Impronte invisibili - Estratto

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Teresa Bruno

IMPRONTE IN V ISIBILI INVISIBILI

Romanzo

PAOLINE Editoriale Libri

© FIGLIE DI SAN PAOLO, 2025

Via Francesco Albani, 21 - 20149 Milano www.paoline.it • www.paolinestore.it edlibri.mi@paoline.it

Distribuzione: Diffusione San Paolo s.r.l. Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (MI)

ISBN 978-88-315-5811-2

La triste verità è che molto del male viene compiuto da persone che non si decidono mai a essere buone o cattive.

I Sara Herman

Mentre attraversa piazza della Signoria, una folata di vento freddo la avvolge dentro un ricordo nitido della sua adolescenza. Il treno che entra nella valle, le montagne, l’orizzonte conosciuto, la luce cristallina. La casa di pietra e legno, silenziosa e profumata di fuoco acceso, accanto alla piccola stazione senza treni. La sua impazienza, piena di soggezione, di rivedere il vecchio.

Con quel ricordo, torna al caffè della piazza. Il giorno prima le era piaciuto. Soprattutto non aveva quell’odore che la confondeva. Apre la porta a vetri molati, annusa l’aria calda: no, quell’odore non c’è. Può entrare. Osserva la gente e, con lo sguardo, cerca un tavolo dal quale avere un punto di osservazione del lungo bancone curvo e dell’entrata.

Il cameriere la saluta sorridendo. La ricorda, non è una donna che passa inosservata. Anche il giorno precedente lei aveva esitato per un attimo aprendo la porta. A lui era

sembrato che annusasse l’aria alzando leggermente il naso e allargando le narici. Un gesto inconsueto. Poi, entrata, si era fermata, immobile. Quell’immobilità lo aveva intimidito come se il suo sguardo vedesse qualcosa a lui invisibile. Si era sentito stranamente inquieto. Aveva pensato che dipendesse dalla strana bellezza di quel corpo lungo e teso e di quel volto tondo da bambina, dove strideva uno sguardo assente e attento allo stesso tempo. L’uomo riprova le stesse sensazioni: inquietudine e curiosità. Si aspetta che lei scelga lo stesso angolo della sala. Deve avere qualche motivo particolare per farlo. La donna incrocia il suo sguardo, sembra non vederlo, ma lo segue al tavolo dove lui la fa accomodare.

Nell’affollato caffè, Sara si sente inosservata. Solo il cameriere pare averle prestato attenzione, ma questo è il suo mestiere, non deve preoccuparsene. Torna il ricordo del vecchio, il signor Elia dagli occhi trasparenti e dai movimenti felini. Seduto davanti al camino, nodoso e immobile come un albero antico, tira fumo da una vecchia pipa, e sulla faccia, limpida e grave, l’accenno di un sorriso. Si rivede a osservarlo, in attesa dei suoi racconti: le sue mani callose e sensibili, i piedi attenti dai passi sicuri dentro gli scarponi ingrassati con cura.

Entra un uomo solo, sembra abituato a esserlo. Come avvolto di polvere, in abiti tolti poco prima da un vecchio armadio. È vestito di nero. Guarda con gli occhi socchiusi, come a proteggersi dalla luce o a tenersi distante. Le ri-

corda qualcosa o qualcuno dei suoi sogni ricorrenti. Ma ora lei non vuole pensarci. Vuole godersi quel ricordo riconquistato e la città che, alla luce del pomeriggio, ha un’aria da vecchia signora un po’ trasandata. Ama girare per le strade piene di turisti e scoprire le case torri alzando lo sguardo sopra la folla. Ha trovato una casa con un terrazzo sui tetti, all’ultimo piano di un palazzo del Trecento, in una strada stretta. Il pavimento è di cotto con strane ondulazioni, le stanze grandi e la cucina con un enorme camino. C’è ancora la vecchia tromba del pozzo, cui si accede da uno sportello di legno tarlato. La affascina, dopo anni trascorsi in una casa moderna ed essenziale di una grande città.

«Desidera altro, signora?»

La voce del cameriere la risveglia. Lei si sposta i capelli dal viso, una massa di ricci disordinati in contrasto con il resto del corpo lineare avvolto in un abito severo.

«No, grazie. Il conto, per favore».

Anche l’uomo solo sta pagando. Si alzano insieme dai rispettivi tavoli e lui apre la porta per farla passare.

«Arrivederci, dottor Frati». Il cameriere lo conosce.

Per un attimo lei ha la sensazione di ricordare qualcosa. Ci sono grossi buchi nei suoi ricordi che vanno e vengono. Ci ha fatto l’abitudine.

Uscita dal caffè, guarda l’uomo in nero allontanarsi a passi lenti, come se non avesse una direzione precisa. C’è qualcosa in lui che la incuriosisce. Lo segue. Negli ultimi

tempi fa alcune cose senza saperne il motivo. Passa molte ore nel suo studio e, una volta fuori, si muove apparentemente senza meta. In città non conosce quasi nessuno. Si gode gelosamente questo anonimato che le permette di stare nei suoi pensieri a ricostruire tasselli di ricordi perduti. Ha imparato ad amare l’ozio e la lentezza.

L’uomo va verso il tribunale. Un poliziotto all’ingresso lo saluta con deferenza. Un avvocato, un magistrato?

Avrebbe pensato a un bibliotecario avvolto nella polvere di libri e registri o a uno studioso di lingue antiche. Si sofferma a osservare la facciata barocca del tribunale, poi è attratta dal negozio di fiori sul lato opposto della strada. Entra da un grande portone, che si apre in un cortile interno, salendo alcuni gradini. Le piace quell’odore profumato. I fiori e le piante sono disposti nell’androne e nel cortile di uno splendido palazzo. Resta immobile a guardarli. Da bambina, Sara trascorreva molto tempo in giardino con sua madre. Questo lo ricorda bene. «Vedi», le diceva la mamma, «le foglioline secche vanno tolte e non si devono lasciare nella terra del vaso. La terra deve respirare…». Sara la osservava fare gesti precisi e carezzare le piante che governava con amore. Un amore che le aveva trasmesso, e curare le piante era diventato nel tempo un esercizio di calma e riflessione.

Un grande ficus dalle foglie lucide attira la sua attenzione: lo immagina accanto alle scale che portano al terrazzo della sua nuova casa.

«Le piace? Lei ha gusto». Il fioraio ha notato il suo interesse. L’uomo si muove un po’ curvo, con una folta capigliatura bianca, mani grosse e callose e piccoli occhi vigili.

«Sembra avere molti anni. Ne ho visti pochi in vaso con un tronco così grosso e tante ramificazioni», osserva la donna.

«È molto vecchio, merita un trattamento di riguardo», risponde il fioraio.

Sara ama parlare di piante e giardinaggio e si fa raccontare a lungo di potature, concimazioni e annaffiature. L’uomo sembra lusingato dall’interessamento che lei mostra. Poi si accordano per la consegna del grande ficus e si salutano con calore, come fanno due persone che condividono una passione. Sara esce dal negozio con una sensazione di serenità che non ricordava da tempo.

Gira per le strade del centro guardando le vetrine dei negozi, i turisti in gruppi compatti e lenti e gli affaccendati fiorentini a passo svelto e zigzagante in mezzo alle piccole folle. Torna verso casa quando la luce inizia a svanire. Da tempo non riesce a portare orologi. Il ticchettio e il movimento delle lancette le fanno chiudere la gola e mancare il respiro, trascinandola in un’angoscia senza nome. Finché c’è luce si muove per le strade della città, poi rientra nell’appartamento sui tetti.

Una visita inaspettata

Acasa ci sono ancora cartoni da aprire e molte cose da sistemare. Avrebbe concluso la sua giornata camminando su quel pavimento ondulato e osservando i tetti della città dal terrazzo a loggia, pieno di piante. Si sarebbe seduta sulla comoda poltrona orientale di vimini e legno, accanto al tavolo con il piano di marmo consumato e ingombro di riviste, libri, block notes, mozziconi di candele e vasi vuoti.

C’era stato un grande terrazzo a loggia anche nella sua infanzia e, per arrivarci, una lunga scala di legno chiaro e grezzo. In uno dei suoi viaggi, era tornata in quel paese per ritrovare facce conosciute. Non le aveva trovate. Solo quel terrazzo imponente sopra i tetti, ora chiuso da una rete per tenere lontani gli uccelli che andavano a nidificare sotto le travi.

Adesso, dal terrazzo della sua nuova casa, guarda le colline intorno alla città. La sua mente oscilla fra le immagi-

ni del tramonto e tracce di ricordi; le torna di nuovo alla mente il viso del vecchio Elia. Si rivede lì vicina a osservarlo aspettando le parole magiche: «Andiamo, gambe da stambecco». Ricorda i loro percorsi silenziosi in montagna, senza l’aiuto di sentieri, avvolti dalla vegetazione o deserti in mezzo alle pietre. Alla fine dell’estate, quando si salutavano, il vecchio le regalava sempre piccoli animali di legno che lui stesso intagliava davanti al camino. Durante le sere invernali Sara li teneva sul suo comodino per guardarli prima di addormentarsi nel lettone che si tramandava a tutte le ragazze della famiglia di madre in figlia.

Il signor Elia morì in un inizio d’autunno, alla fine di una vacanza.

Sara si rivede l’estate successiva tornare in tutti i loro luoghi segreti, quasi a cercarlo. Nelle orecchie la frase che lui le ripeteva: «Quando non ci sarò più e tu sarai sola, segui i sentieri, accontentati di quello che tutti gli occhi possono vedere. Non tornare quassù: potresti perderti, impaurirti, cadere. Promettimelo!».

Era passato molto tempo e ora le sembra di vedere gli occhi trasparenti del vecchio e di udire la sua voce.

Si sente intirizzita. Quanto a lungo è rimasta immobile con il bicchiere in mano? Aveva preso l’abitudine di bere un bicchiere di vino per affrontare il sopraggiungere della notte e molti altri per affrontare il sonno, spesso agitato da sogni che sembravano arrivare da un mondo parallelo, maligno e sanguinario. Scende la scala di pietra

serena, consumata e liscia. Si ritrova nella grande stanza al centro della casa.

Apre controvoglia uno dei tanti cartoni: una fotografia di sua madre scivola fuori da un album. È immobile a guardarla quando il telefono squilla. Sobbalza, ha perso la consuetudine alle telefonate. Quasi nessuno sa dove si trova. Altri squilli e la sensazione di un ricordo che sfuma.

Alza la cornetta e rimane in silenzio.

«Sono l’ispettore Nardi».

Sara riesce a rispondere solo dopo qualche secondo.

«Salve».

«Mi scusi per l’ora. Avrei bisogno di parlarle».

Si aspettava di dover ricominciare il lavoro, ma non così presto. Aveva dato, alcuni giorni prima, la sua disponibilità dopo quasi un anno di inattività. Ora prova un senso di nausea al pensiero di dover entrare di nuovo in contatto con la crudele logica del male.

«La ascolto».

«Preferirei vederla. Le dispiace se vengo da lei?»

«Fra quanto arriva?», chiede la donna.

«Sono sotto il suo portone». La sensazione di gelo e l’odore nelle narici. La stanza che si restringe e poi perde i contorni. Ricordi confusi. «È ancora lì? Mi sente?»

«Salga».

Apre il portone. Va a bagnarsi il viso. Si accende una sigaretta. Guarda dallo spioncino della porta e, quando lui bussa, apre. Lo sguardo che le rivolge l’ispettore le dà un’i-

dea di cosa abbia visto. La faccia della paura e della confusione. Bianca e tesa, con gli occhi assenti e fissi, Sara è immobile, paralizzata. L’uomo, sfiorandole il gomito, la accompagna verso un lungo divano dove sonnecchia un grosso gatto, e si siede in una poltrona di fronte a lei.

«Posso aspettare. Fra qualche minuto si riprenderà», le dice.

Sa molte cose di quella donna, ma sente di non conoscerla: è intimidito dalla sua sofferenza. Si è sentito così dalla prima volta che l’ha vista. Dopo essersi trasferita in città, Sara aveva avuto contatti con l’UACI, l’Unità di Analisi del Crimine Informatico, ed era entrata a far parte del comitato scientifico di consulenza. Nardi era stato incaricato dal suo superiore di tenere i rapporti con lei. «Già la vedo, Nardi: con la dottoressa dovrebbe trovarsi bene. Lei è un tipo sensibile e attento. Vedrà, ci sarà molto utile nelle nostre indagini, è una donna competente e geniale. Ha avuto un grave incidente, è ancora scossa, ha qualche stranezza, non ci faccia caso». Un’esperta in crimini violenti, che aveva collaborato con l’UACV, l’Unità di Analisi del Crimine Violento, ora in una specie di misteriosa convalescenza e con una nuova identità: Sara Herman. Aveva accettato di cambiare solo il cognome, il suo vero nome l’aveva tenuto. “Le si addice”, pensa Marco Nardi guardandola.

Cordelli, il suo capo, l’aveva convocato un mese prima e messo a conoscenza di informazioni riservate.

«Nardi, quello che le dico non deve uscire da questa stanza per nessun motivo. Mi fido di lei».

L’ispettore aveva saputo che la donna era stata ricoverata in coma, dopo il suo rapimento. L’avevano ritrovata legata e in fin di vita, in un appartamento del centro di Roma, grazie alle telefonate di una vecchia signora che più volte, prima di essere presa sul serio, aveva segnalato urla soffocate e lamenti provenienti dal piano di sopra, apparentemente disabitato da tempo. Dopo il ritrovamento di Sara, sui giornali era stata comunicata la sua morte. Doveva essere stata testimone di reati gravi, e chi l’aveva rapita era ancora in libertà e pericoloso, se l’avevano fatta morire sui giornali.

Nardi si guarda intorno. Nel grande soggiorno al centro della casa ci sono ancora cartoni da vuotare. “Eppure”, riflette, “è in città da più di tre mesi”. Solo la cucina e le enormi librerie, che ricoprono tutte le pareti della grande stanza centrale, sono state sistemate con cura. Anche lo studio, ordinato e funzionale, separato da una selva di piante dal resto del soggiorno, ha l’aria di essere vissuto da tempo. Gli sembra che la casa somigli alla donna, insieme impeccabile, armoniosa e con il viso come quel cartone che giace sul pavimento accanto al divano: semiaperto e pieno di cose confuse. Si sente affascinato dai colori dell’arredamento, un alternarsi di azzurri, gialli, ocra e blu che fanno sentire quello spazio animato e caldo. La cucina, collegata al soggiorno da un arco in pietra serena, è di vecchio stile.

“Ha scelto un arredamento sofisticato”, pensa Nardi, “acquistato sicuramente in quel negozio di via dei Serragli”. Si sente osservato: occhi grigi, attenti e mobili lo stanno fissando. Il viso della donna si è rilassato e sembra riconoscerlo solo ora.

«Vuole un caffè, ispettore? Ho la sensazione che dovremo parlare a lungo».

«Sarebbe il sesto caffè della giornata, forse è meglio che dica di no».

Sara lo guarda. Quell’uomo che sapeva efficiente e risoluto ha un fondo di strana timidezza. Nardi si aggiusta gli occhiali, dietro i quali si intravede uno sguardo acuto. “Occhi da felino”, pensa Sara. Aveva iniziato, negli ultimi mesi, a paragonare le persone ad animali, quasi uno sforzo per orientarsi. Uscita dal coma, si era sentita un’aliena senza punti di riferimento. Solo da poco aveva ricordi che riusciva a collocare nel tempo, come quello del pomeriggio appena passato, che le aveva dato una calda sensazione di nostalgia. Rivede il vecchio che le indica un appiglio sulla roccia bagnata e sente un senso di sicurezza, un’emozione buona finalmente, oltre il terrore senza nome che spesso la invade.

L’ispettore cambia posizione sulla poltrona, è imbarazzato dallo sguardo di Sara. Lei si accorge di essersi allontanata nei suoi pensieri troppo a lungo. Le succede spesso; ha imparato a capirlo dalle reazioni delle persone.

«Ha cenato, dottoressa?»

«No. Che ore sono?». Non riusciva ancora ad avere una sensazione precisa del trascorrere del tempo. Anche questo la faceva sentire estranea.

«Sono le otto e trenta. Posso invitarla alla trattoria qui sotto nella piazzetta? Anzi, ce ne sono due, una con cucina toscana e l’altra con cucina tirolese: può scegliere».

Una ventata di ansia e paura la irrigidisce. Essere per strada al buio le riporta alle narici quell’odore angoscioso.

«Non riesco a uscire quando è buio», dice Sara meravigliandosi. Parla a quell’uomo come se lo conoscesse da tempo.

Come al solito Cordelli aveva dato a Nardi un ordine senza metterlo a conoscenza di particolari importanti. Era questo il motivo per cui l’aveva spedito a casa della donna e non aveva convocato lei nei loro uffici. Cordelli doveva sapere molte cose riguardo alla dottoressa.

«Posso preparare qualcosa, il mio frigorifero è sempre ben fornito».

«Ho un vago ricordo di una brioche e un cappuccino che risalgono alle sette di stamane», risponde Nardi con un sorriso un po’ imbarazzato.

Sara va verso la cucina e apre il frigorifero guardandone il contenuto con aria competente. Quell’uomo la mette a suo agio, quasi facendole scoprire automatismi e spontaneità che non si conosceva. Sonnolento, il gatto tigrato con un’enorme testa si stiracchia sul divano e la raggiunge. Ha un’aria regale e sicura, come fosse lui il padrone di casa.

«Eccoti al richiamo del cibo!»

Sara mostra un sorriso aperto e complice. I due si guardano come chi conosce le abitudini dell’altro, dopo una vecchia consuetudine alla convivenza.

«Lui è Socrate», dice rivolta all’uomo.

Il gatto, con fare noncurante, si avvicina a Nardi e comincia ad annusargli le scarpe con molto interesse; poi, appagato, va verso la sua ciotola vuota, in un angolo della cucina. Sara la riempie di cibo e Socrate si posiziona lì accanto soddisfatto a osservare la donna che si affaccenda ai fornelli. Nella casa si sprigiona un caldo odore di aglio soffritto. Sara mescola in una terrina insalate, formaggi tagliati a dadini, yogurt magro, uvetta e noci. Aggiunge ogni tanto ingredienti in una padella sfrigolante. Assorta nella preparazione della cena, si muove con gesti precisi.

“Le piace cucinare”, pensa Nardi osservando le pareti tappezzate di libri. Vede le numerose pubblicazioni della donna. Cordelli lo aveva informato che la dottoressa era stata consulente dell’Unità di Analisi del Crimine Informatico, che aveva anche collaborato con l’Unità di Analisi del Crimine Violento a Roma e con la Sezione Minori presso la Direzione Centrale della Polizia Criminale. Circa un mese prima, il capo gli aveva «suggerito» di leggere alcune sue pubblicazioni.

«Nardi, in ufficio da me!», gli aveva urlato nella cornetta del telefono interno. E lui, entrato, si era trovato di fronte, sulla scrivania di Cordelli, una pila di libri. Il capo ave-

va sfoderato il suo sorriso sornione di quando aveva in mente un piano, e Nardi aveva capito che stava lavorando a qualcosa. Prima o poi gliene avrebbe parlato. Fra i libri e alcune ricerche non pubblicate, molti portavano la firma di Sara. Levin era il suo vero cognome. Leggendo, Nardi aveva scoperto che la donna aveva fatto parte di un progetto di ricerca finalizzato a individuare un profilo criminologico dal modus operandi di persone denunciate per pedofilia online. Insieme alla Polizia Postale aveva studiato più di mille soggetti durante il crimine, cioè mentre operavano online nel loro tentativo di adescamento. Erano stati usati agenti sotto copertura che si fingevano pedofili o bambini nelle chat. La ricerca aveva fornito importanti informazioni sulle strategie di approccio, le ore in cui più frequentemente avvenivano i collegamenti, le chat più utilizzate, il luogo da cui i soggetti si connettevano.

Indice

I. Sara Herman pag. 7

II. Una visita inaspettata » 13

III. La cena » 23

IV. L’indagine » 31

V. Nardi torna a casa » 41

VI. Ricordi » 45

VII. La stanza del capo » 49

VIII. Cordelli e le missioni impossibili » 53

IX. La dottoressa Sereni » 57

X. Il rapporto inglese » 61

XI. Nardi raccoglie informazioni » 69

XII. Il sostituto procuratore Frati » 75

XIII. La creatività di Cordelli » 79

XIV. Panico » 83

XV. Andare avanti » 89

XVI. Colazione a tre » 91

XVII. I ricordi buoni » 95

XVIII. La convivenza pag. 99

XIX. Al lavoro » 103

XX. Damian » 105

XXI. Francesca » 113

XXII. La rete » 115

XXIII. Elena » 119

XXIV. Inizia la caccia » 123

XXV. Nardi al Centro Sicuro » 127

XXVI. Il fiuto di Cordelli » 129

XXVII. La tristezza e la rabbia » 131

XXVIII. Il biondo » 135

XXIX. La fratellanza » 141

XXX. Il ritrovamento di Risaliti » 145

XXXI. Landi sorvegliato » 153

XXXII. Bettina Innocenti » 159

XXXIII. Sara e Jo Hacker » 161

XXXIV. A rapporto da Frati » 163

XXXV. Nardi dalla signora Graziani » 169

XXXVI. Locascio e lo sfasciacarrozze » 175

XXXVII. Le prove » 179

XXXVIII. Sara e gli angeli custodi » 183

XXXIX. Tirare le fila » 191

XL. Emergenza » 195

XLI. Tutti a casa di Sara » 199

XLII. I nuovi arrivati » 203

XLIII. Locascio all’asta » 207

XLIV. Una morte sospetta » 211

XLV. Jacopo Altoviti pag. 215

XLVI. La svolta » 221

XLVII. La rana nell’acqua calda » 225

XLVIII. Le perquisizioni » 231

XLIX. E il Poma? » 235

LIBRI LIBERI

Nella collana trovano casa testi di differente genere, forma e confezione che fanno di valori umani e cristiani il loro riferimento e la loro forza. Narrazione, inedito e profondità dicono il tenore dei libri che la collana raccoglie.

1. Nella notte , di Inga Nalbandian, a cura di Letizia Leonardi

2. L’angelo, la mosca e l’anima , di Ferruccio Parazzoli

3. Donne di sabbia , di Laura Cappellazzo

4. Torna da me , di Valentina Barbera

5. Jaap e la collina dei sogni , di Pierpaolo Piangiolino

6. Per un’altra strada. La leggenda del Quarto Magio. Romanzo , di Mimmo Muolo

7. La trattoria del cardinale. Brevi storie di convivialità e fede , di Sabrina Vecchi

8. Nostalgia di casa. Romanzo , di Ernesto Di Fiore

9. La Casa dei Coriandoli. Romanzo , di Giorgio Comini

10. Madri e maree , di Laura Cappellazzo

11. Ho attraversato il fuoco. Ispirato a una storia vera , di Fernando Muraca

12. Un amore di nonna , di Elena Mora

13. La brigata Fiori Selvatici. Romanzo , di Laura Cappellazzo

14. Dove non canta più il cielo. Romanzo , di Luigi Mariani

16. Le tre vite di Goli. Romanzo. Ispirato a una storia vera , di Laura Cappellazzo

17. Ribellarsi alla notte. Una storia di Natale. Romanzo, di Mimmo Muolo

18. Come braci sotto la cenere. Romanzo. Ispirato a fatti realmente accaduti , di Laura Cappellazzo

19. Impronte invisibili. Romanzo , di Teresa Bruno

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