Siamo l’unica specie che cucina. E questo ci ha cambiato per sempre: cervello più grande, intestino più piccolo. Dai falsi miti della paleodieta alla storia della pasta, dalla rivoluzione della polenta alla pentola a pressione, un’inchiesta scientifica su come mangiare ci ha reso umani.
HOMO CHEF
PRISMA
dossier
l’evoluzione in cucina
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HOMO CHEF
Siamo i soli a cuocere il cibo. E questa abilità è stata fondamentale. Tra carni e tuberi, viaggio nella “paleocucina”.
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LA GIUSTA DIETA
Dovremmo tornare a un’alimentazione “primordiale” più adatta? No, al massimo... al secolo scorso.
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LA STORIA NEL PIATTO
Dalla rivoluzione della polenta, al ruolo del merluzzo: in 9 schede, le curiosità su cibi e usanze della nostra cucina.
Avete mai fatto caso che siamo l’unica specie che si lamenta del cibo (per quanto ne sappiamo) pur essendo l’unica che sa cucinarlo? Quei gesti quotidiani che il genere Homo ripete da almeno 780.000 anni – accendere il fuoco, mescolare, assaggiare – sono in un certo senso ciò che ci rende davvero umani. Nel dossier (da pag. 24), Giovanna Camardo ci guida alla scoperta di come la cottura ci abbia permesso di digerire meglio, sviluppare cervelli più grandi e diventare quello che siamo. Ma essere umani oggi significa anche confrontarsi con paradossi inediti. Mentre l’intelligenza artificiale promette di “resuscitare” digitalmente i nostri morti per farci chiacchierare coi nonni defunti (a pag. 66), noi fatichiamo a perdonare i vivi. Un vero peccato, perché il perdono è “pura medicina”: libera da rabbia e risentimento, riduce stress e pressione sanguigna (pag. 102). Per perdonare serve però essere in pace con sé stessi, e questo richiede di sapersi ascoltare. Ho scoperto che esiste un “ottavo senso”, l’interocezione, proprio per questo: è quella capacità di percepire i segnali del proprio corpo, dalla stretta allo stomaco alla fame, che lega biologia ed emozioni (pag. 74). Sono piccoli passi verso la felicità che – sul lavoro –non si trova soprattutto negli stipendi, ma nell’autonomia, nel dare significato a quello che facciamo (pag. 46).
Come vivremo in orbita quando la Stazione Spaziale sarà dismessa. I progetti per sostituirla. 20
Come gli operatori degli aiuti umanitari che da un centro di distribuzione di Bruxelles orchestrano viaggi epici per far arrivare cibo terapeutico e farmaci ai bambini afghani, di Gaza e di Paesi africani (pag. 58). È il senso del lavoro fatto persona: ogni gesto conta, ogni consegna salva una o più vite. Pensavo allora, ecco che cosa ci rende umani: non solo saper cucinare, ma saper condividere. Dal fuoco che ci ha fatto evolvere al cibo che ancora oggi attraversa il mondo per nutrire chi è in difficoltà.
Gian Mattia Bazzoli (gianmattia.bazzoli@mondadori.it)
40 ecologia FATTORE SABBIA
La polvere che si solleva dai deserti nutre oceani e foreste, ma causa malattie e incidenti. 46 comportamento AL
SORRISO
Lavorare può essere stressante, ma può anche renderci felici. Ecco a quali condizioni.
52 astronautica ARRIVEDERCI ISS
58 reportage IL GRANDE VIAGGIO DEGLI AIUTI
Farmaci, cibo terapeutico, pezzi di ricambio. Siamo entrati in un centro di distribuzione da cui parte tutto ciò che serve per dare soccorso.
64 alimentazione
LA DOLCE TRAPPOLA
I bambini italiani sono tra i più a rischio di obesità in Europa. Colpa dei troppi zuccheri, di una certa ignoranza e del marketing sensoriale.
66 tecnologia SE L’IA POTESSE “RESUSCITARE” I MORTI…
L’intelligenza artificiale può creare chatbot di defunti. Rischi e limiti di questa tecnologia.
74 salute L’OTTAVO SENSO
L’interocezione è la capacità di ascoltare i segnali che arrivano dall’organismo. Come funziona.
80 astronomia
L’OSSERVATORIO DOPPIO
Il nuovo colossale strumento che osserverà il cielo nelle onde radio come mai prima.
86 comportamento
DILLO CON UN SILENZIO
Le pause nel discorso o il rifiuto di dire qualcosa possono avere molti significati.
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92 animali MUCCHI SELVAGGI
Popolazioni di girini, cucciolate di felini ma anche greggi con i pastori, in queste “foto di gruppo”.
98 salute CANCRO, L’ARTE DELLA CONVIVENZA
Dai tumori del sangue una possibile strategia per il futuro: gestire la malattia cronica con farmaci sempre più efficaci.
102 comportamento
LA FORZA DEL PERDONO
Di fronte a un torto, la reazione istintiva è la rivalsa, ma la scienza dimostra che è meglio riconciliarsi.
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Farmaci, cibo terapeutico, pezzi di ricambio. Siamo entrati in un centro di distribuzione da cui parte tutto ciò che serve per dare soccorso.
GRANDE VIAGGIO AIUTI degli
di Giovanna Camardo
IL MAGAZZINO
1 Il centro di distribuzione di Msf Supply a Bruxelles: negli scaffali sono stoccati dispositivi medici, cibo, tende. C’è spazio per 15.000 bancali.
2 Alessandro Piro, di Medici Senza Frontiere, mostra i prodotti tenuti in un magazzino verticale con scaffali rotanti, per oggetti piccoli. 1 2
Il materiale è sui bancali di legno, protetto da un imballaggio bianco. Il carrello elevatore si muove velocemente, caricando i bancali nel retro del camion. Siamo nella zona da cui partono le spedizioni, dirette in tutto il mondo, in un angolo del magazzino. Da qui vediamo scaffali a perdita d’occhio, alti fino al soffitto e pieni di merce stoccata. Non siamo in un deposito qualsiasi, ma in una delle basi logistiche di Medici Senza Frontiere (Msf). Uno dei luoghi da cui parte tutto ciò che serve per installare e far funzionare ospedali da campo e altri centri dell’organizzazione umanitaria: dai medicinali ai pezzi di ricambio per fuoristrada. È il centro di distribuzione Msf Supply, in una zona industriale ai margini di Bruxelles, poco lontano dall’aeroporto della capitale belga. Il materiale che il muletto sta caricando sarà imbarcato su un volo charter in partenza da Liegi. «È per l’Afghanistan», dice Alessandro Piro, responsabile della logistica per il Medio Oriente e l’Europa di Medici Senza Frontiere, che ci
accompagna tra gli scaffali. «L’anno scorso da qui sono state spedite 3.700 tonnellate in 35 Paesi. Come Afghanistan, Sudan, Repubblica Democratica del Congo, Ucraina – con 300 t di materiale inviato nel 2022 – e Gaza, con 136 t nel 2024 e 200 t nel 2025. Inviamo tutto ciò che serve per intervenire in guerre, disastri naturali, epidemie, ma anche per il funzionamento delle cliniche, per le campagne di vaccinazione. Le spedizioni per situazioni di emergenza sono il 19% del totale; la maggior parte è legata a ordini regolari che arrivano dai progetti nei Paesi».
LA “FABBRICA DEI BAMBINI”
Il carico per l’Afghanistan è destinato alla capitale Kabul. «Lì viene portato nel nostro magazzino e poi, dopo i controlli, inviato ai vari progetti; molto va all’ospedale materno-infantile di Msf a Khost, soprannominato la “fabbrica dei bambini”, dove ogni giorno nascono 50 bimbi», racconta Abdul Qayum Popal, vice-coordinatore medico di Msf in Afghanistan. «Nel cari-
TERREMOTO Agosto 2021: dopo il sisma ad Haiti, il materiale per l’emergenza (tende, farmaci, sistemi per purificare l’acqua) è inviato a bordo di un cargo, da Bruxelles. Julien
co ci sono migliaia di articoli e farmaci come l’ossitocina, per l’induzione al parto, o usati per l’anestesia; ogni giorno nell’ospedale si fanno cesarei e si trattano le complicazioni dei parti. L’Afghanistan è tra i Paesi con più alta mortalità materna e alla clinica arrivano donne da tutta la provincia di Khost e oltre».
Msf Supply di Bruxelles è uno dei tre centri logistici di Msf in Europa, che riforniscono le attività della ong in 76 Paesi e anche altre organizzazioni umanitarie: gli altri sono ad Amsterdam e a Mérignac, vicino a Bordeaux (a cui si aggiungono i due centri logistici a Dubai e in Kenya). «Il materiale che compriamo dai fornitori arriva qui nella zona di scarico e, dopo i controlli, è sistemato nel centro di distribuzione: è grande 6.600 m2, quanto 13 piscine olimpioniche. In questo momento abbiamo merce in magazzino per un valore di 22 milioni di euro, dai farmaci alle tende, dalle latrine alle padelle», dice Elise Chabroux, che si occupa di acquisto di prodotti medici per Msf Supply. Si ordinano zanzariere, per esempio, per oltre 1,2 milioni di euro all’anno.
DALLE SIRINGHE AI COMPUTER
Nel centro di distribuzione belga si trovano ora “in stock” 3.100 prodotti diversi. «Ma in catalogo ne abbiamo 20.000 che possiamo ordinare quando servono, dai farmaci a breve scadenza alle macchine per radiografie», dice Piro. Negli scaffali, separati dai corridoi in cui sfrecciano i muletti, sono stoccati pacchi e scatole di ogni dimensione. Piro ci fa vedere cosa contengono: «Qui ci sono guanti per gli operatori sanitari. Queste sono sacche per la nutrizione per via venosa. Là ci sono le siringhe. In questo scatolone c’è un carrello per portare i materiali per l’anestesia in sala operatoria. E c’è tanto cibo terapeutico: tutte le scatole su questo bancale sono piene di Plumpynut». È chiamata così la pasta di arachidi arricchita con proteine e altri nu-
L’ARRIVO
7 Un team di Msf raggiunge a dorso d’asino zone remote del Sudan.
8 Alcuni farmaci vanno trasportati a basse temperature e messi nei frigoriferi all’arrivo: qui, vaccini per il morbillo nel centro di Kisangani (R. D. del Congo).
9 Iniezione a un bimbo nell’ospedale di Drodro (R. D. del Congo).
LA SPEDIZIONE
3 I pacchi pronti sono caricati sui camion: questi sono per l’Ucraina, con materiale chirurgico per interventi in situazioni di guerra.
4 Dal centro belga partono migliaia di tonnellate (3.700 nel 2024): metà per via aerea (qui, un carico per Haiti), il 28% via mare, il 22% via terra.
trienti, usata per i bambini denutriti: si mangia direttamente dalla confezione, senza bisogno di diluirla con acqua. «Può essere inviata ai progetti di lotta alla malnutrizione in Nigeria, o in Ciad dove assistiamo le persone scappate dal Sudan in guerra», specifica Piro. «Il materiale medicale e i prodotti per cura e sostegno sono l’80% di ciò che spediamo. Ma ci sono anche prodotti “logistici” indispensabili: dai fili elettrici ai computer, ai telefoni satellitari a tutto ciò che serve per creare un ospedale da campo. Direttamente nei Paesi, invece, si compra gran parte di materiali da costruzione, veicoli, generatori ecc.».
Da Bruxelles il viaggio inizia in aereo, su nave o via terra. Ma la parte finale può essere «un vero inferno logistico per attraversare zone rurali e remote», racconta Nicola Cocco, infettivologo di Medici Senza Frontiere. «Penso alla Repubblica Democratica del Congo, dove ho lavorato per anni. Le forniture arrivano in aereo alla capitale Kinshasa, dove Msf ha un centro di stoccaggio. Poi devono magari andare nella regione del Kivu e allora serve un altro aereo, verso città come Goma. Poi il mezzo principe diventa il fuoristrada; usiamo anche i camion, che però spesso si bloccano sulle strade fangose. E quando i percorsi “rimpiccioliscono” si usa la moto. A volte bisogna superare aree inondate o muoversi via acqua: per una campagna di
Il carico può partire in aereo e percorrere il tratto finale in una moto caricata su una canoa
vaccinazione contro il morbillo, personale e vaccini hanno per esempio viaggiato sul lago Tanganika. Vengono adottate le soluzioni più ingegnose, come moto messe su canoe per viaggiare lungo un fiume e fuoristrada caricati su “zattere” di legno».
VACCINI AL FREDDO
Torniamo nel centro logistico di Bruxelles. Uscendo dal labirinto degli scaffali, si incontra un grande carosello verticale con ripiani rotanti. «È dove teniamo gli articoli di piccole dimensioni e con stock minori», aggiunge Elise Chabroux. Anche qui, oltre a farmaci o forbici da sala operatoria, c’è di tutto. «Questo è per esempio un filtro per il carburatore dei fuoristrada», dice Piro. «E poi ci sono penne, quaderni, o le schede da compilare per la valutazione della malnutrizione. Se si deve creare un centro dove non c’è nulla servono tantissime cose, a cominciare dai fogli per scrivere i dati dei pazienti». Entriamo anche nelle “stanze frigo” dove si conservano i farmaci che devono restare al freddo. «Qui abbiamo vaccini, insulina, ossitocina, test per la meningite», mostra Piro, passando da una scatola all’altra. «Da qui, e per tutto il trasporto, dobbiamo far sì che questi farmaci restino tra i 2 e gli 8 °C: sono messi in scatole speciali, con all’interno mattonelle refrigeranti e un registratore di temperatura.
L’ULTIMO TRATTO
5 Si usano diversi mezzi. In Repubblica Democratica del Congo, un fuoristrada sale su una “zattera” per attraversare il fiume Uele.
6 Sempre nel Paese africano, le moto sono caricate in piroga, dirette ai centri di Msf, durante un’epidemia di morbillo.
Così si mantiene la temperatura fino a tre giorni e chi aprirà la scatola all’arrivo potrà verificare che la catena del freddo non si sia interrotta nel viaggio». La spedizione per questi carichi è per via aerea, ma, come riprende Cocco, «nelle aree più remote mantenere la catena del freddo è una sfida. Le scatole frigo vanno coperte dal sole, in Paesi con 40 °C, e protette dagli urti. E molti vaccini – come quello contro il morbillo, malattia pericolosa per i bambini sotto i 5 anni e di cui in alcuni Paesi scoppiano epidemie ricorrenti – vanno tenuti al freddo. Nei centri tutto è messo nei frigoriferi, ma magari bisogna raggiungere le comunità più isolate portando i vaccini in uno zaino».
A Bruxelles, gli operatori preparano le scatole inserendo ciò che serve per ogni spedizione. Quando tutto è pronto, comprese le autorizzazioni all’importazione, il materiale è sistemato nell’area di carico da cui siamo partiti. «Il tempo dalla richiesta all’arrivo, compresi viaggio e burocrazia, è di 70 giorni in media. Ma per le emergenze ne possono bastare due», conclude Piro. «Per agire il più rapidamente possibile sono pronti specifici “kit” per diverse situazioni. Per esempio per il colera, di cui ci sono epidemie frequenti, con l’occorrente per la reidratazione, farmaci, letti. O per i terremoti: i materiali, già pronti, possono arrivare a destinazione 48 ore dopo il sisma».
Michel Lunanga/MSF
La forza
del
PERDONO
Di fronte a un torto subìto, la reazione più istintiva è la rivalsa. Ma la scienza dimostra quel che la religione predica da sempre: per stare bene con sé stessi è meglio riconciliarsi con gli altri.
Cdi Claudia Giammatteo
apita di essere insultati, delusi, traditi o, peggio, di subire furti e violenze. Sentiamo crescere tristezza, rabbia, rancore. La reazione più istintiva è quella di pareggiare i conti, punire il colpevole, vendicarsi. «È una risposta profondamente radicata a livello biologico e culturale. Alcune specie di primati, tra cui scimpanzé e macachi, coordinano le ritorsioni anche a distanza di tempo. Quasi tutte le culture hanno codificato la legge del taglione (“Occhio per occhio, dente per dente”)», sottolinea lo psicologo statunitense Michael McCullough, direttore del Laboratorio di evoluzione e comportamento umano dell’Università della California a San Diego. Ma se punire i cattivi è un meccanismo rassicurante, che ci tiene incollati allo schermo nei film e nelle serie tv, la vendetta – garantiscono gli esperti – non offre la pace interiore, né il sollievo. La soluzione migliore per superare un trauma subìto è quella opposta: perdonare.
MEA CULPA
Perdonare non è semplice. Per molti l’indulgenza è segno di debolezza, di rinuncia al diritto ad avere giustizia. È davvero così? «Perdonare non è dimenticare, né minimizzare il male ricevuto. Non è nemmeno un atto di debolezza o di superiorità morale», chiarisce Antonio Malo, docente di Antropologia alla Pontificia Università della Santa Croce di Roma. «È la libera
risposta della vittima che sceglie di non restare prigioniera del male subìto e di offrire all’offensore la possibilità di pentirsi». Il perdono (da per-dono, “donare per gratia”) è un dono assoluto e, con modalità diverse, un pilastro delle religioni monoteiste. Durante lo Yom Kippur, festività ebraica che concede l’assoluzione dei peccati verso Dio, per esempio, i fedeli devono anche chiedere perdono individualmente a chiunque ritengano di avere in qualche modo offeso. Nella religione cristiana, «in passato il perdono non era un fatto privato, ma pubblico. Nelle antiche comunità cristiane, i grandi peccatori facevano penitenza davanti a tutti, indossando abiti di sacco e con il capo coperto di cenere. Solo nella veglia di Pasqua venivano reintegrati, con una liturgia comunitaria», spiega Malo. Nei rituali collettivi Acto de perdón e Acto de contrición, praticati dai missionari gesuiti in Spagna nel XVII secolo, coloro che erano coinvolti in faide e conflitti dimostravano umiltà gettandosi ai piedi del prossimo e abbracciandosi platealmente. Il motivo è evidente: più un gesto era visibile, più era credibile. Rinunciare alle rivalse, specie in punto di morte, assolveva dai propri peccati, salvando famiglie e comunità.
SCRITTO NEL CERVELLO
Il perdono non è solo una virtù morale o religiosa. La psicologia moderna ne ha fatto un campo di studi cercando di sciogliere alcuni dilemmi. Secondo le ricerche, siamo predisposti biolo-
SUPERARE IL CONFLITTO
Un abbraccio (nella foto) può essere un momento di sollievo dopo un litigio (nella pagina a destra). Sotto, Nelson Mandela in un evento per la riconciliazione sociale in Sudafrica dopo l’Apartheid.
gicamente a perdonare. E non servono scuse, genuflessioni e sofferenze per avere indulgenza. Uno studio internazionale a cui ha partecipato un team della Scuola Studi Superiori Avanzati di Trieste (Sissa), condotto su 50 volontari sottoposti a tecniche di neuroimaging, ha identificato l’area del perdono del cervello: è il solco temporale superiore anteriore sinistro, in grado di “leggere” le intenzioni altrui. «Le persone con più materia grigia in questa regione tendono a giudicare meno severamente chi ha causato un danno per errore», ci spiega la ricercatrice Bianca Monachesi, che ha partecipato alla sperimentazione. Perché, allora, molti fanno fatica a perdonare i torti involontari subiti e non riescono a passare sopra nemmeno a un anniversario dimenticato? Secondo la psichiatra statu-
nitense Lorig Kachadourian, docente alla Yale School of Medicine (Usa), l’inflessibilità dipende in parte dallo “stile di attaccamento”, termine coniato nel 1969 dallo psicologo britannico John Bowlby per descrivere il legame sviluppato dai bambini con le figure di accudimento. Le persone che hanno alle spalle uno stile insicuro e ansioso sono più portate a rimuginare e a emettere sentenze inappellabili: “Non mi fido più”.
IL PERDONO COME TERAPIA
Un fatto è scientificamente assodato: dire “Ti perdono” ci fa bene. Non è un gesto di magnanimità, è una medicina. «Negli ultimi anni, sempre più studi hanno evidenziato come perdonare sia uno strumento terapeutico per migliorare il benessere», puntualizza la psicoterapeuta Giuliana Proietti (autrice del test che segue questo articolo). «Quando si subisce un torto, la rabbia può trasformarsi in risentimento in grado di evolvere in problemi mentali, come il disturbo post-traumatico da amarezza». Abbandonare rabbia, risentimento e desiderio di vendetta nei confronti di chi ci ha ferito, continua l’esperta, ci guarisce: «Praticare il perdono riduce la pressione sanguigna, migliora la salute del cuore, è correlato a livelli più bassi di depressione, ansia e sintomi di disturbo da stress post-traumatico». Alle stesse conclusioni è arrivata una ricerca condotta dallo psicologo Jichan Kim su studenti della Virginia University (Usa), che ha riportato – in chi perdona – una migliore salute mentale tra vittime di incesto, abusi coniugali, dipendenza da sostanze e tra malati terminali oncologici.
Non tutti, però, pur volendo, riescono a perdonare. Si può imparare a farlo? «Può essere un processo difficile», ammette Proietti. «Esistono tecniche che possono facilitare questo percorso. Un esempio arriva dallo psicologo Everett Worthington, che ha sviluppato il modello terapeutico Reach (Recall, Empathize, Altruistic gift, Commit, Hold)». La strada da percorrere è scandita da 5 tappe mentali: ricorda il dolore, prova
Perdonare gli altri ci fa stare meglio perché
riduce lo stress, l’ansia, la pressione sanguigna
empatia per chi ti ha ferito, fai il dono altruistico del perdono, impegnati, continua a farlo anche se sei assalito dai dubbi.
RICONCILIAZIONE E GIUSTIZIA
I benefici non mancano e sono su entrambi i fronti. «Per la vittima, perdonare significa liberarsi dall’ossessione del torto subìto e dal ciclo infernale del rancore. Per l’offensore, ricevere il perdono – specie se immeritato – può innescare un processo autentico di cambiamento», aggiunge Malo. Ma c’è molto altro. «Per la società, il perdono costruisce ponti dove c’erano muri. Un esempio? Il Comitato per la Verità e la Riconciliazione in Sudafrica, dopo l’Apartheid». Questo enorme sforzo di riconciliazione nazionale voluto da Nelson Mandela per la ricomposizione pacifica delle fratture sociali è stato un esempio, replicato in Ruanda dopo il genocidio del 1994 (800.000 morti) e nei
OBLIO DI STATO
Paesi Baschi, tra vittime e militanti dell’Eta.
Un atteggiamento ispirato agli stessi principi ha portato in Italia alla nascita della figura del mediatore penale introdotto dalla Riforma Cartabia del 2022, che promuove l’accesso a programmi di giustizia “riparativa” e la possibilità del giudice di disporre d’ufficio l’invio delle parti a un centro per la mediazione. «La giustizia riparativa non prescinde dal giudizio penale ordinario», chiarisce il criminologo Pietro Buffa. «I tribunali hanno il compito di accertare i fatti e di erogare congrue
Gli atti di clemenza di un sovrano o di una pubblica autorità (civile, religiosa o penale) sono una tradizione millenaria. A partire dall’amnistia (dal greco amnestia, “dimenticanza”) concessa nel 403 a.C. dopo la sanguinosa parentesi oligarchica dei Trenta Tiranni, in cui i democratici ateniesi giurarono Mè mnesikakein, “non ricorderò i mali”. Un perdono politico nel nome di un interesse superiore di convivenza pacifica, principio ripreso anche nella legge italiana con una norma che estingue i reati (a differenza dell’indulto, che cancella solo la pena).
Troppa grazia. Un diverso tipo di “perdono politico” è la clemenza ad personam: il perdono giudiziale che – quando viene concesso per ragioni umanitarie – estingue i reati a carico dei minori di 18 anni e maggiori di 14. E poi c’è il decreto di grazia firmato dal Capo dello Stato – come quello controverso concesso dal presidente Usa uscente Joe Biden al figlio Hunter (foto), che rischiava fino a 25 anni in due processi per possesso illegale di un’arma e per evasione fiscale – nei confronti di un condannato, la cui pena viene condonata in tutto o in parte, o commutata.
VOLTARE PAGINA, SENZA DIMENTICARE
Aldo Moro poco prima del suo omicidio nel 1978. Dopo le condanne, anche per liberarsi dal peso del passato, la figlia dello statista ha affrontato un percorso di riconciliazione con i rapitori.
Mondadori Portfolio
IL PREZZO DEL PENTIMENTO
Obbligati a indossare il cilicio (un saio di pelo di capro, nella miniatura in basso), dormire su giacigli, digiunare. È stato questo il prezzo chiesto dalle autorità ecclesiastiche medievali ai peccatori (in primis adulteri, omicidi, apostati) per ottenere il perdono dopo essere stati sottoposti a un processo pubblico, per essere riammessi nella comunità. Una lunga storia. Nel VI secolo, un movimento monastico introdusse la “penitenza tariffata”. In aiuto dei confessori fiorirono libri penitenziali che per ciascun peccato fissavano la pena corrispondente. “Chi si procura polluzione da sé, faccia penitenza per quaranta giorni”, sentenziava per esempio il penitenziale De Fornicatione nel VII sec. Poi fu introdotta la facoltà di commutazioni, cioè riscatti (“redemptio”), offerte di denaro, elemosine e messe per defunti. A partire dal XII secolo, la Chiesa Cattolica Romana introdusse il pellegrinaggio penitenziale. Nel 1294, papa Celestino V decretò la Perdonanza, o “Bolla del perdono”, la prima indulgenza plenaria della storia. E nel 1300 papa Bonifacio VIII istituì il primo Giubileo di una lunga serie che arriva fino a oggi.
La scrittrice Eva Kor ha perdonato i nazisti che le sterminarono la famiglia
pene; ma non si occupano di guarire l’angoscia delle parti né di ricomporre la frattura sociale prodotta dal reato. “Riparare” è un percorso lungo, doloroso, che può non arrivare mai al perdono»
UN ABBRACCIO CHE LIBERA
Tra i casi con esito favorevole, il percorso di avvicinamento intrapreso tra vittime e responsabili della lotta armata degli Anni ’70, e in particolare il perdono di Agnese Moro nei confronti di Franco Bonisoli, parte attiva del rapimento nel 1978 del padre Aldo. Un gesto sollecitato dal gesuita Guido Bertagna, nato dalla necessità di vittima e carnefice di liberarsi da quelle che Agnese Moro ha definito “scorie radioattive”, cioè il sentirsi congelati in un incubo rivissuto costantemente, il silenzio imposto, il peso schiacciante di ricordi contaminati da dolore. Ma l’esempio più eclatante è quello della scrittrice Eva Mozes Kor, sopravvissuta ai campi di sterminio insieme alla sorella gemella. “Perdono tutti i nazisti che, direttamente o indirettamente, hanno partecipato all’uccisione della mia famiglia”, ha scritto nell’autobiografia Ad Auschwitz ho imparato il perdono (Sperling & Kupfer). È stata lei stessa a spiegare i motivi di un gesto sembrato a molti incomprensibile. “La questione della giustizia deve essere distinta da quella del perdono [...] è un concetto che ha poco a che fare con il carnefice e molto con la vittima. L’unico modo per ottenere la guarigione è perdonare. Finché non riusciamo a farlo, perdiamo la possibilità di essere guariti e liberi”. Come ha detto il teologo americano Lewis B. Smedes, “Perdonare è liberare un prigioniero e scoprire che quel prigioniero eri tu”.
A COSPETTO DEL PAPA Diaconi in processione, in una cerimonia del Giubileo dei Sacerdoti nella Basilica di San Pietro, a Roma.
Domande Risposte
LA SCIENZA IN PILLOLE
POTENZA L’impressionante spettacolo della lava che emerge da un vulcano nelle Hawaii.
DI COSA È FATTA LA LAVA DENTRO UN VULCANO?
Il magma è roccia fusa che è ancora sottoterra. Sotto la superficie terrestre temperature tra 700 e 1 300 °C fondono le rocce. La maggior parte di esse contiene silice, un composto fatto di silicio e ossigeno. Quando le rocce si fondono, quelle che contengono meno silice producono il magma più fluido e veloce; quelle che contengono più silice producono un magma più denso, che tende a intrappolare le bolle di gas che possono rendere un’eruzione
IL MAGMA, COSÌ SI CHIAMA LA LAVA QUANDO È ANCORA SOTTO LA SUPERFICIE TERRESTRE, È COMPOSTO DA ROCCIA FUSA.
più esplosiva. In ogni caso, il magma è più leggero delle rocce circostanti e quindi tende a risalire verso la superficie e a raccogliersi in camere sotterranee.
SCIROPPO Molti vulcani, ovvero aperture nella crosta terrestre, si trovano proprio sopra queste camere magmatiche. Quando il magma irrompe sulla superficie prende il nome di lava la quale, a seconda del contenuto di silice, può essere simile a uno sciroppo oppure molto densa come il fango.
Elisa Venco
Cosa sono i piccoli puntini sulla buccia delle mele?
Le punture di spillo su mele, pere o patate (ma anche su rami e tronchi d’albero) si chiamano lenticelle e sono piccole aperture naturali, come i pori sulla pelle. I fiori, gli alberi e i frutti assorbono anidride carbonica ed emettono ossigeno. Per i frutti, questo si verifica attraverso le lenticelle, che li rendono in grado di “respirare” e di regolare la propria umidità interna. Come ogni apertura in un essere vivente, le lenticelle sono vulnerabili alle infezioni e alle malattie. Segnali. Quando un frutto presenta zone depresse intorno a esse, può segnalare l’inizio di malattie fungine. Se invece una mela ha lenticelle molto marcate, può essere un segno che il frutto ha sub ìto eccessiva umidità o che ha patito cambiamenti climatici bruschi durante la fase di maturazione. E.V.