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ANNO XXVIII

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2016 Una copia € 2,00 Sped. in abb. post. 50%

FONDATO DA FRANCO MARASCA

Boockcity Milano 2016

Il presepe occasione di unione e vicinanza in un mondo sempre più diviso

Le Edizioni del Rosone presenti con tre opere di successo A

La «natività mistica» di Botticelli

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nche il 2016 sta per finire. Anche il 2016 si prepara a festeggiare il Natale. In questi giorni stiamo riprendendo dagli scatoloni presepi di ogni tipo che allestiamo nelle nostre case. Ci indaffariamo, costruiamo, accendiamo luci, ci commuoviamo pure, ma il nostro elaborato, attenzione, a volte rischia di rimanere qualcosa di altro da noi. A Greccio, quella volta, non c’erano statuine. C’erano solo un asino e un bue, di quelli che davvero ragliano e muggiscono, ai piedi di una mangiatoia. C’erano persone in carne e ossa, uomini e donne, bambini e ragazzi dei villaggi vicini e della campagna circostante. Ma non erano in un «presepio vivente», né in una sacra rappresentazione. A Greccio era in scena la vita. Francesco l’aveva capito bene: non c’è Natale se mancano uomini e donne «veri». Un tempo, quando il Natale non era una festa consumistica, la tradizione del presepe entrava nelle case e suggellava un’atmosfera di attesa che univa le famiglie. Poche cose bastavano per rispettare la tradizione, per raccontare l’incanto della santa notte. Una volta la festa cominciava quando si dava vita a quella finzione scenica che consente di entrare nel mistero del Natale. Ogni anno era un’emozione: unita da semplici gesti, la famiglia si incontrava in quel rito. Non è tutto finito: ancora oggi molti nonni, tanti papà e mamme, al di là dello scintillio di strade e negozi, spiegano ai giovani il significato profondo della festa che chiude l’anno. Insieme dinanzi alla Santa Famiglia, si svolge un incontro tra generazioni che può far diventare il presepe, tradizione del passato, profezia di futuro. Una famiglia che si unisce nel fare il presepe, lancia una sfida a un mondo diviso, a un mondo che vive il presente con angoscia e pensa al futuro con paura. Una sfida che «non potremo vincere se non insieme», cercando insieme i valori universali contenuti nelle varie civiltà, che sono fondamentalmente quelli della pace, della giustizia, della solidarietà e della libertà. Costituiscono, questi valori, un patrimonio comune di fedi e convinzioni diverse, un patrimonio che fa superare molti pregiudizi e che nello stesso tempo suppone che ognuno sappia essere pienamente se stesso, non rinunci ma valorizzi e sia in grado di offrire i contenuti del proprio patrimonio culturale perché gli altri possano avvantaggiarsene. È uno scambio di doni che il Natale ci ricorda. Falina Martino

nche le Edizioni del Rosone hanno partecipato all’edizione 2016 dei Bookcity Milano con la presentazione di alcune delle più prestigiose opere pubblicate di recente. Il 17 novembre, presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca, è stato presentato il libro Per una pedagogia della vita. Cèlestin Freinet: ieri e oggi a cura di Alain Goussot. Sono intervenuti: Elisabetta Nigris, presidente del corso di laurea in Scienze della Formazione primaria, Università Bicocca – Milano; Roberta Garbo, delegato di ateneo per la disabilità - Università Bicocca – Milano; Fabio Bocci, professore associato di Pedagogia e didattica speciale, Dipartimento di Scienze della formazione - Università di Roma Tre; Giancarlo Cavinato, segretario nazionale Movimento di Cooperazione Educativa Clarissa Romani, referente Movimento di Cooperazione Educativa Lombardia. Il 17 novembre è stato presentato, presso la Casa Fondazione Giuseppe Verdi, Caro Umberto. A Giordano foggiano illustre cittadino del mondo di Gabriella Laura Del Vecchio. Sono intervenuti: l’autrice, musicista e docente; Nandi Ostali, responsabile Edizioni Sonzogno; Giovanna Lomazzi, vicepresidente As.Li. Co.; Massimiliano Guerrieri, presidente Insieme per la Lirica. Il 19 novembre è stata la volta della silloge poetica Con la prossima luna di

Giusi Fontana, presentato presso la libreria delle Paoline di via Francesco Albani. Sono intervenuti: l’autrice Giusi Fontana; Antonio Pitta, docente presso la Pontificia Università Lateranense; Pado, chitarrista. Anche l’edizione 2016 di Bookcity Milano si è confermata un grande appuntamento dedicato al libro e alla lettura, apprezzato per la qualità e la varietà delle proposte, che coinvolge l’intera filiera di editori grandi e piccoli, librai, bibliotecari, autori, agenti letterari, traduttori, grafici, illustratori, blogger, fino a lettori, scuole di scrittura, associazioni e gruppi di lettura, il mondo delle scuole e dell’università. Una manifestazione diffusa, una promozione capillare della lettura e della scrittura che è stata premiata dalla straordinaria partecipazione di un pubblico ancora in crescita, più di 160.000 persone, che ha seguito con interesse ed entusiasmo gli eventi e gli incontri in oltre 250 spazi della città e dell’area metropolitana, dando così la possibilità di interpretare la città con occhi nuovi, leggendola come un libro. Tra i dati interessanti di Bookcity Milano 2016: oltre 1.000 eventi, più di 1.700 ospiti, 260 sedi (in tutti i quartieri di Milano e della Città Metropolitana), più di 200 case editrici coinvolte, oltre 250 scuole, 1300 classi, 165 progetti didattici proposti alle scuole, 99 incontri alle Università. Marida Marasca


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AttuAlità & Commenti

Anno XXVIII - n. 4 Dicembre 2016

Sesta edizione degli incontri su Lucera barocca

i è svolta all’insegna della riflessione «conoscere il passato serve a costruire il futuro», la sesta edizione del ciclo di incontri Lucera Barocca. Itinerari artistici in Capitanata organizzata dal Club per l’UNESCO di Lucera. Tre gli appuntamenti che hanno caratterizzato il tradizionale momento di conoscenza e comprensione del linguaggio artistico barocco, svoltosi quest’anno al Circolo Unione e nella chiesa di San Domenico della città sveva. Il 18 novembre l’architetto Cinzia Nardelli ha aperto i lavori con una relazione sui segni distintivi dell’epoca in esame: La geometria delle curve nell’architettura barocca. Nella relazione la storica dell’arte si è soffermata, in particolar modo, sull’architettura del ‘600, caratterizzata da forme sinuose, modellate su quelle della natura, che giungono quasi a plasmare uno spazio animato, illustrandone le emozioni sensoriali e l’ideale fusione tra microcosmo e macrocosmo. Specializzata in Restauro dei Monumenti presso l’Università degli Studi «La Sapienza» di Roma, Cinzia Nardelli è autrice di numerosi interventi di recupero nella città e nella provincia di

Foggia, relatrice in numerosi convegni, docente nell’ambito di Progetti comunitari, autrice di diversi articoli su riviste specializzate nel settore del restauro monumentale e, dal 1988, docente di Storia dell’Arte nella Scuola Superiore di secondo grado. La seconda serata ha visto il prof. Vincenzo Rizzo, decano dei ricercatori presso l’Archivio storico del Banco di Napoli, parlare di un artista molto attivo nelle arti figurative anche in Capitanata: Francesco De Mura (Napoli, 1696-1782), definito dai suoi contemporanei «il primo dipintore oggidì in Napoli» (Placido Troyli) e «il migliore di tutti li dipintori, che presentemente sono in Napoli, nel quale concorrono le parti che avere deve un valent’uomo, per distinguersi sopra gli altri» (Luigi Vanvitelli). Allievo ed amico, per 25 anni, di Roberto Pane, del quale divenne presto collaboratore sulla rivista crociana Napoli Nobilissima, specialista delle Arti napoletane tra Sei e Settecento, autore di oltre 260 pubblicazioni scientifiche con le quali ha reso noti circa 20.000 documenti d’archivio, nonché di 100 voci sul «Dizionario Biografico degli Italiani» della Treccani e, tra que-

La scomparsa del dottor Gerardo Cela

Medico e uomo esemplare, impegnato nell’associazionismo cattolico

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scomparso lo scorso 9 ottobre, a Foggia, il dottor Gerardo Cela, galantuomo di vecchio stampo e protagonista discreto ma operoso della vita sociale dauna dagli anni del dopoguerra in poi. Cattolico impegnato, ha svolto con assoluto spirito di servizio un ruolo importante non soltanto nell’ambito della sua professione ma anche nell’associazionismo cattolico, ricoprendo incarichi di grande responsabilità. Il dottor Gerardo Cela, nato a Foggia da famiglia originaria di S. Agata di Puglia nel 1925, è stato per anni presidente diocesano dell’Azione cattolica, fondatore e presidente dell’Associazione medici cattolici della provincia di Foggia nonché consigliere nazionale di questo stesso organismo. Fin da giovane, come studente universitario, è stato animatore della FUCI, la Federazione Universitari Cattolici Italiani, avendo come compagni di percorso personalità del calibro di don Renato Luisi, Aldo Moro, Gaetano Caricato, Gustavo De Meo, Carlo Forcella, Pinuccio Garofalo, Franco Quarta, Gaetano Matrella, il primario ginecologo La Torretta, il professor De Filippis e tanti altri. Laureatosi in Medicina e Chirurgia, si è successivamente specializzato prima in Medicina del lavoro e successivamente in Igiene e poi in Bioetica. Per circa vent’anni ha lavorato presso l’INAIL ma poi, chiamato ad una scelta, ha preferito dedicarsi all’attività di

medico di famiglia. In questa che Gerardo Cela ha sempre considerato una vera e propria missione, al servizio della collettività, ha profuso tutte le sue energie professionali e umane instaurando con i pazienti un rapporto di fiducia che ha travalicato l’ambito strettamente medico. Al momento del suo pensionamento il dottor Gerardo Cela ha inviato una lettera di ringraziamento a ciascuno dei suoi 1.500 pazienti, continuando a mantenere con molti di essi un rapporto di fiducia, di consulenza e di amicizia. Il suo impegno per la diffusione dei principi della bioetica è stato continuo e determinato, sviluppatosi attraverso l’organizzazione e la partecipazione ai corsi organizzati dal Centro di bioetica «Padre Crispino De Flumeri» di cui è stato fondatore e presidente in carica al momento della morte. Ma anche come docente all’interno dell’UNITRE, Università delle Tre Età, di Foggia.

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ste, della voce dedicata a Francesco De Mura (vol. 38, anno 1990), il prof. Rizzo ha svolto una lezione su Francesco De Mura e i demuriani a Lucera. Fortuna di una inconfondibile poetica pittorica di importanza europea. Il 26 novembre ha concluso la sesta edizione della rassegna lucerina un concerto di musica barocca eseguito dal prof. Eugenio Picozza dal settecentesco organo a canne della cantoria lignea della chiesa lucerina di San Domenico, con arie di Girolamo Frescobaldi (1583-1643), Domenico Zipoli (1688-1728), Domenico Scarlatti (1685-1757), Arcangelo Corelli (1653-1713) e Johann Sebastian Bach (1685-1750. Avvocato e professore ordinario di Diritto amministrativo presso la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università Tor Vergata di Roma, il maestro Picozza, diplomato in pianoforte al Conservatorio di Perugia, tiene regolarmente concerti per scopi di beneficenza in duo con il

violino o in formazioni da camera. Ha inciso un disco di musica barocca con il violinista Renato Riccardo Bonaccioni, allievo di Uto Ughi, e scritto saggi di musicologia sui problemi della interpretazione, dell’estetica, dell’uso del metronomo e sulle scoperte della neuromusica. Finalità principale di questi incontri periodici è quella di «educare» attraverso l’arte, di intensificare il dialogo tra culture e di incrementare il rispetto delle diversità tra i popoli, elementi chiave all’interno della Carta delle Nazioni Unite e della Costituzione dell’UNESCO del 1945. A tal fine, il fenomeno «barocco» è emblematico di come, nell’ottica di una convivenza pacifica, tutti i linguaggi artistici ed architettonici devono godere di pari dignità culturale, poiché un’autentica cultura di pace si fonda sul rispetto non solo degli esseri umani, ma anche di culture, linguaggi e tradizioni artistiche diverse tra loro. All’interno di queste conoscenze, la Capitanata – provincia i cui esiti storico-artistici passano ancora sotto silenzio a motivo dalla grande fortuna del Romanico pugliese o del Barocco leccese – si sta imponendo nel panorama meridionale come una delle roccaforti della cultura barocca. Ciò pone in una nuova luce la civiltà della Puglia centro-settentrionale dei secoli XVII e XVIII e apre il nostro territorio a considerazioni artistiche di ampia risonanza, tese a contribuire al risveglio e alla rivalutazione di una forte identità culturale. Massimiliano Monaco

È stato anche docente, infine, presso la scuola Servizi Sociali di Foggia, iniziativa da lui fortemente voluta e sostenuta, almeno fino all’istituzione dell’Università. «Egli era buono e mite – ha detto il professor Costanzo Natale nel corso dei funerali svoltisi nella chiesa di Gesù e Maria – contenuto, comprensivo, sempre pronto all’ascolto e ad adoperarsi per tutti, con consigli e con opere. Ma era anche determinato, deciso, irremovibile quando bisognava realizzare un programma o un progetto che corrispondesse alle sue esigenze di cultura e di beneficenza. La sua fede lo ha portato a superare le sofferenze morali e fisiche che ha incontrato lungo il suo cammino». Don Fausto Parisi, dopo aver ricordato che il dottor Cela è stato medico personale di Monsignor Giuseppe Lenotti e di Monsignor Salvatore De

Giorgi, lo definisce «un importante personaggio che i cattolici foggiani conoscono bene». E lo conoscevo bene anche io che ho beneficiato della sua amicizia e stima e che di Gerardo Cela ho apprezzato la preparazione professionale, la coerenza nella fede, la pacatezza, la sconfinata disponibilità verso il prossimo, la modestia e la grande forza d’animo. Foggia e la Capitanata hanno perso un grande uomo e un grande medico al quale sarà bene che si cominci a pensare quale testimonianza tributare affinché il suo impegno civile venga trasmesso alle generazioni future con la dovuta efficacia e riconoscenza. Alla moglie professoressa Dolores De Giorgi e ai figli giungano i sentimenti di vicinanza da parte delle Edizioni del Rosone e di tutti i collaboratori. Duilio Paiano

Costruire il futuro attraverso la valorizzazione del passato

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Giornale di opinione della provincia di Foggia

Roberto Saviano all’Università di Foggia

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o scrittore Roberto Saviano è stato ospite, il 17 novembre scorso, dell’Università di Foggia insieme a due altre presenze d’eccezione, due altri ospiti che sono stati contattati e invitati alla presentazione direttamente da Saviano. L’autore del best seller mondiale Gomorra ha presentato al pubblico il nuovo romanzo dal titolo La paranza dei bambini ovvero l’ascesa al potere di dieci ragazzi napoletani i cui destini si intrecciano. Roberto Saviano è stato introdotto dal coordinatore del Festival della Ricerca e dell’Innovazione prof. Cristoforo Pomara e dal Rettore dell’Università di Foggia prof. Maurizio Ricci. La conversazione con il pubblico – composto da esponenti della comunità accademica, autorità e cittadini – ha affrontato più in generale anche la percezione della legalità in Italia, e segnatamente al Sud. «Da tempo aspettavo questo momento, abbiamo invitato Saviano mesi fa – spiega il Rettore – ma, per ragioni che hanno a che fare con il suo lavoro di scrittore e con la sua condizione di uomo sotto protezione, non è stato possibile accoglierlo prima. È stat una grande festa della legalità, della gente perbene che, anche grazie alla presenza dell’Università sul territorio, coltiva nuove speranze e nuovi stimoli per il futuro. Foggia e la Capitanata sono molto meglio di quello che riescono ad esprimere e di come vengo raccontate, l’Università deve contribuire a un processo di crescita per fare in modo che questa tendenza alla autoflagellazione si trasformi in energia positiva. L’incontro è servito anche a questo, ad attrarre verso l’Ateneo la popolazione civile che non si rassegna ai luoghi comuni più abusati».


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Provinciale

Giornale di opinione della provincia di Foggia

Ciao Ida, la tua solarità ce la porteremo dentro

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o scorso 29 ottobre la famiglia Marasca e le Edizioni del Rosone sono state colpite da un grave lutto: hanno perso Ida, figlia di Anastasio (fratello di Franco Marasca) e Teresa, sorella di Alessandra, moglie di Lorenzo, mamma di Gabriele e Simone, cugina e nipote adorata di zii e zie che l’hanno amata tanto e che continueranno a portarla nel cuore. Per lei le righe che seguono. Ida, siamo giunti alla fine dell’anno, un anno che ti ha strappato a noi tutti, senza riuscire a cancellare la tua presenza dalla nostra vita, che continuerà, come è destino per l’umanità di ogni tempo, ma non sarà sicuramente la stessa. Volevi vivere, come giusto che sia, sei rimasta attaccata alla vita, sorridente, ottimista e positiva, fino agli ultimi giorni quando la malattia ha preso il sopravvento. Hai lasciato tanto Ida, in primis due splendidi ragazzi, a tutti noi adulti una forza che emanava luce, e poi, straordinari scritti in cui hai continuato ad essere la figlia, la mamma e la donna eccezionale che noi e quanti hanno avuto la fortuna di incontrarti abbiamo sempre ammirato. Un genitore non seppellisce un figlio… hai scritto a mamma e papà. E come darti torto! Purtroppo quello che è capitato a te e a noi tutti fa parte della dura realtà della vita, una vita, la nostra, però, che ha potuto godere della tua presenza, seppure per un solo pezzo di tempo.

on possiamo dimenticare i nostri amici che ci hanno prematuramente lasciati. Soprattutto, non possiamo non ricordare gli amici che hanno irrorato questa terra con la saggezza delle loro iniziative, con la sagacia dell’impegno per la promozione culturale della Capitanata. E in questo periodo di fine anno, in particolare, sentiamo, prorompente, il bisogno di spendere qualche parola per il professor Nicola Spagnoli, figura di galantuomo discreto e ricco di umanità, scomparso ormai da nove anni. Come non ricordare la sua illuminata guida dell’Associazione Amici del Museo civico di Foggia? Una, tra le tante lodevoli attività che hanno

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Ida, ti chiediamo di vegliare su tutti noi, che insieme a te saremo vicini ai tuoi più cari in assoluto, a quella bella famiglia che avevi creato, a quella famiglia che ti ha messa al mondo e che certo avrebbe avuto il diritto di tenerti a sé ancora a lungo. Un’ultima richiesta infine: getta da lassù su di noi una goccia della tua inesauribile solarità. Ci servirà per capire come si vive sorridendo. Noi ti promettiamo di fare tesoro di quello che ci hai insegnato, vivendoti dentro! Zia Falina

visto il professor Spagnoli in prima linea nella complicata battaglia per l’affermazione della cultura in provincia di Foggia. E come non andare col sentimento riconoscente a Franco Marasca, di cui ricorre quest’anno il 15° anniversario della scomparsa. Quindici anni che per tutti noi delle Edizioni del Rosone sono stati faticosi, sempre orientati ad assecondare i suoi insegnamenti e le sue idee. Al professor Spagnoli e a Franco Marasca il pensiero riconoscente di tutti noi e di quanti ancora ne apprezzano il ruolo svolto, senza risparmio di tempo e di energie. (d.p.)

La proposta dei Lions per un mondo migliore gni anno il Lions International organizza in tutto il mondo il Concorso artistico Un Poster per la Pace, riservato ai ragazzi delle scuole secondarie di primo grado. Il concorso è giunto alla 29esima edizione. Questo concorso offre l’opportunità di riflettere ed esprimere in modo creativo i propri sentimenti sulla pace. I partecipanti utilizzano tecniche diverse, tra cui carboncino, pennarello, matita e pittura per esprimere il tema. I lavori creati sono unici ed esprimono le esperienze di vita e la cultura dei giovani artisti.

Francesco Pio Casamassima e Giuseppe Pio Guarino (terzo premio ex aequo) della Scuola Media «Bovio». – Giovanni De Rosa primo premio, Alessia Casarella secondo premio, Alessandro Luppino e Vito Positano (terzo premio ex aequo) della Scuola Media «Foscolo». A.R.

L’accoglienza dei profughi secondo Papa Francesco

Un poster per la pace

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qualificati nell’ambito del Concorso Lions Club «U. Giordano»: – Marina Insalata primo premio; Martina Laviano secondo premio; Martina Pompa terzo premio, tutti della Scuola Media «Altamura». – Maria Chiara Maiorana primo premio, Francesca Pia Cifelli e Anna De Palma (secondo premio ex aequo),

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La riflessione

Franco Marasca e Nicola Spagnoli: il ricordo che non si affievolisce

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AttuAlità & Commenti

Il tema del concorso di quest’anno è stato Una celebrazione della pace. A Foggia hanno partecipato al Concorso le scuole Altamura, Bovio e Foscolo. Gli elaborati pervenuti sono stati esaminati da una apposita commissione esperta di arte e dalla referente del Concorso e socia Lions del Lions Club «U. Giordano» Prof.ssa Angelarosa Ricco. Gli elaborati sono stati scelti dalla commissione per la loro originalità, il valore artistico e l’attinenza al tema del concorso. Questi i nomi dei ragazzi che si sono

ull’aereo che riportava a Roma Papa Francesco e il suo seguito, di ritorno dalla Svezia, dove si è celebrato il quinto centenario della riforma luterana, rispondendo alla domanda di un giornalista riguardante il fenomeno attualissimo dell’arrivo di tanti emigranti in Europa e soprattutto in Italia, il Sommo Pontefice ha affermato che, pur essendo prevalente e prioritario il principio dell’accoglienza e dell’integrazione, occorre anche usare «prudenza» nel governare e gestire un tale fenomeno che presenta aspetti assai complessi e delicati. L’affermazione del Papa è stata commentata in ambiti diversi quasi esclusivamente sul versante del rapporto che ci deve essere tra il dovere dell’accoglienza e la sostenibilità dei costi, evitando di assumersi impegni che non si possono mantenere per la mancanza di risorse economiche sufficienti. Ora, pur reputando appropriati tali commenti, io mi sentirei di prendere in considerazione un altro aspetto del problema che non mi sembra secondario, anche tenendo conto di quello che è successo in qualche zona dell’Italia, e cioè l’esplosione del fenomeno del rigetto e della protesta da parte di qualche comunità nei confronti della decisione delle autorità di destinare colà qualche gruppo di profughi. Io ritengo che la «prudenza» di cui ha parlato Papa Francesco sia da riferire anche alla necessità di preparare adeguatamente l’accoglienza dei profughi in rapporto alla località di destinazione. Voglio dire, cioè, che non si può operare secondo il principio esclusivo dell’interesse pubblico, facendo ricorso soltanto alle requisizioni e alle ordinanze, ignorando del tutto condizioni ed esigenze delle comunità che devono gestire l’accoglienza. Al di là del problema dei costi, e quindi delle risorse economiche necessarie allo scopo, occorre tener conto della situazione culturale, sociale, psicologica delle singole comunità che sono presenti sul territorio italiano prima di decidere la destinazione dei profughi che arrivano in gran numero dal Medioriente e dall’Africa. Vi sono sensibilità e abitudini, costumi e modi di vivere che si sono sedimentati attraverso una storia secolare. In alcuni casi la comunità, in virtù della sua storia, è disponibile e pronta all’accoglienza, in altri invece la comunità e più lontana, restia a farsi carico del problema. In quest’ultimo caso, imporre con la forza o con la sola arma della legge è estremamente pericoloso e ne abbiamo avuto qualche prova. Di qui, a mio avviso, la necessità da un lato di conoscere meglio le caratteristiche culturali e sociali delle diverse comunità, dall’altro di dar vita a un programma di formazione e di educazione ai principi e ai metodi dell’accoglienza, della condivisione dei problemi, della consapevolezza che accanto ai rischi o agli inconvenienti che la presenza dei profughi può comportare vi sono anche benefici e vantaggi da diversi punti di vista. Tutto questo mi sembra si possa intravedere nell’affermazione del Papa, che pone in rilievo la necessità di far uso con saggezza e lungimiranza della «prudenza». E qui si coglie, ancora una volta, la visione con cui il Pontefice inquadra problemi delicati del mondo contemporaneo, una visione che partendo dal Vangelo allarga smisuratamente lo sguardo che così viene ad abbracciare tutti gli esseri e tutte le necessità con cui essi ogni giorno si confrontano. Raffaele Cera

Prima donna in venti edizioni Gianna Fratta ha diretto il Concerto di Natale al Senato

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restigioso riconoscimento per la musicista e direttrice d’orchestra foggiana Gianna Fratta. Prima donna in venti edizioni del Concerto di Natale al Senato della Repubblica, ha diretto alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella l’orchestra e il coro del Sistema Nazionale delle Orchestre Giovanili composto da quasi 150 musicisti. Quindi ha diretto anche il coro Manos Blancas e due artisti della caratura di Paolo Fresi e Paola Turci. La manifestazione è stata trasmessa in diretta e in Eurovisione da Rai 1, domenica 18 dicembre. Dopo l’inno nazionale e l’inno europeo, sono stati eseguiti l’intermezzo della Cavalleria Rusticana di Mascagni, l’Overture dal Barbiere di Siviglia di Rossini, il Nabucco di Verdi. Quindi brani famosi natalizi come «Oh Happy Days» e di repertorio come «Silent Night». Le più vive congratulazioni a Gianna Fratta, talento ormai apprezzato a livello nazionale ed internazionale, con l’augurio di sempre maggiori soddisfazioni e affermazioni. Marida Marasca


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territorio

Startup Weekend Foggia, ancora un successo

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i è tenuta presso la Cittadella dell’Economia, Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Foggia la nuova edizione di Startup Weekend Foggia. Dopo il successo della prima edizione è tornata nel capoluogo dauno Startup Weekend la più grande startup competition al mondo, organizzata da Google e Kaufman Foundation. Startup Weekend è l’evento di riferimento per coloro che vogliono realizzare una propria idea d’impresa e condividere idee innovative. L’importanza della manifestazione e l’interesse che ha suscitato sono dimostrati da alcuni numeri: 1068 eventi già svolti, 478 città ospitanti in diversi Paesi del mondo, 8190 startup create e 100mila imprenditori coinvolti. Gli Startup Weekend sono progettati specificatamente per gli imprenditori o aspiranti tali che desiderano avere un feedback sulla propria idea, trovare un cofondatore o acquisire nuove competenze; è l’occasione giusta in cui i partecipanti si rimboccano le maniche e bruciano le tappe per buttarsi a pieno ritmo nell’entusiasmante mondo delle startup. L’obiettivo di Startup Weekend Foggia è quello di diffondere la cultura imprenditoriale, imparare a collaborare in team, fare networking e acquisire nuove skills. L’organizzazione dell’evento è stata resa possibile grazie al sostegno di sponsor locali e nazionali, sensibili al tema dell’imprenditoria e dell’innovazione.

L’hub rurale foggiano VàZapp’ è approdato a Linea Verde

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omenica 11 dicembre la trasmissione Rai Linea Verde è approdata in Capitanata per raccontare le storie di giovani che hanno deciso di «coltivare il futuro nella propria terra»: tema della puntata, infatti, è stato il difficile e spesso conflittuale rapporto che ancora esiste tra tradizione e innovazione, soprattutto in agricoltura. La Rai è stata attratta dal lavoro di un gruppo di giovani del territorio (il riferimento è all’hub rurale foggiano denominato VàZapp’) che, da più di un anno, sono al lavoro per «coltivare idee» con lo scopo di sviluppare e contribuire concretamente alla cosiddetta agricoltura 2.0. A supporto di questo progetto, non solo vi è un accordo di collaborazione con l’Università di Foggia ma anche la presenza attiva di due docenti dell’Ateneo. Il viaggio condotto da Patrizio Roversi e da Daniela Ferolla, dopo aver attraversato i territori del Gargano e dei Monti Dauni, è giunto a Foggia per incontrare questa giovane realtà: Patrizio Roversi ha intervistato il prof. Antonio Stasi (ricercatore in Economia ed Estimo rurale presso il Dipartimento di Scienze agrarie, dell’ambiente e degli alimenti dell’Università di Foggia) sulla conoscenza e sul trasferimento dell’innovazione; mentre la prof.ssa Mariarosaria Lombardi (ricercatrice in Scienze merceologiche presso il Dipartimento di Economia dell’Università di Foggia) è stata protagonista del format denominato Contadinner, ideato sempre nell’ambito dell’hub rurale. Quello della «cena dei contadini» è in realtà un espediente aggregante abbastanza semplice, che però permette di creare relazioni, di ipotizzare strategie e di gettare le basi per nuove forme di collaborazione e cooperazione soprattutto tra giovani agricoltori.

I «Contratti di Idee» riaprono il sipario del teatro d’autunno allo Skantinato 58 di Troia

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n luogo ben preciso accorda le personalità diametralmente opposte ma complementari di due uomini. Questo è un luogo di lune di miele e di suicidi. Con l’arrivo inaspettato di una giovane donna, diventerà lo scenario di una grande impresa, che sconvolgerà per sempre le vite fino ad allora apatiche e stagnanti di tutti e tre». Lo scorso 26 novembre è stato Cascate, uno spettacolo a metà fra il reading letterario e il teatro vero e proprio, a riaprire il sipario del teatro d’autunno allo Skantinato 58 di Troia. A portarlo in scena «I Contratti di Idee», una Compagnia che lavora già in tutta la Regione Puglia e che è composta da due giovanissimi attori professionisti. Luca Di Pierno, lucerino, che si è formato nella Compagnia teatrale «Il Cerchio di Gesso» e con maestri quali Carlo Formigoni e Raffaele Manna e attualmente presidente dell’Associazione Culturale «La Falce di Luna». Manuela Vista, venticinquenne di Molfetta, diplomata in Acting alla Scuola Holden di Torino e studente di violino presso il Conservatorio di Bari. Con loro Sergio Altizio, classe 1985, un medico che coltiva l’attività teatrale come hobby e recita da diversi anni nell’Associazione teatrale Malalingua di Molfetta. Tre voci brillanti hanno raccontato una storia originale, che ha molto a che fare con la giovane generazione di oggi e anche con le loro vite personali.

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Provinciale

Giornale di opinione della provincia di Foggia

Dalla Provincia a cura di mauro Galantino Salvatore Lovaglio alla libreria-caffè Kublai di Lucera Dal 19 novembre 2016 al 20 febbraio 2017 la libreria caffè Kublai di Lucera ospiterà una serie di lavori recenti di Salvatore Lovaglio. Si tratta di dieci incisioni raccolte in una cartella intitolata Malie di paesaggio. Questa tecnica, alla quale l’artista si dedica negli ultimi anni, sublima la sua già vigorosa ricerca pittoricoespressiva, in particolare incentrata sulla natura. Dalle grandi tele ai grandi fogli, l’artista «subisce» la potenza di ciò che lo circonda, il fascino e il mistero. La presentazione della cartella di incisioni sarà affidata a Francesca Di Gioia, storico dell’arte e membro di Ars Graphica, network internazionale sulle arti grafiche.

A Orsara di Puglia Premio Consumo di Qualità Per il terzo anno consecutivo, al Comune di Orsara di Puglia è stato assegnato il «Premio Consumo di Qualità – Antichi Sapori», riconoscimento giunto quest’anno alla sua nona edizione, ideato e promosso dalla Rete Asel, Antichi Sapori Eat Local, in base alle valutazioni espresse dai consumatori interpellati dall’Osservatorio istituito dall’organizzazione (www.qualityawards.pw). Il premio al Comune di Orsara di Puglia è stato consegnato nel corso della cerimonia che si è svolta nel Palazzo della Cultura a Noicattaro.

Peschici: eventi nel segno di Natale fino al 4 gennaio Vacanze di Natale a Peschici – Eventi e appuntamenti con i fiocchi. All’interno di questo tema il Comune di Peschici, l’Istituto onnicomprensivo Statale «G. Libetta», Associazioni e parrocchie presentano una serie di eventi, tutti in chiave natalizia, che sono partiti il 4 dicembre e si concluderanno il 4 gennaio 2017. Tra i momenti più suggestivi: accensione dell’albero di Natale, l’arrivo di babbo Natale, l’accensione del presepe, fuochi pirotecnici, benedizione del pane dell’Immacolata, presepe vivente, mercatini solidali di Natale, inaugurazione della nuova palestra e dei nuovi edifici Sala della musica e Centro sociale per gli anziani. Il 4 gennaio incontro culturale indirizzato ai bambini e Gran concerto di Capodanno con l’Orchestra di fiati «Azzurra» di Ischitella.

Manfredonia: mercatini di Natale nel fossato del Castello L’Assessorato ai Servizi Sociali del Comune di Manfredonia in collaborazione con i volontari del Servizio Civile Progetto «Piccoli….ma grandi» e con la Pro Loco di Manfredonia lancia due iniziative dal titolo «Ti aspetto ai mercatini» e «Ti abbraccio con un regalo» con una presenza nel fossato del Castello di Manfredonia per i Mercatini del Natale. L’idea è quella di collaborare con gli organizzatori dei Mercatini del Natale e con le varie Associazioni che organizzeranno eventi dedicati ai bambini con l’obiettivo di accogliere tutti i piccoli della città, senza esclusione, ed accompagnarli nelle attività e poter permettere loro di poter avere il proprio dono natalizio.

Torremaggiore: le Giornate Fridericiane Si sono svolte il 16 e il 17 dicembre a Torremaggiore le Giornate Fridericiane con un Convegno nazionale dal titolo «La Daunia tra storia e letteratura», organizzato dal Comune di Torremaggiore – Assessorato alla Cultura, di concerto con il Centro Attività Culturali «Don Tommaso Leccisotti», la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le provincie di BAT e Foggia. L’iniziativa è stata patrocinata dalla Società di Storia Patria per la Puglia. Altre iniziative: la presentazione del Catalogo del Museo Civico di Torremaggiore e la consegna del Premio «Augustale d’Oro» - 5^ edizione che intende riconoscere quelle personalità che con i loro studi contribuiscono concretamente alla riscoperta e valorizzazione del patrimonio storico-culturale del territorio pugliese e, in particolare, di Fiorentino e di Torremaggiore.

Troia: prima stagione musicale È iniziata il 10 dicembre e continuerà fino a marzo 2017 la prima Stagione musicale troiana, organizzata dal Comune di Troia presso il Teatro Comunale «Vincenzo Cimaglia». Verrà proposto un cartellone sperimentale di 5 spettacoli musicali, tutti ad ingresso gratuito, che spaziano dal jazz alla lirica, passando per la musica classica, affidata alla direzione artistica del Maestro Luciano Natale, in collaborazione con la Scuola di Musica Amadeus Mozart di Foggia e l’associazione Progetti Futuri, resa possibile anche grazie alla partnership con Eceplast srl e Trojans Vi.Gi. srl, sponsor dell’iniziativa.


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letterA ApertA

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Associazione Nazionale GranoSalus

Lettera aperta al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella D

a Saverio De Bonis, presidente dell’Associazione Nazionale GranoSalus, con sede a Foggia in via Barletta, riceviamo e pubblichiamo la seguente lettera aperta indirizzata al Presidente della Repubblica Mattarella. ***

Gentile Presidente Mattarella, abbiamo letto che nei giorni scorsi ha incontrato Guido Barilla, in qualità di presidente della Fondazione Barilla Center for Food and Nutrition (BCFN), che Le ha presentato il 7° Forum Internazionale su Alimentazione e Nutrizione dal titolo “Mangiare Meglio, Mangiare Meno, Mangiare Tutti” che si è tenuto il 1° dicembre 2016, all’Università Bocconi di Milano. Abbiamo letto che Le ha parlato degli obiettivi di sviluppo sostenibile indicati dalle Nazioni Unite, costruire un modello di alimentazione rispettoso della salute delle persone e del Pianeta e riscoprire il valore del cibo oltre il gusto. E ancora, di temi quali fame e obesità, corretto utilizzo delle risorse naturali, spreco alimentare, diete sostenibili, impatto ambientale della produzione agricola, cambiamenti climatici. Certamente condividiamo l’importanza di questi temi così come dello slogan: Mangiare Meglio. Mangiare Meno. Mangiare Tutti. Ci chiediamo però se siano questi i reali obiettivi dell’industria alimentare visto che poi quel che sta succedendo nel settore dell’industria molitoria e pastaia per quanto riguarda l’approvvigionamento della materia prima: il grano duro. Leggiamo nei comunicati che la Fondazione BCFN ha presentato, durante il convegno milanese, il Food Sustainability Media Award, un premio per chi meglio saprà rappresentare tramite parole, foto e video - i paradossi del cibo. Ecco secondo noi dell’Associazioni GranoSalus che unisce produttori di grano duro, soprattutto del Sud Italia, e consumatori, il paradosso è un altro. Se ci permette Le spieghiamo perché. Il Sud Italia, con Puglia, Sicilia e Basilicata in testa, è uno dei luoghi più vocati al mondo, grazie alle nostre condizioni climatiche, per la coltivazione del grano duro. Nel Sud Italia è nata la Dieta Mediterranea, ormai universalmente riconosciuta come dieta anti cancro e in grado di contrastare obesità, malattie cardiache e altre problematiche. Nel Sud Italia il sole rende il grano al momento del raccolto perfettamente maturo, asciutto, quindi non in condizioni di sviluppare micotossine nocive per l’alimentazione umana. Invece in altri paesi il grano viene raccolto umido, per cui sviluppa alti livelli di micotossine e inoltre molto spesso per accelerare la maturazione viene trattato con il glifosate, un erbicida recentemente messo al bando in Italia e nell’UE senza che finora l’Italia abbia invocato il principio di precauzione nei confronti del prodotto importato dal Canada che ne contiene quantità considerevoli. La principale di queste micotossine è il DON (deossinivalenolo o vomitossina). Per la maggior parte dei Paesi del mondo i valori massimi del DON nei cereali sono compresi fra 750

e 1000 ng/g, mentre in Italia il limite è fissato a 1750 dal Regolamento CEE n. 1881/2006, che l’Italia ha contribuito ad approvare. Essendo consentito tale limite molto alto, è permessa la commercializzazione del grano prodotto in Canada dove lo stesso grano non viene utilizzato neanche per uso zootecnico! Infatti superati i 1000 ng/g quel grano non può essere commestibile nemmeno per i suini e deve essere smaltito come rifiuto tossico! Sempre con riguardo a tale limite si consideri che rientrare nella fascia massima consentita è particolarmente dannoso per i bambini per i quali la dose giornaliera tollerabile è ovviamente in proporzione ancora più alta, mentre il limite previsto dall’UE è pari a 200 ng/g. Non facciamoci ingannare dalle pubblicità di paste realizzate da noti pastifici pubblicizzate come ideali per bambini/e, le micotossine contenute sono le stesse, ovvero entro il massimo consentito, che per la pasta consumata dagli adulti è pari a 750 ng/g. Ecco questo sì è secondo noi un vero paradosso! I grandi pastifici replicano che utiliz-

I paradossi sono ancora tanti. Il prezzo attuale del grano duro italiano è ben al di sotto di quello necessario a coprire i costi di produzione mentre quello di semola e pasta resta invariato. Sa che 40 anni fa bastava un chilo di grano per acquistare un caffè al bar? Adesso ne occorrono 5 chili. Non e’ possibile che il grano che importiamo dall’ estero e quello che esportiamo valga molto di più di quello che produciamo nel Mezzogiorno. A titolo di esempio nel 2015 ai produttori del Sud Italia il grano duro è stato pagato 31,2 Euro al quintale (rispetto all’annata il prezzo avrebbe potuto essere più alto). Mentre il grano duro estero è stato pagato 35,6 Euro al quintale. Che nel 2015 sia stata messa in piedi una grande truffa ai danni dei produttori di grano duro del Sud Italia lo dimostra il prezzo al quale è stato rivenduto, sul mercato internazionale, il grano duro pugliese, siciliano, lucano e via continuando: a quasi 44 Euro al quintale! È palese che i prezzi del grano duro italiano siano manipolati e truccati,

zano in parte grano importato perché le quantità italiane sono insufficienti e perché contengono meno proteine ovvero meno glutine. Ma è davvero positivo l’uso di grani iperproteici o non è la causa della crescita sempre maggiore di gluten sensitivity e altre intolleranze alimentari? Il livello proteico alto serve solo ad accelerare i processi produttivi e la resistenza allo stress termico durante l’essiccazione ad alte temperature. Proviamo ad assaggiare la pasta realizzata dai pochi marchi che usano solo grano italiano, spesso con procedimenti di produzione ed essiccazione accurati e di tradizione! La differenza il palato la riconosce immediatamente e la digestione ne giova. L’Italia dispone di superfici che possono soddisfare non solo il nostro fabbisogno, infatti si potrebbero recuperare circa 600 mila ettari da coltivare a grano, in grado di aumentare notevolmente il nostro grado di auto-approvvigionamento. Invece gli agricoltori italiani sono sovvenzionati dall’UE per non coltivare i terreni: con la nuova Pac non si può seminare a grano più del 75% della superficie aziendale e si parla di reintrodurre il set aside ovvero premiare l’abbandono dei terreni. Ecco, questo è un altro vero paradosso!

come lo stesso Ministro Martina ha avuto modo di evidenziare in una riunione del Mipaaf tenuta il 20 luglio a Roma. La cerealicoltura al Sud Italia, in tal modo, rischia di morire e con essa l’economia di città intere, le giovani generazioni non sono interessate a subentrare in un’attività, che, seppure definita primaria, è in difficoltà enormi. Dovremmo riflettere sul danno che riceverà il nostro Paese dal punto di vista anche della tutela del territorio se l’agricoltura morirà. Perché morirà se non siamo in grado di darle il giusto valore, di non comprendere che ci sono delle specificità geografiche, stagionali, culturali che devono essere rispettate. Il libero commercio può essere una cosa utile ma la globalizzazione dei sapori, dei gusti e dei contaminanti, no. Se l’agricoltura muore (perché noi parliamo del grano duro ma il problema riguarda tutto il mondo agricolo) che ne sarà del nostro territorio? Cosa diventeranno le nostre terre, abbandonate a se stesse? Il dissesto idrogeologico non deriva in gran parte dal fatto che un po’ alla volta l’agricoltura è sempre meno praticata? (pensiamo ai terrazzamenti degli agricoltori che per centenni hanno salvato da frane.) Non si tratta di volersi difendere dalla con-

correnza estera. La concorrenza ci sta anche bene, purché sia basata sulla qualità. È proprio quello che vogliamo, un mercato concorrenziale basato sulla vera qualità e sull’assenza di contaminanti. Un mercato che permetta al settore primario di sopravvivere. E in un modo perfetto tutta la filiera della pasta, dagli agricoltori ai pastificatori dovrebbe condividere un progetto che sia veramente sostenibile per tutti, ovviamente consumatori compresi. Perché anche l’incidenza delle patologie e intolleranze non è un aspetto secondario ai fini del bilancio sanitario del Paes: mangiare cibo non contaminato significa ridurre l’incidenza dei farmaci e della sanità pubblica. In queste settimane il Governo ha preso molte decisioni riguardo all’agricoltura. Qualcuna, come la richiesta all’UE della tracciabilità della materia prima nella produzione di derivati del grano, va nella direzione giusta. Altre, come il sostegno ai contratti di filiera, vanno decisamente contro gli interessi degli agricoltori e sono solo a favore di grandi mulini e pastifici. Si tratta di contratti capestro, assolutamente non concorrenziali, che vengono spinti attraverso mini incentivi che sono in realtà specchietti per le allodole. Invece non è ancora stato approvato il decreto attuativo della legge sulle Commissioni Uniche Nazionali per la previsione dei prezzi, che, secondo la legge, doveva essere emanato già da ottobre 2015. Alle CUN deve essere affidato il compito di formulare indicazioni di prezzi sulla base di indici sintetici oggettivi sui fondamentali di mercato (import, export, produzione, andamento dei consumi, livelli delle scorte, prezzi internazionali) al fine di rendere più chiaro il meccanismo di definizione dei prezzi alla produzione, introducendo un maggiore grado di concorrenzialità nelle contrattazioni e un ancoraggio ad indicatori di mercato oggettivi e, soprattutto, tempestivi (vista l’esperienza delle CUN maiali e conigli dove la mancanza di dati aggiornati in tempo reale penalizza gli agricoltori e avvantaggia gli industriali). L’obiettivo è di eliminare la divaricazione tra prezzo all’origine, prezzi all’ingrosso e prezzi al consumo, dando vita ad una contrattazione reale sulla previsione del valore economico dei prodotti. Le CUN dunque sarebbero l’unico strumento affinché i prezzi siano stabiliti senza speculazioni ed in modo concorrenziale tenendo conto anche della griglia di qualità tossicologica su cui il Governo ha preso impegni nei confronti del Parlamento attraverso una risoluzione approvata il 28 settembre in Commissione Agricoltura (risoluzione L’Abbate C7-01045). Auspichiamo che nel futuro questi temi possano entrare nell’Agenda del nuovo Governo, affinché si possa realmente parlare di corretto utilizzo delle risorse naturali, diete sostenibili, impatto ambientale della produzione agricola, nel rispetto della salute dei consumatori e della tutela del settore primario. Nel salutarLa Le auguriamo buon lavoro per svolgere l’importante incarico che l’attende. Saverio De Bonis Presidente GranoSalus


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Padre Andrea Tirelli e il suo romanzo Il viaggio di ritorno

Dalle vendite un microprestito per famiglie in difficoltà

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n padre francescano che si cimenta con la scrittura di un romanzo molto «terreno» il cui ricavato dalla vendita ha uno scopo benefico altrettanto «terreno». L’autore in questione è Padre Andrea Tirelli, attuale parroco della chiesa di San Bernardino di San Severo, che nelle ultime settimane sta presentando il suo «Il viaggio di ritorno» (Edizioni del Poggio, ottobre 2016) in alcune località della provincia di Foggia ma anche nel capoluogo, costituendo col ricavato delle vendite un fondo per finanziare, all’interno del progetto «Ti presto fiducia», emergenze economiche di famiglie e individui in difficoltà. Si tratta di microprestiti che verranno restituiti secondo un piano stabilito con lo stesso padre Andrea e senza alcun interesse, natural-

mente. È volutamente emblematico il titolo di questo gradevolissimo romanzo di padre Andrea Tirelli. Il viaggio di ritorno, infatti, è realmente un viaggio di ritorno del protagonista Marco verso la casa paterna, verso il paese natio. Ma è anche il viaggio di ritorno a Roma, dopo la scomparsa dell’anziana madre, che si offre come metafora di un percorso di ritorno verso la normalità dei rapporti tra Marco e Valeria, sua moglie. Non solo: ma un viaggio di ritorno compie anche Angelino, un altro dei tanti indovinati personaggi che animano la trama di questo romanzo. Un ritorno in se stesso, prima di tutto, e poi anche per lui un ritorno ad un rapporto di normalità con la moglie Letizia. Sono tanti i personaggi, come già detto, che animano le pagine di questo Il viaggio di ritorno. E se a Marco, soprattutto, ma anche a Valeria, spetta il ruolo di essere i protagonisti che danno continuità alla storia narrata, non meno decisivi per l’impronta e l’organicità del romanzo, sono tutti gli altri. I familiari più vicini a Marco: il papà Armando, la sorella Michela, giovane moderna ma ben sostenuta da solidi valori, alle prese con il suo lavoro di postina e con un amore nascente; il fratello maggiore Giovanni con la moglie Lucia; i figli di questi, Francesco e Simona; la badante tuttofare rumena Alina, ormai di casa al punto da avere in mano la conduzione della famigliola, oltre a preoccuparsi di accudire Maria nelle ore in cui Michela è al lavoro.

Ma ci sono anche i personaggi esterni alla famiglia. In prima fila, per il risalto che l’autore ha inteso conferirgli, Angelino, vecchia conoscenza di Marco che frequenta più del dovuto il bar del paese, vittima dell’esuberanza malefica dei suoi compagni d’avventura che lo incoraggiano a bere sfrenatamente costringendolo a tornare a casa ogni sera su di giri e in condizioni tali da maltrattare e colpire la moglie Letizia che gli rinfaccia la vita sregolata che conduce. La stessa Letizia, donna docile e forte allo stesso tempo che subisce le angheria di Angelino, incapace di reagire ma, anzi, cercando di nascondere all’esterno i segni delle violenze subite. Virtù e peccati, pregi e umane debolezze emergono in un rincorrersi avvincente di situazioni che tengono il lettore sempre piacevolmente attaccato alle pagine del libro. Ci sono, poi, i luoghi e le situazioni. Dalla casa paterna, che diventa luogo di ritrovo conviviale e occasione per riscoprire antiche atmosfere familiari, al bar del paese con la frequentazione degli uomini che occupano il tempo bevendo, giocando e affidando al vento parole vuote e spesso inopportune; dalla caserma dei carabinieri agli uffici della questura; dagli incontri per le stradine del paese al diffondersi delle notizie tipico dell’ambiente piccolo dove tutti si conoscono. Si tratta certamente di un romanzo che propone situazioni e personaggi della realtà dei piccoli borghi della nostra sana provincia, ancora legata a schemi esistenziali e sociologici di un passato che resiste, nonostante il dilagare della globalizzazione. Un passato che è capace di tenere ancora in vita valori essenziali quali la solidarietà, l’amicizia e la famiglia. È un romanzo che racconta una

Presentato A mani nude di A. Torchella a cura della Fidapa di Foggia

Versi che trasmettono emozioni suggestioni, provocazioni

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sordio nel segno della poesia per la sezione di Foggia della Fidapa, Federazione Italiana Donne Arti Professioni e Affari. Il sodalizio presieduto dalla professoressa Maria Antonietta Narciso ha inaugurato l’anno sociale 2016-2017 con un incontro svoltosi nella sala Rosa del Palazzetto dell’Arte, presentando la recente silloge poetica «A mani nude» della socia, ed ex presidente della sezione, Antonia Torchella. È stata la stessa presidente a presentare l’iniziativa ricordando il tema nazionale FIDAPA per il biennio 2016-2017 – Il talento delle donne: una risorsa per lo sviluppo sociale, economico e politico del nostro Paese – e a evidenziare il ruolo attivo che l’Associazione svolge nella società. Il presidente del Consiglio comunale di Foggia, avvocato Luigi Miranda, ha portato il saluto del primo cittadino e dell’intera assemblea municipale, esaltando il ruolo delle associazioni di service e di volontariato come sussidiario all’azione politica. Si è inoltre soffermato sui tagli delle risorse per le politiche culturali e sull’attuale dibattito relativo alla parità di diritti delle donne. Il saluto della FIDAPA è stato portato da Antonella Gianfrancesco, tesoriera del Distretto Sud Est, che si è soffermata sulle capacità e i talenti delle socie.

Molto interessante la relazione del professor Pasquale Bonnì che dopo essersi soffermato sul ruolo della poesia in generale (La poesia educa e dà piacere, diceva Eratostene già oltre duemila anni fa. La poesia educa alla trascendenza), ha illustrato la silloge poetica di Antonia Torchella. «Il lettore che scorre queste pagine – ha affermato Bonnì – si trova avvolto in un’atmosfera leggera e impalpabile che gli crea silenzio mentre lo sollecita a continuare la lettura, quasi un invito a un viaggio inaspettato e per compagna una voce che trova puntualmente eco in lui. È la voce narrante dell’autrice che si annuncia subito non con una composizione organizzata secondo un disegno ampio, predefinito, unitario e sotto il cui cielo trovare sistemazione alle molteplici spigolosità della vita, ma sotto la spinta di un’insorgenza di coscienza che come fiume carsico a tratti riemerge e porta alla luce i ritrovamenti dell’anima, frammenti di vita, come scorci di radure accarezzati da un sole radente. Ne ricava originalità la scrittura poetica che si propone attraverso i luoghi della sua anima i quali trovano forma in angoli, atmosfere, momenti della propria quotidiana domesticità: la strada, la piazza, il tempio sacro, il bisogno di raccoglimento, la fiducia nella luce dopo il buio, nella propria forza più che nell’aiuto degli altri, la

reticenza discreta quasi a protezione dei propri sentimenti, il valore dell’innocenza e le sue immagini, i sapori della stagione della vita recuperati attraverso quelli della natura con i suoi colori e i suoi respiri mediterranei, il dolore, la gioia, i dubbi con le zone d’ombra, la vita. E i colloquio con il lettore – ha continuato il professor Bonnì – si svolge ritrovando insieme risonanze ed echi condivisi proprio attraverso i luoghi richiamati dall’autrice, ciascuno dei quali è frammento di vita, marginale al ritmo inarrestabile del nostro vivere quotidiano, ma, proprio per questa sua marginalità e frammentarietà, recupera autenticità, unicità, bellezza, leggerezza. La sua “lumera” a guisa di frammento di dia-

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bella storia, irrorata di umanità e di semplicità. Sono molteplici i messaggi che si riesce a cogliere dalla lettura di questo gradevolissimo Il viaggio di ritorno. Intanto, l’invito forte ad aver fiducia nella vita e nel prossimo. Fiducia nel futuro e nella possibilità di cambiamento. Ancora: la redenzione di alcuni personaggi del romanzo che intraprendono un cammino virtuoso, dopo un periodo di comportamenti negativi. C’è poi l’atteggiamento verso la morte che, al di là di un comprensibile dolore vissuto con molta compostezza, viene proposta come un passaggio della vita da affrontare con serenità. La vita non ci appartiene, dice il sacerdote durante il funerale. Lo stesso messaggio che il dottor Guida affida alla riflessione dei familiari di Maria con l’effetto di determinare un dolore pacato, consapevole. Altro messaggio molto forte è quello che sollecita a non dimenticare mai le origini. Marco ritrova se stesso proprio durante il ritorno al suo paese che gli restituisce il gusto dei legami familiari, delle tradizioni, delle passeggiate per i vicoli alla ricerca della sua infanzia e della sua giovinezza. Un tuffo nel passato che non rinnega il progresso ma che serve a tenersi ben stretti a valori che ci possano aiutare a muoverci con sicurezza nel complicato e alienante mondo della globalizzazione. E poi, gli spunti di riflessione su questioni etiche e sociali di grande attualità e importanza: l’emancipazione femminile, la compatibilità tra lavoro e famiglia, la violenza sulle donne, soprattutto la violenza che si consuma all’interno delle impermeabili pareti domestiche. Duilio Paiano mante che vive di luce propria, anche se solo frammento, fermenta grazia e luce attraverso il ricorso ai toni riflessivi, a una dizione sliricata, talora prosastica, a un uso contenuto della parola. La quale si presenta stratificata e libera da veli usurati, perde la sua convenzionalità e neutralità corrente e ritrova la sua pienezza originaria intrisa di sensazioni, affezioni, suggestioni, si rivela come la vera casa dell’anima, la sua ultima e autentica dimora. E magicamente diventa suono che svela insospettate armonie, racconto di storie vere o possibili salvandole dalla voracità del tempo, indice di segreti da scoprire. Antonietta Torchella non descrive, sta dentro le situazioni e le sue poesie». La serata è stata conclusa dall’intervento dell’autrice che ha ringraziato tutti coloro che hanno partecipato all’evento e ha «confessato» che «queste poesie sono pensieri e immagini che fisso su foglietti, a matita, fin da sempre». Ben custoditi in un cassetto e poi tirati fuori sotto l’impulso e la necessità di comunicarli agli altri. Perché i sentimenti e le emozioni sono più forti e più godibili se condivisi e partecipati. Il saluto dell’editrice, Falina Marasca, è stato affidato ad una lettera, nella impossibilità della stessa di intervenire personalmente alla manifestazione. Il tutto impreziosito e reso ancor più suggestivo falla lettura di alcune poesie da parte di Mariangela Conte, accompagnata dalle note del violino di Flavia Pagano. Duilio Paiano


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San Marco in Lamis: interessante incontro culturale a cura dei Lions

Presentato libro di Raffaele Cera ed esposto il gioiello di Bach

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el segno di Johann Sebastian Bach: questo il tema su cui è stata costruita la straordinaria serata vissuta a San Marco in Lamis e organizzata dal locale Lions Club. Un evento che ha vissuto di suggestivi momenti musicali, letterari e orafi: tutti con comune denominatore il grande musicista tedesco. Ha condotto l’appuntamento il professor Pietro Villani, alla presenza di un pubblico numerosissimo e interessato intervenuto nell’accogliente «teatro del Giannone», la sala auditorium dell’omonimo Istituto scolastico sammarchese, ma anche di autorità civili e militari, sindaco Michele Merla in testa. I saluti del presidente Lions, Maestro Claudio Bonfitto, hanno dato l’avvio ai lavori. Bonfitto si è soffermato, da esperto, a tracciare un dettagliato profilo della vita e delle opere di Bach, affrontando anche aspetti legati alla tecnica e alla spiritualità del grande compositore tedesco. È stata poi la volta del giovane Maestro Pasquale Bonfitto che ha eseguito al pianoforte alcuni brani di Bach; esibizione che si è ripetuta nel corso dei lavori, intervallando gli interventi previsti dal programma. Sono stati momenti di piacevolissima musica offerta con maestria dal giovane talento sammarchese che dopo il diploma conseguito al Conservatorio di Foggia si è trasferito in Alto Adige dove insegna ed espleta la sua professione anche fuori dai confini italiani riscuotendo apprezzamenti e lusinghieri giudizi. Il clou della serata è stata la presentazione, a cura del giornalista e scrittore Duilio Paiano, del recente romanzo di Raffaele Cera La particella di Bach, Edizioni del Rosone, dicembre 2016. È la storia di Giacomo Novelli che guarisce dall’Alzheimer dopo essersi casualmente imbattuto nella musica di Bach. Dopo la guarigione, quasi per una forma di riconoscenza, si avvicina egli stesso alla musica e consegue prima il diploma in pianoforte, quindi diventa direttore d’orchestra. Affronta con competenza la musica di Bach e ne individua oltre la raffinata tecnica

musicale anche la capacità che essa ha di porsi come tramite tra la dimensione terrena e quella divina. La musica, insomma, come terapia non soltanto per il corpo ma anche per l’anima. Ma Giacomo Novelli non vuole privarsi neanche di un pellegrinaggio attraverso i luoghi di Bach, soprattutto la città di Lispia dove il musicista ha vissuto la sua stagione più feconda e dove è morto. Città dove è possibile visitare un museo a lui dedicato e la Tomaskirche, chiesa che ospita la sua tomba e in cui Bach si recava per cercare ispirazione attraverso la meditazione. Qui, in particolare è nata la celeberrima Passione secondo Matteo «È davvero singolare – ha affermato Paiano – questa recente fatica letteraria di Raffaele Cera. Lo è per diversi aspetti, i più evidenti dei quali sono la capacità dell’autore di sciorinare la narrazione su due livelli temporali diversi – la vicenda del protagonista Giacomo Novelli collocata ai giorni nostri, il mito di Bach rivissuto alla sua epoca, tra Seicento e Settecento – e la forza terapeutica della musica del grande maestro tedesco, capace di far regredire, fino a farlo scomparire del tutto, un male aggressivo e subdolo come l’Alzheimer. Inoltre, Cera ha avuto l’abilità di costruire un’architettura narrativa che fa intrecciare le due vicende, alternando i capitoli dedicati all’uno e all’altro, portandole avanti parallelamente e sollecitando il lettore a concludere la lettura di un capitolo per intraprendere quella del successivo. E così fino al raggiungimento dell’ultima pagina, in un inseguirsi di stimoli e di curiosità alimentato anche dalla brevità dei capitoli stessi. Sono diversi gli spunti – ha continuato Paiano – che si possono ricavare dalla benefica lettura di questo romanzo. Intanto, traspare anche piuttosto evidente, la funzione terapeutica della musica che riporta ad una pratica che si va sempre più diffondendo: quella della musicoterapia. Nel caso affrontato da Raffaele Cera è soprattutto la musica di Bach a svolgere questo ruolo, affidandole anche la capacità di penetrare nell’animo, di scuotere i neuroni, di provocare emozioni profonde tali da rigenerare la condizione psicofisica dell’appassionato fruitore. Ma c’è di più in questa funzione, perché Cera affida alla musica bachiana la forza di portare l’ascoltatore in una dimensione metafisica, avvicinandolo al divino, svolgendo una funzione catartica rispetto alle debolezze e le fatuità terrene. C’è, ancora, l’attualità della malattia. L’Alzheimer è il male che si va sempre più diffondendo e che gli studiosi addebitano al cattivo stile di vita cui ci siamo adeguati. I neuroni del cervello hanno bisogno di essere tenuti in costante allenamento attraverso un’attività intellettuale che non sempre siamo in grado di garantire. È ormai diventata una malattia sociale

che impegna costi assai rilevanti all’interno della spesa sanitaria nazionale. Bene ha fatto Raffaele Cera a evidenziare questa condizione, riuscendo però a darci qualche motivo di ottimismo rispetto alla possibile regressione della malattia». È un romanzo, questo La particella di Bach, che manifesta in maniera evidente non soltanto la passione dell’autore per la musica ma anche la sua straordinaria conoscenza e padronanza della tecnica musicale. Musica che viene fruita sempre con una partecipazione emotiva che porta il nostro scrittore a cercarvi riparo e accoglienza per rifugiarsi in una dimensione spirituale e divina. Del resto, già in opere precedenti si era manifestata questa passione di Raffaele Cera. Tra le altre, Incontri e Maestri, parte prima e parte seconda, in cui ci racconta da par suo delle occasioni d’incontro con Riccardo Muti, Arturo Benedetti Michelangeli, Giacomo Puccini, Giuseppe Verdi per quanto riguarda la musica. E con gli Evangelisti, San Paolo, Sant’Agostino, Carlo Maria Martini, Gianfranco Ravasi per l’aspetto religioso. E, ancora, I luoghi dello spirito, con partecipate e sentite descrizioni di luoghi capaci di regalare respiro e benessere all’anima quali Recanati, Sansepolcro, Martina Franca, Torre del Lago, Busseto, Arquà Petrarca e la

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stessa sua San Marco in Lamis. Nel caso di questo suo recente La particella di Bach ha tentato con successo un’operazione di unificazione e interdipendenza dei due aspetti: la musica quale mezzo per raggiungere e irrorare la spiritualità dell’uomo. Lo ha fatto «inventandosi» una storia che ci voleva, in questi giorni bui e disperati che l’umanità sta vivendo. In conclusione della riuscitissima e partecipata manifestazione è stato presentato «il gioiello di Bach», opera dell’orafo sammarchese Pasquale Torelli, frutto dell’ispirazione indotta dall’ascolto della musica di Bach, su suggerimento dello stesso Raffaele Cera. In un breve video Torelli ha illustrato la storia di questo gioiello per l’occasione offerto alla fruizione visiva dei presenti nell’auditorium di San Marco in Lamis. Un omaggio al grande compositore tedesco ma anche il giusto riconoscimento delle doti creative e artistiche di Torelli. In conclusione, un incontro di grande impatto emotivo che ha confermato ancora una volta la vocazione per la cultura di questa cittadina del Gargano che non si accontenta di appartenere a storia, civiltà e tradizioni di grande lustro, ma le alimenta in continuazione con iniziative che tendono a valorizzarle e attualizzarle. Marida Marasca

Premio Lupo, IX edizione

La condivisione della cultura tra piccole realtà del territorio

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’edizione 2016 del con i bandi, gli eventi, le attività promozionali e le premiazioni ha dato alla nona edizione del premio Lupo e ai partner del progetto – i Comuni di Roseto Valfortore (FG), Alberona (FG), Faeto (FG), Pietra Montecorvino (FG), Volturino (FG), Casalvecchio di Puglia (FG), San Marco La Catola (FG), la Provincia di Foggia e la Regione Puglia, la comunità di Baselice (BN), nonché gli enti e le associazioni patrocinanti – la consapevolezza della grandezza e dell’importanza dell’iniziativa, ben guidata dalla passione di Pasquale Frisi. Tutte le finalità dell’evento sono state raggiunte: in primis, la collaborazione tra piccola realtà del territorio che serve a consolidare lo sviluppo della rete intercomunale; la conoscenza e la valorizzazione della terra che abitiamo; la partecipazione della scuola alle attività di lettura e scrittura con il linguaggio artistico; il coinvolgimento della popolazione verso progetti socio - culturali. Numerose sono state le iniziative collaterali al Premio e tese a promuoverlo sul territorio ed anche in ambito nazionale. Tra le altre, vanno ricordate: – il 16 maggio: esposizione delle pubblicazioni del Premio nell’ambito del Salone Internazionale del libro di Torino: – in periodi diversi le opere di pittura partecipanti al Premio Lupo sono state esposte a Roseto Valfortore, Faeto, Castelluccio Valmaggiore, San Marco la Catola, Baselice, Lucera. – nell’ambito del Premio, inoltre, si sono svolti a Casalvecchio di Puglia il I Festival della poesia dialettale dei Monti Dauni e, a Foggia, Università del Crocese, conferenze sulla nascita e sui contenuti del progetto Premio Lupo. I vincitori delle diverse sezioni del Premio sono stati proclamati ad Alberona – sezione pittura: I classificato Raffaella Frisoli di Bologna, II Michele Inno di Pettoranello del Molise, III Pietro Petti di Lucera; a Volturino – Concorso letterario: I Maria Teresa Infante di San Severo, II Alessandro Stella di Cosenza, III Antonio Viciani di Firenze. Tra i 49 ammessi alla sezione video (su 70 che avevano presentato lavori) sono risultati vincitori: I Luigi Vetere di Lucera, II Giuseppe Luciano Pirro di Troia, III Giuseppe Valvano di Ascoli Satriano.

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CoEduca per realizzare un’agorà pedagogica

Riuscita manifestazione culturale nel ricordo di Alain Goussot I

l 23 Novembre la città di Foggia si è resa cornice di una serie di appuntamenti con le sue sedi istituzionali di trasmissione della cultura per discutere del «quotidiano educativo», potendo contare sulla presenza per l’intera giornata di alcune delle voci più autorevoli nel dibattito nazionale sull’educazione. Un buon vento, quello animato dalle Edizioni del Rosone, società promotrice dell’evento, per il nostro territorio che ha potuto così interrogarsi sul passaggio dell’Emilio nostrano attraverso tutti gli ordini di scuola (dalla primaria all’Università), riflettere sulle criticità che oggi rischiano di minare il percorso esistenziale del giovane discente di rousseauiana memoria, e «ri-orientarsi» nell’azione di traghettamento delle nuove generazioni verso l’ età adulta.

Grazie al sapiente impiego dei vari linguaggi che la valenza pedagogica degli organizzatori ha allo scopo messo a disposizione, la Scuola contemporanea, nelle sue contaminazioni tra locale e globale, è andata in scena, a partire dal film La classe (L. Cantet 2008 - Palma d’oro a Cannes) proiettato nella suggestiva sala del Tribunale della Dogana e ai laboratori attivati con studenti, insegnanti, genitori presso le scuole «L.Tempesta», «ManzoniMontessori», «C. Poerio». La serata, presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Foggia, è stata dedicata alla presentazione del libro Per una pedagogia della vita, ultima pubblicazione del compianto Alain Goussot, più volte ospite del Liceo «Poerio» e della nostra città, sulla figura del pedagogista Celestin Freinet. Con Sulle tracce di un maestro, rivisitazione in chiave teatrale del Simposio di Platone, si è infine concluso il viaggio metaforico prefigurato dal progetto «CoEduca- l’educazione al centro del villaggio». Nel duplice ruolo di fruitori/attori, a noi docenti di Scienze Umane del Liceo «Poerio», sempre in bilico tra sogno e realtà, tra «phisis» e «nomos», protesi nella ricerca dell’autentico oltre i camuffamenti delle mode o delle ideologie, è sembrato di ricono-

VI edizione del Foggia Film Festival

Un progetto dalla forte valenza culturale ed economica C

onclusa con un’affollatissima serata la VI edizione del Foggia Film Festival. A premiare i vincitori sul palco dell’Auditorium Santa Chiara il presidente di giuria Michele Placido. I vincitori del Foggia Film Festival, votati dalla giuria di qualità e dalla giuria popolare, sono stati sei tra premi, menzioni di merito e premio speciale. Vincitore per la sezione lungometraggi, Miglio film: I toni dell’amore di Ira Sachs (Premio ritirato da Luigi Lioce, delegato da Indie film channel tv). Miglior documentario: Sulle tracce del popolo armeno, regia di Giancarlo Cappellaro; miglior cortometraggio: Il potere dell’oro rosso, regia di Davide Minnella (Premio ritirato dal Daniela Petti, delegata Festival). Menzione di merito al documentario A.A. Professione attrice, regia di Rocco Talucci. Menzione di Merito: Un’anomala famigliarità, regia di Annamaria Dicesare e Paolo Pessot. Premio speciale FFF 2016, International Documentary: Tides (Maree), regia di Alessandro Negrini. Il cinema come finestra sul mondo e come progetto cardine per la crescita di Foggia. Questo, a detta di Pino Bruno, direttore artistico del Foggia Film Festival, il filo conduttore della VI edizione della kermesse che si è svolta dal 20 al 26 novembre. L’Auditorium Santa Chiara, assieme alle

scuole e altri luoghi della città, hanno ospitato ancora una volta l’unico Festival cinematografico della nostra città. Il Foggia Film Festival, coorganizzato dal Centro di Ricerca Teatrale «La Bottega dell’Attore-Teatro Studio Dauno» e Assessorato alla Cultura del Comune di Foggia, ha ottenuto per questa edizione anche il sostegno della Fondazione Banca del Monte «Siniscalco Ceci» e Regione Puglia. «Un progetto importante – ha sottolineato Anna Paola Giuliani, assessore alle Attività culturali del Comune di Foggia – che il Comune sostiene già da tre anni con la certezza che si tratti di una bella realtà da far crescere». Sessanta film in catalogo, di cui 11 anteprime nazionali, ospiti importanti e, come elemento di novità rispetto agli anni passati, numerosi ed importanti momenti di socializzazione. Dialoghi con gli studenti e con il pubblico, momenti di svago accompagnati da importanti momenti di riflessione hanno arricchito il programma del Festival. «L’emblema della cultura come volano per l’economia di questa città – ha sottolineato Saverio Russo, presidente della Fondazione Banca del Monte Siniscalco Ceci – un appuntamento che abbiamo voluto supportare proprio per la sua centralità culturale ed economica».

scere la verità del quotidiano educativo; - nel pubblico concentratissimo di preadolescenti e adolescenti che hanno spontaneamente interagito con gli «addetti ai lavori» durante e dopo la visione del film/documentario, esprimendosi criticamente in merito ad una serie di spunti emersi sul senso della Scuola; - nella partecipazione sentita e sincera dei docenti e dei tanti genitori che hanno risposto al Laboratorio «Gruppo di narrazione», guidato con grande sensibilità dal prof. Riziero Zucchi presso il nostro Istituto; - nella presenza seria e collaborativa di bambini, insegnanti e genitori, presso la Sc. Primaria «Livio Tempesta» e la libreria per ragazzi «RioBo», durante il laboratorio di «Cooperazione Educativa» tenuto dalla professoressa Clarissa Romani, coordinatrice del Gruppo Nazionale di Ricerca per la Didattica della Musica del Movimento di C.E.;

- nella rivisitazione teatrale del «Simposio» di Platone, un lavoro curato ed autogestito dagli studenti del Corso di Didattica Generale della prof.ssa L. Marchetti del Dipartimento di Studi umanistici dell’Università di Foggia; - nel ricorso alle Fonti. Il ricordo commosso del professor Goussot da parte dei relatori rende esplicito il riferimento ad una letteratura che è patrimonio inesauribile di buone pratiche, in controtendenza rispetto alle culture specialistiche cui, nel corso degli ultimi decenni, si consegnano il futuro della società e i destini delle nuove generazioni. L’intento è quello di restituire ai Padri delle Pedagogie attive e alle famiglie il ruolo di cui sono stati espropriati, con il compito di rifondare la dimensione comunitaria e lo spirito di accoglienza necessari ed insostituibili nella crescita del futuro cittadino. Maria Luigia Foffa

La magia del Natale nella tradizione foggiana

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ncora una volta è la poesia a cantare la magia di questo ultimo periodo dell’anno. Mimmo La Viola, con i suoi versi in vernacolo, racconta agli uomini di questo nostro tempo i miracoli che la nostra terra da sempre è capace di regalarci. L’arve l’aulìve

‘Ind’o pandane se spècchje ‘a luna chiène, … ‘a vrèzze vàce e vène, sciùsce ‘u vìnd’ i fronn d’arg,nde sop’a n’arve d’aulìve cke l’acene de sìve. ‘U galle candatòre salùte l’auròre… e sott’a l’uteme sole, se scarfe l’ugliarole. Vrazze ‘arse port’a spalle Vescìke cum’e calle, sèrchje, nùdecke, n’taccke … c’u timbe po’se spaccke. Fùste ‘nturcenjàte E radeck’ arrecciàte, serpènde ca se ìmbizze ‘ind’a terra sanizze. Frùtte nère appìse chiène d’uglje ‘ndrise, uglje ca tènge, uglje chè onge ‘na felle sop’a vrèce, ck’ ‘nu file vèrde a croce. … Agre, chianda sacre, patriercke ca sèmbe dàce… porte ‘ngrembe semmènze de pàce. Mimmo La Viola Pèttele e pizze frìtte ‘N’andìck usanze d’ì fuggiàne còle chè ‘a nott’ Natale sott a ogni tìttem s’anna frìje ‘i pezze fritte e ogne anne tale e quàle ‘a veggìlje de Natàle, quann’a svèglie ‘e quatte sone ‘u cambanille, cammìse da notte e chianìlle ogni mamme citte citte… preparene ‘i pizze frìtte. C’u fume e profùme ‘nd’a stanze, … chè dorme ‘cchiù… è megghje chè te mìne a’nnanze si nen crid’a speranze, ‘a famiglie è numerose, si nen fàje a’ttimbe te lassene c’u stommek a’rrepose…

S’agàvezene a’pprime i mascule ck’ l’ucchje abbufacchjate, po’ i fèmmene chi capille tutt’mbecciate, e se sduachène sop’e segge cum’a pàpere sparàte. S’arrepigghjàne sulamènde ck’nu piatte de pezzèlle … a forme de cavalle, ciùcce e paparèlle. A’ddore, è ccussì fforte ch’e nu rèchjame sije p’u gatte chè p’u cane; appìse m’bizz’o mure… i caggiòle de nonne Arture … se svegliene ‘i cardìlle: “curre cù, f’assapra’ pur’a quìlle. A fjanche de pòrte àbbete Senèlle che vuje quelle è sòle, è ‘na zetèlle, «tràse tràse, vine t’i pìgghje dòje pezzèlle». Quanne po’ arrive nanònne Sotte ‘abbracce a papanònne, ‘a cucine addevènte fitta fitte; quande so’ bbòne ‘i pizze fritte! Mimmo La Viola ‘A Sagra Famiglje Chè còsa speciale èj ‘a notte Natàle, quanm’a ‘ggènde allùsce ‘u fermamènde: e come brill’a stèlle c’allùme quèlla stalle e sott’a ‘sta capanne… se sènde ‘u cande ‘a ninna-nanne. … So’ Giusèppe e Marije, chè còre a còre fanne ‘a veglje ‘o Rèdentore. Tutte vanne ‘a cuspètte a ffà ‘na visite de respette: ‘i pasture ck’i pecurèlle, ‘i zambugnàre cj’i ciaramèlle, e da lundàne… trè cammèlle, so’ i rè màgge chè vann’a fa’ l’omàgge. Chè bèlle quadrètte sop’a ‘nu cavallètte… Si tutt’i pittùre a’mmesckassere i ckelùre, … èrde e blù c’ù rùsce vèrmiglje, èsce nù’ sole quadre… “’a Sagra Famiglje”. Mimmo La Viola


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Il privilegio del vivere di Michele Urrasio

Un uomo, una terra, la poesia

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estimonianza della lunga storia d’amore fra un uomo e la sua terra, fra un uomo e la Poesia, si potrebbe definire così “Il privilegio del vivere 1965-2015” di Michele Urrasio stampato da Catapano Editore, a Lucera, in occasione del cinquantesimo anniversario di questa unione, che, come ogni anniversario che si rispetti, serve in primo luogo a fare un po’ il bilancio. Bilancio senza dubbio attivo per il poeta Urrasio che ha riscosso sin dagli esordi il plauso di lettori e l’apprezzamento di autorevoli commentatori e critici di letteratura contemporanea. Già la sua opera prima, del 1965, Fibra su fibra si avvalse della magistrale prefazione dell’indimenticabile Giuseppe De Matteis, il quale, profeticamente così concludeva: «la produ-

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uando si parla di una persona che non c’è più, si corre sempre il rischio di commemorarne la figura sull’onda emozionale del lutto recente. Prevale in quei momenti il turbamento del distacco lacerante, la consapevolezza di un dolore che si fa fatica ad accettare, perché la vita di quella persona è parte integrante della nostra vita ed è fatale che la rassegnazione abbia difficoltà a porsi come soluzione all’ambascia. Successivamente, quando il ciglio è asciutto, è possibile recuperare quella serenità di giudizio che ci consente di valutare la persona scomparsa per la traccia che ha lasciato nella parabola della sua vita terrena, nel campo degli affetti, nella testimonianza dei valori che l’hanno guidata, nell’eredità morale che sopravvive sempre all’ingiuria del tempo. È questo il caso di Michele Maria Pernice, l’artista originario di Roseto Valfortore, che ci ha lasciato il 29 giugno dello scorso anno e che oggi, 17 novembre 2016, viene ricordato nella sala Mazza del Museo Civico, uno spazio che da tempo è fondamentale nel panorama culturale della nostra città.

L’uomo L’occasione è la presentazione del libro “Michele Maria Pernice – L’uomo e l’artista”, che è sintesi felice dell’attività dell’Associazione Amici del Museo Civico, presieduta dal dinamico Carmine de Leo, associazione nella quale l’artista ricopriva l’incarico di vice presidente. Il testo e le illustrazioni di cui è corredato sono, a loro volta, frutto di soci amici del defunto, Giucar Marcone e Franco Maruotti.

zione poetica di Urrasio contiene già, nel taglio del verso, nella concisione delle immagini e nel gusto della scelta degli elementi, tutte le componenti perché da poesia di ‘osservazione’ diventi poesia di ‘auscultazione’, di interiori risonanze, e possa parlare al cuore di quanti hanno conosciuto il dolore, affinando in esso la propria sensibilità». Il privilegio del vivere è una raccolta che nel suo nocciolo conferma, per usare un’espressione di Francesco D’Episcopo, «la forza impareggiabile delle radici ma anche la loro capacità, se ben alimentate, di farsi alberi con rami che si abbracciano per farsi forza e resistere alle intemperie del tempo e della storia». Michele Urrasio è originario di Alberona, piccolo comune sulle colline preappenniche, e il luogo natio, come in più occasioni ricordava Guido Piovene, interviene con ogni suo risvolto nella costruzione del carattere e della personalità, si sedimenta nella memoria divenendo valore culturale: veniamo da un luogo e quel luogo dentro portiamo: «Ho cantato/ senza voce i cari inganni/ della mia terra: il suo cuscino/ di polvere e di rugiada, le strade/ vuote, l’amarezza del sorriso/ spento tra nebbie e fuga di campi/ stremati». Il registro poetico di Urrasio si è alimentato e si alimenta di questo rapporto, le sue poesie potrebbero essere definite come un inno alla sua terra natale “aspra e forte” quale fonte di memorie e scenario in cui la realtà sfuma in mitica atmosfera: «balze dove trema/ l’erba e la quaglia lancia/

sparuto il suo richiamo», un rapporto pazientemente coltivato, attraverso cui il poeta ha acquisito esperienza, divenuta mestiere, nondimeno praticato con intenti trasparenti e con lo spirito autenticamente innocente di un adolescente. Chiunque abbia un po’ di dimestichezza con le terre del Preappennino, potrebbe testimoniare di questa parte della Puglia come di un mondo un po’ appartato – ritratto di un’Italia fragile e antica – con qualche scampolo del passato mitico-contadino, caratterizzato da vigneti minuti, silenzi sovrani, boschi, uliveti e sentieri solitari. A seconda della stagione, variano le tonalità del verde, d’autunno sinfonie di colori suscitano suggestioni entusiasmi e meraviglie: «adagiata nei colori/ dell’autunno: fronde rosse/ accese dal vento, singhiozzo/ di acqua perduta nei canali/ la ruggine/ dei tigli, il vuoto del muro/ a secco ai margini delle strade,/ la tristezza del sole che lento/ si sfalda sui muri di calce». Nei piccoli paesi, come Alberona, dove prevale – annotava Pasquale Soccio – «la purezza dell’aria, dell’acqua e dello spirito», tra fontanelle e piazzette par di tornare a una vita in armonia con la terra e con quanto le stagioni hanno da offrire. È da questi luoghi – terra come dato reale, raffigurazione simbolica e trasposizione esistenziale, casa da cui ci si distacca ma che dentro non si allontana – che si è venuta maturando e ampliando la voce poetica di Michele Urrasio in anni di lavoro e di scavo, e sparsa in varie occasioni, voce esercitata in una incessante ricerca poetica e che ha manifestato diverse possibilità espressive, arricchendosi di altri fermenti a «cercare parole tra sterpi d’aria», come peraltro attestano le sue numerose raccolte. La scrittura di Urrasio coniuga,

Presentato al Museo Civico il libro di Giucar Marcone

Michele Maria Pernice, l’arte che non muore associata alla professione di umiltà di una persona che opera in silenzio, senza sgomitare per guadagnarsi la ribalta.

Il Maestro Pernice in un ritratto di Franco Maruotti

La serata scorre lieve, punteggiata dai ricordi personali di Marcone, che ha anche raccolto le testimonianze sincere di amici comuni, viventi e non, a partire dall’inseparabile Franco Marasca (artefice del cenacolo culturale del Rosone), per proseguire con Duilio Paiano, Michele Urrasio, Alfonso Palomba, Giuseppe De Matteis, Maria Teresa Masullo, Lucio Miranda, Anacleto Lupo e altri ancora. Ne scaturisce il profilo completo dell’uomo, con il suo forte sentimento della famiglia, testimoniato con sobrietà dal figlio Luca, noto giornalista televisivo. Emerge anche la sacralizzazione del valore dell’amicizia e ce lo ricorda Marcone, quando nella sua presentazione riferisce di un motto creato dal maestro: “Chi è amico di Pernice è sempre felice”. Il suo tono era sempre venato di quella garbata ironia che era

L’artista E non aveva bisogno di agitarsi, perché per lui parlano le sue opere, delle quali Giuliana Macchia offre una efficace selezione fotografica. Omettiamo, per brevità, l’elenco completo, ma sarebbe bene raccoglierle in un esauriente catalogo che darebbe ancora più lustro al maestro. Proverbiale la sua meticolosità e la dedizione assoluta alle sue creazioni, nelle quali trasfondeva un amore indiscusso per l’arte, sorretto da una intensa spiritualità, maturata da una approfondita conoscenza dei testi sacri. Ecco allora le sue vie crucis, la statua di Santa Rita, il busto di don Antonio Silvestri. Riteniamo tuttavia che una menzione a parte meritino il portale della chiesa di San Giovanni Battista e quello monumentale (3 metri x 5) della chiesa di Gesù e Maria, un’opera complessa e densa di significato, che per una singolare coincidenza è stata inaugurata solennemente la sera del 29 giugno 2012, tre anni prima della sua morte, con una brillante relazione della professoressa Pasculli Ferrara, storica dell’arte. Il portale è articolato in due registri

Anno XXVIII - n. 4 Dicembre 2016

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nello spazio della pagina, il piacere estetico del comporre al sapere della parola, l’estro alla sedimentata cultura, sicché la sua ben concertata costruzione poetica si snoda secondo un registro di immagini, di segni, di intermittenze che concorrono a delineare, come formelle di un mosaico, un discorso complessivo. Nel lungo lavoro poetico di Urrasio variano i temi e i motivi ispiratori, nel tempo altri gli spunti sociali e le esigenze civili che si sono aggiunti alla sua indagine poetica, approfondendo ed estendendo «per ramificazioni sempre più armoniose ed intense, il suo mondo interiore», ma la cifra identitaria della sua voce, la protagonista dei testi urrasiani è la sua terra, anzi, ne costituisce il senso più profondo, proposto come possibilità dirimente dei dilemmi e dei travagli esistenziali connessi al vivere contemporaneo. I versi che sgorgano da tale rapporto sono lievi e complessi, strutturati secondo canoni moderni, ma lirici, intensamente lirici, vibranti e composti, secondo la migliore tradizione poetica del Novecento italiano. Ma, qual è il senso finale di questa raccolta antologica? Che il ‘bello scrivere’, come fa Urrasio, è innanzi tutto rispetto per la dignità della parola, nel nostro tempo spesso banalizzata, a volte abusata, e, come già con giudizio autorevole coglieva Mario Sansone, altresì rivela «in lui l’attitudine a governare con equilibrio la parola». Che la poesia, attraverso la forza, la fragilità e lo stupore della parola che, parafrasando alcuni versi del Nostro, «riaccende di meraviglia lo sguardo», è un percorso che permette di affrontare, di superare gli aspetti grigi dell’esistenza umana e di raggiungere dimensioni di armonia e di bellezza. Poesia, allora, come profezia. Poesia come lezione e messaggio di civiltà. Marcello Ariano narrativi. Nella parte inferiore, ecco a sinistra la figura di padre Agostino Castrillo (parroco nel 1936) a simboleggiare la chiesa locale, e a destra i santi Francesco e Chiara, in rappresentanza della comunità francescana. Nella parte superiore prorompono due figure maestose ad altorilievo. Gesù e Maria, rispettivamente a sinistra e a destra, sembrano volersi staccare dal bronzo in cui sono fusi e si protendono sul sagrato come per incoraggiare e accogliere il fedele. Traspare da questa opera un sentimento del trascendente, che collega in mirabile sintesi chiesa locale e chiesa universale, il passato remoto nei canoni imperituri e il presente attuale, impegnato a rendere quei canoni vivi e palpitanti nella realtà di ogni giorno. Lo scultore milanese Adolfo Wildt (1868-1931) diceva che “L’opera d’arte non è per gli occhi, è per l’anima”. Ci permettiamo di osservare che in questa opera l’armonia estetica si coniuga perfettamente con una profonda spiritualità e completa armoniosamente tutto il prospetto della chiesa che si affaccia su piazza Giordano. È così che il maestro Pernice gratifica chi contempla la sua arte ed è così che arricchisce la nostra città, trasformando il passato della sua esistenza terrena in un presente assolutamente vitale, che proietta la sua valenza anche nel futuro lontano. «La vita dei morti – scriveva Cicerone – sta nella memoria dei vivi». Il maestro Pernice è vivo nelle opere che ci ha lasciato e vivrà, perché coloro che verranno saranno fedeli custodi della sua memoria. Vito Procaccini


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In una casa un’altra casa trovo di Joseph Tusiani

Autobiografia del grande poeta garganico

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al 1988 al 1992 Joseph Tusiani ha dato alle stampe, per i tipi della Schena di Fasano, una trilogia narrativa autobiografica. I tre volumi, intitolati rispettivamente La parola difficile, La parola nuova e La parola antica, formavano un corpus di circa mille pagine, offrendo un’imponente e significativa testimonianza degli effetti prodotti sul protagonista e sui suoi familiari da un evento dirompente e insieme persino banale, almeno in certi periodi e in certe aree geografiche, quale l’emigrazione. Sono dei libri che ancor oggi si leggono con interesse, ma che, nello stesso tempo, presentano dei vistosi difet-

ti, rappresentati soprattutto dall’eccesso di notizie e di informazioni, che portava Tusiani ad affiancare dati rilevanti a pagine di interesse esclusivamente familiare o locale, che talvolta davano persino l’impressione di immodestia e di gratuita ostentazione. Tra tante parole, insomma, si perdeva il senso dell’operazione, il motivo per il quale un compito e raffinato intellettuale come Joseph Tusiani aveva scelto di rivolgersi al lettore. Ora, a distanza di anni, questo difetto d’origine è stato eliminato nel migliore dei modi, grazie alla pubblicazione del volume In una casa un’altra casa trovo, sottotitolato Autobiografia di un poeta di due terre, edito dalla Bompiani di Milano nella collana dei Grandi tascabili, a cura di Raffaele Cera e Cosma Siani. Il testo, di 446 pagine, è il risultato di un’attenta e paziente opera di revisione e riscrittura, nella quale Tusiani, classe 1924, dunque decisamente in là con gli anni, ma ancora lucidissimo e molto attivo, anche se d’estate non torna più in Italia, ha chiamato a collaborare quello che è oggi ritenuto il maggiore studioso della sua opera, ossia Cosma Siani. Siani, linguistica e docente universitario, è nato anche lui a San Marco in Lamis, dunque ha potuto offrire il suo contributo alla realizzazione di un testo che lo ha impegnato intellettualmente ed affettivamente, come si legge nella Postfazione, non a caso a sua firma. In queste pagine finali è condensato il senso di un magistero culturale che copre tutto l’arco del

Maestre e Maestri del Poerio

Tutto il fascino di una professione che ha «segnato» la storia d’Italia

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ontinua la tradizione del Liceo «C. Poerio» di Foggia che arricchisce la sua collana di pubblicazioni storiche con il recente Maestre e maestri del Poerio, dall’Unità d’Italia ai giorni nostri. La pregevole opera è curata da Mario Melino e Mario Freda e si avvale della presentazione di Enza Maria Caldarella, dirigente scolastica del glorioso Istituto foggiano.

Le due parti del libro sono destinare, rispettivamente, a Maestre e maestri d’Italia, Formazione e condizioni socio-professionali (a cura dell’ispettore tecnico Mario Melino) e Maestre e maestri del Poerio, da corso preparatorio a Istituto magistrale a Liceo psicopedagogico a linguistico (a cura di Mario Freda). La prima sezione ripercorre storicamente la figura del Maestro in Italia, accompagnando questo percorso con l’evoluzione nel tempo di questa affascinante professione che può ascrivere a suo merito quello di aver formato centinaia di migliaia (forse milioni…) di bambini in tutte le regioni del Paese. Inoltre, Mario Melino non manca di proporre anche i cambiamenti legislativi che hanno adeguato nel tempo le condizioni e le peculiarità di questa figura educativa. Soffermandosi, in particolare, sull’essere maestri prima della Repubblica e dopo l’avvento della Repubblica. Insomma, un excursus molto interessante che ci accompagna non solo

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secondo dopoguerra, fino ad oggi, lasciandoci con una morale alquanto amara, con il senso di una smitizzazione del sogno americano, di una riduzione a più modeste proporzioni di quest’avventura esistenziale. Di qui il passo finale, affidato direttamente alle parole di Tusiani: «…l’America non era affatto la terra delle mie delicate e anacronistiche trepidazioni ma il paese dell’avventura appassionata e violenta che solo ai suoi concittadini violenti e appassionati offriva un’amplitudine di sogno detta futuro». Lette più volte, queste parole rivelano tutto il loro fondo amaro e si collegano direttamente alla breve introduzione, A mo’ di prologo, che porta la data del marzo 2016, in cui lo scrittore ripensa a quelle parole passate, affidate alla carta dal 1988 al 1992, constatando il senso della labilità, riscontrando la verità del celebre panta rei di Eraclito («Oggi non sono la persona che ero ieri. Cambiamo costantemente e cambia, in noi e con noi, anche la familiare memoria della parola»). L’uomo muta, dunque, ma resta viva in lui la speranza di comunicare con il prossimo, di lasciare una ricca eredità di affetti e di valori, nel nome della cultura, e in questo senso l’opera di revisione dell’autobiografia trova delle validissime motivazioni, che vengono ben colte da chi si confronta con questo libro, che parte pur sempre, e non poteva essere diversamente, dall’evento centrale nell’esistenza di Giuseppe Tusiani da San Marco in Lamis, ossia l’incontro con il padre emigrato negli Stati Uniti sei mesi prima che lui nascesse, e da allora mai più tornato sul Gargano. Giuseppe è cresciuto con la madre, ha lottato con la povertà, ha stretto i denti e si è brillantemente laureato in Lettere a Napoli, discutendo una tesi su Wordsworth, ma ora lo attende una prova ancora più grande, rappresentata dall’incontro con l’uomo che deve chiamare padre e dall’im-

patto con la realtà americana, così particolare, ricca di possibilità ma nello stesso tempo spietata. L’autobiografia diventa così un ricordo di vita e un campione sociologico, mostrando le conseguenze del passaggio dall’altra parte dell’oceano in una famiglia che si ritrova, ma non può cancellare il passato. La madre non si integrerà mai nel mondo anglosassone, restando fedele alle sue origini garganiche, e Giuseppe, diventato Joseph, dovrà riconoscere la differenza esistente tra lui ed il fratello, Michael Dante, nato nel 1948 e ormai americano a tutti gli effetti, pronto a cavalcare il sogno americano. L’esperienza dell’emigrazione, insomma, viene vissuta in modo diverso dai protagonisti, insieme persone vive e simboli di un’integrazione difficile in un mondo pieno di pregiudizi e barriere, malgrado certe apparenze, in cui comunque Tusiani riesce a farsi strada con le sue gambe. Egli diventa, così, docente universitario senza far parte di baronati e consorterie, pubblica tantissimi lavori di traduzione che hanno reso la letteratura italiana più vicina a quella americana, ottiene premi e soddisfazioni, Dal viaggio del 1947 agli anni Ottanta l’autore resta fedele al suo modo di raccontare, mai troppo risentito, sempre portato a rimanere nell’ambito di una misura in fondo di ascendenza classica. Tusiani non censura certe pagine negative, certe vicende storiche come quelle legate al maccartismo, ad esempio, ma tende a ridurre tutto a più debite proporzioni. Restano, in ogni caso, i fatti, la morale e il senso di una vita, che da oggi giungono al lettore nel migliore dei modi, grazie a questa autobiografia.

nei meandri della specifica professione di maestro ma anche nei mille risvolti della legislazione scolastica italiana conseguenti ai mutamenti sociali del Paese. Mario Freda, invece, si occupa della parte più strettamente legata al territorio e all’Istituto «C. Poerio», suddividendo la sua ricerca in segmenti temporali che vanno dagli esordi della «Scuola Normale» ai primi anni della Scuola Regia Normale e, ancora, alla vita dell’Istituto dalla I Guerra mondiale al fascismo, durante il Fascismo, fino a giungere alla Repubblica. È certamente una vicenda palpitante e molto interessante e dimostra come la vita di una scuola sia legata strettamente a quella del territorio e della collettività che serve. Emergono da queste pagine avvenimenti e personaggi che hanno fatto non solo la storia del «Poerio» ma anche quella della città e della Capitanata. Sia nel caso di Melino che in quello di Freda, gli archivi storici (di Stato, comunale e provinciale) sono stati preziosi serbatoi di notizie a cui attingere, unitamente all’archivio dell’istituto che ha consentito di ricostruirne fin nei minimi particolari l’avvincente avventura culturale ed educativa. «La pubblicazione di questo volume – scrive nell’introduzione la dirigente scolastica Enza Maria Caldarella – si pone in naturale continuità, nel solco

della pubblicistica storico-documentaristica di valore, con quella, avvenuta nel 2013, del fondamentale testo “Il Poerio – 150 anni di educazione e cultura (1861-2011)”. (…) Gli inestimabili frutti dello studio certosino del dott. Mario Freda, della sua curiosità intellettuale e della sua autentica passione per la ricerca storica sono raccolti in queste pagine, che restituiscono rinnovato valore al ricchissimo patrimonio di atti e documenti reperiti e riscoperti negli Archivi, mediante i quali egli ha ricostruito, passo per passo, i fatti e gli eventi che nel tempo hanno portato il Palazzo degli Studi di Foggia, la casa del Poerio, ad essere più che un edificio di pietre e cemento: un luogo simbolico per la nostra città; un “luogo dell’anima”. (…) L’emozione che si avverte sfogliando il testo dell’apprezzato Ispettore Tecnico dott. Mario Melino è quella che proviene dal presagire, al voltar delle pagine, la miriade di piccole e brillanti sorprese che ci attendono, sapientemente raccontate dalla felice penna dell’autore, che fan da gradevole retrogusto alle tante, a volte teneramente esili storie di quotidiana abnegazione d’altri tempi raccontate ne le “Maestre e Maestri d’Italia” che, con il loro prezioso e spesso misconosciuto lavoro, han reso grande la nostra città, l’Istituzione educativa e il nostro Paese». Duilio Paiano

Francesco Giuliani Joseph Tusiani, In una casa un’altra casa trovo, Bompiani, Milano, 2016


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uando di notte guarderai il cielo, la mia stella sarà per te il mio regalo. Io ti sorriderò di lassù. E così non sarai più triste. (A. de Saint Exupéry). Con queste parole si apre il libro Spiragli in cui Nicola Fuiano ha voluto raccogliere le pagine fitte di un quaderno che il professor Remo Fuiano, suo genitore, aveva scritto negli anni, di proprio pugno. Si tratta di una raccolta in cui il docente-educatore lascia il segno della qualità delle sue lezioni attraverso aforismi, citazioni, versi, considerazioni. L’intento de Il Provinciale, con questo spazio dedicato alla pubblicazione, non è altro che quello di indurre alla lettura del «non poi tanto minuto zibaldone», come lo chiama Walter Scudero nella presentazione che di seguito riportiamo in ampi stralci.

Quanto è ampio lo spazio che ci circonda così è ampio lo spazio dentro il cuore; in esso sono concentrati la terra e il cielo, il fuoco e il vento, il sole e la luna, il lampo e le stelle. Ciò che possiede un uomo qui sulla terra è anche ciò che non possiede, tutto, tutto è concentrato nel minuscolo spazio del cuore.

(…) Non sono propenso, solitamente, in una mia presentazione ad un libro, a soffermarmi in particolari riguardanti il vissuto di un autore, né a richiamare dall’oblio ed escogitare come rinverdire memorie e frammenti di passato che possano avermi accomunato, in qualche modo, a lui. Il più spesso, ciò sa di stantio, melenso, stucchevole e, solitamente, non desta l’interesse del lettore. Questa volta, però, non riuscirei a trattenermi dal far rivivere in me i ricordi … (…) … Come potrei arrestare il flusso dei ricordi? I Fuiano furono la prima coppia di novelli sposi che strinse forti legami d’amicizia con quella dei miei genitori. Mia madre - era la fine degli Anni ’40 del ‘900 - giovane sposa anche lei, era venuta su dal Salento e la sua prima ‘comarella’ torremaggiorese fu Mariella, la primogenita di Remo e Michelina, di cui lei fu madrina di battesimo. Poi, da Silvio e Rosa, nacqui io e, a seguire, i Fuiano ebbero Nico e, più tardi, Massimo. Mio padre, grande amico di Remo, divideva con lui indimenticabili momenti sportivi e d’impegno politico: delle vere epopee!... Così, rammento, della mia infanzia, degli episodi, ad un tempo slegati ed uniti, che tornano anche solo come immagini, frammenti di un cortometraggio (‘corto’ purtroppo): Mariella che, a merenda, del panino con la mortadella, prima di ‘aggredire’ il centro, mangiava, del companatico, quello che pendeva tutt’in giro … Io e Nico che, aspramente redarguiti dai nostri genitori per aver gettato acqua dal balcone sui sottostanti passanti, finivamo il nostro pomeriggio con, nei pantaloni corti, le gambe ‘calde’ di schiaffi … I deliziosi cioccolatini e i cremini che non mancavano mai nel salotto di compare Remo e che difficil-

libri sotto l’Albero Spiragli di Remo Fuiano, ricordando un maestro di vita

Raccolta postuma di brani tra l’aforisma e la poesia mente si riusciva a rubare per via del tonfo cupo e ben avvertibile nel resto della casa, che la botola per il grano del pianerottolo antistante alla sala mandava ogni volta che, nonostante i nostri accorgimenti, la attraversassimo … E che dire del morbillo che ‘ci passammo’ insieme l’uno dopo l’altro? E delle feste in casa? E degli scherzi architettati anche dagli adulti, in fondo solo di 20 anni più vecchi di noi bambini?... E come dimenticare i pizzicotti ‘affettuosi’ di Remo? Facevano un male cane!... Poi, durante l’estate, più grandicello, fui a lezione di latino presso di lui ed allora i … pizzicotti divennero meno affettuosi … Né dimenticherò, sorridendo ancora, come, alla nascita di Massimo, compare Remo pensò di imporgli il nome di Piergiorgio e come comare Michelina – tutti in famiglia avevano l’erre moscia - lo supplicò di non farlo, considerando che, altrimenti, avrebbero avuto difficoltà a … chiamarlo, questo loro figliolo. In seguito, i Fuiano si trasferirono a San Severo e, dopo i primi tempi, progressivamente, salvo che durante l’estate a Silvi Marina e a Francavilla al Mare noi ragazzi crescevamo ed i nostri invecchiavano - quantunque rimanesse vivo l’affetto, ci si vide sempre meno. (…) Poi, negli anni - da colleghi - telefonate mie a Nico e sue a me; ultimamente, la

mia presentazione del libro di immagini del carissimo Remo Fuiano Junior, ed eccomi, ora – chi l’avrebbe mai detto? autore della presentazione di Remo Senior per “Spiragli”. Il prof. Remo Fuiano (Torremaggiore 19/9/1919 + San Severo 20/1/2007), tanti, in particolare tra i torremaggioresi anziani, lo ricordano, con affetto e stima, per essere stati suoi alunni o per averlo conosciuto apprezzandone l’esempio di una vita vissuta nella logica del servizio, con tutta l’anima, con infinita dedizione. Per lui, uomo attivamente impegnato a vivere un’esistenza piena, la famiglia, la scuola, la chiesa Cattolica, la Diocesi sanseverese, ed anche il partito, la vecchia Democrazia Cristiana, rappresentarono delle priorità imprescindibili. A che scopo rammentare che fu insignito del Merito Distinto per la sua attività di docente o che l’Editrice Loffredo lo scelse a preparatore di testi di latino per la scuola? Tant’altro si potrebbe dire, ma non è il suo necrologio quello che m’interessa stilare. Neppure l’avrebbe voluto, credo. Anzi, com’egli stesso avrebbe suggerito, se è vero che ricordare è assai meglio che dimenticare è pur vero che la memoria è fragile e discontinua, esattamente come la luce e la gioia, perennemente insidiate dalla corrosione. E poi, le parole a volte sono nulla. Come nulla è

Questa è l’ora della mia partenza. Non mi domandate cosa ho preso da portare con me. Parto per il mio viaggio a mani vuote e con il cuore pieno di speranza. (dal diario di Remo Fuiano) Il ricordo del figlio Nicola «Nella notte tra venerdì 19 e sabato 20 gennaio 2007 il professor Remo Fuiano terminò la sua esemplare esistenza terrena. Nato a Torremaggiore (FG) il 19 settembre 1919, dopo il diploma di maturità intraprese gli studi universitari iscrivendosi alla Facoltà di Lettere. Chiamato alle Armi in occasione del 2° conflitto mondiale, seppe guadagnarsi la Croce al Merito di Guerra (R.D. 14.12.1942 n. 1729 e della L. 4 maggio 1951 n. 571). Conseguito il Diploma di laurea in Lettere presso l’Università degli Studi di Napoli il 4 dicembre 1945, spese ben 40 anni al servizio della scuola come docente di Lettere e preside nella Scuola media, successivamente come titolare di cattedra di Lingua e Letteratura italiana e latina nei licei statali. Medaglia d’oro al Merito Distinto conferitagli dal Ministero della Pubblica Istruzione, è autore di testi scolastici; e tra questi estremamente importante Latinitatis Exempla, richiestogli dalla Loffredo Editore in Napoli. Assiduo donatore di sangue, meritò il Diploma di Medaglia di bronzo e di Medaglia d’argento dalla sezione A.V.I.S. di San Severo. Collaboratore instancabile dei vescovi della Diocesi di San Severo, fu impareggiabile protagonista nell’ascesa a dignità di Santuario della Chiesa dedicata a Maria SS della Fontana in Torremaggiore. Alla morte dello zio Mons. Giuseppe Lariccia, fu artefice, con Padre Arturo da Visciano, della conclusione dei lavori della Casa della Divina Provvidenza in Torremaggiore. Più volte si dedicò con ineguagliabile impegno civile alla vita politica locale e fu chiamato a rappresentare la sua amata Torremaggiore nelle competizioni elettorali in qualità di candidato consigliere provinciale.

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il vento che, se pur forte, passa e se ne va. Le parole a volte sono tutto. Come tutto è l’aria, che poi compone il vento, e che rimane, anche se il vento se ne va. In fondo, quel che conta davvero nel ricordo di chi resta, è che non c’è presenza più forte di quella di chi è assente. Ed ecco che m’accorgo d’essere già entrato in sintonia col il Nostro, citandone alcuni aforismi scelti tra i numerosi di cui il libro si compone. Vogliono, in fondo, essere queste le pagine ‘ritrovate’ dal figlio Nico, quelle d’un quaderno di appunti fittamente assemblati con carattere minuto: uno spiraglio aperto su di un’umanità che si disvela nella scelta di citazioni o di poesie raccolte ed elette a far parte del proprio ‘diario segreto’, proprio in quanto condivise al punto da averle profondamente sentite e fatte proprie. La scelta di un Autore piuttosto che un altro non è mai casuale, bensì essa è dettata dalla propria personalità; e, dunque, posto che si scelga di preferire dei brani piuttosto che altri, dimmi chi leggi e ti dirò chi sei. Sarebbe, in effetti, difficile, in questo non poi tanto minuto zibaldone del prof. Fuiano - a meno che non ne faccia fede l’attribuzione puntualmente annotata dall’Autore - distinguere ciò che appartiene ad altri da quel che potrebbe essere frutto diretto del suo cogitare e della sua penna. Ma, a che varrebbe, in fondo, sondare? La sua filosofia di vita, il suo pensiero sull’amore, le sue propensioni di credente e strenuo difensore della fede cristica, il suo orientamento nei riguardi della natura, l’incanto profondamente avvertito al cospetto col creato, la serietà dell’uomo impegnato nel proprio dovere, l’intolleranza nei confronti della fatuità, il richiamo dell’eternità, sono tutti elementi ben riconoscibili nell’aforismario da lui raccolto nel corso degli anni, e parlano di lui, chiaramente lo connotano, ce ne rendono leggibile l’anima di uomo onesto, adamantino, determinato e, ad un tempo, dolce e sognatore. (…) Piuttosto, vorrei stimolare ed orientare l’interesse del fruitore di “Spiragli” nel senso dell’osservazione e della ricerca dei nomi degli autori più vari, italiani e stranieri, classici o contemporanei, che rappresentano altrettante testimonianze del ricchissimo ventaglio culturale dell’Autore. Un Autore, fra l’altro, questo nostro, ineccepibilmente serio ed impegnato e, tuttavia, non immune dal lasciarsi tradire, a tratti, da un raffinato humour che, non di rado, se mai non s’accordasse con un’intelligenza di tipo superiore, potrebbe persino apparire … dissacrante, quando invece, a saper ben leggere tra le righe, si esplicita in una posizione perfettamente opposta; un ammiccare sornione, dunque, questo atteggiamento del Fuiano, alla celia erudita e giocosa di cui egli fu tutt’altro che privo. (…) Il professor Remo Fuiano sarà ricordato, a dieci dalla scomparsa, con due iniziative che avranno luogo il 19 e 20 gennaio prossimi a Torremaggiore. Il 19, alle ore 18,30, messa di suffragio officiata da don Matteo Pensato nella chiesa di Santa Maria della Strada. Giorno 20 gennaio, alle ore 19,00, nell’aula magna del Castello ducale, presentazione del volume Spiragli, raccolta di aforismi e pensieri di Remo Fuiano. È previsto l’intervento del dott. Pasquale Monteleone, sindaco di Torremaggiore; della dott.ssa Maria Pina Zifaro, assessore alla Cultura; del dott. Marcello Ariano, poeta; del dott. Walter Scudero, saggista; della dott.ssa Falina Marasca, editrice; del dott. Francesco Alicino, ex-alunno, dirigente medico della Direzione sanitaria dell’IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo.


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sAlute & tempo libero

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Provinciale

Giornale di opinione della provincia di Foggia

CRONAChe Del CINeMA

La cena di Natale di Marco Ponti

A

un anno circa dall’uscita del film “Io che amo solo te”, Marco Ponti porta al cinema anche il secondo romanzo di Luca Bianchini “La cena di Natale” e torna, così, a raccontare vicissitudini e amori di Chiara, Damiano, Ninella, Don Mimì, Matilde… La cornice è ancora una volta quella mozzafiato di Polignano a Mare che, dopo aver ammirato d’estate in “Io che amo solo te”, adesso ritroviamo straordinariamente imbiancata dalla neve, un evento più unico che raro a Polignano, ma che serve a dar vita ancora di più all’immagine di una vigilia idealmente fatata che, tuttavia, non lesinerà colpi di scena. A Polignano a Mare, dunque, è la vigilia di Natale e, nonostante “Non siamo mica a Bari! Che la vigilia di Natale si festeggia a Bari e non 35 Km più in basso!”, Matilde, esaltata dall’anello di smeraldo che il “fedele” marito, Don Mimì, le ha appena regalato, vuole organizzare a tutti i costi, per quella sera stessa, una cena della viglia in pompa magna, con tutta la famiglia, parenti acquisiti compresi, anzi, soprattutto quelli. Con il suo anello al dito, Matilde si sente (quasi) invincibile e dentro di lei si fa strada il desiderio di rivalsa, mai sopito, nei confronti di Ninella, sua consuocera, e, quel che è peggio, amore giovanile e indimenticato di don Mimì, sì, proprio quel Mimì, il “devoto e generoso” consorte di Matilde! In questo clima di tensione e vendetta malcelata, mentre gli accenti pugliesi vanno e vengono, anzi, stanno e non stanno, la cena spettacolo incomincia: ogni personaggio indossa il vestito più bello e sfodera il sorriso più smagliante per la quiete delle due famiglie protagoniste, quelle di Damiano e Chiara, sposi novelli e prossimi genitori che, basta non contare le continue scappatelle di lui, si vogliono bene. La cena di Natale arriva sotto l’albero come una pellicola che, muovendo da Chiara e Damiano, racconta una storia di amore fatta di più storie d’amore, in scena anche l’amore omosessuale, quello tra Orlando e Mario o quello tra Daniela e Olga. Nessuna di queste è perfetta, nessuna ideale, ma tutte sono intrise di difficoltà, défaillance, cadute, errori, perdono. E così, alla fine, anche stavolta, nella notte di Natale, ogni conflitto si appianerà, ogni tentativo di fuga sarà riportato all’equilibrio e anche ogni rottura sarà ricomposta nel nome dell’amore e del bambinello appena nato, o meglio, della bambinella, perchè Damiano e Chiara metteranno al mondo una figlia femmina, e non poteva essere diversamente, perché gli uomini sono mascalzoni, e questa era ed è una storia trainata dalle donne, dalle Ninelle ma anche dalle Matilde, dalle sorelle milanesi e perfino dalle Chiare e dalle amanti. Dunque c’è un lieto fine ed è a questo punto che il sequel di “Io che amo solo te” rischia di scivolare inesorabilmente in un’evoluzione scontata, perché, pur mantenendo un discreto livello di scrittura, man mano che scorre, perde un po’ di credibilità negli snodi narrativi, e, nella scena clou, cade in evidenti errori di continuità rispetto al montaggio. Tutti gli interpreti, però, sono bravi nel dar corpo ai loro personaggi. Chi è pugliese o ha parenti pugliesi, molto probabilmente, vedendo alternarsi le vicende che interessano la pellicola, nutrirà una reazione di familiarità e sorriderà, o, ancora più facilmente, riderà. Ad altri, alcune situazioni potrebbero apparire, invece, più caricaturali. E a proposito di pugliesi, “il pugliese”, è innegabile, è un linguaggio sempre più ricorrente nelle nostre sale, che strappa il sorriso, a seconda di come lo si utilizzi, ovviamente! In tal senso, merito va dato, in primis, a chi ha iniziato a percorrere il filone, da Emilio Solfrizzi a Sergio Rubini, in parte anche a Lino Banfi fino ad arrivare a Checco Zalone e, ultimo ma non meno importante, ad Uccio De Santis che, proprio per “la cena di Natale”, ben confeziona, nell’abito talare di Don Gianni, il ruolo del grillo parlante del paese, prete anticonvenzionale e onnipresente in una Polignano che fa da sfondo alla commedia, coccola lo spettatore con i suoi paesaggi e dà senso all’intera visione del film, cartolina emblema della bellezza della costa pugliese, spot perfetto per l’estate 2017. Marida Marasca

Gentili lettori, il tempo che stiamo vivendo costringe a non pochi sacrifici quanti continuano a promuovere la cultura della nostra terra. La forza che rimane è quella che ci viene da chi ancora studia e si impegna perché ciò avvenga… Per questo non vogliamo che cambi la missione de il Provinciale, giornale di opinione della provincia di Foggia fondato da Franco Marasca nel 1989, con l’intento di mettere al servizio dell’informazione e della cultura di Capitanata un organo aperto, indipendente, in grado di proporre e ospitare dibattiti sugli aspetti dello sviluppo e della promozione del territorio. Chi legge i giornali oggi, però, ama farlo anche cercando le notizie online. Di qui la nostra proposta per l’anno che verrà: il Provinciale, cartaceo e non, diventerà semestrale e come sempre punterà l’occhio sulla terra di Capitanata.

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Anche per il 2017 ognuna delle uscite sarà accompagnata da un volume: 1 (Giugno 2017) dall’Unità alla crisi dello stato liberale - L’avvento del fascismo di N. D’APOLITO 2 (Dicembre 2017) dalla Macchia nell’occhio di L. VECCHIARINO Sottoscrivendo l’abbonamento si ha diritto ad un terzo volume: Foggia per un tracciato antico di M. T. MASULLO. Chi sottoscrive l’abbonamento al Provinciale e al Rosone avrà diritto a scegliere uno dei volumi tra questi proposti di seguito: - La storia sui muri di V. SALVATO - La sultana di V. SALIERNO - Una “lunga fedeltà” Aspetti e figure della Puglia letteraria contemporanea di G. DE MATTEIS Riceverà il libro chi ha sottoscritto l’abbonamento e chi lo acquisterà con il giornale, a soli 3,00 Euro in più presso le edicole di seguito in elenco: Carapelle: Vallario - Edicola - L. della Rimembranza. Deliceto: Tarallo - Edicola - C. Umberto. Foggia: Bianco - Edicola 25 - V. Di Vittorio; Di Liso - Edicolè - P. Duomo; Montanari - V. Oberdan. Lucera: Finelli - Edicola - V. Di Vagno; Catapano Libreria - V. Dante. Manfredonia: Guarino - Il Papiro - C. Manfredi. Orsara: Del Priore - Edicola - C. V. Emanuele. Ortanova: Tamburro - Cartolibreria/Edicola - Via V. Veneto. Rodi G.co: D’Errico - Emilcart - C. M. della Libera. San Severo: Notarangelo - Cartolibreria/Giornali - P. Repubblica. S. Marco in Lamis: Soccio - Edicola P. M. delle Grazie. Stornara: Iagulli - Edicola - P. della Repubblica. Troia: Seppielli - Cartolibreria - C. R. Margherita.

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