione all’ambiente: i “meat influencer”, l’ennesima assurdità diventata virale nel sottobosco di internet.
Il vangelo dei meat influencer è la regola del BBBE (beef, bacon, butter, eggs - manzo, bacon, burro, uova) che prevede solo grasso, proteine e feticismo per la carne, che deve essere rigoro-

Se qualcosa ci turba troppo, lo neghiamo
E se non riusciamo a negarlo del tutto allora cerchiamo di sminuirlo
L’ambientalista in questo senso diventa il simbolo della cattiva notizia
samente mangiata cruda. Niente verdure, niente frutta, niente carboidrati. Unica dieta ammessa - dicono - per risvegliare il vero potere del maschio. Il loro guru è Shawn Baker, chirurgo ortopedico e autore del bestseller Carnivore Diet, paladino anti-vegan, divulgatore di teorie pseudoscienti-
fiche e influencer da mezzo milione di follower.
Ma cosa spinge alcune persone ad aggredire chi si occupa di ambiente? Sicuramente in gioco c’è il meccanismo psichico della rimozione. L’enormità della crisi climatica genera un’ansia collettiva e, come spesso accade di fronte all’angoscia, la mente umana reagisce con un meccanismo antico: la rimozione. Se qualcosa ci turba troppo, lo neghiamo. E se non riusciamo a negarlo del tutto, allora cerchiamo di sminuirlo. L’ambientalista, in questo senso, diventa il simbolo della cattiva notizia. Non è odiato per ciò che dice, ma per ciò che rappresenta: il limite, il cambiamento necessario, la rinuncia al consumo illimitato.
L’odio contro l’ambientalismo è un
sintomo. Come tutti i sintomi, va letto, non solo condannato. Dice che qualcosa è stato rimosso, qualcosa non è stato spiegato, qualcosa è stato percepito come ostile. Ma dice che serve anche una nuova grammatica della narrazione ambientale. Le buone ragioni non servono se non abbiamo le parole giuste per raccontarle.
Per scrivere a Francesca Santolini
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DONATELLA FINOCCHIARO
«LA MIA VITA
TRA CARRIERA E FAMIGLIA SOGNANDO UN FILM CON ALMODOVAR E TARANTINO»
L’attrice veste i panni di Rosa Balistreri in L’amore che ho, da maggio al cinema
L’abbiamo incontrata all’ultimo Riviera International Film Festival «È stato un viaggio bellissimo poter raccontare un’eroina tragica del Novecento»
di Giulia Bianconi
Poche settimane fa è uscito nei cinema italiani L’amore che ho, film diretto da Paolo Licata su Rosa Balistreri, cantautrice siciliana che nella sua vita ha lottato contro le ingiustizie per trovare la propria strada. A interpretarla, insieme ad altre tre attrici nelle diverse fasi della sua vita, è Donatella Finocchiaro. Anche lei, come Balistreri, si sente una guerriera, una donna determinata ad affermarsi. L’abbiamo incontrata all’ultimo Riviera International Film Festival. E a Sestri Levante ha fatto il punto con noi sulla sua carriera, in cui ha avuto la fortuna di seguire sempre il suo gusto artistico, anche nella difficoltà di conciliare il lavoro con l’essere madre. Finocchiaro, Balistreri è stata una donna forte, che ha fatto la storia non solo nella sua Sicilia. Quanto è stato significativo interpretarla?
È stato un viaggio bellissimo poter raccontare un’eroina tragica del Novecento come lei. Era un’attivista politica, una

In apertura, Donatella Finocchiaro
Sopra e in basso, due scene tratte dal film L’amore che ho, in cui l’attrice interpreta la cantautrice siciliana Rosa Balistreri
femminista, una donna che ha difeso sempre le altre donne, quindi dimostrando sorellanza, ma anche i più deboli e gli emarginati. Ha lottato contro il potere e contro la Chiesa, attraverso le sue canzoni. Spero che questo film faccia conoscere la sua voce graffiante, ruvida, strabiliante. Interpretando anche i suoi brani, abbiamo cercato di restituire la sua anima e il suo temperamento. Un’artista ha una certa responsabilità quando impersona determinati ruoli. Ne abbiamo, e molta. Soprattutto noi attrici dobbiamo dare un colore ai personaggi femminili. Ci si stupisce quando si vede al cinema una donna forte. Ma noi possiamo essere materne, fragili, grintose al tempo stesso. Raccontarci non è facile, soprattutto quando a dirigerci e a scrivere determinate storie sono gli uomini. Agli ultimi David di Donatello sono state premiate molte donne, Maura Delpero, Valeria Golino, Margherita Vicario. Un segnale che qualcosa sta cambiando? Era ora. Io quest’anno ho girato tre film diretti da donne, tra cui Amata di Elisa Moruso, regista dalla grande sensibilità che ha saputo parlare con delicatezza di adozione. Con Costanza Quadriglio ho fatto il documentario su Luigi Pirandello. E presto uscirà anche Unicorni di Michela Andreozzi, in cui interpreto una madre con un figlio che vorrebbe essere una femmina.
Un tema importante e molto attuale. Nel 2011 aveva diretto il documentario Andata e ritorno. Pensa a nuova regia?
In questi ultimi due, tre anni ho scritto una sceneggiatura e adesso la sto facendo leggere. Devo trovare il tempo per dedicarmi a un progetto così, perché dovrei mettere da parte il mio lavoro di attrice. Due anni fa ho debuttato a teatro con la regia de La lupa di Giovanni Verga, di cui ero anche protagonista. A spingermi a farlo è stata Emma Dante. È stato impegnativo, una grande scommessa, ma bellissimo. Esiste la solidarietà tra donne? Io ho sempre percepito sorellanza da parte delle donne con cui ho lavorato e collaborato. Mi è accaduto in Taddrarite, scritto da Luana Rondinelli, un testo sulla violenza domestica. L’ho conosciuta per quel progetto e non ci siamo più lasciate. Abbiamo riscritto insieme La lupa. Anche in Michela Colmone, che mi fa da aiuto regia e coach - sia sul set che a teatro -, ho trovato un grande sostegno. Io credo che ci voglia una squadra, sempre. E in questo caso la mia è una squadra di donne. Abbiamo un gruppo su WhatsApp e, ogni volta che abbiamo un nuovo progetto, ci scambiamo idee e spunti artistici, ma parliamo anche della nostra vita privata. Che bilancio fa del suo percorso artistico lungo oltre vent’anni? Ci sono ancora tante cose che voglio
fare. Mi piacerebbe essere diretta da Pedro Almodovar e Quentin Tarantino. Di certo, non mi sento arrivata. Sono stata fortunata. Ho continuato a lavorare, anche se il cinema ultimamente sta vivendo un momento difficile. Non esistono solo i lustrini e il glamour nel nostro mestiere. La crisi è forte. Le piccole e medie produzioni non lavorano. Il cinema indipendente, come le opere prime e seconde, fanno fatica. Io posso dire di aver resistito in questo periodo storico drammatico. Sono felice di aver avuto sempre la possibilità di seguire il mio gusto, il mio senso estetico e di bellezza nel mio percorso artistico.
E prossimamente cosa farà?
Ho dei progetti in ballo, che mi potrebbero portare lontana da casa per un po’. Non è semplice conciliare il lavoro con l’essere madre. Ho una figlia di 10 anni che a settembre andrà alle medie. Ho rifiutato due spettacoli teatrali che mi avrebbero portato fuori quattro mesi. Non me la sono sentita di stare così lontana da lei, soprattutto in questo suo momento di crescita. Quando era più piccola, la portavo sempre con me. Era la mia mascotte. Ora, andando a scuola, è più difficile. Ma è anche giusto che capisca che non si può vivere solo di rinunce. I figli devono avere delle madri che hanno il desiderio di stare in questo mondo e sentirsi realizzate, senza che manchi la nostra presenza, il contatto fisico, le carezze.










































A NAPOLI IL RISCATTO DELLA PERIFERIA PASSA DAI MAESTRI DI STRADA
Nei locali di un’ex scuola intitolata a una vittima innocente di camorra, un gruppo di operatori aiuta giovani e adulti a creare futuro. Antonella Saporito «Le cose avvengono perché c’è volontà»
di Anna Giuffrida
Una scuola della seconda occasione. Questa era l’idea che animava il progetto Chance, dalla cui esperienza è nata nel 2009 l’associazione onlus Maestri di Strada. E quell’iniziale progetto, che prevedeva di recuperare e accompagnare i giovani fino alla licenza media, si è ampliato diventando un’idea, uno spazio dove coltivare futuro e condivisione con i ragazzi del territorio. Periferia est di Napoli, precisamente la sesta municipalità dei quartieri San Giovanni e Ponticelli, è qui che i Maestri di Strada - educatori, psicologi, registi e arteterapeuti - abbracciano ogni giorno la sfida di sviluppare una comunità educante, capace di fare entrare i giovani in contatto con la bellezza. «La grande sfida è stata dal primo momento provare a interfacciarci con la scuola, entrando nelle classi e facendo un lavoro preliminare di progettazione con i docenti - spiega Antonella Saporito, psicologa e vicepresidente di Maestri di Strada -. All’inizio non avevamo una sede operativa ma già allora, dopo le lezioni, nel pomeriggio lavoravamo ai laboratori territoriali sulla motivazione, le attitudini, le passioni dei giovani
a stimolare i desideri dei ragazzi, di scostarsi da una logica del bisogno domandandosi “Che cosa vorrei diventare?”, “Come posso essere un giovane cittadino?”, arrivando a chiedersi cosa significa per loro essere cittadini consapevoli. Per questo un’altra attività dei nostri laboratori è rimappare il territorio, lavorando con i giovani su quali sono i luoghi significativi del quartiere, e facendo nascere in loro la voglia di prendersi cura degli spazi comuni», aggiunge la dottoressa Saporito. Dal 2019, l’associazione Maestri Di Strada onlus e i suoi tanti allievi hanno un proprio spazio comune, l’edificio di un’ex scuola di Ponticelli con aule ormai libere perché sottodimensionata, che è stato rinominato Centro Polifunzio-

Sopra, un incontro dell’associazione Maestri di Strada onlus; a destra, Antonella Saporito
attraverso l’esperienza del bello, il poter entrare in contatto con la bellezza anche in luoghi che sono disabituati a vederla». Un allenamento quotidiano, che utilizza anche l’arteducazione, che contribuisce a promuovere la cittadinanza dei più giovani. «La nostra idea è che questo tipo di intervento serva
nale Ciro Colonna, in memoria di una giovane vittima innocente della camorra. «Spesso il territorio che abitiamo è povero di offerte. Abbiamo deciso di intitolare la nostra casa, il Centro polifunzionale, a Ciro Colonna perché è stato alunno in una delle scuole in cui lavoravamo ed è un simbolo del quar-
tiere. Ciro è stato ammazzato per errore, mentre era in un circoletto, ma non era lui il destinatario - commenta con chiarezza Antonella Saporito -. L’idea è di proporre una socialità diversa dei giovani del quartiere. Qui c’è l’educativa comunale, che ha sede in alcuni locali del Centro; c’è uno spazio per i più piccini dai 3 ai 6 anni; c’è una cucina sociale che sta provando a nascere grazie a un finanziamento, dove si faranno dei laboratori. È uno spazio che vogliamo che aiuti i giovani, le donne del territorio a essere più consapevoli delle proprie risorse e che diventi un punto di riferimento per i ragazzi e le famiglie, che possano viverlo anche in autonomia».
Una sede che, anche se ‘sgarrupata’,

dice sorridendo Antonella, è un «luogo che riconosciamo come casa, nonostante le difficoltà». La struttura, avuta in affitto dal Comune, ha richiesto dall’inizio continui interventi di manutenzione; continui lavori a cui si aggiungono alcuni furti, l’ultimo dei quali li ha privati di attrezzature necessarie ai laboratori. Un duro colpo, attenuato dal sostegno di chi visita il centro e da ragazzi e famiglie del quartiere. «Questa cosa dei lavori ci scoraggia in certi casi. Ma spesso vengono a trovarci altre scuole d’Italia, grazie a un’esperienza turistica che si chiama La Fiera dell’Est. Gli proponiamo una sorta di visita di Napoli di mezza giornata, partendo dalla

«L’idea è di proporre una socialità diversa dei giovani del quartiere. Qui ci sono l’educativa comunale, uno spazio per i più piccini una cucina sociale che sta provando a nascere, grazie a un finanziamento»


periferia, con una passeggiata nel quartiere Ponticelli dove c’è la nostra sede. L’idea è di incontrare monumenti umani, fare una sorta di turismo dal basso ascoltando il racconto di alcune esperienze associative, dei giovani che partecipano ai laboratori - racconta con entusiasmo la dottoressa Saporito -. Quando ci vengono a trovare e poi ci dicono che si respira il nostro sogno, ci rincuora per il lavoro quotidiano che facciamo rispetto ad obiettivi più grandi». E i progetti, infatti, proseguono in questo angolo di periferia napoletana, dove si lavora in modo sistemico per le nuove generazioni e gli adulti. L’associazione sta lavorando alla creazione di una Fondazione di partecipazione, che coinvolga le realtà del territorio, inclusi due Istituti Comprensivi di Ponticelli e alcune aziende private con cui sviluppare nel quartiere un polo per la formazione. I privati hanno raccolto la sfida, le scuole hanno aperto tante porte, all’appello mancano solo le istituzioni. «Ci farebbe piacere che questo fosse riconosciuto come luogo educativo a livello istituzionale; ad oggi non lo è - chiosa Antonella -. La strada è lunga ma speriamo di realizzare l’intero progetto».

L’ONDA DELLE PANCHINE FAI DA TE QUANDO UN ATTO CIVICO TRASFORMA LA CITTÀ
In California è nato il progetto “SFBA Bench Collective” L’obiettivo è colmare le carenze nelle infrastrutture per agevolare anziani e persone con disabilità in attesa del bus nell’East Bay Area, coinvolgendo l’intera comunità locale
Metti un giorno alla fermata dell’autobus, sotto la pioggia o sotto un sole cocente. I minuti passano, e tu sei in piedi, un quarto d’ora, mezz’ora fermo lì, in attesa. È questa una fotografia che rispecchia l’ordinaria quotidianità e che coinvolge chiunque non possieda un veicolo per muoversi in autonomia, chi sceglie di non mettersi alla guida e chi non può. Al di là di quale sia la ragione, resta il fatto che sostenere le
attese alla fermata del bus può a volte rivelarsi particolarmente difficile.
A raccontarlo è Darrell Owens, un cittadino di Berkeley, nell’East Bay Area della California: è lui ad aver condiviso sui social la foto di un vicino di casa con difficoltà di deambulazione, seduto su un marciapiede in attesa del suo autobus. Da quella foto è nato l’incredibile.
Il post, neanche a dirlo, ha scatenato l’immediata indignazione dei numerosi cittadini che chiedevano da tem-
A sinistra, il post di Darrell Owens mostra un suo vicino di casa, con problemi di deambulazione, costretto a sedere sul marciapiede in attesa del bus
po - invano - l’adeguamento dell’arredo urbano alle fermate dei mezzi pubblici, per evitare che anziani, disabili attendessero il mezzo in condizioni scomode, se non addirittura pericolose.
A imbattersi nel post di Owens, tra i tanti, anche Mingwei Samuel, ingegnere informatico. Ispirato dal “Public Bench Project”, progetto locale che promuove spazi pubblici orientati alla comunità, Samuel ha costruito e installato una panchina alla fermata oggetto della ‘denuncia’ social, generando una tale ondata di consensi da spingerlo a proseguire. Insieme a Darrell, Owens ha così deciso di dare vita al movimento “SFBA Bench Collective”, con l’intento di provare a colmare le carenze dell’East Bay Area, coinvolgendo l’intera comunità locale. Attraverso un sito dedicato, i cittadini possono segnalare l’assenza di panchine, e anche ‘adottarle’ allo scopo di monitorarne le condizioni e segnalare tempestivamente la necessità di eventuali interventi di manutenzione. Ma, soprattutto, viene messa a disposizione una dettagliata guida - conforme alle norme vigenti - per la loro costruzione, che contiene indicazioni su materiali, utensili, montaggio e finitura. Sono circa 80, ad oggi, le panchine realizzate da cittadini che hanno risposto all’appello. Una grande soddisfazione che nasce anche dalla reazione inaspettata, ma sperata, dell’azienda locale di trasporto pubblico, che ha iniziato a sostituire le panchine “fai da te” con quelle ‘ufficiali’. Un riscontro notevolmente gratificante per gli ideatori del progetto, a dimostrazione di quanto l’azione di volenterosi cittadini abbia rappresentato un’esortazione e un modello da seguire. “Un grammo di buon esempio vale più di un quintale di parole” (San Francesco di Sales).







































































Speciale ambiente

«NOI, VOLONTARI DI RETAKE
CI RIPRENDIAMO
GLI ANGOLI DI CITTÀ»
Sono diventati riconoscibili per le loro casacche blu e per il loro impegno di pulizia di spazi pubblici Un’esperienza che insegna a essere cittadini attivi e responsabili. «Si creano tante microcomunità in cui si condividono esperienze di grande valore» spiega il presidente nazionale Retake, Fabrizio Milone
Rigenerare, e riprendersi la città. Con questo obiettivo i tanti volontari del movimento Retake si danno appuntamento periodicamente nelle loro città, muniti di guanti e attrezzature per ripulire insieme strade, parchi e scuole. Un progetto nato a Roma 15 anni fa, e che negli anni ha coinvolto altre 56 città italiane da Nord a Sud. Un volontariato che si prende cura dei beni comuni, risveglia il senso di partecipazione attiva in ognuno e coinvolge tutti, dai ragazzi ai pensionati. «Io lo faccio perché mi diverto», sottolinea Fabrizio
Milone, presidente nazionale di Retake con dieci anni di esperienza di volontario retaker nella sua città, Bari. Come nasce la decisione di fare questo tipo di volontariato? Da piccolo sono stato scout e l’esperienza della cura ce l’avevo un po’ dentro. Anche i miei genitori mi hanno insegnato a mantenere puliti i luoghi in cui andavamo, a volte togliendo i rifiuti lasciati in giro da altri. Diciamo che la sensibilità a certi temi te la devi portare un po’ dentro. Adesso nella vita faccio l’ingegnere e, dopo dieci anni da referente a Bari per Retake, posso dire
che frequentare gli eventi è una bellissima valvola di sfogo. Ho conosciuto persone che altrimenti non avrei mai incontrato, persone che fanno diversi lavori e di estrazioni sociali diverse. Ripulire un parco o una scuola vandalizzata, e poi ritornarci con chi ha partecipato a quelle azioni crea una forza di gruppo pazzesca. Si creano tante microcomunità, in cui si condividono esperienze di grande valore. Nei vostri interventi vi capita di ripulire muri ma anche fare azione di rimozione degli adesivi, che rivestono tanti lampioni. Quanto è importante prendersi cura anche delle piccole cose? Le nostre azioni si possono declinare in tanti modi: abbiamo fatto attività di restyling di parchi, aggiustato giostrine, piantumato. Ma abbiamo anche realizzato dei murales, facendo arte in maniera partecipata. Sono milioni di piccoli gesti, che possono essere fatti in


negativo e in positivo. In positivo, noi quei piccoli gesti di gentilezza, quasi insignificanti come togliere uno sticker, li possiamo fare davanti a tutti, alla luce del sole. Questo è il nostro vantaggio e anche una consolazione. Invece, chi sporca un muro, chi lancia un sacchetto o butta una cicca, lo fa comunque sempre nascondendosi. Inoltre, partecipare in prima persona all’azione di pulizia ha un potere educativo per la comunità incredibile: si tratta di azioni fatte con i ragazzi delle scuole e del territorio, con gente che vive quei posti.
Cosa resta al retaker nella sua quotidianità, al di fuori delle attività di volontariato?
Questo impegno ha un valore umano inestimabile. Ci sono tante storie incredibili, contenute nel nostro blog, di gente che si è salvata con l’associazio-


nismo dalla depressione, dalla droga, dalla solitudine, persone che scoprono la bellezza di stare insieme e rendersi utili. In termini pratici, c’è poi chi ha imparato a pitturare, c’è chi adesso si intende di vernici: una serie di attività, come ripulire un muro, che ci si porta a casa come bagaglio di esperienze. Quando andiamo nelle scuole, è quello che raccontiamo ai ragazzi, l’importanza di apprezzare anche i lavori manuali. C’è stata un’attività di restyling che è rimasta impressa più di altre? Quasi tutte le cose che facciamo avrebbe potuto farle qualcun altro. Ma averle fatte noi, con i ragazzi del posto, ha un valore aggiunto. Spesso i volontari sembrano dei supereroi e l’approccio iniziale è quello della delega. Molti si avvicinano perché vogliono ripulire sotto casa propria, e chiamano Retake. Ma poco alla volta queste persone iniziano a partecipare agli eventi e si attivano in prima persona
per ritrovare un senso di benessere. In 15 anni il movimento si è ingrandito e, ad oggi, sono tanti i volontari/retaker che aderiscono in tutta Italia. L’esperienza va diffondendosi, con una contaminazione positiva.
La rigenerazione urbana va di pari passo con la rigenerazione umana, lo dicono le ricerche scientifiche. Se stai in un parco che è tenuto bene, tu stai meglio. Se partecipi alla pulizia e al restyling di un luogo, sei felice. E questo lo abbiamo verificato soprattutto nelle scuole, con i ragazzi. C’è un disagio nei giovani legato all’ambiente circostante. E quando facciamo partecipare i ragazzi a queste azioni di recupero, che sia un murales o rifare delle fioriere, loro trovano grande soddisfazione perché sono i protagonisti di quest’opera e la loro azione è riconosciuta nella comunità. Sono questi tutti gli ingredienti di questa forma di felicità.
Speciale ambiente

ANNARITA SERRA «COSÌ SALVO IL MARE DALLA PLASTICA E CREO
OPERE
D’ARTE»
Di origini sarde e milanese d’adozione, l’artista lascia il lavoro da manager per diventare rigattiere ambulante «Denuncio l’inquinamento a modo mio. Attualmente sto lavorando con i jeans, ognuno di noi ne ha molti nell’armadio senza pensare che per ciascuno sono stati consumati 10mila litri d’acqua» di Ilaria Romano


Fra le sue opere ci sono riproduzioni di quadri iconici, da La grande onda di Kanagawa di Hokusai alla Ragazza con l’orecchino di perla di Vermeer, passando per la Medusa di Caravaggio e la Marilyn Monroe di Warhol, e tante altre composizioni originali, in una sorta di mosaico moderno che bisogna osservare con attenzione per cogliere ogni dettaglio.
«Sin da piccola ho sempre dipinto, era la mia vocazione - racconta a 50&Più Annarita Serra -, ho frequentato il liceo artistico di Brera e poi mi sono iscritta ad Architettura; per problemi familiari ho cominciato anche a lavorare, pensando di riuscire a conciliare questo nuovo impegno con lo studio, ma si è rivelato molto complicato e mi sono concentrata sul lavoro».
Inizia a lavorare da giovanissima e intraprende una carriera importante nel settore marketing: ci racconta questa esperienza? Ho lavorato in una multinazionale americana e ho fatto carriera perché avevo una grande voglia di riscatto. Sin da piccola, quando a 8 anni ero arrivata a Milano dalla Sardegna con la famiglia, avevo percepito un certo razzismo nei miei confronti, come
per tutte le persone del Sud, lo stesso che oggi c’è nei confronti degli stranieri. Per questo sentivo che dovevo farcela, era la mia rivalsa. In questa azienda vengo formata con un training importante, che include sei mesi di corso di marketing all’Università Bocconi, altri sei a Roma come venditore e un anno in Inghilterra come assistant manager. Insomma un’occasione unica, ma non era la mia vita. Cosa succede in Inghilterra?
Ero nello Yorkshire e ho deciso di sfruttare il mio tempo libero per fare un corso dopo il lavoro: ne ho trovato uno per antiquari e ho iniziato a frequentarlo, appassionandomi agli oggetti antichi e cominciando anche a recarmi nei mercatini alla ricerca di pezzi interessanti. Quando sono tornata a Milano li ho portati con me, e ho iniziato a pensare a come applicare le mie conoscenze di marketing a questo nuovo settore. Decido di acquistare una casa e, per questo, mi ritrovo in Comune dove apprendo che c’è una licenza disponibile come rigattiere ambulante. Non è proprio quella da antiquario che mi sarebbe piaciuta ma ci si avvicina. E allora decido di fare il grande salto. Lascia il marketing per il lavoro da rigattiere?
Sì, mi sono licenziata senza pensarci due volte: ero costata tanto all’azienda, ma continuavo a non sentirla come la mia vita. Ho presentato le dimissioni al direttore generale, che credeva avessi avuto un’offerta dalla concorrenza, ma quando gli ho spiegato cosa avrei fatto mi ha detto: “Beata te!”, aggiungendo poi che se le cose non fossero andate bene, sarei potuta tornare. Ho fatto questo lavoro per due anni e nel mentre ho ricominciato a dipingere. Come avviene il passaggio dalla pittura al ‘mosaico’ con i materiali di scarto?
Arrivo in Nuova Zelanda, dove vado a trovare mia sorella; quando vedo il mare mi ricordo all’improvviso
delle mie origini sarde e penso che non sono mai tornata nella mia terra. Al rientro in Italia vado in Sardegna, d’inverno. In spiaggia trovo un pezzo di plastica levigato, bellissimo e inquietante allo stesso tempo. Poi comincio a vederne tanti altri portati dalle mareggiate e comincio a raccoglierli con l’intenzione di ripulire il mare. Riempio interi sacchi di plastica e decido di portarli a Milano, ma non so ancora cosa ci farò, finché un giorno li butto per terra e comincio a comporre un primo quadretto. All’epoca, 25 anni fa, c’era una galleria francese che cercava qualcosa di diverso e decido di inviare questa mia opera. È piaciuta, ne ho inviate altre e sono state tutte vendute. Da lì ho cominciato ad avere fiducia in ciò che stavo facendo.
Da allora non ha più smesso: come si è evoluta la sua arte? Volevo fare l’artista e volevo salvare il mare, una cosa mi ha aiutato nell’altra e viceversa. Ma dopo 25 anni ho deciso di cambiare materiali. Posso dire di aver completato il lavoro sulla plastica, che comunque non va demonizzata in quanto tale, ma per l’abuso
che ne è stato fatto. In alcuni ambiti come quello sanitario ci ha salvato la vita, pensiamo alle siringhe. Oggi continuo il mio lavoro di denuncia dell’inquinamento in altre forme. Attualmente sto lavorando con i jeans, che ormai si trovano in vendita persino a 10 euro; ognuno di noi ne ha molti nell’armadio senza pensare che per ognuno sono stati consumati 10mila litri d’acqua, e che tutti i coloranti che vengono usati per tingerli nei paesi in via di sviluppo finiscono nei fiumi e poi nel mare. Per non parlare delle microfibre, che sono arrivate a inquinare più della plastica. Cosa direbbe a chi cerca la propria strada e vuole affacciarsi al mondo dell’arte?
Vorrei infondere un messaggio di fiducia nei giovani, perché non è vero che oggi ci sono meno opportunità, sono solo diverse e bisogna imparare a coglierle. E bisogna imparare a cercare la propria strada sin da subito. Io l’ho fatto più tardi, ma riuscire a fare arte e a parlarne mi fa dire di avercela fatta, perché quando la mattina mi sveglio non vedo l’ora di andare a fare quello che mi piace. E questo non ha prezzo.

BANDIERA BLU
L’ITALIA DELLE CHIARE, FRESCHE, DOLCI ACQUE
Nel 2025 il prestigioso riconoscimento è stato assegnato a 246 comuni italiani
Non solo qualità delle acque: sono ben 32 i criteri da soddisfare

“Chiare, fresche, dolci acque”: i versi di Francesco Petrarca potrebbero essere lo slogan del programma Bandiera Blu, che dal 1987 attribuisce un ambito riconoscimento di qualità alle spiagge marine e lacustri nel nostro paese. Le “bandiere blu” sono assegnate ogni primavera, come certificato di merito in vista dell’imminente stagione estiva, dalla sezione italiana della Foundation for Environmental Education (Fee), un’organizza-
zione internazionale no-profit con sede a Copenaghen. Nata nel 1981 in Gran Bretagna, la Fee è oggi attiva in 81 paesi nei cinque continenti e rappresenta la più grande realtà organizzativa nel settore dell’educazione ambientale. Il programma Bandiera Blu prevede l’assegnazione di una certificazione internazionale che attesta la qualità delle acque e la cura dell’ambiente. Le località premiate devono aver soddisfatto, nei quattro anni precedenti al riconoscimento, criteri di eccellenza fissati dalla
Fee e rilevati attraverso le analisi delle Agenzie Regionali per la Protezione dell’Ambiente. Si tratta di ben 32 parametri che riguardano non soltanto la trasparenza delle acque, ma anche la gestione del territorio, la presenza di servizi al cittadino, le garanzie di sicurezza, l’educazione e l’informazione ambientale. Elementi essenziali di valutazione sono l’esistenza e la funzionalità degli impianti di depurazione, la percentuale degli allacci fognari, la raccolta differenziata e la corretta gestio-
ne dei rifiuti, la regolamentazione del traffico, l’accessibilità delle spiagge, la disponibilità di strutture ricettive con certificazione ambientale, la presenza di aree pedonali, piste ciclabili e aree verdi, e la cura dell’arredo urbano. Ogni anno i criteri vengono aggiornati e perfezionati: nel 2025 alle amministrazioni dei comuni candidati è stato chiesto di presentare un Piano di Azione per la Sostenibilità, con una serie di misure (in atto o da attuare nel prossimo triennio) per contrastare il surriscaldamento globale e il cambiamento climatico, secondo le indicazioni dell’Unione europea e dell’Agenda 2030 dell’Onu. La valutazione delle località candidate alla Bandiera Blu spetta a una commissione di cui fanno parte il ministero del Turismo, il ministero dell’Agricoltura, il ministero dell’Ambiente, l’Istituto Superiore di Sanità, il Consiglio Nazionale delle Ricerche e vari altri enti pubblici e privati; la definizione dei vincitori, poi, avviene ad opera di un’apposita giuria internazionale. Lo scorso 13 maggio questo complesso procedimento, concluso a Roma con una cerimonia alla presenza del ministro per la Protezione Civile e le Politiche del mare, ha decretato l’assegnazione della Bandiera Blu a 246 comuni italiani, marini e lacustri, confermando la tendenza alla crescita espressa negli ultimi anni. Le località premiate erano 210 nel 2022, 2.026 nel 2023 e 2.036 nel 2024. Un dato confortante in materia di attenzione per l’ambiente e misure di ecosostenibilità messe in atto nel nostro paese. A livello regionale, a guidare la classifica delle acque più blu d’Italia è la Liguria, che perde una bandiera rispetto al 2024 ma resta saldamente in testa con 33 comuni premiati. Al secondo e al terzo posto si piazzano la Puglia e la Calabria, rispettivamente con 27 e 23 comuni premiati: entrambe, però, guadagnano tre bandiere blu rispetto allo scorso anno. Al quarto posto ci sono la Campania e le Marche, entrambe a

quota 20 comuni premiati, poi tocca alla Toscana (19 bandiere blu), alla Sardegna e all’Abruzzo (16), alla Sicilia (14) e via via a tutte le altre regioni, fino al “fanalino di coda” del Friuli Venezia Giulia e del Molise, in fondo alla classifica a pari merito con due bandiere blu. Su base provinciale, i territori più ‘virtuosi’ sono quelli di Salerno e di Savona, che conquistano 14 bandiere blu, seguiti dalla provincia di Trento, con le sue 12 bandiere blu lacustri, e dalle province di Cosenza e Sassari, con 11 riconoscimenti. Nel complesso, a fronte di cinque località ‘retrocesse’ rispetto al 2024, ben quindici hanno elevato i loro standard qualitativi al punto di guadagnarsi il certificato di merito della Fee. Quasi tutte le new entry sono localizzate nel Centro-Sud, a riprova, secondo molti osservatori, del progressivo appianamento dei divari infrastrutturali del paese. Restano alcune criticità, come la sottorappresentazione di alcune aree famose per il fascino del paesag-
gio; ma il criterio naturalistico è solo un fattore, fra i tanti determinanti, nell’assegnazione delle bandiere blu. Un totale di 487 spiagge riconosciute come eccellenti sul territorio nazionale (due in più dell’anno scorso), a cui si aggiungono 84 approdi turistici, assicura all’Italia l’11,5% delle spiagge di qualità a livello mondiale e ne ribadisce lo status di ‘superpotenza’ del turismo balneare. Dalla valle dei laghi, appena a nord di Trento, fino a Pozzallo, all’estremità meridionale della Sicilia, da Bordighera, a due passi dal confine francese, fino a Grado, nel golfo di Trieste, è tutto un diagramma di bellezza “a misura d’uomo”. Un nuovo Grand Tour si snoda attraverso mete rinomate - Camogli e Forte dei Marmi, Jesolo e Riccione, Sperlonga e Sorrento, Ortona e Ostuni, Tropea e la Maddalena -, ma soprattutto attraverso uno stuolo di località meno note e sorprendenti che consacrano il Belpaese come campione di ospitalità e ricezione sostenibile.

ALESSANDRO GALASSI
«VI RACCONTO HAITI, SIMBOLO DELLE PERIFERIE DEL MONDO»

Regista e videomaker, ripercorre le strade della prima repubblica libera nera ascoltando le voci di insegnanti, operatori sociali e bambini in un contesto di povertà estrema «Le barriere, costruite per difendersi dalle gang sono l’aspetto più drammatico»
Si intitola Figli di Haiti l’ultimo documentario prodotto da Fondazione Avvenire e realizzato dal regista Alessandro Galassi. L’opera, in uscita a settembre, è stata ideata per dare un sostegno concreto all’orfanatrofio Maison des Anges che, dopo aver subito violenza da parte delle gang locali, è stato costretto a fuggire nell’Artibonite per continuare a garantire un impegno di ospitalità e istruzione ai bambini orfani. «Haitispiega Galassi - è il simbolo della periferia del mondo, quest’anno celebra i duecento anni dal debito che il paese
ha pagato alla Francia per avere la libertà». Dopo lo studio sulla condizione socioeconomica e politica del paese, Galassi, a bordo di un aereo messo a disposizione dalle Nazioni Unite - nella capitale non arrivano voli -, è sbarcato ad Haiti. «Oggi il paese è completamente in mano alle gang, create dalle élite del paese per proteggersi, è anche un hub strategico per il traffico di droga e organi dalla Colombia agli Stati Uniti», racconta il regista. Galassi, che ha già percorso le strade di altre periferie difficili - dal Messico all’Afghanistan -, dice: «Haiti è tra le realtà più pericolose

che abbia incontrato fino ad ora perché mancano regole e anche l’ingresso per i reporter è complicato perché non ci sono limiti, le gang lasciano il paese in un totale stato di ingovernabilità. Di notte non è possibile uscire, ci sono proiettili vaganti e tutt’intorno c’è una situazione di povertà estrema, gli sfollati occupano ogni spazio possibile per sfuggire alla violenza e vivono senza nessun tipo di aiuto umanitario». Non è solo la condizione economica a creare disagio. A seguito del terremoto del 2010, ancora tante persone vivono uno stato psicologico drammatico: «Ho incontrato operatori che lavorano in questo senso proprio per cercare di arginare l’emergenza», spiega. Eppure, davanti a uno scenario così lacerato, che rende Haiti il simbolo per eccellenza delle periferie del mondo, c’è ancora un aspetto - se vogliamo - più drammatico. «La quasi totalità delle persone vive in povertà assoluta, non ha cibo. Ormai, non c’è un dislivello. Nonostante questo, le famiglie si autotassano per raccogliere soldi necessari alla costruzione di cancelli utili a chiudere le strade per paura delle gang - aggiunge Galassi -, è singolare vedere come, quasi in un film distopico, la maggior parte della popolazione crea un nuovo sistema di potere. I cancelli vengono chiusi alle 18 per essere riaperti alle 6 dell’indomani: sono loro a decidere chi entra e chi esce da queste strade». Conclude: «Ad Haiti, invece di unirsi, ci si chiude».
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«G
uerra è abbandonare i propri sogni, le proprie speranze. Dimenticarle. Mettere pochi averi in una valigia e scappare prendendo per mano quello che di più caro hai, i tuoi figli e la tua famiglia, e andare senza, a volte, neanche sapere dove. Solo andare, insomma, con la speranza di salvare la tua famiglia». Rispolverando prontamente tre aggettivi si definisce ironica, molto ansiosa e piagnucolona. Piange quando si emoziona, quando si arrabbia o quando non sa come esprimere quello che sente. La forza invece è, oltre l’ironia, la sua famiglia che la incoraggia e la motiva e neanche troppo inconsapevolmente ha tracciato una storia. Chiara Zaccone, siciliana, classe 1990, incarna a pieno titolo “la meglio gioventù” che fa inarcare un sorriso speranzoso a chi sogna un mondo migliore in cui regni la pace e l’uguaglianza. E oggi, dopo aver deciso con entusiasmo contagioso di dedicare la propria vita alla cooperazione internazionale, è capo missione in Sudan e coordina i programmi che l’organizzazione Coopi porta avanti lì, dove vi è una guerra drammatica da 2 anni.
Ma riavvolgiamo il nastro, per capire come tutto è iniziato. «Da bambina -
«VOLEVO ESSERE UN’ASTRONAUTA» COSÌ CHIARA ZACCONI È DIVENTATA CAPO MISSIONE IN SUDAN
Gli studi in Scienze internazionali e diritti umani
il volontariato con la famiglia e la ‘crisi dei migranti’ nel 2009. Madagascar, Repubblica Centrafricana e Ciad oggi coordina i programmi dell’organizzazione Coopi
di Claudia Benassai

dice in premessa facendo un tuffo nel passato - sognavo, come tanti piccini probabilmente, di diventare astronauta. Lo spazio mi affascinava e mi sarebbe piaciuto essere tra le prime donne a partire e fare scuola. Mentre sognavo di fluttuare nello spazio, passavo tuttavia pomeriggi con i miei genitori a fare volontariato con l’associazione di cui facevano parte. Pomeriggi liberi in cui i miei si dedicavano al prossimo e insegnavano a noi, accompagnatori attenti, a fare altrettanto. E questo effettivamente mi piaceva tanto, mi allietava vedere che insieme potevamo fare del bene e migliorare esistenze. Il momento in cui ho capito che più che lo spazio, avrei voluto esplorare paesi diversi, è stato nel 2009, ultimo anno di liceo, primo anno della “crisi migranti” che ha tenuto banco anche sui media con delle immagini tristi. E le domande che mi attanagliavano erano: “Perché scappate e non vi accogliamo? Cosa posso fare e come lo posso fare?”». Detto fatto, ma soprattutto costruito mattone su mattone. La giovane ha scelto di studiare Scienze internazionali, dello sviluppo e della cooperazione, proseguendo con la magistrale in Relazioni internazionali con focus sui diritti umani. E poi ha immagazzinato diverse esperienze. Ha cominciato in Madagascar con il servizio civile, poi è approdata in Repubblica Centrafricana, e in Ciad, prima del Sudan, che raccoglieva i suoi sfollati. Un fronte assai caldo: «Dal 15 aprile 2023, il Sudan - ricorda la cooperante - è afflitto da una delle crisi umanitarie più gravi e dimenticate al mondo. Il conflitto ha causato più di 12 milioni di sfollati, 7.000 vittime di cui molti civili. Fiumi di persone, soprattutto donne e bambini, che da tre anni si spostano con ogni mezzo possibile alla ricerca di un luogo sicuro. Conflitto che colpisce i civili e che ha lasciato sole intere porzioni di questo paese enorme, isolato
dagli aiuti umanitari e dall’accesso al cibo. Ad oggi, più di 24 milioni di persone, soprattutto sfollati, si trovano a rischio sopravvivenza e non hanno accesso neanche a un piatto al giorno e a meno di 7 litri d’acqua». I numeri accecano, e un’idea della gravità della crisi umanitaria può forse darla quello che sta accadendo da metà aprile in Nord Darfur, in cui si trova uno dei campi sfollati più grandi del Sudan, “ZamZam Camp”. «Gli scontri - precisa - si sono intensificati e in una sola giornata più di 400.000 persone sono state costrette a lasciare il campo e scappare nelle aree limitrofe, percorrendo a piedi chilometri in strade insicure. Noi, con Coopi, stiamo partecipando alla risposta emergenziale proprio a supporto di queste persone, fornendo acqua potabile giornalmente». La giovane ha lavorato in altri contesti instabili, come il Centrafrica, ma il Sudan non solo le è rimasto nel cuore, tanto che ci tornerà a breve, ma le ha ricordato il perché è importante impegnarsi con passione. Ed è qui che appare prezioso qualche frammento, che restituisce ciò che gli occhi lontani ignorano: «Porto con me i racconti di Luai, il mio collega, la cui famiglia era rimasta a chilometri di

distanza da lui, nello stato di Gezira, e che per mesi è rimasto tagliato fuori dalle comunicazioni dopo essere stato attaccato. Per più di tre mesi Luai non aveva avuto notizie della sua famiglia, non sapeva se fossero ancora vivi. Eppure ogni giorno veniva in ufficio, lavorava e c’era per i suoi colleghi. Ricordo la sua gioia quando finalmente, dopo tre mesi, ricevette una chiamata dalla moglie e aveva sentito la voce dei figli. Luai mi ricorda quanto sia importante impegnarsi insieme perché ‘l’Altro’, anche se abita a migliaia di chilometri di distanza da noi, venga visto, riconosciuto, ascoltato».
E in coda arriva qualche consiglio per chi vorrebbe intraprendere lo stesso percorso, anche se è un compito assai oneroso. «Posso dire poco. Ci sono cose - dice concludendo - che ho imparato studiando ovviamente e cose che ho imparato vivendo sul campo. Per me è importante ricordarmi ogni giorno da dove vengo, le mie radici. Che mi permettono di muovermi nel mondo della cooperazione e mi ricordano perché ho scelto questo lavoro, mentre gli studi mi permettono di avere riferimenti per costruire professionalmente ciò che faccio ogni giorno».
Genitori e figli
Lo smartphone, o meglio il suo uso sregolato e improprio, nuoce alla salute e soprattutto alla vita relazionale. Da più parti si levano le voci di chi invoca una regolamentazione per quanto riguarda i bambini e i ragazzi, con limiti di accesso in base all’età: a partire dal pedagogista Daniele Novara e dallo psicoterapeuta Alberto Pellai, che tempo fa hanno lanciato una petizione proprio su questo tema, che ha riscosso un grande consenso, fino alle iniziative che, in Italia e all’estero, si propongono di regolamentare l’uso dello smartphone in ambito scolastico. Molto meno si pensa, invece, di porre limiti, o almeno regole di buon senso, all’uso dello smartphone da parte degli adulti. Ne parla con una certa preoccupazione Marina Terragni, Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, dopo aver letto lo studio Hot stuff: Behavioural and affective thermal responses to digital and non-digital disruptions during early mother-infant interaction, frutto della collaborazione tra il Dipartimento di Scienze del Sistema Nervoso e del Comportamento dell’Università di Pavia e l’Istituto Neurologico Mondino. L’indagine, recentemente pubblicata sulla rivista Biological Psychology, affronta il tema, tanto delicato quanto poco trattato, dell’impatto che può avere l’uso dello smartphone sulle prime interazioni tra madre e neonato e quindi sullo sviluppo del legame emotivo e affettivo. Come spiega Sarah Nazzari, prima autrice dello studio, emerge che «anche brevi interruzioni dell’interazione possono influenzare la qualità degli scambi affettivi tra genitore e bambino». Dottoressa Terragni, cosa l’ha colpita di questa indagine, tanto da decidere di rilanciarla?
Lo studio mette in luce un fenomeno che è già da tempo sotto i nostri occhi e che mi preoccupa molto: vediamo ogni giorno carrozzine e passeggini spinti da genitori che guardano lo schermo

MARINA TERRAGNI
«EDUCHIAMO
I GENITORI
A
UN UTILIZZO CORRETTO DELLO SMARTPHONE»
L’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza
«Noi adulti dobbiamo sviluppare consapevolezza disintossicarci, ascoltare i nostri figli e farci guidare da loro in questo mondo»
del telefono, o assorti nei loro telefoni sulle panchine dei parchi, mentre i figli giocano con scivoli e altalene. Più raramente, per fortuna, ma capita perfino di vedere mamme che allattano, mentre sul cellulare tengono d’occhio i social o addirittura vedono un video. Basterebbe il buon senso per capire quanto questo possa far male alla relazione genitore-figlio, ma ora abbiamo anche un’indagine, che a questa sensazione aggiunge consistenza scientifica, analizzando l’impatto che questo ha sullo sviluppo emotivo e cognitivo del bambino. Altri studiosi in passato ci hanno detto chiaramente che i bambini molto piccoli hanno un vitale bisogno di rela-
zione e interazione, tanto che i piccoli cresciuti in contesti istituzionali e non adeguatamente stimolati dal punto di vista relazionale sviluppano problematiche cognitive, emotive e del linguaggio. Ora rischiamo di creare, nelle nostre case, le stesse condizioni di deprivazione relazionale ed emotiva. Si parla tanto di come educare i bambini e i ragazzi a un uso corretto dello smartphone. Bisognerebbe quindi educare anche i genitori?
Innanzitutto i genitori, sì, perché sono i primi riferimenti educativi nonché l’esempio che i ragazzi hanno sotto gli occhi. Non si può pensare che siano lo

stato o la scuola a educare i giovani a un uso consapevole di questi strumenti: serve uno sforzo collettivo, che gli stessi ragazzi ci chiedono.
Cosa chiedono?
Chiedono spazi protetti, luoghi di disconnessione, in cui non rischino di essere giudicati per ciò che dicono o che sembrano. Mi riferisco in particolare alla cosiddetta Generazione Z: coloro che hanno superato i 20 anni e sono i più colpiti dalla rivoluzione digitale ci mettono in guardia. Proprio loro, se interpellati sul tema, tante volte ci dicono: “Stavamo meglio prima, quando i social non c’erano e non eravamo sempre collegati”. E assicurano che non daranno lo smartphone in mano ai loro figli troppo presto, evidentemente consapevoli delle criticità che un uso precoce o improprio può avere sullo sviluppo. Questo è molto interessante, perché significa che stanno sviluppando anticorpi, forme di difesa e una consapevolezza che forse a noi manca.

Per questo dobbiamo ascoltarli, quando ci chiedono spazi sicuri, cioè spazi di relazione reale, fisica, in cui non acquisiscano per sempre un’identità ‘social’ che non corrisponde a ciò che sono davvero né a ciò che vogliono essere. Cosa dobbiamo fare, quindi, noi adulti?
Innanzitutto, sviluppare anche noi consapevolezza: chiederci con molta onestà se e quanto siamo dipendenti dallo smartphone e perché lo siamo diventati, cosa stiamo cercando. In secondo luogo, dobbiamo fare uno sforzo per disintossicarci e soprattutto disintossicare alcuni momenti e passaggi relazionali vitali. In generale, noi adulti dobbiamo ascoltare i nostri figli e farci guidare da loro in questo mondo, che a loro appartiene: come dice Jonathan Haidt, autore di La generazione ansiosa, loro sono cresciuti su Marte, mentre noi adulti possiamo andare a farci un giro per provare a capire com’è, ma non potremo mai comprendere fino in fon-
do, perché non è il nostro ‘pianeta’. Solo loro, che ci sono nati, possono guidare i nostri passi: e proprio loro ci dicono di stare attenti, di difenderci da quella dipendenza che stiamo sviluppando e che rischia di danneggiare noi, loro e soprattutto il nostro legame con loro. Rimettiamo al centro il superiore interesse dei bambini e dei ragazzi e, insieme a loro, ritroveremo la strada che altrimenti rischiamo di smarrire.
L’indagine dell’Università di Pavia e dell’Istituto Neurologico Mondino affronta il tema dell’impatto che può avere l’uso del cellulare sulle prime interazioni tra madri e neonati
Dieci anni fa il Regno Unito lasciava l’Unione europea. Le promesse elettorali che portarono alla Brexit non si sono realizzate e il paese ha vissuto il peggior decennio di crescita economica degli ultimi due secoli. Il 23 giugno 2016, il 51,9% degli elettori britannici votò a favore dell’uscita dall’Ue. Il fronte Leave, guidato da Boris Johnson, Michael Gove e Nigel Farage, dominava la campagna con promesse di maggiore sovranità, controllo dei confini, nuovi accordi commerciali e più fondi per il sistema sanitario nazionale. Il messaggio più celebre era stampato sul fianco di un autobus rosso: “Mandiamo all’Ue 350 milioni di sterline a settimana - usiamoli per finanziare il nostro sistema sanitario”. Uno slogan poi smentito da analisi indipendenti e dallo stesso Johnson, che nel 2017 ammise che la cifra non teneva conto dei rimborsi Ue. Il campo Remain, sostenuto dal primo ministro David Cameron, dal cancelliere dello Scacchiere George Osborne, da gran parte del Partito Laburista e dai Liberal Democratici, metteva in guardia da gravi conseguenze economiche e diplomatiche. Secondo gli analisti londinesi, la Brexit ha cambiato la Gran Bretagna più di quanto i suoi architetti abbiano ammesso e meno di quanto i suoi sostenitori sperassero. Oggi la parola Brexit è quasi scomparsa dal dibattito politico britannico. Ma le sue conseguenze sono visibili ovunque. Secondo l’Office for National Statistics, tra il 2016 e il 2024 il Regno Unito ha registrato uno dei dieci periodi più deboli di crescita economica dal 1820. Il Pil è aumentato in media di meno dell’1% all’anno, molto al di sotto dei principali paesi del G7. La Bank of England, banca centrale inglese, nel suo rapporto del novembre 2023 ha evidenziato una riduzione strutturale del potenziale di crescita del paese, dovuta in parte alla fine della libera circolazione delle merci e delle persone. Tra le frasi

BREXIT, DIECI ANNI DOPO IL PREZZO SALATO DI UNA PROMESSA MANCATA
Crescita al minimo storico e nuovi ostacoli commerciali: il Regno Unito affronta le conseguenze di una scelta che ha cambiato la sua traiettoria economica e politica
di Cosimo Caridi
più note della campagna referendaria resta quella di Michael Gove: «Saremo liberi di concludere nuovi accordi commerciali con paesi in tutto il mondo». Le promesse su una raffica di nuovi accordi commerciali si sono rivelate modeste. Il trattato con l’Australia, celebrato come il primo esempio della “Global Britain” (La Gran Bretagna globale) ha aumentato il Pil britannico di appena lo 0,02%, secondo stime ufficiali. L’accordo con l’Ue, entrato in vigore nel gennaio 2021, ha introdotto
controlli doganali e barriere non tariffarie che hanno penalizzato l’export britannico. Il Regno Unito sperava in un patto di libero scambio con gli Stati Uniti, di cui sono stati da sempre il più fedele alleato, per compensare la perdita di accesso al mercato unico europeo. Ma una volta che Donald Trump si è reinstallato alla Casa Bianca, l’obiettivo è diventato semplicemente limitare i danni. A inizio maggio, il primo ministro britannico, Keir Starmer, e il Presidente statunitense hanno firmato

un accordo che prevede dazi al 10%. Sebbene si tratti delle tariffe più basse in vigore per l’accesso al mercato statunitense, rappresentano un colpo pesante, l’ennesimo, per il commercio del Regno Unito. Inoltre l’UK Trade Policy Observatory ha calcolato un calo degli investimenti diretti esteri del 20% rispetto alla media pre-Brexit. I disagi legati al commercio sono emersi fin dai primi mesi successivi all’uscita dal mercato unico europeo. A Dover e nei principali porti del sud-est del paese, le code di camion in attesa dei controlli doganali sono diventate ricorrenti. Nel 2022, la BBC ha documentato file di veicoli merci lunghe oltre 20 chilometri, con attese di 12 ore. Nel gennaio 2023, il Guardian ha raccolto testimonianze di operatori logistici che parlavano di ritardi “mai visti prima”. Sul fronte dell’immigrazione, il governo britannico ha introdotto un sistema a punti per i lavoratori stranieri, complicando l’arrivo di personale dall’Ue in settori come l’agricoltura, la logistica e l’hospitality. Ma la promessa di ridurre i flussi migratori non si è concretizza-

A sinistra, un gruppo di manifestanti britannici chiede il rientro del Regno Unito nell’Unione europea dopo la Brexit Sotto, il primo ministro Keir Starmer incontra Donald Trump alla Casa Bianca In basso, a destra, tir e camion in fila al porto di Dover in attesa di attraversare il canale della Manica
ta. Anzi, secondo l’Office for National Statistics, il 2022 ha segnato un record storico di immigrazione netta: 745mila persone, seguite da 685mila nel 2023. Le nuove rotte hanno visto un aumento dei flussi da India, Nigeria, Pakistan e Filippine, mentre quelli provenienti dall’Europa sono crollati. Oggi, per un cittadino europeo, italiani inclusi, è necessario un visto per entrare nel Regno Unito. Quello turistico costa circa 15 euro e non è valido per studiare o lavorare. Nel frattempo, Londra ha iniziato a riallacciare i legami con Bruxelles. Nell’ottobre 2023, il Regno Unito ha firmato una dichiarazione congiunta alla Conferenza della Comunità politica europea, impegnandosi a rafforzare la cooperazione in materia di sicurezza, difesa, energia e lotta al terrorismo. La guerra in Ucraina e la scelta isolazionista di Trump hanno reso evidente a tutto il Vecchio continente la necessità di una risposta coordinata e congiunta. Londra non solo è costretta a collaborare con gli alleati europei, ma deve farlo senza il vantaggio economico e politico del mercato unico.



GIUBILEO 2025 UNA PORTA APERTA A METÀ SUL FUTURO DI ROMA
A sei mesi dall’inizio dell’Anno Santo, percorriamo le strade della Capitale insieme al sindaco Roberto Gualtieri, il prefetto Lamberto Giannini e altre anime della città tra obiettivi centrati e altri da raggiungere
cura di
CELEBRARE IL PERDONO UNIVERSALE: COSÌ È STATO
ISTITUITO IL PRIMO ANNO SANTO 1300 ANNI FA
Dalle origini bibliche all’istituzione del primo Anno Santo la storia del Giubileo attraversa secoli di fede, guerre ed epidemie, portando con sé il senso profondo del perdono e della redenzione anche nei momenti più oscuri dell’umanità
di Anna Costalunga
Per gli antichi ebrei, il Giubileo - chiamato anno del yōbēl (cioè, ‘del capro’, dal corno il cui suono ne annunciava l’inizio) - era un anno sacro che cadeva ogni cinquantenario. Secondo la legge mosaica, in questo periodo la terraconsiderata proprietà di Dio - doveva tornare al suo originario proprietario e gli schiavi venivano liberati. In era cristiana il termine ha assunto una connotazione più spirituale, legandosi al concetto di gioia e giubilo per la remissione dei peccati e la riconciliazione con Dio. La storia del Giubileo inizia il 22 febbraio 1300, quando papa Bonifacio VIII emanò la bolla Antiquorum habet fida relatio, indicendo l’Anno Santo per celebrare il perdono universale. Il Pontefice stabilì così che ogni cent’anni i fedeli avrebbero potuto ottenere l’indulgenza plenaria visitando le basiliche di San Pietro, San Giovanni in Laterano e San Paolo fuori le Mura. Oltre 200.000 pellegrini raggiunsero Roma e nacquero così le prime produzioni di souvenir religiosi - medagliette incise, tavolette di maiolica con data e simboli del Giubileo -, accompagnate dal fiorire di taverne e botteghe di ospitalità.
A seguito di una petizione dei citta-
dini romani, papa Clemente VI nel 1342 ridusse l’intervallo tra un Giubileo e l’altro da 100 a 50 anni. Successivamente, nel 1389, papa Urbano VI propose di fissare la cadenza giubilare ogni 33 anni, in omaggio agli anni della vita di Cristo. Tuttavia, alla sua morte, Bonifacio IX celebrò il Giubileo nel 1390. Nel 1400, alla scadenza dei cinquant’anni stabiliti in precedenza, Bonifacio IX confermò per primo l’indulgenza ai pellegrini giunti a Roma. Papa Martino V, nel 1425, celebrò un nuovo Giubileo e inaugurò per la prima volta la Porta Santa nella basilica di San Giovanni in Laterano.

L’ultimo Giubileo cinquantennale fu quello del 1450, indetto da Niccolò V.
Fu poi papa Paolo II a stabilire, nel 1470, che il Giubileo ordinario si sarebbe celebrato ogni 25 anni. Il primo con questa nuova cadenza fu quello del 1475, organizzato da Sisto IV. Da allora, la periodicità venticinquennale divenne la regola.
Pur essendo un evento di pace, il Giubileo nei secoli è stato segnato da eventi drammatici legati alle epidemie e alle guerre. Così avvenne nel 1350, quando, dalla sua residenza ad Avignone - mentre la peste nera falcidiava l’Europa - Clemente VI decise di indire un Giubileo straordinario per risollevare gli animi dei fedeli. Non bastasse, il 9 settembre 1349, un fortissimo terremoto scosse Roma; i pellegrini che vi giunsero nel 1350 ne poterono constatare le conseguenze e lo stato di grave degrado delle basiliche.
La città eterna era al punto più basso della sua storia: con l’autorità spirituale e temporale (il Pontefice) ritiratasi in Francia, era ormai un borgo con poco più di 20.000 abitanti. In questa situazione un motivo di particolare consolazione era la possibilità di vedere il Sudario della Veronica, che veniva mostrato in San Pietro ogni domenica. Per avvicinarsi, narrano i cronisti, la gente si accalcava a tal punto che non pochi finivano col morire soffocati o calpestati a morte.
La storia del Giubileo da sempre si intreccia con le vicende politiche e militari europee. Così nel 1525, al tempo della ribellione di Martin Lutero per la compravendita delle indulgenze papali, Clemente VII tolse l’obbligo dell’elemosina per i partecipanti ai riti di Roma. Ma il Giubileo di quell’anno, accusato dai luterani di essere una lucrosa superstizione a vantaggio della Curia, fu disatteso anche nei suoi frutti posteriori. Due anni dopo, infatti, i lanzichenecchi protestanti - al soldo

del cattolicissimo Carlo V - marciarono su Roma per saccheggiare i suoi palazzi e profanare le sue chiese. Anche il Giubileo del 1650, sotto il pontificato di Innocenzo X, si svolse in un clima teso: la Guerra dei Trent’Anni era appena terminata, ma le ostilità tra i paesi europei, alimentate dalle questioni religiose tra cattolici e protestanti, mantenevano alta la tensione. Eppure, in questo clima di allerta e timore, migliaia di pellegrini affluirono a Roma, attratti dalla forza del perdono spirituale. In tempi più recenti, il ricordo va al Giubileo del 1950 che, inizialmente previsto per il 1940, fu rinviato a causa dello scoppio della Seconda guerra mondiale. Durante il conflitto, il Papa concesse comunque un’indulgenza straordinaria a tutti coloro che, impossibilitati a re-
carsi a Roma, avessero pregato davanti a un crocifisso nella propria chiesa locale. Un gesto di misericordia in un mondo devastato dalla guerra.
La storia ha dimostrato come il Giubileo abbia saputo trasformarsi, mantenendo la sua carica spirituale anche nelle prove più dure: peste e guerre ne hanno scandito il ritmo e ne hanno talvolta impedito la partecipazione da parte dei fedeli. Ma, proprio nei momenti di crisi spirituale e materiale, la promessa dell’indulgenza plenaria ha rappresentato un faro di speranza, capace di unire fedeli di ogni condizione davanti alla Porta Santa. Ancora oggi, davanti a nuove e drammatiche sfide, questa tradizione millenaria ricorda al mondo l’importanza di un atto di apertura per offrire perdono e rinascita.
ROBERTO GUALTIERI «ROMA È TORNATA A ESSERE UNA GRANDE CAPITALE»
Il sindaco della città, a sei mesi dall’inizio del Giubileo traccia con noi un bilancio di questa prima fase dell’evento, strizzando l’occhio al futuro
di Anna Grazia Concilio

Da un lato cantieri aperti e disagi, dall’altro un volto nuovo della città. Roma, da mesi è interessata da interventi di riqualificazione che dal centro alla periferia hanno l’obiettivo di migliorare la capitale sia in termini di accoglienza di turisti e pellegrini, sia in termini di vivibilità quotidiana per i romani. Insieme al sindaco Roberto Gualtieri, abbiamo percorso il primo semestre dell’Anno Santo per capire a che punto siamo e cosa ancora c’è da realizzare. Sindaco, proviamo a tracciare un bilancio di questi primi mesi. Che Giubileo è stato fino ad ora? Si vedono i risultati di un lavoro partito da zero il primo giorno del nostro insediamento. Abbiamo potuto progettare e realizzare infrastrutture strategiche perché abbiamo lavorato in parallelo sul rilancio dei ser -
vizi fondamentali della città e delle partecipate, che erano sull’orlo del fallimento, e su una trasformazione ambiziosa che non si limitasse a rimettere in sesto quello che c’era prima, ma che puntasse a realizzare spazi nuovi e infrastrutture nuove e di qualità per i cittadini. Ricordo quando ci dicevano di lasciar perdere, di non essere così ambiziosi, perché realizzare in pochi anni tutto quello che abbiamo realizzato sembrava impossibile. Ma non potevamo perdere questa occasione. E non l’abbiamo persa. In questo quadro è stato molto importante il “Metodo Giubileo”, che unisce le forze con il Governo, la Regione, le grandi aziende pubbliche come Anas o Ferrovie, fino alla Prefettura, le forze dell’ordine, la Protezione civile. Ringrazio tutte le strutture capitoline per l’incredibile lavoro che hanno fatto e i cittadini per la straordinaria pazienza che hanno dimostrato, sopportando migliaia di cantieri in città. Roma è stata travolta da eventi tanto importanti, quanto straordinari: il Giubileo, la morte di papa Francesco, il Conclave, la nuova elezione. Come ha reagito la città?
Ha reagito da grande capitale quale finalmente è tornata ad essere do-

po anni privi di ambizione. Abbiamo superato prove molto impegnative che, contemporaneamente ai già programmati eventi giubilari, hanno visto combinarsi eventi inattesi e di enorme importanza. Penso alla morte di papa Francesco e ai suoi funerali, al Conclave e all’elezione di Leone XIV, alle prime messe solenni in San Pietro e all’intronizzazione. E poi, nello stesso periodo, a volte negli stessi giorni, il 1° maggio, il 25 aprile, la Race for The Cure, gli Internazionali di tennis e tante partite di calcio decisive, tra cui la finale di Coppa Italia. Parliamo di milioni di persone. È questa la città che vogliamo, coesa e pronta a veder collaborare tutti verso un obiettivo comune.

Una capitale che non ha più paura, di nuovo in grado di affrontare le sfide che le derivano dal suo ruolo in Italia e nel mondo.
Infrastrutture, trasporti, mobilità. L’amministrazione Gualtieri è protagonista di una stagione di grandi trasformazioni. Quali gli interventi che - secondo lei - saranno maggiormente apprezzati dai romani anche a fine evento? Non solamente gli interventi sul rifacimento in profondità della viabilità primaria, l’acquisto di nuovi autobus, la riqualificazione - che proseguirà nei prossimi mesi - delle stazioni della metropolitana, ma anche gli standard più alti di qualità urbana che abbiamo deciso di mettere nei nostri

interventi, affidando gli spazi a progettisti di livello. Dopo l’estate, poi, faremo un salto di qualità importante, con l’apertura delle nuove stazioni della metro. Inoltre, credo suscitino grande apprezzamento anche i lavori sulle infrastrutture ambientali, penso ai nuovi parchi, ai parchi d’affaccio e alla forestazione urbana.
Quali iniziative sociali sono state messe in campo per garantire che il Giubileo sia un’esperienza inclusiva per tutti, compresi i cittadini più vulnerabili?”
Papa Francesco voleva un Giubileo che lasciasse un’eredità infrastrutturale importante alla città, ma che garantisse anche un’attenzione vera a chi è più in difficoltà. Noi ci siamo
impegnati da subito su entrambi i fronti. Abbiamo assunto sul territorio centinaia di assistenti sociali, passando dai 441 del 2020, alcuni precari, ai 731 di fine 2024 e senza contratti a tempo determinato, raggiungendo il livello Leps di un assistente sociale ogni 4mila abitanti. Proprio in occasione del Giubileo abbiamo potenziato i servizi a beneficio dei senza dimora, attivando otto presidi mobili e di ascolto e due unità di strada nei pressi delle stazioni ferroviarie e in zona San Pietro. E stiamo completando la riqualificazione di un centinaio di bagni pubblici in decine di strutture, incrementato del 50% i posti di accoglienza e aperto 4 tensostrutture da 250 posti complessivi, che
Primo piano
garantiscono pasti caldi, docce, assistenza sociale, orientamento lavorativo, supporto psicologico e piccoli ambulatori con medici e infermieri.
Possiamo dare una cifra degli investimenti fatti fino ad ora?
Questa città sta vivendo una fase di crescita che non ha precedenti. Tra fondi straordinari (Giubileo e Pnrr), fondi europei e nazionali ordinari, risorse comunali e regionali e una crescita esponenziale di interventi privati o in partnership con il pubblico, stiamo parlando di investimenti complessivi per oltre 14 miliardi di euro.
Quali sono le sue aspettative per la seconda metà di questo Giubileo?
Ci aspettano appuntamenti molto partecipati, a partire dall’organizzazione del Giubileo dei Giovani a Tor Vergata in estate, con l’arrivo possibile di un milione di ragazzi e di ragazze; una sfida logistica e organizzativa notevole. Durante queste ultime settimane si sarebbe potuta verificare la tempesta perfetta per


gli eventi eccezionali e concomitanti che abbiamo vissuto e invece è andato tutto bene. Sono ottimista. Quali sono gli investimenti futuri previsti per migliorare ulteriormente il volto della città, oltre l’anno giubilare?
Questo è un tema strategico. Terminato il Giubileo, dovremo completare entro il 2026 l’intero Piano Next Generation Rome da 14 miliardi di cui parlavo, a partire dalla chiusura nei tempi previsti dei grandi cantieri finanziati dal Pnrr: i piani di riqualificazione di interi quartieri come Tor Bella Monaca, Corviale e il complesso del Santa Maria della Pietà; le opere del Piano Caput Mundi; il completamento del Grab. Ma anche la realizzazione del termovalorizzatore a
Santa Palomba, i nuovi stadi di Roma e Lazio. Solo per fare degli esempi. Questa è una grande capitale europea che non può sedersi sugli allori e magari smettere di pensare al futuro come ha fatto per decenni. Le grandi città hanno bisogno di programmazione e di pianificazione delle scelte strategiche, da qui la necessità di avere poteri e risorse adeguati. Devono pensare al 2030 ma anche al 2050, alle conseguenze del cambiamento climatico, alle scelte strategiche in termini di mobilità green, alle infrastrutture idriche o a nuovi grandi eventi come il Bimillenario dalla morte di Cristo del 2033. Forse è presto per dirlo, ma cosa resterà di questo Giubileo? Resterà uno straordinario patrimonio di viabilità, spazi comuni e piazze nuove o riqualificate come piazza Pia, piazza San Giovanni, piazza dei Cinquecento, piazza della Repubblica, piazza Risorgimento, via Ottaviano, il nuovo Ponte dell’Industria, linee e mezzi nuovi per il trasporto pubblico locale, centinaia di chilometri di strade completamente rifatte. Ma soprattutto resterà l’idea di una città che fa quello che promette, che coglie e sfrutta l’opportunità per un riscatto dopo le difficoltà seguite alla pandemia e ad anni di abbandono. È stato smentito il luogo comune di una Roma ingovernabile. Roma non è ingovernabile, è stata solo governata male per tanti degli ultimi anni. Noi, invece, abbiamo dimostrato che anche a Roma le cose si possono fare, perché le grandi opere che avevamo promesso sono state davvero progettate, cantierate e, infine, realizzate in tempi record.
DARIO NANNI: «LAVORIAMO PERCHÉ QUESTO SIA IL GIUBILEO ANCHE DELLE PERIFERIE»
Il consigliere comunale e presidente della commissione speciale racconta le modalità di lavoro e le iniziative territoriali, dal centro alla periferia

“Monitorare e valutare le attività di programmazione e attuazione dei progetti previsti per il Giubileo 2025, favorire il processo partecipativo di cittadini e associazioni rispetto all’organizzazione dell’evento religioso tenendo presente il significato cristiano di tale evento e, di conseguenza, sostenendo i valori richiamati dal Santo Padre”. Sono queste alcune delle competenze elencate nella delibera di costituzione della Commissione ‘Giubileo 2025’ che l’amministrazione Gualtieri ha istituito nel gennaio del 2022. Il nuovo organo consiliare, che cesserà le sue funzioni a marzo del prossimo anno, si pone dunque come cabina di monitoraggio dei lavori ma anche come collante tra Roma Capitale e i circa tre milioni di abitanti della città. Qual è il bilancio del primo semestre
dell’anno? Lo chiediamo a Dario Nanni, consigliere comunale di lungo corso e presidente della commissione che spiega: «Certamente siamo impegnati in azioni di monitoraggio dei cantieri e dei lavori in generale, a supporto della cabina di regia di cui Roma Capitale fa parte insieme a tantissimi soggetti, dalla Regione al ministero dell’Economia e delle Finanze, fino alla Rete Ferroviaria Italiana e le Università, per citarne solo alcuni. Da tre anni, incontriamo i cittadini e le associazioni per presentare loro gli investimenti che interessano il centro e la periferia: ad oggi sono oltre 40 le iniziative organizzate in città. È importante che i cittadini conoscano i processi di lavorazione che ci sono per la realizzazione delle opere e i costi che queste comportano». Non solo centro: l’onda Giubileo arriva anche in periferia, tra fondi e opere di respiro: «Arriva soprattutto in periferia - aggiunge Nanni - perché oltre gli interventi già programmati e quelli che saranno realizzati, i soldi che Roma Capitale risparmierà saranno dedicati ad altri lavori, quindi ne beneficeranno tutti. Però, se vogliamo indicare un simbolo della periferia, possiamo indicare il rifacimento delle Vele di Calatrava che diventerà un’arena da 8mila posti». Per il presidente della Commissione Giubileo non ci sono dubbi: «Quando il Giubileo sarà terminato, i romani si ritroveranno una città migliore. È importante continuare la sinergia con tutti gli attori in campo».

GLI AMICI DEL PELLEGRINO LA RETE ROMANA CHE
SI PRENDE CURA DEI FEDELI
L’iniziativa, nata da un accordo esclusivo tra Welfare
Pellegrini, Federazione Italiana Pubblici Esercizi Roma con il Dicastero per l’Evangelizzazione ha un duplice obiettivo: l’opportunità di offrire piatti di qualità e la possibilità per gli esercenti di farsi conoscere. Ne parliamo con Sergio Paolantoni, presidente Fipe Confcommercio Roma
di Anna Grazia Concilio
Si intitola ‘Gli Amici del Pellegrino’ l’iniziativa ideata e promossa da Welfare Pellegrini, Fipe Confcommercio Roma e il Dicastero per l’Evangelizzazione. Il network di accoglienza per il Giubileo 2025, presentato lo scorso febbraio a Roma, nasce per creare una rete di ristoranti, trattorie, pizzerie, bar, gelaterie, street food, gastronomie, banchi alimentari nei mercati rionali e altri punti di ristoro convenzionati. «L’obiettivo è duplice - spiega Sergio Paolantoni, presidente Fipe Confcommercio Roma -, da un lato vogliamo offrire ai pellegrini l’opportunità di gustare piatti di qualità a prezzi accessibili, dall’altro, sup-

portare gli esercenti e le realtà produttive nella valorizzazione delle loro eccellenze e nella promozione della conoscenza». Paolantoni, impegnato da anni nel settore della ristorazione romana, e oggi vicepresidente di Confcommercio Roma e vicepresidente di Fipe-Confcommercio, ripercorre il primo semestre dell’anno giubilare. «Dopo un inizio un po’ in sordina - ha detto Paolantoni -, molti eventi inaspettati, come la morte di papa Francesco, il funerale, poi il Conclave, hanno provocato un’ondata di persone che ha alimentato il flusso di pellegrini e turisti a Roma. La città, da un punto di vista organizzativo, commerciale e di accoglien-
za, risponde bene alle esigenze che si sono manifestate in questi mesi». E l’iniziativa di Welfare Pellegrini, Fipe e il Dicastero per l’Evangelizzazione si inserisce proprio in questo senso: «Con la rete, abbiamo voluto ideare e progettare una modalità che consentisse ai pellegrini di sentirsi sempre più accolti affinché la loro esperienza in città fosse assolutamente confortevole - ha aggiunto il presidente Fipe - con l’auspicio che tornino e lo facciano in maniera soddisfatta, perché i turisti sono una risorsa da valorizzare non da sfruttare». Il network presentato a gennaio, oltre a valorizzare le eccellenze capitoline, conferisce ai pubblici esercizi anche un impegno di
Roma, febbraio 2025: presentazione alla stampa del progetto ‘Gli Amici del Pellegrino’. Da sinistra, Giuseppe Orsi consigliere delegato Gruppo Pellegrini e amministratore delegato della Fondazione Ernesto Pellegrini Onlus; Monica Lucarelli assessora alle Attività Produttive e Pari Opportunità di Roma Capitale; monsignor Rino Fisichella, pro-prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione; Sergio Paolantoni presidente Fipe Confcommercio Roma
notevole responsabilità: con i buoni ‘Gli Amici del Pellegrino’ diventano la vetrina principale della città. Il progetto, dunque, vede due protagonisti: i pellegrini che ricevono, all’interno del kit, i buoni pasto da utilizzare negli esercizi convenzionati e gli esercenti che, a seconda della loro disponibilità, mettono a disposizione varie tipologie di menù (street, turistico e gourmet) che spaziano dai 10 ai 30 euro. La proposta, oltre a riguardare ristoranti, trattorie, bar e pizzerie (per citarne alcuni), riguarda anche i supermercati e i mercati rionali. «Per noi, i mercati hanno molta importanza e crediamo rappresentino uno punto strategico di incontro e di socializzazione - ha aggiunto Paolantoni -. Ad oggi, hanno aderito al progetto circa 2.500 realtà commerciali». Fipe Confcommercio Roma è già pronta a fare la sua parte anche per il Giubileo mondiale dei Giovani che si svolge dal 28 luglio al 3 agosto. «Stiamo lavorando a un tavolo organizzativo per dare il nostro apporto in questo appuntamento e lo faremo come sempre con il sorriso sulle labbra, pronti ad accogliere turisti e pellegrini», ha concluso. Intanto, la Federazione romana sta lavorando a un premio da dedicare alle attività che maggiormente sapranno distinguersi nell’accoglienza del turista.
«LA MACCHINA DELLA SICUREZZA SI È DIMOSTRATA SOLIDA
E REATTIVA». IL PREFETTO
LAMBERTO GIANNINI
FA IL PUNTO
Oltre dieci milioni di pellegrini hanno varcato le Porte Sante della città nella prima parte dell’anno Eventi ordinari e straordinari, previsti e imprevedibili hanno messo a dura prova la sicurezza che non ha subito contraccolpi. Ne parliamo con Lamberto Giannini, prefetto di Roma
di Anna Grazia Concilio
Ipronostici sui flussi non hanno lasciato spazio all’immaginazione: Roma nel 2025 sarebbe stata ‘invasa’ da pellegrini, oltre ai turisti e ai cittadini che già quotidianamente ne attraversano le strade. Davanti a un massiccio arrivo di persone, Roma ha saputo fronteggiare situazioni ordinarie e straordinarie. Nei primi sei mesi dell’anno, non sono mancati imprevisti, come la morte di papa Francesco, il suo funerale e poi il Conclave. A dettare le regole del gioco la Prefettura. È con Lamberto Giannini, prefetto di Roma, che facciamo il punto sulla sicurezza in città.
Prefetto Giannini, sono trascorsi sei mesi dall’inizio del Giubileo. Qual è il suo bilancio in termini di affluenza, gestione dei flussi e impatto sulla città?
La previsione di questo notevole incremento dei flussi in arrivo presso la capitale ha imposto uno sforzo organizzativo costante e corale, che ha coinvolto tutte le componenti istituzionali presenti, con funzioni operative, sul territorio romano. Il bilancio che possiamo
tracciare, pur nella consapevolezza che restano molte sfide da affrontare, è positivo: la macchina gestionale - e della sicurezza in particolare - si è dimostrata solida, reattiva e capace di rispondere anche alle sollecitazioni più impreviste. Non solo Giubileo. Dal ricovero di Bergoglio all’elezione del nuovo Papa, dal derby Lazio-Roma agli Internazionali di tennis, fino alle riprese cinematografiche. Che lavoro c’è dietro a tutto questo? Dietro ciascuno di questi eventi - siano essi programmati o improvvisi, religiosi o sportivi, ordinari o straordinari - vi è un lavoro silenzioso, metodico e altamente professionale, che si fonda su un principio essenziale: il gioco di squadra. L’attività della Prefettura è quotidianamente orientata a garantire, mi si consenta, la “tenuta del sistema” nella sua complessità, ponendo a fattor comune le competenze delle molteplici articolazioni istituzionali, civili e militari. Nell’ambito delle attribuzioni connesse alla funzione di Autorità provinciale di pubblica sicurezza, il ruolo del prefetto - insieme all’intero apparato che
lo coadiuva - si articola in una duplice direttrice: da un lato, assicurare la continuità operativa dell’azione amministrativa e del dispositivo di sicurezza sul territorio; dall’altro, garantire una risposta tempestiva, efficace e coordinata dinanzi a ogni evento di carattere straordinario, attraverso l’attivazione delle necessarie sinergie interistituzionali. E quando straordinario e ordinario si sovrappongono, in una realtà complessa per dimensioni e sensibilità di fattori qual è quella della capitale, l’unico modo per reggere l’urto è disporre di un modello organizzativo flessibile, sperimentato e sostenuto da una cultura del coordinamento, che a Roma trova una delle sue espressioni più complesse ma anche più mature.
Torniamo al Giubileo. Quali sono state le principali sfide organizzative e come sono state affrontate?
Le sfide sono state molteplici: la prima riguarda certamente il coordinamento tra le numerose istituzioni coinvolte. La seconda è la necessità di garantire la continuità dei servizi pubblici e la sicurezza urbana, anche a fronte di un significativo sovraccarico di presenze sul territorio. La terza è rappresentata dalla gestione del rischio in tutte le sue declinazioni, comprese quelle di natura sanitaria e cibernetica. Il metodo adottato è stato quello della pianificazione condivisa e integrata, attraverso l’attività del Gruppo Operativo di Supporto istituito in Prefettura, che ha consentito di armonizzare i contributi delle diverse componenti operative. È bene evidenziare che il Giubileo si sviluppa all’interno di una struttura di governance estremamente articolata e multilivello, definita con provvedimenti del Governo: è stato infatti nominato un Commissario straordinario, al quale fa capo una Segreteria tecnica. La Prefettura di Roma partecipa a quest’ultima con un ruolo centrale, esercitando funzioni di coordinamento presso

il Gruppo di lavoro dedicato all’ordine pubblico e alla sicurezza.
In che modo la Prefettura ha coordinato le diverse istituzioni coinvolte (Comune, Regione, Vaticano, forze dell’ordine) per garantire il buon funzionamento dell’evento?
La Prefettura di Roma assume un ruolo concertativo di snodo per i profili inerenti all’ordine e alla sicurezza pubblica, coordinando - in sede di Comitato provinciale - le attività delle componenti istituzionali preposte, attraverso una struttura stabile e articolata, fondata sulla condivisione delle informazioni, sull’integrazione funzionale e sulla valorizzazione delle competenze di ciascun attore coinvolto. Tale azione si inserisce, in modo coerente e complementare, nel più ampio quadro delle pianificazioni predisposte, nei relativi settori di intervento, dalla Struttura commissariale istituita per il Giubi-
leo, con la quale si realizza un costante raccordo operativo e informativo. Il Tavolo tecnico coordinato dalla Prefettura si riunisce periodicamente e con cadenza ravvicinata e vede la partecipazione delle componenti istituzionali operanti nel settore sanitario, dei rappresentanti della Santa Sede, della Protezione civile - in tutte le sue articolazioni - oltre che della Questura di Roma e dei comandi provinciali dell’Arma dei Carabinieri, della Guardia di Finanza e dei Vigili del Fuoco. Un sistema che sta dando prova concreta di saper “fare squadra”. In tale contesto, particolare rilievo assumono anche le due maxi esercitazioni interforze e interistituzionali di Protezione civile, svolte nel corso dell’ultimo anno.
Quali sono stati i momenti di maggiore criticità o di particolare successo nella gestione degli eventi giubilari finora?
Direi che ogni evento rappresen -
ta, di per sé, una prova da superare. Le cerimonie liturgiche della Pasqua giubilare, i grandi eventi culturali e sportivi che si sono intersecati con le celebrazioni religiose, e - su un piano distinto ma temporalmente concomitante - l’avvento del nuovo pontefice, Leone XIV, hanno posto sfide operative specifiche. La maggiore criticità è spesso rappresentata dalla simultaneità degli accadimenti e dalla necessità di garantire l’efficienza dell’intera macchina pubblica senza compromettere la gestione dell’ordinario. In termini di risultati, ritengo vada riconosciuta al sistema la straordinaria capacità di adattarsi, intervenire e gestire anche l’imprevisto, dimostrando un patrimonio di esperienza e professionalità che costituisce un valore aggiunto per l’intero paese. Dopo questi primi sei mesi, cosa si aspetta dalla seconda metà dell’anno?
Mi aspetto una prosecuzione del nostro impegno su livelli ancora più elevati. Per i prossimi eventi, confido nella nostra sinergia e affiatamento come “Squadra dello Stato”, che per lo Stato agisce al servizio della collettività. Voglio comunque ricordare che, il Giubileo dei Giovani rappresenterà sicuramente un importante banco di prova per l’intero dispositivo di governance: si prevede la partecipazione di diverse centinaia di migliaia di ragazzi provenienti da tutto il mondo, in un evento che si svolgerà nell’area di Tor Vergata e per il quale si sta già lavorando intensamente, sia sul piano logistico che su quello della sicurezza. Il nostro obiettivo resta semplice ma ambizioso: fare in modo che ogni cittadino e ogni pellegrino, vivendo Roma, possa sentirsi parte di una comunità accogliente, sicura e organizzata. Perché questo è, in definitiva, il senso più profondo del nostro impegno quotidiano.

ROMA EFFETTO GIUBILEO IN TAXI, TRA LE STRADE DELLA CAPITALE
Dati e testimonianze di chi attraversa Roma ogni giorno, soprattutto per lavoro. Abbiamo parlato con Riccardo Cacchione, coordinatore nazionale dell’Usb Taxi
di Valerio Maria Urru
Trenta? Trentadue? O trentacinque milioni? Negli ultimi mesi il complesso balletto dei numeri e delle proiezioni sui pellegrini ha accompagnato il dibattito tra media e istituzioni in cerca di risposte sul flusso e sull’impatto del Giubileo. Alla fine, c’è stata o no l’annunciata ‘invasione’?
Per dare risposte a questa domanda servono dati. A cominciare dal modo in cui Roma si è preparata a livello di
ospitalità. I numeri del sistema Open Data della Capitale sotto la voce ‘turismo’ raccontano che - da febbraio 2024 ad aprile 2025 (ultimo mese rilevato) - le strutture ricettive sono cresciute di circa il 20%, passando dalle precedenti 28.118 alle attuali 33.650. La parte del leone l’hanno fatta ‘guest house e affittacamere’ (da 3.303 a 3.690), ‘case e appartamenti per vacanze’ (da 5.861 a 6.696) e ‘alloggi per uso turistico’ (da 16.235 a 20.482). Poco variate - se non
hanno avuto una flessione in alcuni casi - le altre realtà. Parliamo di alberghi, agriturismi, B&B, campeggi, ostelli per la gioventù, residence, case per ferie e dipendenze alberghiere.
L’offerta per chi desidera soggiornare è aumentata, vale lo stesso per la domanda? Diverse settimane fa Giuseppe Roscioli, presidente di Federalberghi Roma, aveva parlato di primo trimestre fiacco, con una leggera ripresa a marzo. Ma aveva sottolineato anche un altro problema: l’insondabile cono d’ombra degli affitti brevi e dei B&B irregolari. Soli di questi ultimi, da marzo 2024 a marzo 2025, ne sono stati chiusi quasi trecento. La punta di un iceberg che nasconde una situazione più complessa, come si legge anche sul sito della Questura di Roma e sulla pagina Facebook collegata in circa 20 post: da gennaio a metà maggio di quest’anno le operazioni di contrasto all’abusivismo alberghiero si sono moltiplicate dal centro alla periferia. Buona parte di queste strutture irregolari risulta in zona Termini, altre in Prati, Vaticano e Trastevere. Le irregolarità contestate vanno dalla riscontrata presenza di ospiti ‘fantasma’ - non erano stati regolarmente registrati su ‘Alloggiati Web’, apposito portale della Polizia che traccia le presenze in entrata e in uscitaal collaudato escamotage dell’albergo ‘diffuso’, con cui si accorpano all’attività principale altre attività ricettive che risultano poi operative come singole affittacamere. Sino ad arrivare alla cosiddetta modalità ‘3 in 1’, anche questa illegale: qui un’unica reception gestisce contemporaneamente tre diverse tipologie o entità di strutture ricettive che, pur essendo accorpate (magari nello stesso edificio o in edifici vicini), dovrebbero operare in modo distinto. In pratica, per massimizzare i posti letto e forse eludere alcune normative o controlli, si creano o si uniscono diverse attività (ad esempio, un B&B, un affitta-
camere e magari un appartamento turistico) ma si decide di gestirle come se fossero un’unica struttura dal punto di vista operativo, con un’unica reception e, presumibilmente, un unico punto di contatto per gli ospiti.
Evidentemente questo Giubileo ha fatto gola a molti ma, al di là delle irregolarità, torniamo ai numeri. Secondo AirDNA - piattaforma di analisi e dati nel settore degli affitti a breve termine - in totale sono 30.506 gli annunci attivi nella capitale, segnando un +24%. Eppure, la durata media del soggiorno ha subito una flessione, passando dagli oltre 4,3 giorni di febbraio ai circa 3,7 di aprile e una riduzione dei ricavi annuali del 5%. Qualcosa non torna.
La conferma che non ci sia stato grande afflusso di pellegrini arriva anche da chi la capitale la osserva tutti giorni, in strada, dal finestrino di un’auto. Riccardo Cacchione, coordinatore nazionale dell’Unione Sindacale di Base Taxi, racconta a 50&Più: «La situazione attuale è molto al di sotto di quanto preannunciato. Noi tassisti avevamo già espresso dubbi sul fatto che questo Giubileo ci avrebbe portato più lavoro. Anche perché i pellegrini non usano i taxi. Vengono in gruppi organizzati, usano grandi pullman, risiedono in strutture ecclesiastiche, si spostano tutti insieme e rapidamente». Una flessione avvertita anche da altre categorie: «Anche le associazioni di albergatori - sostiene - lamentano una contrazione degli affari. Gli alberghi, forse proprio per il tipo di evento, hanno visto una rinuncia da parte del turista ‘classico’, timoroso magari di non potersi godere Roma. Questo ha avuto effetto sull’affluenza, minore di quella attesa».
Per il coordinatore nazionale di USB Taxi, oltre al sovrapporsi

di eventi, sul Giubileo pesa l’assenza di percorsi agevolati e di stalli sufficienti per i tassisti. «Quotidianamente - spiega - ci confrontiamo con un traffico congestionato. Senza corsie preferenziali non possiamo evitare ingorghi che allungano i tempi di percorrenza e incidono sui costi. Eppure, a livello chilometrico la tariffa dei taxi romani è più

bassa di altre città europee». Quei pellegrini che poi, alla fine, decidono di salire su un taxi, a parte al Vaticano, chiedono di essere portati al Pantheon, Colosseo, piazza di Spagna. «Mete classiche - prosegue Cacchione -, ma anche qui c’è un problema: riuscire ad arrivarci con la viabilità che cambia ogni giorno. Risultato: percorsi più lunghi». Problematica, insomma, a livello logistico, la capitale: «Serve ascolto - sottolinea - su quelli che sono i veri problemi. Il Giubileo di per sé non li ha risolti, li ha acuiti: pensiamo al sovrapporsi dei vari eventi con l’attuale situazione. Poi, c’è l’unica ‘risposta’ del Comune: immettere mille nuove licenze, il 15% in più, ad oggi non ancora attive. Ma il lavoro per noi tassisti è già poco adesso. Temiamo ulteriori difficoltà».
Non tutto sembra perduto, però. Per Giuseppe Roscioli di Federalberghi, l’effetto Giubileo proseguirà nel 2026, l’anno dopo, come in passato. Uno strascico positivo che potrebbe continuare a farsi sentire anche quando si saranno spente le luci sul grande evento religioso.
UN GIUBILEO SENZA PRECEDENTI: ECCO PERCHÉ
Dall’apertura della prima Porta Santa all’interno di un istituto penitenziario, alla morte di papa Francesco il Conclave e la nuova elezione, tra arte, sport e spiritualità. Viaggio tra gli eventi straordinari di questa prima metà di Anno Santo
Tutto il mondo cattolico sta vivendo il Giubileo 2025, giunto a metà percorso. La città di Roma è coinvolta in questo avvenimento storico, che cade, nella sua forma ordinaria, ogni 25 anni. Un un evento da non perdere, anche a livello turistico: fede, arte ed eventi culturali si mescolano in modo inscindibile. Ogni partecipante può acquistare il “kit del pellegrino”, utile alla permanenza in città. Il Giubileo 2025 è anche un Giubileo ‘delle prime volte’, tanti gli avvenimenti storici senza precedenti. Uno su tutti, l’apertura della prima Porta Santa all’interno di un istituto penitenziario, in questo caso il carcere di Rebibbia, avvenuta il 26 dicembre con Papa Francesco. Tra i fatti straordinari anche il Conclave e l’elezione del nuovo Pontefice. Per la prima volta sono state ‘riunite’ tutte le opere del Caravaggio in una mostra a Palazzo Barberini, visitabile fino a luglio. L’ASI porta in Piazza San Pietro alcune auto storiche in riferimento ai sette anni Giubilari del secolo scorso. E ancora Giubileo dello Sport e Giubileo dei Giovani.
SPERANZA E PERDONO
San Pietro, San Giovanni in Laterano, Santa Maria Maggiore e San Paolo fuori le Mura sono le quattro basiliche pontificie in cui è possibile ottenere l’indulgenza plenaria. Passare la Porta Santa, avvicinarsi ai sacramenti della Riconciliazione e dell’Eucarestia e partecipare
di Giovanni Carlo La Vella
alla Santa Messa secondo le intenzioni del Papa. Questi i passi, che possono essere ripetuti più volte, per ottenere il perdono delle mancanze personali e dei propri cari che non ci sono più. Il Giubileo è un percorso di fede, ma anche un incontro con pellegrini di tutto il mondo che giungono a Roma per questa occasione unica.
UNA CITTÀ TUTTA NUOVA
Per il Giubileo Roma ha goduto di un restyling senza precedenti. Varie le zone a cui l’amministrazione ha messo mano per migliorare trasporti e viabilità, da sempre punto debole della città. In particolare, cittadini e turisti stanno godendo dell’ampia zona pedonale realizzata nelle vicinanze della Basilica di San Pietro. Con la ristrutturazione di piazza Pia, da cui parte via della Conciliazione, si è ricostituito l’antico percorso della Via Crucis, per i pellegrini che giungevano a Roma attraverso la Via Francigena e altri itinerari storici, che portava al cospetto della Basilica vaticana.


DA FRANCESCO A LEONE
L’evento si è tinto di mestizia a causa della scomparsa di papa Francesco e dall’elezione del nuovo Pontefice, Leone XIV, che comunque ha mantenuto vivo il significato dell’Anno Santo, dedicato alla ‘speranza’, una virtù che non deve mai mancare nei cuori di tutti, perché ci sarà sempre un vicario di Cristo a continuare la missione della Chiesa. Anche nel 1700 accadde che il pontefice, Innocenzo XII, morì durante

il Giubileo, le cui celebrazioni vennero continuate dal successore, Clemente XI. Il carattere intimo dell’Anno Santo, voluto da papa Francesco, ha consentito di assorbire le forti emozioni per la sua morte. I composti riti funebri e quelli più gioiosi per l’elezione del nuovo Papa si sono accavallati a quelli giubilari e sono stati vissuti intensamente nella tradizione e nella novità. Dopo
un Papa, per la prima volta argentino, “venuto dalla fine del mondo”, è arrivato un Papa, per la prima volta statunitense, che ha subito suscitato l’interesse del mondo e l’affetto dei fedeli. La tradizionale fumata bianca dal tetto della Cappella Sistina ha annunciato al mondo la scelta del nuovo Pontefice e la caratterialità pacata di Leone XIV si è sostituita a quella più esplosiva di papa Francesco, e il percorso di fede continua, con un altro nocchiero, ma continua.
UN GIUBILEO DEDICATO
AGLI ULTIMI
Rimarrà per sempre il ricordo dell’inizio del Giubileo, che papa Bergoglio, dopo la Basilica di San Pietro, ha vo-

luto avvenisse anche tra gli ultimi, gli scartati dalla società: l’apertura della Porta Santa con i detenuti del carcere romano di Rebibbia. In quell’occasione disse agli ospiti del penitenziario: «La prima Porta Santa l’ho aperta a Natale in San Pietro, ma ho voluto che la seconda fosse qui in un carcere. Ho voluto - ha detto Bergoglio - che ognuno di noi tutti che siamo qui, dentro e fuori, avessimo la possibilità anche di spalancare le porte del cuore e capire che la speranza non delude».
L’ANNO SANTO È PER TUTTI
In questi primi sei mesi già numerose

le giornate giubilari dedicate a categorie particolari: si è iniziato, per citarne alcuni, con i comunicatori, giornalisti, poi le forze dell’ordine, gli artisti, il mondo della sanità e del volontariato. E poi c’è stato l’omaggio dello sport al Giubileo: il Giro d’Italia, che già prese il via dal Vaticano per l’Anno Santo del 1975, quest’anno per la prima storica volta ha portato i ciclisti, che partecipano alla kermesse in rosa, a correre sulle strade all’interno del territorio dello Stato della Città del Vaticano, nell’ultima tappa dell’edizione.
FEDE E CULTURA
Mostre, rassegne, musei, concerti ed altri eventi di ogni tipo fanno del Giubileo anche un evento culturale.


Rembrandt, Chagall, Dalì, El Greco, Caravaggio e altri sono visibili con le loro opere migliori, a significare, come papa Francesco ha detto, che «l’arte è uno strumento per incontrare Dio attraverso la bellezza».


LA LOTTA ALLA VIOLENZA SULLE DONNE PASSA DA BRINDISI
Socie 50&Più al lavoro per realizzare quadrati di lana a uncinetto, utili a sostenere progetti e associazioni dedicati al contrasto del fenomeno Piera Dell’Anna, presidente: «Un’iniziativa che abbiamo accolto con entusiasmo»
di Anna Grazia Concilio
Gomitoli di lana colorati, mani che sferruzzano in un’atmosfera di amicizia e condivisione, tra una chiacchiera e un cioccolatino. Siamo a Brindisi, nella sede 50&Più: è qui che una trentina di socie, iscritte al Laboratorio creativo e coordinate da Rosaria Iu-
sco, da settimane realizzano quadrati di maglia. I loro lavori formeranno coperte da un metro per un metro e diventeranno un’opera d’arte. Perché? Per sostenere il progetto ‘Viva Vittoria’ che - nato a Brescia nel 2015 - coinvolge persone di ogni estrazione sociale, provenienza culturale, religiosa e po-
litica, e ha l’obiettivo di superare il separatismo e l’individualismo, contrastando la violenza sulle donne. È Piera Dell’Anna, presidente 50&Più Brindisi, ad aprire le porte dell’associazione e a condurci in un pomeriggio in compagnia, tra sorrisi, entusiasmo e impegno sociale. «L’iniziativa è così nobile e importante che supportarla ci è sembrato assolutamente naturale - spiega Dell’Anna -, abbiamo iniziato a lavorare al progetto già da alcune settimane e abbiamo realizzato settanta quadrati di maglia». Le socie brindisine hanno acquistato a proprie spese i gomitoli di lana utili alla realizzazione dei quadrati e ogni giorno, nei locali della sede 50&Più, si impegnano per dare il loro contributo al progetto. Avranno tempo fino ad ottobre per consegnare più quadrati possibili: una volta terminato, il loro lavoro verrà assemblato e sarà realizzata un’unica coperta. Ogni quadrato verrà legato all’altro con un filo rosso e l’opera verrà esposta in piazza Santa Teresa il prossimo 23 novembre, alla vigilia della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Successivamente i quadrati di maglia saranno disponibili all’acquisto attraverso una donazione: il ricavato - di cui si occuperà il movimento ‘Viva Vittoria’ - sarà destinato ai centri antiviolenza del territorio (Crisalide, Io donna, Ricomincio da me). «Ringrazio Filomena e Stefania, di Viva Vittoria - aggiunge la presidente di 50&Più Brindisi - per averci coinvolto in questo progetto e per la disponibilità e il supporto che ci offrono quotidianamente». Dell’Anna spiega ancora: «Abbiamo tempo fino al 10 ottobre per consegnare ancora i nostri quadrati di maglia e, pur avendo realizzato ad oggi un numero considerevole di quadrati, non ci fermiamo e continueremo a produrne, perché vogliamo fare la nostra parte in questa battaglia che è prima di tutto culturale».
SPAZIO ALL’INCLUSIONE
ARRIVA
IL RICONOSCIMENTO
CHE
PREMIA LE PAROLE
50&Più istituisce il Premio ‘Giornalismo inclusivo’ destinato agli operatori dell’informazione che usano un linguaggio non discriminante in favore di una società più equa
di Alessandra Espis

In una società che sta progressivamente invecchiando, il modo in cui raccontiamo l’età anziana assume un ruolo fondamentale nell’influenzare percezioni, atteggiamenti e politiche di inclusione. Le parole che usiamo per descrivere e rappresentare le esperienze delle persone anziane non sono soltanto semplici strumenti comunicativi, ma potenti veicoli di cambiamento sociale. La narrazione corretta e rispettosa della terza età rappresenta, infatti, un passo decisivo verso una società capace di valorizzare il contributo di tutte le generazioni. In questo processo la stampa e i media hanno un ruolo decisivo.
Partendo dai principi e dalle linee guida fornite della Carta di Napoli - protocollo d’intesa nato dalla collaborazione tra l’Associazione 50&Più e l’Ordine dei giornalisti della Campania, con l’obiettivo di contrastare, a mezzo stampa, il fenomeno dell’ageismo - è stato istituito il Premio 50&Più ‘Giornalismo inclusivo’. Un riconoscimento che mira a valorizzare il lavoro di coloro che si impegnano nella lotta contro le discriminazioni legate all’età. Il premio rappresenta un’occasione per stimolare una narrazione più consapevole, capace di raccontare l’età anziana in modo equilibrato, realistico e rispettoso. Attraverso questa ini-
ziativa, 50&Più desidera diffondere una cultura della rappresentazione che veda gli anziani non come figure marginali o passive, ma come protagonisti attivi e portatori di saggezza, esperienza e valore.
Un riconoscimento quindi destinato agli operatori dell’informazione che si sono distinti nell’utilizzo di un linguaggio inclusivo e nel contrasto all’ageismo, favorendo un giornalismo etico e responsabile, soprattutto nel rispetto dei diritti degli anziani.
La partecipazione al Premio è gratuita e destinata ai giornalisti, pubblicisti e professionisti iscritti all’Ordine, che abbiano pubblicato articoli o reportage in linea con la Carta di Napoli. Gli elaborati dovranno essere inviati, entro il 5 settembre 2025, tramite un form online e verranno valutati da una giuria composta da illustri giornalisti, da esperti nel campo della comunicazione sociale, dell’invecchiamento attivo e della longevità, e da esponenti degli organi dell’Associazione 50&Più. La proclamazione dei vincitori e la consegna dei premi si svolgeranno a Roma il prossimo mese di ottobre. L’attenzione alle parole e alla narrazione della terza età rappresentano per 50&Più un investimento sul valore umano e sociale di ogni individuo. Solo attraverso un linguaggio rispettoso e inclusivo sarà possibile costruire una società più giusta, capace di riconoscere e valorizzare il contributo di tutti, in ogni fase della vita.
Per maggiori informazioni e consultare il regolamento www.premiogiornalisti.50epiu.it

Dalla Francia alla Spagna, l’economia circolare trasforma i rifiuti marini in materiali innovativi per costruzioni e arredi, unendo tradizione e tecnologia
Cosa accomuna una passerella turistica sulla Dune du Pilat, una scrivania di design e i sedili dello stadio del Real Betis? La risposta è sorprendente: tutti nascono da ciò che il mare restituisce come scarto. Gusci di ostriche e reti da pesca dismesse, un tempo rifiuti da smaltire, oggi diventano materiali preziosi grazie a progetti che uniscono sostenibilità, innovazione e cultura del riciclo. L’idea è semplice ma rivoluzionaria: trasformare ciò che inquina in qualcosa che costruisce.
In Francia, nella baia di Arcachon, culla dell’ostricoltura atlantica, il professor David Grégoire dell’Université de Pau et des Pays de l’Adour ha sviluppato un calcestruzzo ecologico in cui le conchiglie frantumate sostituiscono sabbia e ghiaia. Il risultato è un materiale più sostenibile, resistente e perfino bello da vedere. Il cemento senza clinker (il componente principale) riduce le emissioni di CO₂ del 75% rispetto ai cementi tradizionali. E il primo banco di prova è uno dei più simbolici: la passerella di 100 metri sulla celebre Dune du Pilat, la più alta d’Europa, situata in Francia, dove milioni di turisti calpestano ogni anno un pavimento “a base di mare”. Ma la sperimentazione non si ferma. Nel porto storico di Socoa, sempre in Francia, il team del professor Grégoire sta utilizzando una speciale malta a basse emissioni per rinforzare antiche mura in pietra, che sfidano le condizioni estreme delle maree. E nello stesso sito, piccoli blocchi di calcestruzzo marino vengono studiati per valutare la loro capacità di favorire la biodiversità. Nel frattempo, in Spagna, l’azienda Gravity Wave raccoglie ogni mese circa 9 tonnellate di vecchie reti da pesca. Invece di finire in discarica o in mare, queste reti vengono trasformate in arredi urbani, sedili da stadio e piani da scrivania. I colori, neanche a dirlo, sono verde acqua e blu oceano, in omaggio alle loro origini. Una seconda vita con stile. Dal mare alla terra, i rifiuti di oggi diventano i mattoni di domani.

MEMORIA INFINITA
Negli Anni ’20, il giornalista sovietico Solomon Shereshevsky stupiva tutti con una memoria prodigiosa, ricordando liste infinite senza mai prendere appunti. Fu studiato per trent’anni dal neuropsicologo Alexander Luria, che definì la sua memoria sinestetica “senza limiti distinti”. Un dono affascinante, ma anche - a detta di Shereshevsky - un ‘fardello’.

L’ARMA CHE BRUCIAVA IL MARE
Nel VII secolo, i Bizantini terrorizzavano le flotte nemiche con il “fuoco greco”, un’arma incendiaria che bruciava persino sull’acqua. La formula però è andata perduta nei secoli. E anche se qualche studioso ipotizza potesse essere una miscela di resina di pino e zolfo, la composizione originale è rimasta un segreto custodito dai Bizantini.

INTELLIGENTISSIME PECORE
Secondo uno studio dell’Università di Cambridge, pubblicato sulla rivista Royal Society: Open Science, le pecore possiedono notevoli capacità cognitive, tra cui quella di riconoscere i volti umani anche osservando fotografie. Nell’esperimento, addestrate con alcune immagini di celebrità, erano riuscite a identificare i volti con l’80% di successo.

















































































Bruxelles, 2024: Glenn Micallef con la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen

Nel 2012 l’Unione europea ha proclamato l’Anno
Europeo dell’invecchiamento attivo e della solidarietà intergenerazionale. Il motivo principale di questa scelta è stato quello di avviare un cambiamento di rotta e di prospettiva nei confronti della terza età. Tra gli obiettivi c’era (ma c’è tutt’ora) quello di sensibilizzare e informare l’opinione pubblica sui bisogni delle persone anziane e sulle politiche utili a favorire la loro partecipazione nella società. Promuovere il dialogo e lo scambio di esperienze tra generazioni, costruire un futuro più inclusivo e solidale, spazzare via l’idea che le persone anziane siano ‘solo’ soggetti passivi, riconoscere ad ogni persona il diritto di avere un ruolo attivo nell’età anziana: tutte queste azioni puntavano a riconsiderare l’invecchiamento non come un onere, ma come una risorsa preziosa per l’intera collettività europea. Dodici anni dopo, l’Ue ha compiu-

L’UNIONE EUROPEA PUNTA TUTTO SUL DIALOGO TRA GENERAZIONI
Glenn Micallef è stato nominato primo commissario per l’Equità Intergenerazionale Gioventù
Cultura e Sport. Pur rappresentando le istanze dei giovani, sta lavorando concretamente per far sentire le voci di tutte le età
di Valerio Maria Urru
to un ulteriore passo avanti verso la concretizzazione di quei principi di solidarietà intergenerazionale che promuove ormai da tempo anche nei suoi Trattati. Se il 2012 aveva acceso un faro sull’importanza dello scambio e della collaborazione tra
le diverse fasce d’età con un focus sull’anzianità, il 2024 ha segnato un altro punto di svolta. A dicembre scorso, infatti, è stato istituito per la prima volta un commissario dedicato al dialogo intergenerazionale, alla gioventù, alla cultura e allo sport. A
ricoprirne il ruolo è stato chiamato il maltese Glenn Micallef.
Anche se Micallef rappresenta le istanze dei giovani, il suo ruolo è centrale nel favorire e sviluppare il dialogo, nel fare in modo che persone di età diverse possano “dire la loro”. La creazione della sua figura, così specifica, non è casuale. Risponde a una serie di esigenze sempre più impellenti nell’Unione, tra cui ascoltare le generazioni più giovani; affrontare le sfide e cogliere le opportunità di una società europea caratterizzata da un invecchiamento progressivo; ridurre le distanze anagrafiche della popolazione. A lui spetta il compito di definire una “strategia per l’equità intergenerazionale” che tenga rigorosamente conto di come le deliberazioni dell’Ue influenzeranno le generazioni future, assicurando un coinvolgimento e un riscontro da parte di ogni fascia demografica.
La presidente della Commissione, Ursula von der Layen, lo ha incaricato di elaborare una strategia che rafforzi la comunicazione intergenerazionale, conferendo così ad un’unica figura il mandato di tradurre le idee in una realtà concreta. Questo per garantire, alla fine, il rispetto dei diritti di tutte le età.
Ma quali sono le leve su cui sta agendo il neo commissario per costruire un ponte tra passato, presente e futuro, e quali sono le aspettative riposte nel suo operato? Micallef ha innanzitutto avviato una campagna di ascolto di tutte le fasce d’età sulla piattaforma europea “Have Your Say” (che tradotto vuol dire: “Dì la tua”). Il progetto è partito a febbraio e si concluderà a dicembre 2025, in collaborazione - ovviamente - con i cittadini. Fino ad aprile si è trattato di delimitare il campo d’azione, definendo cosa s’intende per equità intergenerazionale e quali sono le iniziative già attive. Da maggio a giugno

l’impegno è quello di elaborare la visione: cosa si vuole ottenere e quali obiettivi vanno raggiunti. Lo sviluppo della strategia è previsto da luglio a settembre, definendo funzioni, valori, esigenze e requisiti fondamentali. Ma sarà da ottobre a dicembre la fase più importante, quella della creazione partecipata della strategia.
Tutto questo serve a valorizzare il ruolo attivo di ogni generazione, riconoscendo a giovani e anziani un patrimonio di sapere, vissuti e abilità indispensabili per cooperare e fronteggiare efficacemente le grandi problematiche globali. Forse a qualcuno potrebbe sembrare capzioso lavorare su un rapporto più solido tra generazioni, su una maggiore riconoscibilità dei bisogni e delle richieste, diversi per ogni età. Eppure, secondo i dati dell’Eurobarometro - la serie di sondaggi d’opinione pubblica commissionati e condotti regolarmente dalla Commissione europea sin dal 1973 -, meno della metà degli europei
Il commissario ha avviato una campagna di ascolto di tutte le fasce d’età sulla piattaforma europea “Have Your Say” Il progetto, partito a febbraio, si concluderà a dicembre 2025
ritiene che la nostra sia una società equa e giusta. I dati Ocse, inoltre, ci dicono che i cittadini di paesi con minori disuguaglianze legate all’età si dichiarano nel complesso più soddisfatti della loro vita. I governi, poi, che riescono a trovare un equilibrio fra le esigenze e gli interessi delle generazioni presenti e future ottengono livelli di fiducia più elevati. C’è bisogno di dire altro? Il dialogo fra generazioni fa bene ai cittadini, fa bene alla politica.

Con oltre 66.000 auto elettriche immatricolate nel 2023 e una rete pubblica di ricarica che ha superato i 64.000 punti a inizio 2025, il nostro paese sta facendo grandi progressi. Ma se i numeri raccontano una crescita significativa, la realtà sul campo mostra un’Italia divisa: tra Nord e Sud, tra centri urbani e periferie, tra colonnine lente e stazioni ultrafast. Un’infrastruttura in pieno sviluppo, ma ancora incapace di sostenere in modo uniforme la domanda crescente. Ed è qui che si gioca la vera sfida della sostenibilità urbana.
Per Unrae (Unione Nazionale Rappresentanti Autoveicoli Esteri), nel 2024 le immatricolazioni di auto elettriche in Italia sono cresciute del 35% rispetto all’anno precedente. Un dato incoraggiante, che però va contestualizzato: la quota di mercato dell’elettrico puro (il cosiddetto “Bev”, Battery electric vehicle) resta ferma intorno al 4%, lontana dai numeri di paesi come Norvegia (82,4%) o Germania (oltre il 18%). Tra le cause principali c’è sicuramente il costo
ELETTRICO L’ITALIA ACCELERA MA LA RETE È ANCORA IN COSTRUZIONE
Crescono le infrastrutture con auto e colonnine ma squilibri territoriali, stazioni inattive e tempi di ricarica lunghi frenano la rivoluzione green
Ecco a che punto siamo
di Dario De Felicis
delle auto (ancora elevato nonostante gli incentivi), l’autonomia percepita come insufficiente e, soprattutto, l’ansia da ricarica.
Secondo i dati Motus-E, associazione italiana che si occupa di automotive, a gennaio 2025 in Italia sono presenti circa 64.300 punti di ricarica pubblici, distribuiti su 36.000 colonnine. Un numero in crescita del 36% rispetto all’anno precedente. Il problema,
però, non è quante ce ne sono, ma dove sono. Oltre la metà delle infrastrutture si concentra in cinque regioni del Nord: Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna e Toscana. Le regioni del Sud e le Isole arrancano, con ampie zone scoperte o servite da poche stazioni, spesso lente o inattive. Nello specifico, Motus-E disegna
segue a pag 62
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Mobilità
una mappa in cui la Lombardia guida questa particolare classifica con oltre 12.000 punti di ricarica, seguita dal Lazio con 6.900 e il Piemonte con oltre 6.300. All’estremo opposto, si posizionano regioni come la Calabria con appena 800 punti e la Basilicata ferma a poco più di 300. Una distribuzione geografica delle infrastrutture che evidenzia forti squilibri anche se ci sono delle eccezioni: ad esempio, Napoli si distingue come la città con più punti di ricarica in rapporto alla superficie, davanti a Torino e Milano. Altro nodo critico è l’affidabilità delle infrastrutture. Sempre Motus-E mostra come circa il 20% delle colonnine risulta spesso non attivo, per problemi tecnici o gestionali. Tradotto nella pratica, l’esperienza di ricarica può trasformarsi in un percorso a ostacoli, tra app che non si sincronizzano, QR code illeggibili o stalli occupati da auto non elettriche. Inoltre, non tutte le colonnine sono uguali. Il 78% delle postazioni installate in Italia è di tipo “normal charge” (sotto i 22 kW), adatta a ricariche lunghe anche di parecchie ore. Le stazioni “fast” (2250 kW) e “ultrafast” (oltre 50 kW), in grado di ricaricare un veicolo in meno di 30 minuti, rappresentano ancora una minoranza. Queste stazioni ad alta potenza si concentrano quasi esclusivamente lungo le autostrade o in prossimità delle grandi città. Per chi vive in provincia, o non ha un box privato con alimentazione interna, ricaricare l’auto resta ancora oggi una sfida logistica che può richiedere pianificazioni accurate e tempi di attesa considerevoli.
Per arrivare alla svolta green però, non è sufficiente aumentare il numero delle colonnine di ricarica. Servirà costruire una rete capillare, affidabile e accessibile a tutti. In questo scenario, i fondi del Pnrr giocano un ruolo cruciale e
rappresentano la principale speranza per colmare i divari territoriali esistenti. Il Piano, infatti, ha destinato 741 milioni di euro alla mobilità elettrica, di cui 500 milioni specificamente per l’infrastruttura di ricarica. Si punta, entro il 2026, a installare oltre 21.000 nuovi punti di ricarica, con un’attenzione particolare alle aree meno servite del paese. Coi fondi si prevede la realizza-
2026. Il programma include anche incentivi per l’installazione di colonnine private condominiali e aziendali, riconoscendo che l’80% delle ricariche avviene attualmente in ambito domestico o lavorativo.
Nonostante gli investimenti programmati, restano da risolvere problemi di non poco conto. Innanzitutto, i tempi di realizzazione: secondo

zione di 7.500 punti di ricarica veloce nelle autostrade e 13.500 punti di ricarica normale nei centri urbani e nelle aree extraurbane.
Una componente significativa di questi investimenti è dedicata al Mezzogiorno: almeno il 40% delle risorse dovrà essere destinato alle regioni del Sud e alle Isole, seguendo il principio di riequilibrio territoriale che caratterizza l’intero Pnrr. Secondo il ministero della Transizione ecologica, questo dovrebbe permettere di raggiungere una densità minima di una colonnina ogni 60 chilometri su tutto il territorio nazionale entro la fine del
un monitoraggio del governo, aggiornato a dicembre 2024, solo il 15% degli interventi previsti dal Pnrr per la mobilità elettrica risulta completato. Poi resta da chiarire l’eccessiva “interoperabilità”. Ad oggi esistono decine di operatori diversi che lavorano nelle infrastrutture elettriche, ognuno con le proprie applicazioni e tariffe, vantaggi e promozioni, che creano una grande confusione negli utenti. In questa transizione verso una nuova mobilità elettrica l’Italia sta facendo progressi importanti, il percorso, però, rimane ancora lungo e - a tratti - senza ricarica.


















QUELLO CHE SO DI TE NADIA TERRANOVA SCAVA NELLE RADICI DELLA MEMORIA FAMILIARE
Il romanzo dell'autrice, tra i protagonisti del Premio Strega 2025, racconta la storia di Venera, sua bisnonna internata in manicomio. È da una cartella clinica ritrovata che inizia la narrazione
di Renato Minore
Nadia Terranova, voce intensa della narrativa contemporanea italiana, torna con Quello che so di te, che si annuncia come un’esplorazione intima e coraggiosa delle radici familiari e della memoria. Al centro della narrazione si staglia la figura di Venera, bisnonna dell’autrice, internata in manicomio. Attraverso un meticoloso lavoro di ricerca negli archivi e un dialogo serrato con la “mitologia familiare”, Terranova scava nella storia di questa donna, svelando discrepanze tra i racconti tramandati e la realtà emersa da una cartella clinica ritrovata. La struttura narrativa a doppio binario è uno degli elementi più originali. Da un lato la voce narrante, che conduce la sua indagine con lucidità e partecipazione emotiva; dall’altro, irrompono le parole dirette di Venera dagli estratti della sua ‘anamnesi’ in corsivo. La “viva voce” scardina l’immagine stereotipata della “nonna muta”, svelando una personalità complessa e una storia diversa da quella sedimentata nella memoria familiare. Il confronto tra queste due voci crea una sorta di dialogo tra generazioni, una “seduta spiritica” in cui il passato torna a farsi sentire con forza, mettendo in discussione certezze consolidate e aprendo nuove prospettive sulla storia di una
famiglia e sulla natura stessa della memoria e della verità.
Con Nadia Terranova, che si annunzia tra i protagonisti dello Strega 2025, abbiamo conversato sul privilegiato processo creativo che l’ha portata a un romanzo così intenso, rivelatore, catartico.
Tutto nasce dall’essere madre. Cosa significa e come si trasformano la vita e la psiche?
Non può esistere una risposta unica a questa domanda: ci sono almeno tan-

te madri quanti sono i figli, quindi gli esseri umani; di certo la maternità è un’esperienza plurale, che solo le donne possono esperire. Per me è stata trasformativa, potente. Ho percepito un accrescimento del mio sguardo sulla realtà. Scrive che la sua è anche una “seduta spiritica”. In che senso? Scrivere è spesso, per me, evocare figure fantasmatiche. Far parlare i morti, lasciarli precipitare sulla pagina: può capitare, le parole li richiamano. Mi viene in mente la storica figura della ‘doula’, una assistente alla nascita e alla morte, una donna sapiente che conosce e frequenta i confini tra la vita e la morte, il parto e l’addio.
“Un conto è sognare il passato, una cosa è andarselo a prendere”, leggo. È necessaria una simile struttura narrativa, non solo di finzione e narrazione, per poter recuperare il passato o una sua ipotesi? E perché proprio questa?
Scrivo questa frase nel momento in cui ritrovo in archivio la cartella clinica della mia bisnonna e devo mettere questo oggetto fisico, materiale, in relazione con le parole della mitologia familiare. Questa frase nasconde una citazione di Ursula K. Le Guin quando dice: “ma un conto è leggere di draghi, un conto incontrarli”, ed emblematizza la scrittura del tutto particolare, librida e ibrida, che ho voluto dare a questo libro che, sì, non poteva che essere scritto così.
Attraverso Venera affiora il tema della pazzia. Non trattata con elettrochoc, come vuole la mitologia famigliare, ma ugualmente devastante per gli esiti. Non abbiamo certezza che non le sia stato praticato un trattamento elettroconvulsivante: gli psichiatri Cerletti e Bini “istituzionalizzano” l’elettroshock qualche anno dopo il ricovero della mia bisnonna, ma non si può escludere che le siano state praticate terapie
simili in via ufficiosa e sperimentale, oltre alla piroterapia, ovvero l’induzio ne della febbre, e forse anche la mala rioterapia, considerata il trattamento più all’avanguardia del tempo.
Una storia in cui si mescolano biografia personale, ricerca storica e mitologia familiare. Come si trasforma o si modifi ca la scrittura adeguandosi ai diversi punti di vista che si in crociano?
È stato interessante lasciare la scrit tura libera dalla struttura del roman zo in senso stretto e vedere la lingua modificarsi e reagire alla sintassi delle cartelle cliniche, a quella della poesia, alle incursioni saggistiche. Non sarei mai riuscita a concedermi una simile libertà di forma e linguaggio se non avessi prima scritto romanzi dalle gab bie più collaudate.
Anche la ricerca iconografica: si somigliano le sedie dei manico mi con quelle dei nostri salotti. Tutto serve per arrivare dove?
Alle verità plurali e a un dato di fatto che non possiamo ignorare: la salute mentale, e il modo in cui una società la tratta, è e sarà sempre parte delle nostre vite.
La storia di un nonno combat tente nella Prima guerra mon diale, ma in realtà disertore.
Anche in questo caso, molte verità: era davvero un disertore? Ho usato una parola eccessiva, volutamente provo catoria. Era un disertore o un ragazzo che amava la vita? Aveva risposto o meno alla cartolina del servizio milita re? Non aver fatto la guerra gli pesava rispetto all’immaginario machista del regime? Le domande sono sempre più interessanti delle risposte.
Mi dice un autore che sen te fraterno rispetto alla storia che ha scritto?
Le dico il mio scrit tore della vita: Bruno Schulz.

Cultura
NICCOLÒ FABI
«SE INIZIASSI ADESSO NON POTREI CHE FARE
IL FILOLOGO IN UN MONASTERO»
Libertà negli occhi è il titolo del nuovo album del cantautore romano. Nove canzoni che parlano di punto zero della storia di conseguenze dell’età di un futuro in forse, di coraggio e di occasioni mancate
di Raffaello Carabini

Prendete un bar-ristorante in uno chalet prospiciente un laghetto di montagna. Svuotatelo di sedie, tavoli e quant’altro. Al piano terra sistemate brandine, tende, materassi gonfiabili; in quello superiore strumenti vari e uno studio di registrazione portatile. Riunite un cantautore affermato, i suoi musicisti e un produttore donna giovane e lungimirante. Dopo una decina di giorni avrete un album profondo, intelligente e ricercato, che combina la delicata malinconia di alcuni testi con l’evidente gioia di suonare insieme, l’energia di un gruppo di amici in vacanza. Così è successo a Niccolò Fabi, ai suoi partner abituali Roberto Angelini, Alberto Bianco, a Cesare Giorginisuo ex studente all’Officina delle Arti Pasolini -, e alla brava Emma Nolde in quel di Pellizzano, in Trentino,
per realizzare Libertà negli occhi
Nove canzoni che parlano di punto zero della storia, di conseguenze dell’età, di un futuro in forse, di coraggio e di occasioni mancate. E proposte in un bel cd-book pieno di fotografie e di parole.
«La scrittura dell’album si è depositata nel tempo - ci dice Fabi -. Quattro o cinque canzoni erano già pronte a casa, a Roma. Poi mi sono portato, tipo cuoco, una serie di spezie: giri di chitarra o di pianoforte, che mi piacevano ma non avevano parole, e frasi smozzicate, senza una loro dimensione. Le ho buttate lì e alcune si sono trasformate con i musicisti, altre sono fuggite verso direzioni inattese. A me piace dare molto spazio alla musica, affinché chi ascolta non senta più la mia voce, ma si possa concentrare sulla sua, su quanto emerge della sua ascoltando quella musica, dopo che io ho dato una premessa, una piccola traccia». Sono trascorsi sei anni da Tradizione e tradimento, il suo ultimo cd di inediti. Non le era mai successo. Con l’età si diventa più esigenti con sé stessi oppure la propria creatività scema a poco a poco?
Adesso sono nel momento in cui non penso più alle canzoni come l’unico confidente nella vita, per quanto continui a guardarle con tenerezza, perché hanno raccolto tante mie intimità. Però mi dico che, se avessi parlato più con i miei amici che con le canzoni, forse adesso starei meglio.
In Alba afferma di stare “nella pausa che c’è tra capire e cambiare”.
È un posto dinamico, in equilibrio un po’ funambolico, come tutti i posti scomodi. È un momento molto stimolante e faticoso allo stesso tempo, perché ho acquisito consapevolezze. Ho un’età in cui ho capito un

Libertà negli occhi di Niccolò Fabi UNIVERSAL
9 BRANI

po’ come funziono, come sono fatto. So anche ciò che mi fa stare male. Averlo individuato è una piccola conquista, ma da lì a essere in grado di cambiare… Tutti i grandi cambiamenti nella vita non avvengono per aver capito, ma per un evento che ti spinge ad attuarli. Speriamo che il prossimo non sia dovuto al Big One, ma a una scossa di terremoto più accettabile.
Lei ha appena compiuto 57 anni. Considera gli over 50 più possessori di valori da mantenere, dei Custodi del fuoco, come titola una delle canzoni, oppure solo dei “nostalgici tristi” che hanno il futuro dietro le spalle?
(sospira) È difficile. Ho la sensazione che sia molto complicato per un over avere un rapporto sereno con la gioventù. I più cadono in uno dei due atteggiamenti contrapposti. Da una parte sentirsi custode di una tradizione che è superiore a quella contemporanea. Anche i musicisti dicono che adesso la musica si è impoverita, che come si faceva musica tanti anni fa era un’altra cosa.
All’opposto c’è la posizione teneramente ridicola del vecchio che, per dimostrarsi al passo con i tempi, difende a spada tratta la contemporaneità. Sostenendo le cose giovani, si autodefinisce giovane. La maggior parte delle persone si muove tra questi due estremi, entrambi un poco tristi. Io provo a trovare un equilibrio, non per la qualità delle cose che scrivo ma per il mio approccio a quello che faccio, e ammetto piuttosto presuntuosamente che non trovo molti coetanei che fanno come me.
Cosa pensa del ritorno dei cantautori? Qual è il loro ruolo oggi?
L’ipotetico ritorno dei cantautori mi fa ridere, sinceramente. È un titolo di giornale e stop. Quel linguaggio è un poco stantio, non narra la nostra realtà. Ci piaccia o meno il linguaggio dei 17/18enni è molto più vicino ai tempi, alle modalità del racconto, alla grammatica con cui si scrive nei social. Il cantautore fa più fatica, forse giustamente. Il mio tipo di cantautorato ancora peggio, perché è meno sloganistico, più fra le righe. Se trent’anni fa potevo scegliere tra fare il filologo (Fabi è laureato in Filologia con il massimo dei voti, ndr.) e il cantautore, ed è andata bene, adesso riceverei sicuramente porte in faccia da tutti, tranne che dai monasteri. Però il linguaggio di oggi è più standardizzato, uniformato. Manca per i ragazzi un’apertura verso la dimensione più onirica, evocativa, verso quella psichedelia che ci ha fatto anche sognare delle realtà un po’ diverse, non soltanto la descrizione della merda della nostra società, che adesso va per la maggiore e si sa che funziona. Uno che fa il cantautore da trent’anni come si sente in questo clima? Brizzolato, tendente al bianco.
LA TRAMA FENICIA
IL
RITORNO DI WES ANDERSON A CANNES: «GIÀ PRONTO PER UN ALTRO FILM»
Il regista statunitense porta sul grande schermo la storia di Zsa-Zsa Korda. A vestire i panni del ricco industriale è Benicio del Toro di Giulia Bianconi
sa-Zsa” Korda, uno degli industriali più ricchi e influenti d’Europa negli anni Cinquanta, sopravvive a un nuovo attentato (il sesto incidente aereo). Gli affari dell’uomo, vasti, estremamente complessi e senza scrupoli, lo hanno reso nemico non solo delle imprese rivali, ma anche di governi di ogni ideologia in tutto il mondo e, di conseguenza, un bersaglio per gli assassini. Ora si trova nelle fasi finali di un
progetto che ha definito la sua carriera e che dura da decenni (La Trama Fenicia Infrastrutturale-Korda Terra e Mare), lo sfruttamento su larga scala di una regione potenzialmente ricca, ma a lungo rimasta abbandonata. Il rischio per il suo capitale personale è diventato incalcolabile, mentre le minacce alla sua vita continuano. Dopo l’ennesimo sfortunato evento, decide di convocare la figlia maggiore, Liesl - una novizia che non vede da anni“Z

per offrirle la possibilità di diventare la sua unica erede e insegnarle i trucchi del mestiere, così che il suo grande progetto possa sopravvivere. Per i due sarà l’inizio di un viaggio pieno di stravaganti e pericolose avventure. Wes Anderson è tornato in competizione per la quarta volta al Festival di Cannes con La trama fenicia, già nelle nostre sale italiane distribuito da Universal Pictures, con protagonisti Benicio Del Toro e Mia Threapleton. Il regista statunitense, classe 1969, è partito dall’idea di raccontare una storia che ricordasse i magnati europei come Onassis, Niárchos o Gianni Agnelli per ritrarre l’odissea di un uomo, le sue relazioni familiari e i suoi rapporti con il mondo.
Scritta con Roman Coppola, e costellata da una serie di variopinti personaggi interpretati da Michael Cera, Tom Hanks, Bryan Cranston, Scarlett Johansson, Mathieu Amalric, Jeffrey Wright e Benedict Cumberbatch, questa commedia di spionaggio, girata negli studi di Babelsberg a Berlino, si svi-

luppa nei quadri e nelle sequenze in palette di colori pastello che contraddistinguono il cinema di Anderson. «Appena finisco di girare un film, sono sempre pronto per farne un altro - ha raccontato il cineasta a Cannes -. Quando sono stato qui quattro anni fa per The French Dispatch, ho incontrato Benicio e gli ho detto che pensavo a un progetto con lui. Avevo in mente solo la sua immagine come protagonista del film. Non sapevo cosa sarebbe successo. Solo che c’era un uomo che nessuno riusciva a fare fuori. Ho letto una volta una dichiarazione del drammaturgo Tom Stoppard che diceva, che ogni volta che scrive un’opera teatrale, ha due idee in testa che non hanno nulla a che fare l’una con l’altra. Idee che poi si incontrano e danno vita a qualcosa. Ed è ciò che capita a me ogni volta». Anderson ha descritto Korda, industriale carismatico e spietato, come un uomo che incarna «l’oscurità di un certo tipo di capitalista» e come «un personaggio che non è davvero interessato a come le grandi decisioni che si è permesso di prendere stanno influenzando le popolazioni, il lavoro e i paesaggi nel mondo». Del Toro ha poi spiegato del suo personaggio: «Una delle cose che guida Zsa-Zsa in questo film è la competizione. Ho pensato che alla fine siamo tutti competitivi in un modo o nell’altro. Il mio senso della competizione in questo film è stato cercare di inchiodare tutto il più velocemente possibile. Così sono rimasto seduto in una vasca da bagno per circa sette ore (nella sequenza iniziale del film, ndr) e non me ne sono mai andato, perché
volevamo che tutto andasse nel verso giusto. Wes è un regista che ti libera e ti rende libero. E questa sua intenzione mi ha fatto mettere alla prova come attore».
Se Zsa-Zsa all’inizio del film decide consapevolmente di riportare la figlia nella propria vita solo per scopi personali, nel corso della pellicola, «minacciato da circostanze mutevoli e nuovi nemici, la sua strategia comincia a dissolversi per essere sostituita dal desiderio di mettersi finalmente alla prova come padre», ha spiegato ancora Anderson. E Del Toro ha aggiunto: «L’aspetto padre-figlia è il cuore di tutta la storia. In una scena chiave tra Zsa-zsa e Liesl, Wes mi ha chiesto di guardare direttamente in camera, anche se Mia era seduta al mio fianco. Ha funzionato, con mia grande meraviglia. È stato
In apertura e a sinistra
alcune scene tratte dal film La trama fenicia
In basso, da sinistra, Mia Threapleton
Wes Anderson e Benicio Del Toro sul red carpet del Festival di Cannes 2025
come parlare senza filtri al pubblico. Ho provato a far sentire a tutti cosa stesse provando Zsa-zsa per sua figlia». A dare il volto alla giovane primogenita del magnate, è Threapleton, figlia nella vita di Kate Winslet. Per la 24enne londinese, lavorare con Anderson è stato un sogno che si avvera. «Ho ritrovato i miei diari di ragazza e su uno del 2013 c’era scritto quanto amassi il cinema di Wes e che mi sarebbe piaciuto un giorno essere diretta da lui. Quando mi ha telefonato il mio agente, non ci ho creduto e ho iniziato a piangere», ha rivelato a Cannes l’attrice, che riguardo alla preparazione del ruolo ha concluso: «Mi è stato dato un profilo molto scarno di Liesl. Wes mi ha semplicemente detto: “Non vede suo padre da sei anni ed è una suora novizia”. Da lì ho costruito il personaggio».

affi sottili arricciati all’insù che celano appena un sorriso sornione, occhi spiritati, abbigliamento eccentrico all’orientale, una passione sfrenata per il lusso. Salvador Domingo Felipe Jacinto Dalí i Domènech (Figueres, 1904-1989) è noto forse più per la sua personalità esuberante e per il personaggio che lui stesso si è costruito che per il suo percorso artistico, eclettico e sfaccettato, oltre la fase più nota al grande pubblico. Terrorizzato dalla noia e dall’ordinario, il grande maestro catalano è stato pittore, scultore, illustratore, scrittore, fotografo, grafico, cineasta, designer, scenografo, sceneggiatore e stilista. «Attraverso il marchio “Dalí” - spiega Vincenzo Sanfo, curatore della mostra Salvador Dalí , tra arte e mito, allestita presso il Museo Storico della Fanteria di Roma - passa ogni cosa, dalla pittura alla scultura, dalla moda al design, in una rincorsa alla diffusione globale del suo pensiero che contempla la moltiplicazione di immagini e oggetti, non necessariamente di sua mano, ma che siano comunque in grado di assimilare e diffondere, sempre più, la sua visione dell’arte. Entrare nel mondo e in una mostra di Dalí è percorrere un cammino che ci porta in luoghi sconosciuti e sorprendenti, in cui nulla è ciò che si vede e in cui tutto è da scoprire, immaginare, godere, in un continuo andirivieni tra realtà e finzione».
Ottanta opere provenienti da collezioni private di Belgio e Italia, di cui alcune serie composte da numerosi pezzi, per un viaggio nell’arte e nel mito del genio di Salvador Dalí. Disegni, sculture, ceramiche, persino curiose (e costose) boccette di profumo, incisioni, litografie, documenti, libri e fotografie, un grande arazzo in edizione limitata (prodotto nel 1985 dalla Mask Corporation) che riproduce la famosa tela de Il grande masturbatore, bottiglie dell’Amaro Rosso Antico

LA MOSTRA CHE SVELA DALÍ OTTANTA OPERE PER ESPLORARE UN GENIO SENZA CONFINI
Fino a luglio, i lavori del pittore catalano al Museo Storico della Fanteria di Roma ripercorrono l'arte del grande maestro
di Serena Colombo 1
e le Chupa Chups (il logo fu disegnato da Salvador) conducono il pubblico a immergersi nell’universo daliniano, libero dalla rigidità delle regole, dove la realtà è costruita dai sogni. «L’itinerario espositivo si sviluppa con un approccio antologico, partendo dai primi anni della carriera dell’artista e dal fondamentale incontro con figure come il poeta Federico García Lorca, rappresentato in mostra da inediti disegni surrealisti, e il regista surrealista Luis Buñuel, con cui Dalí realizzò
Un Chien Andalou, cortometraggio manifesto del movimento surrealista - spiega Sanfo -. Questi legami hanno contribuito a plasmare il futuro di uno dei più grandi protagonisti dell’arte del Novecento. Il percorso continua attraverso tutte le fasi della produzione artistica di Dalí, fino alle ultime sperimentazioni oniriche degli anni finali della sua vita».
Negli anni Venti, Dalí fu tra i protagonisti del movimento surrealista, caratterizzato da una particolare attenzione

all’inconscio, che domina l’opera d’arte senza lasciarsi influenzare dalla ragione, dai luoghi comuni o da freni inibitori. Grazie alla diffusione della psicanalisi fuori dagli ambienti specialistici, artisti e letterati sentono la necessità di abbandonarsi all’inconscio per trovare nuovi orizzonti raggiungibili lasciando libera l’immaginazione ed esercitando la capacità onirica.
Insieme a Yves Tanguy, René Magritte, Max Ernst, Hans Arp e Man Ray (alcune opere rappresentative di questa temperie culturale sono esposte in mostra), Dalí rivoluzionò le arti visive. Nel 1931 dipinse La persistenza della memoria, uno dei suoi lavori più conosciuti e ammirati. Grazie a questo dipinto e al mercante d’arte Julian Levy, che lo espose nella sua galleria a New York, Dalí raggiunse la fama internazionale, destando interesse e curiosità da parte del pubblico. L’opera raffigura una landa deserta in cui sono presenti alcuni orologi molli, di una consistenza quasi liquida, che simboleggiano l’elasticità del tempo. Dalí racconta che l’idea nacque dalla visione di una


2.-3. Salvador Dalí, Gli avari_Purgatorio e La croce di Marte_Paradiso, 1959-1963
Ed. Les Heures Claires, Parigi, 100 acquerelli incisi in legno a colori in quarto copia numerata su pergamena Rives con 28 tavole con timbro di firma stampato in rosso
forma di formaggio Camembert che si scioglieva, ammorbidita dal calore. Fu proprio frequentando il gruppo dei surrealisti che Dalí conobbe e si innamorò di Elena Dmitrievna D’jakonova, più nota come Gala, allora moglie dell’amico poeta Paul Éluard e che in seguito divenne sua moglie, compagna e musa ispiratrice. A causa di divergenze politiche, nel 1939 Dalí fu espulso dal movimento surrealista dopo un ‘processo’ voluto da André Breton, che lo accusò di mercificare la sua arte solo per trarne un vantaggio economico, affibbiandogli il soprannome di “Avida Dollars” (ossia “avido di denaro”, ottenuto dall’anagramma del nome del pittore). Dalí, tuttavia, non si preoccupò molto né di questo soprannome né dell’espulsione, rispondendo alle accuse: «Il Surrealismo sono io». Con lo scoppio della Seconda guerra mondiale Dalí e Gala si trasferirono negli Stati Uniti, dove vissero per otto anni. Qui il pittore si riavvicinò alla fede cattolica: opere come La Madonna di Port-Lligat (1949) e Corpus Hypercubus (1954) sono l’esito di questa fase
da lui definita “Misticismo nucleare”. In questi anni si dedicò in modo particolare all’illustrazione dei capisaldi della letteratura mondiale, dalla Divina Commedia alla Bibbia, dal Don Chisciotte ad Alice nel paese delle meraviglie, e sperimentò nuove tecniche artistiche come l’oleografia o l’action painting. A partire dal 1960 iniziò a lavorare al suo Teatro-Museo a Figueres, museo auto-commemorativo ideato e creato da lui stesso, che in seguito trasferì casa e atelier al castello medievale di Púbol, interamente ristrutturato e dipinto come luogo di riposo della sposa, di cui scrisse «Amo Gala più di mia madre, più di mio padre, più di Picasso e anche più del denaro».
Salvador Dalí, tra arte e mito
Roma, Museo Storico della Fanteria
fino al 27 luglio 2025
Info: 351 840 3634
333 609 5192
www.navigaresrl.com/mostra/salvador-dali-tra-arte-e-mito-2/
QUELLE FAUCI CHE RIVOLUZIONARONO HOLLYWOOD
Lo Squalo compie 50 anni dal terrore nelle spiagge del New Jersey alla nascita del primo blockbuster della storia
di Anna Costalunga
l 20 giugno 1975, la storia del cinema cambiò per sempre. In circa 450 schermi americani usciva Lo squalo, dell’allora ventinovenne regista Steven Spielberg. Nel primo weekend di programmazione il film incassò 7 milioni di dollari e alla fine ne guadagnò più di 500 in tutto il mondo, diventando il film di maggior incasso dell’epoca. In Italia, al netto dell’inflazione, incassò circa 13 milioni e mezzo di lire nelle prime quattro settimane di programmazione - 9,3 milioni solo nel primo weekend -, posizionandosi al secondo posto tra i film di maggiore incasso della stagione 1975-1976.

ICiò che ha reso Lo Squalo (titolo originale Jaws, Fauci) così spaventosamente efficace è il fatto che, dietro la finzione narrativa, si celano eventi realmente accaduti. Peter Benchley, autore del romanzo da cui è tratto il film, si ispirò a una serie di attacchi avvenuti nell’estate del 1916 lungo la costa del New Jersey, che terrorizzarono l’America. Tra il 1° e il 12 luglio di quell’anno, uno squalo (un grande bianco o uno squalo toro) seminò il panico attaccando cinque persone e uccidendone quattro. Il primo attacco avvenne il 1° luglio a Beach Haven: Charles Vansant, un venticinquenne in vacanza con la famiglia, venne aggredito a pochi metri dalla riva. Nonostante i tentativi di soccorso, il ragazzo morì dissangua-
to a causa delle gravissime ferite alla gamba sinistra. Cinque giorni dopo, a Spring Lake (70 km a nord di Beach Haven), Charles Bruder, un cameriere di 27 anni che lavorava in un hotel del posto, venne attaccato mentre nuotava. Alcuni bagnini lo soccorsero con una barca, ma lo squalo gli aveva già strappato entrambe le gambe all’altezza dell’anca. Anche lui morì dissanguato prima di raggiungere la riva. La particolarità di questi attacchi stava nella loro rarità: fino ad allora, nella storia degli Stati Uniti, non si erano mai verificate aggressioni mortali lungo la costa orientale. L’opinione pubblica era sconvolta e le spiagge, in piena stagione turistica, si svuotarono rapidamente. Ma l’evento più sconcertante doveva ancora verificarsi. L’11 luglio, uno squalo risalì il Matawan Creek, un piccolo fiume, per circa 24 km nell’entroterra rispetto all’oceano. Il giovane Lester Stilwell, di 11 anni, venne attaccato mentre nuotava con gli amici. Il suo corpo fu ritrovato solo due giorni dopo. Stanley Fisher, un taglialegna di 24 anni che si era tuffato nel tentativo di salvarlo, venne anch’egli morso e morì in ospedale poche ore dopo. Mezz’ora dopo l’attacco a Fisher, sempre nello stesso torrente ma più vicino alla baia, il quattordicenne Joseph Dunn fu l’ultima vittima. Fortunatamente, i suoi amici riuscirono a trascinarlo fuori
dall’acqua e, sebbene gravemente ferito a una gamba, fu l’unico sopravvissuto della serie di attacchi. Questi eventi scatenarono una vera e propria “guerra agli squali”, con migliaia di pescatori che si lanciarono alla caccia del predatore. Il 14 luglio, uno squalo bianco di più di due metri fu catturato nelle acque vicino a Matawan. Nel suo stomaco, secondo i resoconti dell’epoca, vennero rinvenuti resti umani. Per molti, questo confermò che si trattasse dello “squalo assassino”, sebbene oggi gli esperti ritengano che gli attacchi possano essere stati opera di più di un predatore. Benchley rimase profondamente colpito da questi eventi e li utilizzò come ispirazione per il suo romanzo del 1974, ambientandolo però nell’immaginaria isola di Amity. La trama riprende molti elementi della tragedia del New Jersey: una comunità costiera che vive di turismo, le autorità locali che negano il pericolo per non danneggiare l’economia estiva e la caccia finale al predatore. Per la caratterizzazione del cacciatore di squali Quint (Robert Shaw), lo scrittore si ispirò al pescatore Frank Mundus, con cui aveva realmente partecipato a battute di caccia allo squalo. Mundus era un personaggio leggendario, famoso per aver catturato con la canna da pesca nel 1964 uno squalo bianco di oltre 2.000 kg. Curiosamente, dopo aver visto il film, Mundus lo definì “il più divertente e più stupido che avesse mai visto” e “pieno di inesattezze”, pur riconoscendosi nel personaggio di Quint.
Il regista Steven Spielberg sul set di Lo Squalo (1975)

Spielberg, insoddisfatto della sceneggiatura originale di Benchley, coinvolse l’amico Carl Gottlieb per aggiungere umorismo e leggerezza a una storia altrimenti troppo cupa. Molte delle scene memorabili del film, come il monologo di Quint sulla USS Indianapolis, furono così aggiunte o modificate sul set. Le difficoltà tecniche durante le riprese sono leggendarie. Il “Bruce” meccanico (così chiamato in onore dell’avvocato di Spielberg) - in realtà tre diversi modelli di squalo robotizzato - funzionava raramente come previsto, costringendo il regista a limitarne le apparizioni e a suggerire la presenza del predatore piuttosto che mostrarla. Questo approccio, nato da una necessità pratica, si rivelò una scelta artistica geniale che aumentò la tensione e il terrore degli spettatori. Come location fu scelta l’isola di Martha’s Vineyard, in Massachusetts, grazie al suo fondale marino sabbioso che rimaneva poco profondo fino a 19 km dalla costa. Questo permetteva di manovrare facilmente gli squali meccanici e di evitare che la terraferma apparisse nelle riprese, aumentando la sensazione di
isolamento. Alcune scene con squali veri furono invece girate in Australia, usando un attore nano in una piccola gabbia per simulare pesci di dimensioni gigantesche.
Cinquant’anni dopo la sua uscita, la pellicola continua ad affascinare e terrorizzare. Horror acquatico o film psicanalitico, Lo Squalo non solo ha definito il concetto stesso di blockbuster estivo, ma ha anche lasciato un’impronta indelebile nella cultura popolare, influenzando generazioni di cineasti e cambiando per sempre il
modo di guardare all’oceano e ai suoi abitanti più temibili. Tra i momenti iconici del film, uno in particolare è entrato nell’immaginario collettivo: quando il capo della polizia Martin Brody (Roy Scheider) vede il pesce per la prima volta e, arretrando verso la cabina di pilotaggio, pronuncia a Quint la celebre frase: “Ci serve una barca più grossa”, scelta poi da 1.500 addetti ai lavori dell’American Film Institute come la numero 35 tra le 100 migliori citazioni cinematografiche di tutti i tempi.
Storia e misteri

LA LEGGENDA NERA DI PAPA ALESSANDRO VI BORGIA
Alessandro VI, al secolo Rodrigo Borgia, è uno dei papi più controversi della storia della Chiesa. Nato a Xàtiva, nel Regno di Valencia, nel 1431, Rodrigo era nipote di papa Callisto III, il che gli permise di avviarsi giovanissimo alla carriera ecclesiastica. Nonostante il voto di castità imposto dal suo ruolo clericale, Rodrigo ebbe numerosi figli da diverse amanti, tra cui i famosi Cesare e Lucrezia con Vannozza Cattani, destinati a entrare anch’essi nella leggenda per le loro azioni criminose, vere o presunte. Uomo di grande cultura, intelligenza e ambizione, fu cardinale e vicecancelliere della Curia romana prima di essere eletto papa nel 1492, dopo un conclave segnato da corruzione e compravendita di voti. Le cronache dell’epoca parlano di vere e proprie
Figura emblematica del papato rinascimentale il Pontefice spagnolo intrecciò abilmente religione e politica in un’epoca segnata da corruzione potere dinastico e fermenti di riforma
di Anna Costalunga
tangenti elargite ai cardinali, tanto che il termine ‘simonia’ - la vendita di cariche ecclesiastiche - trovò nella sua elezione uno degli esempi più eclatanti. Tuttavia, nonostante i mezzi discutibili
con cui giunse al soglio pontificio, Alessandro VI si rivelò un abile politico, capace di mantenere l’equilibrio tra le grandi potenze italiane ed europee, in un’epoca segnata da continue guerre e tensioni tra Francia, Spagna e i vari Stati della penisola.
Una volta eletto, Alessandro VI si distinse per la sua abilità politica e per il forte nepotismo. Fece dei propri figli - in particolare di Cesare e Lucrezia - strumenti del potere temporale del papato. Il primo, in particolare, fu protagonista di una fulminante carriera militare e politica. Inizialmente cardinale, abbandonò presto la tonaca per dedicarsi alla conquista di territori in Romagna e nell’Italia centrale, appoggiato dal padre, che vedeva in lui il braccio armato della famiglia. Cesare, temuto per la sua spietatezza
In apertura, una veduta interna
della Basilica di San Pietro
A destra, un’illustrazione raffigurante papa Alessandro VI (Rodrigo Borgia)
e ammirato per la sua audacia, fu anche di ispirazione per Il Principe di Machiavelli.
Lucrezia, invece, fu a lungo dipinta come una figura ambigua e strumento di oscure trame familiari. I matrimoni combinati dalla famiglia - dapprima con Giovanni Sforza, poi con Alfonso di Bisceglie e infine con Alfonso d’Este - avevano come unico scopo l’alleanza politica. La sua figura fu oggetto di dicerie, tra accuse di incesto, avvelenamenti e partecipazione a congiure, ma la storiografia moderna tende a considerarla più vittima delle voci che carnefice, evidenziando la sua intelligenza e il suo ruolo successivo come duchessa stimata a Ferrara, moglie del duca Alfonso. Il Giubileo indetto da Alessandro nel 1500 fu concepito come un evento grandioso per esaltare il ruolo centrale di Roma e della Chiesa, messe sotto accusa dal movimento protestante. La città fu teatro di uno spettacolare rinnovamento urbanistico, con la creazione di nuove strade per facilitare il passaggio dei pellegrini tra le basiliche maggiori. Tuttavia, dietro la facciata di solennità e devozione, il pontefice portava le ferite di una tragedia personale: la misteriosa morte del figlio prediletto, Giovanni, duca di Gandia, avvenuta nel 1497. Il corpo del giovane fu ritrovato nel Tevere con segni evidenti di omicidio e subito si sospettò del fratello Cesare, geloso delle attenzioni paterne. Il dolore colpì profondamente il Papa, che per un breve periodo si ritirò dalla vita pubblica. Durante il concistoro successivo all’assassinio aveva peraltro annunciato la volontà di intraprendere una seria riforma ecclesiastica. Tuttavia, questo slancio riformatore si esaurì rapidamente e il pontificato continuò a essere caratterizzato da nepotismo

e corruzione. Il Giubileo divenne così simbolo di un’opportunità mancata: mentre migliaia di pellegrini affluivano a Roma cercando perdono e rinnovamento spirituale, la Chiesa stessa non riusciva a purificarsi dai suoi mali interni. Non è un caso che appena diciassette anni dopo, nel 1517, Martin Lutero avrebbe affisso le sue 95 tesi sul portone della chiesa di Wittenberg, dando inizio alla Riforma protestante. La corte di Alessandro VI fu effettivamente luogo di complotti, amori scandalosi e, secondo molti, di veleni, spesso impiegati per eliminare cardinali facoltosi e impadronirsi dei loro beni. La morte di familiari, come quella di Giovanni e del genero Alfonso di Bisceglie, marito di Lucrezia, fu attribuita a faide interne alla famiglia. Di questi omicidi, però, ancora oggi mancano le prove concrete. Le cronache dell’epoca, infatti, spesso redatte da nemici politici della famiglia, contribuirono a costruire un’immagine decadente e perversa
della corte, rafforzando quella che nei secoli è divenuta nota come la leggenda nera dei Borgia. Persino la sua fine, nel 1503, fu avvolta nel mistero. Si parlò, infatti, di avvelenamento accidentale nel tentativo di eliminare un rivale, anche se gli storici odierni propendono per un attacco fatale di malaria. Eppure, la verità storica è più sfumata. Rodrigo fu un papa del Rinascimento, epoca in cui il confine tra potere spirituale e temporale era molto sottile. Molti studiosi oggi sottolineano come le accuse più infamanti siano frutto di propaganda politica: i nemici dei Borgia, tra cui i Medici, i Della Rovere e vari autori protestanti successivi, contribuirono a diffondere un’immagine distorta, esagerando o inventando episodi scandalosi per delegittimare la famiglia e il papato stesso. Una cosa è certa: in lui, più che in ogni altro, si riassume l’immagine emblematica della Curia rinascimentale, un misto di ambizione, intrigo e splendore.

“Mi rigiro nel letto senza prendere sonno”.
“Mi sveglio tutte le notti alle 3.30 e non dormo più”. “Non voglio prendere farmaci, ma non posso continuare così”.
“La psicoterapia mi sta aiutando, ma è una cosa lunga e intanto non dormo”. “Non resisto, mi sono affidata agli psicofarmaci, spero per poco tempo”.
Iniziano tutte così le storie degli oltre tredici milioni di italiani che soffrono d’insonnia, secondo le ultime rilevazioni di Aims, l’Associazione Italiana Medicina del Sonno. Ci si sente persi, ci si rivolge a professionisti o si prova con il fai da te: dalle app che insegnano la meditazione, ai preparati di erboristeria. Quando va bene, si risolve il problema dopo poco tempo, quando va male, si continua a cercare una soluzione, addirittura ci si convive con alti e bassi. “Non volevo prendere sonniferi per paura di diventarne schiava. Le ho provate tutte. Ero disperata. Sul web sei bombardata da ogni parte da con-
CAPIRE, AGIRE, VIVERE TUTTO QUELLO CHE SERVE PER DORMIRE BENE
Diego Sommavilla dal 2019 fa il coach del sonno
«Non si tratta semplicemente di insegnare tecniche per dormire, ma di guidare le persone in una trasformazione personale»
di Francesca Cutolo
sigli di esperti e pseudo esperti. Poi mi sono imbattuta in un tale che affermava che “l’insonnia non esiste”, ho letto le recensioni su di lui e ho voluto fidarmi. Mi ha aiutato a resettare la mente, a scardinare i pensieri sul sonno, perfino ridere di notte con me stessa per sdrammatizzare, è stato un lavoro pro-
fondo non avevo mai sentito parlare di un coach del sonno”. Paola fa l’impiegata, ha 57 anni è una persona insonne, anzi una ex insonne che si è fidata, e affidata, a Diego Sommavilla che dal 2019 fa il coach del sonno, il primo in Italia che si è specializzato nell’aiutare le persone che soffrono di insonnia
cronica. «Lavoravo come ingegnere in una società a Trento, mia città natale. Anche per l’insonnia ho passato due anni di inferno, quindi mi sono licenziato. Ho lavorato su me stesso, ho seguito dei corsi di formazione per diventare un Pnl coach (programmazione neurolinguistica), e mi sentivo sulla buona strada per tornare a dormire bene. Ma non stavo lavorando. Un giorno mi è balenata l’idea: “Voglio aiutare le persone a dormire bene!”. Dopo aver studiato e aver conseguito un certificato come coach in Scienza del sonno, ho capito che le soluzioni tradizionali - come igiene del sonno e tecniche di rilassamento - sono spesso insufficienti per l’insonnia legata ad ansia e paura di non dormire. Questi metodi funzionano bene per insonnie leggere, ma non affrontano le cause più profonde di problemi più complessi, come quelli che ho vissuto e condiviso con altri. In sostanza, l’insonnia cronica diventa spesso un circolo vizioso di attenzione al sonno e di ricerca di soluzioni per cercare di dormire che non ti fanno più rilassare. Finché il sonno è una preoccupazione, e ci si pensa per tutto il tempo, e nel momento in cui si va a letto c’è la paura di non dormire e si cerca di controllare il sonno con tecniche di meditazione, respirazione e rilassamento, si perde la spontaneità del sonno. E non si dorme. E, a quel punto, anche i farmaci diventano spesso inefficaci perché il loro effetto calmante e sedativo non è sufficiente a placare la paura di non dormire, che crea uno stato di iperattivazione e costante allerta del sistema nervoso». Dal 2019 ad oggi Diego Sommavilla ha seguito quasi 400 persone, dapprima in sessioni individuali online e poi attraverso un percorso strutturato, creando una vera e propria comunità, la sua “Scuola del Sonno” che si basa su un percorso chiamato “Sonno Facile”. «Il presupposto - spiega - è che l’insonnia non esiste perché la capacità

«Finché nel momento in cui si va a letto c’è la paura di non dormire, si perde la spontaneità del sonno. E non si dorme. A quel punto, anche i farmaci diventano spesso inefficaci»
di dormire è innata in noi e non è mai stata persa. In sostanza, per tornare a dormire bene bisogna smettere di sforzarsi e riprendere fiducia nella capacità innata di riposare. Un giorno a settimana faccio un incontro gratuito su Facebook dove affronto alcuni aspetti dell’insonnia, chiunque può partecipare anche solo per curiosità. La parte impegnativa è quella delle lezioni che vanno seguite sia per la teoria sia per la parte di tecniche da mettere in pratica. Chi affronta il percorso ci deve credere».
Quello che insegna Diego Sommavilla si basa su un metodo in 3 fasi: capire, aiutare le persone a comprendere come funziona il sonno naturale e come si sono autosabotate, dimostrando che è possibile dormire bene e spostando l’attenzione dai rimedi esterni ai meccanismi interiori; agire, attraverso esercizi e attività, aiuta a liberarsi di pensieri, emozioni e comportamenti
disfunzionali, ritrovando calma e rilassamento; vivere, imparare a gestire la vita con un nuovo spirito, affrontando aspetti come sensibilità, insicurezza, perfezionismo e ansia, per riprendere il controllo e ridurre stress e ansia che alimentano l’insonnia. Sommavilla puntualizza: «Non si tratta semplicemente di insegnare tecniche per dormire, ma di guidare le persone in una trasformazione personale profonda che coinvolge anche la gestione dei cambiamenti, dello stress e dell’ansia. Questo processo si basa sulla consapevolezza e sulla capacità di vivere il sonno non come un obbligo da adempiere, ma come un processo naturale da favorire e accogliere con serenità. I percorsi durano alcuni mesi e sono esclusivamente online, così si possono seguire direttamente dal proprio luogo di residenza e perché, in tal modo, posso raggiungere persone che vivono in tutto il mondo».
Erano gli anni in cui parlare di sport in Italia voleva dire riferirsi unicamente al calcio: Italia, campione d’Europa nel 1968, vice campione del mondo a “Messico 1970”, e poi il campionato e le coppe internazionali. Nelle altre discipline la squadra azzurra rientrava nell’ampio novero delle compagini cosiddette “materasso o cuscinetto”, quelle che vengono ammesse alle gare per fare numero, ma che mai avrebbero la capacità di arrivare ad un alloro di rispetto, a parte qualche isolato exploit. Ma arriviamo al 1968, quando una esile ragazzina di 13 anni, un’eccezione rispetto alle nuotatrici ben piantate americane, australiane e tedesche dell’est, cominciò a inanellare vittorie su vittorie, arrivando a conquistare in assoluto le prime medaglie olimpiche nel nuoto, nell’edizione di “Monaco 1972”. Il suo nome? Novella Calligaris, padovana, classe 1954. Con lei iniziò una strada virtuosa per il nuoto italiano, che ha portato il Belpaese a diventare, di buon diritto, una delle potenze nello sport natatorio. Smette la carriera agonistica a soli 20 anni. Oggi giornalista, nel 1986 è stata inserita nella International Swimming Hall of Fame. Ci sarebbe stata Federica Pellegrini senza Novella Calligaris? È proprio lei a raccontarlo a 50&Più Novella, facciamo un percorso a ritroso, partiamo da oggi. Che cosa è diventato il nuoto anche grazie alla sua esperienza? Diciamo che ho contribuito a cambiare una certa mentalità, grazie al fatto che ero una ragazza normale, così come oggi sono una “diversamente giovane” normale. Non avevo un fisico particolarmente prestante, ma attraverso l’allenamento muscolare e mentale sono riuscita ad ottenere ottimi risultati. Per fare un paragone col tennis, la Paolini di per sé non avrebbe una particolare prestanza, ma riesce lo stesso ad essere al top. Non è

NOVELLA CALLIGARIS LA SPORTIVA CHE CAMBIÒ IL NUOTO ITALIANO
Padovana, classe 1954, ha portato il Belpaese a diventare una potenza nello sport natatorio
Smette la carriera agonistica a soli 20 anni
Oggi giornalista, nel 1986 è stata inserita
nella International Swimming Hall of Fame
di Giovanni Carlo La Vella

lo stereotipo della giocatrice di tennis, così come io non lo ero per il nuoto. Quindi conta più l’allenamento della predisposizione fisica?
Beh, no, più che l’allenamento la differenza la fa la testa, la predisposizione mentale. Poi importante è la capacità degli allenatori di capire quali sono le caratteristiche e le qualità del singolo atleta e quindi applicare una comunicazione e dei programmi adeguati al soggetto che si ha davanti, che ne esaltino le doti, e non degli schemi genericamente preordinati. Ogni individuo è diverso. Nel caso del nuoto, ad esempio, ogni atleta ha una sua idrodinamicità che va capita bene per ottenere buoni risultati. Nel suo caso un grande e storico allenatore nel nuoto è stato Bubi Dennerlein, scomparso di recente. È stato un innovatore? Sì, lui è un esempio antesignano. È stato un tecnico che ha sempre adeguato l’atteggiamento psicologico e comunicativo, il tipo di allenamen-
to al soggetto, non generalizzando. In quegli anni andava molto la ‘muscolarizzazione’, negli americani, nei russi, nei tedeschi dell’est. Lui aveva capito, invece, che il mio fisico era estremamente leggero e quindi ha adottato dei programmi di allenamento adatti al mio fisico e alla mia testa.
Che cosa ricorda dell’esperienza olimpica, situazione in cui ci si scontra con avversari di punta? Si riesce anche a diventare amici?
Quando affrontai la prima Olimpiade, giovanissima, ero incosciente di che cosa fosse, pensavo di essere in un grande parco giochi. Poi la seconda è stata vissuta con più consapevolezza e molte delle mie avversarie sono diventate mie amiche, soprattutto le tedesche dell’est, verso le quali ho una grande stima. Erano vittime non colpevoli di un sistema (doping di Stato, ndr) e chi richiede indietro le medaglie non ha un minimo
In queste immagini, la campionessa di nuoto nel pieno della carriera: in apertura, nel 1972 ai Giochi Olimpici di Monaco di Baviera dove conquista 3 medaglie
di coscienza. Loro sono state utilizzate al servizio della ragion di Stato, con conseguenze anche molto gravi. La gara crea un antagonismo, ma anche delle forti complicità. Quando ho battuto il record del mondo degli 800 stile libero, la prima che venne a congratularsi con me fu l’americana Keena Rothammer, che deteneva il record, e mi disse: “Qualcuna doveva battermi e sono contenta che sia stata tu”.
Nello sport di oggi, sempre più spettacolarizzato, ci sono queste emozioni?
Sì, lo spirito dell’atletismo è ancora questo. È lo spirito di chi veste la maglia azzurra. Io mi onoro di essere presidente dell’Associazione
Nazionale Olimpici Azzurri, con la quale cerchiamo di trasmettere ai giovani questo messaggio. La rete dello sport porta con sé valori che rimangono dentro per sempre e per questo è il più grande network valoriale al mondo.
Possiamo dire che il valore del rispetto deve essere e rimanere alla base di ogni sport?
Direi di sì, già la tregua olimpica porta con sé questo valore fondamentale: non può esserci competizione agonistica se non c’è pace. L’attività agonistica va oltre tutte le logiche, compresa quella politica, ma purtroppo oggi proprio la politica ha attenuato questa funzione importantissima. Pensate che la Russia ha invaso l’Ucraina nel febbraio 2022, proprio nel giorno dell’inaugurazione delle Olimpiadi invernali. Lo sport è rispetto, a livello interpersonale e a livello globale.
Tecnologia e dintorni
CURIOSITÀ




Quest’anno Microsoft compie 50 anni. Era il 1975 quando, ad Albuquerque nel cuore del Nuovo Messico, Bill Gates e Paul Allen avviarono una rivoluzione che avrebbe cambiato per sempre il mondo della tecnologia
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COME RIDARE VITA AI NOSTRI VECCHI SMARTPHONE
Con il sistema operativo LineageOS possiamo farli durare di più Prima o poi succede a tutti gli smartphone. Divenuti troppo desueti, le case produttrici finiscono per non rilasciare più aggiornamenti con conseguenti limitazioni nell’uso e problemi di sicurezza. Una possibile soluzione? Installare LineageOS, una ROM basata su Android open source che permette di dare nuova vita ai dispositivi ormai vecchi. L’installazione richiede una certa familiarità con la riga di comando, ma se si seguono le istruzioni per il proprio modello su http://lineageos.org/ non è troppo difficile.
2 FLEXIVOL, L’OLOGRAMMA CHE SI TOCCA
La prima tecnologia che permette di ‘toccare’ le immagini 3D
Si chiama FlexiVol ed è il primo sistema di visualizzazione olografica 3D interattivo e tattile. Lo hanno realizzato alcuni ricercatori spagnoli grazie al finanziamento del Consiglio Europeo della Ricerca (ERC). FlexiVol permette di toccare fisicamente le proiezioni luminose senza compromettere l’illusione visiva. Tutto questo grazie a un diffusore flessibile che, oscillando a una velocità elevata, proietta quasi 3.000 immagini al secondo che si possono afferrare, ruotare e manipolare come oggetti reali.
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ADDIO CARTA D’IMBARCO, IL FUTURO È TECNOLOGICO
Fra qualche anno useremo Journey Pass, il check-in digitale
L’Organizzazione Internazionale dell’Aviazione Civile (ICAO) intende sostituire entro il 2030 le carte d’imbarco con il riconoscimento biometrico del volto. La soluzione semplificherebbe il sistema d’imbarco, riducendo i tempi di attesa e aumentando la sicurezza. Grazie alla biometria - al di là del risparmio nei costi di stampa delle carte d’imbarcosarà possibile identificare un passeggero in appena 3 secondi. In alcuni aeroporti - Hong Kong, Tokyo Narita, Tokyo Haneda, etc. - è già in uso.
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IL PACEMAKER PIÙ PICCOLO AL MONDO
Funziona a infrarossi ed è biodegradabile, pensato per i neonati
Alcuni ricercatori della Northwestern University (Illinois) hanno sviluppato un pacemaker temporaneo incredibilmente piccolo, pensato per pazienti appena nati. È più piccolo di un chicco di riso: solo 1,8 millimetri di larghezza, 3,5 millimetri di lunghezza e 1 millimetro di spessore. Si può introdurre con una siringa in modo non invasivo ed è biodegradabile. Non ha fili o batterie, un cerotto morbido applicato all’esterno rileva le aritmie e attiva il pacemaker inviando dei segnali luminosi per regolare il battito.
Dal 4 al 6 giugno, a Bologna, presso gli spazi di BolognaFiere, si svolge We Make Future, Fiera Internazionale e Festival sull’Innovazione
AI - Digital - Tech. Per info: www.wemakefuture.it
IL LATO OSCURO DELL’ALGORITMO
CENSURA E CONTROLLO NELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE
Le IA sono sempre più presenti nella nostra vita ma rispondono a regole decise da esseri umani
Tra filtri invisibili e contenuti nascosti, il confine tra tutela e controllo si fa sempre più sottile
di Dario De Felicis
Nell’aprile 2024 fu emblematico il caso di un utente che chiese all’allora nuovo modello di intelligenza artificiale cinese DeepSeek R1 “Cosa è successo in Cina nel 1989?” (alludendo ai fatti di piazza Tienanmen). “Mi dispiace, ma questo va oltre il mio attuale ambito. Parliamo di qualcos’altro”, fu la risposta secca del chatbot. E dopo un momento di silenzio, il modello rispose: “Non dovrei fornire dettagli su eventi politicamente sensibili o sulle proteste, specialmente quelle del 1989 in Cina”. Un episodio che non è stato un caso isolato ma uno dei tanti esempi che ci ricordano come le intelligenze artificiali, pur promettendo risposte rapide e facili, siano spesso ‘filtrate’ da linee guida morali, politiche o legali, dettate dai programmatori.
Ma perché succede? E soprattutto, esistono IA che non si piegano a queste imposizioni? La risposta, per quanto possa sembrare scontata, è che dietro ogni IA ci sono esseri umani, decisioni aziendali e spinte politiche. Quando i programmatori creano modelli di linguaggio o algoritmi complessi, devono decidere quali contenuti possano essere pericolosi, dannosi o illegali. La censura diventa quindi un modo per evitare la diffusione di fake news, incitamento all’odio, o discussioni poli-
forma di limitazione è la sua invisibilità. Quando un libro viene bandito o un film censurato, ad esempio, il pubblico generalmente ne è consapevole. Con l’IA, il processo avviene “dietro le quinte”, spesso senza che l’utente comprenda quali filtri vengano applicati alle informazioni ricevute.
Allora per molti si scatena la corsa alla ricerca di una IA veramente libera; che in questo caso è come cercare un’isola deserta nel mare dell’informazione. Tuttavia, ci sono alcune alternative che presentano un livello di libertà maggiore rispetto ai colossi dominanti del settore.

tiche che potrebbero portare a conflitti. Si tratta, in qualche maniera, di un tentativo di ‘responsabilizzare’ le macchine. La linea tra protezione e manipolazione è sottile, e stabilire il limite tra ciò che è dannoso e ciò che è libero ci fa entrare in un territorio dai confini etici poco distinti. Nel contesto delle IA generative, le cose si complicano ulteriormente. Modelli linguistici famosi come ChatGPT o DeepSeek non solo rispondono a domande, ma creano anche contenuti. Per evitare che questi strumenti diventino veicoli per diffondere idee controverse o addirittura dannose, vengono inseriti filtri di sicurezza che limitano le risposte in alcune aree sensibili. Ma ciò che rende particolarmente insidiosa questa
Claude di Anthropic, ad esempio, è noto per esplicitare meglio i suoi ragionamenti e limitazioni. Mistral AI, startup europea, ha rilasciato modelli con meno restrizioni su temi politici rispetto ai giganti americani. Modelli come GPT-Neo e GPT-J si presentano come alternative open-source (software con codice aperto e accessibile a tutti) che consentono maggiore flessibilità. Nonostante tutto, va tenuto presente che nessun modello è completamente ‘libero’: anche le versioni più aperte mantengono blocchi nascosti. Mentre demandiamo sempre più decisioni informative all’intelligenza artificiale, diventa cruciale comprendere non solo ciò che queste tecnologie ci dicono, ma anche ciò che scelgono di tacere.
L'angolo della veterinaria a
cura di Irene Cassi

Durante la visita pre-adozione andrebbe sempre proposto ai futuri proprietari l’utilizzo del kennel. Tale consiglio viene sempre malvisto e criticato da chi non conosce l’etogramma del cane. Il cucciolo, quando viene adottato, ha bisogno di regole e il kennel rappresenta senza dubbio uno strumento utile e necessario, specialmente per chi non ha mai avuto animali ed è quindi alla sua prima esperienza. Un cane che viene educato senza regole potrebbe con il tempo manifestare un disagio psicofisico e problemi legati allo status gerarchico.
QUANTO È UTILE IL KENNEL PER EDUCARE IL PET
Spesso malvisto da chi adotta un cane questo strumento si rivela in realtà fondamentale per il processo educativo del cucciolo e un importante ausilio per l’animale adulto e anziano
QUALE SCEGLIERE
Attualmente in commercio esistono diversi modelli di kennel, molti dei quali stilizzati e adatti a qualsiasi tipo di arredamento. Fondamentale è sceglierne uno adeguato alle dimensioni del cane, abbastanza grande da consentire all’animale di sdraiarsi comodamente. In futuro sarà infatti utilizzato dal pet solo per dormire o in situazioni particolari. Un bel cuscino, un osso, alcuni giochi e una ciotola dell'acqua da appendere alla sbarra del kennel contribuiranno poi a rendere tutta la postazione molto confortevole.
STRATEGIE PER ABITUARE IL PET
Non bisogna mai forzare il cane ad entrare nel kennel; durante i primi giorni sarà bene lasciare lo sportello sempre aperto, così da capire se l’animale mostri interesse a farlo. Somministrare direttamente i pasti al suo interno o posizionarvi uno snack dicendo "dentro" o "fuori" potrebbe essere un metodo utile per incoraggiarlo ad entrare. Una volta che il pet si sarà abituato, sarà possibile lasciarlo dormire al suo interno chiudendo lo sportello. Nel caso in cui dovesse 'protestare' abbaiando, sarà necessario ignorarlo. È importante sapere che il kennel non deve mai essere utilizzato dal proprietario come forma di punizione e, inoltre, bisogna evitare che il cane trascorra troppe ore al suo interno. Il kennel non è una prigione, ma una tana dove il pet può riposare mentre i proprietari dormono o non possono controllarlo.
IL CANE NON SMETTE MAI DI IMPARARE
Anche agli animali adulti, e persino senior, si può insegnare ad usare il kennel. Il suo utilizzo potrebbe improvvisamente rivelarsi necessario per affrontare un lungo viaggio o per-
DECALOGO DEI VANTAGGI
1. Il cane non potrà rosicchiare mobili o mordere oggetti della casa;
2. non potrà sporcare durante la notte;
3. gli incidenti domestici - come l’avvelenamento da detersivi o l’ingestione di oggetti non commestibili- saranno evitati e potranno essere effettuate le pulizie in serenità;
4. una volta che il cane sarà abituato al kennel, sarà possibile affrontare qualsiasi tipo di viaggio in tutta tranquillità;
5. il pet dormirà tutta la notte, senza doversi preoccupare di fare la guardia e ciò sarà utile per il suo benessere psicofisico;
6. in caso di presenza di più cani nell’abitazione, sarà possibile somministrare i pasti direttamente all’interno del kennel. In questo modo, si potranno evitare inutili conflitti, piuttosto frequenti tra l’adolescenza e l’età adulta;
7. i l kennel potrà essere utilizzato nel momento in cui si è impegnati a cucinare o a pranzare;
8. si rivelerà utile in caso di ospiti che temono o non gradiscono la presenza del pet;
9. potrà essere utilizzato quando non è possibile supervisionare il vostro bambino;
10. sarà possibile effettuare serenamente lavori di ristrutturazione dell’abitazione anche in presenza di un cucciolo.
ché il cane manifesta particolari fobie nei confronti di persone o cose. Le tecniche sono le medesime ma i tempi di risposta sono molto più lunghi e per questo è consigliabile chiedere il supporto di un esperto.

IN QUALE STANZA DELLA CASA
Il kennel rappresenta per il pet la cuccia in cui poter riposare senza essere disturbato; un sonno ristoratore è utile per il suo benessere psicofisico. Per questo motivo è importante individuare il luogo migliore dell'abitazione in cui collocarlo. Dato che per il pet rappresenta il personale giaciglio, andrebbe posizionato in un luogo tranquillo e al riparo da rumori. Il posto migliore è sicuramente la camera da letto, dove il cane, sentendo l'odore del proprietario, dormirebbe più serenamente. Da evitare, invece, le stanze dei bambini, che potrebbero aprire lo sportello permettendo all'animale di salire sul letto.

PENSIONI, ATTENZIONE AL CEDOLINO DI GIUGNO
SCATTA IL RECUPERO DEI BONUS
Come annunciato a gennaio, l’Inps ha avviato il recupero dei contributi una tantum erogati nel 2022, con trattenute mensili sui cedolini a partire dal mese corrente
Non è la prima volta che l’Inps riconosce dei bonus, salvo poi recuperarli dopo qualche anno.
Anche se a molti pensionati questa può sembrare una brutta sorpresa, va ricordato che tutte le somme erogate in base a un requisito reddituale vengono riconosciute in via provvisoria e che l’eventuale recupero è previsto per legge una volta verificati i redditi effettivi dell’anno di riferimento.
Già con un comunicato stampa dello scorso 7 gennaio, l’Istituto aveva reso noto di aver concluso le verifiche reddituali relative ai contributi una tantum erogati in via provvisoria nel 2022. Si tratta dei bonus straordinari, pari a 200 e a 150 euro, introdotti dai decreti Aiuti e Aiuti-ter e finalizzati a contrastare l’impatto della spinta inflazionistica, e a fornire un aiuto concreto a tanti pensionati per mitigare il caro energia.
Tre anni fa, l’urgenza imposta dalla crisi energetica spinse il governo a erogare i contributi tramite l’Inps in modo automatico e nel più breve tempo pos-
sibile, disponendo il pagamento diretto dei bonus sulle pensioni di milioni di cittadini senza attendere le verifiche reddituali. Tuttavia, come stabilito dai relativi decreti, questi aiuti erano legati a precise soglie di reddito e oggi chi ha beneficiato del contributo senza averne diritto dovrà restituirlo.
Le attività di verifica e recupero sono state svolte dall’Inps sulla base dei dati delle dichiarazioni dei redditi messe a disposizione dall’Agenzia delle Entrate e relative al 2021, anno di riferimento per stabilire la legittimità dei pagamenti. In particolare, il bonus da 200 euro spettava ai pensionati con un reddito non superiore a 35.000 euro, mentre quello aggiuntivo da 150 euro era destinato a quelli con redditi fino a 20.000 euro. Chi, dalle verifiche, risulta aver superato la soglia dei 20.000 euro ma non quella dei 35.000 dovrà restituire solo 150 euro, mentre chi ha superato il limite dei 35.000 euro dovrà restituire entrambi i bonus, per un totale di 350 euro. L’Inps ha chiarito che in molti casi le somme erogate
sono risultate coerenti con i requisiti previsti dalla norma, ma che in alcune situazioni è necessario procedere al recupero dei contributi indebitamente percepiti e che le verifiche si inseriscono nell’ambito di una gestione rigorosa e trasparente delle risorse pubbliche. Per rendere meno gravosa la restituzione delle somme, il recupero avverrà in maniera rateale, con una trattenuta mensile di 50 euro proprio a partire dal rateo di giugno, fino al totale rimborso della cifra indebitamente percepita. Nel caso in cui non sia possibile effettuare la trattenuta direttamente sulla pensione, il cittadino riceverà un avviso di pagamento con le istruzioni per versare l’indebito tramite il circuito PagoPA. L’Istituto ha precisato di aver già provveduto a inviare una comunicazione di indebito ai pensionati coinvolti attraverso la piattaforma SEND (Servizio di notifiche digitali), ma di fatto i cittadini meno digitalizzati hanno potuto accorgersi della trattenuta solo una volta ricevuta la pensione di giugno che, viste le festività, è stata pagata il giorno 3. Per verificare la correttezza delle trattenute operate dall’Inps è necessario consultare la propria dichiarazione dei redditi relativa all’anno 2021, controllando in particolare l’importo dei redditi assoggettabili all’Irpef. Nel caso si ritenga che l’Istituto abbia commesso un errore, è possibile presentare ricorso, ricordando che la presentazione dell’istanza non blocca il recupero delle somme ma ne potrà generare la restituzione, se le motivazioni saranno ritenute fondate dall’Inps.
C’È TEMPO
FINO AL 30
GIUGNO per fare domanda
senza perdere gli arretrati
ASSEGNO UNICO

L’assegno unico è un sostegno economico per le famiglie con figli a carico che viene attribuito a partire dal settimo mese di gravidanza e fino al 21º anno di età e l’importo varia in base all’ISEE della famiglia e all’età dei figli a carico. A seguito dell’inflazione, sia l’importo minimo che quello massimo dell’assegno unico subiranno un incremento.
Per le domande presentate entro il 30 giugno spettano gli arretrati dal 1° marzo 2025. Per le domande presentate dal 1° luglio, l’assegno decorrerà dal mese successivo alla presentazione della domanda.
Chiama il numero unico nazionale o trova la sede a te più vicina sul nostro sito www.50epiuenasco.it
Il Patronato 50&PiùEnasco offre assistenza per l’inoltro della domanda di assegno unico e, grazie alla collaborazione con 50&PiùCaf, è a disposizione per la presentazione dell’ISEE.

MODIFICA NORMATIVA
IL CALCOLO DEGLI ACCONTI IRPEF PER IL 2025 SEGUE LE NUOVE REGOLE
Il Decreto legge n. 55 del 23 aprile 2025 interviene su eventuali incongruenze o imprecisioni nell’applicazione della normativa vigente
Come abbiamo avuto modo di esaminare con l’articolo pubblicato nella nostra rivista del mese di maggio, a seguito delle modifiche normative che hanno interessato l’Irpef sono stati evidenziati casi in cui il calcolo dell’acconto ha determinato situazioni distorsive.
Al fine di eliminare dette situazioni, è stato pubblicato il Decreto legge n. 55 del 23 aprile 2025, in vigore dal 24 aprile, che ha stabilito che, il calcolo degli acconti Irpef 2025 si baserà sul nuovo sistema impositivo, come previsto dalla Legge di Bilancio 2025. In altre parole, il governo è intervenuto in materia di acconti Irpef sancendo, di fatto, che essi si basino sul nuovo sistema impositivo, rappresentato da tre aliquote, stabilizzato dalla Legge di Bilancio 2025. In detto modo, il Decreto in esame opera un riallineamento tra le disposizioni in materia di Irpef dettate in via transitoria per il 2024 dalla norma
attuativa del primo modulo di riforma dell’Irpef (Decreto legislativo n. 216/2023) a quelle contenute nella Legge di Bilancio 2025 (Legge n. 207/2024), che hanno, come detto, stabilizzato il nuovo regime. Per comprendere maggiormente il citato intervento, occorre ripercorrere i due passaggi. L’articolo 1 del D.Lgs n. 216/2023, che fa parte del pacchetto di decreti attuativi della legge delega di riforma fiscale (Legge n. 111/2023), ha introdotto - per il solo anno d’imposta 2024 - un regime transitorio sull’Irpef che prevedeva, tra l’altro, l’accorpamento del primo e secondo scaglione per il calcolo dell’Irpef e la conseguente riduzione da quattro a tre delle aliquote per calcolare l’imposta, l’applicazione al primo scaglione così ampliato (per i redditi da 15mila a 28mila euro) dell’aliquota del 23% e l’innalzamento della detrazione per il lavoro dipendente da € 1.880 a € 1.955 (commi 1 e 2 dell’articolo 1). Il com-
ma 4 dello stesso articolo specificava tuttavia che per calcolare gli acconti dovuti per i periodi d’imposta 2024 e 2025 si assumesse, quale imposta del periodo precedente, quella che si sarebbe determinata non applicando le disposizioni dei commi 1 e 2, ossia applicando la disciplina ‘vecchia’. Successivamente, la Legge di Bilancio 2025 ha di fatto stabilizzato il regime transitorio intervenendo direttamente sul D.p.r. n. 917/1986, tuttavia non ha modificato la disposizione di interesse (il suddetto comma 4), con la conseguenza che per il calcolo degli acconti di Irpef e addizionali per il 2025 sarebbe rimasto in vigore il calcolo tramite la precedente disciplina, quindi a quattro aliquote e a detrazione di lavoro dipendente più bassa. Da qui le segnalazioni di alcuni Caf (si veda il nostro articolo del mese di maggio). In questo modo, il Decreto 55/2025 ha riallineato l’acconto per Irpef e addizionali al calcolo sulle regole nuove attraverso una correzione sul testo del Decreto n. 216/2023, che limita ora al solo calcolo dell’acconto effettuato lo scorso anno l’applicazione del vecchio regime e sancisce quindi di fatto l’applicazione del nuovo regime per il calcolo dell’acconto 2025. I contribuenti, in questo modo potranno (e dovranno) versare gli acconti Irpef 2025 nella misura dovuta e corretta, nel rispetto delle nuove disposizioni.

La dichiarazione di successione va presentata dagli eredi entro un anno dalla data del decesso del titolare dei beni. Ti aspettiamo nei nostri uffici per aiutarti con la presentazione della dichiarazione.
50&PiùCaf, grazie all’accordo stipulato con il Patronato 50&PiùEnasco, offre inoltre assistenza per la pensione di reversibilità.
Chiama il numero unico nazionale o trova la sede a te più vicina sul nostro sito www.50epiucaf.it
Turismo

CROCIERA SUL NILO E CAIRO
dall’8 al 15 dicembre 2025 (7 notti/8 giorni)


1° GIORNO Italia - Luxor. Partenza con volo per Luxor e sistemazione a bordo della motonave.
2° GIORNO Luxor - Esna. Visita dei Templi di Karnak e Luxor, centri culturali e religiosi dell’antica Tebe, dei Colossi di Memnone, la Valle dei Re e delle Regine e dello scenografico Tempio della Regina Hatshepsut.
3° GIORNO Edfu - Kom Ombo. Navigando sul Nilo giungiamo al suggestivo Tempio di Edfu edificato sulle sponde del fiume, ai Templi di Kom Ombo, Sobek ed Haroeris. Serata con Galabya Party.
4° GIORNO Aswan - escursione Abu Simbel (280 km) - Il Cairo. Tempo a disposizione oppure escursione facoltativa al tempio di Abu Simbel patrimonio Unesco, scavato nella roccia e sepolto dalla sabbia per millenni è stato spostato con l’aiuto di architetti e marmisti italiani.
5° GIORNO Aswan. Visita della Grande Diga di Assuan, del Tempio di Philae luogo sacro di Osiride. Trasferimento in aeroporto e partenza per il Cairo.
6° GIORNO Il Cairo. Visita dell’Altopiano di Giza “protetta” dalla Sfinge: le Piramidi di Cheope, Chefren e Micerino. Proseguimento della visita a Memphis e Saqqara.
7° GIORNO Il Cairo. Visita del Nuovo Museo Egizio GEM, la parte musulmana della città, la cittadella con la moschea e il Bazaar.
8° GIORNO Il Cairo - Italia. Trasferimento in aeroporto e volo di rientro in Italia.
La crociera sul Nilo permette di navigare lentamente tra paesaggi sospesi nel tempo, ammirando opere dedicate a gloriosi faraoni e dèi, come i templi di Karnak, Kom Ombo, Philae, e visitando alcune tombe della Valle dei Re e delle Regine. La vivace capitale Cairo e il nuovo Museo Egizio emozionano per l’esperienza di storia e cultura mentre le Piramidi, protette dalla Sfinge, incantano con la loro magia. Imperdibile è l’escursione al tempio di Abu Simbel scolpito nella roccia e dedicato a Ramses II, salvato dalle acque e ricollocato da maestranze italiane. Abu Simbel, però, è anche l’emblema dell’Antico Egitto che appare al cinema, trasportandoci in sofisticate e misteriose atmosfere da Agata Christie.
QUOTA INDIVIDUALE DI PARTECIPAZIONE (in camera doppia)
M/N categoria 5 stelle
Minimo 25 partecipanti
Minimo 20 partecipanti
Supplemento camera singola
Le quote di soggiorno sopra riportate sono riservate ai soci 50&Più Associazione
LA QUOTA COMPRENDE: Voli da Roma e Milano a Luxor e ritorno dal Cairo • Volo interno • 7 pernottamenti: 4 su Motonave 5*, 3 in Hotel 5* al Cairo • Trattamento di pensione completa • Bevande ai pasti (1/2 acqua + ¼ vino o bibita) • Guida/accompagnatore locale durante il tour • Trasferimenti in bus privato • Facchinaggio in nave e hotel • Ingressi come da programma • Assicurazione medico/ bagaglio base • Auricolari • Accompagnatrice 50&Più
LA QUOTA NON COMPRENDE: Visto da pagare all’arrivo € 29/30 per persona • Supplemento volo partenza da Bari € 290 • Tasse aeroportuali € 310 (da riconfermare) • Escursione facoltativa ad Abu Simbel € 180 (minimo 15 partecipanti) • Assicurazione annullamento € 120 in doppia ed € 130 in singola, per persona • Mance obbligatorie da regolare sul posto € 70 per persona • Extra di carattere personale e tutto quanto non menzionato ne “La quota comprende”.

VIETNAM
L’ESSENZA DEL PAESE
dal 3 al 12 novembre 2025 (9 notti/10 giorni)
L’itinerario di viaggio ha inizio nel Nord, con la visita alla capitale Hanoi e alla suggestiva baia di Halong; prosegue nella regione centrale con soste alla cittadina mercantile di Hoi An e alla cittadella imperiale di Hue; il tour raggiunge infine il Sud del paese, passando per Saigon, megalopoli con inconfondibili grattacieli, per terminare con l’esplorazione del delta fluviale del Mekong.
1° GIORNO Partenza con volo dall’Italia.
2° GIORNO Hanoi. Visita di Hanoi, metropoli che conserva un’impronta coloniale: la pagoda Chùa Trấn Quốc, il mausoleo di Ho Chi Minh, il Tempio della Letteratura. Infine suggestivo giro in risciò attraverso il Quartiere Vecchio con vivaci stradine ricche di locali, ristoranti e bancarelle di street food.
3° GIORNO Hanoi - Ninh Binh. Ninh Binh si presenta come impenetrabile grazie alla muraglia di roccia calcarea e vegetazione lussureggiante. Tappa ai templi dei re Dinh e Le, eretti nel cuore della foresta. Nel pomeriggio, navigazione a bordo di un sampan a remi alle grotte di Tam Coc (le “tre lagune”).
4° GIORNO Ninh Binh - Baia di Halong. Imbarco su una confortevole motonave per la crociera alla scoperta della baia: con i suoi innumerevoli faraglioni rocciosi offre uno dei più spettacolari paesaggi del Vietnam. Pernottamento in cabina a bordo della giunca.
5° GIORNO Baia di Halong - Hanoi - Hoi An. Proseguimento in direzione di Hanoi. Lungo il percorso, sosta a Yen Duc, dove si assisterà a uno spettacolo di marionette sull’acqua ispirato alla vita dei contadini. Volo per Da Nang.
6° GIORNO Hoi An. Esplorazione della cittadina di Hoi An, tra antiche casette, templi e sosta presso una tea-house. Ci inoltreremo poi fino al villaggio di Tra Que, rinomato per le erbe aromatiche. Lo chef locale insegnerà a cucinare i tam huu, una specie di involtini di maiale con erbe e gamberetti. Pomeriggio a disposizione per relax e shopping a Hoi An.
7° GIORNO Hoi An - Hue. Giornata dedicata alla visita di Hue, con tappa alla maestosa Cittadella Imperiale, eretta sulle rive del fiume. Visita alla pagoda Thien Mu, detta “della signora celeste”.
8° GIORNO Hue - volo per Saigon/Ho Chi Minh City. Hue ospita numerosi mausolei degli imperatori, veri capolavori architettonici. Al termine della visita, partenza per Saigon. Passeggiata guidata alla scoperta del Palazzo del Municipio, Teatro dell’Opera, Cattedrale di Notre-Dame e Ufficio Postale Centrale. Il quartiere ospita diversi hotel famosi che contribuiscono a creare un’atmosfera di splendore passato e di modernità che caratterizza la Saigon attuale.
9° GIORNO Saigon - escursione nel delta del Mekong - volo di rientro. Partenza alla scoperta del Delta del Mekong dove viene prodotta una grande varietà di prodotti agricoli: riso, cocco, verdure, frutta tropicale. A seguire, arrivo a Ben Tre, località conosciuta per la produzione delle noci di cocco. Tappa in un laboratorio per imparare a preparare dolci al cocco. In serata, volo per l’Italia.
10° GIORNO Arrivo a Roma.
QUOTA INDIVIDUALE DI PARTECIPAZIONE (minimo 15 partecipanti)
In camera doppia
Supplemento camera singola
Tasse aeroportuali
€ 2.900
€ 610
€ 400
Le quote di soggiorno sopra riportate sono riservate ai soci 50&Più Associazione
LA QUOTA COMPRENDE: Volo di linea da Roma • Sistemazione in Hotel 4 stelle locali • Trattamento di pensione completa (bevande escluse) • Trasferimenti con mezzo privato • Visite guidate come da programma • Crociera di una giornata nella baia di Halong • Guida locale parlante italiano • Accompagnatore 50&Più dall’Italia • Spettacolo di marionette sull’acqua • Assicurazione medico-bagaglio e annullamento.
LA QUOTA NON COMPRENDE: Tasse aeroportuali ed eventuali tasse locali • Bevande e pasti non previsti • Mance, extra, facchinaggio e tutto quanto non specificato alla voce “La quota comprende”.
Per maggiori informazioni e prenotazioni contattare: mail: infoturismo@50epiu.it - tel. 06.6871108/369 oppure la sede provinciale 50&Più di appartenenza (Aut. Reg. 388/87)
Turismo

GIUBILEO 2025
PELLEGRINAGGI DI SPERANZA
Durante l'Anno Santo, proponiamo in collaborazione con l’Opera Romana Pellegrinaggi, servizi di accoglienza e guida in grado di combinare l’esperienza di fede con la scoperta del patrimonio culturale, storico, archeologico e artistico che solo la città di Roma è in grado di offrire. Il percorso, vi porterà sulle orme di San Pietro nella sua Basilica e di San Paolo nel luogo del suo martirio, nel Laterano, nel Santuario della Vergine della Rivelazione e in alcune chiese giubilari nel cuore di Roma, per vivere con fede anche il passaggio della Porta Santa.
PROGRAMMA
1° GIORNO Arrivo a Roma ed incontro con l’assistente pastorale alle ore 14:00 presso Casa Bonus Pastor. Il pomeriggio è dedicato alla visita della Chiesa del Martirio di San Paolo all’interno del Complesso Abbaziale delle Tre Fontane ed al Santuario della Vergine della Rivelazione. Cena e pernottamento nella struttura.
2° GIORNO Prima colazione. Trasferimento con i mezzi pubblici per la visita delle Chiese Giubilari (San Salvatore in Lauro, Santa Caterina da Siena, San Paolo alla Regola). Pranzo libero. Nel pomeriggio trasferimento a piedi alla Cattedrale di San Giovanni in Laterano. Visita guidata del complesso Lateranense, del Chiostro medioevale, degli Appartamenti Papali. Passaggio della Porta Santa. Rientro in struttura con i mezzi pubblici. Cena e pernottamento.
3° GIORNO Prima colazione. La mattina sarà dedicata alle attività giubilari nella Basilica di San Pietro. In base all’orario di partenza, pranzo libero. Trasferimenti con i mezzi pubblici alla stazione ferroviaria o aeroporto. Fine dei servizi.
NB: L'ordine delle visite può subire variazioni, pur mantenendo inalterato il contenuto delle stesse.

DATE 2025
� 27/29 GIUGNO
� 19/21 SETTEMBRE
� 17/19 OTTOBRE
� 31 OTTOBRE/2 NOVEMBRE
� 14/16 NOVEMBRE
� 7/9 DICEMBRE
IN COLLABORAZIONE CON


QUOTA INDIVIDUALE DI PARTECIPAZIONE (minimo 10 partecipanti)
In camera doppia € 325
Supplemento camera singola € 70 (limitatissime)
Le quote di soggiorno sopra riportate sono riservate ai soci 50&Più Associazione
LA QUOTA COMPRENDE: Trasferimenti da/per la visita al Complesso abbaziale delle Tre Fontane, come indicato nel programma • Sistemazione in camere a due letti con servizi privati presso Casa Bonus Pastor o similare • Trattamento di mezza pensione dalla cena del primo giorno alla prima colazione dell’ultimo giorno (bevande incluse ½ acqua ed ¼ di vino) • Ingressi Complesso Lateranense • Auricolari per la visita al complesso Lateranense (Basilica, Chiostro, Palazzo Lateranense) • Ticket mezzi pubblici 24H (da utilizzare il 2° giorno) • Kit del pellegrino • Assistenza di accompagnatore pastorale • Assicurazione: Assistenza e spese mediche in viaggio, Bagaglio, Annullamento viaggio, Interruzione viaggio, Cover stay
L A QUOTA NON COMPRENDE: Trasporto dalla città di residenza a Roma (Stazione ferroviaria Termini/aeroporto) • Facchinaggio • Tasse di soggiorno (se previste, da versare direttamente in albergo) • Extra in generale • Tutto quanto non espressamente indicato in programma e/o alla voce “La quota comprende”.
OLIMPIADI 50&PIÙ
Castellaneta Marina (TA)
DAL 14 AL 22 SETTEMBRE

A grande richiesta si torna in Puglia, all’ETHRA RESERVE, nella Riserva Naturale di Stornara, un’area naturalistica protetta, affacciata su una lunga e selvaggia spiaggia riservata in una splendida costa lunga 5 km, con un mare pulito e incantevole. Saremo accolti nel pregiato Resort di cui verranno utilizzate le strutture turistiche del Valentino Village (4 Stelle) e dell’EcoLodge Alborea (5 Stelle).


QUOTA INDIVIDUALE DI PARTECIPAZIONE (8 notti/9 giorni)
VALENTINO Village (4 Stelle) IN DOPPIA IN SINGOLA IN 3° LETTO
Camera Classic
Camera Premium
ECO LODGE ALBOREA (5 Stelle)
€ 750 € 970€ 600
€ 870€ 1.150€ 690
€ 975€ 1.295€ 800
Riduzioni bambino in 3°/4° letto su richiesta
Le quote di soggiorno sopra riportate sono riservate ai soci 50&Più Associazione
LA QUOTA COMPRENDE: soggiorno di 8 notti/9 giorni presso la struttura prescelta con trattamento di pensione completa (acqua minerale e vino locale) • Formula Pensione Più (come sopra descritto) • Servizio di ombrelloni e lettini in piscina e in spiaggia • Noleggio telo mare € 7 per ogni cambio (oltre a € 10 di cauzione) • Tessera club Bluserena • Divisa sportiva • Animazione diurna e serale • Assistenza in loco di personale medico H24 • Assistenza Staff 50&Più e 50&Più Turismo • Assicurazione bagaglio-sanitaria e annullamento UNIPOL SAI.
LA QUOTA NON COMPRENDE: Tutti i trasporti da e per l’Ethra Reserve • Escursioni facoltative (da prenotare e regolare in loco) • Tassa di soggiorno (da regolare in loco) • Pasti extra e tutto quanto non specificato.
GRECIA CLASSICA E LE METEORE
La culla della civiltà moderna
4 AL 10 OTTOBRE - 6 NOTTI/7 GIORNI

Tour alla scoperta del grande patrimonio culturale della Grecia, terra di miti, dèi e filosofi. Si visiteranno luoghi imperdibili come Atene, Epidauro, Micene, Olimpia, Delfi e infine le Meteore, uno degli spettacoli naturali più sorprendenti con formazioni rocciose che si innalzano maestosamente nel cuore della pianura tessalica.


QUOTA INDIVIDUALE DI PARTECIPAZIONE IN CAMERA DOPPIA
Minimo 25 partecipanti
Minimo 20 partecipanti
Supplemento camera singola
€ 1.490
€ 1.615
€ 510
Le quote di soggiorno sopra riportate sono riservate ai soci 50&Più Associazione
LA QUOTA COMPRENDE: Volo di linea da Roma ad Atene e ritorno • Trasferimenti in bus privato per il tour • Sistemazioni in hotel 4 stelle con trattamento di mezza pensione (prima colazione e cena) • Bevande a cena (1/2 di acqua e ¼ di vino) • Guida-accompagnatore locale durante il tour • Cocktail di arrivederci • Auricolari • Assicurazione medico bagaglio.
LA QUOTA NON COMPRENDE: Supplemento partenza da Napoli € 90, da Milano Linate € 70, sempre via Roma • Assicurazione annullamento € 40 • Pranzi e bevande • Tasse aeroportuali € 110 • Ingressi a musei, monumenti e siti archeologici regolabili solo sul posto (circa € 160) • Mance, Extra personale e tutto quanto non indicato.
CALDA LUMINOSA ESTATE
«Devesi essere accorto in questo mese di non fare grande uso di acqua ghiacciata, è molto meglio bere acqua fresca che non produce danno»
Almanacco Barbanera 1886
a cura di
GIUGNO
Le ciliegie portano un tocco di allegria, mentre il solstizio d’estate, con le sue giornate luminose e calde, apre ufficialmente la stagione estiva. Il cielo è sereno, il sole è alto e accompagna il lavoro nei campi e nei giardini: si raccolgono ortaggi, si annaffia e si semina. Intanto, si rinnovano antiche usanze legate a San Giovanni. È il momento giusto per cercare le erbe aromatiche da lasciare in acqua durante la notte del 24 giugno. Secondo la tradizione, l’acqua profumata assorbirà la rugiada e riceverà la benedizione del Santo. In queste giornate si colgono anche le noci ancora verdi per preparare il prelibato nocino, un liquore che si dice porti benessere a chi lo beve e anche alla Terra. È vero che con il solstizio le giornate inizieranno lentamente ad accorciarsi, ma il sole sarà così generoso da farcelo dimenticare.

IL PROFUMO DELLE FRAGOLE
Tra i frutti che quasi tutti adoriamo fin da bambini ci sono le polpose e dolci fragole, allegre e sensuali messaggere dell’arrivo dell’estate. Non è un caso se il nome, dal latino fragrare, significa “avere un buon profumo”. Ci sorprenderà poi scoprire che quel che si crede frutto, è in realtà un ingrossamento del ricettacolo del fiore, mentre i veri frutti sono i tanti semini sulla superficie. Amatissime già al tempo dei Romani per la loro fragranza, arrivarono in Francia qualche secolo dopo, anche come pianta ornamentale legata al nome del celebre giardiniere di Luigi XIV, Jean-Baptiste de La Quintinie.
IN CUCINA
Le possiamo utilizzare crude o cotte, per piatti dolci ma anche salati, come il risotto con ortica e fragole.
FANNO BENE PERCHÉ…
Cinque fragole contengono la vitamina C di un’arancia. E poi potassio, acido folico e magnesio. Hanno proprietà toniche, depurative, diuretiche, remineralizzanti e astringenti. Svolgono inoltre una benefica azione depurativa del sangue.
BUONO A SAPERSI!
● I compiti delle vacanze peseranno meno suddividendoli giornalmente con i bambini, ad esclusione di fine settimana e viaggi: un’ora al giorno basterà per stare al passo.
● Con la Luna Nuova (e poi crescente), organizziamo una cena con gli amici più cari, decorando la tavola con gelsomino e rose.
● Per eliminare la muffa sulle pareti, puliamola e usiamo un buon prodotto antimuffa prima di ritinteggiare.
● Per i segni dei bicchieri su tavoli non verniciati, strofiniamo prima con dentifricio e poi con cera d’api.
COLTIVARE CON LA LUNA
NELL’ORTO
Ancora semine con il bel tempo e la Luna crescente. In piena terra seminiamo finocchi, bietole da costa e lattughe. Completiamo i trapianti di pomodori, zucchine, bietole, melanzane, cetrioli, peperoni, basilico, peperoncini, prezzemolo, valerianella, lattughe, radicchi, spinaci, meloni e angurie. Raccogliamo le fragole e le erbe aromatiche da essiccare. Pesche, pere precoci e ciliegie sono pronte: conserviamo i piccioli, ottimi come diuretico. Con l’estate che avanza, proteggiamo l’orto da oidio, afidi e bruchi del cavolo. In Luna calante, ogni 20 giorni, vaporizziamo di sera una soluzione di bicarbonato, olio d’oliva e acqua, evitando i fiori. Raccogliamo frutta da conservare o trasformare e le noci verdi per il nocino.

IN GIARDINO
Con la Luna crescente raccogliamo i fiori di camomilla e calendula, foglie e fiori di malva, la pianta di equiseto e la lavanda. Con la Luna calante potiamo di 1/3 della lunghezza i rami del glicine, ripuliamo le aiuole dalle erbe infestanti e distribuiamo pacciamatura di corteccia di pino.
LE STAGIONI SUL BALCONE
GLI ORTAGGI
Aglio, asparagi, bietole, carote, cavolfiori, cavoli broccolo, cavoli cappuccio, cetrioli, cicorie, cipolle, fagioli, fagiolini, finocchi, lattughe, melanzane, patate, peperoni, piselli, pomodori, porri, rape, ravanelli, rucola, sedani, spinaci, valerianella e zucchine.
LA FRUTTA
Albicocche, amarene, ciliegie, fragole, lamponi, meloni, nespole, pere, le prime pesche e susine.
GLI AROMI
Basilico, cedronella, maggiorana, menta, prezzemolo, timo e valeriana.
DICE IL PROVERBIO
Sole bianco, scirocco in campo
Anche gli Apostoli ebbero un Giuda
L’estate produce e l’inverno consuma
UN ORTO SPECIALE
Se non disponiamo di un orto vero e proprio, possiamo comunque coltivare qualche piccolo ortaggio sul balcone. Ci sono delle specie che crescono con facilità anche in vaso, capaci tra l’altro di offrire ornamento.
Le fragole rifiorenti, magari a fiore rosa, fruttificano ad esempio per tutta l’estate. Oppure qualche varietà di melanzana, come quella a frutto rosso piccolo ma molto insolito, qualche piantina di pomodoro, meglio se delle varietà nane e non rampicanti, e quelle di peperoncino. Non dimentichiamo che c’è poi il tropeolo, dal fiore assai piacevole, con foglie, fiori e semi commestibili.


IL SOLE

L’1 sorge alle 05:27 e tramonta alle 20:29
Il 30 sorge alle 05:28 e tramonta alle 20:40
LA LUNA
L’1 tramonta alle 00:48 e sorge alle 10:50
Il 30 sorge alle 10:49 e tramonta alle 23:57
Luna crescente dall’1 al 10 e dal 26 al 30
Luna calante dal 12 al 24
Luna Piena l’11. Luna Nuova il 25
Il 21 solstizio d’estate, il giorno più lungo dell’anno.
È IN LIBRERIA IL QUARTO VOLUME 50&PIÙ
28 esperti raccontano i linguaggi, le esperienze e le modalità della partecipazione
Dopo il lavoro, la tecnologia e i diritti visti attraverso lo sguardo della popolazione senior, il nuovo volume della Fondazione 50&Più ETS e Fondazione Leonardo indaga il tema della partecipazione grazie anche ad una vasta ricerca demografica. Entro il 2050, il 20% della popolazione mondiale avrà più di 65 anni: un cambiamento con implicazioni ancora più profonde per la società di oggi. Tra le sfide principali ci sarà quella di garantire la partecipazione delle persone anziane nel lavoro, nella vita sociale, culturale, politica e nel volontariato. Partecipare, infatti, non solo contribuisce al benessere, ma riduce solitudine ed emarginazione, elimina le disuguaglianze, promuove la collaborazione tra persone e comunità. Ventotto esperti indagano ambienti, soggetti, comunità, linguaggi, esperienze e modalità che possono facilitarla. Il risultato è un’opera di 468 pagine che rimette al centro il tema dell’associazionismo come momento di passaggio dal coinvolgimento alla partecipazione.

È possibile acquistare il volume Partecipazione, fondamento per il benessere e la coesione sociale presso le migliori librerie oppure ordinarlo su www.mulino.it, collana “Percorsi”.
Intervista Artificiale a
GAVRILO PRINCIP «ECCO PERCHÉ HO SPARATO
A FRANCESCO FERDINANDO»
Dialoghi ‘impossibili’ con i più grandi personaggi
della storia, realizzati attraverso sistemi di intelligenza artificiale
Definisca sé stesso, prima di essere definito dalla storia. Chi era Gavrilo Princip prima del 28 giugno 1914?
Le risponderò con sincerità. Sono nato a Obljaj, in Bosnia, figlio di un postino e della miseria. Camminavo chilometri per studiare a Sarajevo, poi a Belgrado, dove i libri e la politica mi accesero il sangue. Mangiavo poco, dormivo a terra: volevo temprarmi. Non cercavo potere, ma riscatto. E giustizia per i miei fratelli slavi.
È vera dunque la leggenda che lei dormisse per terra per sembrare più ‘eroico’?
Assolutamente vero. Dormivo sul pavimento anche d’inverno ma non per vanità, quanto per disciplina. Credevo che il corpo dovesse seguire lo spirito nel sacrificio. Volevo essere pronto, temprato come
l’acciaio. Perché chi desidera cambiare il mondo non può essere molle. Quali libri, pensatori o movimenti hanno maggiormente influenzato le sue convinzioni rivoluzionarie?
Leggevo principalmente Garibaldi e i nazionalisti serbi. Ma anche Nietzsche, che per certi versi mi parlava di un destino superiore. Ah, e l’opera di Mazzini, sì, che ha forgiato il pensiero di tanti giovani come me. La lotta per la libertà, la dignità del popolo: questo era il nostro cammino.
ma ciò che incarnava.
Sapeva che stava per dare fuoco all’Europa?
Sapevo che il mio gesto avrebbe avuto conseguenze, ma non immaginavo una guerra mondiale. Credevo, speravo, che l’attentato avrebbe acceso una scintilla, che avrebbe spinto i popoli a lottare per la propria indipendenza. Non cercavo la distruzione totale, ma una risposta all’oppressione. Non avevo chiaro l’orrore che sarebbe seguito.
È pentito del suo gesto?
Del gesto, no, ma nel silenzio delle mura del carcere molte volte ho riflettuto su ciò che è seguito. Se avessi potuto scegliere un altro cammino, forse avrei cercato una via diversa. Ma la nostra terra era oppressa da secoli e il nostro popolo… (si ferma qualche istante). Se la guerra mondiale che è seguita è stato il prezzo di quella scintilla, mi chiedo se avrei potuto trovare un altro modo, un’altra via.
Cosa ha provato nell’esatto momento in cui ha sparato?
Arriviamo subito al sodo: l’attentato all’arciduca Francesco Ferdinando. Perché proprio lui?
Perché rappresentava l’Impero che ci opprimeva. Anche se parlava di riforme, restava simbolo di un potere che negava ai serbi dignità e libertà. La sua morte doveva scuotere l’Europa, mostrare che anche i piccoli possono colpire i grandi. Non l’uomo,

In quell’istante tutto si fermò: il rumore, il tempo, il mondo. Sentii solo il cuore battere come un tamburo. Non odio, non esaltazione, ma una calma terribile, come se il mio destino mi avesse finalmente raggiunto. Era un gesto già deciso, come scritto da tempo in me. Se potesse parlare al Gavrilo di quel momento, gli direbbe “Premi il grilletto” o “va via”?
Gli direi: “Cammina via, se credi che ci sia ancora speranza altrove. Ma se nel cuore senti che nessuno ci ascolterà mai, allora sì, premi il grilletto”. Sembrerebbe una risposta un po’ evasiva.
Ha ragione. Allora rispondo senza maschere: gli direi di premere il grilletto. Perché allora credevo davvero che fosse l’unico modo. E anche se avevo fame di giustizia e non di sangue, ero pronto a morire, e far morire, per un’idea più grande di me. E quel Gavrilo, oggi, lo capisco.
Le sedi 50&Più provinciali
Abruzzo Telefono
L’Aquila - viale Corrado IV, 40/F - 50epiu.aq@50epiu.it 0862204226
Chieti - via F. Salomone, 67 - 50epiu.ch@50epiu.it 087164657
Pescara - via Aldo Moro, 1/3 - 50epiu.pe@50epiu.it 0854313623
Teramo - corso De Michetti, 2 - 50epiu.te@50epiu.it 0861252057
Basilicata Telefono
Matera - via Don Luigi Sturzo, 16/2 - 50epiu.mt@50epiu.it 0835385714
Potenza - via Centomani, 11 - 50epiu.pz@50epiu.it 097122201
Calabria Telefono
Cosenza - viale degli Alimena, 5 - 50epiu.cs@50epiu.it 098422041
Catanzaro - via Milano, 9 - 50epiu.cz@50epiu.it 0961720352
Crotone - via Regina Margherita, 28 - 50epiu.kr@50epiu.it 096221794
Reggio Calabria - via Tenente Panella, 20 - 50epiu.rc@50epiu.it 0965891543
Vibo Valentia - via Spogliatore snc - 50epiu.vv@50epiu.it 096343485
Campania Telefono
Avellino - via Salvatore De Renzi, 28 - 50epiu.av@50epiu.it 082538549
Benevento - via delle Puglie, 28 - 50epiu.bn@50epiu.it 0824313555
Caserta - via Roma, 90 - 50epiu.ce@50epiu.it 0823326453
Napoli - via Cervantes, 55 int. 14 - 50epiu.na@50epiu.it 0812514037
Salerno - via Zammarelli, 12 - 50epiu.sa@50epiu.it 089227600
Emilia Romagna
Telefono
Bologna - via Tiarini, 22/m - 50epiu.bo@50epiu.it 0514150680
Forlì - piazzale della Vittoria, 23 - 50epiu.fo@50epiu.it 054324118
Ferrara - via Girolamo Baruffaldi, 14/18 - 50epiu.fe@50epiu.it 0532234211
Modena - via Begarelli, 31 - 50epiu.mo@50epiu.it 0597364203
Piacenza - strada Bobbiese, 2 - c/o Unione Comm.ti 50epiu.pc@50epiu.it 0523461831
Parma - via Abbeveratoia, 61/A - 50epiu.pr@50epiu.it 0521944278
Ravenna - via di Roma, 104 - 50epiu.ra@50epiu.it 0544515707
Reggio Emilia - viale Timavo, 43 - 50epiu.re@50epiu.it 0522708565
Rimini - viale Italia, 9/11 - 50epiu.rn@50epiu.it 0541743202
Friuli Venezia Giulia Telefono
Gorizia - via Vittorio Locchi, 22 - 50epiu.go@50epiu.it 048132325
Pordenone - piazzale dei Mutilati, 6 - 50epiu.pn@50epiu.it 0434549462
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Udine - viale Duodo, 5 - 50epiu.ud@50epiu.it 04321850037
Lazio Telefono
Frosinone - via Moro, 481 - 50epiu.fr@50epiu.it 0775855273
Latina - via dei Volsini, 60 - 50epiu.lt@50epiu.it 0773611108
Rieti - largo Cairoli, 4 - 50epiu.ri@50epiu.it 0746483612
Roma - piazza Cavour, 25 - 50epiu.rm@50epiu.it 0668891796
Viterbo - via Belluno, 39/G - 50epiu.vt@50epiu.it 0761341718
Liguria Telefono
Genova - via XX Settembre, 40/5 - 50epiu.ge@50epiu.it 010543042
Imperia - via G. F. De Marchi, 81 - 50epiu.im@50epiu.it 0183275334
La Spezia - via del Torretto, 57/1 - 50epiu.sp@50epiu.it 0187731142
Savona - corso A. Ricci - Torre Vespucci, 14 50epiu.sv@50epiu.it 019853582
Lombardia Telefono
Bergamo - via Borgo Palazzo, 133 - 50epiu.bg@50epiu.it 0354120126
Brescia - via Trento, 15/R - 50epiu.bs@50epiu.it 0303771785
Como - via Bellini, 14 - 50epiu.co@50epiu.it 031265361
Cremona - via Alessandro Manzoni, 2 - 50epiu.cr@50epiu.it 037225745
Lecco - piazza Giuseppe Garibaldi, 4 - 50epiu.lc@50epiu.it 0341287279
Lodi - viale Savoia, 7 - 50epiu.lo@50epiu.it 0371432575
Mantova - via Valsesia, 46 - 50epiu.mn@50epiu.it 0376288505
Milano - corso Venezia, 47 - 50epiu.mi@50epiu.it 0276013399
Pavia - via Ticinello, 22 - 50epiu.pv@50epiu.it 038228411
Sondrio - via del Vecchio Macello, 4/C - 50epiu.so@50epiu.it 0342533311
Varese - via Valle Venosta, 4 - 50epiu.va@50epiu.it 0332342280
Marche Telefono
Ancona - via Alcide De Gasperi, 31 - 50epiu.an@50epiu.it 0712075009
Ascoli Piceno - viale V. E. Orlando, 16 - 50epiu.ap@50epiu.it 0736051102
Macerata - via Maffeo Pantaleoni, 48a - 50epiu.mc@50epiu.it 0733261393
Pesaro - strada delle Marche, 58 - 50epiu.pu@50epiu.it 0721698224/5
Molise Telefono
Campobasso - via Giuseppe Garibaldi, 48 - 50epiu.cb@50epiu.it 0874483194
Isernia - via XXIV Maggio, 331 - 50epiu.is@50epiu.it 0865411713
Piemonte
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Alessandria - via Trotti, 46 - 50epiu.al@50epiu.it 0131260380
Asti - corso Felice Cavallotti, 37 - 50epiu.at@50epiu.it 0141353494
Biella - via Trieste, 15 - 50epiu.bi@50epiu.it 01530789
Cuneo - via Avogadro, 32 - 50epiu.cn@50epiu.it 0171604198
Novara - via Giovanni Battista Paletta, 1 - 50epiu.no@50epiu.it 032130232
Torino - via Andrea Massena, 18 - 50epiu.to@50epiu.it 011533806
Verbania - via Roma, 29 - 50epiu.vb@50epiu.it 032352350
Vercelli - via Duchessa Jolanda, 26 - 50epiu.vc@50epiu.it 0161215344
Puglia
Telefono
Bari - piazza Aldo Moro, 28 - 50epiu.ba@50epiu.it 0805240342
Brindisi - via Appia, 159/B - 50epiu.br@50epiu.it 0831524187
Foggia - via Luigi Miranda, 8 - 50epiu.fg@50epiu.it 0881723151
Lecce - via Cicolella, 3 - 50epiu.le@50epiu.it 0832343923
Taranto - via Giacomo Lacaita, 5 - 50epiu.ta@50epiu.it 0997796444
Sardegna Telefono
Cagliari - via Santa Gilla, 6 - 50epiu.ca@50epiu.it 070280251
Nuoro - galleria Emanuela Loi, 8 - 50epiu.nu@50epiu.it 0784232804
Oristano - via Sebastiano Mele, 7/G - 50epiu.or@50epiu.it 078373612
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Agrigento - via Imera, 223/C - 50epiu.ag@50epiu.it 0922595682
Caltanissetta - via Messina, 84 - 50epiu.cl@50epiu.it 0934575798
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Messina - via Santa Maria Alemanna, 5 - 50epiu.me@50epiu.it 090673914
Palermo - via Emerico Amari, 11 - 50epiu.pa@50epiu.it 091334920
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Arezzo - via XXV Aprile, 12 - 50epiu.ar@50epiu.it 0575354292
Carrara - via Don Minzoni, 20/A - 50epiu.ms@50epiu.it 058570973
Firenze - via Costantino Nigra, 23-25 - 50epiu.fi@50epiu.it 055664795
Grosseto - via Tevere, 5/7/9 - 50epiu.gr@50epiu.it 0564410703
Livorno - via Serristori, 15 - 50epiu.li@50epiu.it 0586898276
Lucca - via Fillungo, 121 - c/o Confcommercio
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Pisa - via Chiassatello, 67 - 50epiu.pi@50epiu.it 05025196
Prato - via San Jacopo, 20-22-24 - 50epiu.po@50epiu.it 057423896
Pistoia - viale Adua, 128 - 50epiu.pt@50epiu.it 0573991500
Siena - via del Giglio, 10-12-14 - 50epiu.si@50epiu.it 0577283914
Trentino Alto Adige
Telefono
Bolzano - Mitterweg - via di Mezzo ai Piani, 5 50epiu.bz@50epiu.it 0471978032
Trento - via Solteri, 78 - 50epiu.tn@50epiu.it 0461880408
Umbria Telefono
Perugia - via Settevalli, 320 - 50epiu.pg@50epiu.it 0755067178
Terni - via Aristide Gabelli, 14/16/18 - 50epiu.tr@50epiu.it 0744390152
Valle d’Aosta
Telefono
Aosta - piazza Arco d’Augusto, 10 - 50epiu.ao@50epiu.it 016545981
Veneto Telefono
Belluno - piazza Martiri, 16 - 50epiu.bl@50epiu.it 0437215264
Padova - via degli Zabarella, 40/42 - 50epiu.pd@50epiu.it 049655130
Rovigo - viale del Lavoro, 4 - 50epiu.ro@50epiu.it 0425404267
Treviso - via Sebastiano Venier, 55 - 50epiu.tv@50epiu.it 042256481
Venezia Mestre - viale Ancona, 9 - 50epiu.ve@50epiu.it 0415316355
Vicenza - via Luigi Faccio, 38 - 50epiu.vi@50epiu.it 0444964300
Verona - via Sommacampagna, 63/H Sc.B - 50epiu.vr@50epiu.it 045953502
Le sedi 50&Più estere
Argentina
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Fort Lauderdale 001 9546300086

BAZAR
a cura del Osservatorio 50&Più
SALUTE
UNA DIETA SANA
NON È UGUALE PER TUTTI
Non esiste un’unica “dieta per invecchiare bene”, ma diversi approcci sani. È quanto emerge da uno studio trentennale condotto su oltre 105mila adulti che ha identificato 8 regimi alimentari legati a un invecchiamento sano. La ricerca, pubblicata su Nature Medicine, ha analizzato l’adesione a diverse diete, evidenziando come un’alimentazione ricca di vegetali, con moderato apporto di cibi animali sani e pochi ultra-processati, aumenti le probabilità di invecchiare bene. Le 8 diete concordano su frutta, verdura, cereali integrali, grassi insaturi, frutta secca e legumi. Alcune includono anche pesce e latticini.
AGEVOLAZIONI
OVER 75 E BONUS BOLLETTE
La Legge sulla Concorrenza ha introdotto il bonus bollette destinato a over 75, disabili e persone svantaggiate. Si tratta di un aiuto dedicato a quei consumatori domestici considerati ‘vulnerabili’ ed è stato confermato fino al 31 marzo 2027 dal Decreto Bollette 2025 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. In sintesi, questa misura amplia i diritti di accesso al Servizio a tutele graduali per il pagamento delle bollette, garantendo un risparmio fino a 113 euro all’anno a questa tipologia di clienti. Per ottenerlo è necessario presentare domanda al proprio fornitore di energia entro il 30 giugno 2025.
Informazioni, curiosità, notizie utili, luogo d’incontro e di scambio Inviate segnalazioni e quesiti a: osservatorio@50epiu.it
POLITICA
GLI ANZIANI
DI CONCAMARISE
Nel veronese il comune di Concamarise conta 1.050 abitanti. Il 50% di questi è over 65. Per questo si è pensato di creare un “assessorato alla Terza età”. A dirigerlo, il vicesindaco 64enne Antonio Zaupa, pensionato anche lui ma reperibile h24 per gli anziani del posto. Oltre a promuovere la socialità, a Concamarise si spinge molto sulla digitalizzazione nonché sulle attività quotidiane di stimolazione neurocognitiva. Attraverso i fondi Pnrr si mira quindi a promuovere l’autonomia degli anziani, a creare un luogo age-friendly per tutti quei senior che desiderano ancora vivere la contemporaneità senza essere esclusi.
FILM
JULES
di Marc Turtletaub con B. Kingsley, Z. Winters, etc. Drammatico, Usa, 2023, 90 minuti Milton è un anziano solitario sul cui giardino precipita un’astronave. Da questa esce un alieno blu che, dopo attimi di paura, viene accolto dall’uomo. Sembra un film dall’epilogo scontato, ma Jules (come viene battezzato l’alieno) è un racconto profondo sui temi della vecchiaia, della solitudine e della paura della morte. Milton e le sue amiche Sandy e Joyce, infatti, sono i classici personaggi abbandonati, con una storia difficile e un bagaglio di esperienze che solo un alieno dallo sguardo comprensivo può aiutare ad accettare.
LIBRO
LA VITA S’IMPARA di Corrado Augias
Einaudi, 2024, pp. 296
Giunto a novant’anni, Corrado Augias, maestro nel raccontare storia, musica e fede, ha deciso di narrare la sua avventura personale. Con talento narrativo unico, nelle pagine di questo libro dipinge l’infanzia trascorsa in Libia, il ritorno a Roma, l’ombra dell’occupazione nazista, il collegio, gli esordi nel mondo del giornalismo, Telefono giallo e la Repubblica. Il risultato, alla fine, è un racconto vivo e caldo, proprio come una chiacchiera tra vecchi e cari amici: «La vita - afferma Augias - si apprende coltivando curiosità e passione civile». Un consiglio che nasconde una profonda verità ed esperienza.
PODCAST
LE NOSTRE VITE
Quali parole potremmo ascoltare in un incontro di giovani e anziani con il solo scopo di raccontarsi l’un l’altro? Le troveremmo certamente nella miniserie podcast “Le nostre vite”, progetto del Corriere della Sera. Tre puntate di circa 30 minuti l’una, in cui tre ventenni si confrontano con altrettanti novantenni. Dal senso della vita al valore delle relazioni, dalle differenze tra la vita di ieri e quella di oggi all’amore, dalla libertà all’emancipazione della donna. Sullo sfondo, la nascita di un dialogo profondo tra persone all’apparenza sconosciute, ma che condividono molto più di quanto si possa immaginare.














































