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La II Guerra Mondiale - Il Borromeo trasformato in ospedale militare: via gli alunni per far posto ai militari

ROBERTO LODIGIANI

Monsignor Cesare Angelini, storico rettore del Borromeo, fece di tutto per evitare che il collegio pavese venisse trasformato in un ospedale militare, ma nell’aprile di ottant’anni fa dovette arrendersi di fronte all’imposizione delle autorità, che non vollero sentire ragioni, né prendere in considerazione soluzioni alternative, come le scuole elementari Carducci.

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Era già accaduto nella Grande guerra del 1915-18 che l’istituzione fondata da San

Carlo Borromeo quattro secoli e mezzo fa (il 15 ottobre 2021 ricorrerà il 460esimo della bolla di papa Pio IV Medici che diede di fatto via ai lavori) venisse convertita in luogo di cura e di assistenza dei soldati malati e feriti al fronte, ma se in quella occasione l’emergenza venne accettata volentieri - con spirito patriottico - dal patrono Rodolfo Maiocchi e dalla governance del Borromeo, vent’anni più tardi suscitò tutt’altra reazione, come del tutto diversi erano lo scenario e il ruolo dell’Italia nel nuovo conflitto globale che stava insanguinando l’Europa e il mondo. Il 22 aprile 1941, dunque, scatta la requisizione del collegio: i 48 studenti presenti devono lasciarlo immediatamente e trasferirsi al Ghislieri, in pensioni private o tornare a casa, con il sostegno di un assegno mensile di 660 lire. Angelini, però, annota con amarezza: «L’ospedale non funzionò neanche un giorno: non accolse né un malato né un ferito. E d’intesa con l’autorità militare, dal 5 novembre poté riaprire e funzionare regolarmente». In realtà, dopo i primi mesi di transizione, il Borromeo fu effettivamente riattato, con una convivenza sempre più difficile tra l’una e l’altra funzione, luogo di studio e luogo di cura, solo nel 1946 poté tornare alla normalità. Tutto era cominciato il 27 aprile 1940 - un mese e mezzo prima dell’ingresso in guerra dell’Italia comunque già deciso da Mussolini - quando un comunicato della Direzione di sanità del XVI corpo d’armata con sede a Milano individuò proprio nel Borromeo l’edificio scelto per diventare ospedale militare territoriale in caso di mobilitazione bellica.

Da lì scaturì un fitto carteggio in cui si impegnarono e non solo Angelini, ma anche il presidente del cda, Pietro Vaccari, che ancora l’8 marzo 1941, con quattro lettere urgenti indirizzate al ministro dell’Educazione nazionale e all’Ispettore superiore di quel ministero, Ettore Raymondi, al direttore della Sanità militare Celestino Gozzi e al prefetto di Pavia, ribadì le forti preoccupazioni e le ragioni pratiche che sconsigliavano la conversione. Ma non ci fu nulla da fare. E nell’estate del ’42 la metamorfosi da collegio a ospedale giungerà a compimento.

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