Autrici! Otto fiabe per tutti... tranne una

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“Essere donne e aver perso temporaneamente la libertà al culmine di storie di vita difficili, complicate, a volte tragiche. Storie per tutti, di tutti. Un atto creativo, vitale, generativo di Giustizia e Riparazione…”

A cura di D.F. Nirchio A. de Giorgio

Autrici!

Otto fiabe per tutti…

tranne una

A

cura di Damiano Francesco Nirchio e Anna de Giorgio

Autrici!

Otto fiabe per tutti… tranne una

edizioni la meridiana

Le detenute della Casa di Reclusione Femminile di Trani, che hanno partecipato al progetto “Autrici”, hanno ben compreso il senso profondo dell’interessante iniziativa di giustizia riparativa, accogliendo con entusiasmo questa occasione per restituire alla società qualcosa di “utile”. L’obiettivo è stato costruire e diffondere un messaggio di disponibilità al cambiamento, offrendo un’importante testimonianza di come il dolore e la consapevolezza del danno arrecato possano trasformarsi in un racconto carico di speranza e di voglia di riscatto. Riscrivere la propria storia trasformandola in una fiaba è stato un gioco serio che ha posto le detenute di fronte alla difficoltà di misurarsi con i propri limiti e ha restituito loro la capacità di autodeterminazione e autoefficacia, importanti elementi utili per la piena realizzazione del progetto rieducativo e di reinserimento sociale a cui l’esecuzione della pena deve tendere.

Giuseppe Altomare Direttore del Carcere di Trani

IndIce Prefazione ................................................................................ 9 di Damiano Francesco Nirchio e Anna de Giorgio Prefazione (per i piccoli lettori) ............................................ 13 I tre melograni ...................................................................... 15 di Nicoletta La pentola magica ................................................................ 19 di Nunzia Le piume bianche ................................................................. 25 di Rita Il campo di lenticchie ........................................................... 31 di Lucia Una vita difficile .................................................................. 37 di Donatella La zucca magica ................................................................... 43 di Silvana La fanciulla e il lupo ............................................................ 51 di Pina Sabbia d’oro ......................................................................... 57 di Ada Appendice Maria .................................................................................... 65 di Maria

PrefA zione

“Autrici…!”

Strilla l’assistente in servizio per chiamare tutte le corsiste al laboratorio, sperando che tutte sentano: la parola riecheggia nella quiete del primo pomeriggio al piano superiore, per le scale, e permane a lungo tra le alte volte di pietra di quell’ex convento che oggi è la Casa di reclusione femminile di Trani. Avevamo immaginato il titolo per questo progetto come un gioco che liberasse quella espressione, “autrici”, dall’ordinario processo di disambiguazione che quotidianamente subisce, quantomeno in tema di giustizia. Quel risoluto punto esclamativo provava a escludere la possibilità di sottintendere unicamente, come unico ovvio completamento, la parola “reato”: si può essere “autori” in molteplici modi compreso quello, a noi più caro, artistico e letterario.

Affermare questo principio in un carcere, mettendo la parola in questione in antitesi a quel contesto che la definisce e la marchia da sempre con un contratto di pressoché totale esclusività, ci pareva un’operazione da fare subito, già dall’incipit, per sgombrare ogni dubbio. Quello che non avevamo immaginato è che quella locuzione esclamativa sarebbe da subito sfuggita dal suo proposito squisitamente letterario, per entrare nel linguaggio quotidiano e riscriverlo: una volta spenta l’eco della parola in questione che le ha richiamate, le signore rispondono a quell’appello scendendo a piano terra alla spicciolata con penne, matite, taccuini, quaderni, libri, appunti sparsi e fogli maltrattati dalle cancellature e dalle integrazioni… Un calembour semantico è subito diventato denominazione, parola che qualifica e definisce: una nuova patente al cui

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richiamo non risponde una sfilata di criminali impenitenti, ma un certo numero di donne profondamente impegnate in un nuovo atto creativo sulla scrittura di… fiabe.

Ma cosa c’entrerebbero poi le fiabe con il racconto autobiografico? Cosa mai avrebbero a che fare quelle storie antiche con le vite straziate e strazianti di queste possibili scrittrici? E la domanda è la stessa che leggiamo negli occhi delle corsiste nelle primissime battute del lavoro comune.

“Nulla”, verrebbe da rispondere, se si continua a reputare le prime come delle storielle per l’intrattenimento dei bambini e le seconde come storie di un’umanità scandalosa, inenarrabile, mostruosa, adatta solo a un pubblico adulto e fin troppo superficialmente curioso.

“Tutto”, si risponderebbe invece, se al formidabile patrimonio popolare simbolico della fiaba tradizionale si riconosce lo stesso valore allegorico del mito: una codifica di archetipi che, liberati dalle censure e dalle edulcorazioni operate nei secoli, sono ancora oggi il più fedele specchio delle vicende umane di ogni tempo.

“Tutto”, ancora, se le storie di vita di chi incontra la Legge e la punizione smettono di essere oggetto di rimozione, se non di obliterazione e oblio, ma diventano addirittura paradigma, testimonianza, strumento educativo e trasformativo non solo per l’individuo, ma per la comunità che si è tradita e da cui si è stati spesso traditi.

È in questo ultimo aspetto che risiede il valore “riparativo” e di “giustizia”: mettere al servizio di un pubblico ampio, popolare, intergenerazionale il racconto (scritto e orale) della propria vicenda – attraverso funzioni simboliche che trovino immediata corrispondenza nell’immaginario di grandi e piccoli – dimostra che le storie del singolo sono sempre immancabilmente collettive, anche quelle più scomode, difficilmente ricevibili.

È il canone stesso della fiaba tradizionale a prevedere il superamento di crisi, conflitti e traumi grazie alla collettiva e insperata costruzione di un equilibrio nuovo; una crescita, una

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trasformazione che non possono prescindere da uno sforzo che l’eroe e l’eroina fanno insieme ad “altri”.

Di tutte le funzioni della fiaba di cui ci dice Propp è proprio il “lieto fine” (superamento o soluzione) il grande assente nelle prime bozze affidateci dalle nostre autrici: lo spazio e il tempo in cui le nostre strade si incrociano potrebbero essere, a buon diritto, definiti il culmine di una peripezia o il fondo di una situazione senza uscita. E allora? Come potrebbero rimanere “fiabe” senza una funzione così determinante? Non resterebbe che fidarsi del fatto che in letteratura come in matematica possa esistere una sorta di “proprietà commutativa”: se ciò che è stato può diventare racconto, allora il racconto può anticipare ciò che sarà. Se, in ferrea coerenza con quanto già narrato, ci si scopre capaci di “progettare” il proprio finale nel laboratorio alchemico della creazione letteraria, nel piano della realtà si potrebbe scoprire che si sarà fatto ben più di un innocuo esercizio di scrittura creativa.

Le signore ospiti del laboratorio sono state invitate a inventare ciò che ancora manca, ciò che non è stato ancora possibile, in una severa mediazione tra i propri desideri e la realtà, come sempre esige il linguaggio fiabesco della tradizione.

Infine, la Voce. Questo è anche un audiolibro.

Più di una firma, di un marchio di appartenenza, ribadisce il proprio diritto di autrice. È un metterci la faccia, e tutto il corpo, attraverso una sua porzione, l’unica che possa al momento vibrare fuori dai confini prescritti e raggiungere i lettori e gli ascoltatori. Una “parte per il tutto” che non mente, non inganna, risuona di emozioni condivise: sogno, nostalgia, dolore, rassegnazione, bisogno di riscatto, gioia, speranza…

Nel libro ci sono otto fiabe che possono essere lette e ascoltate da tutti cliccando sul link presente alla fine di ogni storia: il bambino anagrafico ne subirà il fascino dell’originalità; il bambino interiore del lettore adulto e razionale non farà fatica a cogliere tutta la vita che pulsa dietro quei racconti.

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L’ultimo racconto, il nono e ultimo componimento, non è una fiaba: l’autrice ha desiderato fortemente che il suo lungo e generoso racconto si fermasse sulla soglia del linguaggio fiabesco, senza entrarvi. È una scelta di servizio, per sé e per le proprie compagne, affinché il lettore più strutturato possa scorgere con esattezza tutto ciò che nelle altre fiabe scorre impetuoso sotto la superficie. Stessa pasta, ma forma (letteraria) differente.

La pubblicazione di questo lavoro attraverso una casa editrice nelle sue collane ne sancisce il senso “riparativo”: l’incontro con un grande numero di bambini, giovani, adulti, studiosi, docenti, professionisti e, non ultimi, le proprie famiglie o contesti di provenienza, chiude il cerchio. Si spera “tanti” cerchi.

La forma digitale e la gratuità dell’elaborato si auspica possa moltiplicare il numero di questi incontri.

Ogni fiaba è corredata da una breve presentazione dell’autrice: non vi si troveranno curricula, studi, premi, bibliografie di alcun tipo, ma una semplice letteraria carezza che, da curatori, abbiamo voluto dedicare a ognuna di loro.

Alla loro inattesa generosità. Alle loro speranze.

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PrefA zione (Per i Piccoli lettori)

Per essere “monelli” ci vuole molta fantasia.

Non è cosa facile o che possano fare tutti. Sembra strano, ma ci vuole ingegno, pensiero, studio, passione e un pizzico di genialità.

Il Lupo, per esempio, s’inventa una gara di corsa nel bosco con Cappuccetto Rosso e si traveste da nonna…

La Matrigna di Biancaneve avvelena una bella mela e si finge anziana fruttivendola a domicilio…

Anche per essere artisti (scrittori, attori, pittori, ecc.) ci vuole molta fantasia.

Non è cosa facile o che possano fare tutti. Ci vuole ingegno, pensiero, studio, passione e un pizzico di genialità. Ma serve una cosa in più, che i monelli a volte dimenticano o smarriscono per le strade della vita: l’Amore.

Se ai monelli si riesce a restituire l’Amore allora, a volte, possono diventare artisti.

E magari scrivere e riscrivere bellissime storie nuove come quelle contenute in questo libro.

Persino la propria.

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i tre melogr Ani

Nicoletta ha parole che profumano di pane appena sfornato. La sua sola presenza, i suoi sorrisi appena trattenuti, le mani bianche poggiate sulle ginocchia sono un abbraccio che protegge dalle brutture del mondo. Nicoletta oggi assomiglia più alla saggia fata che alla bambina indifesa di cui ci racconta nella sua fiaba. Non importa se abbia voluto o dovuto attuare questo bel mutamento: oggi la sua magia protettrice si spande per gli altri senza il rancore di non averla ricevuta per prima a suo tempo. Le sue parole sono una mano di madre che stringe quella del lettore (e dell’ascoltatore) e lo porta in salvo. Al sicuro.

C’era una volta una bimba di nome Sole, la maggiore di quattro sorelle. Tutte vivevano con mamma e papà in una casetta in campagna vicino a un grande albero di melograno. Sole era allegra, felice, spensierata, collaborava nelle faccende di casa con la sua cara mamma e non appena terminate le cose da fare correva fuori dal suo amico albero e gli raccontava tutto: le sue paure, i suoi sogni, tutto ciò che le passava per la mente. Era il suo confidente.

Purtroppo, un brutto giorno, il suo caro papà si ammalò e in breve tempo morì lasciando sole lei, la mamma e le sue sorelline. Sole pianse e si disperò perché il suo papà non c’era più, ma trovò un po’ di conforto nel suo amico albero. Andò a trovarlo e si inginocchiò in silenzio vicino alle sue forti radici: le sue lacrime caddero sul terreno come piccoli diamanti ed

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ecco che proprio in quel momento apparve una fata bellissima dai lunghi capelli color argento che le disse di non essere triste. Sole la guardò con stupore e le chiese chi fosse e cosa volesse da lei.

Allora la fata le mostrò, aprendo il palmo della sua mano delicata, tre piccoli melograni d’oro e le disse di sceglierne uno e di esprimere un desiderio. Sole obbedì e così prese un melograno tra le mani, chiuse gli occhi ed espresse in silenzio, dentro di sé, il suo desiderio.

La fata le fece una carezza e le ricordò che da quel momento avrebbe avuto a disposizione altri due desideri. Sole la ringraziò e la salutò con una nuova gioia nel cuore.

Nei giorni seguenti avvenne che bussò alla porta della loro casa un signore bello e distinto, che arrivava da molto lontano e chiese ospitalità per una notte. Sole chiamò la mamma e insieme decisero di ospitare quel signore che disse di chiamarsi Adim.

La mattina seguente fecero tutti colazione insieme e lo straniero e la sua mamma andarono subito d’accordo: Sole ne fu felice, perché era proprio quello che aveva desiderato quando la fatina le aveva dato il melograno. Così, da quel giorno, Adim non andò più via.

Il tempo trascorreva sereno senza alcun problema: era lui che pensava alla famiglia con grande impegno e generosità, proprio come il suo caro papà, e la cosa che più gratificava Sole era vedere la sua mamma finalmente felice.

Un giorno le sorelle e la mamma uscirono per andare a fare compere, mentre Sole e il suo patrigno rimasero a casa. Ad un tratto Adim si avvicinò alla bimba e le accarezzò i suoi lunghi capelli e così anche il viso, poi arrivò al collo… e di colpo le strappò la collana con un ciondolo a forma di cuore che impressa aveva la foto di suo padre. Il suo viso era cambiato, non più l’uomo bello e gentile, ma un Orco con un ghigno da essere malvagio che provava piacere a fare del male a chi non poteva difendersi. E così, presa con la forza la collana, la buttò via nel fuoco per il semplice gusto di veder soffrire la povera Sole.

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Sole gridò, pianse, si disperò. L’Orco le stava rubando la sua cosa più preziosa. Ma l’Orco non ebbe alcuna pietà per lei. Infine le disse di non farne parola con nessuno, altrimenti sarebbero stati guai anche per la sua cara mamma e le sorelle. Il tempo passò ma Sole era sempre più triste, come se quell’Orco le avesse rubato l’anima. Era proprio così che si sentiva. Una mattina si svegliò e sentì tanto il desiderio di correre dal suo amico albero: gli raccontò tutto, a lui che era il suo unico confidente. Ed ecco che apparve la sua fatina che le disse di aver ascoltato e che, se avesse voluto, avrebbe potuto esprimere un altro desiderio, avendo a disposizione altri due melograni. Sole non se lo fece ripetere due volte e così prese il secondo melograno e desiderò il meglio per la sua famiglia e di far sparire al più presto quell’Orco cattivo.

E così fu.

Da quel momento Sole visse tranquilla e felice con la sua mamma e le sue sorelle.

So cosa state pensando, miei cari e generosi lettori… avete ragione: resta un ultimo melograno.

Allora vorrei regalarlo a ognuno di voi, con l’augurio di farne buon uso…

https://youtu.be/iAkAuNRoBds

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Damiano Francesco Nirchio, laureato in Lettere, papà, viaggiatore e musicista per diletto. Attore, regista e drammaturgo: i suoi spettacoli incontrano da 25 anni piccoli e grandi in Italia e all’estero raccogliendo premi e riconoscimenti. È mediatore e formatore nell’albo ministeriale per la Giustizia Riparativa, nonché mediatore familiare. Studioso della Fiaba Tradizionale lavora nel campo delle disabilità, del disagio e della devianza. Co-fondatore della Compagnia SENZA PIUME, contenitore della sua ricerca umana e artistica. Collaboratore ventennale della Cooperativa C.R.I.S.I. con cui si è formato e continua a formarsi. Con le due realtà sperimenta processi educativi e interventi “ad arte” nei conflitti di comunità.

Anna De Giorgio, laureata in Giurisprudenza, mamma, giramondo. Artista per professione. Si forma come attrice e lavora per molti anni nella prosa e nel teatro per le nuove generazioni; firma le regie degli spettacoli della sua Compagnia SENZA PIUME, di cui è Presidente e co-fondatrice. I suoi spettacoli tout poublic incontrano il pubblico italiano e straniero da quasi vent’anni. Esperta in processi educativi a partire dalla pedagogia teatrale, attraversa il mondo della scuola di ogni ordine e grado e della formazione concentrandosi su devianza e marginalità. Operatrice di Giustizia Riparativa mescola nella pratica e negli interventi di comunità i suoi diversi saperi umani e artistici.

ISBN 979-12-5626-022-5

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