Coworking ed economia collaborativa n°2

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[ Newsletter 2 del 27 maggio 2014 ]

COWORKING ED ECONOMIA COLLABORATIVA

dalla competizione alla condivisione

“Wassili chair” Marcel Breuer, 1925

Ciclo di incontri e seminari, ad ingresso libero, presso “Millepiani”, via Nicolò Odero 13, Roma

Fablab e le palestre dell’innovazione: le frontiere delle professioni e dell’artigianato Università, scuole, artigiani tradizionali e digitali, professionisti e imprese insieme per sperimentare le nuove forme dell’apprendimento e della produzione creativa, tra innovazione tecnologica, sociale e civica.

Come stanno evolvendo le professioni, l’artigianato e quale formazione necessita l’autoimprenditorialità in uno scenario di profondo rinnovamento dei processi produttivi? Ascoltiamo chi ha iniziato percorsi di innovazione sociale e produttiva, chi ha cominciato a “fare” innovazione nei territori, a coinvolgere la cittadinanza, a creare community, a costruire imprese creative, a formare i giovani guardando al mondo del lavoro che verrà.

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o scenario è vario, ci sono imprenditori, associazioni non profit, fondazioni, istituzioni, università che già lavorano in un’altra economia, che si confrontano sulle opportunità, i limiti, degli scenari che si stanno aprendo e di quelli che non si sono ancora aperti, sulle resistenze delle lobby economiche e politiche, su chi vuole effettivamente che questo Paese si innovi… Ci interroghiamo su quale sia realmente il cambiamento e su chi ne siano i veri attori, al di là delle retoriche di rito, nelle pratiche quotidiane di chi sta costruendo un nuovo modo di stare insieme e di produrre valore.

Fablab e le palestre dell’innovazione: le nuove frontiere delle professioni e dell’artigianato

venerdì 30 maggio 2014 ore 17,00 Millepiani, via Nicolò Odero 13 Roma

[Leonardo Zaccone] Roma Makers, FabLab Garbatella [Tommaso Spagnoli] SPQRWork [Alfonso Molina] Fondazione Mondo Digitale [Stephen Trueman] direttore Sapienza Innovazione [Fabio Mongelli] direttore Rufa - Rome Academy of Fine Arts [Marco Contini] Open Hub [Beniamino Bimonte] Useit [Maria Fermanelli] CNA nazionale

Coworking e spazi pubblici: la rigenerazione urbana

venerdì 13 giugno 2014 ore 17,00 Millepiani, via Nicolò Odero 13 Roma

[Andrea Catarci] pres. VIII Municipio [Carlo Infante] Stati Generali dell’innovazione [Marta Leonori] assessore alle Attività Produttive Roma Capitale [Paolo Masini] assessore alle Periferie Roma Capitale [Enrico Parisio] Millepiani [Andrea Santoro] pres. IX Municipio [Tommaso Spagnoli] SPQRWork [Carmelo Ursino] commissario straordinario LazioAdisu

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l riuso degli spazi pubblici urbani inutilizzati come sfida per le pubbliche amministrazioni in tema di lavoro, di sviluppo, di coesione civile.

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Con l’individualismo si perdono gli orizzonti, nessuno può più permettersi di restare solo [Lorenzo Tagliavanti] Direttore Cna di Roma e Lazio

Se il lavoro non c’è, è necessario condividere le conoscenze, metterle al servizio non solo di chi percorre lo stesso cammino, ma anche di chi ha scelto strade completamente diverse

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l mondo associativo riveste il ruolo di catalizzatore del sistema; di luogo di scambio tra associazioni e istituzioni; di punto di incontro tra idee innovative e tutela dei saperi tradizionali. È chiaro che se si parte da un’idea vecchia, si è già sconfitti e il percorso si è già concluso ancor prima di cominciare. Se al contrario si prende lo spunto da forze nuove, dando freschezza sin dal principio ad un percorso, si può andare molto lontano. La nostra idea è questa: con l’individualismo si perdono gli orizzonti, si rinuncia a sopravvivere. Si perde un’opportunità di crescita. Non lo nascondiamo: per tanto tempo isolarsi è stata una strategia per mettersi in competizione con il vicino o con il collega. Oggi nessuno può più permettersi di restare solo. Se gli spazi di lavoro si riducono, allora vanno condivisi quelli che ci sono. E se non ce ne sono è necessario cercarne di nuovi. E se il lavoro non c’è, è necessario condividere le conoscenze, metterle al servizio non solo di chi percorre lo stesso cammino, ma anche di chi ha scelto strade completamente diverse. Ecco da dove nasce l’economia condivisa: dalla messa a sistema delle conoscenze, dalle filiere creative, da una visione partecipata del futuro. Alle associazioni di imprenditori spetta il compito di utilizzare la forza interlocutiva nei confronti delle istituzioni per portare le istanze dei giovani creativi, del capitale umano in fermento, che non si ferma davanti ad un mercato del lavoro in sofferenza. Siamo davanti all’ennesimo giro di boa: nessuno sa dire quanti altri ancora ce ne aspettano. Ma è davanti agli occhi di tutti che il modo di assistere alla crisi è cambiato. Vedo più capacità di reazione rispetto alla prima fase. Meno lamentele e più proposte. Vedo più strumenti ed una platea pronta a sperimentarli: tanti giovani, ma non solo. E questo è un ulteriore punto di forza: l’unione tra nativi digitali e portatori di esperienze decennali, in campi anche di-

versi, farà la differenza. Il nostro compito è di raccogliere tutti questi elementi, metterli al servizio di chi li vuol cogliere. Chi altro, se non una grande associazione come la nostra, può recuperare e restituire un’identità, un valore di rappresentanza? Noi siamo pronti a raccogliere la sfida, a mettere a disposizione uno spazio partecipato che va dagli antichi saperi tradizionali ad una realtà 2.0.

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Tassametri contro smartphone, è scontro di “modernità” a Milano

[Giampiero Castellotti]

La vicenda dei tassisti contro Uber non è solo un fatto di cronaca. E’ in atto un’epocale collisione tra modelli economici

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ul banco degli “imputati” c’è Uber, l’innovativa applicazione tecnologica che permette di prenotare una berlina privata con autista attraverso lo smartphone (ad un costo leggermente superiore a quello del servizio pubblico). A difendere la propria categoria dalla concorrenza supertecnologica “d’importazione” ci sono i tassisti di Milano, dopo che i “cab” di Londra hanno dato vita ad analoghe proteste. Non si possono, però, liquidare come un semplice fatto di cronaca gli incidenti provocati dalla categoria delle auto pubbliche nel capoluogo lombardo, con presidi, striscioni di protesta e persino lanci di petardi e di uova ai giardini pubblici dove era prevista la presentazione del nuovo servizio della Uber (Uber-Pop) al Wired Next Fest. Rispetto alla singola vicenda delle “scaramucce”, c’è indubbiamente di più. E’ in atto un’epocale collisione tra modelli economici che investe anche il piano civile, i gangli sociali, il lavoro di ieri e di domani. Nel paese dei Guelfi e dei Ghibellini schierarsi nettamente per la difesa del lavoro dei tassisti e delle loro famiglie, come stanno facendo alcuni sindacati, o viceversa rivendicare la libertà del mercato e della concorrenza, o ancora auspicare nuovi orizzonti economici sull’onda dell’innovazione e di una più fattiva partecipazione, è un esercizio che non aiuta a capire a fondo. Semplificare, in questo caso, è quanto mai fuorviante. Una prima risposta, invece, viene proprio da una più approfondita cognizione della cosiddetta “economia collaborativa”, l’incontenibile rivoluzione tecnologica che sta scardinando strutture economiche che sembravano consolidate e che oggi vengono spinte sempre più verso un passato remoto. E’, di fatto, uno dei due protagonisti nelle querelle meneghina tra tassametri e smartphone. Qualche esempio di questo nuovo e articolato universo? Le applicazioni per il carsharing (condivisione di un’auto), che segnano anche il passagcon il contributo

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gio etico dal possesso all’uso del mezzo. Uber opera proprio in questo campo: un’app del cellulare attiva un trasporto a metà tra taxi e noleggio con autista. Dove chiunque può registrarsi anche per guidare l’autoveicolo. Analogo principio regola il coworking, condivisione ad alto tasso tecnologico dello stesso spazio operativo tra più professionisti, mentre piattaforme globali si rivolgono per lo stesso progetto a lavoratori cosiddetti “remoti”, sparsi per il mondo: è il caso di Elance o oDesk. Ed ancora il crowdfunding, finanziamento collettivo “dal basso” di un progetto condiviso (Kickstarter ne è un esempio) o il finanziamento peer-to-peer o p2p lending, incentrato su un rating condiviso, sorta di prestito “social” tramite la rete (Lendig Club, Prosper, Zopa e gli italiani Prestiamoci e Smartika i più noti). Poi la condivisione di alloggi (Air bnb la piattaforma più nota), l’attivazione dei più svariati servizi, dalle pulizie in casa all’organizzazione di un evento (Taskrabbit), la compra vendita di oggetti usati tramite l’elettronica (eBay, Craigslist), il baratto, il mondo


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dei makers, i creativi che lavorano principalmente con apparecchiature elettroniche, robotiche e con le innovative stampanti 3D, rinnovando il tradizionale fai-da-te. Fino ai picchi più etici, come Carrotmob, piattaforma attraverso cui si chiede ad un’azienda di intraprendere buone azioni in cambio della promessa di diventarne cliente. Tutto questo è economia collaborativa. Un fenomeno che non incarna soltanto un avanzamento informatico, dopo che internet ha cambiato il mondo e la sua prima evoluzione con l’epoca del web 2.0. ha trasfigurato l’interazione utenza e web grazie a social network (Facebook, Google+, Linkedin, Myspace, Twitter), piattaforme di condivisione di media (Flickr, Vimeo, YouTube), e altre applicazioni basate sulla reciprocità, come i forum, le chat, i wiki, i blog. Oltre all’automazione, che velocizza e facilita il trasferimento e l’elaborazione dei saperi ma inevitabilmente riduce la componente umana nel lavoro (e una sorta di “neoluddismo” potrebbe fare davvero poco per fermare questo tzunami), c’è dell’altro. Innovazione digitale e network sociali costituiscono il volano di una nuova era più attenta all’inclusione del consumatore nei processi produttivi: si pensi, ad esempio, al feedback sui prodotti e sulle strategie adottate, alla maggiore attenzione alle istanze dell’utente, è il caso della crescente sensibilità ecologica o dei bisogni della terza età, a cui va incontro la domicilizzazione delle consegne. La partecipazione diretta dei consumatori ai processi di creazione di valore è sempre maggiore e l’intermediazione viene vista come una pratica inutile e dannosa. L’economia collaborativa, la sharing economy, sta inoltre sovvertendo ruoli. Stiamo assistendo all’affermazione di un’economia nuova e dirompente, in cui le aziende coesistono con milioni di produttori autonomi che partecipano alla co-creazione di valore. Tutto ciò sta avvenendo da tempo negli Stati Uniti e nel Nord Europa e comincia a prendere piede anche da noi. Per trovare un filo comune e una sintesi adeguata di questa lunga e complessa serie di servizi si può ricorrere all’efficace definizione di Gabriele Sbaiz, che parla di un’economia incentrata su “relazioni di condivisione collaborativa”. C’è allora da domandarsi: potranno i tassisti milanesi fermare tutto ciò? Può un’amministrazione comunale oscurare applicazioni digitali? Ovviamente no, è la risposta. Si può andare oltre, ipotizzando lo sbarco anche nel nostro paese delle prime automobili senza autista, in sperimentazione a Singapore. Che fine farebbero, in quel caso, le migliaia di tassisti in tutta Italia? Va però aggiunto che l’innovazione non può essere considerata come un’icona non criticabile o profanabile, una sorta di processo ineluttabile che s’impone automaticamente a danno dell’esistente. Come tutti i fenomeni, va accompagnato, guidato, ottimizzato. Ma quasi sempre, nel nostro paese, la politica – che dovrebbe governare tali processi – è in ritardo o dolosamente del tutto assente. Le leggi rimangono vecchie, spesso volutamente per conservare l’esistente. E’ emblematico il caso dell’informazione, governata da una legge del 1963 che “legge” un mondo fatto principalmente di carta. L’irruzione delle nuove tecnologie,

di fronte a tali indugi, non può che accrescere i problemi – ad iniziare dal piano normativo - ed acuire i contrasti. Le pratiche sociali, soprattutto su questi terreni dell’innovazione, sono molto più avanti degli attori che dovrebbero gestirle. La vicenda dei tassisti milanesi – e di quelli londinesi – non è infatti isolata. In tutto il mondo, Italia compresa, gli albergatori accusano di concorrenza sleale gli operatori web. Non solo il vuoto normativo determina disparità fiscali, ma talvolta l’entità delle commissioni imposte dai colossi del web per includere le aziende più piccole in alcuni servizi turistici on-line è insostenibile. Le recenti polemiche contro Airbnb, uno di questi “giganti” del settore on-line, confermano l’insofferenza degli operatori tradizionali. Il cruento scontro tra interessi, allora, il muro contro muro, rappresenta l’aspetto più deteriore e controproducente per governare questi processi e il futuro in generale. L’irrigidimento delle posizioni, talvolta in forma di vere e proprie lobbies con i padrini politici di riferimento, finiscono per favorire proprio i processi meno governabili e fatali. Alla lunga a trarne vantaggio, paradossalmente, è il fenomeno più flessibile e svincolato da posizioni “de facto”. Non ci sono vecchie leggi, come quelle invocate dalle categorie in gioco, che possono arginare – volenti o nolenti - fenomeni ormai globali. Ecco perché la rivoluzione digitale, se non regolata con intelligenza, finirà non per cambiare le regole del gioco, ma per travolgerle.

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Funzione sociale e accesibilità

[Enrico Parisio]

La ridefinizione del concetto di proprietà non porta necessariamente ad una redistribuzione più equa delle risorse. La scelta sarà sempre più polarizzata tra neoliberismo finanziario e beni comuni.

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i è fatto un gran parlare di Fab lab, dei makers, trattati dai canali di informazione come fenomeni di punta della nuova economia digitale, fenomeni alla moda, spesso però non enucleando la reale portata di queste pratiche, sovente identificate come l’applicazione a livello produttivo delle “nuove tecnologie”. I Fab lab, viceversa, sono molto altro, prima di tutto sono dei luoghi di aggregazione e di condivisione. Usare degli strumenti senza necessariamente rivendicarne il possesso non è un fenomeno da poco, specialmente se è il frutto di pratiche cosiddette “dal basso”, cioè non governate e incentivate da un’azienda o da un ente pubblico. Specialmente se questi strumenti producono servizi di pubblica utilità, o prodotti “intelligenti”, cioè non usa e getta, ma adattbili e personalizzabili dagli utenti. Tutto ciò è ascrivibile ad un processo generale di decrescita che le economie occidentali (e non solo) stanno intraprendendo. Queste economie sono animate da una nuova consapevolezza etica dei cittadini che si autorganizzano spontaneamente, rigettando di fatto la società dei consumi, e tutti i suoi corollari. Ma coworking, Fab lab, piattaforme di sharing economy sono tutte realtà articolate e complesse, non riconducibili in toto all’autogoverno dei cittadini. L’impatto sociale che la sharing economy produce è ben evidenziato nell’articolo di Castellotti su questo numero, impatto che se da una parte genera un risparmio collettivo di risorse attraverso una gestione più razionale delle stesse, dall’altro travolge le imprese e le economie “tradizionali”, creando tensioni e reazioni preoccupanti per la tenuta complessiva del tessuto sociale. Le piattaforme di sharing economy sono imprese molto particolari. Nascono da start up, impiegano pochissimo personale, hanno una crescita di profitti impressionante. Profitti che sicuramente non rientrano in circon il contributo

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colo attraverso il salario, ma perloppiù remunerano capitali finanziari. La dialettica novecentesca tra capitale e lavoro, in questo senso di riconfigura a favore del primo. Ma qui, più che demonizzare l’innovazione, bisogna riflettere sulla debolezza delle istituzioni democratiche nel non sapere/volere mettere al centro delle politiche economiche il reddito e i bisogni dei cittadini. “Epocale” è anche senz’altro la riconfigurazione del diritto proprietario, da “sacro e inviolabile” ad accessibile e condiviso. Ma questa è una storia un po’ più lunga di quanto lo siano le start up innovative, e qui la politica può recitare un ruolo, se in passato è stata in grado di elaborare principi come quello che segue: “La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti”. Costituzione della Repubblica Italiana TITOLO III, art. 42. Parole scritte dai costituenti, la cui applicazione nell’attività legislativa ordinaria nella storia repubblicana è quantomeno discutibile (si pensi all’inerzia se non addirittura alla connivenza della politica con le forze che hanno cementificato il nostro Paese). Forse le nostre istituzioni democratiche (e antifasciste) non sono di fronte ad un problema, ma ad una grande occasione.


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Parte da Roma il servizio pubblico per l’innovazione

[Alfonso Molina] professor of Technology Strategy, University of Edinburgh direttore scientifico, Fondazione Mondo Digitale

La fondazione “Mondo digitale” e la sua Palestra dell’innovazione (Phyrtual innovation gym)

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ome fondazione “Mondo digitale”, struttura non profit che lavora per una società della conoscenza inclusiva, negli ultimi anni abbiamo concentrato le nostre forze soprattutto in cinque aree che insistono sulle maggiori criticità del sistema paese, dalla robotica educativa per migliorare le competenze Ict delle nuove generazioni (ma anche le soft skills) all’invecchiamento attivo. Lavoriamo così a un programma ambizioso di educazione per la vita, imprenditoria giovanile, innovazione, nuove professioni, con iniziative che coinvolgono partner di prestigio, dal pubblico al privato (Presidenza del Consiglio dei ministri, Inail, Google, Microsoft, Cna, ecc.) per rispondere con efficacia alle sfide di Europa 2020. Abbiamo trasformato il conflitto tra generazioni in alleanza formativa e opportunità occupazionale, a partire dall’esperienza di successo “Nonni su internet”, con cui abbiamo migliorato la qualità di vita di migliaia di anziani e responsabilizzato i nativi digitali: ora giovani e anziani possono anche imparare insieme a “fare il lavoro”. Nel bagaglio delle esperienze di successo ci sono già vari progetti: “Meet no Neet”, “e-Care Family”, “Tra generazioni: l’unione crea il lavoro” e “The Italian Makers”. Non solo abbiamo sviluppato una piattaforma ricca e innovativa per contenuti, attività, strumenti e progetti, che mettiamo a disposizione anche della pubblica amministrazione per promuovere la partecipazione dei cittadini in ogni ambito, ma abbiamo inventato, progettato e realizzato uno spazio firtuale (fisico e virtuale) dove sperimentare l’innovazione in tutte le sue dimensioni, la “Palestra dell’innovazione” (“Phyrtual innovation gym”). La “Palestra dell’innovazione” è un posto originale - romano, italiano e internazionale - dedicato all’autoconsapevolezza, la creatività, l’imprenditorialità e l’innovazione a tutto campo: tecnologica, sociale e civica. È uno spazio dove il lavoro di squadra, la collaborazione creativa e la solidarietà si nutrono di spirito di servizio alla comunità, al territorio, per la promozione del bene comune e di una cultura diffusa dell’innovazione. La “Palestra” è un luogo di incontro tra vecchie e nuove professioni, aperto al territorio, al mondo della scuola, alle imprese, alle università che ha come cuore pulsante i giovani. Si parla il linguaggio della fabbricazione (tradizionale e digitale), della sperimentazione e della creatività per stimolare la crescita professionale, l’auto imprenditoria ed esercitare le competenze del XXI secolo. Nell’InnovationGym, che si trova a Roma in via del Quadraro 102, sono presenti i seguenti spazi:

• FAB LAB è lo spazio dedicato alla fabbricazione tradizionale e digitale, animato dai nuovi artigiani, i makers, aperto al territorio e al mondo della scuola. Nel primo FabLab a Roma costruito secondo le indicazioni del MIT’s Center for Bits and Atoms si trovano stampante 3D Sharebot, stampante 3D PowerWASP, laser cutter, plotter, fresa, pantografo, levigatrice, tornio, trapano a colonna, saldatore. Tra le attività proposte ci sono laboratori e workshop aperti alle scuole e al pubblico e corsi professionalizzanti. • Al ROBOTIC CENTER si elaborano nuove metodologie didattiche per la formazione dei giovani nelle discipline e professioni scientifico-tecnologiche. Si sperimentano kit didattici con Ape Robot, We Do Lego, NXT Mindstorm, EV3, kit Energia Rinnovabile, saldatori da banco, Arduino, componenti elettronici. Tra le attività proposte laboratori di robotica e competizioni per scuole di ogni ordine e grado. • IDEATION ROOM è lo spazio didattico per favorire la creatività, l’innovazione a tutto campo e l’imprenditorialità attraverso l’esercizio dell’autoconsapevolezza, del problem solving, del decision-making, del business modelling, del disegno e del coding. Nell’Ideation Gym si trovano Lego Serious Play, lavagna con il contributo

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interattiva WII Remote, Root Cause Analysis Tools, Business Model Canvas, micro moduli didattici, software e app design challenges. • L’ACTIVITY SPACE è dedicato alla leadership, al team building, alla motivazione. Esercizi fisici e mentali, giochi e molto altro per apprendere e mettere in pratica le competenze del 21° secolo. Nell’Activity space si trovano ZoomeTool, Toobeez, palle, corde ecc. Abbiamo inaugurato la “Palestra dell’innovazione” due mesi fa, in occasione dell’ottava edizione della RomeCup, l’eccellenza della robotica a Roma, ma tutti gli spazi sono già pienamente operativi. Durante la settimana il Fab Lab è aperto ai maker e agli utenti autonomi nell’uso dei macchinari, il sabato invece è aperto al pubblico. Abbiamo già organizzato anche alcuni eventi come lo Scratch Day (17 maggio), l’Open Day “Impariamo insieme” con l’associazione “Genitori per il talento” (11 maggio), il workshop gratuito “Robot in kit” con il team di consulenti informatici di “Robot Domestici” (10 maggio), ecc. Eventi e attività sono documentate quotidianamente da news sul nostro sito e sui canali social, con immagini, audio, video ecc. Il Robotic Center ospita ogni mattina una o più classi delle scuole del territorio, con quattro diverse proposte, secondo l’età degli aspiranti progettisti • Ape Robot per le classi 1ª e 2ª della scuola primaria. Bee-bot (ape robot) è un giocattolo-robot progettato per la scuola dell’infanzia e per i primi anni della scuola primaria. Consente al bambino ad avvicinarsi con il gioco al mondo della robotica e ad apprendere le

basi dei linguaggi di programmazione, lo aiuta a visualizzare i percorsi nello spazio, a sviluppare la logica, a contare. • WeDo Lab per le classi 3ª, 4ª e 5ª della scuola primaria. Si usa il set di costruzione WeDo per la realizzazione e programmazione di semplici modelli Lego collegati a un computer, che permette agli studenti di fare esperienze didattiche manuali, trovare soluzioni creative alternative, lavorare in gruppo. • NXT per la scuola secondaria di primo grado. Consiste in costru-

zioni e tecnologia all’avanguardia con un mattoncino intelligente programmabile e un software di programmazione intuitivo e facile da usare, che stimola la creatività. • Energia rinnovabile per la scuola secondaria di primo e secondo grado. Con il kit energie rinnovabili di Lego Education le classi scoprono le potenzialità della robotica applicate alle nuove forme di energia. La “Palestra” fa uso di tutte le

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forme di apprendimento più avanzate e interlocutore privilegiato è sicuramente la scuola. Ma è anche un luogo dove si valorizza la conoscenza accumulata da decenni nella università e nell’industria che oggi, con lo sviluppo di open content, cloud computing, big data ecc., comincia a diventare disponibile attraverso forme di visualizzazione (visualization) e di analisi (analytics) innovative. La palestra così guarda sempre al futuro, alle opportunità e alle sfide che emergono della rapida evoluzione tecnologica e della società nel suo complesso. Guarda anche all’Europa cercando di contribuire al posizionamento di Roma e del Lazio tra le città e le regioni più innovative. Abbiamo un sogno. Immaginiamo che molte palestre dell’innovazione di differente misura e configurazioni nascano in città e, in particolare, nel mondo della scuola. Così come esistono i laboratori di fisica, chimica, informatica, e la palestra per l’educazione fisica, immaginiamo la creazione di palestre dell’innovazione “phyrtual” in tutte le scuole. Una volta lanciata la prima palestra “phyrtual,” vogliamo lanciare la sfida della creazione di palestre nella scuola. Cercheremmo di stimolare la formazione di squadre di insegnanti e ragazzi per lavorare in questa sfida, usando il crowdfunding e altre modalità per trovare le risorse necessarie. A completare la “Palestra dell’innovazione”, infatti, ci sono altri tre spazi per la condivisione: conference room, workshop room e phyrtual.org. E grazie a phyrtual.org, il primo ambiente di innovazione sociale basato su conoscenza, apprendi-


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mento e community building, il progetto Palestra dell’innovazione può connettersi con il resto del mondo e può auto sostenersi grazie al crowdfunding. Phyrtual sarà integrato con il Cloud della Solidarietà (Solidarity Cloud), un ambiente di supporto dove si trovano moduli didattici, apps, oggetti di conoscenza e di apprendimento per la formazione e la pratica del problem-solving, l’innovazione e l’imprenditoria. Il Solidarity Cloud è anche uno spazio per lo sviluppo di comunità di persone che vogliono contribuire alle esperienze formative dei giovani (es. artigiani e altri imprenditori che desiderano essere mentori o coaches) e alle esperienze di miglioramento della comunità. Completa il Solidarity Cloud, l’Open Community/Problem Store: uno spazio virtuale dedicato ai problemi e le opportunità provenienti dalla comunità di utenti (una sorta di “market pull"). Un esempio può essere un cittadino che pone un problema del territorio in cui vive e la community di phyrtual lo aiuta affrontando il problema come una sfida d’innovazione sociale. L'innovazione sociale ci mostra una nuova strada per il cambiamento basata su una moltitudine di iniziative dal basso, di esperimenti quotidiani. Phyrtual è un ambiente aperto e collettivo, dove ogni progetto di innovazione sociale accetta la sfida di trasformarsi in un movimento e ogni partecipante quella di diventare un innovatore. Così Phyrtual, progetto tra i progetti, accetta la sfida di diventare la piattaforma di servizio al movimento di innovazione sociale globale.

La PA alla svolta dell’economia collaborativa Al Forum PA la prima conferenza sul ruolo della pubblica amministrazione nella Sharing Economy Carsharing, alloggio condiviso, scambio e baratto. Tredici italiani su cento hanno usato almeno un servizio di sharing. Il 29 maggio presso il Forum PA a Roma, al Palazzo dei Congressi, avrà luogo la conferenza internazionale dedicata al rapporto tra pubblica amministrazione ed economia collaborativa, fenomeno in crescita a livello mondiale. La conferenza, denominata “Twist and Share. La PA alla svolta dell’economia collaborativa”, chiuderà la tradizionale manifestazione dedicata all’innovazione nella pubblica amministrazione e nei sistemi territoriali, che quest’anno si svolgerà proprio mentre il governo è impegnato sulla riforma della pubblica amministrazione (Renzi/Madia) e del terzo settore, in risposta alle profonde dinamiche di trasformazione sociale ed economica. I numeri della sharing economy - Inserita tra i Top5 trend del 2014 da osservatori internazionali come Forbes e Guardian, l’economia collaborativa descrive una vera e propria transizione di sistema, sollecitata e al tempo stesso abilitata da fattori di ordine tecnologico, economico, sociale e caratterizzata dall’adozione di meccanismi di condivisione e collaborazione tra cittadini, aziende e pubbliche amministrazioni lungo l’intera filiera di produzione, consumo e distribuzione del valore. In Usa ha scambiato o prestato dei beni il 52% delle persone, in Inghilterra il 64%. In Italia i numeri sono più bassi, eppure, secondo Marta Mainieri di “Collaboriamo”, con un 13% della popolazione che ha utilizzato almeno una volta servizi di sharing, l’economia collaborativa in Italia si avvicina al “tipping point” per la diffusione di un fenomeno tra la popolazione (individuato da Everett Rogers al 15%). A questo 13% si aggiunge un altro 10% che si dichiara interessato, mentre il 59% conosce il fenomeno almeno per sentito dire. Tra i servizi più utilizzati ci sono quelli legati alla mobilità (car-sharing), all’alloggio condiviso, allo scambio e al baratto. Tra le resistenze di chi non ha provato i servizi di sharing, le più diffuse riguardano sia la condivisione di beni di proprietà sia la fiducia verso gli altri. (Dati: Sharitaly, novembre 2013). Se pensiamo alle istanze sollevate nelle principali città europee (solo negli ultimi giorni arrivano notizie da Milano, Berlino, Bruxelles, Barcellona) in termini di: mobilità urbana, licenze e assicurazioni connesse al carsharing, al bikesharing e ai servizi di trasporto alternativo ai taxi come Uber; alle questioni fiscali legate a piattaforme di scambio di accoglienza e alloggio come Airbnb e alle questioni di sostenibilità e coesione sociale legate al cohousing, il collegamento è lampante. Sempre più alla pubblica amministrazione viene chiesto non solo di non ostacolare, ma di conoscere, governare e facilitare le nuove dinamiche che trovano nella città un naturale vivaio di sperimentazione e diffusione. In aggiunta,e non da ultimo, il paradigma sharing suggerisce alla pubblica amministrazione nuovi modelli organizzativi che la mettano in grado di governare la complessità sociale con cui è chiamata a interagire. All’iniziativa romano partecipano: Airbnb Italia, Uber Italia, ShareNL (la piattaforma che facendo di Amsterdam la prima sharing city europea), HousingLab, Sharexpo, Labsus - Laboratorio per la Sussidiarietà Comune di Bologna, European Freelancer Network, Cocoon Projects e Societing. Programma e iscrizioni: http://iniziative.forumpa.it/convegno/2014_d.06 con il contributo

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Clayton M. Christensen, il guru dell’innovazione

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Foto di Joe Pugliese/August

ella primavera del 2010, Clayton Christensen, professore di economia alla Harvard Business School, uno dei massimi esperti mondiali in materia di innovazione e di crescita (l’anno seguente sarà incluso sia da Forbes sia da Thinkers50 nella top dei più influenti “business thinker”), tiene un memorabile discorso di fine anno ai laureandi, caratterizzato dall’esperienza personale: il docente sta lottando contro un cancro, un linfoma follicolare, lo stesso che aveva strappato la vita del padre. Fa quindi un bilancio della propria esistenza, individuandone punti di forza e di debolezza. E’ un momento “confidenziale” decisamente inconsueto per un uomo di successo, insignito per ben cinque volte del premio McKinsey per il migliore articolo della “Harvard Business Review”. Ha scritto quattro libri tradotti in tutto il mondo. Il primo, “Il dilemma dell'innovatore”, finalizzato alla creazione al mantenimento di business innovativi e di successo, ha ricevuto il prestigioso Global Business Book Award per il miglior libro di business dell'anno. In questo testo l’autore ritiene che i manager non sappiano cogliere le opportunità offerte dalle innovazioni “scardinanti” in quanto troppo focalizzati sul core business e sui clienti più profittevoli. Christensen auspica il rovescio della prospettiva, proponendo al lettore come creare innovazione. In altri due libri ha focalizzato l’analisi dell’innovazione dirompente su aree sociali, come quelle dell’istruzione e della sanità: il primo analizza le cause per cui le scuole faticano a offrire soluzioni, nel secondo offre soluzioni per il sistema sanitario americano. Il quinto libro sarà il frutto proprio di questa lunga “chiacchierata” con gli studenti. Dal discorso nasce infatti l’ispirazione per scrivere “Fare i conti con la vita”, volume pubblicato in Italia da Mondadori nel 2013 e che ha contribuito all’affermazione presso un vasto pubblico delle argomentazioni proposte da Christensen. Il testo raccoglie una forte testimo-

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nianza sul senso delle scelte che si compiono ogni giorno e sul valore che, magari anche inconsapevolmente, diamo a ciò che facciamo. In sostanza spiega come sia possibile applicare alcune teorie sulla gestione d’impresa alla ricerca della felicità, personale e professionale. Attingendo alle sue ricerche in ambito aziendale, l’autore offre una serie di linee guida per conseguire senso e felicità nella vita. Usa inoltre esempi tratti dalla sua esperienza per spiegare come si può facilmente cadere nelle trappole che portano all'infelicità. “Fare i conti con la vita” parte dalla constatazione che l’obiettivo della maggior parte delle persone è quello di raggiungere il benessere, di avere un’esistenza tranquilla e serena, ricca di soddisfazioni nel lavoro e nella sfera privata. Purtroppo, però, non tutti riescono a raggiungerlo. In questo periodo di crisi globale, tra l’altro, il numero di chi “sta bene” tende a ridursi considerevolmente. Christensen, allora, ipotizza che i tanti insuccessi dipendano dalla mancanza di una buona strategia nel far fronte ai


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problemi che di volta in volta si presentano e che spesso, purtroppo, paiono insormontabili. Scrive l’autore: “Spesso si crede che il modo migliore per prevedere il futuro sia raccogliere quanti più dati possibili e prendere una decisione, ma sarebbe come guidare l’auto guardando solo nello specchietto retrovisore, ovvero al passato. L’esperienza è importante, ma non sempre possiamo permetterci di imparare sul campo. Le teorie ci aiutano a prevedere quello che accadrà”. Quindi, come avviene nelle aziende, le strategie sono basilari così com’è fondamentale saperle cambiare strada facendo se non funzionano. Chirstensen ricorda la storia della Honda che sbarcò sul mercato statunitense per fare concorrenza alle Harley-Davidson. Rischiava il fallimento, poi scoprì per caso che i suoi motorini piacevano più delle moto e conquistò l’America. “Molti prodotti falliscono perché le aziende si concentrano su ciò che vogliono vendere ai clienti invece che sulle reali necessità di questi ultimi – sentenzia ancora Christensen. “Lo stesso vale per le relazioni personali”. E cita il caso di una società di fast food che per incrementare le vendite ha saputo intercettare le esigenze dei clienti anche relative ad un semplice frappè: la bevanda doveva essere in grado di soddisfare esigenze diverse, a seconda del momento della giornata in cui veniva acquistata. Così decise di adattarne consistenza e composizione. Da qui la sua personale “ricetta”: concepire la vita umana come quella di una grande azienda, nel cui bilancio i guadagni devono sempre e comunque superare le

perdite, pena il fallimento. Insomma, dietro alle aziende di successo ci sono sempre modelli economici efficaci, per cui andrebbero applicati con indiscutibili vantaggi anche alle nostre piccole scelte quotidiane. Christensen, che oggi ha 62 anni, è uno dei guru riconosciuti per i temi dell’innovazione. Ha cinque lauree honoris causa ed è professore onorario presso Tsinghua University in Taiwan, oltre ai suoi tradizionali e seguitissimi corsi ad Harvard (dove è di ruolo dal 1998) su come costruire e gestire un’azienda di successo. Americano di Salt Lake City, nello Utah, mormone praticante, secondo di otto figli, laurea con il massimo dei voti in Economia alla Brigham Young University, poi M.Phil. in Econometria applicata dei paesi meno sviluppati presso Oxford, quindi MBA e DBA presso

Harvard, è stato anche presidente e membro del consiglio di amministrazione di grandi aziende e fondatore di società di consulenza come Innosight, presente anche negli investimenti in India, e Rose Park Advisors LLC, società di investimento. Attualmente vive a Belmont, in Massachusetts. E’ sposato con Christine e ha cinque figli: Matteo, Ann, Michael, Spencer e Kate.

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LA SOCIETÀ, IL BUSINESS E L'ECONOMIA COLLABORATIVA: MODELLI E SCENARI FABLAB E LE PALESTRE DELL’INNOVAZIONE: LE NUOVE FRONTIERE DELLE PROFESSIONI COWORKING E DELL’ARTIGIANATO30/5/2014 E SPAZI PUBBLICI: LA RIGENERAZIONE URBANA 13/6/2014

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