Il Rosone - Ottobre 2017

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ANNO 2017

Il Rosone

PERIODICO PUGLIESE DI CULTURA E INFORMAZIONI FONDATO NEL 1978

€ 2,00

Sede Pugliese: Via Zingarelli, 10 – 71121 Foggia – Tel. & Fax 0881 / 687659 – E-mail: info@edizionidelrosone.it - www.edizionidelrosone.it Registrazione: Tribunale di Milano n. 197/1978 – Stampa: Arti Grafiche Favia, Modugno (Ba) Spedizione Abb. Post. 50% – Redazione Milano: Franco Presicci – Direttore Responsabile: Duilio Paiano

Si conferma la vocazione de Il Rosone

Nuova vita per il restaurato Castello di Bari

Ospita i reperti degli scavi archeologici

Collegamento fra i nostri emigrati e la loro terra di origine

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nche per Il Rosone si annunciano tempi di cambiamenti strutturali legati alla necessità di adeguarsi a un’informazione più in sintonia con i parametri comunicativi attuali. Non varierà, invece, la mission del periodico che già uno dei suoi fondatori e primo direttore, Franco Marasca (di cui, in questi giorni, ricorre il 16^ anniversario della scomparsa), chiariva nel lontano 1978: proporsi come organo di collegamento fra tutti i nostri emigrati e la loro terra di origine. A conferma della linea editoriale che, in tutti questi anni, ha privilegiato le problematiche dell’emigrazione, da e verso ogni luogo, con protagonisti uomini e donne di ogni razza, colore della pelle e credo religioso. La condizione di migrante è vecchia quanto il mondo e noi italiani – italiani del Sud, in particolare – siamo stati incolpevoli e coraggiosi animatori di questo flusso che negli ultimi decenni sta mutando la geografia umana del pianeta. E così, mentre le cronache socio-politiche di questi anni sono alimentate dal controverso dibattito sull’accoglienza da destinare alle decine di migliaia di profughi che sbarcano sulle nostre coste, scopriamo che gli italiani si rendono ancora oggi protagonisti di un fenomeno che, non a caso, la linguistica ha aggiornato da emigrazione in mobilità. Ad aprirci gli occhi su questo aspetto che si evolve nel silenzio e, forse, anche nell’indifferenza dei più, è il recente Rapporto Italiani nel mondo curato dalla Fondazione Migrantes, organismo pastorale della Conferenza Episcopale Italiana. Si tratta della ‘coda’ di un movimento iniziato nel lontano XIX secolo, con la prima, massiccia emigrazione verso il continente americano e che si è sviluppato nei decenni successivi con modalità diverse ma, sostanzialmente, sempre sotto la spinta della necessità di cercare lavoro.

Oltre ai dati dell’AIRE – Anagrafe Italiani Residenti all’Estero, il Rapporto contiene anche i dati ISTAT sui trasferimenti di residenza per l’estero e la migrazione interna, quelli dell’INPS sulle pensioni, della Banca d’Italia sulle rimesse. Attualmente, gli italiani residenti all’estero sono circa 5 milioni, all’interno dei quali c’è un insieme molto eterogeneo di situazioni personali e lavorative. In base ai dati contenuti nel Rapporto, 2,6 milioni di questi italiani vivono in Europa; 1,6 milioni in America Centro-Meridionale; 396.000 in America Settentrionale; 147.000 in Oceania; 65.000 in Asia; 65.000 in Africa. Dal 2006 al 2017, gli italiani che si sono trasferiti all’estero sono aumentati del 60,1% passando da poco più di 3 milioni a quasi 5 milioni. Nell’ultimo anno, l’aumento è stato del 3,4%. Da gennaio 2016 a dicembre 2016, le iscrizioni all’AIRE per espatrio sono state 124.076 (+16.547 rispetto all’anno precedente). Oltre il 39% di chi ha lasciato l’Italia nell’ultimo anno ha un’età compresa tra i 18 e i 34 anni (+23,3%); il 25% ha tra i 35 e i 49 anni (quasi +3.500 in un anno, +12,5%). L’area geografica di maggiore destinazione è stata l’Europa, seguita da Stati Uniti e Canada. Il Regno Unito, con 24.771 iscritti, registra un primato assoluto tra tutte le destinazioni, seguito dalla Germania (19.178), dalla Svizzera (11.759), dalla Francia (11.108), dal Brasile (6.829) e dagli Stati Uniti (5.939). Sono dati che ci spingono a tenere alta l’attenzione sul fenomeno migratorio, soprattutto per cercare di coglierne le ragioni profonde e gli aspetti umani, spesso sacrificati sull’altare dell’aspro dibattito politico e di parte. A conferma di questa vocazione, nelle pagine interne i lettori troveranno alcuni dati sul Rapporto Caritas e il racconto di una vicenda drammatica della prima emigrazione pugliese negli Stati Uniti attraverso la recensione di una recente pubblicazione relativa al flusso migratorio di fine Ottocento. d.p.

È

rinato a nuova vita il castello normanno-svevo di Bari, mutando destinazione d’uso dopo una serie di ristrutturazioni e adeguamenti che lo hanno trasformato in un contenitore museale permanente. In sostanza ha ulteriormente valorizzato la sua storia, ospitando i reperti emersi nel corso degli scavi archeologici. A sancire questa rivoluzione culturale che promette di arrecare benefici non solo alla vita culturale del capoluogo di regione ma all’intero movimento turistico della città, la presenza alla cerimonia inaugurale del ministro dei Beni culturali Dario Franceschini. Contestualmente, gli uffici della Soprintendenza sono stati spostati nel complesso di Santa Chiara. Il maniero che ha ospitato Isabella d’Aragona e sua figlia Bona Sforza offre alla vista e al godimento spirituale dei visitatori tutto il vasellame e le stoviglie che sono stati strumento per piacevoli e ricorrenti occasioni di riunioni e incontri conviviali. Del resto, il piacere della corte di Isabella per la tavola imbandita trova numerosi riscontri e testimonianze in pubblicazioni che esaltano questa propensione, soffermandosi anche sui menu e i «piatti» più ricorrenti preferiti dalle due duchesse e i loro commensali. Sono davvero migliaia i reperti ritrovati, restaurati, catalogati ed esposti, anche se non tutti hanno trovato posto e visibilità. Almeno per il momento. Risalgono a un periodo che può essere compreso tra il XIII e il XVII secolo e che consentono la ricostruzione del contesto sociale della città, soprattutto nel secolo di permanenza di Isabella e Bona nel maniero barese. Pannelli illustrativi e supporti audiovisivi accompagnano il visitatore e ne facilitano il coinvolgimento emotivo durante il percorso conoscitivo. Più in dettaglio, una sala «angioina»

ospita piatti, ciotole, brocche, borracce e bicchieri, piatti smaltati e formelle che rivestivano grandi stufe. Nell’attigua sala «aragonese» si può prendere visione delle trasformazioni del castello attraverso i secoli, col supporto di pannelli illustrativi. Un’altra sala accoglie reperti lapidei, per lo più di età medievale, provenienti non soltanto dagli scavi del castello ma anche dalla vicina cattedrale. Aureole d’argento, gioielli medievali, monete, armi e tessuti – un patrimonio mai visto prima in pubblico – sono sistemati nella cosiddetta «Torre dei minori», malinconica destinazione per i giovani reclusi nel XIX secolo. E, tuttavia, il castello di Bari non ha esaurito le sue potenzialità e gli spazi disponibili. L’inaugurazione di ottobre 2017 ha segnato soltanto l’inizio di una nuova vita per il maniero, lasciando aperte opzioni e possibilità interessanti sul versante dell’offerta culturale più complessiva che il capoluogo di regione sarà in grado di esibire nel prossimo futuro. «Abbiamo l’esigenza di moltiplicare gli attrattori del turismo internazionale – ha affermato il ministro Franceschini –. Non ci può essere una concentrazione ai limiti del sovraffollamento solo nelle grandi capitali dell’arte, Venezia, Firenze e Roma. Ci sono città stupende con un patrimonio artistico e archeologico enorme come Bari, che diventeranno meta per un turismo colto, intelligente, che viene in Italia a cercare le eccellenze. La restituzione di uno spazio importante, lo splendore del Castello – ­ha aggiunto Franceschini – fanno parte di una operazione che tiene insieme molte cose». A proposito della proposta che da qualche tempo circola negli ambienti Marida Marasca (continua in 12ª pagina)


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Attualità

Periodico pugliese di cultura e informazioni

55° anniversario della Fondazione «C. Perini»

L’impegno per la cultura e lo sviluppo dei quartieri periferici di Milano

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n occasione del 55^ anniversario della Fondazione «C. Perini» si è tenuta una manifestazione presso la Sala Alessi di Palazzo Marino. Riportiamo una sintesi dell’intervento del presidente, Antonio Iosa, su «Partiamo dalle periferie urbane: riscatto, riqualificazione, cultura, legalità. (…) Ricordiamo il 55° Anniversario della Fondazione Carlo Perini, partendo da Quarto Oggiaro-Vialba, col più longevo Ente culturale della periferia milanese. Diamo titolo all’incontro «Cultura e Periferia e non il 55° Anniversario», per il ritorno alle origini di quella lontana giornata di ottobre del 1962 quando, con alcuni amici di Quarto Oggiaro, diedi vita alla nascita del Circolo culturale C. Perini... Le condizioni di vivibilità nei nostri quartieri erano, negli anni ’50 e ’60, tragiche a Baggio, a Bruzzano, in viale Argonne/Ortica - Calvairate, in via Cogne a Vialba e alla Trecca in via Zama. In periferia c’erano ancora le Case Minime di mussoliniana memoria e le catapecchie dell’Ortica del film Miracolo a Milano. Negli anni ’50/60 furono costruiti molti quartieri di Edilizia popolare grazie all’Ina-Casa e alla legge per l’edilizia economica e popolare, la famosa 167 e alla Gescal poi e al piano Tupini. A Milano nacquero un centinaio di quartieri di case popolari edilizia erariale e comunale… A questi quartieri si affiancarono un altro centinaia di nuclei abitativi costruiti per l’intervento dell’IACPM di viale Romagna (oggi Aler) e di nuclei aziendali pubbliche e private, che costruivano case per i propri dipendenti… Ora le nostre periferie sono territorio di nuove e vecchie forme di povertà ed emarginazione, luoghi di radicalizzazione della violenza e malavita. Qui si gioca la partita del futuro di Milano.

Oggi si parla di ricucitura urbanistica dei quartieri popolari, secondo il progetto sperimentale dell’archistar Renzo Piano, al quartiere Giambellino – Lorenteggio, ma è una sperimentazione da verificare come metodo di risanamento del tessuto urbano. Non credo al rammendo, ma alla rottamazione delle case popolari quando sono troppo decrepite e la composizione sociale degli abitanti è monoclasse e ghettizante. (…) Le sperimentazioni in atto per riqualificare i quartieri Adriano-Padova, e Corvetto-Chiaravalle sono un primo avvio. L’Amministrazione comunale cerca di dare qualche risposta concreta alla priorità da risolvere con una pluralità d’interventi, in sinergia con chi opera sul territorio. È una goccia, ma il mare è formato da gocce d’acqua! Il progetto della Città intorno prevede investimenti anche della Fondazione Cariplo, nasce dalla convinzione che la cultura rigenera le periferie, con ricadute positive sulla coesione sociale. La cultura non più come fonte parassitaria, ma come risorsa economica e turistica della città. Fu questa l’intuizione profetica dei fondatori del Perini che, nel lontano 1962, in un quartiere difficile e malavitoso, fondarono il loro spazio multiculturale aperto a tutte le ideologie dell’arco costituzionale, contribuendo al dialogo, al confronto, al dibattito civile e democratico, costringendo la borghesia milanese a confrontarsi con gli abitanti della periferia; consentendo ai partiti politici un confronto sui problemi della politica nazionale e sui mali della città di Milano, senza un parlare urlato e senza scontri ideologici fanatici, prerogativa dei gruppettari estremisti. Abbiamo cercato con studi e ricerche di fare conoscere alla popolazione il proprio territorio… La pubblicazione di volumi, ricerche e studi sui quartieri ha

Ladri di valigette, nel genere della commedia italiana

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Cortometraggio del giovane regista foggiano Marco Giuva

a Capitanata si conferma una prolifica fucina di talentuosi attori e registi, almeno a giudicare dal trend artistico degli ultimi anni caratterizzato dall’ascesa di numerosi foggiani. Dagli ormai celebri Pio e Amedeo ai giovanissimi Maria Chiara Giannetta e Gianmarco Saurino, entrambi già approdati su Rai Uno nelle seguitissime fiction Un passo dal cielo, Che Dio ci aiuti e Don Matteo, sono ormai tanti i volti emergenti del cinema e della tv nati e cresciuti professionalmente nel capoluogo dauno: tra questi, anche il giovanissimo regista Lorenzo Sepalone, freschissimo di vittoria del Premio Miglior Regia al festival Salento Finibus Terrae con il suo ultimo cortometraggio Ieri e Domani. S’inserisce in questa scia artistica anche Marco Giuva, ventisettenne attore e regista foggiano fresco di set del suo primo lavoro cinematografico, interamente girato a Foggia e interpretato da un cast di attori devoti al famoso Metodo Stanislavskij.

Il titolo del cortometraggio, Ladri di valigette, rimanda volutamente al titolo che avviò l’epoca d’oro del cinema italiano, il capolavoro neorealista di Vittorio De Sica (‘Ladri di biciclette’ ndr), uno dei grandi maestri italiani ai quali il giovane Giuva sostiene di ispirarsi nel suo modo di interpretare la magia del cinema: accanto al regista di Sciuscià, sono infatti Sergio Leone, Mario Monicelli, Federico Fellini e Michelangelo Antonioni i suoi principali modelli di ispirazione. «Guardando e riguardando le opere di questi mostri sacri, così diversi tra loro per genere, tecnica e poetica ma tutti accomunati dalla medesima passione – ha dichiarato Giuva – il cinema si è fatto strada dentro di me fino a diventare un vero e proprio chiodo fisso. Ho voluto creare una commedia nostalgica, in grado di far ridere e al tempo stesso di portare a riflettere sul senso del tempo, tema cui sono molto legato. L’obiettivo ora è quello di presentare

rinvigorito la «Memoria storica e rinnovo urbano» di tutti i borghi, restituendo un orgoglio di appartenenza agli abitanti che vi risiedono. Abbiamo anticipato e favorito il decentramento culturale ed oggi l’Assessorato alla cultura promuove tale conoscenza in tutti i Municipi, come fattore anche di risorsa economica sulla valorizzazione dei beni artistici presenti in periferia. Abbiamo protestato contro il degrado ed invocato la bonifica del territorio. Abbiamo cercato collegamenti e collaborazione con le scuole, perché il futuro si costruisce, partendo dagli studenti per educarli alla legalità, alla non violenza, alla pratica delle virtù civiche e del rispetto delle regole. Amare il proprio quartiere, significa riscoprire le radici storiche e culturali, creare momenti di aggregazione e di coesione sociale, svolgere attività culturali per integrarsi nella vita dinamica di Milano e non sentirsi esclusi. Oggi la periferia non deve solo ricostruire muri per abbattere il degrado, ma deve evitare la cementificazione selvaggia, per salvaguardare il verde, migliorare i servizi sociali, ricucire le relazioni umane, riscoprire la tradizione della «Milano solidale con el coeur in man». Non siamo più capaci di parlare «il dialett milanès’», ma anche imbarbarendo l’accento col terronesco o con l’extracomunitario magrebino o latinos possiamo sperare nell’integrazione, nell’inclusione sociale e nell’impegno di

sostenibilità della lotta contro la malavita, per affermare il valore della legalità, della solidarietà e della onestà. (…) Dopo la celebrazione del 50° Anniversario della Fondazione Perini nel 2012 qualcuno pensava che il suo ruolo si fosse concluso, ma così non è stato… La Fondazione Perini, in questi ultimi 5 anni, ha innalzato la «Fiaccola della Legalità» in circa 60 quartieri difficili e malavitosi della periferia, cogliendo l’allarme sociale e chiedendo piani straordinari d’intervento per il controllo del territorio e la qualificazione culturale dei quartieri. (…) I mutamenti urbanistici nei quartieri sono in crescita, com’è in crescita l’impegno dei cittadini di contrastare ogni forma di criminalità e violenza, promuovendo informazione ed eventi educativi e culturali. È la città intera, centro e periferia, che ha la percezione della gravità dei problemi sulla legalità, rispetto delle regole, sicurezza, immigrazione e controllo del territorio, senza rinunciare a maggiori spazi per la socializzazione e l’integrazione. Oggi si può sognare ed avere voglia di legalità e giustizia. (…) In questo impegnativo lavoro siamo in sinergia con centinaia di iniziative promosse dall’Associazione Libera di Don Ciotti e Nando Dalla Chiesa, nelle scuole al centro, come in periferia e in molti comuni della Lombardia. Antonio Iosa Presidente Fondazione «C. Perini» – Milano

questo film anche all’estero: il sogno è approdare al Sundance Film Festival negli USA, tenuto dal grande Robert Redford. Ma prima bisogna con molta umiltà e abnegazione far conoscere agli addetti ai lavori ed ai cinefili il mio personale modo di concepire il cinema.

I progetti che vorrei realizzare sono tantissimi. Ho scritto molti soggetti, anche per lungometraggi. Adesso ho iniziato a stendere la sceneggiatura del prossimo corto, un dramma di attualità molto pungente che affronterà il tema del lavoro».

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Al professor Giuseppe Poli Il Premio Umanesimo della Pietra per la Storia

ssegnato al professor Giuseppe Poli, docente di Storia moderna presso l’Università di Bari, il Premio Umanesimo della Pietra per la Storia 2017. La cerimonia di consegna avrà luogo sabato 25 novembre presso il Salone delle Adunanze dell’Associazione Artigiana di Mutuo Soccorso di Martina Franca, nel corso della quale il professor POLI terrà una conversazione e riceverà il multiplo d’arte in bronzo La Voce della Storia» realizzato nella fonderia del grandufficiale Giuseppe Bellucci. Negli corso degli anni il professor Giuseppe Poli ha insegnato diverse discipline del raggruppamento di Storia Moderna nell’Ateneo barese e in altre università. La sua ricerca riguarda la storia sociale ed economica della Puglia con particolare riferimento alle strutture agrarie e ai ceti rurali tra il XVI e il XIX secolo, alla distribuzione del reddito a metà Settecento, al paesaggio agrario e alla trasformazione del territorio, alle condizioni dei ceti sociali in Età Moderna, alla storia delle città, ai mutamenti socio-economici determinati dall’Illuminismo in àmbito meridionale.
Su questi argomenti ha pubblicato oltre un centinaio di lavori, tra monografie, saggi in volumi e articoli su riviste specializzate. Il Premio è stato assegnato nelle precedenti diciannove edizioni agli storici Cosimo Damiano Fonseca, Angelo Massafra, Pasquale Corsi, Francesco Maria De Robertis, Giosuè Musca, Rosario Jurlaro, Pina Belli D’Elia, Raffaele Licinio, Giorgio Otranto, Clara Gelao, Roberto Caprara, Cosimo D’Angela, Andreas Kiesewetter, Mario Spedicato, Gioia Bertelli, Vito Antonio Leuzzi, Hubert Houben, Pasquale Cordasco e Vittorio De Marco.


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Attualità

Periodico pugliese di cultura e informazioni

In via Chiosetto, a Milano

Il silenzioso ma espressivo museo del ceramista Rossicone

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ono passati oltre sessant’anni dal giorno in cui, senza brindisi e mescite di spumante, Giuseppe Rossicone s’insediò a Milano in via Chiossetto, via silenziosa e stretta che ospitava l’ufficio privato di un noto padrone del vapore, una casa editrice e lo studio del pittore Max Quatty. In quella via il ceramista continua a trascorrere le sue giornate, tra l’altro ricevendo critici e giornalisti. Quindi meritava che la sua fosse inserita nell’elenco delle botteghe storiche della città. Un riconoscimento che ovviamente lo riempie di orgoglio, anche se, schivo com’è, lo si legge negli occhi, più eloquenti delle parole. Rossicone inaugurò i suoi forni nel ’53, quando ovunque nel capoluogo lombardo, nei bar, nelle piazze, in Galleria, si osannava l’Inter per la vittoria del secondo scudetto consecutivo; ed esplodevano manifestazioni contro la condanna dei coniugi Rosemberg, accusati negli Stati Uniti di essere spie dei sovietici. Rossicone veniva da Scanno, in Abruzzo, dov’era nato nel ’33. Era un giovane di belle speranze; e si mise subito a lavorare, sfoderando l’esperienza accumulata sino a quel momento.

Dopo un po’ conobbe nomi di rilievo della pittura e della scultura: Attilio Alfieri, Ernesto Treccani, Domenico Cantatore, Giuseppe Migneco, Floriano Bodini, Aligi Sassu, Gianni Dova, Mario Schifano; Filippo Alto, pugliese di Bari che allora aveva casa e studio in via Calamatta (locali appartenenti ad un altro grande pugliese, Guglielmo Miami, noto anche per i suoi negozi aperti in pieno centro dopo un’attività di sarto di valore)… Dalla collaborazione con questi artisti sono nati i piatti

e le sculture, le piastre che hanno fatto il giro d’Italia, approdando anche in tante collezioni non solo private. «Rossicone – ha scritto Vittorio Amedeo Sacco – ha costruito opere in cui originalità e personalità si dipanano con chiarezza». Ammirevoli i suoi “faraglioni” ispirati dal mare che respirò da bambino; le ceramiche a mo’ di mantice di fisarmonica o di onde marine; quelle che a ben guardare possono apparire volti umani con la bocca spalancata o di animali addormentati: tutte in quell’azzurro che Remo Brindisi, abruzzese anche lui, precisamente aquilano, definì ferrigno. La bottega non è ampia, ma riceve, almeno dove il ceramista lavora, soprattutto al tornio, tanta luce attraverso una finestra. Vi si entra dal cortile, si scendono quattro scalini, e lui, al rumore dei passi, non aspetta il suono del campanello per riceverti fra un suonatore di banjo di Jbrahim Kodra, le sagome artigliate di Brindisi, le odalische di Cantatore, che era pugliese di Ruvo. Su scaffali incurvati dal peso donne con il pancione di Salvatore Fiume e piatti di Franz Borghese e di Trento Longaretti; su una panca un altro piatto con paesaggio di Cascella; su una mensola un uomo a cavallo di Gonzaga: su un tavolo pieno di suppellettili non identificate un “Gallo” di Treccani e una “Testa” di Domenico Purificato. Ci vorrebbero ore per osservare in questa bottega sotterranea tutte le opere d’arte: un racconto lungo, una favola che parte da Scanno, da Gualdo

Tadino, dove il ragazzo-prodigio vinse il primo premio della sua vita. Lo conobbi nel ’70, Rossicone. Paolo Cavallina, il famoso giornalista che conduceva su Raidue “Chiamate Roma 31 31”, per “Il Mezzogiorno”, il quotidiano che era stato chiamato a dirigere, m’invitò a scrivere pagine con uscite domenicali sugli abruzzesi a Milano; e un amico, Giuliano Adonai, bravissimo e colto pittore veneto che sostituì Alessandro Cutolo nella direzione del mensile illustrato “Historia”, mi indicò Giuseppe Rossicone. Lo sorpresi al tornio, mentre sagomava un vaso, e mentre gli facevo domande sul suo viaggio artistico davo uno sguardo agli arlecchini di Pozzi che seduti su una panchina facevano una serenata alla luna. Uomo di poche parole, di sé diceva ben poco, per paura di sembrare autocelebrativo. Ma parlavano di più le sue opere, fortemente espressive, comprese le piastre eseguite con Attilio Alfieri, il cui rosso doveva somigliare a quello delle angurie della sua Loreto, altrimenti faceva fatica a firmare. Caro Attilio, in pochi secondi si irritava e si placava, ma era buono, simpatico. In una cittadina delle Marche gli dedicarono una campana. Attilio è scomparso da tempo, seguito da Brindisi, Migneco, Alto..., ma sopravvivono in questo piccolo museo di via Chiossetto, dove in un piccolo corridoio troneggiano piatti di Arnaldo Pomodoro, Umberto Mastroianni e Sandro Chia. Franco Presicci

nella parrocchia dello Spirito Santo, a Foggia, dal 25 novembre al 2 dicembre. Appassionato di montagna, che trovava l’ambiente più idoneo alle sue meditazioni e frequentava assiduamente, per iniziativa del C.A.I. – Club Alpino Italiano – a Frassati sono dedicati in tutta Italia sentieri naturalistici che hanno lo scopo di esaltarne la testimonianza spirituale. Il sentiero pugliese si snoda in provincia di Foggia e coinvolge i comuni di Faeto, Celle di San Vito, Castelluccio Valmaggiore, Biccari e Roseto Valfortore, concludendosi sul monte Cornacchia, la vetta più alta dell’intera regione. È un’esperienza naturalistica ma anche intensa di valori spirituali e religiosi. Pier Giorgio Frassati nasce a Torino nel 1901 in una famiglia dell’alta borghesia piemontese: il papà Alfredo è stato fondatore e proprietario del quotidiano La Stampa, la madre Adelaide pittrice di successo. Il suo fervore cristiano si

esalta a partire dalla frequenza dell’Istituto Sociale retto dai Padri Gesuiti. Conseguita la maturità classica si iscrive alla Facoltà di Ingegneria «per essere più vicino ai poveri minatori»; frequenta il C.A.I., fa parte dell’Azione Cattolica, si iscrive alla FUCI, vive lo spirito del Terz’Ordine Domenicano. Nominato il papà ambasciatore in Germania, approfitta della sua permanenza in quella nazione per visitare le miniere e i minatori e studiare l’ambiente operaio. Rientrato in Italia, riprende il suo apostolato in favore dei più poveri e diseredati ma non fa in tempo a conseguire la laurea in Ingegneria a causa di una poliomelite fulminante che lo stronca alla giovane età di 24 anni. È stato certamente un uomo di carità, un uomo che ha amato la montagna ma, soprattutto, è stato un uomo di preghiera che ha praticato dall’età di cinque anni ed è stata sua compagna di viaggio fino agli ultimi istanti di vita. Oggi, a distanza di 92 anni dalla morte, la figura di questo giovane impegnato nella carità, nella fede, nella preghiera, nel sociale e nella politica ci appare di estrema attualità e modernità. È stato un giovane vivace, allegro e ricco di energie, capace di praticare lo sport e di abbandonarsi alle escursioni in montagna che tanto amava. È un beato «laico» e si avvia a diventare un santo laico che ha vissuto una giovinezza di normalità, integrato nel suo mondo e nel contesto del suo tempo. È, si può dire, l’incarnazione della santità della quotidianità. Il corpo di Pier Giorgio, patrono delle confraternite, riposa in una cappella laterale del Duomo di Torino. Duilio Paiano

Una mostra itinerante ne ricorda e illustra la figura

Pier Giorgio Frassati, un beato laico una vita giovane dedicata ai poveri

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veva soltanto 24 anni quando il 4 luglio 1925 lasciò la vita terrena per raggiungere la beataitudine del Cielo, a seguito di una malattia fulminante che lo ha sottratto al suo impegno nel giro di pochissimi giorni. Pier Giorgio Frassati, eletto beato nel 1990 da Papa Giovanni Paolo II e in attesa di canonizzazione, ha molti punti di contatto con la nostra regione, benché la sua breve ma intensa vita si sia svolta tutta a Torino e in Piemonte. Con un periodo vissuto a Berlino al seguito del papà nominato ambasciatore in Germania. Intorno alla figura di Pier Giorgio, dopo un primo momento di silenzio, si è venuto determinando un fervore di attività e di iniziative che hanno coinvolto l’intero territorio nazionale. Pier Giorgio Frassati, nella sua breve ma intensa esistenza terrena, si è dedicato ai poveri e ai più disagiati, lui che provenendo da famiglia altolocata e benestante ha rinnegato le idee liberali del padre per iscriversi e frequentare il Partito Popolare. Mi sono imbattuto nella figura del beato Frassati in modo del tutto occasionale ed è stata per me una scoperta rigeneratrice per l’intensità del suo pensiero e il carisma della personalità. L’incontro con Gianfranco De Carolis e la moglie Silvia è stato illuminante e folgorante in questo senso.

Gianfranco, insegnante di Religione con Magistero in Scienze religiose conseguito a Loreto e un Baccalaureato in Sacra teologia, in entrambi i casi con tesi sulla figura di Frassati, si è proposto nel 1995 come ideatore e realizzatore di una mostra itinerante sul beato torinese, predisponendo una serie di pannelli illustrati che ripercorrono in maniera chiara ed esauriente la vita e le opere di Pier Giorgio. Si tratta di un allestimento molto ricco di notizie e testimonianze, reso palpitante dalle numerose illustrazioni che, nell’insieme, riescono a dare un compendio esaustivo e coinvolgente di questa figura di «santo» così moderna, sia pure riferita ai primi anni del secolo scorso. Alla prima di queste mostre, ospitata a Ordona nel 1995, è seguita una serie innumerevole di eventi analoghi che hanno attraversato la Puglia e l’Italia (da Termoli a Benevento e Torino, da Foggia a San Giovanni Rotondo, Cerignola, da San Severo a Monopoli) fino alla più recente manifestazione svoltasi nello scorso mese di agosto a San Marco La Catola, nella chiesa del convento che ha ospitato Padre Pio. Gianfranco e Silvia De Carolis sono impegnati a proseguire nell’allestimento di questa mostra e nell’opera di conoscenza e diffusione dell’opera del beato piemontese: prossimo appuntamento

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Pianeta immigrazione

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Periodico pugliese di cultura e informazioni

Consueto appuntamento con Caritas e Migrantes

Rapporto immigrazione 2016: nuove generazioni a confronto C ome ormai consuetudine, e assecondando la specifica vocazione del nostro periodico che tra gli emigranti pugliesi in Lombardia ha visto la nascita, proponiamo ai nostri lettori uno stralcio significativo del XXVI Rapporto Caritas Migrantes sull’immigrazione, relativo all’anno 2016. Si tratta di un documento di particolare significato, concepito e realizzato all’interno di organizzazioni che operano da decenni all’interno del pianeta immigrazione e che, per questo, hanno maturato esperienze e conoscenze tali da renderlo di assoluta attendibilità. Tra i tanti aspetti che il XXVI Rapporto propone, abbiamo scelto quello relativo alla scuola e all’università: si tratta di dati e riflessioni che ci aiutano a immaginare quale potrà essere, in prospettiva, il contributo degli immigrati al processo di sviluppo culturale del nostro Paese. In apertura, tuttavia, riportiamo la presentazione al dossier di monsignor Gian Carlo Perego e monsignor Francesco Soddu. *** Nella XXVIesima edizione del Rapporto Immigrazione di Caritas e Migrantes – strumento culturale dedicato da oltre un quarto di secolo al fenomeno della immigrazione in Italia – abbiamo voluto concentrare l’attenzione sui giovani di origine non italiana raccontandoli, proprio come desidera fare il Santo Padre, in ciascuna delle realtà e condizioni da loro vissute. Un cammino quasi naturale rispetto allo scorso anno dove, trattando il tema della cultura dell’incontro, è stato normale trovare, in tutti i contesti in cui l’incontro avviene, proprio un giovane di nazionalità non italiana con cui dialogare. L’Italia di oggi e di domani o riuscirà ad essere diversa, capace cioè di nuovi incontri e relazioni, o rischierà di non avere futuro. L’incontro è la parola chiave che deve guidare le nostre comunità. Il modello è quello della “convivialità delle differenze” in cui soprattutto le nuove generazioni sono chiamate ad avere il ruolo di protagoniste. La qualità non solo della democrazia, ma anche della comunione ecclesiale si misura anche nella qualità della cittadinanza, come luogo di crescita del bene comune – da una parte – e della fraternità dall’altra. S.E. mons. Gian Carlo Perego e mons. Francesco Soddu La scuola multietnica e l’università Nell’anno scolastico 2015/2016, gli alunni con cittadinanza non italiana nelle scuole italiane sono 814.851, il 9,2% del totale degli alunni. Rispetto al 2013/2014, vi è stato un aumento di 664 unità (+0,1%). Gli alunni con cittadinanza non italiana nati in Italia sono il 58,7% del totale degli alunni stranieri (erano il 34,7% nell’anno scolastico 2007/2008). L’incidenza degli alunni stranieri sul totale della popolazione scolastica varia in modo molto significativo a seconda delle ripartizioni territoriali italiane. Le

maggiori incidenze si riscontrano, nelle regioni del Nord con il valore massimo in Emilia Romagna (15,6%) significativamente più alto della media nazionale (9,2%), seguita da Lombardia (14,5%) e Umbria (13,8%). L’unica eccezione è costituita dalla Val d’Aosta che presenta un’incidenza inferiore alla media italiana (7,6%). Nelle regioni del CentroNord, invece, il valore non scende al di sotto del 10%, con la sola eccezione del Lazio (9,3%). Decisamente inferiori i dati relativi alle regioni del Sud. Nell’anno scolastico 2015/2016, confermando il dato dell’anno scolastico precedente, la scuola primaria accoglie la maggiore quota di alunni stranieri: 297.285 che corrisponde al 36,5% del totale degli alunni con cittadinanza non italiana. Secondo i dati forniti dall’Anagrafe nazionale degli studenti del MIUR, nell’anno accademico 2014/15, su un totale di immatricolazioni pari a 270.173 studenti, risultano iscritti, nelle università italiane, 257.100 studenti di nazionalità italiana (il 95,2%), 9.891 studenti non-UE (il 3,7%) e 3.165 studenti UE (l’1,2%). Si tratta quindi complessivamente di 13.156 studenti di cittadinanza non italiana. Fra gli studenti non-UE, 5.063 (il 51%) hanno conseguito la maturità in Italia, segnando quindi un sorpasso rispetto agli studenti stranieri in possesso di un titolo di studio ottenuto all’estero. Come per gli studenti italiani, anche per gli stranieri, la componente femminile nelle immatricolazioni all’università supera quella maschile: fra i 5.640 studenti stranieri UE e non-UE diplomati nel 2014, le femmine iscritte al primo anno sono il 62%. Gli stranieri diplomati in Italia, sia UE sia non UE, provengono soprattutto, come gli ita-

liani, dai licei, tuttavia in percentuale minore (il 42,9% e il 34,2% rispetto al 73,8% degli italiani), proprio perché fra gli stranieri è alta anche la percentuale di provenienza dalla maturità tecnica (rispettivamente il 29,6% e il 32,7%) e professionale (rispettivamente il 6,4% e il 13,4%, dove invece gli italiani registrano solo un 4%). Nella scelta della facoltà, gli stranieri diplomati in Italia tendono a privilegiare soprattutto economia, ingegneria, le aree linguistica e politico-sociale. Nell’anno accademico 2015/16, su un totale di immatricolazioni pari a 271.000 studenti, gli immatricolati sono per il 5% di nazionalità non italiana e sono soprattutto rumeni (14,7%), albanesi (12,6%), cinesi (9,2%). Negli ultimi anni, varie università in Italia hanno sviluppato misure di accoglienza e di sostegno per gli studenti stranieri, tuttavia sarebbe opportuna una maggiore attenzione a quella parte di studenti stranieri che hanno conseguito il diploma nel nostro Paese e sovente vi sono nati: per loro, diventa importante sia un’azione di supporto alla scelta universitaria, sia un monitoraggio degli sbocchi professionali. L’investimento in istruzione e formazione e l’overeducation Nell’a.s. 2014/15, l’81% degli studenti stranieri ha deciso di iscriversi al primo anno della scuola secondaria di II grado, mentre l’8,7% ha scelto la formazione professionale regionale. Per il rimanente 10% circa non si dispone di informazioni. Anche nell’a.s. 2015/16, si conferma la propensione degli alunni stranieri verso percorsi nella scuola secondaria di II grado di tipo più direttamente professionalizzante (istituti tecnici e professionali) e questo per vari

motivi, non ultimo l’esito scolastico conseguito nella scuola secondaria di I grado, che influenza direttamente le scelte tanto degli italiani quanto degli stranieri. Tuttavia, fra gli alunni stranieri che hanno ottenuto una votazione alta, si evidenzia una scelta più frequente verso gli istituti tecnici o professionali rispetto ai compagni italiani, anche se, contemporaneamente, si coglie un graduale spostamento delle scelte verso i licei: se, nell’a.s. 2009/2010, il 21% degli alunni stranieri aveva scelto il percorso liceale (rispetto al 47,3% degli italiani), nell’a.s. 2015/16 si tratta del 27% (rispetto al 49,7% degli italiani). La distinzione tra nati in Italia e nati all’estero mostra una scelta più frequente dei licei da parte degli studenti nati in Italia (il 33,7% rispetto al 25% dei nati all’estero); per contro, coloro che sono nati all’estero propendono più di frequente per gli istituti professionali (il 38,3% rispetto al 27,9% dei nati in Italia). Nell’ambito dei percorsi di IeFP (Istruzione e Formazione Professionale), l’ISFOL indica una presenza consistente di allievi di nazionalità straniera, che, nell’a.f. 2014/15, nelle Istituzioni Formative (IF) hanno superato il 17% nei primi tre anni, con una concentrazione soprattutto nel Nord Est (22,2%); nelle scuole, nei primi tre anni, la presenza di alunni stranieri, che intendono conseguire la qualifica professionale, è dell’11,4% (con una punta elevata nel Nord Est del 26,9%). Se si esaminano le percentuali sul totale degli iscritti della IeFP, il maggior numero di allievi stranieri si trova nella figura dell’operatore della ristorazione, con il 22,4%, seguita dall’operatore meccanico (12,5%) e dall’operatore alla riparazione dei veicoli a motore (10,4%). In Italia, il fenomeno dell’overeducation – l’eccesso di laureati non assorbiti dal mercato del lavoro – tra gli immigrati è molto diffuso, come è stato rilevato dall’analisi dei dati del 15° Censimento generale della popolazione e delle abitazioni del 2011. Tuttavia, se questo tasso è del 19,9% tra i cittadini italiani, valore già estremamente elevato, tra gli immigrati con titolo di studio universitario esso raggiunge il 65,9%. Oltre a questa significativa differenza quantitativa, i dati del Censimento 2011 mettono in evidenza anche un’ulteriore penalizzazione qualitativa dei laureati stranieri rispetto agli italiani, in quanto i primi sono impiegati in occupazioni che non richiedono le competenze acquisite con il titolo di studio. Mentre, infatti, i laureati italiani sono prevalentemente impiegati in lavori esecutivi di ufficio (11,8%) ed in attività di vendita e di servizio (5,6%), i laureati stranieri sono, soprattutto, operai (39,2%), di solito non qualificati, o domestici (22,3%), casi questi estremamente rari tra gli overeducated italiani (operai 2,2%; domestici 0,9%). Il Censimento del 2011 ha anche mostrato come l’overeducation riguardi quasi tutti gli immigrati altamente qualificati di alcune nazionalità, come i filippini (92,2%) e gli ucraini (90,4%).


il Rosone

Metamorfosi di Metamorfosi all’Università di Foggia

Università di Bari

Incontro dedicato a Ovidio e al suo testamento più prezioso

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iovedì 28 e venerdì 29 p.v. si è svolto il seminario internazionale «Metamorfosi di Metamorfosi», organizzato dal Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Foggia e dal Liceo classico «Vincenzo Lanza» di Foggia. Interamente dedicato a Ovidio e al suo testamento letterario più prezioso, il seminario si pone come obiettivo didattico e culturale quello di ampliare la conoscenza di uno dei massimi poeti romani (Sulmona 43 a.C. - Tomis 17). «L’idea è quella di estendere la conoscenza di un poeta attualissimo, come Ovidio, a tutti – ha argomentato il Prorettore e Coordinatore scientifico dell’evento, prof. Giovanni Cipriani –. Non soltanto agli studenti, ma a chi può trarre insegnamento dalla sua saggezza

ma anche dalla sua ineguagliabile versatilità e dalla sua fluida vena narrativa. Poiché se è vero che è Ovidio è ritenuto una delle massime espressioni tra i poeti cosiddetti elegiaci, è altrettanto vero che all’interno della sua opera le varie forme che assumono i corpi, in piena concorrenza con l’attività creativa, costituiscono un patrimonio di esperienze figurative che noi abbiamo il dovere di tramandare alle generazioni successive, tanto più che nella maggior parte dei casi le metamorfosi interessano corpi femminili esposti alle più inaudite e spesso ingiuste violenze fisiche. Insomma una lezione che viene dal passato e che spinge alla riflessione, una funzione, questa, che peraltro è connaturata alla sostanza dei miti».

Università di Foggia

Nuovo Corso di laurea magistrale in Scienze antropologiche e geografiche

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Università di Puglia

Periodico pugliese di cultura e informazioni

ufficiale l’istituzione del nuovo corso di Laurea Magistrale interateneo e interclasse in «Scienze antropologiche e geografiche per i patrimoni culturali e la valorizzazione dei territori», che istituzionalmente farà capo all’Università della Basilicata (sede amministrativa Matera) ma coinvolgerà pienamente e direttamente anche le Università di Foggia, Salento e Federico II di Napoli che garantiranno un apporto formativo derivante dalle peculiarità didattiche e scientifiche di cui sono rispettivamente in possesso. Dalla fine di agosto, dunque, è già possibile iscriversi presso il Dipartimento di Studi umanistici, Lettere, Beni culturali e Scienze della formazione anche al nuovo corso di laurea, che proprio per la sua natura poliedrica e multidisciplinare potrà contare su 4 sedi universitarie interscambiabili in cui maturare i CFU previsti dal piano di studi; sulla mobilità studentesca tra le sedi, con relativo valore aggiunto garantito dal confronto con contesti sociali e accademici diversi da quello di provenienza; sull’opportunità di usufruire di numerose strutture (laboratori e centri di ricerca) con strumentazioni all’avanguardia nel campo della valorizzazione del patrimonio culturale materiale e immateriale, così come nel campo delle scienze geografiche e territoriali. Per arrivare ad allestire il nuovo corso di laurea è stato stipulato un accordo quadro tra il Dipartimento delle culture europee e del Mediterraneo (Università della Basilicata), il Dipartimento di Scienze sociali (Università Federico II di Napoli), il Dipartimento di Storia, Società e Studi dell’uomo (Università del Salento) e il Dipartimento di Studi umanistici. Lettere, Beni culturali e Scienze della formazione (Università di Foggia): un accordo attraverso cui

ciascuna Università si è impegnata a provvedere, per la propria parte e per le proprie disponibilità, allo sviluppo e alla crescita del nuovo corso di laurea, partendo – come detto – dall’indiscutibile vantaggio di poter realizzare un vero e proprio percorso di studi all’interno di 4 diversi Atenei. I nuclei fondamentali sono la conoscenza dei metodi di indagine delle dinamiche socio-culturali e territoriali utilizzate dalle discipline antropologiche e geografiche; l’applicazione delle conoscenze teoriche acquisite, analizzando contesti socio-culturali e territoriali, nonché riprogettando e gestendo iniziative di carattere culturale finalizzate alla elaborazione di nuovi modelli di convivenza sociale partecipata e di gestione del territorio basati sulla valorizzazione delle risorse culturali e ambientali. «Questa laurea magistrale – ha affermato Patrizia Resta, ordinario di Antropologia culturale del Dipartimento di Studi umanistici, Lettere, Beni culturali e Scienze della formazione e referente per l’Università di Foggia del nuovo corso di laurea – ha come obiettivi principali la trasmissione di conoscenze specifiche e l’acquisizione di competenze trasversali tali da consentire al laureato di poter inserirsi nel mondo del lavoro con un elevato grado di specializzazione soprattutto nei settori della cooperazione internazionale, della comunicazione interculturale, delle politiche migratorie, dei diritti culturali, dell’analisi e della gestione dei patrimoni culturali materiali ed immateriali e in tutti i diversi campi applicativi consentiti dal possesso di conoscenze e competenze teoriche e metodologiche acquisite in ambito antropologico e geografico, anche ai fini della valorizzazione economica dei territori».

Seminario su Mitochondria in Life Death and Disease

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al 9 al 13 ottobre 2017 ha avuto luogo presso l’Hotel Sierra Silvana (Selva di Fasano- BR), il Convegno Internazionale in Mitochondria in Life Death and Disease organizzato dal prof. Palmiro Cantatore, docente presso il Dipartimento di Bioscienze, Biotecnologie e Biofarmaceutica dell’Università di Bari. Il meeting che si inquadra nei FEBSEMBO (Federation of Biochemical Societies – European Molecular Biology Organization) Lecture Course, rappresenta la continuazione dei «Bari meetings» sui mitocondri che a partire dal 1965 si sono svolti regolarmente nel nostro territorio portando a Bari gli scienziati più famosi nell’ambito della Biologia e Medicina, inclusi i Premi Nobel H. Krebs, H. Mitchell, J. Walker. Durante questi meetings furono annunciate scoperte fondamentali nell’ambito della Biologia come la teoria chemiosmotica, il sequenziamento del primo genoma mitocondriale ed il meccanismo molecolare della fosforilazione ossidativa.

Per questa ragione la scelta da parte del Comitato organizzatore di far svolgere questo Corso a Bari ha destato un grandissimo interesse e tutti gli speakers interpellati hanno accettato con grande entusiasmo di partecipare a questo Convegno. Il meeting si è articolato in presentazioni scientifiche svolte da eminenti ricercatori provenienti da tutto il mondo, in presentazioni orali dei poster e in tavole rotonde. I partecipanti al Convegno (circa 160) sono stati prevalentemente giovani ricercatori (dottorandi, post, doc, assegnisti, ecc) provenienti da Paesi europei ed extraeuropei. Per questo motivo ampio spazio è stato dedicato ad incontri informali tra i partecipanti al meeting ed i relatori mediante le cosiddette «meet the PI sessions» con lo scopo di far familiarizzare i partecipanti, specie i più giovani, con gli speakers permettendo loro di avvicinarsi alle tematiche trattate, proporre nuovi progetti ecc.

Università di Bari

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Ambasciatore d’Italia in Atene ha ricevuto il rettore Uricchio

l 26 settembre 2017 S. E. l’Ambasciatore d’Italia in Atene, Luigi Marras, ha ricevuto il Magnifico Rettore dell’Università di Bari prof. Antonio Uricchio e il prof. Francesco Inchingolo, responsabile per i Master dell’area medico-odontoiatrica e delegato ai rapporti con la Grecia. All’incontro ha partecipato anche il Dott. Charis Gheronikolas, presidente di City Unity College e della Camera di Commercio greco-araba. Durante la colazione di lavoro, offerta dall’Ambasciatore nelle sale dello splendido palazzo che ospita la Residenza e gli uffici diplomatici italiani ad Atene, sono stati affrontati alcuni temi relativi alle collaborazioni in corso e future tra istituzioni e centri di formazione greci ed italiani. L’Ambasciatore Marras si è dimostrato molto interessato al dialogo già instaurato tra l’Università di Bari e City Unity College, presso la cui sede è stato aperto uno sportello informativo dell’Università di Bari.

La collaborazione tra le due istituzioni è finalizzata a proporre anche in Grecia l’offerta formativa dell’Ateneo pugliese, in campi che spaziano dagli studi giuridici alla scienza medica e alla marina mercantile e militare. Il Rettore Uricchio ha poi sottolineato il ruolo strategico rivestito dall’Università di Bari nel tessere relazioni sempre più strette e produttive di risultati con altri Atenei e centri di ricerca dell’area mediterranea, illustrando alcune delle molte iniziative già intraprese. Da parte sua, l’Ambasciatore ha auspicato un crescente coinvolgimento in Grecia, in ogni settore, della Regione Puglia e delle sue realtà istituzionali e imprenditoriali, anche in considerazione delle radici millenarie che accomunano l’Ellade al Mezzogiorno d’Italia. All’incontro erano presenti anche il dott. Roberto Aprile, dell’Ambasciata d’Italia ad Atene e il dott. Ioannis Gheorgakopoulos, presidente dell’istituto di educazione dentistica ateniese Wagro.


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Tragedie dell’emigrazione pugliese

il Rosone

Periodico pugliese di cultura e informazioni

Utopia, Il naufragio della speranza di Duilio Paiano

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Una tragedia dimenticata della prima emigrazione italiana ricostruita e narrata dallo scrittore pugliese

oinvolti dall’impatto emotivo indotto dal flusso migratorio che dai Paesi africani trova l’Italia come primo approdo, ma soprattutto dall’aspro e non sempre obiettivo dibattito sull’accoglienza dei profughi, tendiamo a dimenticare l’imponente analogo fenomeno che nell’ultimo secolo e mezzo ha avuto per protagonisti proprio gli italiani. Dalla seconda metà del XIX secolo e fino agli anni Sessanta-Settanta del XX è stato un continuo partire verso approdi lontani, con prospettive nebulose e accoglienza non sempre benevola. E le tragedie del mare che hanno costellato questo immane flusso sono state numerose, con centinaia di vittime il cui sogno si è infranto contro la durezza del viaggio. Ce lo ricorda Duilio Paiano con il suo recente lavoro-ricerca Utopia. Il naufragio della speranza pubblicato dalle Edizioni del Rosone di Foggia che, partendo da un drammatico episodio che ha coinvolto emigranti pugliesi, ci offre un quadro più complessivo delle condizioni sociali che determinavano la necessità di partire e delle disumane condizioni in cui si svolgevano i viaggi per mare. Più che un saggio, quello di Duilio Paiano può essere considerata un’intrigante indagine scritta col taglio del giornalista. L’autore, infatti, indaga su una vicenda consumatasi nel lontano 1891 e che ha avuto per protagonisti un piroscafo britannico, l’Utopia appunto, e centinaia di emigranti che erano a bordo coltivando la speranza di raggiungere il sogno rappresentato dagli Stati Uniti d’America. Tra questi, anche ventisette cittadini di Faeto e dodici di Roseto Valfortore, in provincia di Foggia, unici pugliesi a essere imbarcati per quel viaggio cominciato nel porto di Napoli il 12 marzo 1891. Tra le oltre cinquecento vittime di un imprevisto naufragio avvenuto nella rada di Gibilterra, ancora prima di intraprendere la via dell’oceano, anche diciotto faetani e otto rosetani. Si tratta di uno dei tanti incidenti che hanno funestato la lunga storia dell’emigrazione italiana, certamente quello dalle proporzioni maggiori. La presentazione al libro è stata emblematicamente affidata al professor Augusto Mastri, enigrato faetano negli Stati Uniti, docente presso l’University of Louisville nel Kentucky. «In questo libro –­ scrive Mastri – Paiano usa l’espediente dell’invenzione biografica dei protagonisti, Domenico e Filomena, per fare partecipare pienamente alla tragedia che li colpì nella rada di Gibilterra, dove il loro bastimento, l’Utopia, affondò, a causa di errori da parte del capitano, portando alla morte ben 576 persone, tra le quali 18 erano di Faeto e 8 di Roseto. Noi possiamo solo immaginare la paura, l’orrore, lo strazio di quella fredda sera del 17 marzo 1891. Avendo percorso la stessa rotta – sebbene molti anni dopo ed in circostanze ben diverse – è particolarmente facile per me vedere e sentire quelle povere anime colte dal panico».­

Scopo del libro, soprattutto, «evitare che i sacrifici di tanti precipiti nel più ingiusto e colpevole degli oblii; occorre che a tutti gli emigranti – a cominciare dagli sfortunati passeggeri del piroscafo britannico – venga riservato un segno memoriale tangibile, da consegnare alle generazioni di oggi e di domani come sollecitazione al confronto, alla considerazione, alla consapevolezza». Queste le parole conclusive del lavoro di Duilio Paiano.

Il merito di Duilio Paiano è quello di aver ridato visibilità ad un avvenimento che, al di là di sporadiche e occasionali circostanze, è caduto nel dimenticatoio delle stesse comunità interessate dal naufragio. L’intento dichiarato è quello di riportare all’attenzione delle collettività, e delle rispettive amministrazioni, un’epoca e condizioni sociali che oggi sono sconosciute. Quelle condizioni che fecero affermare a Francesco Saverio Nitti, «…in alcune delle nostre province del Mezzogiorno specialmente… è una legge triste e fatale: o emigranti o briganti». Utopia. Il naufragio della speranza è una ricerca organica che propone al centro della narrazione l’incidente del piroscafo britannico in tutte le sue fasi ma si occupa anche delle disumane condizioni di viaggio; del pre naufragio, ricostruendo le condizioni sociali che determinarono la prima, grande, ondata migratoria dall’Italia verso il continente americano; del dopo naufragio. Un primo processo, infatti, vide sul banco degli imputati il comandante dell’Utopia, il capitano John McKeague, che pur dichiarato colpevole di imperizia nella manovra di attracco al porto di Gibilterra riottenne il suo patentino e poté continuare a governare navi per gli oceani del mondo. Un secondo processo, durato anni tanto da essere definito «il più lungo del secolo», teso ad ottenere un indennizzo per le famiglie delle vittime e per i sopravvissuti da parte della Compagnia assicuratrice della nave, si concluse con la proposta di un risarcimento irrisorio e con il fondato sospetto di un accordo segreto tra lo Stato italiano e quello britannico. Dopo il danno anche la beffa. Il libro riporta anche i maggiori incidenti dell’emigrazione italiana, prima e dopo l’Utopia, oltre a un’accurata appendice iconografica, documentale e statistica che contribuisce a definire il quadro politico, sociale e umano degli anni di fine Ottocento nelle regioni meridionali, nei borghi dei Monti Dauni in particolare.

Il libro è stato presentato in alcuni dei borghi dei Monti Dauni nel programma delle manifestazioni culturali estive. A Faeto la presentazione si è svolta nella sala polifunzionale dell’edificio scolastico inserita tra le manifestazioni collaterali dell’UFIS, Università Francofona dell’Italia del Sud. Prima e dopo l’autore sono intervenuti il professor Giovanni Agresti dell’Università di Teramo e il presidente della Renaissance Française, professor Denis Fadda. A Roseto Valfortore la manifestazione si è svolta in piazza alla presenza di numerosi emigranti rosetani rientrai in paese per trascorrervi un periodo di ferie. La loro partecipazione è stata molto attenta e attiva. Ad organizzare la serata il Circolo culturale “88” e la rivista FORTORE attraverso le infaticabili Maria Grazia Pastore e Maria De Rosa. Sono intervenuti il professor Felice Carpino e Antonio Monaco, corrispondente della Gazzetta del Mezzogiorno. A Biccari, invece, nella consueta e deliziosa cornice della piazzetta del Comune, è stata l’Associazione Terra di mezzo e il suo instancabile presidente Giuseppe Osvaldo Lucera ad organizzare la presentazione in collaborazione con l’Amministrazione comunale guidata dal sindaco Gianfilippo Mignogna, sempre sensibile alle iniziative della cultura in ogni sua sfaccettatura. Relatore il giornalista Giucar Marcone. «In questo suo ultimo lavoro – ha affermato il relatore – Duilio Paiano ci racconta la storia di una tragedia. Siamo nel 1891, l’anno dei fasci dei lavoratori, soppressi con violenza dall’allora primo ministro Crispi. Nell’Italia Meridionale la vita era irta di difficoltà e molte fa-

miglie così decisero di tentare altrove la fortuna. Anche allora, come oggi, c’era chi speculava sulla necessità di tanta povera gente che, per sfuggire alla miseria, affrontava, mettendo a repentaglio la propria vita, mari e oceani. Così i protagonisti di questa cronaca-racconto, Filomena e Domenico con i tre figlioletti, per migliorare le proprie condizioni di vita scelgono d’imbarcarsi. L’Utopia era una nave a vapore, costruita nel 1874 con una stazza di 2731 tonnellate. Partita da Trieste con 22 migranti il 7 marzo, imbarcò altri 7 disperati a Messina e 57 a Palermo, poi raggiunse Napoli dove salirono a bordo 727 tra uomini e donne, tra questi molti provenienti dai monti dauni. Complessivamente “gli emigranti erano 813 di cui 661 uomini, 85 donne, 55 ragazzi, 12 poppanti”. L’oceano Atlantico non fu mai raggiunto. Nel porto di Gibilterra per una erronea manovra l’Utopia si scontrò con la corazzata inglese Anson. Molti viaggiatori si buttarono in acqua, molti perirono, la tragedia era al suo epilogo, era la fine di un sogno. Era il 17 marzo 1891, trent’anni dopo la proclamata unità italiana. In tutto le vittime furono 642 compresi anche alcuni marinai inglesi che erano accorsi in aiuto degli italiani: 294 le vite salvate di cui 137 tornarono al porto di Napoli con la nave Asyiria, fra questi molti cittadini del nostro territorio. Duilio Paiano ha dedicato questo volume agli emigranti di Faeto e Roseto che non tornarono più ai loro paesi, ma anche a tutti gli emigranti di sempre che dai Monti Dauni sono partiti per cercare dignità altrove. Ho seguito la nascita di questo libro. Ho potuto toccare con mano la passione che ha posto nel realizzarlo. Non sono mancate difficoltà alla ricerca dei documenti, ma alla fine ce l’ha fatta. Appassionatosi alle vicende dell’Utopia, l’autore ha sofferto per il triste destino di tanta gente, ha scavato negli archivi, riletto giornali dell’epoca e il frutto di questo intenso lavoro è sotto i nostri occhi». In ciascuna di queste circostanze, Duilio Paiano ha inteso sottolineare l’importanza rappresentata dal fenomeno migratorio in tutte le sue fasi: dopo quella narrata nel libro, almeno altre tre massicce ondate hanno interessato il nostro Paese. Ha anche sollecitato una rilettura più costruttiva e meno conflittuale dei flussi migratori che vedono le nostre regioni nelle vesti di accoglienti. La storia ci insegna che anche noi italiani abbiamo interpretato, nostro malgrado, il ruolo di emigranti, affrontando inenarrabili peripezie, disagi sovrumani e subendo sopraffazioni e umiliazioni di ogni genere. Lasciando lungo le vie del mare e degli oceani una lunga scia di vittime alle quali oggi dovremmo dedicare un doveroso e concreto segnale di memoria e di rispetto. Marida Marasca


il Rosone

Periodico pugliese di cultura e informazioni

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In ricordo di Michele Melillo

Michele Melillo: il dialettologo dell’Italia centromeridionale

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ella personalità di Michele Melillo si vuol ricordare la sua statura scientifica e i settori di applicazione, che vengono condotti ad unità sia che affrontasse lo studio di testi antichi che di testi attuali, scritti o trascritti dal parlato. L’unità è data dal campo nel quale si è mosso: quello dell’Italia centromeridionale1. La sua produzione scientifica, notevole per quantità e soprattutto per qualità, s’inquadra in una concezione di fondo, ereditata e sviluppata in tutti i suoi studi, che è quella dell’Unità linguistica centromeridionale, rintracciabile soprattutto nei secc. XI-XIII2. Alcuni di questi segni si possono riscontrare già in testi antichi preromani (Parlate prima di Roma, di cui si tratterà dopo). Si manifestano numerosi e sistematici nei testi medievali di area meridionale e soprattutto nelle strutture dei dialetti degli anni presenti3. Nel presente studio si vogliono citare i piú notevoli sia per ampiezza di trattazione sia per il fondo ispiratore che li accomuna. Un primo accenno lo abbiamo in una ricerca sul Ritmo cassinese, Et eo se nce abbengo (Melillo 1965), dove si individuano chiaramente fatti che rinviano all’Italia centromeridionale4. Ma una ricerca sistematica e organizzata fin dalla registrazione dei testi, l’abbiamo con i due Atlanti del 1955 (AFP per la Puglia, AFL per la Lucania). Bisogna ricordarne l’impostazione. Il questionario è formulato con una serie di voci singole alle quali le fonti informatrici hanno risposto con le corrispondenti dialettali, perché era necessario disporre di determinati esiti fonetici che sono organizzati secondo lo schema tradizionale del vocalismo e del consonantismo. Per l’Atlane pugliese (AFP) le aree interessate sono la Capitanata e la Terra di Bari. Sono stati indagati tutti i centri delle due province e per ogni area gli esiti sia vocalici che consonantici sono stati raggruppati con l’indicazione dei centri nei quali i gruppi di esiti simili vengono usati. Lo stesso sistema viene adottato nell’Atlante Fonetico Lucano, nel quale sono indagati tutti i centri della regione. La schematicità dell’impostazione (prospetto grammaticale con l’esame di tutti i fenomeni caratterizzanti), il riferimento dei centri in termini numerici e l’assenza di qualsiasi commento ne rendono difficile la lettura. Il rigore nella elicitazione delle fonti, l’estrema precisione

di Pasquale Caratù Con un testo del genere, non ci si sente piú vincolati a studiare solo la fonetica. Il mutamento delle condizioni di partenza comporta anche la possibilità che si affrontino campi non preventivati. Si capisce cosí, senza difficoltà, di come mai la serie dei saggi inizi con la sintassi (Le strutture verbali), prosegua con diversi altri di morfologia, per poi approdare alla fonetica, in particolare allo studio del vocalismo, considerato soprattutto alla luce della prosodia, per poi concludersi con la ricerca sulle consonanti8. La prosodia

nella trascrizione, la chiarezza degli etimi proposti rendono decisamente affidabile quanto viene esposto, al punto che sembra tutto spersonalizzato e come fotografato. Ma la descrizione fonetica della Puglia centrosettentrionale e dell’intera Lucania ci introduce nelle strutture linguistiche che sono proprie di tutta l’Italia centromeridionale, della quale s’intravedono i fatti caratterizzanti delle varietà fondamentali: I fatti comuni all’Appennino meridionale che emergono nel Subappennino dauno; Quelli della varietà bareseggiante; Le peculiarità della varietà napoletaneggiante; Il fondo conservativo, che spesso si collega alla “sicilianità”, che nella zona della Lucania meridionale, ai confini con la Calabria, si manifesta in frantumi5. Indicazioni storico-linguistiche che saranno riprese, ridiscusse e ridefinite negli studi sucessivi, in particolare nei saggi legati a quella che è l’Opera principale, il Nuovo Atlante Fonetico Pugliese (NAFP). Si allargano gli orizzonti della ricerca sia per il tipo di testo da utilizzare (quello della nota parabola), sia per la possibilità di arare altri campi (oltre alla fonetica, anche la morfologia e la sintassi), anzi qualcuno finora poco lavorato (come ad es., quello della prosodia). Di conseguenza si evidenziano varietà linguistiche che vanno parecchio al di là dell’ambito regionale, facendo emergere delle indicazioni

storico-geografiche meglio definite (ad es. la tripartizione linguistica della Puglia, che è una conferma, sia pur indiretta rispetto all’ AFP)6 e piú articolate (come, ad esempio, la documentazione che porta all’individuazione di un’areola, la “tarantino-brindisina”, con testimonianze di lingua antica, di tipo cassinese). Con il NAFP si parte con la registrazione di un testo, quello della nota parabola del figliuol prodigo. Le motivazioni della scelta furono espresse dallo stesso Melillo, nell’intervento al Convegno di Messina del 1964 (Materiali nuovi). Dopo aver esaminato l’impostazione dei due principali Atlanti nazionali (AIS e ALI), dei quali si apprezzano i pregi, ma si valutano anche i limiti7, si arriva alla determinazione che bisogna superare gli schemi nei quali viene imprigionata la parola, schemi che possono essere estranei al modo con cui ciascun parlante ordina le cose e che può esprimerle anche nelle maniere le piú diverse. Il Melillo afferma, pertanto, l’opportunità di poter disporre di testi prodotti dal particolare interesse dei parlanti. In questo modo, però, verrebbe meno la possibilità di una comparazione intesa come riferimento ad una misura comune: «Si passerebbe da un discorso assolutamente libero… ad un’esposizione sempre libera nella sua strutturazione ma limitata nella durata del tempo e nel genere dell’argomento da trattare» (Materiali nuovi p. 72).

Altra novità, come si è detto, è la particolare considerazione accordata alla Prosodia. Questo settore costituisce indubbiamente la chiave di volta che consente di capire il perché di determinati fenomeni e di definire, sia pur orientativamente, le diverse aree linguistiche, nell’Italia meridionale. Aree che vengono catalogate in base alle conseguenze fonetiche, che si evidenziano in particolare sul vocalismo. La prosodia viene tenuta presente già nei saggi di carattere morfologico, che precedono quello sul vocalismo9, ma soprattutto nel saggio sul Vocalismo tonico vengono definite le caratteristiche prosodiche delle tre aree linguistiche della Puglia. Per il Subappennino dauno, lo schema accentuale è caratterizzato da tono crescente, con tonica lunga e atone, di regola, brevi (kurré/nnele ‘correndogli’)10. Per il tipo barese lo schema è caratterizzato da tono decrescente, con tonica molto lunga e atone brevi (remanù/te ‘rimasto’). Per il tipo salentino da tono uniforme (con tendenza al tono alto sulle finali), con vocali lunghe sia toniche che atone (desiderosú ‘desideroso’). La caratterizzazione delle aree in base agli schemi prosodici si estende anche alle altre regioni dell’Italia meridionale. Pertanto si noteranno coincidenze e varianti rispetto agli schemi propri della Puglia (v. Vocalismo tonico pp. 1-30)11. Ma già nella varietà delle forme pronominali si profilano le fondamentali distinzioni areali. Nella Puglia centrosettentrionale, dove gli schemi accentuali sono caratterizzati da un’accentazione fortemente dinamica si avranno forme, per la I persona singolare del pronome personale, del tipo íj, jí, jíj, ecc. (Pronomi pp. 3-13). Nella Puglia centrale (bareseg-


8 giante), dove prevale il tono decrescente, il dittongamento è discendente e pertanto si riscontrano, per il pronome dimostrativo, modelli del tipo kusse< kúisse ‘questo’, kudde< kúidde ‘quello’ (Pronomi pp. 28-30). Nel Salento, dove lo schema è caratterizzato da una distribuzione uniforme dell’accento si riscontrano modelli del tipo….ío, íu, íeu e íó, íú, íeú…(Pronomi pp. 11-12). La tripartizione emerge anche in altri settori, come ad es., in quello del lessico. Per tradurre la parola ‘padre’, nel sintagma “mio padre”, le parti della Puglia rispondono in maniera diversa: quella settentrionale con “da patremo”; la Puglia centrale con “da attanemo”; la salentina con “da sirima”12. Nell’ambito di alcune varietà si possono osservare altre subaree. Ad esempio, nell’ambito della varietà salentina viene individuata l’ “areola tarantino-brindisina”, nella quale la neoromanizzazione sarebbe piú antica di quella dell’area salentina centromeridionale13. Il metodo Viene sperimentato nel primo saggio, quello sulla sintassi (Strutture verbali) e poi gradualmente perfezionato nei saggi seguenti. Individuate preliminarmente le strutture e le risultanze principali, delle quali poi si redige un quadro statistico-quantitativo e, nello stesso tempo topografico, queste vengono raggruppate con il numero delle occorrenze riferite alle singole province. Di ogni fenomeno preso in considerazione vengono stese anche le cartine che lo rappresentano in tutti i centri esplorati della regione. Dal secondo saggio (Forme verbali) si aggiungono le tavole per ogni capitolo, nelle quali sono riportate le risultanze dialettali rilevate centro per centro e che costituiscono un complemento necessario del sistema di riferimento ai testi prodotti. Il metodo, in altre parole, rispecchia il principio di analizzare i fenomeni in testi effettivamente parlati e rilevati con uno stesso sistema, testi che offrono la possibilità di una comparazione intesa come riferimento ad “una misura comune” (Materiali nuovi, p. 71)14. La formulazione dei principi Tra i fatti caratterizzanti della ricerca c’è la formulazione dei principi che regolano le varie parlate e che consentono di stabilire piú facilmente i collegamenti con altre aree e di individuare il fondo storico-linguistico che le accomuna. Esempi tra i piú efficaci ci vengono proprio dalle Strutture verbali. Studiando i rapporti temporali tra

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In ricordo di Michele Melillo la reggente e la dipendente (nella reggente, con i verbi initiandi, con quelli merendi, volendi, curandi, ecc.), si arriva ad individuare delle peculiarità che riguardano soprattutto il Salento, dal momento che la restante parte della Puglia riflette condizioni che non si allontanano dal tipo letterario. Come ad es., il tipo kuminzò a ssènde la karestíje (Strutture verbali pp. 39-41). Queste peculiarità salentine rispondono a dei principi. Un primo principio emerge dall’uso dei costrutti con la reggente dei verbi personali: «Ad un tempo passato nella reggente corrisponde un tempo presente nella dipendente». L’esempio che rispecchia questo principio: nkuminciáu ku pprova la misèria ‘incominciò a provare (lett. ‘che prova’) la miseria’ (Strutture verbali pp. 39-41). Un altro principio, sempre nel Salento, riguarda i costrutti con i verbi impersonali nella reggente: «Dato un verbo reggente impersonale, questo, di regola, si conserva al presente, mentre quello dipendente è coniugabile nei tempi e nelle persone». Ess.: sta mmangiate ‘state mangiando’; sta a mmuéru ‘sto morendo’; sta a ssuccitía ‘stava succedendo’ (Strutture verbali pp. 58-61). Questi principi s’iscrivono in quello, piú noto, dell’assenza dell’infinito nel Salento. Peculiarità che è anche una caratteristica della Calabria e della Sicilia orientale (Rohlfs 1972, pp. 318-332; 339-48; 333-8). In un altro saggio, quello sui verbi, il principio si amplia e si estende alle altre forme dell’infinito: «Data l’apparentabilità dei fatti omogenei, il rifiuto di una forma indefinita comporta che anche altre forme indefinite, come il gerundio o il participio passato, siano assenti o in disuso» (Forme verbali p. 15). Ancora altri principi che sembrano importanti: il parallelismo nello svolgimento delle vocali; il principio della generalizzazione dei fenomeni. Il principio del parallelismo «vuole che gli svolgimenti delle due vocali [la i e la u] per quanto siano indipendenti l’uno dall’altro, si realizzino con misure che sono sostanzialmente le stesse». Dice il Melillo: «Se una lingua (ci si riferisce all’organo della lingua) è strutturata in maniera tale da raggiungere spingendosi in avanti, la posizione migliore per la pronuncia della i, ne consegue che questa stessa pienezza di rendimento debba ottenerla, quando si spinge dalla parte opposta, per esprimere il meglio di un suono velare. Alla possibilità di pronunciare una i pienamente palatile corrisponderà la possibilità di pronunciare una u pienamente velare. Ad una disponibilità di pronuncia, che non vada al di là di un certo

grado di palatilizzazione, corrisponderà nel parlante la impossibilità di pronunciare una vocale pienamente velare» (Vocalismo tonico p. 61). Il principio della generalizzazione dei fenomeni. Applicato allo studio delle vocali cosí suona: «Si ha l’impressione che, nella generalità dei casi una vocale che accusi un tratto di palatilizzazione o di velarizzazione, debba essere intesa a palatilizzarsi o anche a velarizzarsi, qualunque sia il posto che essa occupi» (Vocalismo tonico p. 81). Con maggiore chiarezza: «una vocale che subisce il turbamento, tende a subirlo nella generalità dei casi, cioè a dire in sillaba aperta, in sillaba chiusa, nella piane, nelle ossitone, ecc., come nel caso della a tonica15; ma il principio viene applicato anche alle altre vocali: agli esiti di E, O lunghe (Vocalismo tonico p. 81); di E, O brevi, ad es., negli esiti delle neutre16; nel dittongamento e frangimento vocalico (ib. p. 228). Le aree e le indicazioni storiche Oltre alla formulazione dei principi si mira costantemente ad avere delle indicazioni storiche. Il rifiuto dell’infinito nel Salento viene collegato alle condizioni proprie del greco bizantino. L’uso dell’ausiliare ‘essere’ in luogo dell’ ‘avere’ nei tempi composti (nella nota particolarità sono peccato ‘ho peccato’, sei fatto ‘hai fatto’), nella Puglia bareseggiante, richiama questa stessa abitudine che è propria anche dell’Abruzzo aquilano, con il quale vi sono stati stretti rapporti legati alla transumanza (Strutture verbali, pp. 81-3)17. Altra indicazione storica, che ritorna con notevole frequenza è quello della seconda romanizzazione. Può scaturire, ad esempio, dall’uso, comune a tanta parte dell’Italia meridionale, dell’oggetto indiretto nel tipo chiamò a un servo ‘chiamò un servo’. La concordanza della Puglia centrosettentrionale con la Sardegna induce a ritenere che questo costrutto si sia affermato nell’isola tirrenica con il latino italicizzato del III secolo a. C., epoca della romanizzazione della Sardegna. Nel Salento, invece, l’uso dell’oggetto diretto si sarà affermato nel periodo della cosiddetta seconda romanizzazione, al momento cioè in cui si doveva diffondere una lingua che fosse sostitutiva di quella bizantina (Complementi verbali, pp. 14-16). Il problema della seconda romanizzazione (quella dei secc. XI-XIII) ritorna non solo nella strutturazione della varietà salentina, ma anche, sia pure in misura decisamente minore, nella Puglia settentrionale (in particolare nel Subappennino dauno e

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sul Gargano). Le concordanze tra Puglia settentrionale e Salento si manifestano con vari fatti. Ad es.: nel tradurre con il tipo akkuá/akkuái l’avverbio di luogo ‘qui’18; nell’uso del ka che sostituisce la congiunzione ‘e’ (Congiunzioni p. 82), ecc. Anche se il Salento, come si è già accennato, conserva, piú della Puglia settentrionale, la letterarietà medievale19. Si evidenzia, nei diversi saggi, l’espansione che nei secoli passati ha avuto la varietà ‘napoletaneggiante’. Nell’esame di una struttura del tipo le mmane/ ru ppane ‘le mani / il pane’, nella quale si evidenzia l’articolo rafforzante, questa varietà mostra una particolare vitalità in un territorio che abbraccia la Puglia centrosettentrionale, buona parte della Lucania e la Campania (Articolo pp. 37-39). Ma anche altre strutture come l’uso degli articoli determinativi senza la laterale, u ‘il’/ a ‘la’, ci rinviano all’espansione della varietà napoletana (Articolo pp. 21-22). Come anche nei saggi di carattere piú propriamente fonetico. Nel saggio sul vocalismo: ad esempio, il dittongamento di E, O brevi è «chiaro e vivente nelle parlate che sono influenzate dalla corrente napoletaneggiante…là dove vengono segnalate delle tracce metafonetizzanti, in un territorio che rifiuta il frangimento vocalico, queste vanno spiegate come testimonianze della penetrazione linguistica operata dalla Capitale del Mezzogiorno, nel tempo della sua maggiore fortuna » (Vocalismo tonico p. 14); discorso ripreso quando si parla della diffusione del modello del tipo íe: úo, jé: wó (Vocalismo tonico p. 227). Nel saggio sul consonantismo: ad es., nella diffusione del modello vasò, con la struttura della sibilante schietta -s- < -SJ- nella Puglia centromeridionale (dal Tavoliere di Foggia fino alla linea Taranto-San Michele Salentino), che è in linea con la medesima struttura (vasá / vasare), presente nella Campania, nella Lucania, nella Calabria e nella Sicilia (Semiconsonanti pp. 127-129). Tre Studi Questi problemi che emergono nell’esame di testi dialettali attuali, si ripresentano anche nell’esame di testi antichi, sia medievali che preromani. È il caso di tre ricerche che si incrociano con quelle di dialettologia attuale. Ci si riferisce a quelle che seguono: 1. Parlate prima di Roma. I.Gli Osco-umbri; 2. Parlate italiane prima di Dante; 3. Sant’Egidio sul Gargano.


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CRESCERE Coordinamento Scientifico dott. Nicola FUIANO tel. 0882-225313 – e-mail: fuiano50@tin.it

Venerdì 17 novembre 2017 17.00-18.00: Iscrizioni 18.00-18.15: Presentazione dell’evento Dott. Nicola FUIANO Saluti – Suor Maria Gabriella GOMBA – Madre Gabriella GRASSI Madre Superiora Provinciale “Suore Sacramentine di Bergamo” – Dott.ssa Maria Teresa VACCARO Consigliere Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri Provincia di Foggia Introducono e moderano Dott. Pasquale CONOSCITORE e Dott. Michele SACCO 18.15-19.00: Dott. Nicola FUIANO - Crescere: il valore della famiglia 19.00-20.00: Lettura magistrale: Prof. Attilio BONER - Il ruolo dei genitori e del pediatra nella programmazione della salute e nella prevenzione delle malattie croniche non trasmissibili Giovedì 25 gennaio 2018 18.00:

Apertura dei lavori Dott. Nicola FUIANO Saluti – Suor Maria Gabriella GOMBA – Avv. Stefano Pio FOGLIA - Presidente Ordine Avvocati provincia di Foggia Introducono e moderano Avv. Guido De ROSSI e Don SALVATORE RICCI

18.10-19.00: Avv. Massimiliano ARENA - I “veri” diritti dei bambini 19.00-20.00: S. Ecc. Mons. Giovanni CHECCHINATO: “I tuoi figli come virgulti d’ulivo intorno alla tua mensa” - Salmo 183,3 Martedì 20 febbraio 2018 18.00: Apertura dei lavori Dott. Nicola FUIANO Saluti – Suor Maria Gabriella GOMBA – Dott. Antonio DI GIOIA - Presidente Ordine Psicologi Regione Puglia Introducono e moderano Dott.ssa Libera Maria COLLETTA Suor Maria Gabriella GOMBA 18.10-18.50: Suor Palma LIONETTI - Genitori e Scuola: un’antica eppur sempre attuale alleanza 18.50-19.30: Filippo SANTIGLIANO - L’etica dell’informazione nell’era della distorsione sul web 19.30-20.00: Gabriele CAMILLO - Educare al bene: il ruolo delle associazioni nella costruzione delle comunità Venerdì 23 marzo 2018 18.00-18.10: Presentazione dell’evento e saluti Introducono e moderano Dott. Vincenzo DEL VICARIO e Dott. Nicola FUIANO 18.10-18.40: Dott. Pierpaolo CRISTALLI - Il latte materno bene prezioso per la salute pubblica 18.40-19.20: Dott.ssa Anita RIGANTI - Allattamento al seno: miti, pregiudizi e verità 19.20-20,00: Dott.ssa Pasqua Anna QUITADAMO - La banca del latte umano donato di San Giovanni Rotondo: un’importante realtà a favore dei neonati prematuri

Sede del Convegno Auditorium della Scuola dell’Infanzia e Primaria delle “Suore Sacramentine di Bergamo” - Via San Marco Evangelista, 4 - 71016 San Severo - Tel.: 0882-222558 L’evento è rivolto a genitori, docenti, psicologi, pedagogisti, sociologi, medici (pediatri, neuropsichiatri infantili, medici di medicina generale - Medico di famiglia), assistenti sociali, avvocati, giudici minorili, giornalisti, uomini e donne delle comunità parrocchiali, della Caritas, dell’Epicentro Giovanile, dell’Azione Cattolica. Accreditamento ECM Al presente evento EVENTO 1833 – 209542 sono stati assegnati n. 9 Crediti ECM dal Ministero della Salute per Psicologi e Medici specialisti: Neuropsichiatri Infantili, Pediatri, Psichiatri, Medici di Medicina Generale. Al fine dell’attribuzione dei crediti ECM si dovrà partecipare ai quattro incontri. Elenco dei Moderatori e Relatori – Avv. Massimiliano ARENA - Avvocato - Già Presidente Onorario Tribunale dei Minori di Bari - Foggia – Prof. Attilio BONER - Professore Ordinario di Pediatria, Direttore U.O.C. di Pediatria, Direttore Dipartimento ad Attività Integrata Materno Infantile - Università degli Studi di Verona – Dott. Gabriele CAMILLO - Presidente Diocesano di Azione Cattolica Diocesi di San Severo – Dott. Pierpaolo CRISTALLI - Responsabile U.O.C. di Neonatologia - TIN IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza - San Giovanni Rotondo – S. E. Mons. Giovanni CHECCHINATO - Vescovo della Diocesi di San Severo – Dott.ssa Libera Maria COLETTA - Psicologa Clinica e della Salute - Esperta in Psicologia Giuridica e Valutazione Psicologica e Psicodiagnostica - Mattinata – Dott. Pasquale CONOSCITORE - Segretario Provinciale FIMP - Manfredonia – Dott. Vincenzo DEL VICARIO - Pediatra di Famiglia - San Severo – Avv. Guido DE ROSSI - Avvocato - Già Presidente Federazione Europea Forense – San Severo – Dott. Nicola FUIANO - Specialista in Clinica Pediatrica - San Severo – Suor Maria Gabriella GOMBA - Coordinatrice Scuola dell’Infanzia e Paritaria “Suore Sacramentine di Bergamo” di San Severo – Suor Palma LIONETTI - Suora dell’Istituto Figlie di Maria Ausiliatrice - Delegata Nazionale dell’Associazione Salesiana CGS - Presidente del Forum degli Oratori Italiani - Napoli – Dott.ssa Pasqua Anna QUITADAMO - Dirigente Medico - U.O.C. di Neonatologia-TIN - IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza - San Giovanni Rotondo – Don Salvatore RICCI - Parroco - Chiesa Divina Provvidenza – San Severo – Dott.ssa Anita RIGANTI - Dirigente Medico - U.O.C. di Neonatologia - TIN IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza - San Giovanni Rotondo – Dott. Michele SACCO - Direttore del Dipartimento Materno-Infantile e dell’ Età Evolutiva – IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza - San Giovanni Rotondo – Dott. Filippo SANTIGLIANO - Giornalista - Capo Redazione di Foggia de La Gazzetta del Mezzogiorno - Foggia Patrocini


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ediatra al 40° anno di attività, e pure nei panni di genitore, e perché no anche nonno di quei tanti bambini che quotidianamente mi vengono affidati, vado rendendomi conto che il quotidiano è tempo sempre più difficile perché ricco di disagi e incertezze che non rendono agevole il percorso di crescita delle nuove generazioni. Soprattutto in Italia e nel nostro “profondo” Sud. Come arginare la deriva del pianeta infanzia? Una deriva che comincia già con il crollo della diga demografica rappresentata nel tempo da almeno mezzo milione di nascite all’anno. Ma la vita quotidiana delle famiglie va scricchiolando sotto il peso della crisi economica: il tasso di fecondità totale è diminuito a 1,35 per donna nel 2015, coinvolgendo sia le donne italiane sia quelle straniere. E il tasso di natalità è calato a 8 bambini ogni 1000 residenti. Avremmo invece bisogno di un numero medio di figli per donna pari a 2,1. In sette anni l’Italia ha perso circa 90.000 neonati, ben il 15,5 della sua riserva aurea del futuro. Il progressivo assottigliamento della riserva aurea del Paese, con la graduale perdita delle età giovanili, rischia di avere serie ripercussioni sulla società italiana: per la tenuta stessa del sistema, che richiede un rafforzamento del patto tra le generazioni; per il crescente vuoto relazionale sperimentato dai bambini in un mondo sempre più adulto; per la perdita di peso specifico dei giovani nelle stanze dei bottoni. Tra i 31 Paesi dell’OCSE, l’Italia detiene il primato assoluto per numero di giovani tra i 15 e i 29 anni che coabitano ancora con i genitori: ben 4 su 5 pari all’80 %. In Italia ci si sposa più tardi: le giovani intorno ai 30 anni, i giovani verso i 34 anni. E stando alla stessa fascia d’età (15-29 anni) in Italia registriamo un primato ancora: ben il 25.7% di quella fascia rientra tra i cosiddetti NEET (Not in Employment, in Education or Training): circa 2.300.000 giovani non utilizzati. Mentre registriamo solo il 30% di laureate e il 20% di laureati in soggetti d’età compresa tra 30 e 34 anni. Questi dati non possono non significare un’autentica crisi di fiducia da parte delle giovani generazioni che finisce col coinvolgere anche adolescenti e ragazzi alle prese con un senso sempre più devastante di incertezza per il loro futuro. Di qui la loro domanda: «Chi me lo fa fare a studiare se chi ottiene una laurea non trova lavoro»? Non solo. Ma oggi avere successo significa essere potenti. Fino a vent’anni fa, per avere successo bisognava essere competenti, cosa che ora non è più richiesta. Allo scoramento si aggiunge anche la demotivazione in tanti giovani. Al punto che nel nostro territorio nazionale il 42,3 % della popolazione d’età compresa tra 15 e 64 anni ha raggiunto il solo diploma

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Il ruolo del pediatra nell'attività di prevenzione di scuola media inferiore; la percentuale di soggetti che abbandonano precocemente gli studi resta elevata (14,7%) soprattutto al Sud come in Puglia (16,7%) considerati i giovani d’età compresa tra 18 e 24 anni. Il 23% dei quindicenni non raggiunge le capacità minime in matematica e il 21% in lettura Certamente gli scenari assumono connotati desolanti se pensiamo ai tanti bambini e ai tanti ragazzi (1.105.000 nel 2015 - dati ISTAT) che vivono in oggettive situazioni di povertà economiche, abitative, di salute ed educative, che devono fare i conti già da piccoli con contesti di svantaggio, di privazione. E così non possiamo non pensare al dilagare del fenomeno del bullismo presente in tutte le macroaree della nostra Italia, che vede coinvolti maschi e femmine, non solo adolescenti ma pure frequentanti la scuola primaria e pure quella dell’infanzia. Quasi 1 soggetto su 5 (19.8 %) è vittima assidua delle “tipiche” azioni di bullismo (le subisce più volte al mese), quasi 1 su 10 (9,1%) a cadenza settimanale. il 73° Congresso Nazionale della Società Italiana di Pediatria, tenutosi in Napoli dal 29 maggio a giorno 1 giugno 2017, ci offre dati che devono far riflettere: «I risultati dell’indagine confermano che l’adolescenza è un’età difficile, la novità è che le difficoltà emotive e comportamentali emergono sempre più precocemente», osserva il Presidente SIP Alberto Villani. La ricerca è stata condotta in collaborazione con gli uffici scolastici regionali; più 10 mila ragazzi, di età compresa tra i 14 e i 18 anni, provenienti da tutte le regioni italiane, hanno risposto ad un questionario informatizzato. Il 12% del campione è stato vittima di cyberbullismo, il 68% delle vittime non ne ha parlato con nessuno, il 33% dichiarano di aver preso parte a episodi di bullismo verso i compagni e le compagne. La maggioranza del campione utilizza i social per parlare con gli altri quando si sente solo. Al 53% (spesso o sempre) capita di rimanere impegnato in attività multimediali per periodi più lunghi rispetto a quanto si era prefissato, configurando una problematica che potrebbe anche sfociare, se protratta nel tempo e pervasiva, nell’internet addiction. Oltre la metà degli intervistati dichiara di essere stato (sempre, spesso, qualche volta) così male da non riuscire a trovare sollievo. E se a questa percentuale si aggiungono coloro che hanno sperimentato “raramente” questa sensazione si arriva a circa l’80% del campione. Il 15% del campione si è inflitto lesioni intenzionalmente spesso per trovare un sollievo (o per puro piacere). Circa un ragazzo su

due ha sentito il bisogno di avere un sostegno psicologico, ma l’84,2% non si è rivolto a un servizio di aiuto psicologico e solo il 4,8% ha utilizzato quello della scuola. Quelli che si sono rivolti allo specialista (7,4%) lo hanno fatto principalmente per problemi familiari (27,3%) seguiti da quelli sentimentali e comportamentali (entrambi al 21%), scolastici (16%) e con coetanei (13,3%). Al primo posto gli amici, poi i genitori e la scuola. Gli amici restano un punto fermo nei momenti di difficoltà: solo il 4% dei ragazzi non riceve mai il loro aiuto, circa il 70% lo riceve (spesso o sempre). Più bassa la percentuale (46%) di coloro che si rivolgono (sempre o spesso) ai genitori per essere tranquillizzati quando hanno una preoccupazione. E solo il 20% ritiene che la scuola sia attenta alle esigenze degli adolescenti. Particolarmente preoccupante è il dato sugli episodi di autolesionismo che riguarda il 15% del campione. Il 62,3% non ha ricevuto educazione sessuale da parte degli adulti, uno su tre (tra coloro che hanno già avuto rapporti) non usa mai contraccettivi, più della metà ha visualizzato materiale pornografico in rete e circa il 15% ammette di aver ricevuto proposte sessuali da parte di adulti anche attraverso siti e app. Occorre riconoscere che noi adulti non siamo quasi mai un bell’esempio: il concetto di violenza scorre nelle immagini dei telegiornali, emerge nei dibattiti politici, nei videogiochi che mettiamo in mano ai nostri ragazzi. Mentre non infrequentemente ci lasciamo andare pure a momenti di rabbia, urla ripetute per un compito svolto in maniera svogliata, fino al caso più estremo, le percosse. Mentre le nostre giornate di adulti vanno caratterizzandosi sempre più della nostra incapacità di leggere i segni del disagio, dell’angoscia sul volto del minore. Un autentico malestare che va sfociando nel fenomeno a tutti noto come blue whale, da anni noto in Paesi come la Russia, a casa nostra rimasto sottotraccia ma sempre più presente, sempre più frequente. Un argomento che, col passar dei giorni, ha il drammatico sapore della quotidianità per i giovani studenti, gli insegnanti, i genitori, i neuropsichiatri e gli psicologi, e per la polizia postale. La “balena blu” conduce a comportamenti autolesionistici sino al suicidio e si rende davvero necessaria l’attenzione degli adulti che devono vigilare perché l’adolescente già di per sé fragile non cada nella trappola di personalità psicopatiche che adescano e manipolano i nostri ragazzi. La popolazione infanto-giovanile meriterebbe molto rispetto, autentico

amore: ed invece diventa oggetto di contesa, di possesso, di sfida anche in famiglia quando i genitori si separano. Cosicchè al lutto dello smembramento della famiglia si aggiunge, a danno del minore, il continuo pretestuoso litigio tra madre e padre che rivendicando entrambi a gran voce i “diritti del minore” perpetuano ed aggravano il clima di disagio della prole. Sicuramente il mestiere di “adulto” non è facile, vuoi nelle vesti di politico, di genitore, di insegnante. La nostra età va caratterizzandosi di ansia, precarietà del quotidiano, incertezza del futuro. Per di più in Italia stentiamo a riconoscere la necessità di un’attenzione sistematica da dedicare al mondo dell’infanzia e dell’adolescenza quale priorità di un programma politico o di governo. Come arginare la deriva del pianeta infanzia? Abbiamo bisogno di un comune momento di autentica riflessione che serva a rivedere le nostre strategie educazionali perché tutti noi adulti si consenta a ogni piccolo, a ogni adolescente di realizzare il loro personale cammino di crescita in un clima di minori disagi e incertezze di quello attuale. Il nostro evento è indirizzato a genitori, insegnanti; uomini e donne delle comunità parrocchiali, della Caritas, dell’Epicentro Giovanile, dell’Azione Cattolica; pediatri e medici di medicina generale, psicologi e sociologi e pedagogisti, neurologi e psichiatri e neuropsichiatri infantili e, perché no, il mondo dell’informazione e quanti sono chiamati nelle aule di giustizia a difendere i diritti dei minori. • I genitori, poiché hanno trasmesso la vita ai figli, hanno l’obbligo di educare la prole: vanno pertanto considerati come i primi e i principali educatori di casa. Questa loro funzione educativa è tanto importante che, se manca, può difficilmente essere supplita. (Papa Paolo VI) • Credo che un genitore debba cercare di proporre al figlio la parte migliore di sé: non solo, ma debba cercare di viverla, perché non si può offrire soltanto un modello, ma anche un esempio. (Piero Angela) Da pediatra non posso non condividere il giudizio del Presidente SIP Alberto Villani: «Il pediatra può e deve svolgere un’importante attività di prevenzione con bambini e genitori affrontando temi che si ritenevano propri dell’età adolescenziale, ma che si manifestano prima. È necessario elaborare strategie comunicative adatte ai bambini più piccoli e preparare i genitori ben prima dell’età adolescenziale». Ricordando a Tutti il messaggio di un Grande della Pediatria: “The spectacle of growth is awesome to behold” Gilbert B. Forbes Nicola Fuiano - 2017


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Cosa hanno in comune questi tre studi? Non solo una parte del titolo, almeno per i primi due (…prima di Roma…; …prima di Dante…), ma soprattutto il modo di leggere i documenti, il punto di vista, lo sfondo storico. La lettura è fatta con l’occhio dello storico della lingua, e in particolare del dialettologo, attento a coglierne l’aspetto legato al parlato, quello vivo, attuale, non solo nelle concordanze, soprattutto dei suoni e delle forme, ma anche nella sua parte “germinativa” e seguendone gli sviluppi. Nei documenti osco-umbri delle Parlate prima di Roma, con tutti i problemi di carattere testuale (scioglimento delle sigle, incompletezza e talvolta frammentarietà dei testi, interpretazione dell’alfabeto, incertezze nella lettura, ecc.), c’è l’esplorazione (e il riscontro) di quei segni che costituiranno le peculiarità delle parlate che il Melillo conosceva in sommo grado come studioso e come parlante. Il filo conduttore non è tanto la ricostruzione della grammatica e del lessico osco-umbro o, ancora, il collegamento con il latino (specialmente nella fase arcaica) o l’intento di evidenziare le peculiarità dell’osco (a volte piú vicine al greco, a volte, anzi spesso, piú vicine al latino e a volte autonome dall’una e dall’altra lingua), quanto piuttosto la ricerca di fatti che si riscontrano ancor oggi nelle parlate centromeridionali e che ne costituiscono le caratteristiche di fondo. Alcuni fatti sono già stati evidenziati da altri studiosi (come ad es., l’assimilazione del nesso -ND- in -nn-: (pestlúm) úpsannúm = lat. (TEMPLUM) OPERANDUM, in un’epigrafe di Pietrabbondante, in Parlate prima di Roma p. 31), ma altri, messi in luce, sono dovuti al Suo intuito e sviluppati secondo l’esperienza e le competenze particolari che aveva. Ci si riferisce soprattutto al collegamento di alcune peculiarità fonetiche e morfologiche, proprie dell’osco, con le corrispondenti usate nei dialetti dell’Italia “sannitica” attuale. Le peculiarità fonetiche Il frangimento vocalico che potrebbe costituire il precedente dello stesso fenomeno che si riscontra ancor oggi in alcuni tipi di parlate meridionali. Lo si riscontra, ad esempio, nella forma duunated = lat. DONAVIT (in “Tavola di Safinim”, Parlate prima di Roma p. 43, r. 8), nel sostantivo keenzstur = lat. CENSOR (in “Tavola di Safinim”, V iscr. di Pietrabbondante, ib. p. 43, r. 4). Di notevole portata i richiami alla prosodia, trattata nel saggio NAFP sul vocalismo tonico20.

In ricordo di Michele Melillo L’anaptissi (osco sakarater = lat. SACRATUR “Tavola di Agnone”, ib., p. 16, v. 20; sakaraklúm = lat. SACRA-, nel probabile significato di SACELLUM, in “Dedica”, I iscr. di Pîetrabbondante ib. p. 29; sarínum = lat. SARNUM, in eituns pompeiano, ib. p. 85, r. 4). La sonorizzazione delle postnasali (keenzstur = lat. CENSOR, già citato). L’esito di alcuni nessi consonantici: osco -mb- in luogo di lat. -NV(kumbennieís = lat. CONVENTUS), nel quale nesso probabilmente «si denuncia che a lat. -NT- si possa rispondere nell’osco con *-nd- e con la successiva assimilazione *-nn-» (ib. p. 79). Le peculiarità morfologiche Il perfetto in -atted: prufatted = lat. PROBAVIT (“Epigrafe di Stenio”, II di Pietrabbondante, ib. p. 31, r. 3); duunated = lat. DONAVIT (“Tavola di Safinim”, ib. p. 43, r. 8.). Forme da collegare a quelle italiane del tipo stetti, ma anche alle dialettali del tipo parlatte21. Detti riflessi sulle parlate attuali vengono poi dimostrati con l’evidenziare la presenza e l’estensione del fenomeno, che investe in particolare l’area che una volta occupavano gli Osco-umbri e, soprattutto, i Sanniti. Per l’anaptissi vengono redatte le tavole il “sorbo” (AIS 587); il “verbasco” (AIS 626), la “malva” (AIS 642). Per la sonorizzazione delle postnasali e simili, le tavole la “lenticchia” (AIS 1377) e la voce “ortica” (AIS 622). Per l’assimilazione -ND- ➝ -nn-, la tavola la “ghianda” (AIS 593). Per il tipo in -atte, si ricorre alle forme di “mangiò” (AIS 1697). A tal proposito si fa notare che il tipo mangiatte è presente ancor oggi solo nel Sannio molisano-beneventano. Nello studio dei testi predanteschi (Le parlate prima di Dante) viene illustrato l’ambiente linguistico, con

lo stesso metodo: la ricerca di fatti di lingua parlata. Soprattutto nell’affrontare i testi dell’Italia mediana, Melillo si muove nell’ambiente che gli è familiare: i dialetti dell’Italia meridionale. L’esame dei testi mira ad evidenziarne i fenomeni caratterizzanti non solo quelli generici, ma anche quelli specifici, diremmo di carattere regionale. A cominciare dal primo documento, Sao co kelle terre… Certamente risaltano fatti che saranno propri dell’italiano, come anche i modelli latineggianti, ma anche quelli caratterizzanti dell’ambiente dove emerge la peculiarità regionale (come, ad esempio, quella campana, con la caduta della semivocale velare nel nesso kw-: ko cong. “che”, kelle “quelle”, ki “qui”). Questa varietà sarà poi ripresa e ampliata nel capitolo sul Napoletano. Negli Statuti di Maddaloni saranno evidenziati altri fatti regionali: l’esito in laterale schiacciata del nesso LJ (contrariamente a quanto avviene nella parte orientale dell’Italia meridionale con l’esito in mediopalatale pura sonora), la metafonesi di O breve nel dittongo uó (luoco), ecc. Nell’esame dei testi abruzzesi se ne evidenziano le peculiarità linguistiche: la palatalizzazione della sibilante davanti a vocale palatile (il tipo sci “sí”), l’assimilazione di -LD- in -ll- (nel tipo callo “caldo”), insieme ad altri fatti geograficamente piú estesi (ad es. la preposizione articolata contratta del tipo na “nella”), oltre alle abbondanti testimonianze di metafonesi delle E,O lunghe (caritusu, angustusu, ecc.), peraltro presenti nelle altre varietà: come nel cassinese, nel molisano, nel romanesco, ecc. Nei testi umbri, vengono evidenziati i fatti propri dell’Italia meridionale: oltre alle assimilazioni (soprattutto l’esito di -ND- in -nn-), la metafonesi, l’abbondanza dei par-

9 ticipi passati in -utu (ferutu ‘ferito’, tradutu ‘tradito’), in particolare nella lingua di Jacopone da Todi; anche altri, come il ca ‘perché’ nel Cantico di S. Francesco. Nell’ultimo lavoro, Sant’Egidio sul Gargano, emerge, in maniera piú accentuata, decisa e, direi, quasi naturale, la capacità di cogliere i fatti linguistici caratterizzanti, talvolta di origine molto antica, e di collocarli nei loro spazi, talvolta molto ridotti e di valutarli nel loro tempo, anche nei momenti storici delicati, come quelli di passaggio da una condizione ad un’altra. Tra i fatti di origine molto antica (almeno rispetto ai testi medievali in esame), che ci testimoniano la presenza del sostrato italicosannitico, c’è l’anaptissi, segnalata in vari luoghi: nella voce caràgni (<*CRANJUM) 22, tradotta con “sulla cresta di un grande cragno di pietre” (Sant’Egidio sul Gargano pp. 62-63) e collegata a dialettale cragne ‘catasta di pietre’ o anche in Rodelegrimus23. La collocazione di fatti linguistici in spazi molto ridotti. In un documento del 1285 viene citato l’agionimo San Michele come “Sanctus Michale”. La a di “Michale” al posto della è viene interpretata come “apertura tipicamente sangiovannese”24. La storia e la lingua. Si riconoscono ad es., alcuni elementi germanici, altri di tradizione bizantina, altri legati ai Normanni. Fatti germanici, anzi longobardizzanti, nella presenza di un dittongo, in un nome come quello del conte Enrico, che di regola viene citato come Henricus, mentre in un documento del 1098 come Einricus25. Come anche viene notata una commixtio latino-germanica, nella costituzione dell’onomastica, all’interno di una stessa famiglia: Amoruso et Radoaldus26, Angeli et Rodelgrimi27. Elementi di tradizione bizantina sono presenti sempre nell’onomastica: Grisantii28, caso mai insieme a quella germanica, Bisantius..et Lantius29. Sono presenti i Normanni, sia nelle citazioni onomastiche (uso della forma genitivale Sancti Gilii che corrisponde al Sancti Egidii30, sia in alcune forme suffissali (-ARIUS ➝ -ériu come in Furnerii)31, sia nell’uso di voci che assumono un significato particolare in alcune zone dell’Italia meridionale (è il caso di sire, che adombra il significato di ‘padre’, tuttora riscontrabile nella Lucania e nel Salento)32. Il Maestro era e rimane tuttora “il Linguista storico” dell’Italia meridionale che ha saputo vederne i segni, anche i piú piccoli lungo il corso dei secoli e inquadrarli in una concezione unitaria, a quanto pare, saldamente fondata.


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In ricordo di Michele Melillo Note

1 Melillo ci ha lasciato il 30 marzo 2004, all’età di 89 anni. La sua formazione scientifica inizia alla Scuola Normale di Pisa, dove ha avuto come maestro Clemente Merlo. Ha insegnato Italiano e Latino nei licei di Foggia e di Roma. È stato Preside nelle Scuole medie Superiori di Manfredonia e di Foggia. Incaricato di Dialettologia Italiana presso la facoltà di Lettere e Filosofia di Bari dal 1967. Ordinario della stessa disciplina dal 1976. 2 Fino ai tempi della dinastia sveva si sarebbe parlato in tutta l’Italia centromeridionale come si parla oggi in Sicilia, Calabria meridionale e Salento. 3 Per la bibliografia degli scritti, almeno fino al 1986, si veda il vol. Studi, pp. 7-12; completa nel presente vol. p. 365. 4 Ad es., se nce abbengo ‘se ci riesco’ è un costrutto con un verbo tipico dell’Italia centromeridionale. 5 Si evince indirettamente la non arcaicità della cosiddetta “zona Lausberg”, per cui v. l’articolo dello scrivente, Caratù 1988a. 6 Si ricordi che nell’Atlante del 1955 sono assenti le province di Brindisi, Taranto e Lecce, quindi l’intero Salento. 7 Raggruppamento ideologico delle voci nell’AIS, la parola inserita in una frase e in un determinato costrutto nell’ALI. Per cui v. Caratù 2000, pp. 191-192. 8 Per l’illustrazione del metodo, delle indicazioni storiche e dei risultati dei singoli saggi si veda lo studio dello scrivente, Caratù 1988. 9 Nel saggio Articolo si evidenzia la particolare prosodia dell’area bareseggiante alla quale viene attribuita la pre-

Bibliografia AFL = Melillo M., Atlante Fonetico Lucano Roma 1955. AFP = Melillo M., Atlante Fonetico Pugliese. I. Capitanata; II. Terra di Bari, Roma 1955. AIS = Jaberg K. - Jud J., Sprachund Sachatlas Italiens und der Südschweiz, voll. 8, Zofingen. ALI = Bartoli M. - Terracini B. - Grassi C. - Massobrio L. (a cura di), Atlante Linguistico Italiano, voll. 6, 1995-2006 (raccoglitori: Pellis U., Grassi C., Franceschi T., Melillo M.…). Articolo = Melillo M., L’articolo, l’aggettivo e il nome dei dialetti di Puglia, Bari 1981. Avverbi = Melillo M., Gli avverbi dei dialetti di Puglia, Bari 1978. Caratù 1988 = Pasquale C., Lo stato della ricerca per una redazione degli atlanti fonetici regionali, in Studi pp. 157-184. Caratù 1988a = Pasquale C., Südlukanien, La Lucania meridionale, in “Lexicon der romanistischen Linguistik” a cura di Holtus G. - Metzeltin M. - Schmitt C., vol. IV (Italiano, Corso, Sardo), Max

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senza dell’indistinta negli articoli determinativi sia femminile plurale che maschile singolare, p. 35; alla diversa prosodia delle aree, l’accentazione di una voce come tata: piana e distesa (táta) nelle aree prosodicamente composte (nel Salento e in una certa misura nella Puglia settentrionale); in forma ossitonica o fortemente accentata (taté) nelle aree prosodicamente assai dinamiche (la Puglia bareseggiante); ib. p. 100. Nel saggio sui Pronomi pp. 3-13, dei quali si parlerà subito dopo, la forte dinamicità dell’accento determina la particolare forma dei pronomi, nell’area bareseggiante. 10 Con la sbarra obliqua si indica l’allungamento della vocale tonica, con l’accento acuto sulla vocale il tono crescente, con l’accento grave il tono decrescente; le parole riportate come esempi per le diverse aree rappresentano l’unità accentuale con le peculiarità che vengono descritte. 11 Molto interessante e nuova nella sua concezione e strutturazione la rappresentazione cartografica dei diversi schemi prosodici dell’Italia meridionale (Vocalismo tonico, p. 23). 12 Nel saggio Articolo p. 62, la si evince chiaramente nel quadro sinottico, e viene commentata anche storicamente nell’esame delle diverse risultanze (pp. 63-66). È peraltro molto interessante la trattazione di un problema sintattico, come la collocazione enclitica del possessivo nel tipo patremo ‘mio padre’, patreto ‘tuo padre’, che viene considerato nell’ambito dell’Italia centromeridionale e che trova le sue testimonianze nel siciliano e nell’umbro del ‘200 (Articolo pp. 65-69). 13 V., ad es., l’uso del subito (“fate subito”, “disse subito ai servi”, ecc.) nel brindisino-tarantino, rispetto all’avverbio presto preferito dal Salento centromeridionale (Avverbi,

pp. 46-49) o anche nella sintassi, l’uso delle forme “deponenziali” come il tipo e kkonzumato ‘ha consumato ‘ (Strutture verbali pp. 89-92) o ancora il tipo è fatto ‘ha fatto’ (ib. pp. 95-96), sempre nella stessa area. 14 Si ricordano le possibilità offerte dall’uso di un testo, come quello della parabola, per lo studio e la definizione dei fatti caratterizzanti, già segnalati da Melillo in Materiali nuovi, ibd.. 15 «Ad es., a BA 1 (Barletta) pjetä’ v. 17-20, come chiamäte ib.» (Vocalismo tonico, p. 52). 16 V. gli esempi di Morciano - LE 23 -: celu, neddu, soni, porci, ecc., nei quali, in qualsiasi condizione, le due vocali rispondono sempre allo stesso modo, cioè né aperte né chiuse (Vocalismo tonico p. 219). 17 La transumanza come spiegazione dei fatti linguistici comuni all’Abruzzo e alla Puglia è argomento che ritorna nei saggi successivi. È sufficiente scorrere gli indici degli argomenti dei vari saggi per costatarne la presenza. 18 Mentre la Puglia centrale risponde con il tipo ddo < ILLOC (Avverbi pp. 29-31). 19 Si ricordi, ad es., per limitarsi agli avverbi, la forma salentina addunka ‘dove’ (Avverbi, pp. 24-9). 20 In particolare ci si riferisce al frangimento e al dittongamento provocati dalla dinamicità dell’accento tonico e a schemi prosodici nei quali prevale l’alternanza di lunghe e di brevi (Vocalismo tonico pp. 10-23). 21 «Probabilmente sarà da pensare a qualche precedente del tipo *-tued, e cioè a dire a una fenomenologia che ricorda le forme stetti, detti, ecc., del sistema linguistico italiano… E non è da escludere che le varie forme del tipo parlatte – di cui del resto si è detto nelle nostre Forme verbali al cap. II.4 – possano essere debitrici della loro

fortuna alla continuità della lingua dei Sanniti» (ib. p. 44). 22 “per coppam caragni magni lapidum”, in un doc. del 1270, rogato a Manfredonia (“Datum Syponti Novelli”). 23 Di contro, però, a Rodelgrimus (Angeli et Rodelgrimi), ib. p. 73. 24 “terram unam laboratoriam in predicto territorio, ubi dicitur Sanctus Michale”ib. pp. 67 e 70. Com’è noto, almeno per chi conosce il dialetto di S. Giovanni Rotondo, il fenomeno è tipico del centro garganico: ad es., la E breve di ‘letto’ s. m. viene pronunciata come a, latt∂. 25 “Ego Einricus qui comes…” Monte Sant’Angelo, 1098 o 1099. 26 “Ego Amoruso et Radoaldus uterali germani” Monte S. Angelo 1111, p. 24. 27 “…terra Angeli et Rodelgrimi veri germani olim filii Iohannis Cennami” Monte S. Angelo 1115, p. 25. 28 “terra filii Grisantii” Monte S. Angelo a. 1111, p. 30; “terra filiorum Grisantii iudicis” ib. a. 1112, p. 37. 29 “…Ego Bisantius miles et Lantius” Monte S. Angelo 1112, p. 31. 30 “…unam terram in Pantano… tibi frate Samaro priori Sancti Gilii… hanc cartulam scripsi ego…Disigius” Monte S. Angelo, a. 1115, p. 25. 31 “…Ego Sassus quondam filius Furnerii” Monte S. Angelo a. 1111, p. 30; Furnerii, p. 91. 32 “Blasius de sire Raynaldo” in doc. del 1285, p. 67; «il patronimico si affaccia in veste di complemento, in cambio delle forme del tipo filius + Genitivo del nome del pater, ricorrenti di regola nelle carte precedenti all’affermazione dei Normanni», p. 87, sub de sire. Dell’uso di sire nel Salento si è già fatto cenno come fatto lessicale caratterizzante , con riferimento ad Articolo p. 62.

Niemeyer Verlag, Tübingen 1988, pp. 688-694. Caratù 2000 = Pasquale C., L’utilizzazione scientifica della Parabola del figliuol prodigo” in ambito meridionale, in “Atti dell’Accademia peloritana dei pericolanti, Classe di Lettere, Filosofia e Belle Arti. Convegno internazionale di Studi parlangeliani su «Storia politica e Storia linguistica dell’Italia meridionale»”, Suppl. n. 1, vol. LXXVI, 2000, pp. 191-203. Complementi verbali = Melillo M., I complementi verbali dei dialetti di Puglia, Bari 1978. Congiunzioni = Melillo M., Le congiunzioni dei dialetti di Puglia, Bari 1979. Forme verbali = Melillo M., Le forme verbali dei dialetti di Puglia, Bari 1977. Materiali nuovi = Melillo M., Materiali nuovi per una carta nuova, in “Atti del Convegno per la preparazione della Carta dei dialetti italiani”, Messina 1965, pp. 65-76. Melillo 1965 = Melillo M., Et eo se nce abbengo, in “Rivista di cultura classica medievale” (Studi in onore di Alfredo Schiaffini), VII, 1965, pp. 670-8.

NAFP = Nuovo Atlante Fonetico Pugliese, Opera che comprende diversi volumi (i saggi grammaticali saranno citati a parte): I Dialetti di Puglia, Roma 1970 (Testi della parabola del figliuol prodigo in trascrizione fonetica); Guida ai dialetti di Puglia, Bari 1972; Le concordanze dei dialetti di Puglia, vol. I, A-K; vol. II, M-Z, Bari 1975. Parlate prima di Dante = Melillo M., Le parlate italiane prima di Dante. Tra l’Italia mediana e quella settentrionale, Bari 1978. Parlate prima di Roma = Melillo M., Le parlate prima di Roma. I. Gli Osco-umbri. Dispense, non pubblicate, che portano il sottotitolo: Lezioni di Glottologia, facoltà di Lettere di Bari, a. a. 1984-5. Pronomi = Melillo M., I pronomi dei dialetti di Puglia, Bari 1980. Rohlfs 1972 = Gerhard R., La perdita dell’infinito nelle lingue balcaniche e nell’Italia meridionale, in «Studi e ricerche su Lingua e dialetti d’Italia», Firenze, 1972, pp.

318-332; Problèmes de linguistique balkanique et ses rapports avec l’Italie meridionale, in «Studi e ricerche cit.», pp. 339-48; 343-4; La congiunzione mi (in sostituzione dell’infinito) in Sicilia, in «Studi e ricerche cit.», pp. 333-8. Sant’Egidio sul Gargano = Melillo M., Il pantano di Sant’Egidio sul Gargano, 2000-2004, Pubblicazione postuma, in “Lingua e Storia in Puglia”, 45, Centro residenziale di Studi pugliesi in Siponto, Manfredonia, 2005. Semiconsonanti = Melillo M., Semiconsonanti e consonanti dei dialetti di Puglia, Bari 1990. Strutture verbali = Melillo M., Le strutture verbali dei dialetti di Puglia, Bari 1975. Studi = Caratù P. - Piemontese P. (a cura di), Studi di Dialettologia Italiana in onore di Michele Melillo Bari 1988. Vocalismo tonico = Melillo M., Prosodia e vocalismo tonico dei dialetti di Puglia, Siponto 1986.

Saggio tratto da: Unità linguistica meridionale. Studi e ricerche in ricordo di Michele Melillo a cura di P. Caratù - A. Rubano, Edizioni del Rosone 2016.


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Personaggi della cultura Pugliese

La scomparsa dello scultore Mimmo Norcia

Artista di grande sensibilità che ha onorato la nostra terra

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on è semplice delineare un profilo sia pure breve, di Mimmo Norcia. Proverò in poche righe a lumeggiare la sua personalità, considerando l’artista, il docente, il padre di famiglia. Il primo aspetto, il primo appellativo con cui si qualifica è quello di scultore. Le sue opere si possono distinguere in sculture su commissione e altre a tema libero, personale. Al primo gruppo appartengono ritratti, monumenti e bassorilievi religiosi e funerari. Numerosi i ritratti in bronzo, a mezzo busto, ritratti di privati, ma anche di personalità del mondo politico, economico e culturale della nostra nazione, collocati a Roma in saloni di rappresentanza della Banca d’Italia, della Società Autostrade, ecc. Un busto del noto giureconsulto foggiano F. Ricciardi è esposto nell’Aula magna dell’Università degli Studi di Foggia. Tra i monumenti ricordiamo il Parco Artistico di Biccari, dedicato a Donato Menichella, nativo di quella cittadina, governatore della Banca d’Italia, presidente dell’IRI, fautore del rilancio economico dell’Italia nel secondo dopoguerra. Dei monumenti ricordiamo ancora San Francesco Antonio Fasani a Lucera, realizzato subito dopo la santificazione, negli anni Ottanta. E poi Padre Pio nelle acque delle Isole Tremiti: statua gigantesca ben ancorata sul fondo marino (nella foto a destra). Monumentale altresì la

statua di San Giovanni Paolo II nel poliambulatorio di Casa Sollievo della Sofferenza a San Giovanni Rotondo. I soggetti a tema libero, di pura ispirazione personale, postillano gli eventi del tempo. Nel periodo delle rivendicazioni femminili Mimmo Norcia esegue in bronzo una donna bella, elmata, ma che non rinuncia al suo maquillage. Quando la stampa comunicava che i biologi realizzavano gli OGM, Organismi Geneticamente Modificati, il Norcia realizzò un ovoide in legno, elegante, ma con l’inserimento di una striscia di altro materiale su un lato. L’opera piacque e fu acquisita dalla Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Dogana a Foggia. Da qualche anno un insetto sta devastando gli uliveti della Puglia meridionale, ed ecco Mimmo che realizza La xilella

Ci ha lasciati Piero Giannini

Attento e appassionato ad ogni fermento culturale del territorio

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oterlo annoverare tra gli estimatori e i lettori critici più assidui dei miei lavori, è stato motivo di orgoglio e di stimolo a perseverare nella disciplina della scrittura e a tenere la barra dritta sulla rotta della comprensibilità e della leggerezza ritmica, nel rispetto costante di chi, prima o poi, avesse voglia di coglierne il piacere della lettura. Anche per questo segno indelebile, seppur tracciato a distanza, Piero Giannini è stato per me un secondo padre. Lo conobbi la prima volta a Rodi Garganico, in occasione di un convegno sul Turismo, in un pomeriggio di un mio compleanno, quando mi si pre-

sentò - insieme ad un altro carissimo amico del Promontorio Sacro, Peppino Maratea di Vico del Gargano - dicendomi di essere venuti apposta, per sentire la mia relazione e che da tempo mi leggevano e che apprezzavano gli interventi e la narrazione. Quante volte avrei voluto fare con lui quello che mi piaceva fare con mio padre Santino, durante la mia adolescenza: spingerlo ad anticipare la fine della ‘maledetta sigaretta’, per avere la soddisfazione di spegnerla, schiacciandone col mio piede il mozzicone ardente e intriso di catrame velenoso. Eh sì, la sigaretta con la sua avvolgente nuvola di fumo era il contesto da cui emergevano lo sguardo benevolo e la barba - sovente incolta - di un vero e proprio ‘maestro’, che dalle pagine di “Puglia” di Mario Gismondi prima, e da quelle patinate e poi anche virtuali, altrettanto incisive, del suo “Punto di Stella”, ha a lungo accompagnato, con tenacia e generosa gratuità, il percorso formativo di schiere diffuse di lettori e di colleghi giornalisti. Un faro che intensificava il suo raggio luminoso ad ogni ‘tirata’, dal cuore del centro storico di Peschici, a pochi

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fastidiosa: un tronco, un rocchio d’ulivo con dei volti sofferenti, da maschera di tragedia greca. Mimmo, quindi, non solo realizza l’opera d’arte, ma documenta l’evento, il problema sociale vissuto. È stato un artista classico per certi aspetti e moderno per altri. È classico per la compostezza del figurato, per il ritmo lineare, per il gioco dei volumi. La figurazione del Norcia però non è descritta nei dettagli, ma è essenzializzata: l’osservatore completa l’opera nella sua mente, in maniera inconscia e recepisce a fa suo il messaggio dell’artista. Un cenno per i restauri. Ha ridato decoro a molte sculture bronzee e lignee di Palazzo Dogana, delle scuole di Foggia e di diverse chiese. Diagnosi scrupolosa e interventi di ripristino nel rispetto delle forme originarie. Nella chiesa di Panni ammiriamo le statue dei Santi Patroni, la Madonna del Bosco e San Costanzo, nonché l’Assunta, restaurata dal Norcia, che subito dopo, con una mostra fotografica all’Annunziata, sede della Pro-loco di Panni, partecipava al pubblico le varie fasi del suo operato. Non meno interessante è l’aspetto di Mimmo Norcia, docente di materie artistiche all’Istituto Statale d’Arte di Foggia. Fu tra i pionieri della nascente scuola d’arte, era combattivo nei consigli

di classe, con quei colleghi che con voti molto bassi mortificavano i discenti. Un ultimo aspetto ancora: Mimmo padre di famiglia. Premetto che ha avuto accanto a sé una consorte straordinaria, la signora Elena Palumbo, donna virtuosa, di larghe vedute e di particolare sensibilità. Ella accettava e condivideva le scelte del marito in maniera collaborativa. Mimmo in casa era tenero con la mamma di età avanzata; a lei riservava tante carezze. È stato tenero ed esigente con i figli Antonella e Marcello, entrambi architetti, che hanno collaborato con il padre negli ultimi decenni. E come non ricordare l’altro figliuolo Michele, deceduto in un incidente stradale. Era di portamento elegante, affettuoso, faceto, un signorino, promettente steward dell’Alitalia. Questo grave lutto segnò la vita di Mimmo, che con me ricordava spesso il figlio, dando sfogo al suo dolore mai sopito. Eppure seppe reggere bene il timone della sua famiglia, riprese la sua attività artistica, onorando con le sue opere la nostra terra di Puglia e l’Italia. Scompare con lui un artista, di cui – a ragion veduta – possiamo essere orgogliosi.

metri dall’ombra domestica ed episcopale di un amico eccellente come Mons. Mimmo D’Ambrosio. Dove, ricordo, mi convocò in due occasioni: la prima, dopo il varo del Distretto Culturale Daunia Vetus a Troia. Attento e appassionato ad ogni fermento culturale del territorio, sapendo anche della mia passione per i Benedettini e i rotoli pergamenacei medievali di loro miniatura, mi volle coinvolgere nella battaglia che con Teresa Maria Rauzino la sua associazione portava avanti, con piglio “epico”, per il recupero al patrimonio comune dei resti dell’Abbazia di Santa Maria di Kalena a Peschici. La seconda, in occasione della mia esperienza di direzione all’Hotel Gusmay del Gruppo Maritalia - dove avevamo entrambi una sorta di “angelo amico” in Gabriele Draicchio - per organizzare insieme un tentativo di fronte comune garganico, per il sostegno alla richiesta di un Aeroporto del Gargano. Piero conosceva bene le mie posizioni sul tema e sulle prospettive senza orizzonti del ‘Gino Lisa’ di Foggia, con i tentativi donchisciotteschi di stimolare l’utilizzo temporaneo del presidio militare di Amendola, per dare corpo e numeri a una richiesta rimasta - ancora oggi - priva di traffico consolidato e per questo dalla forza debole e permanentemente evanescente. L’incontro pubblico, con la regia di Piero Giannini, fu organizzato nella

Sala Consigliare del Comune di Peschici, dopo alcuni appuntamenti serali, dal sapore vagamente carbonaro, anche per la cortina fumogena che imperava tra le poltrone e le luci suffuse del salotto di casa. Ma ricordo, ancora oggi, l’espressione rassegnata e beffarda con cui mi sussurrò, sconfortato e mortificato, qualche minuto prima dell’inizio: “Antò, non se ne fa niente. Sono arrivati da Foggia i frenatori!” Poi i nostri contatti si sono aggrappati, finché possibile alle pagine di ‘Punto di Stella’, che oggi diventano archivio prezioso per tutti. Piero torna a Peschici da Cremona - il giorno del compleanno di mio padre - ripercorrendo per l’ultima volta la dorsale Adriatica come una ‘meteora’, che completa la traccia del suo ‘graffio’ sulla lavagna siderale di un universo senza confini. Il suo sguardo e il suo monito continueranno ad ‘ardere senza bruciare’ nei nostri ricordi, che con affetto contribuiranno a tener viva la fiamma di una presenza. Il destino beffardo ha voluto che solo recentemente prendesse corpo IQOS, il marchingegno che la Piliph Morris propone ai suoi fumatori: la sigaretta che arde e non brucia. Peccato, che sia arrivata troppo tardi per lui. Che la cenere ti sia lieve, Piero, sotto il sole diomedeo che in eterno continuerà a scaldare le tue ossa! Antonio V. Gelormini (gelormini@gmail.it)

Leonardo De Luca


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Cronache della cultura Colori del mare di Fuad Aziz

Storie di uomini e donne che fuggono da guerre e miseria

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olevo dipingere solo il blu del mare, poi mi sono accorto che nel mare c’erano tante storie, tanti sogni, tanti colori. E il blu». Queste le parole impresse sulla quarta di copertina di Colori nel mare, il nuovo libro scritto e illustrato da Fuad Aziz e pubblicato da Matilda Editrice, disponibile in libreria da novembre. Un albo illustrato curato nei minimi dettagli, nel quale con poche parole e meravigliose illustrazioni Fuad Aziz racconta il viaggio difficile intrapreso da migliaia e migliaia di persone. Donne, uomini, bambini, giovani e anziani costretti a fuggire via da guerre, miseria e disperazione. Privati dello stretto necessario per vivere, in termini materiali o di diritti fondamentali, per i quali dunque il viaggio diventa il sogno, un sogno che è l’unico mezzo per resistere e sopravvivere. E il mare rappresenta l’unica strada verso la speranza, quella che li accoglie e li porta verso un giorno diverso, sconosciuto, migliore; il mare aperto che non hanno mai visto prima, che non vedono solo “blu” come lo vediamo noi; perché il mare ha tanti colori, ogni colore è una storia da raccontare, una cultura da imparare, un nuovo pericolo da affrontare. La necessità coincide con la scoperta continua, per tutti. «Questa realtà drammatica che macchia irreparabilmente questo nostro tempo è chiamata Emergenza. Falsamente. È, in realtà – scrive Aziz in una nota al libro – un problema politico e soprattutto economico. Negli ultimi anni assistiamo, infatti, ad una politica basata sulla destabilizzazione di popoli e paesi e sullo sfruttamento

delle terre ricche di risorse in cui questi popoli vivono». Il catalogo di Matilda testimonia un impegno totale e appassionato nei confronti di tematiche profonde, importanti per la crescita umana e legate alle emozioni: «Desideriamo pubblicare storie che possano contribuire a rendere i nostri pensieri un po’ più aperti all’alterità, a contrastare il buio e l’oscurantismo sempre in agguato, a impedire il sonno della ragione», afferma Donatella Caione, fondatrice e direttrice di Matilda Editrice. E riguardo al tema particolare del Mar Mediterraneo e dei migranti aggiunge: «Siamo abituati a vedere le immagini delle barche cariche di profughi ma stiamo perdendo la capacità di comprendere cosa ci sia dietro quelle immagini. Un po’ alla volta non proviamo più empatia verso l’altro/a, verso chi ha storie, vissuti, culture diverse dalle nostre, influenzati spesso da discorsi razzisti pieni di pregiudizi e false notizie. È giusto raccontare a bambini e bambine i sogni e le speranze - conclude l’editrice - e raccontare che se le vite di queste persone si potranno intrecciare pacificamente con le nostre sarà un beneficio per tutti». Fuad Aziz è nato ad Arbil, città antichissima nel cuore del Kurdistan iracheno. Illustratore, pittore, scultore e favolista, si è laureato all’Accademia di Belle Arti di Baghdad nel 1974 e si è poi trasferito in Italia; ha studiato alle Accademie di Roma e di Firenze, e presso quest’ultima ha conseguito la laurea. È autore di storie dense e ricche di delicata poesia e ha realizzato numerose mostre personali e collettive in Italia e all’estero; da alcuni anni illustra libri per l’infanzia ed è tra i fondatori della Biblioteca di pace di Firenze, città in cui vive e lavora. Matilde Editrice ha già pubblicato due progetti scritti e illustrati dalla sua mano: Sole e mare, un albo che affronta con delicatezza il tema della guerra vista attraverso gli occhi di una bambina e Sogni al di là del mare, raccolta di storie di migranti tra realtà e fantasia (raccontate da 13 autrici e autori di letteratura per l’infanzia) accompagnate dalle sue incantevoli illustrazioni. Colori nel mare di Fuad Aziz Matilda editrice, Foggia

Il castello di Bari culturali, e non solo, di Bari e relativa alla prospettiva di istituire nella città di San Nicola un «Salone del libro» del Mezzogiorno, il responsabile dei Beni culturali si è mostrato possibilista: «Ne parlerò con il sindaco – ha detto – perché c’è una concentrazione di fiere del libro al Nord e si deve credere anche al Sud». «Per Bari è un giorno importante – ha affermato il primo cittadino Antonio De Caro – perché dopo tanto tempo riapre la parte superiore del Castello Svevo. Una fortezza che i baresi hanno sempre visto come un gigante silenzioso che ha sorvegliato la città per tanti anni. È un pezzo dell’offerta culturale della città – ha proseguito il sindaco – visto che da poco abbiamo riaperto l’Auditorium e, anche grazie al finanziamento del Ministero e della Regione Puglia, riapriremo la parte superiore del museo di Santa Scolastica e contemporaneamente continueremo i lavori per la riapertura del teatro Margherita e dell’ex Mercato del pesce che saranno il Polo dell’Arte contemporanea». Marida Marasca

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Un soffio d’infinito di Anna Russo

Un canto alla vita poesia di emozioni e sentimenti

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nna Russo è ormai alla sua quinta raccolta, una silloge di 95 poesie dal titolo Un soffio d’infinito. Anche in questa silloge, l’autrice celebra l’esistenza come dono di Dio. Nella sua presentazione a Un soffio d’infinito, mons. Vincenzo Francia fa riferimento alla passione per la pittura dell’autrice che con i suoi versi ha pennellato «i simpatici bozzetti di vita del paese, i semplici e profondi rapporti tra le persone, i solenni ed essenziali momenti dell’esperienza religiosa». Certamente l’arte e la poesia possono aiutarci a riconquistare lo spazio spirituale, ad affrontare con la forza delle idee e dell’amore ed anche della bellezza questo nostro presente così vuoto e privo di valori, a cercare di sconfiggere la noia e la solitudine. La poesia di Anna Russo è un canto alla vita, un invito a viverla nella sua pienezza, a renderla più bella e degna di essere vissuta. Il suo segno poetico avalla un’ispirazione pienamente autobiografica nella consapevolezza del valore della parola che sa usare con franchezza, come fosse una pennellata sulle sue tele, rinunciando a deviazioni linguistiche e a fronzoli pseudo letterari, libera da ogni condizionamento codificato. Poesia dei sentimenti, di genuina sincerità, scritta con schietta immediatezza capace di penetrare le radici delle nostre anime, ma l’apparente semplicità dei versi di Anna Russo non deve ingannare, non è superficialità, ma è espressione di una personalità attenta e riflessiva. Dalle parole di Mons. Francia, si

comprende come la silloge della nostra poetessa sia un inno alla vita: «Risuonano in questi versi – afferma il prelato - le voci della natura, le emozioni e i sentimenti, lo scorrere lento dei giorni, le fantasie e le cronache quotidiane, le memorie e i progetti, i bagliori di luce nel buio della monotonia, il grido della speranza nel momento del dolore… Risuona la vita». Anna Russo è una poetessa libera che scrive liberamente i suoi versi senza vincolo di regole che ne appesantirebbero la creatività. Alcune sue poesie sono ispirate dalle stagioni che scandiscono nella loro diversità i mesi, gli anni della nostra vita. La natura si rinnova ad ogni passaggio con colori che al mutar del tempo lasciano la propria impronta; stagioni come metafora del nostro esistere, ogni stagione della nostra età dalla nascita all’ultimo respiro che si sviluppa in un’alternanza di gioie, dolori, amore, felicità. Ed ecco poesie che ci donano, come pennellate, suggestioni e paesaggi. Anna Russo, pur nel vuoto dei nostri tempi, in una contemporaneità dominata dal provvisorio, sa affascinarci e coinvolgerci con l’incanto delle stagioni, conservandone i ritmi, i profumi, il rumore della pioggia, la neve che silente si posa sulla terra e poi cantando il ritorno alla vita che torna ad affacciarsi nelle campagne, nei giardini, in ogni angolo di questo nostro piccolo mondo, un piccolo punto nell’universo, così martoriato e fragile, ma che non deve arrendersi, ma credere con ferma convinzione nel Creatore, fonte d’amore e di speranza. E nella natura Anna Russo ritrova quel soffio d’infinito che le rende la vita più leggera, più degna di essere vissuta. Dio esiste e la sua impronta è la legge dell’amore e col suo desiderio d’infinito la poetessa anela alla libertà, vuol liberare la sua anima dalla prigione del corpo e vagare negli spazi infiniti in assoluta libertà. Anna Russo nel comporre non segue scuole e modelli per questo la sua poesia è più genuina e fortemente soggettiva. Anche questa silloge Un soffio d’infinito racchiude la sua indole ad aprirsi ai particolari, cogliendo le sfumature del mondo che ci circonda, e la sua ispirazione, sempre presente, alimentata da una fiamma interiore che genera i suoi versi, percorre senza sbandamento alcuno la strada della fede in un colloquio intimo col Creatore. Giucar Marcone

Quaranta anni del Gruppo Umanesimo della Pietra

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elebrato a Martina Franca il quarantennale delle attività del Gruppo Umanesimo della Pietra. Dopo gli indirizzi di saluto del sindaco di Martina Franca, Francesco Ancona, e dell’assessore alle Attività culturali, Antonio Scialpi, sono intervenuti: Domenico Blasi, direttore Gruppo Umanesimo della Pietra; Cosimo Damiano Fonseca, Accademico dei Lincei. Conclusioni di Pietro Liuzzi, membro della Commissione cultura del Senato della Repubblica. Ha moderato Pietro Bello, cerimoniere del Gruppo Umanesimo della Pietra.


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Cronache della cultura

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Presentato Collefiorito di Lidia Valerio

Un romanzo avvincente, vivo, rispettoso delle origini della nostra terra

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ono tante le sollecitazione che offre il romanzo Collefiorito di Lidia Valerio. Siamo a Bovino in uno dei borghi più belli d’Italia, come lo ha promosso l’ANCI, e più suggestivi della nostra provincia. L’autrice attraverso un gioco di memoria e creatività parla di Collefiorito il cui nome prospetta un mondo felice dove la vita scorre lontana dalla confusione di questa nostra società post-moderna. Scopriremo come l’Abbazia nella narrazione dell’autrice susciti un vivo e misterioso interesse, non solo per sua architettura, per le opere d’arte che vi custodisce, in modo particolare per il prezioso Bassorilievo ligneo della Madonna con il Bambino custodita da circa nove secoli e intorno al cui restauro si snoda tutta la vicenda; per i riferimenti storici molto dettagliati. Penso al carteggio che il grande pittore spagnolo Diego Velasquez trattenne con l’abate del tempo, siamo nell’anno 1651, e che tuttora è oggetto di studio

del frate bibliotecario; per la vita che ivi conducono i frati; per i loro pazienti studi su incunaboli antichi risalenti al 1530; per l’accoglienza che sanno offrire e persino per quel loro modo di essere burberi in certi momenti e, o circostanze. Tornando ai riferimenti storici, riguardano momenti molto importanti per la vita dei nostri paesi: le gesta dei briganti dopo l’Unità d’Italia, la questione meridionale di cui ancora si discute animosamente e dal punto di vista politico che sociale ed economico, la transumanza. Mi è piaciuto molto leggere di paesaggi perché ci si può fermare ad ammirarli, contemplarli, viverli. Essi fanno parte dell’anima di ognuno di noi, la loro bellezza ci aiuta a superare la paura di questo nostro mondo violento ed ostile e forse può essere una spinta a rispettare il mondo che ci è stato affidato. Voglio credere che sia giunto il momento del nostro territorio, una forma

Ida Marasca 29 ottobre 2016-2017

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mare una persona significa dire «tu non morrai», ha scritto Gabriel Marcel. Ida cara, il tuo ricordo ci fa condividere pienamente il pensiero del filosofo francese, convinti che chi ci è caro muore quando smettiamo di amarlo. In questo anno abbiamo incontrato ovunque il tuo dolce sorriso, la tua generosità, la tua visione impegnata della vita. Nel tuo cammino terreno hai saputo tessere amicizie, illuminare le persone incontrate, dare forza agli affetti, oggi nutri i nostri giorni della speranza di ritornare a fare famiglia con te, in cielo. I tuoi cari.

Cerignola, festival dell’oliva da tavola

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i è svolta a Cerignola La più Bella sei tu, la tre giorni dedicata all’oliva da tavola, il 1° Festival Nazionale dell’Oliva da tavola. Sull’evento – promosso dal Comune di Cerignola, realizzato in collaborazione con l’associazione «Di terra di mare», Red Hot - impresa creativa, Adventa, ItaliaLab, Cerignola Produce - agenzia comunale per lo Sviluppo del Territorio e L’Agorà, con la partecipazione speciale del Consorzio di tutela oliva da mensa Dop La Bella della Daunia - Varietà Bella di Cerignola, con il patrocinio di Regione Puglia e Symbola – il sindaco Franco Metta ha dichiarato: «Abbiamo creduto da subito nelle potenzialità di questa manifestazione che valorizza le nostre eccellenze. Stiamo lavorando affinché iniziative di questo tipo, che promuovono Cerignola dal punto di vista turistico, siano sempre più numerose perché vogliamo davvero creare una nuova immagine percepita della nostra città». Durante la tre giorni è stato possibile scoprire le eccellenze del territorio legate alla «Bella», dalla gastronomia all’artigianato. Sono state quaranta le casette suddivise tra food, wine e artigiani, con i produttori della Bella della Daunia ma anche dell’oliva ascolana. Oltre le cantine provenienti da tutta la Puglia, suddivise in dieci stand. E poi oggettistica, tessuti, gioielli, creazioni in ceramica e prodotti cosmetici ispirati a «La Bella». All’evento è stato presente anche Fare Ambiente – Movimento Ecologista europeo che si occupa di educazione ambientale e sensibilizzazione alla raccolta differenziata.

di riscatto dovuta soprattutto ad una maggiore fiducia nei nostri paesi. Il modo di vivere si distingue dalle grandi città. Teniamoci strette le nostre piccole preziosità. I nostri costumi, le tradizioni, la voce dei nostri anziani, la purezza dell’aria, le nostre erbe odorose e i prati estesi e colorati e le maggesi brune. I nostri prodotti, il nostro cibo. la capacità di accogliere con generosità, la bellezza non appariscente dei nostri borghi. Continuiamo a custodire con orgoglio la comunità dei nostri avi perché sviluppo non significa solo consumo. Tornando più strettamente al romanzo

13 come non guardare i personaggi con particolare attenzione… Sono tanti, diversi per età, stato sociale, personalità e in modo corale entrano nella vicenda raccontando la vita di Collefiorito così vicino alla nostra sensibilità e alla nostra esperienza, ma con riferimenti ad importanti città italiane e a regioni del Nord - Europa. L’autrice ha mostrato di conoscere bene l’animo umano ed ha indagato nel profondo del loro cuore: penso ai personaggi femminili, alcuni tragici come Viola e Cristina per i terribili intrecci familiari; a Giuseppina con la sua storia di servitù e dedizione per la famiglia che l’ha presa a servizio da giovinetta ed ora ne è parte integrante soprattutto per la signora Mariolina. E senza nulla chiedere e nulla aspettarsi. Si è sposata sapendo di non essere amata, sacrificandosi per il bene, anche economico della famiglia, salvando le proprietà del marito da un rovinoso fallimento. Ha nascosto in fondo al suo cuore ogni sentimento, ogni dolore e, quando per un attimo sono prepotentemente affiorati ha scelto di restare la Mariolina di sempre. Troppo tardi per l’uomo dal cuore triste, Don Remigio. Questo Collefiorito di Lidia Valerio è un romanzo avvincente, vivo, dal linguaggio nitido, molto curato, a volte ricercato, lontano dalle mode linguistiche e rispettoso delle origini della nostra lingua. Antonia Torchella


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Cronache della cultura

Pubblicato dalle Edizioni del Rosone e presentato a Biccari

Luci e colori dei Monti Dauni catalogo di opere di Deni Silvestre

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’autore, originario di Biccari, è molto legato alla sua terra e lo dimostra con opere che ritraggono angoli caratteristici, con masse ben definite che si stagliano nello spazio e con edifici solidi che rivendicano una solennità rustica che tuttavia sfida il tempo. Ecco gli “Abbaini”. Un impasto coloristico efficace rivela una fuga di tetti con diverso orientamento, ricoperti di preziosi embrici di copertura di cui stiamo perdendo le tracce. Osserviamo la semplicità della modestia e ci viene spontaneo pensare ai tetti squallidi dei nostri condomini, ridotti a depositi di serbatoi e “arricchiti” da una fitta fungaia o meglio da una foresta, con i “rami” di antenne e parabole televisive orientate per ogni dove a caccia dell’ultimo segnale. Sono i “giardini pensili” che decorano il nostro paesaggio urbano. Ma qual è il tempo che queste opere raccontano? È un tempo sospeso, legato a un passato indefinito. Vi si respira un senso di immanenza, come in attesa di qualcosa che potrebbe accadere, ma non accade. L’atmosfera è coerentemente resa con colori non aggressivi che sfumano gradualmente nelle varie tonalità. L’elemento dominante è il cielo terso, di un colore blu cobalto intenso, che definisce i profili degli edifici, i tetti, la prospettiva lontana delle strade. È il nostro cielo mediterraneo, che in altre contrade, pure italiane, stentano a riconoscere come autentico, perché ignorano il colore e il calore del nostro sole e non sanno cosa voglia dire “frescura”, così come la vediamo mirabilmente riprodotta in due tavole. Il sole ha dardeggiato implacabile, ma ora il gioco dei muri ravvicinati genera un’ombra solida, palpabile, che concede una tregua, un momento di pausa nella calura estiva. È anche il tempo della “Controra”, un’espressione linguistica tipicamente meridionale, che definisce l’atmosfera sonnolenta che si respira nei pomeriggi estivi, efficacemente raccontati dal poeta Mallarmé e tradotta in musica da Debussy: “Preludio al pomeriggio di un fauno” (Prélude à l’après-midi d’un faune). In quest’opera c’è soltanto una stradina che si inerpica lentamente fino a una breve scalinata sovrastata da un arco. Non c’è presenza umana; sono tutti rintanati al fresco delle proprie case, in attesa che trascorrano le ore più calde della giornata. Emigrazione e solitudine La solitudine si respira ne “Il vicolo” e “Ascoltando il silenzio”, dove il gioco delle scale, variamente dimensionate e orientate, richiama quello ancora più complesso di alcune grafiche di Cornelius Mauritius Escher. I rimandi, però, si riducono alle scale, perché il significato è diverso. L’artista olandese presenta sulle scale anche figure umane in un contesto di smarrimento generale, scaturito da una organizzazione tecnologica che disorienta l’uomo e lo assimila a oggetto

Il postino passerà - Olio su tela -

inconsapevole dell’ingranaggio. Anche le scale di Silvestre non portano da nessuna parte, perché, pur approdando a un uscio, non rivelano presenza umana e sono soltanto testimonianza di silenzio. Nel nostro tempo, affannato e frettoloso, il silenzio è vagheggiato come momento di riposo, che spalanca le porte alla pratica rigeneratrice dell’otium latino, alla riflessione, all’introspezione, realizzando quella che Dietrich Bonhoeffer definiva la potenza della chiarificazione e della purificazione. Nel nostro caso, invece, il silenzio è rivelatore di solitudine, di abbandono; situazione resa con maggiore evidenza in “Solitudine pannese“, “Emigrazione” e “Emigrazione a Panni”. Chi scrive è nativo di Panni e può ancor più apprezzare queste opere con cui Denì denuncia i guasti dell’emigrazione che sta spopolando i Monti Dauni, trasformandoli in “paesi di pietra”, secondo una felice sintetica espressione coniata qualche anno fa in occasione di una mostra a Panni di opere grafiche dell’artista Luca Muscio. Quando le strade non sono deserte, le figure umane rappresentate sono soltanto di anziani. In “Solitudine 1995” sono seduti in tre sulla stessa panchina, ma non c’è traccia di dialogo, anzi sono disposti spalla a spalla, senza che neppure gli sguardi possano incrociarsi. Più oltre c’è una mesta figura su un’altra panchina. A capo chino, sembra meditare sulla stessa condizione di solitudine, con gli anni che passano senza alcuna prospettiva. Questa condizione è accentuata dagli alberi spogli che parlano di autunno, in sintonia perfetta con l’autunno della vita rappresentato dai personaggi. Non c’è prospettiva, dicevamo; c’è solo il presente rischiarato dalla pavimentazione geometrica, su cui incombe uno sfondo scuro che non lascia scampo. Il tema autunnale è declinato anche in “Autunno”, dove un’imponente figura umana è inquadrata di spalle, con stivali ed è avvolta in un grande pastrano. Reca sulle spalle una fascina di legna che servirà per l’incipiente inverno, ma per ora c’è da sopportare il peso che

sbilancia la figura facendola avanzare con fatica verso il paese. Ci parla della difficoltà della vita, affrontata stoicamente nella solitudine e nel silenzio, come per distillare anche l’ultimo palpito di vita. Ci sovviene la storiella di una vecchina, curvata dagli anni, che porta sulle spalle una fascina di legna. È stremata. Lascia cadere a terra la fascina e in un momento di sconforto giunge a invocare la morte che finalmente la liberi da una vita inutile e faticosa. Prodigiosamente le compare la morte con tanto di falce. “Eccomi qua, cosa ti serve?”. La vecchina, sorpresa dall’improvvisa apparizione, ha una reazione coraggiosa: “No, nulla. Cerco solo qualcuno che mi aiuti a caricarmi la legna sulle spalle!”. Ne “Il postino passerà” torna in maniera struggente il tema dell’emigrazione e della solitudine. Una rampa di scale si apre alla base, restringendosi poi sul fondo sotto gli archi, ma l’attenzione è catturata da un anziano in basso a destra. Pantaloni scuri, mani in tasca, camicia rossa come la coppola, busto proteso in avanti incurvato dagli anni, sguardo vigile. È lì, sul ciglio della strada, e attende il postino che gli porti notizie dei suoi figli lontani. Ha atteso inutilmente negli altri giorni, ma lui è sempre lì e aspetta fiducioso. Il postino passerà, un titolo pregnante. La speranza È questa la situazione dei Monti Dauni. I nostri avi hanno realizzato strade e case. Provetti scalpellini hanno arricchito gli architrave con fregi e decorazioni davvero apprezzabili, ma ora tutto rischia di essere vanificato. Per fortuna ora si sta riscoprendo il valore culturale e sociale dei piccoli centri montani, ed è in atto un processo di recupero che apre il cuore alla speranza. Questo catalogo lo testimonia con “Speranze”, olio su tela in cui su uno sfondo monocromo grigio-verde si

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muovono in formazione dieci gabbiani, con le ali variamente dispiegate. Vogliamo sperare, con Denì, che il volo dei gabbiani sia il volo dei nostri giovani che, dopo aver maturato altrove esperienze e acquisito conoscenze, tornino nei luoghi d’origine per rigenerarli con un soffio di vitalità e invertire la tendenza allo spopolamento. Speranza? Illusione? Sogno? Forse, ma ci conforta la citazione di Cicerone riportata dallo stesso Denì nel catalogo: Nihil est magnum somnianti, “Niente è straordinario a coloro che sognano”. E ci incoraggia anche il poeta Mario Luzi, quando auspica che il bulbo della speranza non muoia: Il bulbo della speranza occultato sotto il suolo, ingombro di macerie, non muoia, in attesa di fiorire alla prima primavera. Ma occorre che tutti, istituzioni, associazioni e singoli cittadini si ridestino. “La speranza – osservava Aristotele – è un sogno fatto da svegli”. Vito Procaccini

Solitudine 1995 - Olio su tela -

Un progetto che cambierà il volto della Biblioteca di Foggia

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La Magna Capitana Community Library per il rilancio del patrimonio culturale

opo un lungo periodo di difficoltà, legate alla fase di transizione voluta dal Piano di Riordino delle Province, la Biblioteca «La Magna Capitana» di Foggia – salvata grazie all’intervento della Regione Puglia che ad agosto 2016 ha regionalizzato tutti i dipendenti, evitando la dispersione di competenze e professionalità – si appresta ad iniziare una nuova stagione, per offrire servizi sempre più qualificati al territorio. Nella Sala della Ruota di Palazzo Dogana, storica sede della Provincia di Foggia, il Presidente Francesco Miglio ha, infatti, condiviso con la cittadinanza il progetto «La Magna Capitana Community Library». La Provincia di Foggia, infatti, ha voluto cogliere l’opportunità offerta dalla Regione Puglia, concorrendo all’Avviso Pubblico Smart-IN, ovvero la strategia regionale per il rilancio del patrimonio culturale, che punta a garantire la valorizzazione, la fruizione e il restauro dei beni culturali di Puglia. Una delle quattro macro aree di questo progetto è dedicata proprio alle Community Library, cioè alle biblioteche di comunità, luoghi di aggregazione e innovazione, per diffondere conoscenza e promuovere la lettura. «Ci è apparso doveroso – ha commentato il presidente Miglio – contribuire al rilancio di una delle strutture simbolo della Capitanata, fiore all’occhiello del nostro territorio, che ha sempre più bisogno di cultura e di luoghi di socializzazione e di scambio, La tu@ Biblioteca è il titolo che abbiamo voluto dare a questo appuntamento con la cittadinanza, perché racchiude in sé le caratteristiche principali del nostro progetto: una biblioteca sempre più vicina ai bisogni degli utenti, con il potenziamento dei servizi alla comunità, in particolare a nuove fasce d’utenza e al variegato mondo delle associazioni, cui sarà dedicato un intero settore». Titolo completo dell’Avviso Pubblico è Smart-In – Community Library Biblioteche di Comunità: essenza di territorio, innovazione, comprensione nel segno del libro e della conoscenza POR 2014/2020 – Azione 6.7


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Francesco Giuliani per le Edizioni del Rosone

per investire tutto il mondo fantastico di Verga, e tutta la sua ideologia; direi tutta la «Welthanschaunng» dello scrittore siciliano. Molto importante, a questo proposito, risulta tutto il capitolo VII, Il retroscena della religione (pp.149-164), dove Giuliani distingue Verga «scrittore» dal Verga «uomo», e sostiene che mentre nello scrittore opera una totale «dissacrazione» del mondo religioso, della Chiesa e delle figure di religiosi, nell’«uomo» Verga è possibile rintracciare, seguendo un’indicazione di Giuseppe Savoca, «una interiorità di fede raramente esplicita, ma non per questo meno radicata e sentita» (p. 163).

Rilettura accurata e approfondita dell’ultimo ciclo di novelle di Verga

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una rilettura accurata e approfondita dell’ultimo ciclo di novelle scritte da Verga, di cui Giuliani non nasconde i limiti e i difetti («non si tratta di un libro sereno – leggiamo nelle prime righe dell’Introduzione, a p. 7 – né fiaccamente rassegnato al negativo, ma ricco di note aspre e stonate, di storture e invettive, di ritrattazioni e controcanti, che coinvolgono in un’unica ed insidiosa spirale retrospettiva l’intera produzione verghiana»). Giuliani parte dallo studio del titolo della raccolta e dai giudizi dei critici, italiani e stranieri (pp 26-sgg), su queste novelle. I personaggi, maggiori e minori, che popolano queste novelle, sono studiati sia singolarmente, sia «per categorie» (interessante ad es. quanto si dice degli osti, alle pp. 60-62). Spiccano fra tutte, le pagine che affrontano il problema religioso e della vocazione (pp. 240-245), e quelle che studiano le metafore tratte dal mondo animale (pp. 215- 218). Il critico sa, ed è questo che ci interessa, riconoscere le pagine più vive e artisticamente riuscite del ciclo narrativo (ad es. p. 75). Ne Il tramonto di Venere Giuliani riconosce una certa peculiarità, perché «il linguaggio melodrammatico, come quello mitologico, viene utilizzato in funzione dissacratoria, pur non essendo una diretta proiezione dei personaggi»

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Scrittori e libri di Puglia

(p. 133). In Epopea spicciola (di cui segue la complessa vicenda compositiva) il critico evidenzia le parti più riuscite, e specialmente il grande finale: «è un’immagine che non sposta il giudizio politicamente corretto sul mercenario, che ha militato dalla parte sbagliata senza essere neppure napoletano, ma che arricchisce la pagina con una nota di commossa poesia» (p. 263). Nella raccolta di novelle Giuliani isola e riconosce alcuni temi ricorrenti; e fra questi, accanto al tema della maschera («non si tratta più», leggiamo a p. 24, «di un semplice pezzo di stoffa che nasconde il viso, né di una momentanea finzione, visto che la maschera smarrisce la sua specifica identità, universalizzandosi. Inoltre, essa non è più appannaggio delle classi nobiliari ed alto-borghesi, che dominano i romanzi giovanili, ma di tutti gli strati della piramide sociale, dal popolano in su») il tema drammatico del «puparo». Il quale puparo, dopo aver comandato a suo piacimento uomini e pupi, viene accantonato come un ferro vecchio e inservibile. E questo ultimo tema è evidenziato soprattutto nel paragrafo intitolato Il filo della ballerina (pp. 145-sgg), in cui Giuliani propone di leggere Il tramonto di Venere in una chiave per cui «la storia della protagonista si snoda parallelamente a quella

di don Candeloro, dall’illusione della divinità fino all’inarrestabile declino, dal dominio della scena, destando l’ammirazione di tanta gente, al fallimento» (p. 145); è sempre insomma il dramma «dell’uomo che pensa di poter dominare la realtà e invece diventa un oggetto nelle sue mani» (ibid.). L’analisi di Giuliani non si limita all’ultimo ciclo di novelle, ma finisce

Antonio Carrannante Da: La Rassegna della Letteratura Italiana Le Lettere/Firenze Gennaio -Giugno 2017 Francesco Giuliani, L’approdo della finzione. Lettura delle novelle del «Don Candeloro e C.i» di Verga, Edizioni del Rosone, Foggia, 2015, pp. 312.

Impegno di Urbano Giulio Pignatiello e il figlio Enzo Pio

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Troia: memorie di pietra e memorie di carta

roia: Memorie di pietra e Memorie di carta è un’opera in due volumi realizzata con i tipi delle edizioni Pioda Imaging di Roma. Raccoglie una ricca serie di testimonianze delle vicende storiche e della cultura troiana in un lunghissimo periodo che va dall’epoca romana e dall’Alto Medioevo alle soglie dell’età moderna. Una ricerca, nata grazie all’impegno decennale dell’Ing. Urbano Giulio Pignatiello e di suo figlio Enzo Pio, dottore in scienze dei Beni Culturali, due concittadini innamorati della loro terra. Si tratta di un vero e proprio catalogo che illustra diversi aspetti archeologici, storici e toponomastici della città di Troia e delle sue origini. Il primo volume è imperniato sull’analisi e la schedatura di molti reperti conservati nel Museo Civico, delle epigrafi e iscrizioni latine e delle decorazioni degli antichi palazzi e delle antiche chiese, insomma su tutti i possibili «segni minimi» del periodo più splendido della storia troiana, dal periodo Normanno al 1500 ed oltre, quando architetti, artigiani, scalpellini e lapicidi, al servizio del potere episcopale e delle ricche famiglie di nobiltà terriera, avevano edificato splendide testimonianze di arte sacra e civile. Un nucleo di grande interesse è costituito dalle segnalazioni di resti scultorei e testimonianze di chiese ed edifici ormai distrutti, come le chiese di S. Croce e dell’Annunziata, o come la torre civica ed il castello, demoliti nel Novecento, e tra i più gravi colpi inferti al patrimonio artistico della città, di cui, nei volumi che andiamo a presentare, purtroppo non mancano tracce. Tra le curiosità ci sono poi una serie di epigrafi di età tardo-medievale e moderna. Alcune, per la difficile interpretazione, sono state centro di vivaci ‘battaglie’ filologiche tra gli studiosi, e aprono un inedito squarcio della nostra ‘storia minore’. Il secondo volume offre, invece, un’ampia collezione di materiale per lo più inedito, tra cui cartoline e fotografie d’antan, documenti e curiosità storiche, selezionato e disposto accuratamente in modo da rintracciare un percorso ideale che si snoda davanti agli occhi di chi legge, a partire dal centro storico, per giungere sino alle contrade di campagna limitrofe. Non manca, accanto alla sezione dedicata ai vecchi ricordi, una parte riservata agli scatti più recenti, che raccolgono le immagini della città come si è evoluta negli ultimi anni. Scopo della ricerca è quello di riproporre il cammino di Troia attraverso il tempo e lo spazio, lungo tutti i cambiamenti dell’assetto urbano, nel ripercorrere le prospettive di vie, corsi e piazze, viste nel loro sviluppo urbanistico, dagli inizi del Novecento agli anni che precedettero la Seconda Guerra Mondiale, e quindi nel dopoguerra. Le cartoline rendono anche l’atmosfera della vita troiana agli inizi del secolo, quando, per le strade in terra battuta e per i selciati, sfilavano le carrozze guidate dai cocchieri e le prime rare automobili d’epoca. Oggi le stesse vie sono lastricate di asfalto, e solo qualche vicoletto del centro storico ha conservato il basolato originale, e sugli angoli delle case si vedono ancora i vecchi lampioni ad olio di ferro battuto, che si è arrugginito alle intemperie, ma che rimane a testimoniare un illustre passato. Con le immagini un po’ sbiadite di fotografie ingiallite venute fuori da vecchi album dei ricordi o da libri polverosi dove erano state dimenticate, il volume Memorie di carta racconta la storia di una cittadina di provincia, laboriosa e saggia, dove si viveva, all’ombra della maestosa Cattedrale romanica, semplicemente, senza sussulti, e, diremmo oggi, quasi con monotonia. In definitiva un bel catalogo, un’affascinante carrellata sul più semplice e potente dei «micro-audiovisivi», le cartoline d’epoca, testimonianze preziose di eventi sociali, culturali e di costume che hanno segnato lo sviluppo del nostro paese.


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Attività della Pinacoteca Provinciale di Bari Mostra «Sandro Chia e i guerrieri di Xi’an’an

visione rappresentativa del complesso e poetico mondo immaginativo di Chia.

naugurata presso la Pinacoteca Provinciale di Bari la mostra Sandro Chia e i guerrieri di Xi’an’an, a cura di Clara Gelao ed Enzo Di Martino. La mostra documenta un particolare momento della ricerca espressiva di uno dei più significativi protagonisti dell’arte contemporanea, Sandro Chia (Firenze 1946), apparso sulla scena internazionale alla Biennale di Venezia del 1980 con il gruppo dei cinque artisti della Transavanguardia. Da allora la sua opera è stata esposta nelle più importanti rassegne internazionali d’arte e in prestigiosi musei, quali il Metropolitan Museum di New York. L’esposizione è incentrata sugli antichi Guerrieri di Xi’an (210 a.C.), ritrovati in Cina nel 1974, di cui il Governo cinese ha realizzato un limitato numero di copie in terracotta. In Pinacoteca sono esposti nove grandi Guerrieri, un Cavallo e sette piccole Teste, sui quali Chia ha deposto il suo gesto pittorico. L’artista fiorentino è stato infatti definito “nomade e disinibito” per la capacità di alimentare il suo mondo creativo attingendo a fonti diverse e pervenendo ad una personale cifra formale. Un gruppo di sedici monotipi e dieci tecniche miste completano la rassegna. Ne risulta una mostra affascinante, che intende consegnare ai visitatori una

Giornata del Contemporaneo

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L’Associazione Musei d’Arte Contemporanea Italiani, ha promosso lo scorso 14 ottobre la tredicesima Giornata del Contemporaneo, grande manifestazione organizzata ogni anno per portare l’arte del nostro tempo al grande pubblico. Per tutta la Giornata del Contemporaneo ingresso gratuito con l’esposizione di due dipinti realizzati dall’artista Carlo Mattioli (Modena 1911 – Parma 1994), “Paesaggio 1980” e “Paesaggio nero”, acquistati dalla Pinacoteca nel 1980. Carlo Mattioli si forma presso l’Istituto d’Arte di Parma ed inizia la sua attività artistica, con modi che si rifanno all’esperienza di Giorgio Morandi. La prima importante uscita pubblica risale al 1940 alla Biennale di Venezia, ove viene invitato in numerose edizioni successive, ottenendo premi e riconoscimenti importanti. Nel 1943 si tiene a Firenze, per interessamento di Ottone Rosai, la sua prima mostra personale. Gli anni Quaranta e Cinquanta sono caratterizzati da una produzione pregna di un suggestivo tonalismo figurativo. Gli anni Sessanta sono gli anni della sua piena affermazione presso il grande pubblico. Nel 1970 viene allestita a Parma la prima mostra antologica delle sue opere, portata l’anno dopo a Carrara.

Il prof. Saverio Russo ai vertici della delegazione FAI di Foggia

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ambio al vertice della Delegazione FAI di Foggia. A presiedere le attività della rappresentanza territoriale sarà il prof. Saverio Russo, nominato Capo Delegazione di Foggia dal presidente regionale del FAI Puglia Dino Borri. Russo subentra a Nico Palatella che, dopo aver contribuito a portare 11 anni fa il FAI a Foggia, assieme a Marialuisa d’Ippolito (attuale vice presidente regionale del Fondo Ambiente), ha guidato la Delegazione foggiana negli ultimi tre anni. Ad affiancare il prof. Russo, con il ruolo di Vice Capo Delegazione, sarà la dott.ssa Gloria Fazia, già direttrice del Museo Civico di Foggia.

Nato a Margherita di Savoia nel 1954, Saverio Russo è stato allievo – poi anche borsista e ricercatore – della Scuola Normale Superiore di Pisa. Ha insegnato Storia agraria moderna e Storia moderna presso L’Università di Bari. Dal 2001, si è trasferito alla Facoltà di Lettere dell’Università di Foggia e, dal 2004, è professore ordinario di Storia moderna. Nell’Ateneo foggiano ha ricoperto importanti incarichi. Insegna attualmente Storia moderna e Storia della storiografia dell’età moderna presso il Dipartimento di studi umanistici e, dal 2017, anche Storia dell’alimentazione presso il Dipartimento di agraria. Autore di numerosi saggi e monografie sulla storia della Puglia e del Mezzogiorno tra Sette e Ottocento, si occupa di storia economica e sociale, di storia del paesaggio, dell’ambiente e del territorio, di politiche di tutela e valorizzazione dei beni culturali. È stato componente del direttivo nazionale della Società italiana per lo studio dell’età moderna. Dal 2000 fa parte della direzione della rivista “Società e storia” ed è condirettore della collana di studi storici “Mediterranea” edita a Bari da Edipuglia. È stato progettista e responsabile scientifico del Museo del Territorio di Foggia, consulente per Il

Piano territoriale di coordinamento della provincia di Foggia e componente del comitato scientifico del piano paesaggistico della Puglia. È ispettore archivistico onorario per la Puglia. È stato insignito del premio Montalcino 2012 sulla storia della civiltà contadina.

il Rosone

Periodico pugliese di cultura e informazioni

Componente dell’organo di indirizzo della Fondazione Banca del Monte di Foggia dal novembre 2004 fino ad aprile 2009, ha fatto parte del Consiglio di Amministrazione dal 2009 al 2013 e ne è stato presidente dal maggio 2013 fino ad aprile 2017.

Le Edizioni del Rosone a BookCity

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i svolgerà a Milano, dal 16 al 19 novembre, l’edizione 2017 di BookCity. Saranno promossi incontri, presentazioni, dialoghi, letture ad alta voce, mostre, spettacoli, seminari sulle nuove pratiche di lettura, a partire da libri antichi, nuovi e nuovissimi, dalle raccolte e biblioteche storiche pubbliche e private, dalle pratiche della lettura come evento individuale, ma anche collettivo. Alla prestigiosa manifestazione saranno presenti anche le Edizioni del Rosone con alcuni dei loro autori e pubblicazioni. Il 17 novembre, alle ore 17,00, all’in-

terno del tema La forza rigenerativa della musica, a Casa Verdi in Piazza Buonarroti 29, Raffaele Cera presenterà il suo romanzo La particella di Bach. Alle ore 18,00, presso la Libreria Paoline in via Francesco Albani, per L’uomo, il mare e la narrativa Andrea Prudente proporrà Dal mare all’amore. Il 18 novembre, alle ore 11,30, per Narrazioni turbo-lente, parole stravaganti, presso Scuola Philo di Via G. B. Piranesi 12, Antonia Chiara Scardicchio e Andrea Prandin presenteranno Parole Disarmate. Ricerche estetiche, didattiche narrative Alle ore 15,30, nella Biblioteca Tibaldi, per La Divina Commedia di Dante Sticker, Trifone Gargano e Francesca De Simone illustreranno La Divina Commedia di Dante – Stickers. Infine, alle ore 18,00, per il tema La dimensione sociale della cooperazione educativa, nella Libreria Paoline di via Francesco Albani 21, Rinaldo Rizzi presenterà Pedagogia popolare.

«Io sono Gargano» per valorizzare le eccellenze del territorio

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i è tenuto a Manfredonia presso Palazzo dei Celestini, l’evento culturale «Io sono Gargano» di cui la Città di San Severo, insieme ad altri 19 comuni della Provincia di Foggia è risultata vincitrice di un bando MIBACT per gli «Interventi per la valorizzazione delle aree di attrazione cultuale». Il bando finanziato con risorse europee provenienti dal Piano di Azione e Coesione del MiBACT 20072013, sosterrà i costi delle progettazioni nell’ambito di iniziative integrate di scala territoriale e locale orientati alla valorizzazione culturale. «Si tratta di una iniziativa – ha dichiarato l’Assessore alla Cultura, Celeste Iacovino – in grado di dar vita a percorsi culturali, enogastronomici, museali, artigianali, naturalistici ed a manifestazioni culturali locali di valorizzazione delle nostre tradizioni e delle eccellenti qualità patrimoniali. Desideriamo invitare all’evento di Manfredonia tutti gli operatori del settore quale quello alberghiero, dei trasporti, dei produttori tipici che insieme alle associazioni ed alle imprese culturali e creative vivono per il turismo e la cultura del nostro territorio». Il finanziamento del bando per i 20 Comuni è di complessivi 300.000 euro. L’unione dei Comuni, dell’ambito Gargano e della Figura Mosaico San Severo, oltre a San Severo ed a Manfredonia, città capofila, comprende anche Apricena, Cagnano Varano, Carpino, Ischitella, Isole Tremiti, Lesina, Mattinata, Monte Sant’Angelo,

Peschici, Poggio Imperiale, Rignano Garganico, Rodi Garganico, San Giovanni Rotondo, San Marco in Lamis, San Nicandro Garganico, Serracapriola Vico del Gargano e Vieste. «Il progetto strategico integrato “Io sono Gargano” – dichiara il sindaco Francesco Miglio – abbina la valorizzazione culturale ai talenti della nostra terra. Abbiamo un obiettivo ambizioso: sviluppare, comunicare e sostenere una nuova cultura del territorio e del paesaggio, nel tentativo di promuovere le risorse umane e produttive e implementare nuove forme di gestione delle organizzazioni culturali e creative quali luoghi della contemporaneità e fonti dell’innovazione». Per il Comune di San Severo il coordinatore del Progetto è l’architetto Fabio Mucilli, che ha collaborato con i coordinatori degli altri comuni e con i progettisti per la stesura dello stesso.


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