Focus 391 Cosa ci rende umani

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CHE COSA CI RENDE UMANI

Dalla mente dello scimpanzé alla coscienza dell’uomo: come biologia, genetica e cultura ci rendono molto simili. E infinitamente diversi.

PRISMA

Creatività e intelligenza

e capire il mondo

essere umani dossier

Le scimmie antropomorfe (scimpanzé e bonobo, soprattutto) usano i simboli e sanno fare molte delle cose che riteniamo umane. Allora, ci si potrebbe chiedere: qual è la differenza tra noi e loro?

Una corteccia cerebrale più sviluppata ma soprattutto più lateralizzata. Forse il segreto della nostra “umanità” è qui.

Siamo una specie che con i propri simili non si limita a interagire, ma coopera. È questo il “fattore” che ci ha resi intelligenti e... coscienti.

Quante volte davanti a un’opera d’arte contemporanea abbiamo sentito qualcuno dire “questo lo so fare anch’io”? In questi casi ricordo un aforisma di Bruno Munari: “Lo sa rifare, altrimenti lo avrebbe già fatto prima”. Questa riflessione vale ancora nell’era dell’intelligenza artificiale? L’arte generata dall’IA viene ormai esposta nei grandi musei, venduta a cifre rilevanti e utilizzata da celebri artisti. Possiamo però definirla “arte”? E se chiunque può creare opere con l’IA, dunque siamo tutti artisti? Vito Tartamella, a pagina 60, esplora queste domande, offrendo (insieme a Munari) una bussola preziosa per orientarsi sul tema. La risposta risiede forse anche in ciò che ci distingue dalle grandi scimmie, i nostri parenti evolutivi più prossimi, a cui Raffaella Procenzano dedica il dossier (da pag. 30). Sebbene scimpanzé e bonobo comprendano le intenzioni altrui, usino strumenti e possiedano una rudimentale teoria della mente, la differenza cruciale sta nella nostra capacità di cooperare a livelli complessi, sviluppare linguaggi simbolici e trasmettere cultura. Il nostro cervello si è evoluto non solo nelle dimensioni, ma soprattutto nell’abilità di generare concetti astratti, immaginare e condividere significati complessi. È proprio questa singolare capacità umana di creare significati condivisi, di immaginare mondi possibili e impossibili, di esprimere intenzioni e visioni attraverso simboli, che ci distingue come specie. La vera essenza della nostra umanità non risiede tanto negli strumenti che utilizziamo, ma nel modo in cui li trasformiamo in veicoli di significato – la stessa alchimia che, forse, trasforma una semplice immagine in autentica arte.

Gian Mattia Bazzoli (gianmattia.bazzoli@mondadori.it)

46 storia APOCALISSE IN DIRETTA

L’eruzione del Vesuvio che ha distrutto Pompei ed Ercolano è stata ricostruita ora per ora. 54 fantascenari SE LA TERRA FOSSE

Gli animali sarebbero bassi e tozzi, i giorni più lunghi e i vulcani più attivi.

tecnologia ARTE ARTIFICIALE

Le opere realizzate dall’IA raggiungono prezzi astronomici alle aste. È vera arte?

70 medicina

EMICRANIA: LE RICERCHE PER VENIRNE A... CAPO

La scienza sta sviluppando nuovi farmaci che prevengono gli attacchi e potrebbero persino portare alla remissione la malattia.

76 medicina TI LEGGO NEL CERVELLO

Cent’anni fa nasceva (quasi per caso) l’elettroencefalogramma che registra le attività del cervello. Come funziona, a cosa serve e perché –nonostante l’età – riserva sempre nuove sorprese.

82 tecnologia IL BOOM DEI COMPUTER QUANTISTICI

Sono sempre più diffuse le nuove macchine che usano le strane leggi del mondo microscopico con la promessa di effettuare in futuro calcoli prodigiosi.

88 musica ADDIO NOTE STONATE

Che cos’è e come funziona l’Auto-Tune, il software che corregge e pulisce la voce mentre si canta una canzone.

94 sport COME SI SCONFIGGE IL DOPING

È considerato il male dello sport e le armi per contrastarlo sono sempre più affilate, ma chi bara resta un passo avanti. Ecco come funzionano i controlli nel 2025.

video, audio, timelapse e tanti altri contenuti.

Pagine animate

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100 astronomia UN POSTO AL SOLE

Uno strumento italiano in Antartide studia la nostra stella come nessuno prima.

natura NON REGALATE QUESTI FIORI

Sono belli, ma puzzano. Di carne putrefatta, feci, sostanze repellenti (almeno per noi). Per attirare mosche e altri insetti.

scienza IL DIO DI EINSTEIN

L’insospettabile spiritualità panteista del genio che ha rivoluzionato la scienza.

lucertola campestre,

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Il quadro è il ritratto di un uomo, Edmond de Belamy: indossa un abito scuro con colletto bianco.

L’età è indefinita come il volto, tratteggiato con poche pennellate che evocano gli occhi e la bocca in un ovale indistinto. Il dipinto, dai colori seppia e scuri, sembra antico. Invece è moderno: nel 2018 è stato venduto all’asta da Christie’s per 432.500 dollari (oltre 378mila euro). Non male per un esordiente, che si è firmato sul lato inferiore dell’opera: minGmaxDEx[log(D(x))]+Ez[log(1−D(G(z)))].

L’autore, infatti, non è una persona ma un algoritmo: la vendita ha segnato l’esordio dell’intelligenza artificiale (IA) nel mercato dell’arte. Un caso isolato? Tutt’altro. Nel 2021, l’artista canadese Dmitri Cherniak ha generato con l’IA una serie di 1.000 opere, Ringers (suonerie): sono combinazioni diverse di corde e pioli colorati e stilizzati. L’esemplare #879 è stato venduto da Sotheby’s per 6,2 milioni di dollari (5,25 milioni di euro). Un record per l’arte generata dall’IA che, ormai, è un genere artistico riconosciuto: opere simili sono state esposte al Moma (Museum of Modern Art) di New York, al Guggenheim di Bilbao e alla Biennale di Venezia.

UN’ASTA CONTESTATA

E così lo scorso marzo Christie’s ha organizzato “Augmented intelligence”, la prima asta interamente dedicata a opere di IA: 34, che hanno raccolto offerte per 728mila dollari (676mila euro). Uno dei lotti era un dipinto realizzato in diretta, nei giorni dell’asta, da un braccio robotico programmato dall’artista Alexander Reben: il braccio, guidato dall’intelligenza artificiale, dipingeva su una tela un piccolo riquadro ogni volta che l’opera riceveva un’offerta di 100 dollari. Ogni quadratino era deciso dall’IA che analizzava l’ultimo disegnato, generando un nuovo comando per creare il successivo. L’obiettivo era ambizioso: arrivare a una tela dipinta di quasi 11 m2, se il quadro avesse raccolto offerte per 1,78 milioni di dollari. L’opera, alla fine, è stata aggiudicata per 8.190 dollari, e la tela è rimasta in

Le opere realizzate dall’IA raggiungono prezzi astronomici alle aste. È vera arte?
E ucciderà la creatività umana? I musei ci credono. I critici non sempre. Ma è iniziata una nuova era.
di Vito Tartamella

gran parte bianca. Ma è passata alla Storia: è la prima opera la cui dimensione è stata determinata in tempo reale dall’IA seguendo l’andamento delle offerte in un’asta. Non tutti, però, hanno apprezzato l’iniziativa. L’artista digitale statunitense Reid Southen ha lanciato una petizione sulla piattaforma openletter.earth per chiedere a Christie’s di annullare l’asta, sostenendo che l’uso dell’IA «premia e incentiva ulteriormente il furto in massa del lavoro degli artisti umani da parte delle aziende di intelligenza artificiale». La petizione ha raccolto oltre 6mila adesioni da ogni parte del mondo. «Molte di queste opere d’arte», spiega l’appello, «sono state create utilizzando modelli di intelligenza artificiale che, come noto, sono addestrati senza licenza su opere protette da copyright. Questi modelli e le aziende che li sostengono sfruttano artisti umani, utilizzando il loro lavoro senza permesso o pagamento per creare prodotti di intelligenza artificiale commerciali che competono con loro. Se avete un minimo di rispetto per gli artisti umani, vi chiediamo di annullare l’asta». È davvero così?

ARTE

ARTIFICIALE

SLOT MACHINE D’ARTE

Un’opera di Mario Klingemann, Memories of Passersby I: un computer con IA genera ritratti in continuo su due monitor.

ARTIFICIALE

STRANE CREATURE

A destra, Embedding Study 1 & 2: è un ritratto immaginario della coautrice

Holly Herndon generato da IA. Sotto, il robot Ai-DA, che dipinge con un braccio meccanico.

SGUARDI

DIGITALI

Sopra, Théâtre

D’opéra Spatial: le è stato negato il diritto d’autore perché generata con IA. A destra, Ritratto di Edmond de Belamy, del collettivo

Obvious: in basso a destra si legge l’algoritmo che lo ha generato.

Lo scenario, in realtà, è più complicato. Molti artisti digitali, infatti, addestrano personalmente l’IA per creare le loro opere. Il quadro citato all’inizio, il ritratto di Edmond de Belamy, è un progetto di Obvious, un collettivo parigino formato da un artista, Hugo Caselles Dupré, un informatico, Pierre Fautrel, e un economista, Gauthier Vernier.

INTELLIGENZA ADDESTRATA

Per ottenere il ritratto, i tre hanno alimentato l’IA con un set di 15mila ritratti dipinti fra il 1300 e il 1900, usando il metodo della “rete generativa avversaria”: hanno addestrato due intelligenze artificiali mettendole in competizione fra loro. Una, il Generatore, produceva immagini, l’altra, il Discriminatore, imparava a distinguere se fossero di origine umana o digitale: alla fine il Generatore ha imparato a realizzare dipinti così verosimili che il Discriminatore non riusciva più a distinguerli da quelli reali. Come Edmond de Belamy: il nome è un omaggio all’inventore delle reti generative avversarie, l’informatico statunitense, Ian Goodfellow. Il suo cognome significa “buon amico”, proprio come il francese bel ami/Belamy

Un’asta di opere contestata da oltre 6mila firme: l’IA saccheggia le opere degli artisti umani

Un’operazione simile a quella dell’artista tedesco Mario Klingemann, che ha alimentato un’IA con migliaia di ritratti eseguiti fra 1600 e 1800, addestrandola a produrre ritratti. Il risultato è Memories of Passersby I: un mobile in legno collegato a due schermi incorniciati, nei quali l’IA mostra ritratti maschili e femminili generati in tempo reale in un flusso continuo. L’opera è la prima macchina che include un’IA autonoma a essere stata venduta. «È come guardare un atto di infinita generazione che si svolge nella mente di una macchina», dice Klingemann. Un’opera vivente, finché è attaccata alla corrente.

ARTISTA O MERO ESECUTORE?

Dunque, gli artisti digitali più quotati non si limitano a scrivere un comando di testo (prompt) su chatGPT per ottenere un’immagine. In tal caso, i diritti d’autore rischiano di non essere riconosciuti. Nel 2022 un artista americano, Jason Matthew Allen, aveva vinto un concorso d’arte alla Colorado State Fair con un’immagine onirica, Théâtre D’opéra Spatial, ottenuta con il programma Midjourney. Ma quando ha richiesto la registrazione dell’opera al Copyright Office statunitense se l’è vista rifiutare. Le immagini generate con l’IA possono ricevere la protezione del diritto d’autore “a condizione che l’apporto umano sia sostanziale e ben identificabile”, recita il suo regolamento. «Non so in quali modi si potrà valutare con precisione l’apporto umano in un’opera digitale. Ma, a parte

IL PRIMO ARTISTA? UN ELETTRICISTA DELLO

IOWA

Il primo fu Ben Laposky, titolare di un negozio di insegne elettriche in Iowa: nel 1950 creava immagini astratte utilizzando uno oscilloscopio, uno strumento di misura elettronico che mostra su un grafico bidimensionale l’andamento dei segnali elettrici. Laposky programmava lo strumento manipolando frequenza e ampiezza degli impulsi elettrici, in modo da generare sullo schermo onde luminose di varie forme: sinusoidali, triangolari, quadrate. Poi fotografava lo schermo con pellicole ad alta sensibilità. Le sue immagini, chiamate “oscillons”, furono esposte nel 1953 alla mostra Electronic Abstractions. Nel 1963 la rivista Computers and automation lanciò il primo concorso di computer art, così descritto: «Il pennello è un fascio di elettroni, la tela, un oscilloscopio, il pittore, un calcolatore elettronico. Il risultato: una forma di surrealismo elettronico». L’iniziativa ispirò i matematici e gli informatici che sapevano usare i calcolatori elettronici.

A quegli anni risalgono i primi esempi di computer art, in cui l’atto creativo consisteva nella scrittura di un programma informatico, poi attuato da una macchina dotata di un certo grado di autonomia. Negli anni ’60 un ricercatore dei Bell Laboratories, Michael Noll, programmava un computer per generare disegni geometrici con algoritmi nei quali erano inseriti elementi di combinazioni casuali: poi li produceva con una stampante industriale.

Nel 1965 l’informatico tedesco Georg Nees organizzò a Stoccarda la prima mostra d’arte generata al computer, intitolata Generative Computergrafik.

Fu un artista inglese, Harold Cohen, a elaborare nel 1968 Aaron, il primo programma in grado di creare arte in maniera autonoma: produceva disegni astratti in bianco e nero. Aaron ha continuato a evolversi fino agli anni 2000 disegnando rocce, piante e persone (v. foto sotto Untitled i23-3758, venduto da Christie’s).

CHRISTIE’S

A PEZZI

Un’opera di Alexander Reben: un braccio meccanico, guidato dall’IA, dipinge riquadri di 6,5 cm2 ad ogni offerta ricevuta in un’asta.

questo, risulta evidente che l’IA è considerata uno strumento al servizio di un artista e non un artista», commenta il critico d’arte Francesco Bonami. «Oggi non fa differenza in che modo si realizzi un’opera d’arte: consideriamo Marcel Duchamp un artista anche se non ha materialmente costruito l’orinatoio che l’ha reso celebre. Quando un’IA riuscirà ad avere l’idea di ruotare un orinatoio e di apporvi l’etichetta di “fontana”, allora, forse, potremo definirla un’artista».

MILIONI DI DATI

L’arte moderna, infatti, ha dissociato l’artista dalle sue opere: conta l’idea, non chi l’abbia materialmente realizzata. Nel 2022 lo scultore francese Daniel Druet ha fatto causa all’artista Maurizio Cattelan, chiedendogli 5 milioni di euro di risarcimento. A suo dire non gli era stata riconosciuta la paternità delle opere che aveva realizzato per lui: La nona ora, con una scultura di cera di papa Giovanni Paolo II colpito da un meteorite, e Him, che raffigurava Hitler inginocchiato. Il tribunale di Parigi ha respinto la richiesta: Druet si era limitato a eseguire l’opera

DOPPIO TOCCO

L’artista Sougwen Chou dipinge insieme al braccio meccanico da lei addestrato elaborando le sue opere e il tracciato del suo elettroencefalogramma.

PALAZZI VIVENTI

Living architecture, installazione di Refik Anadol al museo Guggenheim di Bilbao. È un’elaborazione dell’IA delle architetture di Frank Gehry.

seguendo le istruzioni di Cattelan, che dunque ne era l’autore esclusivo. Druet è stato considerato come un’IA che esegue un prompt. Ma l’IA rischia di parassitare e uccidere l’arte umana?

L’anno scorso, diversi artisti si sono ritirati per protesta dal Brisbane portrait prize, un concorso d’arte australiano che accettava anche opere generate dall’IA: una concorrenza sleale, avevano obiettato i pittori. «Al di là delle proteste, oggi con l’arte generata da IA dobbiamo fare i conti. Ci costringe a ripensare i confini della creatività», dice Rebecca Pedrazzi, autrice di Scenari d’arte e intelligenza artificiale (Jaca Book). Oggi, infatti, la fantasia si intreccia in modo inestricabile con la tecnologia. Ed è stato così fin dagli esordi dell’arte digitale, che ha già più di 70 anni di storia (v. riquadro alla pag. precedente).

E oggi? Le opere, grazie alla potenza di calcolo dei computer moderni, diventano sempre più complesse. Un’installazione dell’artista turco Refik Anadol, Machine Hallucinations: NYC è stata ottenuta elaborando 300 milioni di foto di New York. «Questi milioni di informazioni non si colgono nelle sue opere», obietta Bonami. «Le sue grandi installazioni sono

The Washington Post via Getty Images © Refik
Anadol, Bilbao 2025
Il collettivo Obvious testa un software che visualizza su schermo i pensieri catturati dalla risonanza magnetica

suggestive ma confonde l’idea di arte con lo strumento che la produce. Considero Anadol un cattivo pittore astratto che usa una tecnologia molto sofisticata. Troppo spesso l’arte generata con l’IA punta sugli effetti speciali fini a se stessi. Sapere padroneggiare un mezzo tecnico anche complesso non basta per definirsi artisti». Gli esperimenti, comunque, sono suggestivi.

DIPINGERE COL CERVELLO

Il gallerista britannico Aidan Meller ha ideato un robot umanoide, Ai-DA, capace di creare dipinti in modo autonomo grazie a programmi sviluppati da informatici delle Università di Oxford e di Leeds: Ai-DA ha una mano bionica con cui impugna una matita per disegnare, e telecamere negli occhi. L’artista canadese di origini cinesi Sougwen Chung, invece, ha addestrato un braccio robotico, D.O.U.G._4, a dipingere seguendo il proprio stile: il braccio si collega a una cuffia per elettroencefalogramma indossata dall’artista che dipinge, per sintonizzarsi sulle sue onde cerebrali. E in futuro gli artisti potrebbero realizzare le proprie opere digitali senza bracci meccanici. È il pro-

getto Mind-to-image (dalla mente all’immagine) del collettivo Obvious, che si propone di cancellare ogni intermediario fra artista e l’opera d’arte usando la risonanza magnetica funzionale, un macchinario di diagnosi per immagini che visualizza le aree attive nel cervello.

In un esperimento al Dipartimento di neuroradiologia dell’ospedale Saint-Anne di Parigi, Caselles-Dupré e un gruppo di neurologi hanno studiato alcuni volontari mentre guardavano alcuni oggetti (una bottiglia, un volto), identificando le aree cerebrali attive durante questo compito. Poi, grazie a un software di IA, hanno fatto il processo opposto: hanno cioè generato un’immagine partendo dall’esame delle loro aree cerebrali attive. «Abbiamo testato il sistema sia con un’immaginazione debole, in cui chiedevamo a volontari di pensare a un disegno visto in precedenza, sia con immaginazione forte, ovvero pensando a un’immagine descritta da un testo. Il software è stato in grado di generare ritratti e paesaggi con un’accuratezza dell’88%», scrivono. I pittori del futuro potrebbero generare i loro quadri digitali su schermo direttamente con il pensiero.

A MODO MIO Albert Einstein nel suo studio a Princeton (Usa). Il fisico non si identificava in una religione specifica; ma dichiarò anche di non essere ateo.

Il Dio di EINSTEIN

Il genio tedesco è universalmente noto per le sue idee che hanno rivoluzionato la scienza. Ma aveva

anche un’insospettabile spiritualità panteista, ispirata da Pitagora, Spinoza e Schopenhauer.

Nella nostra epoca così materialista, gli scienziati sono i soli uomini profondamente religiosi”. A dirlo, quasi cent’anni fa, era lo scienziato per eccellenza, il primo nome che a tutti viene in mente: Albert Einstein. La sua relatività ha rivoluzionato il modo in cui concepiamo il mondo, non solo nella teoria ma anche nella pratica: senza la relatività non esisterebbe il Gps, per dirne una.

Di un personaggio del genere si pensa di sapere tutto, e in effetti ogni suo scritto e discorso è stato negli anni scandagliato. Ma forse non abbastanza, perché Einstein aveva anche un lato spirituale insospettabilmente profondo, esplorato in ogni dettaglio in un libro del canadese Kieran Fox, Sono parte dell’infinito (Egea), uscito negli Stati Uniti e in Italia il 18 aprile, giorno del 70mo anniversario della morte di Einstein.

DA METAFORA A PRINCIPIO UNIVERSALE

Questo libro è un viaggio affascinante dentro una personalità straordinaria, complessa, a volte contraddittoria. Alla domanda secca di un intervistatore, che nel 1930 gli chiedeva se fosse credente, Einstein replicò: “La sua domanda è la più difficile del mondo. Non posso rispondere semplicemente con un sì o con un no. Non sono ateo. Non so se definirmi un panteista. Il problema è troppo vasto per le nostre menti limitate”. Ma Einstein, a cui i “problemi troppo vasti” non facevano paura, in realtà si pose la stessa domanda per tutta la vita, dando di volta in volta risposte diverse. Di sicuro possiamo affermare che non credeva in un Dio personale, il Dio della tradizione giudaico-cristiana per cui ha sempre avuto parole molto dure. E non facciamoci ingannare dalla sua famosa affermazione per cui “Dio non gioca a dadi”: qui Dio è una metafora, come ha chiaramente spiegato più volte. In cosa credeva, allora, Einstein? Se dovessimo sintetizzarlo in una parola, per quanto

CON TAGORE

Albert Einstein con lo scrittore indiano Rabindranath Tagore (premio Nobel) nel 1930 circa.

INCONTRI

Einstein, qui con Robert Oppenheimer, era un convinto pacifista e incontrò anche il mahatma Gandhi (a destra).

imprecisa, diremmo che era panteista: credeva in un principio supremo che stava nella natura, anzi che forse era la natura stessa. È una tradizione antica, che ritroviamo nei testi dei filosofi amati e letti da Einstein, in una catena che si può far partire da Pitagora per poi passare da Spinoza e da Schopenhauer.

OLTRE L’INDIVIDUO

Pitagora fu infatti il fondatore di una scuola che credeva nell’armonia dell’universo, governato da principi numerici. Spinoza è stato invece un filosofo olandese vissuto nel Seicento; per lui Dio coincideva con la natura: “Tutto ciò che è, è in Dio”, diceva. Schopenhauer, infine, è stato un filosofo tedesco dell’800 che immaginava la realtà nascosta da un velo, che l’uomo doveva strappare per arrivare alla vera essenza. Molte tradizioni orientali predicano l’unione dell’individuo con un Tutto universale: dai testi sacri dell’antica India, le Upanishad, al buddismo e al taoismo. Tutti testi che Einstein conosceva.

Nella sua libreria, c’erano più libri di filosofia e di religione che di fisica

Ma Einstein era uno scienziato e credeva che la scienza, più che la meditazione, fosse il veicolo adatto per arrivare alla verità. “Chiunque abbia subìto l’intensa esperienza dei progressi nella scienza”, scrisse, “è mosso da una profonda riverenza per la razionalità del mondo, e raggiunge l’emancipazione dalle catene delle speranze e dei desideri personali”. Per arrivare alla verità, diceva, bisogna uscire da sé, smettere di considerare l’io individuale separato dal principio universale.

UNA VISIONE OLISTICA

RELATIVITÀ

Einstein alla lavagna, mentre scrive le formule della relatività generale.

CRONOLOGIA

14 marzo 1879 Albert Einstein nasce a Ulma, in Germania. Curiosamente, il 14 marzo coincide con “il giorno del pi greco”, perché nell’uso americano la data si scrive 3/14, le prime cifre del numero.

1895 Prova l’esame

Questa visione era coerente con il suo modo di fare scienza, che fin dagli inizi non si fermò alla volontà di vivisezionare la realtà, di scomporla per capirla meglio, ma di afferrarla tutta intera, alla ricerca di un principio unitario. Principio unitario che inseguì, senza successo, negli ultimi anni della sua vita, alla disperata ricerca di una “teoria unificata di campo” in grado di comprendere la realtà tutta. E questa visione del mondo lo portò alle sue note posizioni etiche, alla non violenza e al pa-

d’ammissione al Politecnico di Zurigo, pur privo di diploma, e viene bocciato per colpa delle materie umanistiche. Ci entrerà l’anno seguente, dopo aver completato la scuola superiore in Svizzera.

1900 Si laurea a pieni voti al Politecnico di Zurigo.

1902 Non trovando un impiego accademico, va a lavorare all’Ufficio Brevetti di Berna.

1905 Annus mirabilis: pubblica tre articoli che rivoluzionano la fisica: sui quanti di luce, sulla relatività ristretta e sul moto browniano.

cifismo. Il tutto condito da un sano pragmatismo, perché di sicuro non era un mistico fuori del mondo: di fronte alla minaccia hitleriana, non esitò a scrivere al presidente Roosevelt per incitarlo a finanziare la costruzione della bomba atomica, che tra l’altro fu possibile proprio grazie alla sua formula E = mc2.

ALLA RICERCA DELLA VERITÀ

Che dire di un uomo così complesso? Per entrare ancor più nei suoi pensieri, forse è utile considerare i libri che leggeva. Fox ha consultato la sua biblioteca personale, ricca di oltre 2.000 volumi e conservata presso gli Albert Einstein Archives di Gerusalemme. Due cose lo hanno colpito: il fatto che ci fossero pochi libri di fisica e molte grandi opere di filosofia, religione e spiritualità orientale; e che Einstein non sottolineasse e annotasse quasi nulla. Quando trovava qualcosa di significativo, si limitava a fare un leggero tratto di matita a lato del brano. Il libro più segnato? Una traduzione tedesca del Tao Te Ching, il testo fondante del taoismo cinese, che Einstein doveva amare

ECCO LE PROVE

L’eclisse di Sole del 1919, in una foto del fisico britannico Arthur Eddington.

1909 Ottiene la prima cattedra a Zurigo; seguiranno quella di Praga nel 1911 e quella di Berlino nel 1913.

1915 Einstein completa il suo capolavoro, la teoria della relatività generale, e prevede l’esistenza delle onde gravitazionali.

1919 Le osservazioni di un’eclissi confermano la relatività generale. Ne parlano tutti i giornali, Einstein diventa improvvisamente famoso.

PACIFISTA, MA FINO A UN CERTO PUNTO

Albert Einstein con il fisico ungherese-statunitense Leó Szilárd nel 1939. Stanno scrivendo una lettera (qui sotto), firmata dallo stesso Einstein, inviata in seguito al presidente Usa Franklin D. Roosevelt per incitarlo ad avviare un programma per la produzione della bomba atomica prima che ci arrivino i tedeschi di Adolf Hitler.

particolarmente perché ne possedeva cinque edizioni. Accanto alle opere complete di Schopenhauer, di Spinoza e dell’amatissimo Bertrand Russell, spicca un romanzo che Einstein teneva sempre sul comodino: il Don Chisciotte di Cervantes. Scelta che può sembrare bizzarra, ma a ben pensarci coerente con un tratto della sua personalità: depurato dalla follia, il viaggio di Don Chisciotte è un percorso pieno di insidie alla ricerca di un fine ultimo, della verità, missione che Einstein ha sempre sentito sua. E come scrive in una lettera a un’amica (forse amante, chissà): “Riderei del folle Don Chisciotte, se non fossi anch’io un po’ come lui”.

PER SAPERNE DI PIÙ

Il libro, appena pubblicato, Sono parte dell’infinito (Egea) del neuroscienziato canadese Kieran Fox, tradotto in italiano da Luigi Civalleri, autore di questo articolo.

1932 L’Institute of Advanced Studies di Princeton gli offre una cattedra, che accetta. Non metterà mai più piede in Germania. A Princeton, dove rimarrà fino alla morte, continua a essere il fisico più famoso e influente del mondo, ma non dà più contributi dirompenti alla disciplina.

1939 Scrive al presidente Roosevelt caldeggiando la costruzione della bomba atomica.

1952 Rifiuta la presidenza di Israele che gli viene offerta.

18 aprile 1955 Muore per la rottura di un aneurisma aortico.

SCIENZA

SEMPRE SOLO

Newton in un dipinto ottocentesco. Nella realtà, non ebbe mai né moglie né figli.

SCosa sono i geni oscuri?

i tratta di sequenze genetiche nascoste, e per questo ancora inosservate, nel nostro Dna, capaci di codificare piccole proteine. Un consorzio internazionale di ricercatori, tra cui Eric Deutsch dell’Institute of Systems Biology, ha identificato oltre 3.000 nuovi geni di questo tipo, celati in regioni considerate fino a oggi “Dna spazzatura”. Queste sequenze, però, potrebbero essere importanti per spiegare perché le stime iniziali sulla dimensione del genoma umano risultavano superiori rispetto a quanto poi scoperto dal Progetto Genoma. Bersagli terapeutici. I geni oscuri, inoltre, sembrano coinvolti in processi patologici, come il cancro e alcune disfunzioni immunitarie. Alcuni di essi, infatti, detti ncORF, codificano minuscole proteine individuate solo in campioni tumorali. Tale scoperta potrebbe portare alla realizzazione di nuove terapie, inclusi vaccini e trattamenti immunoterapici mirati, ma la ricerca è ancora in fase preliminare e dovrà ulteriormente approfondire il ruolo di questi geni nel nostro organismo. S.V.

1SINDROME GENIALE

Secondo diverse analisi, Newton soffriva della sindrome di Asperger, un lieve disturbo autistico caratterizzato, tra le altre cose, da una tendenza all’isolamento sociale e da una notevole capacità di concentrarsi negli studi e nel lavoro. Non è il solo: altri grandi geni, tra cui Albert Einstein, erano affetti dalla stessa sindrome.

2INFANZIA DIFFICILE

Figlio di un piccolo possidente terriero, nacque nel 1642 a Woolsthorpe-byColsterworth, in Inghilterra, pochi mesi dopo la morte del padre. Affidato ai nonni dopo le nozze della madre con un ricco sacerdote, crebbe in solitudine, sviluppando un’indole introversa e un talento precoce per la matematica e la meccanica.

3PESSIMO CONTADINO

La madre di Isaac avrebbe voluto che il figlio si prendesse cura dei campi, costringendolo a lasciare gli studi appena quindicenne. Il ragazzo, però, si rivelò negato per l’agricoltura, tanto che appena tre anni dopo riprese a studiare al Trinity College di Cambridge, dove poté affinare il suo incredibile talento per la scienza.

4STUDENTE LAVORATORE

Un po’ come fanno oggi molti studenti fuori sede, spesso privi di grandi mezzi

COSE DA SAPERE SU ISAAC NEWTON

CONSIDERATO UNO DEGLI SCIENZIATI PIÙ BRILLANTI DI SEMPRE, ISAAC

NEWTON DEVE LA PROPRIA FAMA ALLA LEGGE DI GRAVITAZIONE UNIVERSALE

(DUE CORPI SI ATTRAGGONO CON UNA FORZA DIRETTAMENTE PROPORZIONALE AL PRODOTTO DELLE LORO MASSE E INVERSAMENTE PROPORZIONALE AL QUADRATO DELLA DISTANZA), MA IL SUO GENIO SPAZIÒ IN MOLTI CAMPI, DALLA MATEMATICA FINO ALL’ALCHIMIA. ECCO DIECI CURIOSITÀ SULLA SUA VITA. A cura di Massimo Manzo

finanziari, per potersi mantenere durante la permanenza a Cambridge Newton riceveva assistenza finanziaria svolgendo in cambio diversi “lavoretti” part time, tra cui curare le stanze degli altri studenti e servire come cameriere.

5“LOCKDOWN” PROVVIDENZIALE

A causa di un’epidemia di peste bubbonica scoppiata nel 1665, l’Università di Cambridge chiuse i battenti, costringendo Isaac a tornare a casa, dove passava molte ore in giardino. Fu lì che, stando al celebre aneddoto, intuì la legge di gravitazione universale vedendo una mela che cadeva da un albero.

6PROF DISTRATTO

Nel 1669, a meno di trent’anni, Newton fu nominato professore universitario ricoprendo la prestigiosa cattedra di matematica a Cambridge. Ma era un pessimo insegnante: le sue lezioni erano deserte e lui stesso si assentava spesso, preferendo dedicarsi alle sue ricerche piuttosto che seguire gli studenti.

7ECCENTRICO SOLITARIO

Introverso, Newton evitava la compagnia degli altri e non ebbe legami sentimentali degni di nota nel corso della sua vita. Non si sposò mai e non ebbe figli, dedicando ogni energia alla ricerca. Il suo isolamento

Il caratteristico, inebriante profumo dei panni stesi al Sole è dovuto a una reazione chimica analizzata nel 2020 da una ricerca dell’Università di Copenaghen (coordinata dall’italiana Silvia Pugliese). Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica Environmental Chemistry, ha attestato come l’odore dei tessuti asciugati dai raggi solari sia dovuto a sostanze quali il pentanale, l’ottanale e il nonanale, composti organici volatili che conferiscono aromi floreali e fruttati (più nello specifico, “agrumati”). Raggi ultravioletti e aria. Nella produzione di queste sostanze, si ritiene che un ruolo chiave sia giocato dai raggi ultravioletti, che favorirebbero la degradazione di alcuni composti organici presenti nell’aria e nei tessuti, con effetti appunto “aromatici”. La ventilazione naturale contribuisce inoltre a eliminare gli odori sgradevoli, mentre il processo di ossidazione indotto dalla luce facilita l’ulteriore generazione di molecole profumate, così come fa pure l’ozono atmosferico. M.L .

era tale che spesso si dimenticava persino di mangiare o dormire, assorto negli studi scientifici.

8ALCHIMISTA

Oltre alla matematica e alla fisica, una delle grandi passioni di Newton fu l’alchimia, antichissima disciplina considerata un mix di nozioni filosofiche, astrologiche, mediche e chimiche che aveva tra i suoi scopi la ricerca della pietra filosofale, una sostanza che avrebbe potuto trasformare metalli comuni, come piombo e ferro, in oro.

9PARLAMENTARE

Newton fu anche membro della Camera dei Comuni (il Parlamento inglese) in rappresentanza dell’Università di Cambridge dal 1689 al 1690 e poi dal 1701 al 1702, ma il suo contributo ai lavori parlamentari fu minimo: si racconta che abbia parlato una volta sola... chiedendo a un usciere di chiudere una finestra perché sentiva freddo.

10SEPOLTO

TRA I RE

Ormai benestante e famoso, nel 1705

Newton fu nominato cavaliere dalla regina Anna e dopo la morte, nel 1727, fu sepolto nell’Abbazia di Westminster, dove si trova ancora oggi accanto a re e celebri personaggi del mondo letterario e scientifico, tra cui Charles Darwin (1809-1882), John Keats (1795-1821) e Rudyard Kipling (1865-1936).

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