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Le memorie della città e il ruolo del Museo storico: intervista ad Alberto Pacher

Ferrandi: Grazie alla collaborazione tra il Comune di Trento e il Museo storico l’anno scorso è stata realizzata la mostra “Trento, immagini e memorie”, che ha avuto un grande successo di pubblico. Contestualmente è stato lanciato il Progetto memoria per la città, ora la mostra “Trento si racconta” che restituisce alla città il patrimonio di immagini e di testimonianze donate dai cittadini. Il tutto accompagnato dal fiorire di iniziative e di pubblicazioni legate al recupero della memoria della città, dei suoi quartieri, dei suoi sobborghi. Quali riflessioni si sente di fare partendo dal rapporto che a Trento si è instaurato tra “costruzione della memoria” e rafforzamento dell’identità e del senso di appartenenza alla città? Pacher: La prima cosa da dire è che non è casuale che l’idea di recupero della memoria sia sorta in questa fase di cambiamenti della città, e sia sorta in diversi quartieri e sobborghi contemporaneamente. Questo è molto importante perché non si tratta di una coincidenza. Ad esempio Gardolo è stata attraversata negli ultimi anni da importanti trasformazioni urbanistiche, e lo stesso si può dire per Trento sud che ha subito e subirà grossi cambiamenti (il piano Busquet), ma ciò vale in eguale misura per sobborghi interessati a profondi mutamenti sociali e urbani. Mi sembra evidente, questo vale per ognuno di noi, che quando si vivono fasi di grandi cambiamenti sentiamo il bisogno di crearci dei “punti di ancoraggio”. Alle

città, intese come aggregazioni di uomini, succede che più è intensa la percezione del cambiamento, più si avverte il bisogno di tracciare il percorso storico entro cui questo cambiamento si colloca. Questa è l’identità, che non è altro che la percezione di sé nel variare del tempo. E’ una definizione che vale anche per le città che hanno bisogno di sapere come erano, in che modo e perché sono diventate quello che sono. Per questo io sono un sostenitore di tutte le iniziative di questo tipo, di recupero della memoria, dalla raccolta delle fonti orali alla raccolta di materiale visivo. Inoltre il recupero della memoria fa vivere in maniera più intensa il senso di appartenenza alla comunità, ci ricorda la vita urbana che abbiamo vissuto. Non c’è nient’altro che crei aggregazione come la condivisione della storia comune. Siccome è in atto un grande cambiamento, si sente molto l’attaccamento a ciò che è memoria. Ferrandi: Parlavamo prima del Progetto memoria per la città e della straordinaria risposta data dalla cittadinanza e dall’universo associazionistico. Si tratta di un migliaio di fotografie, di oggetti, di testimonianze. Di un conferimento di patrimoni privati al pubblico che ricorda in qualche modo l’origine della formazione delle raccolte civiche, dei Musei. Come Sindaco della città, ma anche come Presidente del Museo, cosa Le suggerisce questo successo? Pacher: Si tratta di una conferma di come sia ancora molto diffusa la percezione della città intesa come comunità cittadina, come un bene collettivo e non come bene pubblico. Lo interpreto come un atto d’amore nei confronti

di Trento così come mi sembra altrettanto significativo che negli ultimi cinque anni si sono avuti due casi di donazione da parte di privati di grandi patrimoni alla comunità. E’ accaduto a Meano e a Roncafort. Questi atti di liberalità, che non avvenivano da anni, sono molto significativi perché provano che la città pur attraversata da profondi cambiamenti ha mantenuto una forte coesione sociale. Ferrandi: Provo a fare l’avvocato del diavolo: non c’è il rischio che investire sulla memoria e ragionare sulla nostra identità storica, venga frainteso o non capito da cittadini che provengono da altre parti d’Italia o dal mondo o sia addirittura rifiutato dai più giovani? Pacher: Per quanto riguarda i nuovi cittadini, queste iniziative possono essere loro di grande aiuto per conoscere meglio la loro nuova città, dove vivono e lavorano. Anche ai ragazzi, ai quali inizialmente queste iniziative possono sembrare regressive, può successivamente scattare la consapevolezza che questo sia un modo di appropriarsi della città. E’ un modo per farli sentire protagonisti e fruitori principali del futuro della città. Ferrandi: Su questo aspetto abbiamo come Museo un’importante conferma: l’adesione ai percorsi dedicati al rapporto tra il fiume e la città e alla Trento fascista. Stiamo inoltre progettando altre attività con l’intento di trasformare lo spazio urbano in un laboratorio di formazione storica. Pacher: E’ un dato incoraggiante. E’ la conferma che bisogna trovare il modo giusto di proporre il rapporto con la nostra storia. In fondo a tutti loro piace sbirciare le vecchie foto di famiglia, quindi


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