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Acenturyago it was called The Anthem of Mameli. Words by Goffredo Mameli and music by Michele Novarro (1847).

The Canzone degli Italiani was composed during the campaign aimed at liberating the kingdom of the two Sicilies, Naples and Palermo, from the Bourbons of Spain who reigned there at the time.

Giuseppe Garibaldi’s intention, with a positive outcome, was to unite Italy and deliver it to the House of Savoy. Consequently, Canzone degli Italiani, inserted in those times is very plausible. But times have slightly changed, which is why nowadays I find the Inno di Mameli out of place and outdated. Let’s explore.

BROTHERS OF ITALY: It seems strange to me to call Italians brothers when half of the Italian population hates the other half.

ITALY IS AWAKENING: I really don’t think it is. I would propose that apathy reigns supreme.

THE HELMET OF SCIPIO HAS BOUND HER HEAD: Here we refer to Publius Cornelius Scipio, also called Scipio Africanus, who defeated the Carthaginians (202 BC). We are a bit outdated.

WHERE IS VICTORY? VICTORY WILL BOW HER HEAD: This is an invocation to the Roman goddess Victoria to crown the liberator of Italy in Rome. Unfortunately, the Roman goddess Victoria has retired and as a result we no longer talk about crowns.

SINCE A SLAVE OF ROME, GOD MADE HER: Nevermind; God created absolutely nothing. He was busy with quite other matters.

LET US UNITE IN A COHORT, WE ARE READY FOR DEATH: The cohorts, which were part of the Roman army, consisted of 600 soldiers, the 10th part of a legion, and they were ready to die. As far as I know, in the last 50 years, there has only been one Italian who was ready to die. On April 14, 2004, the entrepreneur Fabrizio Quattrocchi, kidnapped in Iraq, said before being killed: “I’ll show you how an Italian dies.” I challenge you to find one who is ready to die nowadays. Among other things, Mameli’s hymn is the only hymn to the world that invokes death twice.

I really think the time has come to archive the Canzone Degli Italiani because it no longer makes sense to exist. I would propose an air known and respected throughout the world, written and composed by legendary Giuseppe Verdi. I am referring to Nabucco. Naturally, the text should be changed and the music shortened, but it would be very representative of an Italy renowned for its culture and its artists.

This is my opinion.

Andrea Richelmi

Alsecolo chiamata L’Inno di Mameli. Parole di Goffredo Mameli e musica di Michele Novarro (1847).

Bisogna considerare che la Canzone degli Italiani venne composta durante la campagna atta a liberare il Regno delle due Sicilie, Napoli e Palermo, dai Borboni di Spagna che all’epoca vi regnavano. L’intento, di Giuseppe Garibaldi, con esito positivo, era quello di unire l’Italia è consegnarla alla casa Savoia. Di conseguenza, la canzone degli Italiani, inserita in quei tempi è plausibilissima. Però i tempi sono leggermente cambiati, ecco perché al giorno d’oggi L’Inno di Mameli lo trovò fuori luogo e fuori dai tempi. Vediamo un po’.

FRATELLI D’ITALIA: Mi sembra strano chiamare gli Italiani fratelli quando la metà della popolazione italiana odia l’altra metà.

L’ITALIA S’È DESTA: Proprio non direi. Direi anzi che l’apatia regna sovrana.

DELL’ELMO DI SCIPIO S’È CINTA LA TESTA: Qui si fa riferimento a Publio Cornelius Scipio chiamato anche Scipione l’Africano che sconfisse i Cartaginesi 202 BC. Siamo un po’ fuori dai tempi.

DOV’È LA VITTORIA LE PORGA LA CHIOMA: Questa è un’invocazione alla dea romana Vittoria affinché incoroni il liberatore dell’Italia a Roma. Purtroppo la dea romana Vittoria è andata in pensione di conseguenza di corone non se ne parla più.

CHÉ SCHIAVA DI ROMA IDDIO LA CREÒ: Lasciamo perdere che Iddio creò proprio niente. Era in tutt’altre faccende affaccendato.

STRINGIAMCI A COORTE SIAM PRONTI ALLA MORTE: Le coorti, che facevano parte dell’esercito romano, erano composte da 600 soldati. La decima parte di una legione ed erano pronti alla morte. Che io sappia, negli ultimi 50 anni c’è stato solo un Italiano che è stato pronto a morire. Il 14 Aprile del 2004, l’imprenditore Fabrizio Quattrocchi, rapito in Iraq, prima di essere ucciso disse: “Vi faccio vedere come muore un Italiano”. Sfido a trovarne uno che ai giorni nostri sia pronto a morire. Tra le altre cose, l’inno di Mameli è l’unico al modo che invoca la morte ben due volte.

Penso proprio che sia giunto il momento di archiviare la Canzone degli Italiani perché oramai non ha più senso di esistere. Io proporrei un’aria conosciuta e rispettata in tutto il mondo. Scritta è composta da un grande. Giuseppe Verdi e mi riferisco al Nabucco Naturalmente il testo dovrebbe essere cambiato e la musica accorciata ma sarebbe molto rappresentativa di un’Italia famosa nel mondo per la sua cultura e i suoi artisti.

Questa è la mia opinione.

Andrea Richelmi

Have Italian-Canadians Lost Faith?

Gli italo-canadesi hanno perso la fede?

Despite the accelerating secularization, catastrophism and digitized uncertainty of the current age, Roman Catholicism remains a common if not always unifying facet of Italian culture, both at home and abroad. Notwithstanding the self-inflicted setbacks and buffeting the Church has sustained during the past few decades, it maintains a religious monopoly in Italy and continues its cultural dominance in the life events of most Italians. Given diminishing church attendance and intensifying superficiality and moral laxity, one wonders if the current incarnation of Italian Roman Catholicism is more of an identity feature, a cultural ornament, rather than something genuinely rooted in faith.

Of course, it’s difficult and somewhat foolhardy to generalize about a people’s faith, and perhaps in the end it doesn’t matter for Italians in Italy: the great churches will endure, the ceremonies will persist, even if reduced to a species of pseudopious kabuki. The Vatican will always be there, in the heart of Italy. But how does this apply to immigrant Italians, and in particular their children and grandchildren, removed from the embrace and reassuring continuity of a monolithic culture and language?

The story of Italians in Canada, for instance, has been intimately tied to their relationship with the Roman Catholic Church, and their relationship with it has shaped their identity, even in a new country. Archbishop Frank Leo recently succeeded Cardinal Thomas Collins to head the Archdiocese of Toronto and previously served as an auxiliary of the Archdiocese of Montreal. He notes that in the late 19th century, and during subsequent waves of immigration in the early

Nonostante l’accelerazione della secolarizzazione, del catastrofismo e dell’incertezza digitalizzata dell’epoca attuale, il cattolicesimo romano rimane un aspetto comune, se non sempre unificante, della cultura italiana, sia in patria che all’estero. Nonostante i contraccolpi e i colpi autoinflitti che la Chiesa ha subito negli ultimi decenni, essa mantiene il monopolio religioso in Italia e continua a dominare le vicende culturali della maggior parte degli italiani. Data la diminuzione delle presenze in chiesa e l’intensificarsi della superficialità e del lassismo morale, ci si chiede se l’attuale incarnazione del cattolicesimo romano italiano sia più un elemento identitario, un ornamento culturale, piuttosto che qualcosa di veramente radicato nella fede.

Certo, è difficile e forse avventato generalizzare sulla fede di un popolo, e forse alla fine non importa per gli italiani in Italia: le grandi chiese resisteranno, le cerimonie persisteranno, anche se ridotte a una specie di kabuki pseudo-pietistico. Il Vaticano sarà sempre lì, nel cuore dell’Italia. Ma come si applica tutto questo agli italiani immigrati, e in particolare ai loro figli e nipoti, sottratti all’abbraccio e alla continuità rassicurante di una cultura e di una lingua monolitiche?

La storia degli italiani in Canada, ad esempio, è stata intimamente legata al loro rapporto con la Chiesa cattolica romana, e il loro rapporto con essa ha plasmato la loro identità, anche in un nuovo Paese. L’arcivescovo Frank Leo è recentemente succeduto al cardinale Thomas Collins alla guida dell’arcidiocesi di Toronto e in precedenza è stato ausiliare dell’arcidiocesi di Montreal. Egli osserva che alla fine del XIX secolo, e durante le successive ondate di immigrazione all’inizio del XX secolo e dopo la Seconda guerra mondiale, la Chiesa in Quebec ha accolto gli italiani, in particolare le parrocchie nazionali di Montreal che servivano diverse comunità etniche.

20th century and after the Second World War, the Church in Quebec welcomed Italians, specifically the national parishes in Montreal that served different ethnic communities.

“The priests provided pastoral care and services in Italian,” he says. “They were close spiritual fathers who sacrificed to help families find lodging and jobs, learn English and place their kids in school. And they involved them in organizations that reinforced their connection to each other and their communities. They served the older generation well.”

Monsignor John Borean, pastor of Saint Clare of Assisi in Woodbridge, north of Toronto (with a decidedly Italian congregation), echoes these sentiments. “Faith unified and galvanized Toronto’s immigrant Italian community. And the Italian Masses kept them connected to their language, faith and culture.”

But it wasn’t always smooth sailing in Protestant Orange/Irish Catholic Toronto. In his essay, “Church and Clergy, and the Religious Life of Toronto’s Italian Immigrants, 1900-1940” (Canadian Catholic History: a survey, 1983), McGill University professor John Zucchi writes, “Italian priests and religious orders serving in Toronto could not but view their parishioners as Italian nationals, especially during the fascist era, and they approached their fold with the understanding that they, the clerics, were Catholic missionaries civilizing an underdeveloped people.”

In those early years, Toronto’s Italian Catholic churches were also monetarily compromised. Thus, many Italians broke away from the Church, even joining Methodist and evangelical missions, or remained indifferent to it. After the Second World War, 500,000 Italians poured into Canada—many landing in the Greater Toronto Area—and in the subsequent decades deeply impacted the Canadian religious landscape. Their language resounded in the churches they occupied or built; their rituals persevered.

But as the younger generations fled their traditional Italian neighbourhoods for the suburbs, the map of worship changed. Roberto Perin of York University catalogues these changes in his monograph, “Toronto’s Italians and their Places of Worship,” (Oltreoceano No.14, 2018). After decades of serving downtown Toronto’s Italians, for instance, Madonna del Carmine transitioned to Cantonese for Chinatown’s Catholic residents. Portuguese immigrants patriated St. Agnes when its Italian congregation headed off to St. Francis of Assisi Church, where the now iconic Good Friday procession began in the late 1950s. At the historic Italian parish, Madonna degli Angeli, Portuguese predominated by the mid-1980s. In contrast, a trio of Protestant churches, rechristened St. Alphonsus, St. Sebastian and San Nicola di Bari (the last two located on St. Clair Avenue) became Italian parishes. St. Alphonsus and St. Sebastian would later serve multilingual congregations. As for San Nicola di Bari, immigrants from Eritrea and Ethiopia worship there (to this day), following the Ge’ez rite.

“I sacerdoti fornivano cure pastorali e servizi in italiano”, dice. “Erano padri spirituali vicini che si sacrificavano per aiutare le famiglie a trovare alloggio e lavoro, a imparare l’inglese e a iscrivere i figli a scuola. E li hanno coinvolti in organizzazioni che hanno rafforzato il loro legame reciproco e con la comunità. Hanno servito bene la vecchia generazione”.

Monsignor John Borean, parroco di Santa Chiara d’Assisi a Woodbridge, a nord di Toronto (con una congregazione decisamente italiana), fa eco a questi sentimenti. “La fede ha unificato e galvanizzato la comunità italiana immigrata di Toronto. E le Messe in italiano li tenevano legati alla loro lingua, alla loro fede e alla loro cultura”.

Ma non è sempre stato tutto liscio nella Toronto protestante arancione/ cattolica irlandese. Nel suo saggio “Church and Clergy, and the Religious Life of Toronto’s Italian Immigrants, 1900-1940” (Canadian Catholic History: a survey, 1983), il professore della McGill University John Zucchi scrive: “I sacerdoti italiani e gli ordini religiosi che prestavano servizio a Toronto non potevano non considerare i loro parrocchiani come cittadini italiani, soprattutto durante l’epoca fascista, e si avvicinavano al loro ovile con la consapevolezza che loro, i preti, erano missionari cattolici che civilizzavano un popolo sottosviluppato”.

In quei primi anni, le chiese cattoliche italiane di Toronto erano compromesse anche dal punto di vista economico. Così, molti italiani si staccarono dalla Chiesa, unendosi anche a missioni metodiste ed evangeliche, o rimasero indifferenti ad essa. Dopo la Seconda guerra mondiale, 500.000 italiani si riversarono in Canada - molti dei quali sbarcarono nella Greater Toronto Area - e, nei decenni successivi, incisero profondamente sul panorama religioso canadese. La loro lingua risuonava nelle chiese che occupavano o costruivano; i loro riti persistevano.

Ma quando le giovani generazioni hanno lasciato i loro quartieri italiani tradizionali per le periferie, la mappa del culto è cambiata. Roberto Perin della York University cataloga questi cambiamenti nella sua monografia “Gli italiani di Toronto e i loro luoghi di culto” (Oltreoceano n. 14, 2018). Dopo decenni di servizio agli italiani del centro di Toronto, ad esempio, la Madonna del Carmine è passata al cantonese per i residenti cattolici di Chinatown. Gli immigrati portoghesi hanno ereditato St. Agnes quando la sua congregazione italiana si è diretta verso la chiesa di San Francesco d’Assisi, dove alla fine degli anni Cinquanta è iniziata l’ormai iconica processione del Venerdì Santo. Nella storica parrocchia italiana Madonna degli Angeli, i portoghesi predominavano a metà degli anni Ottanta. Al contrario, un trio di chiese protestanti, ribattezzate St. Alphonsus, St. Sebastian e San Nicola di Bari (le ultime due situate su St. Clair Avenue), sono diventate parrocchie italiane. In seguito, Sant’Alfonso e San Sebastiano avrebbero servito congregazioni multilingue. Per quanto riguarda San Nicola di Bari, gli immigrati dall’Eritrea e dall’Etiopia vi praticano (ancora oggi) il rito Ge’ez.

“Ovviamente le cose sono cambiate”, ammette monsignor Borean, che dirige forse la più importante chiesa di periferia che serve gli italo-canadesi. “La popolazione immigrata è invecchiata e diminuita di numero. La maggioranza degli italiani ora parla inglese. Con il cambiamento demografico, le Messe in italiano finiranno per essere sostituite. La seconda e la terza generazione hanno un rapporto diverso con la fede rispetto alla prima. Hanno un modo completamente diverso di guardare il mondo. Purtroppo, molti hanno dimenticato o abbandonato la fede”.

“Obviously things have changed,” concedes Monsignor Borean, who heads perhaps the most important suburban church serving Italian Canadians. “The immigrant population has aged and dwindled in numbers. The majority of Italians now speak English. As demographics shift, Italian Masses will eventually be replaced. The second and third generation have a different relationship to faith from the first. They have a totally different way of looking at the world. Sadly, many have forgotten or abandoned faith.”

Archbishop Leo admits, “Today’s young people are difficult to reach, even among Catholics. And they aren’t practicing as their parents and

L’arcivescovo Leo ammette: “I giovani di oggi sono difficili da raggiungere, anche tra i cattolici. E non praticano come facevano i loro genitori e nonni, anche se celebrano ancora i sacramenti. Ma i sacramenti sono solo una parte del cammino”.

E cosa ne pensano le giovani generazioni? Amanda Lenjosek (nata Garzo), i cui nonni sono emigrati dall’Italia meridionale, insegna alle elementari nel distretto scolastico cattolico di HamiltonWentworth. Rappresenta una possibile finestra sul futuro. “La mia fede è molto importante per me e per la mia vita familiare”, dice. “È la lente con cui vedo e capisco il mondo che mi circonda.

“The immigrant population has aged and dwindled in numbers. The majority of Italians now speak English. As demographics shift, Italian Masses will eventually be replaced. The second and third generation have a different relationship to faith from the first. They have a totally different way of looking at the world. Sadly, many have forgotten or abandoned faith.” grandparents did, though they still celebrate the sacraments. But the sacraments are just part of the journey.”

“La popolazione immigrata è invecchiata e diminuita di numero. La maggioranza degli italiani ora parla inglese. Con il cambiamento demografico, le Messe in italiano finiranno per essere sostituite. La seconda e la terza generazione hanno un rapporto diverso con la fede rispetto alla prima. Hanno un modo completamente diverso di guardare il mondo. Purtroppo, molti hanno dimenticato o abbandonato la fede”.

And what does the younger generation say about this? Amanda Lenjosek (née Garzo), whose grandparents emigrated from southern Italy, teaches elementary school in the Hamilton-Wentworth Catholic District School Board. She represents a possible window into the future. “My faith is very important to me and my family life,” she says. “It’s the lens with which I see and understand the world around me. It informs everything from my parenting style to my responsibilities as a wife. Every Sunday we attend church together as a family.”

She’s also cognizant of the impediments inherent in finding and maintaining faith. “Today, with all the distractions and distorted messaging coming from secular companies, it’s even harder for people to find God,” she says.

Monsignor Borean agrees. “Many people live for the day seeking distractions, entertainments and immediate gratification. They don’t grasp the importance of faith. But we can’t give up hope. I believe that sooner or later the pendulum will swing back. The young will come to question the direction of their lives and the deteriorated culture surrounding them and maybe we’ll see a return to faith. And maybe it will take a different form—but in any case, God has to be in there.”

Lenjosek is also hopeful. “Young kids do seem attracted to an authentic and bold faith, not a watered-down version. Many young families are opting to attend more traditional and reverent Masses. We do need a spiritual revival—one based on the true and undiluted message of the Gospel.”

“The Church’s mission has always been to go deeper with faith and to spread the Gospel message of selflessness and love of others, and to truly be an anchor in the storms of life,” Archbishop Leo concludes. “Certainly in today’s climate, it will take creativity and ingenuity to speak the language of Christ in a way that will be understood. But I’m full of hope. There’s lots of good to do still. And God will never abandon us.”

Influisce su tutto, dal mio stile genitoriale alle mie responsabilità di moglie. Ogni domenica andiamo in chiesa insieme come famiglia”.

È anche consapevole degli ostacoli che si frappongono alla ricerca e al mantenimento della fede. “Oggi, con tutte le distrazioni e i messaggi distorti che arrivano dalle società secolari, è ancora più difficile per le persone trovare Dio” precisa.

Monsignor Borean è d’accordo. “Molte persone vivono alla giornata cercando distrazioni, divertimenti e gratificazioni immediate. Non colgono l’importanza della fede. Ma non possiamo perdere la speranza. Credo che prima o poi la ruota tornerà a girare. I giovani si interrogheranno sulla direzione della loro vita e sulla cultura deteriorata che li circonda e forse assisteremo a un ritorno alla fede. E forse assumerà una forma diversa, ma in ogni caso Dio deve essere presente”.

Anche Lenjosek è fiducioso. “I giovani sembrano attratti da una fede autentica e coraggiosa, non da una versione annacquata. Molte giovani famiglie scelgono di partecipare a Messe più tradizionali e riverenti. Abbiamo bisogno di una rinascita spirituale, basata sul messaggio vero e puro del Vangelo. La via del mondo non è sufficiente, come molti stanno scoprendo. E la Chiesa cattolica deve guidare il mondo, non esserne guidata. Per rimanere rilevante, la Chiesa non deve preoccuparsi di diventare come il mondo, ma deve invece essere l’antidoto ai suoi mali”.

“La missione della Chiesa è sempre stata quella di andare in profondità con la fede e di diffondere il messaggio evangelico di altruismo e di amore per gli altri, e di essere veramente un’ancora nelle tempeste della vita”, conclude l’arcivescovo Leo. “Certamente, nel clima odierno, ci vorranno creatività e ingegno per parlare il linguaggio di Cristo in un modo che possa essere compreso. Ma sono pieno di speranza. C’è ancora molto bene da fare. E Dio non ci abbandonerà mai”.