Laroccaagosto 2015 (1)

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Anno XXII Agosto 2015 â‚Ź. 1,00 Copia omaggio

Dimostranza: 350 anni di fede Giubileo straordinario per la Parrocchia di Marineo Ricette: Venere mari e monti

Premio Marineo: t o ri i poeti vinci

Libri e spettacolo


IN QUESTO NUMERO: Attività della Fondazione: Certificazione Trinity I poeti vincitori del Premio Marineo Università Popolare, gli attestati agli allievi Prima pagina: Dimostranza di San Ciro: 350 anni di fede e tradizione Giubileo straordinario per la parrocchia di Marineo Ricette:  Venere: non solo divinità ed astro del cielo Musica:  The Endless River Studenti fuori sede:  Da Marineo a Bologna: viaggio di solo andata Storie di vita:  Fraula e limoni... arrifriscativi u pizzu! Formazione: Il mito di Medea: quando le madri uccidono i figli Cocoricò! Ci riguarda? Il segreto per vivere meglio e più a lungo Il dialogo e le emozioni al tempo di Whatsapp Sport: Oratorio calcio


l’editoriale

Il coraggio della conversione di Giovanni Perrone

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roseguono gli sbarchi di centinaia e centinaia di persone che sfuggono da molteplici e gravi situazioni di violenza e disagio, cercando un futuro migliore. Di fronte a questo evento epocale ognuno, ai vari livelli, la pensa ed agisce a modo suo. Molti sono generosamente impegnati nell’accoglienza, altri vergognosamente approfittano di questi “sventurati”; ci sono strutture di accoglienza ben gestite, ma purtroppo spesso sovraffollate, e ci sono strutture, seppur completate, inspiegabilmente e negligentemente vuote. Di fronte ai molti esempi di apertura e disponibilità, sono notevoli, anche dalle nostre parti, atteggiamenti d’insensibilità, diffidenza, rifiuto, sterile commiserazione, delinquente sfruttamento, razzismo. Gli immigrati sovente sono considerati sciagura, peso, male incurabile, intralcio allo sviluppo del nostro Paese e dell’Europa. Eppure non è così. A proposito, Galli della Loggia, noto editorialista del Corriere della Sera, scrive: “Degli immigrati noi abbiamo bisogno: nel giro di pochi decenni la nostra economia si fermerà, e saremo condannati a divenire una società di vecchi poveri, isterilita, priva di energie vitali, di creatività. L’Italia non fa più figli: ha bisogno di ringiovanire. La demografia non è una favola, è una scienza: senza l’immigrazione ci avvieremo a una lenta ma irreparabile scomparsa. Quanti dei nostri cittadini ne sono consapevoli?” Anche i nostri concittadini, emigrati nelle Americhe agli inizi del secolo scorso, furono considerati e trattati come intrusi, “ruba-lavoro”, nullafacenti. Eppure, con il loro impegno, contribuirono e contribuiscono allo

sviluppo dei Paesi che li hanno, spesso malvolentieri, accolti. Non serve affaticarsi e gettar soldi per costruire muri e barriere. Mai è servito! Di fronte all’inarrestabile fenomeno occorre obiettività, voglia e coraggio di cambiare mentalità, sapendo trasformare quel che consideriamo “danno” in opportunità radicata nell’amore, nella condivisione e nella reciproca valorizzazione. Il settimanale Famiglia Cristiana, a proposito, cita il caso di un paesino calabro che, saggiamente, ha saputo pensare ed operare in maniera diversa. Così scrive: “Riace era un paese in agonia; molte case si erano svuotate, il commercio e l’economia languivano. Non c’era da sperare in un futuro roseo. Il coraggio dell’allora sindaco che ha deciso di accogliere gli immigrati, mettendo a disposizione le case vuote ed abbandonate, ha fatto rifiorire e rinascere il paese. Qui l’accoglienza si è trasformata in risorsa economica. E’ ripartita l’attività artigianale, si sono creati posti letto per i turisti … Riace è si la città dei Bronzi, ma ora è più conosciuta come la città dell’accoglienza”. A proposito d’immigrati e di chi vergognosamente specula – in vario modo – su loro, si è molto discusso sugli scandali emersi in varie città in quest’ultimo anno. Purtroppo, ci sono sempre serpi, sciacalli ed avvoltoi pronti alla truffa per lucrare sulle miserie o sull’inavvedutezza o finanche sulla bontà altrui, facendo della menzogna e dell’arraffare il progetto di ogni loro giornata e lo stile della loro vita. Anche nelle famiglie talora capita che il cosiddetto più furbo approfitti del consanguineo più buono o ritenuto

più fesso. E, magari, s’illude di farlo a fin di bene o per ristabilire qualcosa che si ritiene doverosa e giusta! Molti, purtroppo, credono che la scaltrezza consista nel frodare il prossimo. Perciò c’è tanta sciacallaggine in giro, talora sfacciatamente ostentata! Essa è un cancro che, se non si cura adeguatamente e presto, produce mortali metastasi le quali possono contagiare l’ambiente. Lo ‘sciacallo’ non è altro che un truffatore e ladro, anche se ben vestito e con le “carte a posto”. Non gli interessa né il bene altrui né quello comune, al posto del cervello e del cuore tiene il portafoglio. L’annuale festa di San Ciro ci aiuti a riflettere sul nostro quotidiano impegno nel fare del bene, nel non approfittare degli altri, nel riparare al male fatto, nel restituire il maltolto, nel perdonare. San Ciro era chiamato l’anargiro, persona che non va a caccia di soldi, che non sfrutta gli altri, ma piuttosto li aiuta, facendosi generosamente dono per tutti. Il giubileo universale e quello straordinario concesso alla nostra Parrocchia sono l’invito/impegno a restituire ciò che abbiamo tolto agli altri, a ripagare con il bene il male fatto, a divenire misericordiosi e benefattori, a prestare attenzione ai più bisognosi. La lunga processione dietro all’urna del Santo non può essere autoreferente percorso di ostentazione, ma piuttosto consapevole esame di coscienza all’interno di un coraggioso cammino di conversione. L’ostentazione e la falsità offendono il santo. La conversione è la vera ed unica devozione: ci permette di procedere con san Ciro, per sentieri di pace e di giustizia, di vera e duratura felicità, alla conquista della santità.

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la rocca

attiVità della FoNdaZioNe

Certificazione Trinity per gli allievi della Fondazione Foto di G. Taormina

riconosciute da molte facoltà universitarie per l'ammissione e per i crediti universitari, per i giovani sono una carta vincente nel proprio curriculum vitae.

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n linea con lo scopo di offrire progetti formativi mirati alla formazione culturale e alla qualifica professionale dei giovani, la Fondazione Culturale “G. Arnone” ha organizzato nei mesi di gennaiomaggio 2015 il corso di Lingua inglese finalizzato alla preparazione per il conseguimento della certificazione internazionale Trinity del livello di competenza linguistica B1 delineato dal Consiglio europeo nel Quadro comune europeo di riferimento per la conoscenza delle lingue. Spinti dalla necessità di possedere competenze linguistiche certificate e riconosciute a livello internazionale e nel mondo professionale, io e altri giovani abbiamo colto con entusiasmo l’opportunità che ci è stata offerta. E’ indiscussa, infatti, l’importanza della conoscenza delle lingua inglese che rappresenta non solo un’occasione di crescita personale e professionale, ma

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anche uno strumento necessario per allargare i propri orizzonti, abbattendo le barriere comunicative che ostacolano l’incontro con l’altro “diverso” da noi. Le lezioni, svoltesi dal 26 gennaio all’8 maggio 2015 (per un totale di 80 ore), sono state tenute dal docente madrelingua, il professore Andrea Masi, che ci ha incentivati al dialogo interattivo e ci ha preparati alla produzione di testi scritti (e-mail, lettere, report, articoli) al fine di migliorare le nostre abilità sia orali che scritte. Importanti sono stati anche il contributo della Coordinatrice del corso, la prof.ssa Margherita Ferrantelli e il prezioso incoraggiamento di Marta Raineri. L’impegno nello studio e l’interesse per la lingua inglese ci hanno permesso di ottenere la certificazione del livello di competenza linguistica B1-livello intermedio, grazie al superamento dell’esame

sostenuto alla fine del corso che è stato finalizzato alla valutazione delle nostre competenze di comprensione, di interazione e di produzione scritta della lingua inglese mediante tre prove distinte: la presentazione di un portfolio di elaborati scritti, una prova formale di lettura e scrittura ed un colloquio individuale con un esaminatore Trinity. Alla luce di questa valida esperienza formativa, mi preme sottolineare l’importanza di possedere una certificazione delle abilità linguistiche sia per i giovani che vogliono intraprendere o sono già impegnati in un percorso di studio universitario, sia per coloro che vogliono essere più competitivi nel mondo del lavoro. Per i primi, infatti, le certificazioni di lingua inglese sono riconosciute da molte facoltà universitarie per l'ammissione e per i crediti universitari. Esse, inoltre, sono valutate come crediti formativi per l'esame di Stato secondo la normativa vigente. Per i secondi, invece, il possesso di una certificazione linguistica rappresenta una carta vincente nel curriculum vitae da spendere in qualsiasi ambito professionale per avere maggiori opportunità di esperienze lavorative e di crescita. Lo studio dell’inglese e delle altre lingue: un valido investimento per il proprio futuro! Valentina Santantonio


Premio Marineo

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I poeti vincitori del Premio Marineo Sezione opere edite in lingua italiana vinta dal poeta e saggista romano roberto deidier. targa speciale Zef Chiaramonte esperto di lingua e cultura arbëro-albanese.

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pere di grande valenza, sostenute da originali intuizioni poetico-letterarie: è stata questa, in sintesi, la valutazione che la giuria del premio intenazionale di poesia “Città di Marineo”, organizzato dalle Fondazioni Culturali “G. Arnone”, ha espresso al termine della designazione dei premi ai poeti partecipanti alla quarantunesima edizione. La commissione, composta da Flora Di Legami, Salvatore Di Marco, Giovanni Perrone, Ida Rampolla del Tindaro, Tommaso Romano, Michela Sacco Messineo, Ciro Spataro, ha inoltre assegnato un riconoscimento speciale a Seba-

Roberto Deidier

stiano Lo Monaco, attore che recentemente si è distinto per aver portato in scena un progetto di educazione culturale rivolto alle nuove generazioni, facendo comprendere come

il teatro possa aiutare a recuperare quei valori civici nei quali si radica la comunità nazionale. Nella sezione opere edite in lingua italiana il primo premio è stato attribuito al poeta e saggista romano Roberto Deidier per il volume “Solstizio”, edizioni Mondadori. Il volume nel suo insieme segna il passo, la vita dell’autore stesso. Come spiega lo stesso autore ci sono voluti molti anni per scrivere e pubblicare quest’ultimo lavoro, che è il punto di arrivo di un lungo percorso di ricerca. Come in quasi tutta la poesia di Deidier, anche in questa raccolta il viaggio occupa una posizione predominante. Vista la qualità delle opere pervenute, la giuria ha inoltre deciso di assegnare un secondo premio ex aequo a Fabrizio Dall’Aglio, per il volume “Colori e altri colori”, edizioni Passigli, Firenze, e a Daniela Raimondi, per l’opera “Maria di Nazareth”, Puntoacapo, Alessandria. Infine, il terzo premio è andato a Luca Nicoletti per la raccolta “Comprensione del crepuscolo”, Passigli, Firenze. Risulta inoltre fiLa Rocca 5


Premio Marineo

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nalista: Maria Ebe Argenti, per “Dell’Anima e del cuore”, Blu di Prussia, Piacenza. Per quanto riguarda la sezione delle opere inedite in lingua siciliana, il primo (con diritto alla pubblicazione della raccolta) è andato a Tania Fonte per la raccolta ”E’ luntana la sira”. Tania Fonte, scrittrice e poetessa palermitana, ha già ricevuto numerosi importanti riconoscimenti letterari. Zef Chiaramonte

Tania Fonte

Risultano inoltre finalisti: Patrizia Sardisco, con la raccolta “Cristareddu appuiatu nto ventu”; ed Eligio Faldini, di Marineo, con la raccolta “Funtana di la me vita”. Nella sezione opere edite in lingua siciliana il primo premio è stato assegnato ex aequo a Piero Carbone per l’opera “Lu pueta canta pi tutti”, edizioni Legas, New York; e ad Alfio Inserra per il volume “Tragoedia”, Pungitopo, Gioiosa Marea. Il secondo premio è andato ad Alessandro Giuliana per l’opera

“Nun è timpu”, Algra, Catania; ed il terzo premio a Filippo Giordano per l’opera “Riepitu”, Youcanprint, Lecce. La commissione giudicatrice ha deciso inoltre di assegnare una targa premio a Zef Chiaramonte per l’opera in lingua albanese, tradotta in

Piero Carbone

Alfio Inserra

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Eligio Faldini

italiano, “Vule uji – Marca d’acqua”, edizioni Nuova Ipsa, Palermo. Giuseppe Chiaramonte è un arbëresch di Sicilia, studioso dell’Europa orientale ed esperto di lingua e cultura arbëro-albanese. L’opera premiata è una sorta di autobiografia in versi, un viaggio nella tradizione albanese. La cerimonia di premiazione si svolgerà domenica 6 settembre 2015, alle ore 18, in piazza Castello a Marineo. N.B.


Premio Marineo

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nio si divide tra teatro, TV e cinema. Il suo debutto avviene nel 1979 ne La lupa di Giovanni Verga, per la regia di Enrico Maria Salerno. Successivamente, nella stagione ’80-81 comincia il suo rapporto con il Teatro Stabile di Torino, che va avanti per quattro anni, accanto ad Adriana Asti in Come tu mi vuoi di Pirandello, per la regia di Susan Sontag. Con Anna Maria Guarnieri é poi coprotagonista di Antonio e Cleopatra di Shakespeare, per la regia di Mario Missiroli che lo vuole, in seguito, nel Malato immaginario di Moliere. Sempre con Adriana Asti, è interprete efficace ne La locandiera di Goldoni nel ruolo del Conte d’Albafiorita”. Nel 1989, per le sue notevoli qualità artistiche e culturali, s’impone all’attenzione del pubblico e della critica con la messa in scena del lavoro teatrale Hystrio del grande poeta Mario Luzi, con la partecipazione di Paola Borboni, iniziando così un so-

A Sebastiano Lo Monaco il 41° premio “Città di Marineo” Non solo ha dedicato tutta la vita al teatro, ma è divenuto anche un prezioso punto di riferimento nel campo dell’educazione culturale e dell’impegno civico.

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a carriera di Sebastiano Lo Monaco si è sempre caratterizzata per la costante presenza, al suo fianco, di grandi interpreti e registi che hanno messo in evidenza le peculiari caratteristiche di un attore appassionato e straordinario il quale da un quaranten-

dalizio artistico durato diversi anni, specialmente con un’interpretazione magistrale nel Tartufo di Molière. E’, però, il repertorio pirandelliano a segnare in modo inconfondibile la sua storia artistica, essendo ancora protagonista nel Berretto a sonagli, Così è

se vi pare, Questa sera si recita a soggetto, Sei personaggi in cerca d’autore e l’Enrico IV. Per ben otto edizioni Sebastiano Lo Monaco ha calcato il palcoscenico del Teatro greco di Siracusa, interpretando in modo originale, da protagonista, l’Edipo Re, Eracle, Filottete, e quest’anno Agamennone nella tragedia Ifigenia in Aulide di Euripide. Anche nel cinema la sua presenza è significativa, in Festa di laurea di Pupi Avati, , Dove siete? Io sono qui, per la regia di Liliana Cavani, La vita è una cosa meravigliosa, per la regia di Carlo Vanzina, I viceré di Roberto Faenza, Baaria con Giuseppe Tornatore. Un personale successo ha riscosso in TV con La Piovra 9, accanto a Raul Bova e, ancora, con Un prete tra noi, La romana, per la regia di Patroni Griffi, Don Matteo diretto da Giulio Base, Joe Petrosino con Beppe Fiorello, Un’altra via, per la regia di Cinzia T. H. Torrini e Preferisco il Paradiso con Gigi Proietti sulla vita di San Filippo Neri. Recentemente si è distinto per aver portato nel teatro il suo impegno civile con due opere del presidente del Senato, Pietro Grasso, Per non morire di mafia e Dopo il silenzio, dove si evidenzia la guerra non ancora completamente vinta contro la criminalità organizzata. La Giuria, nell’assegnare il Premio Internazionale “Città di Marineo” a Sebastiano Lo Monaco, intende riconoscere le grandi qualità artistiche di un figlio della nostra terra che non solo ha dedicato tutta la vita al teatro, ma è divenuto anche un prezioso punto di riferimento per portare avanti in Italia un progetto di educazione culturale nei confronti delle nuove generazioni, facendo comprendere come il teatro possa aiutarci a recuperare quei valori civici nei quali si radica la comunità nazionale. La Rocca 7


Premio di Poesia

attiVità della FoNdaZioNe

Università Popolare, consegnati gli attestati di partecipazione agli allievi Foto di G. Taormina

Si è concluso ufficialmente il primo anno accademico della scuola. dal prossimo anno si cercherà di potenziare l’offerta formativa inserendo nuove materie.

Martedì 30 giugno presso la sede delle Fondazioni Culturali Gioacchino Arnone si è concluso ufficialmente il primo anno accademico dell’Università Popolare di Marineo. Il presidente dell’ Università Popolare e delle Fondazioni Culturali Guido Fiduccia, dopo avere espresso vivo compiacimento per l’ottima riuscita dell’iniziativa da poco conclusasi ed avere calorosamente ringraziato tutti i partecipanti ai corsi e tutti i docenti, ha anticipato l’intenzione di proseguire nell’iniziativa anche l’anno venturo ed anzi di avere l’intenzione di potenziare l’offerta formativa inserendo nuove materie. Il presidente non ha mancato di sot-

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tolineare la grande disponibilità mostrata dai docenti che, in modo assolutamente gratuito, hanno offerto la loro collaborazione, fornendo come valore aggiunto il piacere di trasmettere ai loro uditori le loro conoscenze ed esperienze. Ciascun docente ha poi consegnato ai propri allievi – da giovani ad anziani di 83 anni – l’attestato di partecipazione al corso frequentato – peraltro valido per l’acquisizione di crediti formativi e per tutti gli usi consentiti dalla legge. A sua volta i docenti hanno ricevuto dal presidente Guido Fiduccia l’attestato per il servizio gratuitamente svolto. Negli interventi di tanti dei partecipanti ai corsi è stata espressa sod-

disfazione, interesse, voglia che l’iniziativa venga ripetuta ed anzi consolidata: segno evidente che l’obiettivo che la presidenza delle Fondazioni e della commissione per la cultura che dentro essa opera si erano posto, è stato raggiunto. In autunno verrà lanciato il nuovo anno accademico e verranno presentati i nuovi corsi. E’ aperto l’invito a quanti volessero proporsi come docenti ed a tutti coloro che – sinceramente interessati a conoscere più da vicino tante tematiche e tanti argomenti – volessero avvicinarsi a questa stimolante iniziativa. Franco Vitali  Coordinatore Universita Popolare Marineo


in famiglia

CoMuNita

Monsignor Randazzo

CINQUANT’ANNI AL SERVIZIO DELLA COMUNITA’

Grande festa a Marineo per i 50 anni di sacerdozio di monsignor Giuseppe Randazzo. Sin da giovane si è distinto per l’impegno ecclesiale e sociale, ricoprendo numerosi incarichi di elevata responsabilità. E’ stato collaboratore diretto degli arcivescovi, come segretario; assistente scout a livello locale, provinciale e regionale; assistente ecclesiastico regionale del Centro Italiano Femminile, del Centro Sportivo Italiano e di numerose altre associazioni. Per diversi anni ha presieduto le Fondazioni Arnone di Marineo. In questi ultimi anni il Cardinale Romeo gli ha affidato il gravoso incarico di Vicario per i beni temporali che lo ha visto impegnato, con competenza e passione, a favore della salvaguardia, promozione ed implementazione dei beni culturali e monumentali e del patrimonio della Diocesi. I marinesi migrati negli USA hanno ufficialmente riconosciuto, con varie attestazioni, la sua lunga attività a favore della comunità italo americana. Per il suo lungo, qualificato e proficuo impegno ha ricevuto varie benemerenze ed anche il prestigioso premio del Forum delle Associazioni. Il cardinale Romeo con numerosi sacerdoti, unitamente ad un folto gruppo di familiari, amici e conoscenti ha partecipato alla Santa Messa del cinquantesimo, celebrata davanti la chiesa di San Michele. Il Sindaco Barbaccia, evidenziando che monsignor Randazzo ha onorato tutta la comunità marinese, gli ha consegnato una targa esprimendo gratitudine “per il suo cinquantennale impegno religioso e sociale e per aver valorizzato la cultura nei molteplici aspetti”.

Ricordo di Francesco Calderone Ha concluso la sua esistenza terrena Ciccino Calderone, nato nel 1930: ha condiviso ben 54 anni di matrimonio con la sua cara Rosa Fiduccia. Nella sua vita, molto attiva, è stato prima mugnaio e poi impiegato nelle segreterie scolastiche. Personaggio molto socievole, con le sue battute animava e rallegrava chi gli stava intorno. Amava la sua famiglia più di se stesso ed era sempre disponibile. La famiglia e gli amici lo ricordano con molto affetto e chiedono a quanti lo hanno conosciuto di accompagnarlo con la preghiera. Da questo numero de La Rocca inizia la rubrica “In famiglia” che pubblicherà brevi notizie e foto di eventi accaduti in Marineo (nascite, matrimoni, defunti, ecc.). Sarà richiesto un contributo spese in relazione allo spazio occupato dalla notizia. Occorrerà far pervenire per tempo alla Redazione (presso la segreteria delle Fondazioni La Rocca) notizie e foto. La Rocca 9


Prima pagina

CoMuNità

Dimostranza di San Ciro: 350 anni di fede e tradizione in programma per sabato 22 agosto, con inizio in piazza Sant’antonino alle ore 18. la regia è curata da Nino triolo. Festa e anno Giubilare per i 350 anni dalla donazione del 1665.

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ell’ultima scena della Dimostranza, San Ciro, dopo essere stato decapitato, torna ad essere rappresentato da un bambino, che sorride dolce dall’alto del suo carro trionfale, preparando la sua ascesa al cielo. A fargli da cornice ci sono gli angeli che agitano palme del martirio. E’ anche la rappresentazione del ciclo della natura, del bene che vince contro il male, della vita contro la morte. E’ questo l’ultimo atto dello spettacolo della vita e passione di san Ciro che sarà messo in scena nelle piazze di Marineo sabato 22 agosto, con inizio alle ore 18.30. Da un’idea dello scultore Salvatore Rizzuti, per l’edizione 2015 è stato realizzato un carro “barcone” con iscrizioni in latino, arabo ed ebraico, che sembra emergere dagli abissi. Lo spettatore sarà, infatti, invitato ad una ulteriore riflessione sui temi delle persecuzioni, delle migrazioni e dell’incontro tra i popoli. La regia è curata da Nino Triolo, collaborato da Rosa Alba D’Amato, Chiara Lo Faso e Franco Schimmenti. Altra novità di quest’anno, le recite inizieranno in piazza Sant'Antonino, poi il corteo proseguirà verso il largo Palumbo (quartiere San Michele), corso dei Mille (lato Calvario) e, infine, nella suggestiva piazza Castello. Le postazioni sono dotate di amplificazioni e di transenne che le delimitano. Le ventuno scene della sacra rappresentazione aprono con il primo quadro di introduzione i cui personaggi, il Genio di Marineo e due araldi, spiegano sinteticamente al pubblico la storia del paese, la vita di san Ciro e il senso della Dimostranza. Tale quadro introduttivo

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Nelle piazze di Marineo  i momenti significativi della vita e passione di San Ciro.

prevede la presenza di cavalli e di personaggi in abiti cinquecenteschi, quasi a richiamare il secolo di fondazione del paese. Le prime quattro scene sono da preludio alla narrazione della vita del santo. Nel secondo quadro si racconta la cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso Terrestre, nel rispetto della tradizione consolidata che dal peccato originale fanno dipartire le vicende dell'umana progenie. Il terzo e il quarto quadro introducono alcuni personaggi allegorici (la Religione, la Discordia, la Speranza, la Persecuzione) che, quasi come muse ispiratrici, rappresentano le tematiche della vicenda narrata. Quindi, dal quinto quadro sino al diciannovesimo si assiste agli episodi salienti della vita di San Ciro: il battesimo, gli studi, la professione medica, l’eremitaggio, l’incontro con il discepolo Giovanni d’Edessa, la persecuzione dei cristiani, la visita


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CoMuNità

nel carcere ad Atanasia e alle tre figliolette, la cattura, il processo, la condanna. Infine, i quadri ventesimo e ventunesimo celebrano la gloria del santo, prevedendo anche la presenza del carro trionfale. Eseguita la decapitazione, il personaggio di San Ciro viene nuovamente interpretato da un bambino che porta trionfalmente il simbolo del martirio: la palma. Quella di quest’anno sarà una festa speciale. Il culto di San Ciro a Marineo trae origine dalla donazione di una reliquia concessa da papa Alessandro VII il 20 aprile 1665 al marchese Girolamo Pilo. A 350 anni da quella data, il Vaticano ha dato la concessione dell’Anno Giubilare alla parrocchia di Marineo. Ad oggi non è stato ancora possibile ricostruire, né attraverso le fonti storiche né orali, i veri motivi che spinsero gli abitanti di Marineo a cambiare il precedente patrono San Giorgio. La presenza della reliquia del teschio e la notizia delle prime guarigioni operate a Marineo dal “medico celeste” furono certamente due degli elementi che ne decisero il rapido passaggio, in un’epoca piena di carestie e pestilenze come la seconda metà del Seicento. Ancora oggi i marinesi concludono il rosario del santo con una preghiera finale per scongiurare, appunto, «fami, pesti, guerri, tirrimoti, piccati mortali e divini flagelli». In una dettagliata cronaca della festa del 1894, soffermandosi, in particolare, sulla descrizione della Dimostranza, Francesco Sanfilippo riferisce che la festa venne istituita:«il 31 gennaio, giorno che la prima volta entrò solennemente la reliquia in paese. Ma per beneplacito dei marinesi, una bolla arcivescovile permise loro di trasportare in trionfo ed il tripudio nel mese d’agosto, mese molto comodo ai contadini che hanno terminato il raccolto». Si presume che la Dimostranza sia nata alla fine del Seicento come semplice processione allegorica con la funzione di narrare ai fedeli la vita del medico alessandrino. E che fu solo nella seconda metà del Settecento che vennero introdotti i primi dialoghi. A favorire questa prima trasformazione dell’impianto basilare della rappresentazione contribuì sicuramente la pubblicazione della tragedia del cavaliere Filippo Orioles Il riscatto di Adamo nella morte di Gesù avvenuta a Palermo nel 1750. Alcuni dei testi della Passione di Cristo vennero, infatti, utilizzati per rappresentare altrettanti momenti significativi della vita e passione di San Ciro. Nuccio Benanti  La Rocca 11


Parrocchia

CoMuNità

SAN CIRO 1665-2015

GIUBILEO STRAORDINARIO PER LA PARROCCHIA DI MARINEO Nell’occasione del 350° anniversario dell’arrivo delle reliquie di San Ciro in Marineo Papa Francesco ha accordato alla Parrocchia di Marineo la celebrazione di uno speciale anno giubilare, con la concessione dell’indulgenza plenaria per tutti coloro che, facendo un cammino di conversione, si recheranno in pellegrinaggio nella Chiesa Madre. La confessione, la comunione e la preghiera, nonché l’impegno a percorrere un cammino di santità sono fattori essenziali per ottenere l’indulgenza che potrà essere applicata anche ai fedeli defunti. Il senso originario del giubileo si trova nella Bibbia: un anno, che ricorreva ogni 50 anni, che significava liberazione delle persone, liberazione della terra, liberazione da ogni vincolo opprimente. L’anno delle remissioni, l’anno del passaggio dalla schiavitù alla libertà, al servizio di Dio. Nell’anno del giubileo (dall’ebraico jobel, che evoca il suono del corno con cui si proclamava la presenza di Dio) si annunciava la remissione dei peccati per tutti i figli di Israele pentiti. L’attuale giubileo, che riprende il nome da quello ebraico, è l'anno della remissione dei peccati, della riconciliazione, della conversione e della penitenza sacramentale. Un anno speciale di grazia di riconciliazione e di generale condono. Perciò, un anno di festa

(dal latino jubilare, cioè gioire, gridare di gioia), la festa e la gioia della conversione, della liberazione dalla schiavitù del peccato. Il Giubileo, comunemente, viene detto "Anno Santo", non solo perché si inizia, si svolge e si conclude con solenni riti sacri, ma anche perché è destinato a promuovere la santità di vita. I principali segni che tradizionalmente sono adoperati nei giubilei sono: il pellegrinaggio, la Porta Santa, le indulgenze, la carità e la memoria dei martiri (nel nosstro caso di San Ciro). Celebrare il giubileo è, perciò, vivere un “tempo forte”, in cui ci si impegna con più intensità ad accogliere la misericordia del Signore. Non è una celebrazione enfatica, trionfale. Celebrare il giubileo è fare memoria, è dire che Dio ci salva. Il tempo e la storia sono il “luogo” della salvezza. Il giubileo straordinario di Marineo coincide in parte con l’Anno giubilare universale “della misericordia”, indetto da papa Francesco.

La ‘ROCCA, - Giornale periodico delle Fondazioni Culturali "G. Arnone" Piazza della Repubblica, 20 - 90035 Marineo - Registrato presso il Tribunale di Palermo al n. 4/93 decr. 6.3.1993 DIRETTORE RESPONSABILE: Giovanni Perrone REDAZIONE E IMPAGINAZIONE: Nuccio Benanti SEGRETERIA DI REDAZIONE: Marta Raineri, Giuseppe Taormina HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO: Franco Vitali, Tommaso Salerno, Totò Greco, Salvatore Ribisi,  Filippo Fragale, Domenico De Lisi, Nino Di Sclafani,  Paolo Catanzaro, Giuseppe Puccio, Salvatore Di Marco,  Alessia Tegoletto, Chiara Calderone, Michele De Lucia. FOTO: Mario Conti (copertina), Antonio Vitrano (retro copertina) STAMPA: Tipografia Aiello & Provenzano Per le vostre inserzioni su questo giornale: Fondazione Arnone Tel/fax: 0918726931 info@fondazionearnone.it FONDAZIONI CULTURALI "G. ARNONE" CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE: Arch. Guido Fiduccia (presidente), Suor Eleonora Alongi,  Dott. Marco Anello, Dott. Antonino Cutrona  REVISORI DEI CONTI: Dott. Roberto Ciaccio

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Curiosità

Masino Salerno: “53 anni fa la costruzione dell’auto di S. Ciro” Ottantacinque anni di racconti, aneddoti, curiosità. Una memoria storica a portata di mano, da consultare e, piacevolmente, ascoltare nei caldi pomeriggi d’estate e nelle fredde serate invernali. Staccare la spina dalle frivole passioni moderne ed immergersi in un passato che riaffiora attraverso i ricordi vividi e limpidi di un sempreverde protagonista della nostra comunità: Masino Salerno. E visto che fra pochi giorni ricorreranno le festività in onore del nostro Santo Patrono, abbiamo ripercorso insieme un evento particolare: la costruzione della “vara” di San Ciro, il veicolo meccanizzato che, a partire dall’Agosto 1962, ha sostituito il tradizionale trasporto “a spalla” della reliquia del medico alessandrino. Allora, signor Salerno, come vuole che la chiami? Le do del “lei”? O posso chiamarti “nonno”? Io non la conosco (ride, ndr), mi dia del lei! Va bene, nonno. Da dove nasce l’idea di sostituire il tradizionale trasporto a spalla? E perché sei stato proprio tu a dare il via a questa piccola “rivoluzione”? Sono nato nel 1930. Sin da quando ero piccolino, essendo molto curioso, mi interessavo di ciò che succedeva nel nostro paese. Ogni anno, quando arrivava Agosto e si avvicinava la festa di San Ciro, vedevo un gruppetto di gente che si riuniva di fronte la bottega di Onofrio Lo Pinto. Tra queste persone, spiccava la figura di Onofrio Bianchi, detto Parmeri, che aveva l’incarico di selezionare coloro i quali dovevano, a spalla, portare la reliquia. Ad ognuno di loro, spettava un compenso che si aggirava sulle mille lire. Un bel giorno, compiuti 24 anni, fui chiamato dalla signora Angelina Di Salvo, moglie di Onofrio Lo Pinto. “Masino – esordì la donna – voglio fare un regalo a San Ciro che resti come ricordo nel tempo, per ringraziarlo di una grazia ricevuta”. Così mi propose di comprare una macchina, modificarla e utilizzarla per trasportare la reliquia del nostro Patrono. Quando hai cominciato a lavorare su questo progetto? E quando hai inaugurato la tua “creazione”? Comprammo una Fiat 1100 tipo A nel 1961. Nei lavori di meccanica fui aiutato da mio fratello Gaetano e dai miei apprendisti Pippo Arnone, Aspano Romano e Pinuzzu Tuz-

CoMuNità

zolino, mentre Ciro Calderone e Totò Pernice si occuparono della parte artistica. Nei giri di collaudo notturni, invece, mi diedero una mano Giovanni “Giannineddu” De Lisi e Vincenzino Vilardi. Mi perdonino coloro che magari sto dimenticando. Il più grosso problema che avevo da risolvere, era quello relativo alla riduzione della velocità del veicolo che, ovviamente, doveva andare a passo d’uomo. Così escogitai l’idea del doppio cambio, che mi permise di guidare il veicolo ad una velocità talvolta inferiore al chilometro orario senza rischi di surriscaldamento. L’ultimo giro di prova lo feci insieme all’Arciprete Raineri che diede il benestare. Con grande soddisfazione personale, guidai per la prima volta la “vara” nella processione svoltasi durante l’agosto del 1962. A proposito di “vara”, cosa mi racconti, invece, della tua esperienza americana? Nel 1968, emigrai con la mia famiglia a New York. Per vincere la nostalgia, frequentavo assiduamente la comunità marinese di Garfield e, anche lì, fui incaricato di bissare ciò che avevo, pochi anni prima, realizzato a Marineo: un’altra “vara” meccanizzata per San Ciro. In quell’occasione utilizzai una Chevrolet SW ed ebbi la possibilità di guidarla per tutti gli anni della mia permanenza in America. Per quanto tempo hai guidato la “vara” marinese? E a chi hai lasciato questo onere\onore? Fra Marineo e Stati Uniti, ho guidato la “vara” per 46 anni, occupandomi, tra l’altro, della manutenzione ordinaria e straordinaria. Gli anni passano per tutti e, ritenendo opportuno lasciare la “complicata” guida del mezzo a qualcuno più giovane di me, la scelta è ricaduta su un altro mio allievo, Giosi Tegoletto, in collaborazione con il mio secondogenito, Franco. Ti piacerebbe, un giorno, tornare alla guida del veicolo che, più di 50 anni fa, hai realizzato? Ho avuto il piacere e l’onore di guidare, per un tratto della processione, la “vara” in occasione del 50esimo anniversario della stessa. Il mio obiettivo, salute permettendo, è di tornare a guidarla in futuro, anche per poco. Ciò che spero è che le prossime generazioni possano ricordarsi di me. Tommaso Salerno La Rocca 13


Cronaca

attiVità della CoMuNità FoNdaZioNe

Finanziati i lavori per il nuovo campo sportivo Nuovi spogliatoi, campo in erbetta sintetica e dimensioni per i campionati federali. Si avvera un sogno per i tantissimi appassionati di calcio di Marineo che potranno tornare a godere del campo sportivo locale. Il “Jean Salque”, abbandonato a se stesso da tempo, deturpato dai vandali e ridotto in pessime condizioni, tornerà “teatro” di quegli eventi sportivi che, da un paio di anni, vengono ospitati nelle strutture dei paesi limitrofi. Ne sa qualcosa l’Oratorio San Ciro e Giorgio, militante in Prima Categoria, che da tre anni disputa le proprie gare casalinghe presso il “Comunale” di Bolognetta, così come le formazioni del settore giovanile. Grazie al programma “Cantieri in Comune”, di cui Marineo è risultato beneficiario, verrà garantito, al comune ai piedi della Rocca, un finanziamento di 1.650.000 euro, secondo quanto stabilito dalla recente delibera del CIPE che, sfruttando i fondi messi a disposizione dal decreto “Sblocca Italia”, ha finanziato 137 progetti di altrettanti comuni del “Bel Paese”. Un risultato importantissimo per Marineo. Secondo quanto stabilito dal progetto esecutivo, realizzato dall’ingegnere Andrea Valenti e approvato dal CONI, attraverso il finanziamento sarà possibile, innanzitutto, dismettere gli attuali spogliatoi, smaltendo così la copertura in eternit, e costruirne degli altri di tutto punto. Il campo di gioco, realizzato in erba sintetica, con diversi punti di drenaggio, verrà allargato sino alle dimensioni previste per partecipare ai campionati federali; verranno sostituite le reti che circumnavigano la struttura e, ovviamente, verrà risistemato l’intero impianto d’illuminazione. Per quel che riguarda le tribune, invece, saranno creati degli appositi accessi per i

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diversamente abili. Una vera e propria manna dal cielo per Marineo ed i marinesi tutti che, presumibilmente, potranno tornare a calcare gli spalti dello stadio già a partire dalla stagione sportiva 2016\2017. Entro il 31 agosto 2015 infatti, l’opera deve essere aggiudicata cosicché, già dal prossimo autunno, i lavori dovrebbero prendere il via. “Il costante impegno di questa Amministrazione nel cercare finanziamenti che non gravino sulle casse comunali – ha dichiarato l’assessore ai lavori pubblici, Antonino Greco - ha portato un primo, importante risultato per tutta la cittadinanza ed il

mondo sportivo; ciò fa sì che non si vada ad indebitare il Comune attraverso il mutuo, previsto nell’ultimo bilancio”. Si è espresso sulla questione anche Franco Ribaudo, ex sindaco di Marineo, adesso deputato a Montecitorio: “Esprimo profonda soddisfazione per il finanziamento ottenuto dal Comune di Marineo. E’ un progetto che abbiamo reso esecutivo durante la mia Amministrazione e che l’attuale Amministrazione ha saputo riproporre rispondendo alla chiamata ‘Cantieri in Comune’ che il Governo Renzi ha fatto nel 2014 in occasione del decreto Sblocca Italia”. T.S.

Toponomastica femminile: Via Vincenza Benanti

Vincenza Benanti è tornata, finalmente, nella sua Marineo. L’11 Aprile scorso, infatti, si è svolta la cerimonia ufficiale, patrocinata dalla Soprintendenza di Palermo e presenziata dalle autorità civili, militari e religiose, attraverso la quale è stata intitolata una via, in

zona “Gorgaccio”, alla marinese scomparsa nell’ormai lontano 1911. “Il Comune di Marineo ha voluto aderire alla richiesta di Maria Pia Ercolini, ideatrice del progetto “Toponomastica Femminile”, che fa appello alle amministrazioni comunali di intestare una strada, una piazza, un giardino, alle protagoniste del tragico rogo della Triangle – ha dichiarato il sindaco di Marineo, Pietro Barbaccia – dopo 104 anni, per non dimenticare, è doveroso rendere alla nostra compaesana Vincenzina un reverente omaggio, per dimostrare che il sacrificio delle 126 vittime è valso per riscattare i diritti di tutti i lavoratori”. T. S.


Cronaca

attiVità della CoMuNità FoNdaZioNe

Riaperta la Villa alla Variante Dopo diversi anni d’attesa, è stata finalmente riaperta la villa “Variante”. Durante la cerimonia di inaugurazione, l’amministrazione comunale, che ha finanziato la realizzazione di un impianto idrico automatizzato, ha voluto esprimere la propria gratitudine verso coloro i quali, privati cittadini e ditte locali, hanno dato il proprio supporto per ridare a Marineo uno spazio verde. Plauso speciale per Carmelo Spinella, nonno marinese che, sin dal 2008, con passione, tenacia ed in maniera assolutamente gratuita, ha dedicato il suo tempo libero alla cura della villetta: “Ciò che mi ripaga – ha detto Spinella - è il sorriso dei bambini che adesso possono tornare a divertirsi”. T.S.

Un incontro speciale con i ragazzi di Marineo

Misericordia: laboratorio ludico-ricreativo La Confraterinita di Misericordia di Marineo, in collaborazione con il Cesvop, organizza un laboratorio ludico-riceativo “Diverso? No, io…”. Il Laboratorio, assolutamente gratuito, è rivolto ai bambini di età compresa tra i 7 e i 12 anni, e si terra tutti i pomeriggi dalle 16,00 alle 17,00, a partire dall’11 agosto, presso la sede della confraternita in via Agrigento n 42. La conclusione del laboratorio è prevista intorno alla prima settimana di settembre, inoltre sarà organizzato un grande evento finale, il 4 ottobre a Villafrati. I genitori sono invitati a compilare il relativo modulo di partecipazione, predisposto dagli organizzatori, entro l’8 agosto.

Una lezione “speciale” all’insegna della legalità e della lotta alla mafia quella che si è svolta presso la scuola secondaria di primo grado di Marineo, dove gli alunni hanno avuto l’opportunità di incontrare il giornalista Giulio Francese, figlio dell’indimenticato Mario Francese, giornalista del Giornale di Sicilia ucciso dalla mafia il 26 Gennaio 1979. L’evento, svolto nell’ambito delle attività del giornale scola-

stico, “Marineo Magazine”, ha “toccato” le corde del cuore dei tanti studenti che vi hanno partecipato. “Siate protagonisti della vostra vita – ha detto il giornalista palermitano - e quando verrete tacciati di essere mafiosi perché siciliani, rispondete orgogliosamente che siete fratelli di Francese, Chinnici, Giuliano, Falcone, Borsellino”. Infunzione 24 ore su 24. T. S. La Rocca 15


libri

Foto di G. Taormina

arti e SPettaColo

Il perdono: una forza che risuscita a vita nuova

Chiesa Madre: un  momento della  presentazione dell’ultimo lavoro del parroco Leuluca Pasqua “Dal rancore  al perdono”  (Edizioni Rinnovamento nello Spirito Santo)

il libro vede la luce contemporaneamente alla pubblicazione della Bolla di indizione del Giubileo straordinario della misericordia di Papa Francesco intitolata “Misericordiae vultus”

L

eggo proprio in questi giorni – da testi ovviamente diversi – due brani che mi piace riferire poiché li ritengo in line con le idee che impegnano le mie riflessioni, riguardo ad un libro di Leoluca Pasqua che è l’oggetto di questo mio breve scritto. Il primo: racconta Arianna Huffington, su di una rivista alla moda, di un anziano cherokee il quale voleva dare insegnamenti al proprio nipote su come considerare la vita umana. Gli riferiva che dentro di noi è in corso “una battaglia terribile, e a

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combatterla sono due lupi. Uno dei due è cattivo: è rabbia, rancore, invidia, avidità, arroganza, risentimento, menzogna, vanagloria, dolore, rimpianto, senso di colpa. L’altro, invece, è buono: è gioia, pace, amore, speranza, serenità, benevolenza, umiltà, generosità, verità, compassione e fiducia”. Il nipote, ad un certo punto chiese: “Ma quale è il lupo che vince?”. L’anziano rispose: “Vincerà quello al quale tu darai da mangiare”. Questa leggenda dei nativi americani – osserva la Huffington – va al

cuore del problema: ciò che conta è la strada che noi scegliamo di intraprendere, anche nei momenti più bui della vita. Il secondo brano è tratto da una breve testimonianza dello scrittore Giuseppe Scarraffia in memoria della editrice palermitana Elvira Sellerio. Ricordandone la generosità e la fedeltà, così scrive: “L’amicizia vera comincia quando uno ha fatto all’altro qualcosa di imperdonabile, e l’altro rimane lo stesso un amico”. Mentre ciascuno di noi raccoglie le proprie medi-


libri

tazioni su questi due preliminari “passaggi”, ricordo che è di questi ultimi mesi (Roma, aprile 2015) la pubblicazione di un suggestivo libro di Leoluca Pasqua significativamente intitolato “Dal rancore al perdono” (Edizioni Rinnovamento nello Spirito Santo) per i cui tipi l’autore aveva già dato alle stampe nel 2007 “La preghiera che libera ostacoli, deviazioni e tendenze magiche nella preghiera cristiana”. Mi pare opportuno ricordare che Leoluca Pasqua, attualmente parroco della parrocchia Santissimi Ciro e Giorgio in Marineo, laureato in Sacra Teologia presso la Pontificia Facoltà Teologica di Sicilia “San Giovanni Evangelisti” di Palermo, nonché già sacerdote esorcista ed educatore presso il Seminario di Palermo, è anche autore di altre due importanti pubblicazioni quali “L’inganno della magia. Come liberarsi dai falsi profeti” (2007) e “Lottare per vivere. Il combattimento spirituale” (2008), entrambe edite da Città Nuova. Quindi, un sacerdote ormai non nuovo alla saggistica sulla meditazione teologica e neppure sulla conseguente progettualità pastorale segnate da spiritualità alta e vigile religiosità. Come scrive l’autore nell’incipit della introduzione “queste pagine vogliono offrire alcune tracce di riflessione su un tema particolare e dalle molte sfaccettature, quale quello del rancore, un sentimento che coinvolge tutta quanta la persona, e che si ripercuote anche sulla dimensione psico-fisica, determinando il sorgere di una serie di malesseri e di atteggiamenti che impediscono di vivere serenamente i rapporti inter-

arti e SPettaColo

personali, causando chiusure egoistiche, attivando una serie di meccanismi psicologici deleteri che riducono l’uomo in uno stato di schiavitù”. Ecco, dunque, il lupo nero nel cuore dell’uomo, come narra quella antichissima leggenda delle primitive popolazioni americane. Infatti, il rancore – definito sinteticamente dal Pasqua come “una vera e propria malattia interiore” che sfocia “in un drammatico quadro psico-patologico caratterizzato da angoscia, ansia, smarrimento del senso della vita e della speranza – se assunto soltanto entro tale prospettiva, può lasciare ritenere che il superamento di tale “disagio” profondo e la sua guarigione siano prevedibili effetti di un approccio psicoterapeutico. Ma così non è, e basta riferirsi alla strada del perdono che Pasqua indica come percorso addirittura salvifico. Sta, infatti, nel perdono, nel perdono cristiano in senso pieno, il ritorno della pace interiore, alla riconciliazione dei cuori. E ciò diventa chiaro ai nostri occhi quando l’autore scrive che “il perdono è uno dei temi centrali del

messaggio evangelico”, centrale nel “ministero di Gesù segnato dalla compassione verso i deboli, i sofferenti, i peccatori, gli emarginati, gli ultimi”. Il saggio di Leoluca Pasqua segue la linea di uno sviluppo ampio e profondo del tema: egli chiarisce la natura malefica del rancore quando si annida nel cuore dell’uomo e gli inquina la mente e l’anima. “Il rancore – egli scrive – è un modo malato di vivere una relazione che, per vari motivi si è frantumata e che, difficilmente si riesce a ricomporre”. Per cui chi ne è avvelenato vive perfino particolari stati di ansia e di depressione”. Soltanto negli “itinerari del perdono” tracciati dal Vangelo e illuminati dalla fede cristiana diventa una esperienza di libertà rinnovante e salvifica. Questo libro, concludendo, vede la luce contemporaneamente alla pubblicazione della Bolla di indizione del Giubileo straordinario della misericordia di Papa Francesco intitolata “Misericordiae vultus” dove una vera e propria teologia del perdono ci richiama tutti a radicali esami di coscienza. Lo spazio qui disponibile non ci permette alcuni necessari approfondimenti, ma concludo con le parole sante di questo brano: “E’ triste dover vedere come l’esperienza del perdono nella nostra cultura si faccia sempre più diradata. Senza la testimonianza del perdono, tuttavia, rimane solo una vita infeconda e sterile, come se si vivesse in un deserto desolato”, mentre invece “il perdono è una forza che risuscita a vita nuova e infonde coraggio per guardare al futuro con speranza”. Salvatore Di Marco La Rocca 17


Film

arti e SPettaColo

Lei (her), il futuro è adesso L’Oscar alla miglior sceneggiatura originale del 2014 è solo uno dei prestigiosi premi che il film di Spike Jonze ha conquistato. Il film vede come protagonista Theodore, interpretato magistralmente da Joaquin Phoenix, che s’innamora del suo sistema operativo intelligente di cui la voce calda e suadente è prestata da Scarlett Johansson, che nel doppiaggio italiano è sostituita da Micaela Ramazzoti, non propriamente all’altezza della sua controparte originale. Come i migliori film di genere il futuro qui raccontato è solo un espediente per parlare della realtà che attualmente ci circonda, e come un film che si rispetti la prima scena è il biglietto da visita; il film si apre con Theodore che per lavoro scrive lettere d’amore per gli altri, in un mondo dove a causa della tecnologia si è perso il senso del contatto umano, tutti si parlano tramite social ed e-

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mail, tutti sono soli. Girato tra Shanghai e Los Angeles nell’estate 2012, il film mostra quest’ultima in un tempo futuro ma ormai prossimo, in cui le scenografie e i costumi presentano una forte componente rossa, colore del fluido vitale e della passione, colore usato ovunque da una società che non riesce ad avere al suo interno il significato intrinseco del colore stesso, è come se il tempo si fosse fermato agli anni ’70 con il solo avanzare della tecnologia, e le persone vedono collassare i propri amori perché non sono in grado di sostenere relazioni dalle emozioni tangibili. Theodore è la rappresentazione dell’uomo comune illuso dal fatto che una nuova invenzione capace di metterlo in contatto con il mondo esterno possa colmare il suo vuoto, ma Samantha (il nome con cui il sistema operativo si fa chiamare) non è altro che un essere preimpostato per pla-

smarsi al suo consumatore, per farlo sentire sicuro di se, ma che inconsciamente lo allontana d a l l e emozioni vere. Il nostro protagonista, pur avendo alcuni amici, per tutto il film ci viene mostrato come una persona sola, incapace di partire da zero, incapace di abbandonare un amore fittizio perché vero per lui. Spike Jonze con LEI firma il suo quarto lungometraggio, e incita lo spettatore a vivere, uscire dal proprio guscio per esplodere nella vita vera, quella che tutti bramiamo ma che la tecnologia di oggi oscura. Filippo Fragale


libri

arti e SPettaColo

Il grano, l’olivo e l’ogliastro C

onosciamo da sempre il grande interesse per la storia e le scritture autobiografiche del professore Santo Lombino. Attenzione che si è tradotta in un’intera vita dedicata allo studio, alla ricerca ed alla produzione di notevoli ed importanti contributi. Basti citare l’intuizione avuta nel promuovere e curare “La spartenza” di Tommaso Bordonaro, vincitrice nel 1990 del Premio “Pieve di S. Stefano” ed edita da Einaudi. “Il grano, l’ulivo e l’ogliastro” (ISSPE – Palermo) rappresenta il tentativo, sicuramente ben riuscito, di mettere a disposizione dei lettori e degli studiosi un volume che, esaustivamente, rappresentasse il coronamento di tre decenni di ricerca storica e storiografica attorno ai quattro secoli di vita del comune di Bolognetta. La completezza dell’opera è suffragata dal lungo ed approfondito lavoro di ricerca archivistica che ha portato alla scoperta di documenti che mettono in luce episodi poco conosciuti del passato di un territorio che è stato più volte alla ribalta delle cronache storiche. Sin dalla seconda metà del cinquecento si assiste al proliferare di nuove “universitas” con la nascita di numerosi borghi nell’entroterra palermitano. I nuovi insediamenti consentirono alle famiglie nobiliari già in vista di aumentare il loro potere politico, come nel caso dei BeccadelliBologni a Marineo, ovvero a facoltosi mercanti di conquistarsi un titolo nobiliare, ed è il caso di Marco Mancino che acquistando il feudo di Casaca e fondando il nuovo abitato di S. Maria dell’Ogliastro (oggi Bolognetta) divenne marchese. “Il civile e criminale, mero e misto im-

perio” faceva di questi signorotti i veri dominus dei loro feudi su cui esercitavano un potere assoluto di vita e di morte, avendo acquistato con la terra “il potere sugli uomini”. L’Ottocento rimane il secolo che non si finirà mai di esplorare, insanguinato da mille rivolte, insurrezioni, epidemie e capovolgimenti sociali e politici. Il ribellismo popolare, dopo essersi scagliato contro i Borboni riesplode, a pochi anni dall’unità, contro il neonato regno d’Italia reo di non aver mantenuto quelle promesse che sembravano acquisite dopo l’epopea garibaldina. Nella rivolta del Sette e Mezzo (1866) Bolognetta ha un ruolo assai determinante con efferati e cruenti episodi che videro soccombere agli insorti i carabinieri della locale stazione. La folla diviene altresì arma di offesa tra le famiglie che si contendono il governo cittadino, da manovrare e scagliare contro i nemici politici nelle aspre tornate elettorali amministrative. All’alba del nuovo millennio si assiste impotenti allo svuotamento dei paesi: il proletariato sottopagato e sfruttato, deluso anche dal disastroso epilogo della stagione dei Fasci, emigra nel nuovo mondo. Nei latifondi e nei borghi i signorotti sono soppiantati dai mafiosi che soggiogheranno ai loro interessi tutto e tutti. Il ventennio fascista scalfirà appena questo dominio del territorio (inaccettabile subappaltare una dittatura!!!) e si tornerà, con l’occupazione americana, ai preesistenti equilibri con alleati, quei neonati partiti dell’Italia repubblicana che sapranno prendere in dovuta considerazione l’importanza di avere amici fidati nei granai elettorali del Mezzogiorno. A contrastare tale stato di cose un manipolo di sindacalisti che, con

l’appoggio dei braccianti delle Camere del Lavoro, sfidano i poteri forti sacrificando spesso la loro stessa vita. E sono epiche le cronache che riguardano Bolognetta dove si narra la lotta dei contadini, che occupano le terre e scioperano e, dall’altro lato i mafiosi che intimidiscono, compiono agguati, feriscono nella totale impunità. E' incredibile quanto lo studio del microcosmo bolognettese possa essere rappresentativo dei grandi temi che scandiscono la storia siciliana; ciò rivela il prezioso contributo di tutti quegli studiosi che per passione e a fronte di grandi sacrifici scavano in polverose e remote biblioteche alla ricerca di indizi di un passato forse marginale al centro del quale c’è "non già la vita dei potenti e delle classi dominanti, delle città, ma la vita degli umili, del popolo, della provincia, dei paesi e di un piccolo villaggio, che non ha minore dignità, né meno da dire, ma anzi dimostra una ricchezza di tematiche, di informazioni e di azioni che gli storici ufficiali hanno finora trascurato.” (E. Le Roy Ladurie) Nino Di Sclafani La Rocca 19


Musica e libri

arti e SPettaColo

The Endless River La commedia di Marineo

The Endless River dei Pink Floyd è l’ultimo album di una band che ha fatto la storia del rock ed allo stesso tempo una dedica del chitarrista David Gilmour all’amico e tastierista scomparso Richard Wright. L’album ha come collaborazione principale, oltre ai due musicisti precedentemente scritti, quella del batterista Nick Mason. Oltre agli altri artisti che ne hanno preso parte, è da segnalare la presenza del fisico Stephen Hawking che assume un ruolo fondamentale nella realizzazione di un brano a lui dedicato (Talkin’ Hawkin’). E’ un album principalmente strumentale, che prende spunto dal loro lavoro precedente, The Division Bell, con solo due brani cantati, ed è caratterizzato dal classico timbro Pink Floyd, ovvero del rock progressive con molta attenzione agli effetti, alle note ed al viaggio che crea, che ti culla e ti

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trasporta in un altro pianeta, anche grazie alla presenza del sax, oltre agli intramontabili brani melodici. Rispetto agli altri lavori, questo ha un carattere più tendente alle sonorità dell’ambiente e raccoglie canzoni che parlano di malinconia, di vita vissuta tra fans e tour mondiali, ma soprattutto di ricordi che donano loro fama rinnovata. Intervistato da una delle radio italiane più famose, Nick Mason rimarca l’importanza di come lui e David abbiano deciso di concludere la carriera come Pink Floyd, creando tra i fans varie correnti di pensiero. Particolarmente emozionante è l'interpretazione di Louther Than Words, dove un'intera carriera sembra essere raccontata dalla voce di un uomo in grado arricchire, con l'aiuto della sua chitarra, un testo carico di significato. L'apice dell'emozione che si raggiunge con questo disco è proprio con questo brano, dove un’intera carriera sembra proiettarsi sulle pareti dell'animo dell'ascoltatore, facendogli ripercorrere la lunghissima storia di un gruppo che ha rivoluzionato radicalmente il volto della musica e di tantissime generazioni. T. G.

Tornano le avventure dell'ispettore di Polizia più eccentrico e simpatico del mondo. Un nuovo caso si profila, all'ombra della Rocca di Castropietro. Riuscirà Marineo a destreggiarsi tra due omicidi? Il nuovo romanzo di Ioan Viborg, in occasione del 750° anniversario della nascita di Dante, rende omaggio al Sommo Poeta senza perdere la brillantezza e la verve comica di sempre. “Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritovai”... a Castropietro?! Cosa lega il Sommo Poeta e Ioan Viborg, geniale inventore della serie di gialli umoristici “Marineide”? Scopritelo leggendo il nuovo capitolo della collana dedicata all'ispettore Marineo dal bronzeo viso, detective sui generis impegnato come al solito in un caso quanto mai bizzarro. Due omicidi, uno dei quali compiuto con la spada di un pupo siciliano, una truffa architettata ad arte, una stravagante uscita dal coma; gli elementi per un giallo che si rispetti ci sono tutti. A questi, si aggiungono i versi immortali della Divina Commedia, protagonisti del testo e intervallati dalle parole dell'autore fino a raggiungere un brillante impasto, battezzato per l'occasione “prosametro a tinte gialle”. Un pastiche linguistico in cui Marineo, con il suo acume, la sua brillante arguzia e la sua scalcagnata banda di aiutanti, si inserisce a pennello. Per celebrare il 750° anniversario della nascita di Dante Alighieri, il settimo capitolo della serie “Marineide” non smentisce la sua fama: un romanzo tutto da ridere, in cui il giallo fa da contrappunto al vivace umorismo dell'autore, che riuscirà persino a rendere il Poeta “coautore” del libro. Ioan Viborg, La commedia di Marineo,  Navarra Editore, maggio 2015


Cucina

arti e SPettaColo

Venere: non solo divinità ed astro del cielo ricetta di riso: “Venere, mari e monti” Pensando alla parola “Venere”, la prima cosa che istintivamente ci viene in mente è un pianeta enorme, che orbita vicino al Sole oppure la dea romana dell’amore, della bellezza e della fertilità. Oltre ciò, con mia grande sorpresa, ho avuto il piacere di scoprire che Venere non è solamente una dea ed un astro del cielo ma anche una splendida varietà di riso integrale! Originario della Cina, ha un colore viola scuro tendente al nero con un gusto unico ed un profumo che ricorda molto il pane appena sfornato. Le sue proprietà benefiche sono così vaste che non basterebbe una pagina di per elencarle! Ne scrivo solamente tre delle tante, per il resto suggerisco una ricerca su questo meraviglioso

Ingredienti: 500 grammi di riso Venere 200 grammi di gamberetti sgusciati 200 grammi di funghi champignon 200 grammi di zucchine genovesi 1 kg di cozze 700 grammi di vongole 1 cipolla bianca tritata 3 spicchi d’aglio 3 foglie di radicchio Olio extravergine d'oliva Erba cipollina Ortica (va bene anche quella in polvere) Pepe bianco Menta Vino bianco o limoncello Sale grigio di Bretagna (va anche bene il classico sale) Per la decorazione: Coppa pasta Peperoni grigliati sottolio tagliati a listarelle Prezzemolo fresco tritato

riso: basso indice glicemico, assenza di glutine, forte potere antiossidante. L’unico inconveniente è rappresentato dal tempo di cottura del riso (4045 minuti). Tuttavia la vostra salute ringrazierà di cuore qualora vogliate dedicare qualche minuto in più del vostro tempo per prepararlo. Ne vale davvero la pena. Totò Greco

Procedimento: Non appena l’acqua bolle, buttare dentro il riso e salare con il classico sale da cucina. Nel frattempo, tagliare le zucchine a dadini non troppo piccoli. Lavare e pulire cozze e vongole per bene. In un tegame a fuoco quasi minimo, versare dell’olio ed uno spicchio d’aglio da fare dorare un minuto scarso, quindi buttare dentro le vongole e le cozze, coprire con un coperchio ed attendere fino a che non si apriranno tutte. Sgusciarle. Lavare e spezzettare le foglie di radicchio. Lavare e tagliare a pezzi i funghi. Mettere questi ultimi in una padella a fuoco minimo insieme al radicchio e non aggiungere nient’altro, cuoceranno nel loro stesso liquido. A cottura terminata spegnare il fuoco. In un’altra padella a fuoco quasi minimo versare dell’olio extravergine d’oliva ed aggiungere la cipolla tritata ed i 2 spicchi d’aglio. Fare dorare per un minuto scarso e togliere i 2 spicchi d’aglio. Aggiungere le zucchine ed alzare leggermente l’intensità della fiamma. Dopo 2 minuti aggiungere anche i gamberetti, le cozze e le vongole. Fare cuocere ancora per qualche minuto, salare e pepare a piacimento e poi sfumare con qualche goccio di vino bianco o limoncello. Spegnere il fuoco ed unire i funghi ed il radicchio precedentemente trifolati. Scolare il riso Venere e metterlo in un piatto di servizio. Aggiungere l’erba cipollina, l’ortica, il sale grigio e la menta a piacimento e mescolare per fare incorporare per bene tutti gli ingredienti. Impiattare dando la forma desiderata con l’aiuto del coppa pasta e decorare con le strisce di peperoni grigliati sottolio ed una leggera spolverata di prezzemolo fresco tritato finemente. Lasciare raffreddare e consumare a freddo, come una classica insalata di riso.

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Salute e benessere

iNForMaZioNe e ForMaZioNe

Cocoricò! Ci riguarda? La morte di un sedicenne nel famoso e sempre affollato locale notturno di Rimini ha alzato il velo (seppur ce ne fosse bisogno) su una triste e drammatica realtà, purtroppo in espansione anche dalle nostre parti. Non occorre aspettare il morto per prenderne coscienza. Un’alta percentuale di ragazzi italiani è considerata consumatrice a rischio di alcool e di varie droghe. L’Italia purtroppo è la nazione europea più precoce in tal senso. Oltre il 20% di adolescenti (a partire dai 13 anni!) si sta bruciando il futuro. Non è allarmismo questo, né colpevolizzazione dei ragazzi. E’ invito ad aprire gli occhi anche a casa nostra. I giovani sono il futuro della nostra società ed hanno mille risorse che vanno apprezzate, incoraggiate, orientate e supportate perché si sviluppino pienamente. Sono, però, in crescita e perciò hanno fragilità che talora li rendono facilmente vittime dei predatori di turno. Alcol e droghe danneggiano irrimediabilmente il cervello ed anche la fertilità. Basta una risonanza magnetica per verificare i danni permanenti all’ippocampo, l’area cerebrale deputata ai processi della memoria e

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dell’orientamento. In soli tre mesi di abbuffate alcoliche (binge drinking), una volta alla settimana, si ha una riduzione dell’ippocampo pari al 2030%. Un deficit cognitivo irrecuperabile. Inoltre, si diviene più predisposti e precoci alla demenza senile. Anche una sola abbuffata lascia le sue tracce. Di fronte al grave problema adulti ed istituzioni non facciano gli struzzi e non giochino a scaricabarile. Occorrono un patto educativo tra le Istituzioni e adeguata vigilanza per aiutare i nostri ragazzi a non cadere nella trappola, senza aspettare il morto. Educazione, prevenzione, accompagnamento e vigilanza sono necessari. Tutti ne siamo responsabili! Per gentile concessione della Direzione del quotidiano Avvenire, pubblichiamo un’intervista del giornalista Vito Salinaro al direttore dell’Osservatorio Alcol dell’Istituto Superiore di Sanità e presidente dell’Associazione Italiana di Alcologia, Emanuele Scafato. A partire  dai 13 anni si comincia a  bere e fumare. Alcol e droghe danneggiano  il cervello.


Salute e benessere

ALCOL? SERVE UNA SVOLTA CULTURALE Intervista a Emanuele Scafato

iNForMaZioNe e ForMaZioNe I figli  bevono  sempre di più, mentre i genitori e le autorità rimangono  distratti

«Oggi le esigenze del mercato prevalgono sulla tutela della salute. Parliamo ai nostri figli dei rischi, diciamo loro che tre bicchieri fanno salire del 50% il rischio di cancro al seno» «I ragazzi vogliono essere più disinibiti, vorrebbero potersi guardare negli occhi e dirsi 'ti voglio bene', piuttosto che mandarsi un 'tvb' con un Sms, come avviene oggi, con un conseguente disastro sul fronte delle relazioni ». Dunque, «l’alcol, abbattendo l’attenzione, diventa un lubrificante sociale; 'facilitando' le relazioni». Già una quantità appena «euforizzante ha per i ragazzi un valore aggiunto». Le parole di Emanuele Scafato sono tutt’altro che accomodanti e giustificative. Servono solo a farci comprendere meglio un fenomeno che sta conoscendo un’impressionante espansione tra i ragazzini, 800mila dei quali, in Italia, sono già «consumatori a rischio». Professore, perché questa escalation? Negli ultimi 20 anni si sono fatti strada modelli culturali, che invitano a bere, mai contrastati adeguatamente dal controllo formale degli adulti. Questi ultimi non hanno saputo riconoscere i grandi rischi connessi al marketing del bere e alle modalità di promozione delle bevande. Sono così persuasive queste modalità? Ogni anno si spendono centinaia di milioni di euro in pubblicità per le bevande alcoliche. Le direttive comunitarie vogliono che questa pubblicità non sia rivolta ai minori. Ma un controllo è impossibile. Gli spot suscitano fascino in ragazzi e giovani. E richiamano i luoghi di aggregazione dove i ragazzi sanno di poter ottenere grandi quantità di alcol in maniera pressoché gratuita o quasi. Eppure in Italia esisterebbe una legge... Ha detto bene, 'esisterebbe' una legge che vieta vendita e somministrazione di alcolici ai minori. Ma è puntualmente disapplicata. Il che non qualifica la nostra società. Che dovrebbe invece mantenere alto il livello di tutela della salute e della sicurezza, principalmente dei minori. Basterebbe che già gli enti locali affrontassero il problema con la massima severità, senza aspettare gli in-

terventi del Parlamento, per avere i primi risultati positivi. L’alcol è la prima causa di morte tra i giovani in Italia. Ma, purtroppo, oggi esiste un mercato che è prevalente rispetto alla tutela della salute. E in questo mercato i nostri adolescenti sembrano del tutto a proprio agio. Dalle interviste raccolte in tutta Europa possiamo oggi affermare che per i minorenni l’Italia è il Paese dove più facilmente si possono reperire e consumare bevande alcoliche. Nei pub, in discoteca o negli esercizi commerciali. Ma anche nei luoghi di aggregazione familiare il rischio esiste. Perché la casa offre la prima abilitazione al bere, con tanto di permesso degli adulti. I genitori sono inconsapevoli? I genitori, soprattutto, non si fanno carico di tenere aperto un canale di ascolto in quel particolare momento di sviluppo dei figli in cui possono emergere problemi che i minori canalizzano nel consumo di alcol. I ragazzi danno retta ai coetanei che consigliano l’alcol per attenuare la sensazione di ansia, di angoscia, di difficoltà che possono provare. E allora cosa dire ai figli? Occorre informarli. Offrendo tutti gli elementi che consentono di riconoscere il rischio. Ad esempio, bisogna dir loro che un bicchiere di alcol incrementa del 7% le possibilità di cancro al seno; con tre bicchieri il rischio sale al 50%. Questi elementi non vengono forniti da nessuno: genitori, scuola, istituzioni. Persino i medici 'indagano' raramente, fanno poche domande sul rischio alcol-correlato. Serve una svolta, Prima di tutto culturale. La Rocca 23


Marinesi fuori sede

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Da Marineo a Bologna: viaggio di sola andata Bologna è una città giovane, ha l’età di una studentessa universitaria che si distrae.

Sacra la casa del padre/ lascerai la tua dimora per quale promessa o beneficio./ Non abiterai questa terra che ti fu data/e spargerai semi sulle antiche radici./ Diventerai il vecchio e il nuovo insieme/ senza via di fuga dal doppio./Nessuna Alleanza ti salverà/ né passato o futuro te ne libereranno mai. Si confondono le direzioni quando si prende l’aereo e non si riesce più a dire quale sia l’andata, quale il ritorno. Non più arrivi e partenze, ma movimenti di una geometria che si sdoppia e si fa parallela. E la distanza maggiore non è mai quella spaziale. Ma andiamo con ordine: Bologna è una vecchia signora coi

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fianchi un po’ molli, cantava Guccini tanti anni fa, ed oggi resta tale, forse solo un po’ più rifatta, ma ugualmente furba e attenta. Si muove lenta con la sua pelliccia di visone e puoi scorgerne i tratti nel viso di tante donne ricche e attempate, protese nel continuo sforzo di tenersi stretta l’unica cosa che nessuna chirurgia può recuperare: la vita. È una borghese Bologna, gestisce una galleria e smercia opere d’arte, dal suo bancone vende cultura e spaccia conoscenza. Bologna è una zdaura, una massaia indaffarata, con le maniche rimboccate e sporche di farina, socievole e chiacchierona, ma gelosa dei suoi


Marinesi fuori sede

segreti. Si lascia scoprire piano, è cauta e talvolta diffidente; si intravede appena dietro un antico portone socchiuso, o nel soffitto affrescato quando per caso si illumina una finestra. Si nasconde, e non si dà. La si conquista, metro per metro. La si cerca nell’intrico fitto dei suoi vicoli medievali, tra pietre antiche e moderne. E si ha l’impressione di non possederla mai del tutto. Bologna è giovane, ha l’età di una studentessa universitaria, che non dà troppo peso allo studio e si distrae… rallenta… indugia e il suo libro più consumato è la piazza. Manifesta e grida contro il sistema, qualche volta perché ci crede, qualche altra per egocentrismo. Fa la voce grossa e si veste male perché vuole essere trasgressiva, si sente un’artista, e in alcuni casi lo è davvero. Bologna però è anche povera. È una senza-tetto che vive sotto i portici, che veste di stracci e consuma il suo unico pasto alla mensa comunale. Lo fa per scelta o forse perché non glien’è rimasta altra. È una zingara insistente e fastidiosa, respinta via da chi di fastidi suoi ne ha già troppi per

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pensare anche a quelli altrui. Bologna è come la sua chiesa più grande, San Petronio. Svetta fiera in piazza Maggiore pur non essendo la cattedrale. Interrotta a metà, con le sue due anime a vista di marmo e pietra grezza, abbozzata e conclusa in fretta perché non deve diventare competitiva. C’è bolognità in piazza Verdi dove il portico dell’elegante teatro comunale è anche il posto più degradato della città. O in via Gobetti dove accanto al CNR è stato allestito il Campo Nomadi. Bologna si costruisce sulle contraddizioni e sulle alterità. Si scontrano queste sue molteplici nature, ma anche si compenetrano: l’una vive dell’altra e in funzione dell’altra si alimenta e si definisce. Anche lei ha una vitalità terrigna ma non come la Sicilia. La Sicilia è luce, che alle volte scotta, altre brucia, alcune accarezza, non sempre illumina. E’ una terra di siccità e di calore denso e terso, di gente che strilla ai bordi delle strade, di sudore e di chiacchiere davanti al bar. E’ terra di agosti perenni, di bestie stanche o motorette rombanti, è terra di odori forti e limpidi, di colori sfocati e morbidi, di respiri rarefatti ed at-

mosfere condensate, è terra di vita e morte non più, non meno di altre, ma soprattutto è la mia terra. Pensarmi come studente fuori sede era fascinoso, aveva il gusto spensierato della transitorietà di un’esperienza. Raccoglievo ogni bisbiglio del posto e lo conservavo come memoria preziosa da raccontare e condividere al ritorno. Bastava questa inconsapevole provvisorietà per credermi libera. Pensarmi come lavoratrice fuori sede è diventato più complicato. Si inverte la direzionalità dello scambio, non ci si trova in un posto solo per ricevere ma per investire, e si percepisce più forte tutta la responsabilità della permanenza. Da qui lo sdoppiamento e l’esigenza forte di realizzarsi, di cancellare il tradimento, l’abbandono, l’egoismo nei confronti della famiglia, della comunità, della terra che si lascia, e non ha importanza che la si lasci per sopravvivere, per fare fortuna o semplicemente per mettersi alla prova. Resta al fondo di tutto una distorsione, uno strabismo insanabile. Nasciamo marinesi, cresciamo siciliani, diventiamo italiani e poi europei giustapponendo identità che non si autoescludono né si fondono, ma si intersecano inestricabilmente. Si approfondisce allora la capacità di leggere quanto ci circonda, si aguzza la vista e il pensiero. Ma più di ogni altra cosa si impara a ringraziare, ché nulla infine ci è dato. “Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti” (Pavese-La luna e i falò). Chiara Calderone La Rocca 25


Storie di vita

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Fraula e limoni... arrifriscativi u pizzu! don totò Visconti era veru un mastru a fari lu gelatu. Po’, la famigghia s’allargà e puru li marita di li figghi fimmini traseru nta lu giru di lu gelatu e macari si graperu li cafè.

Petru Visconti

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uàsica cent’anni nnarrè a Marinè lu gelatu mancu asistia: sulu pi li iorna di Santu Ciru d’austu Papagliuni ia a pigghiari a li niveri sutta Rocca Busammaru, la nivi caduta nta lu mmernu e fatta arrivari a la staciuni nta fossa funnuti cummigghiati cu pagghia. A Marinè po iddu arrascaia anticchedda di nivi dintra un bicchireddu, cci mittia na larma di zuccaru e si la vinnia. Corchi dicina d’anni doppu, quasanti don Nicola

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Trentacosti lu mulinaru nca facia puru cosi duci, accuminzà ad accumpàriri lu gelatu. Don Nicola avia na machinetta girata a manu unni cci mittia lu ghiacciu e lu priparatu cu li conzi: a furia di girari lu gelatu addinzàia e accussì si putianu fari li sci allotti e li cuppetta ma ancora di cchiù, - sempri e sulamenti pi la festa di Santu Ciru - ,li bummi e li libretta pi tagghiaricci po’ li pizzetta, lu gelatu tagghiatu a fidduzzi, fattu di tanti sapura: terroni, cannedda, ciccolatti, fraula e limoni. Cu putia si l’accattàia o si lu manciàia assittatu nta corchi cafè, gudennusi lu passiggiu o la musicata di la banna. Ma fu pocu cchiù pocu menu a lu 1935 nca a Marinè arrivà pi daveru lu gilatu: lu accumincià a fari lu zzu Totò Visconti nca apprima vinia cu lu carruzzinu di Villabati sulu la duminica e di po’ si pirsuadì a benirisinni a stari a Marinè cu tutta la famigghia. Lu zzu Totò lu gelataru – comu amurusamenti tutti subitu lu chiamaru - cu ssò muggheri donna Maruzza: e cu è ca a Marinè un li canuscì? Facianu lu gelatu a la casa e po’ lu zzu Totò lu

ia vinnennu paisi paisi cu un carruzzinu mpaiatu a lu mulu ca si furriaia strati e stratuzzi, chiazzi e curtigghia abbisannu di lu sò arrivu cu lu sonu di na trummidda comu chidda ca sunàianu li spazzini e lu zzu Mattè l’abbanniaturi. Po, sparti di nèsciri cu lu carruzzinu, si misi a fari gilatu a la chiazza, propia a punta di cantunera cu la strata di la cursa: si grapì lu chioscu propia a chiazza di populu! Don Totò era veru un mastru a fari lu gelatu e a ddi tempi unn’è ca era fàcili comu ora! S’avianu a canusciri l’assenzi, sapiri li dosi ghiusti e sapiri travagghiari a la carpigiana, la màchina chi “tiraia” lu gilatu. E ccu si po’ mai cchiù scurdari ddu ciavuru di cannedda o ddu sapuri di ciccolatti? Sara puru ca nuatri picciriddi a ddi tempi lu gelatu lu vidìamu cu lu binoculu e l’addisiàiamu simani sani ma quannu lu zzu Totò nni mittia nta li manu lu cuppiteddu – cincu liri custàia! – nuatri tuccàiamu lu celu cu un ghitu! Arrivaru po’ li figghi nca ìanu criscennu a dari manu forti a donna Maruzza e don Totò: Nenè, Petru, Vicenzu,Giuseppina e Rosa.

Nenè Visconti a lu chioscu


Storie di vita

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Don Totò  u gelataru

Mè patri ca avi novantatri anni s’arriorda a Nenè, nca si vistia tuttu di biancu e furriaia lu paisi cu na speci di briciletta a tri roti ca cunnucia lu puzzettu di lu gilatu: un triciclu a usu di chiddi ca ancora oi m’Palermu ci vannu vinnennu lu sfincionello nzumma. Pi ghiunta na vota pigghià cursa di la strata mastra nta la calata versu la chiazza e ghì a sbattiri sutta lu cannolu, nni donna Cuncittina la matinchi! Ma puru l’atri frati furriàianu cu lu carruzzinu: m’arriordu quannu ìanu a la Madinnuzza lu iornu di lu iocu di li pignati o a lu cumuni granni quannu si cci iucaia a lu palluni o puru a lu cortili di li scoli quannu picciriddi facìamu lu saggiu ginnicu e a la finitura n’arrialaianu un gilateddu ca nni iuncìa nfina all’unghia di li pedi tantu era addisiatu. Comu la furrii furrii, lu sapuri di ddu gilatu mai cchiù a nudda banna l’appi cchiù a tastari: “ Arrrifriscativi lu pizzu….fraula e limoni, ciccolatti e terroni….vinitilu a tastari ch’è beddu stu gilatu!” abbanniàianu paisi paisi; e passàianu nta

l’uri chiù cavudi, e tanti pi daveru “s’arrifriscaianu lu pizzu”! Po’, la famigghia s’allargà e puru li marita di li figghi fimmini traseru nta lu giru di lu gelatu e macari si graperu li cafè. E accussì puru Carmelu Li Castri e Gnaziu Funtana facìanu gelatu e lu vinnìanu paisi paisi; e doppu d’iddi, li figghi: l‘unica differenza era nca nun c’era cchiù lu carruzzinu tiratu di lu mulu nca c’eranu li “lapini” e di po’ li màchini. E sparti a chìssu, nenti cchiù trummidda sunata a ciatu: altoparlanti e manciadischi ca facianu attintari li megghiu canzuni di ddi tempi, a pàrtiri di li stornelli di Claudio Villa e li gorgheggi di Lucianu Taioli (“Terra straniera quanta malinconia…E daglie de spinta daglie de mano deve curasse er sor Mariano la salute l’abbandona co na moglie accussì….continuate voi!) nfina a ghiunciri ad Al Banu, Celentanu e Luciu Battisti. Nta lu mmèrnu Don Totò e li sò figghi facìanu li panelli e puru chiddi, chi eranu duci! Pò vinia la primavera e pi Pasqua facìanu lu primu gelatu di l’annu. E comu potti mai ammàttiri nca st’annu, propia lu

Gnaziu e Saverio Fontana

iornu prima Pasqua, Pietro Visconti, figghiu di Don Totò e donna Maruzza, - Petru lu gelataru per grandi e piccoli, uomini e donne del paese, - propia ddu iornu ì a mòriri? Chi cumminazioni! Ma èduca nenti accàpita pi casu. Pinzannu a iddu, a quannu furriàia lu paisi cu lu carruzzinu o facia gelatu a la chiazza o vinnia li panelli, pinzannu a li sò frati, a li so soru, a sò patri e sò matri e a li so cugnati, penzu a comu fìciru duci la vita a tanti marinisi. Quannu si travagghiaia e si ittaia sangu e suduri n’campagna e un c’era veru nenti, quannu li fìmmini addivàianu figghi ncapu figghi cu tanticchia chiossà di nenti, na larma di gelatu facia tuccari lu celu cu un ghitu! E chi maaria po’, quannu nta lu puzzettu di lu carruzzinu la paletta untata di ciccolatti si mmiscaia cu lu limoni: ancora oi ddu sapuri mi lu riordu comu lu”sapuri” di lu zzu Totò e donna Maruzza e di tutta la so famigghia! Lu fattu è nca chiddu è lu “sapuri” di lu tempu chi passà, cu li cosi boni e li cosi menu boni; lu “sapuri” capaci di gràpinni la porta di li riordi cchiù beddi e di lu tempu chi nun torna mai cchiù; lu sapuri capaci di farinni arrriturnari a galla la nostalgia – la memoria di li nostri sentimenti-. E pi dilla comu lu famusu regista Paulu Sorrentinu nta lu so film “Youth la giovinezza” a prupositu di chiddu chi veramenti arresta dintra di nuatri doppu tutta na vita: “le emozioni che siamo stati capaci – o non siamo stati capaci – di provare, sono tutto ciò che rimane della nostra esistenza”. Franco Vitali La Rocca 27


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inventario della memoria

Il mito di Medea: quando le madri uccidono i figli un grave fatto di cronaca quarant’anni fa sconvolse il nostro paese. Cosa passa nella mente di queste madri? il parere dell’esperta psicologa criminale. È possibile per una madre arrivare ad uccidere il proprio figlio? Che cosa passa nella mente di una donna che arriva a commettere un simile gesto? Una madre che uccide il figlio è sana di mente? Queste sono le domande che ci poniamo quando accadono tragici fatti di cronaca come quello che recentemente ha sconvolto il paese di Santa Croce Camerina e che più di quarant’anni fa sconvolse il nostro paese, quando Maria Concetta Sileci compie il gesto estremo, getta nel pozzo i due figli Maurizio e Giuseppe e infine si toglie la vita gettandosi in quello stesso pozzo. Il figlicidio è, tra i delitti contro la persona, quello che più di tutti turba l’opinione pubblica perché è inconcepibile pensare che una madre, colei che dona la vita, possa toglierla. È qualcosa che la nostra mente non riesce a capire e spiegarsi. Forse è il principio che guida le nostre riflessioni a non essere corretto, quello secondo cui tutte le madri amano i propri figli. A mio avviso bisogna partire dal presupposto che un figlio, una nuova creatura, non ha per tutte le donne la stessa valenza affettiva. Una madre è capace di un amore così grande che può arrivare fino a comprendere il sacrificio. Di contro la condizione di “essere madre” potrebbe generare anche un violentissimo odio a causa del quale una donna potrebbe arrivare perfino ad uccidere il proprio figlio. Il periodo più a rischio, in cui è possibile che si scateni l’impulso omicida contro i figli, è quello che va dal parto ai sei mesi di vita del bambino, periodo in cui la madre deve imparare a rapportarsi con una nuova creatura che dipende e che, per un certo numero di anni, dipenderà interamente da lei. Alcuni di questi delitti sono proprio legati alla depressione post-partum. Si tratta di una forma di depressione che colpisce le donne immediatamente dopo il parto, una condizione che causa sofferenza alla donna e, di conseguenza, anche al bambino e che, se non adeguatamente riconosciuta e curata, può avere conseguenze disastrose.

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Vi sono situazioni in cui il figlicidio avviene perché si tratta di un bambino indesiderato; è il caso di quelle donne che hanno nascosto una gravidanza mai accettata e che, non appena mettono al mondo il bambino, provano l’irrefrenabile impulso di sbarazzarsene. Sono noti i casi di cronaca di madri che abbandonano


inventario della memoria

il neonato nei pressi di ospedali, cassonetti o, peggio, che partoriscono e abbandonano il neonato nei bagni pubblici. Le “Madri Medea” sono donne che, abbandonate o tradite, credono che uccidendo il figlio possano riuscire a vendicarsi e punire il vero oggetto d’odio e cioè il partner, proprio come accadde nel mito greco in cui Medea uccide i suoi figli per punire Giasone. Molte madri si suicidano immediatamente dopo l’omicidio del figlio; per altre c’è un’altissima probabilità che questo avvenga non appena realizzano ciò che hanno commesso perché il carico emotivo che il delitto rappresenta è schiacciante. Non dimentichiamo che ciascuna di queste donne vive uno stato di profondo disagio psicologico, porta dentro di sé una ferita, una sofferenza, un’angoscia che non è possibile liquidare con espressioni come “solo una persona malvagia può arrivare a tanto”, “è un’egoista”,

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“è pazza”. Non ci sono mamme cattive, ci sono mamme che stanno male e che devono essere aiutate. Le madri non uccidono i propri figli di punto e in bianco. Prima di arrivare a situazioni estreme, ci sono segni di malessere che si protraggono da anni, da mesi, da giorni. Chi sta loro vicino ha il dovere di coglierli. Un elemento indispensabile, che può fungere da fattore di protezione, è la coordinazione di più persone ed enti: rete amicale, famiglia, scuola, comunità religiosa e assistenza sanitaria che, insieme, devono collaborare al fine di individuare le persone più deboli della comunità e fornire loro tutte le risorse di cui necessitano, per tutto il tempo di cui hanno bisogno. Per il primo aiuto, prima che si passi ad uno specialista, non è necessario essere degli esperti, ma usare il proprio cuore per tendere la mano all’altro. Alessia Tegoletto La Rocca 29


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Stili di vita

Osteopatia e postura: consigli ed esercizi correttivi

e’ molto importante sapere come uno dovrebbe “portare” il proprio corpo. Ciò serve ad evitare mal di schiena, rigidità del collo, dolori agli arti superiori e cefalea. Gli Osteopati e gli Insegnanti di Back School sono molto attenti riguardo la postura dei loro pazienti, consigliano loro come correggerla e come fare degli esercizi correttivi, in modo tale che dopo averli trattati con le loro manipolazioni il loro il beneficio duri più a lungo. Oggi giorno gli stessi medici sono consapevoli dell’importante ruolo che la postura gioca nell’eziologia di differenti patologie. E’ molto importante sapere come uno dovrebbe “portare” il proprio corpo. Una schiena gibbosa e delle vertebre contratte insieme causano mal di schiena. Il collo incassato nel tronco causa rigidità del collo, dolore agli arti superiori e cefalea. Quando stiamo in posizione eretta quanti di noi distribuiscono egualmente il peso del corpo su entrambe le gambe? La maggior parte delle persone scarica il peso del corpo su di una sola gamba, mettendo così in tensione la pelvi e di conseguenza il tratto lombare. Una cattiva postura mantiene i nostri muscoli contratti, che nel tempo diventano fibrotici. Quanti genitori sono attenti alla postura dei loro figli? La correzione della postura in un bambino è sicuramente molto più facile che in un adulto. Modalità salutari sviluppate da bambino aiutano da adulti fino alla vecchia. E’ molto importante osservare come il nostro bambino siede, legge, scrive, cammina e gioca. Sin dalla giovanissima età ogni sforzo dovrebbe essere fatto in maniera da evitare futuri mal di schiena. Il mal di schiena è un sintomo universale. Nell’età adulta quando la degenerazione del disco è già incominciata e la colonna vertebrale tende a diventare rigida, gli esercizi di piegamento in avanti dovrebbero essere assolutamente evitati, e nel caso fossero necessari saranno svolti in maniera molto graduale. Un dolore diffuso lungo tutta la colonna vertebrale è dovuto spesso allo stiramento del legamento posteriore della colonna, seguito da una postura errata. Il tutto associato a un modo scorretto di stare in piedi o seduti. Dei semplici esercizi di Ginnastica Posturale possono giovare moltissimo a tutte queste disfunzioni di postura, portando il paziente a mantenere una postura corretta. Il sedere malmesso su di una sedia bassa comporta una considerevole tensione alla zona lombare. Se la modalità di star

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seduti non viene corretta qualsiasi metodica per migliorare la lombalgia sarà inficiata. Il paziente deve sedere in fondo alla sedia e appoggiarsi allo schienale della sedia. RICORDATE • Quando sollevate un peso usate la forza delle gambe, e non sollevatelo mai con le braccia tese, portatelo il più vicino possibile al tronco • Non torcete il vostro corpo quando ruotate, piuttosto cambiate la posizione dei vostri piedi e ruotate. Il peggior movimento che possiate fare e quello che unisce al movimento di flessione a quello di rotazione. • Fate costanti esercizi di estensione del rachide, e mantenete un buon tono muscolare addominale. • Rivolgetevi al Vostro Osteopata di fiducia e al Vostro Insegnante di Back School. Paolo Catanzaro


Stili di vita

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Il segreto per vivere meglio e più a lungo direzione nel futuro e lo scopo come valore vitale sono fattori necessari per una vita lunga.

S

embra scontato quello che sto per dirvi ma, non lo è… sono sicuro! Chi ha uno “scopo” nella vita vive di più e meglio. Si ne parla tanto dell’argomento in questione, ma voglio riportare la mia testimonianza, frutto dell’esperienza diretta, vissuta durante il mio lavoro assistenziale in ospedale e non solo. Ho scoperto che pazienti affetti dalla stessa patologia hanno un modo diverso di accettare e vivere la loro malattia durante il processo terapeutico. Questo dipende dal senso che danno ai valori: famiglia, credo spirituale, valori politici, legali, etc. Se chiediamo ad un “depresso” perché si ritira dalla vita molto probabilmente ci dirà che la sua vita ha perso di “senso”. Penso che longevità e scopo siano la faccia della stessa medaglia. A tal proposito mi permetto di scomodare, per rafforzare la mia teoria, Milton Erickson, medico psichiatra, nato all’inizio del 900 e morto nel 1980, noto per la sua longevità. Infatti fin dalla primissima età è stato affetto da poliomelite, esperienza che rivivrà in età adulta. Sia lui che i suoi figli raccontano che per ben due volte i medici gli hanno predetto che stava per morire. Erickson spiega che quando era bambino sentì il medico dire a sua madre che non avrebbe superato la notte. Quando la mamma entrò nella camera il bambino gli chiese di spostare il letto verso la finestra, cosi da poter vedere sorgere il sole al mattino. Un secondo racconto è riportato direttamente dai figli di Erickson: ogni volta che si recavano dal medico per sottoporsi a visita, quest’ultimo gli chiedeva di restare a riposo,

perché purtroppo la sua situazione di salute era peggiorata e che da lì a poco sarebbe morto. Questo gli è stato predetto circa una decina di volte e ogni volta lui rispondeva: “Non posso morire, il prossimo anno ho un sacco di cose da fare: convegni, formazione, aiutare i pazienti etc...”. Con queste due storie Erickson ci trasmette un messaggio a molti livelli: “la direzione nel futuro” e “lo scopo come valore vitale”. Inoltre, voglio riportare la sperimentazione condotta dai ricercatori Hill, della Carleton University, e Turiano, dell’Università di Rochester Medical Center. Con il loro studio pubblicato su Psychological Science (2014) gli stessi hanno esaminato la vita di 6000 persone, monitorate per la durata di 14 anni con il Progetto denominato Midlife in the United States (MIDUS). A questi ultimi sono stati posti dei quesiti sugli scopi che hanno nella loro vita, e quanta importanza gli conferivano. Pertanto, è apparso evidente che le persone con un forte obiettivo nella vita sono quelle che “vivono di più”. Un altro dato da sottolineare è legato all’età.

Il legame tra scopi e longevità non riguarda solo gli anziani. Infatti si osserva che un ventenne senza ideali nella vita ha un rischio salute quanto un sessantenne. Il dato mette in risalto l’importanza di possedere forti motivazioni nella propria vita. Si è osservato che un forte scopo nella vita tende a far vivere di più. Prendiamo ad esempio uno scalatore: nonostante sia stremato dalla stanchezza, ha un notevole stimolo che gli permetterà di arrivare comunque in cima alla montagna, riuscendo nell’impresa, mentre chi non è cosi coinvolto si fermerà appena sentirà le forze venir meno. Altro aspetto fondamentale è come il sistema mente-corpo funziona. Se in pratica ti muovi come se fossi giovane si attivano parti del tuo cervello che ti fanno sentire veramente giovane e viceversa. In più ciò che leggi, ascolti e vedi ti influenza. In definitiva, ogni cosa può interagire con questo sistema: anche l’ambiente di lavoro. Qualche consiglio: prenditi cura di qualcosa che sai gestire, mantieni la mente attiva, prega e medita, muoviti attivamente e trattati bene. Dedico queste poche righe a tutti coloro che nella vita, nonostante le molte difficoltà, hanno dato valore al loro tempo terreno. Devo confessare che ho conosciuto persone che hanno vissuto la loro malattia con dignità fino alla fine e questo mi ha cambiato dentro e il modo di guardare la vita. Persone capaci di dare “senso al non senso”, in grado di rialzarsi dopo ogni caduta e guardare avanti perseguendo il loro scopo fondamentale di “amare la vita”. Giuseppe Puccio

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Giovani

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Il dialogo e le emozioni al tempo di Whatsapp Siamo tornati ai disegnini. oggi si chiamano emoji o emoticons, espressioni facciali. Su internet circola una immagine che descrive tra il serio ed il sarcastico l'evoluzione della scrittura dalla sua prima comparsa ad oggi. E ci appare subito evidente che a forza di andare avanti, siamo tornati indietro. Al linguaggio delle caverne, inteso nel senso più nobile e meno offensivo del termine. Siamo tornati ai disegnini. Oggi si chiamano Emoji o Emoticons, che rappresentano riproduzioni stilizzate di quelle principali espressioni facciali (ma non solo) umane che esprimono un'emozione. Vengono dal Giappone, da qualche tempo abitano nei nostri telefonini e stanno rottamando l'alfabeto e le lingue del mondo. Anche se più precisamente direi che stanno integrando le caratteristiche della nostra scrittura. Ora invece di scrivere una frase lunga, sempre più spesso ce la caviamo con una faccina sorridente appropriata al caso (si può sorridere in trenta modi diversi nel mondo delle Emoji, e lo stesso per arrabbiarsi o piangere; oppure puoi mettere il disegno di una qualunque altra cosa (la scelta è ampia, le Emoji sono più di 800). È questo il dialogo al tempo di WhastApp. E se non può chiamarsi rivoluzione è solo perché i primi uomini della terra già facevano così. Dev'essere che la vita è come un cerchio: il primo giro delle parole è durato qualche millennio e adesso si ricomincia dall'inizio. È in corso lo sviluppo di un linguaggio universale

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Evoluzione della scrittura dalla sua prima comparsa ad oggi.

che come molti fenomeni umani presenta sia aspetti positivi, funzionali che aspetti negativi, disfunzionali. Sicuramente l'utilizzo delle Emoji arricchisce e completa il semplice messaggio di testo. Le parole vanno sempre accompagnate da un'emozione che ne completa l'aspetto comunicativo. In questo senso l'utilizzo degli Emoticons permette ad un testo "freddo" e non completo di acquisire calore e di completarsi, di divenire più chiaro e non equivoco attraverso un aspetto "non verbale", più emotivo, livello da sempre es-

senziale ed alla base delle dinamiche comunicative ed interpersonali. Di contro, soprattutto tra i giovanissimi, sono presenti all'interno di questi particolari assetti comunicativi, interi scambi di messaggi che avvengono senza digitare una sola lettera dell'alfabeto. Solo raffiche di disegnini spesso di ardua interpretazione. In questo modo si perde l'attitudine alla scrittura, fondamentale aspetto evolutivo, formativo e culturale. Ma ne risente anche e soprattutto l'aspetto relazionale. Ci abituiamo a vivere, filtrare, comunicare, trasmettere, sentire emozioni attraverso un mezzo, una macchina, uno strumento materiale e non attraverso il contatto diretto con l'altro, non attraverso lo sguardo, i gesti, il tono, l'odore dell'altro. Perdendo ciò, perdiamo la nostra capacità di vivere, sentire, comprendere le emozioni della persona con cui interagiamo, sviluppando un delimitante ed impoverente "analfabetismo emotivo". Non dobbiamo mai avere paura del nuovo, di tutto ciò che si presenta come nuova abitudine. È consigliabile "solamente" saper utilizzare, maneggiare tutto questo. Le Emoji o gli Emoticons sono carini, simpatici, colorati e spesso utili, ma non dimentichiamo che la vera emozione passa attraverso un contatto diretto. Passa attraverso gli occhi dell'altro. Michele De Lucia


Giovani

iNForMaZioNe e ForMaZioNe

GLI SCOUT DI MARINEO AL CAMPO: L’AVVENTURA DI ULISSE ogni campo per noi ragazzi è una meravigliosa avventura e ha un tema conduttore.

É il 25 Luglio e il reparto matrioska Marineo 1 è partito per Bovo Marina, in provincia di Agrigento, per l’annuale campeggio estivo. Ogni campo per noi ragazzi è una mer-

avigliosa avventura e ha un tema conduttore. Quest’anno abbiamo scelto l’avventura di Ulisse: è stato nostro compito aiutare Ulisse che aveva perso la giusta rotta per la

sua amata Itaca. Il percorso per aiutare il nostro amico è stato molto tortuoso. Dopo le costruzioni dei primi giorni siamo dovuti scappare dalla grotta di Polifemo con un meraviglioso percorso hébert, dopo aver accecato il gigante. Nettuno, suo padre, infuriato per quello che abbiamo fatto a suo figlio, ha scatenato una tempesta che ci ha portati nell’isola della maga Circe. Era un’isola sconosciuta e siamo dovuti andare in missione per conoscerla meglio. Tornati ai nostri accampamenti Circe ci ha trasformato in maiali con l'inganno. Per liberarci dall'incantesimo abbiamo dovuto raccogliere degli ingredienti speciali per creare un antidoto. In seguito dopo essere salpati dall'isola della maga, abbiamo superato, senza poche difficoltà, lo stretto di Messina infestato da mostri marini e le bellissime ed ammalianti sirene. Finalmente dopo essere approdati ad Itaca abbiamo dato il via ai festeggiamenti con le Olimpiadi e con una bellissima fiesta. Questo campo ci ha aiutato a crescere tra le pinete e le chiare scogliere di Bovo Marina, meraviglie che spesso sottovalutiamo, e di fare nuove esperienze rispettando lo stile di vita scout. Oggi posso dire che sono tornato con uno zaino più pesante di quando sono partito, portando in me dei valori molto importanti come la gioia, l'amicizia, lo spirito di collaborazione e soprattutto tanta felicità. Andrea Oliveri La Rocca 33


Calcio

SPort

Calcio, quali prospettive per il prossimo anno?

Quattro chiacchiere con Salvatore Pernice, dirigente dell’oratorio San Ciro e Giorgio di Marineo. obiettivo per il 2015 “ottenere subito la salvezza”. Ciao  Totò!  Si  avvicina  la prossima stagione calcistica, ancora in Prima Categoria. Che annata sarà? Salve. Sarà un’annata migliore rispetto a quella dello scorso anno. La salvezza ai play-out ed i vari problemi della scorsa stagione ci hanno permesso di crescere sotto tanti punti di vista, soprattutto per quanto riguarda l’esperienza e la maturità in campo. Siamo pronti a dare il massimo per tornare ad occupare posizioni “importanti” della classifica. Come  vi  stare  muovendo  dal punto di vista del mercato? Stiamo cercando di costruire una squadra ancor più forte rispetto a quella dell’anno passato. In panchina siederà Pino La Torre che ha grande esperienza e ci darà una grande mano a tenere saldo il gruppo. Siamo contenti, poi, di aver confermato lo zoccolo duro della rosa e di averla migliorata con alcuni innesti mirati come Claudio Barone in porta. Investiremo su diversi giovani interessanti come Paolo Costa e Samuel Rocco (classe ’98) e proveremo a portare a Marineo diversi profili interessanti che seguiamo da tempo. Che obiettivi vi siete posti? Intanto dobbiamo lavorare tanto per arrivare prontissimi al campionato. Ogni partita dovrà essere interpretata nella maniera più corretta con umiltà e sacrificio. L’obiettivo

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minimo è raggiungere una tranquilla salvezza, da ottenere il prima possibile. Poi, se ci sarà la possibilità, penseremo ad altro. Un’altra stagione a fianco della squadra. Sei pronto? Ormai seguo questa squadra da tantis-

simo tempo. E’ una grande passione che spesso comporta battibecchi con la famiglia (ride, ndr). Insieme agli altri dirigenti, vecchi e nuovi, e alle persone che collaborano, proviamo a dare una mano gratuita per il bene del nostro paese. T. S.

Un calcio per la vita 4 e una battuta per la vita 3 Anche quest’anno sono terminati i due tornei sportivi estivi organizzati dalla confraternita di Misericordia di Marineo “Un calcio per la vita 4” e “Una battuta per la vita 3”. Grande entusiasmo di stampo agonistico da parte del pubblico anche per questa stagione, spettatore di più partite sia all’interno del cortile dell’edificio scolastico marinese sia nella palestra della scuola media. Quindici le squadre partecipanti al torneo di calcio a cinque ed otto le squadre partecipanti al torneo di pallavolo a 6, ognuna con un proprio spirito di squadra e una motivazione determinante, anche se soltanto in poche hanno avuto la meglio nella competizione. Il torneo “Un calcio per la vita 4” si è articolato in tre partite per ogni serata, ciascuna della durata di 60 minuti; ad arbitrare tutte le partite Salvatore Pernice, affiancato da Salvatore Scarpulla dai quarti di finale fino alle finali decisive. La prima classificata del torneo è stata “La Bombonera”, a seguire al secondo posto il “Real Finelli”; un premio particolare al capocannoniere Emilio Sclafani e al miglior portiere Antonino Buttacavoli. Altra dinamica per il torneo di pallavolo “Una battuta per la vita 3”: due partite per ogni serata hanno visto protagoniste le otto squadre partecipanti con il prezioso contributo dell’arbitraggio di Martina Li Castri; tre le squadre ad occupare il podio ma solo una la vincitrice della competizione: I Picchiaduro. Anche quest’anno lo scopo dell’iniziativa è nobile, una raccolta fondi per poter procedere all’acquisto di attrezzature mediche pediatriche. La confraternita cerca di mettere sempre i propri volontari e i propri strumenti al servizio della comunità e, dopo tutto, anche questa raccolta fondi ne è la prova. Una realtà quella del volontariato che va promossa e di cui queste attività sono il frutto. Erica Li Castri


Calcio

attiVità della SPort FoNdaZioNe

L’Oratorio festeggia la salvezza in Prima Categoria

Con il successo sull’albatros, l’oratorio festeggia la salvezza. la formazione marinese, così, giocherà il prossimo campionato in Prima Categoria. Nel giorno della “liberazione”, l’Oratorio San Ciro e Giorgio di Marineo si “sbarazza” dell’Albatros Lercara con un secco 2-0. Inizio col botto dei padroni di casa che, già al 6’, sbloccano il risultato grazie a La Sala il quale timbra il tabellino dei marcatori con un fendente mancino, direttamente da calcio di punizione, che batte l’estremo difensore lercarese, non perfetto nell’intervento. L’Albatros non molla e, al 20’, beneficia di un calcio di rigore decretato dal signor Riccobono per un contatto “dubbio” in area di rigore marinese; dal dischetto si presenta Gattano la cui conclusione, fiacca e non angolatissima, viene intercettata da Mancuso. Al 41’, ancora La Sala, ancora su calcio di punizione, impegna Arabia che si salva in corner. Nella ripresa, l’Oratorio cerca di amministrare il vantaggio, ma sono gli ospiti a sfiorare, in maniera alquanto fortunosa, la rete del pareggio con Nuccio, la cui gittata profonda dalla linea di centrocampo prende una stranissima traiettoria che per poco non inganna Mancuso. Alla mezz’ora, l’Oratorio chiude il discorso salvezza con Montalbano che, dal limite dell’area, con una perla mancina, infila la sfera sotto il sette, siglando la rete del definitivo 2-0. Con questo successo, l’Oratorio festeggia la salvezza; la formazione marinese, così, giocherà il prossimo campionato in Prima Categoria. Tommaso Salerno

Ginnastica artistica: Martina Montalbano Alle finali nazionali di Ginnastica artistica Uisp di Padova Martina Montalbano diventa nuova campionessa italiana (è anche terza a Corpo Libero e quarta parimerito con la terza a Parallele). Exploit clamoroso della piccola atleta marinesi che, dopo i tanti problemi al ginocchio di questa stagione, ma senza mai perdere concentrazione e determinazione, ha vinto a sorpresa il titolo nazionale con 56,950 nella classifica generale (50 ginnaste in gara). La vittoria di Martina è arrivata grazie alla regolarità a tutti gli attrezzi, tra cui il 14,550 a corpo Libero ha significato terzo posto e secondo podio per lei. Gli altri punteggi: Parallele 14,500 quarta, Volteggio 14,050 e Trave 13,850 entrambi 13esimi. Determinata, allegra, ma anche un po´ permalosa: è questo il carattere di Martina, 9 anni fra pochi mesi, che fin da piccolissima ha mostrato di essere portata per questo sport. Impegno e determinazione, questi elementi certo non le mancano, in allenamento come in gara. L´anno scorso ha partecipato allo Sperimentale: 3 gare e 3 podi, 2 dei quali come prima classificata in Trio e Quartetto di livello B avanzato;

quest´anno il passaggio alla MiniPrima 3 Open, con l´esordio a gennaio a Livorno (dodicesima ma con tanta sfortuna) e il bis fra 20 giorni a Montespertoli. La Rocca 35



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