Giornale italiano di Oftalmologia

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il giornale italiano di

S U P P L E M E N T O

01 anno 2023

OFTALMOLOGIA INFORMAZIONE SCIENTIFICA DI OFTALMOLOGIA

SPECIALE 14° CONGRESSO NAZIONALE

con la collaborazione di

Al Professor Bruno Lumbroso Maria Cristina Savastano (pag. 9)

FGE S.r.l - Reg. Rivelle 7/F - 14050 Moasca (AT) - Redazione: Strada 4 Milano Fiori, Palazzo Q7 - 20089 Rozzano (MI) - Supplemento EyeSee n. 4/2023 - COPIA OMAGGIO


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INDICE

Presentazioni Marco Borgioli, Luca Menabuoni, Silvio Zuccarini 5 Alessandra Balestrazzi 5 Teresio Avitabile 7 Leonardo Mastropasqua 7 Al Professor Bruno Lumbroso Maria Cristina Savastano Le neoplasie palpebrali: come riconoscerle e come trattarle Francesco Quaranta Leoni, Antonella Leonardi

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Novità terapeutiche dell’occhio secco Romina Fasciani, Luigi Marino

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Chirurgia corneale robotizzata sottrattiva e additiva: il futuro del trattamento delle ametropie, del cheratocono ed ectasie corneali Leonardo Mastropasqua

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Profilassi farmacologica delle complicanze infettive 30 ed infiammatorie della chirurgia della cataratta alla luce delle nuove Linee Guida AIMO Alessandro Franchini, Iacopo Franchini Lesioni melanocitiche coroideali di piccole dimensioni: nevi o melanomi? Cinzia Mazzini

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Live surgery: cultura o spettacolo? Vittorio Picardo

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A tu per tu 50 Michele D’Asaro intervista Vincenzo Sarnicola Splash 53 Approfondimenti in collaborazione con le aziende del settore

M. Borgioli L. Menabuoni S. Zuccarini G. Alessio D. Bacherini A. Balestrazzi G. Marchini A. Galan L. Mosca R. Mastropasqua V. Picardo R. Protti M.C. Savastano

Hanno collaborato a questo numero M.C. Savastano F. Quaranta Leoni A. Leonardi R. Fasciani L. Marino L. Mastropasqua A. Franchini I. Franchini C. Mazzini V. Picardo M. D’Asaro V. Sarnicola

Editore

FGE S.r.l Fabiano Gruppo Editoriale Redazione: Strada 4 Milano Fiori, Palazzo Q7 20089 Rozzano (MI) Sede legale: Regione Rivelle, 7 14050 Moasca (AT) Tel. 0141 1706694 - Fax 0141 856013

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info@fgeditore.it tel. 0141 1706694

Direttore responsabile Ferdinando Fabiano f.fabiano@fgeditore.it

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S U P P L E M E N T O

01 anno 2023

OFTALMOLOGIA INFORMAZIONE SCIENTIFICA DI OFTALMOLOGIA

SPECIALE 14° CONGRESSO NAZIONALE

COPIA OMAGGIO

Board

con la collaborazione di

Al Professor Bruno Lumbroso Maria Cristina Savastano (pag. 9)

FGE S.r.l - Reg. Rivelle 7/F - 14050 Moasca (AT) - Redazione: Strada 4 Milano Fiori, Palazzo Q7 - 20089 Rozzano (MI) - Supplemento EyeSee n. 4/2023 - COPIA OMAGGIO

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Presentazioni

Marco Borgioli, Luca Menabuoni, Silvio Zuccarini Amici eccoci qua, abbiamo pensato a lungo a questo momento, quello di fare e presentarvi una nuova rivista oftalmologica. Marco Borgioli, Silvio Zuccarini ed io abbiamo riflettuto a lungo sul da farsi e come fare; abbiamo così riunito un comitato di redazione, un editore e “coram populo” abbiamo partorito il Giornale Italiano di Oftalmologia. Come vedete la nostra rivista è molto curata nell’immagine ed ha anche un importante richiamo patriottico, il nostro bel tricolore risalta in copertina. Questi due focus sottolineano l’attenzione e la cura che avremo nel seguirla ma anche e soprattutto che la nostra specializzazione non ha bisogno di tanta esterofilia per brillare, siamo bravi, diciamocelo. Una rivista nazionale anche per dimostrare che uniti siamo una bella cosa, uno accanto all’altro attraverso uno scambio anche cartaceo di notizie favorirà la nostra crescita. Il mondo delle divisione che ci ha tormentato negli ultimi anni, accompagnato da toni decisamente sopra le righe, sta finendo, le lettere dei presidenti delle due più importanti società Oftalmologiche italiane, AIMO e SISO, e del presidente degli Universitari, SOU, che troverete nelle prossime pagine, ne sono un esempio tangibile. Società che hanno una sola anima, fare scienza e condivisione in un clima sereno e amichevole, il futuro pare già ben delineato. All’interno del “giornale” troverete sempre dei focus degli opinion leader, ma anche di tutti quelli che vorranno essere protagonisti, su argomenti di interesse quotidiano. Argomenti che verranno trattati con fare divulgativo così da essere assolutamente chiari e piacevoli da leggere. Gli amici universitari sapranno sottolineare a che punto è arrivata la ricerca nel nostro paese per renderci partecipi delle novità. Ci sarà uno spazio per le aziende, quando avranno desiderio di raccontarci le loro novità sia nelle strategie farmacologiche che nelle novità per la diagnostica, la chirurgia e le soluzioni ottiche, saremo felici di ospitare i loro scritti. Non mi dilungo oltre e vi lascio alla lettura sperando che possa incontrare i vostri favori, il nostro impegno ve lo garantiamo. Luca Menabuoni

Alessandra Balestrazzi, presidente AIMO Partecipo con piacere alla presentazione della nuova rivista di oftalmologia, ho avuto il privilegio di vederne in anteprima la grafica e di conoscerne i primi contenuti e ne sono entusiasta. Un giornale italiano che porterà alla conoscenza di tutti i colleghi le ultime novità in modo chiaro, diretto e semplice, aperto a tutti coloro che avranno desiderio di raccontare i loro lavori in prima persona. Il comitato di redazione, di cui farò parte, valuterà con attenzione i vari articoli per selezionare i più interessanti e quelli che porteranno risultati comprovati da metodologie rigorose. Sono sicura che verrà dato un importante spazio ai colleghi più giovani, brillanti ed entusiasti, che potranno far crescere con le loro novità l’interesse dei lettori per il giornale. Faccio quindi i miei migliori auguri a questa lodevole iniziativa

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PRESENTAZIONI

Teresio Avitabile, presidente SISO Cari Oculisti Italiani, la nascita del Giornale Italiano di Oftalmologia rappresenta senza dubbio un momento di notevole rilevanza nello scenario dell'oftalmologia italiana. In qualità di Presidente della Società Italiana di Scienze Oftalmologiche, mi trovo a manifestare il grande entusiasmo suscitato dalla nascita di questa nuova rivista, che vuole essere un punto di riferimento per il continuo sviluppo della nostra disciplina nel nostro Paese. Si tratta di un progetto editoriale concepito in modo costruttivo per supportare la comunità degli oculisti italiani, affrontando tematiche che interessano la pratica clinica quotidiana e dando voce ad opinion leader del settore e a tutti gli oculisti che vorranno dare il loro contributo. Sono convinto che una rivista che nasce con questi presupposti, non potrà che arricchire la nostra comunità scientifica. Permetterà il confronto da un punto di vista scientifico e clinico, che è la base per la crescita del singolo e della intera comunità scientifica. Permetterà l'aggiornamento continuo sulle novità diagnostiche e terapeutiche, innalzando sempre di più il livello scientifico degli oculisti d'Italia. Importante sarà anche il ruolo sociale di questa nuova rivista che racconterà a chi non è potuto essere presente gli eventi scientifici e i congressi che si sono verificati in Italia nel periodo antecedente alla pubblicazione della rivista. Il mio augurio, a nome della SISO, è quello di riuscire a diventare la rivista degli oculisti d'Italia.

Leonardo Mastropasqua, presidente SOU La nascita di un giornale italiano di Oftalmologia ha un significato importante, in un momento storico in cui da anni tutti noi cerchiamo di pubblicare all’estero su riviste impattate. Questo giornale italiano avrà sicuramente una funzione di “collante scientifico” tra tutte le esperienze cliniche e di ricerca degli oculisti italiani, universitari, ospedalieri e liberi professionisti, che potranno confrontarsi per raggiungere l’obiettivo di curare al meglio il paziente. La SOU (Società degli Oftalmologi Universitari) ha come scopo primario quello di porre in prima linea gli specializzandi ed i giovani specialisti, promuovendo la sintesi tra i tre mondi complessi: didattica, ricerca ed assistenza. Saranno sicuramente questi ultimi, i giovani con il loro entusiasmo e con la loro grande attualità culturale e tecnologica, a rappresentare una componente essenziale del motore di questo nuovo giornale. L’assistenza senza la ricerca non ha futuro. Ecco l’importanza della ricerca, essere guida per il rinnovamento clinico e scientifico che è parte integrante del funzionamento del progresso in medicina. Contemporaneamente “l’occhio vede quello che la mente sa”. Ecco l’importanza della didattica: formare alla conoscenza tutti coloro che hanno desiderio di imparare. Sono convinto che il contributo della nostra Società andrà in questa direzione, e a nome del Consiglio Direttivo e dei membri SOU, auguro un brillante futuro ed una rapida diffusione sulle scrivanie di tutti gli oftalmologi del nostro paese, per questa vincente innovazione editoriale. Complimenti e buon lavoro.

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Al Professor Bruno Lumbroso Maria Cristina Savastano

Sapevamo che questo giorno sarebbe arrivato. In cuor nostro sapevamo anche che questo giorno non era molto lontano. Ma non è facile ora immaginare la sua assenza in caso di un consiglio o solo di un saluto o trascorrere qualche ora in sua compagnia. Ogni giorno con lui era per noi motivo di insegnamento, dall’attività lavorativa alla vita vissuta. I suoi innumerevoli viaggi, il suo amore per le diverse culture e abitudini lo spingevano alla continua esplorazione. Lo stesso desiderio era nel suo lavoro. Ha amato l’Oculistica come un amante appassionato accorto ad ogni suo desiderio e piccolo indizio. Ne ha seguito lo sviluppo, la crescita e si è reso spesso promoto-

re di nuovi approcci terapeutici e diagnostici confrontandosi con le grandi realtà americane da cui era sempre attratto. Non ha mai smesso di voler imparare ma soprattutto non ha mai smesso di voler insegnare. Il 2 maggio 2023 abbiamo compiuto 21 anni dal nostro primo incontro. All’inizio schivo e sempre pronto a cogliermi impreparata, si è con il tempo trasformato in un Consigliere/Amico capace di aprirti gli occhi senza ferirti. Sempre sincero e realista è riuscito ad educare centinaia di nuove generazioni me inclusa. Non avrei mai imparato la sindrome di Charles Bonnet se non avessi ricevuto la sua domanda a bruciapelo dinnanzi al paziente e a tutti i medici dello studio. Mi è servito da insegnamento per

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tutte le volte che ho poi approfondito quanto mi chiedesse e per non dimenticarlo. Come poi dimenticare le pizze e gli aperitivi offerti allo studio per chi sbagliasse alle sue domande. Grazie Professore per quello che è stato per tutti noi e per quello che è stato per me. Cercherò di divulgare quanto mi ha insegnato sperando di trasmettere la sua stessa passione. Non sarà facile, ma ci proverò. Un ringraziamento particolare alla moglie Josette ed ai suoi figli Livia e Ugo, che spesso si sono privati della presenza del Marito/Papà per consentire lui di inseguire il suo grande sogno: Conoscere l’Oculistica in ogni sua sfaccettatura. Professore continui ad illuminare il nostro cammino e ci sostenga nei momenti di sconforto. Come ha sempre detto lei anche quando hai un po’ di acciacchi e qualche preoccupazione a domanda di chiunque: come stai? Rispondi sempre: BENISSIMO! Da cui il motto britannico: “Never complain, never explain” Arrivederci Professor Bruno Lumbroso, che la terra ti sia lieve. Faremo insieme ancora tanti altri esami Angio-OCT e scriveremo tanti nuovi libri in un’altra vita. Grazie di tutto quello che mi ha insegnato. Con affetto, la sua allieva.


Le neoplasie palpebrali: come riconoscerle e come trattarle Francesco Quaranta Leoni1,2,3,4, Antonella Leonardi4 1. Responsabile del Servizio di Chirurgia Oftalmoplastica, Lacrimale e dell’Orbita – Tiberia Hospital – GVM Care & Research, Roma 2. Professore a Contratto di Oftalmologia – Facoltà di Medicina e Chirurgia – Università di Pavia 3. Professore a Contratto – Scuola di Specializzazione in Oftalmologia – Università di Ferrara 4. Oftalmoplastica Roma

Circa il 5-10% di tutti i tumori cutanei si verificano a livello palpebrale, e circa il. 90% dei tumori palpebrali nei paesi non asiatici è costituito da carcinomi basocellulari, il 70% dei quali localizzati nella palpebra inferiore. Gli altri tipi di tumori palpebrali sono molto meno comuni. Il carcinoma a cellule squamose costituisce il 5% di tutti i tumori palpebrali e il melanoma meno dell’1%. Altrettanto rari sono il carcinoma sebaceo e il carcinoma a cellule di Merkel. In generale, i carcinomi basocellulari e squamocellulari sono quasi sempre curabili, se individuati e trattati precocemente. Il melanoma è curabile se viene diagnosticato e trattato nelle sue fasi iniziali, anche se è più probabile una sua diffusione. Da notare che l’incidenza dei tumori maligni perioculari sta aumentando notevolmente anche in età giovanile. La diagnosi tempestiva e il corretto trattamento delle lesioni maligne perioculari è fondamentale a causa del loro potenziale di invadere le strutture circostanti. L’escissione chirurgica completa è ad oggi il trattamento di scelta per la maggioranza dei tumori perioculari maligni. Data la delicata posizione anatomica e l’importanza delle strutture vicine, le tecniche chirurgiche di elezione sono quelle che permettono l’escissione maggiore con il massimo risparmio dei tessuti circostanti. Per tumori ad alta malignità o diffusi in sedi contigue - non asportabili chirurgicamente in maniera radicale - l’immunoterapia e la brachiterapia offrono oggi la speranza di un controllo della malattia.

Per preparare una sezione congelata, il chirurgo esegue una resezione palpebrale a cuneo e segna i margini nasale (N), temporale (T) e inferiore (o superiore). È fondamentale un orientamento appropriato del campione, da correlare con un’adeguata documentazione (disegni del sito di escissione, margini marcati con punti di sutura). Per ogni tumore viene eseguito l’esame della sezione congelata dei margini chirurgici per la conferma istologica prima della ricostruzione del difetto palpebrale. Successivamente, tutti i tessuti vengono fissati in sezioni in paraffina permanenti e analizzati dall’istopatologo.

Chirurgia micrografica di Mohs La tecnica di Mohs è una procedura ambulatoriale che prevede la rimozione chirurgica del tumore clinicamente visibile, insieme a un sottile strato di tessuto che appare esente da malattia ai margini della lesione. Il tessuto resecato viene congelato ed esaminato al microscopio. Se la malignità è presente ai bordi o sotto la superficie, viene eseguita un’ulteriore resezione solo nell’area sospetta. A differenza dell’escissione con frozen sections, la tecnica di Mohs consente l’analisi dell’intero margine periferico del tumore. e aiuta a ridurre la quantità di tessuto sano che viene resecato intorno alla lesione. È fondamentale saper interpretare il preparato istologico, ed è utile una una biopsia prima dell’intervento chirurgico per una corretta diagnosi istopatologica. Escissione chirurgica controllata La tecnica di Mohs è considerata utile per i tumori maligni della cute in aree visibili come il viso, dove con sezioni congelate L’escissione chirurgica dei carcinomi palpebrali con- la conservazione del tessuto sano è considerata moltrollata attraverso la preparazione di sezioni conge- to importante. In alcuni centri sta diventando anche late (frozen sections) è la tecnica preferita da molti il trattamento di scelta per i tumori della pelle più aggressivi del BCC. chirurghi oculoplastici.

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Francesco Quaranta Leoni, Antonella Leonardi

Carcinomi basocellulari I carcinomi basocellulari (BCC) sono i tumori cutanei maligni più comuni e la loro incidenza è in aumento ogni anno a causa dell’aumento dell’esposizione alle radiazioni UV e all’invecchiamento della popolazione. I pazienti con fototipo cutaneo Fitzpatrick I e II hanno un rischio più elevato di sviluppare un carcinoma basocellulare. Ustioni solari ripetute, storia familiare di tumori cutanei, uso di lampade abbronzanti, esposizione a sostanze cancerogene come arsenico e sostanze chimiche fotosensibilizzanti costituiscono ulteriori fattori di rischio. Oltre il 50% dei BCC perioculari si verificano sulla palpebra inferiore o al canto mediale. Esame clinico

Nell’esame clinico di una lesione sospetta vanno va- Figura 1. Carcinoma basocellulare nodulare della palpebra inferiore lutati: • la forma e l’estensione della lesione giore di invasione perineurale o perivascolare e di • la presenza di malposizioni palpebrali recidiva. • ulcerazione cutanea • Carcinoma basosquamoso: spesso difficile da diffe• la perdita delle ciglia renziare dal carcinoma a cellule squamose; va trat• la presenza di piccoli coaguli dovuti a sanguinatato come un epitelioma squamocellulare. mento della lesione • il cambiamento di colore della pelle nell’area circo- In tutti questi casi è necessaria l’escissione chirurgica con controllo dei margini. stante. I BCC sono classificati ad alto o basso rischio in base al loro sottotipo istologico, al loro sito di presentaBCC a basso rischio • Superficiale: possono somigliare ad un eczema o zione e alle loro dimensioni ma anche alla presenza psoriasi. Vanno trattati con escissione chirurgica, o di invasione perivascolare o perineurale. La zona pein alternativa con crioterapia o 5 FU topico se non rioculare è considerata ad alto rischio a causa della possibilità di invasione orbitaria e della necessità di coinvolgono il margine palpebrale. • Nodulare (Fig. 1): il tipo più comune, hanno un ridurre al minimo l’entità della resezione chirurgica. bordo arrotondato e perlato con teleangectasie. Un BCC recidivato o in un paziente immunodepresVanno trattati con escissione con controllo istolo- so andrebbe classificato come ad alto rischio. BCC di dimensioni maggiori di 2 cm hanno un rigico dei margini prima della ricostruzione. • Pigmentato: più comune nei pazienti con fototipo schio maggiore di invasione perineurale o perivadi pelle Fitzpatrick III e IV. È necessaria l’escissione scolare e recidivano più frequentemente di quelli di piccole dimensioni. chirurgica con controllo dei margini. Trattamento

BCC a rischio più elevato

Il trattamento dei carcinomi basocellulari della zona perioculare è preferibilmente chirurgico, con escissione completa e verifica dei margini liberi. Può essere utilizzata sia la tecnica micrografica di Mohs, sia il controllo dei margini in estemporanea con le sezioni

• Morfeiforme (sclerosanti): hanno margini mal definiti. Hanno un aspetto simile a una placca e possono essere ulcerati. Presentano un rischio più elevato di recidiva e invasione perineurale. • Infiltrativo: tendono ad avere un’incidenza mag-

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LE NEOPLASIE PALPEBRALI: COME RICONOSCERLE E COME TRATTARLE

congelate (frozen sections), sia il controllo rapido dei margini in paraffina. Per BCC a rischio più elevato e per le lesioni superiori a 2 centimetri è consigliato ampliare l’escissione di 4-5 mm oltre la lesione per ottenere margini liberi. In particolare, la chirurgia micrografia di Mohs è consigliata per lesioni dai margini indistinti e per lesioni ricorrenti. Il follow up per i carcinomi perioculari basocellulari dovrebbe essere almeno di tre anni. In caso di recidive o di tumori di grandi dimensioni è necessario un follow up di almeno 5 anni; in caso di tumori con invasioni orbitaria il paziente va seguito per tutta la vita. Invasione dei tessuti circostanti o orbitaria

Il BCC è un tumore a crescita lenta con la tendenza ad invadere i tessuti circostanti specialmente quando è localizzato al canto mediale. Quando la lesione è di grandi dimensioni è importante valutare la motilità extra-oculare e la presenza di proptosi per escludere un’eventuale invasione orbitaria, e nei casi sospetti completare lo studio con imaging orbitario. Come già indicato, il trattamento mira a una completa escissione chirurgica con margini liberi. Nei BCC che hanno invaso strutture vitali o inoperabili - ad esempio per le condizioni generali del paziente - sono stati utilizzati negli ultimi anni con successo gli inibitori del hedgehog pathway (vismodegib e sonidegib). Questi farmaci sono utili per preservare le strutture oculari e la qualità visiva in pazienti con carcinomi basocellulari avanzati e riducono inoltre la necessità di exenteratio orbitaria. La brachiterapia è stata usata di recente per BCC palpebrali avanzati, sia come trattamento indipendente che come trattamento adiuvante dopo la chirurgia in pazienti con recidive. Il vantaggio della brachiterapia interstiziale è dato dalla possibilità di somministrare dosi terapeutiche elevate proteggendo le strutture circostanti.

Figura 2. Cheratosi attinica

mediale, seguito dalla palpebra superiore e dal canto laterale. Il carcinoma a cellule squamose palpebrale può anche derivare da migrazione di cellule di carcinoma a cellule squamose a partenza dalla congiuntiva. Quando è scarsamente differenziato può essere difficile distinguerlo dal carcinoma a ghiandole sebacee. La scarsa differenziazione e l’invasione perineurale sono fattori prognostici sfavorevoli. L’incidenza della diffusione perineurale si verifica in circa il 6% dei casi ed è significativamente maggiore in tumori di grandi dimensioni. La dimensione del tumore alla presentazione ha un valore importante anche nell’incidenza delle recidive. Un controllo sistemico è indicato per i tumori allo stadio T2b; il protocollo standard prevede un’ecografia del distretto testa-collo, integrata se necessario con una RMN e/o una PET/TC. Esame clinico

Il carcinoma a cellule squamose generalmente si presenta come una lesione a placca o un nodulo rilevato con cheratinizzazione superficiale, desquamazione o ulcerazione, soprattutto negli anziani. Un accurato esame è essenziale per identificare segni precoci di invasione orbitaria. La presenza di una massa aderente all’osso, di una dislocazione del bulbo oculare, di un’alterazione della motilità e di parestesie o zone di ipoestsia perioculari sono altamente indicative di un coinvolgimento orbitario. La palpazione dei linfonodi regionali pre-auricolari, sublinguali, sottomandibolari e cervicali è fondamentale, dato che possono essere sede di metastasi nel 24% dei pazienti.

Carcinoma a cellule squamose Il carcinoma a cellule squamose (SCC) è il secondo tumore cutaneo maligno più comune. I fattori di rischio includono l’esposizione al sole e lesioni cutanee preesistenti. Può presentarsi de novo, ma frequentemente insorge su lesioni preesistenti come cheratosi attiniche (Fig. 2), carcinomi a cellule squamose in sito, cheratoacantoma, xeroderma pigmentoso, o in seguito a radioterapia. Si presenta più frequentemente sulla palpebra inferiore e al canto

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Francesco Quaranta Leoni, Antonella Leonardi

stanza. In caso di metastasi a distanza è raccomandata una combinazione di chemioterapia e radioterapia. I pazienti con carcinoma squamocellulare cutaneo localmente avanzato o metastatico non candidabili alla chirurgia o alla radioterapia possono essere sottoposti a trattamento con cemiplimab, un anticorpo monoclonale inibitore del checkpoint immunitario. Il cemiplimab ha dimostrato di essere utile anche come trattamento adiuvante prima della chirurgia. La frequenza e la durata complessiva del follow-up variano e si basano sul singolo caso. Qualsiasi recidiva deve essere trattata in modo aggressivo. Carcinoma sebaceo Il carcinoma delle ghiandole sebacee (SGC) è un tumore maligno raro che deriva generalmente dalle ghiandole di Meibomio situate all’interno del margine palpebrale. Ha una predilezione per la palpebra superiore, probabilmente perché la densità delle ghiandole di Meibomio è più alta nella palpebra superiore rispetto alla palpebra inferiore (Fig. 3). È più comune nelle donne e nei pazienti di età superiore ai 60 anni. Ha un tasso di mortalità fino al 10% e un tasso di recidiva più elevato rispetto ad altri tumori palpebrali, fino al 20%.

Figura 3. Carcinoma sebaceo della palpebra superiore

Trattamento

Quando il cacinoma squamocellulare viene rilevato precocemente e asportato chirurgicamente con margini liberi, la prognosi è buona. Il trattamento consiste nell’escissione chirurgica completa, utilizzando la tecnica di Mohs o le frozen sections con controllo dei margini, seguita da radioterapia se vi è invasione perineurale o perivascolare. È necessario assicurarsi che nella congiuntiva non vi sia presenza concomitante di carcinoma squamocellulare, che va trattato con interferone topico o intralesionale, 5FU, mitomicina o crioterapia.

Esame clinico

Può essere in situ o invasivo, e questi due tipi possono spesso coesistere. La componente in situ può manifestarsi come una diffusione dalla superficie epiteliale della congiuntiva. Si presenta in forma pagetoide - in quanto ricorda la neoplasia di Paget con chiazze eritemato squamose lievemente rilevate a margini netti e regolari - e può causare irritazione cronica agli occhi e spesso essere scambiato per blefarite, congiuntivite cronica o pemfigoide. Il carcinoma sebaceo invasivo è tipicamente nodulare ed è talvolta confuso con calaziosi. Per questo, quando si osserva una blefarite solo unilaterale deve essere presa in considerazione la diagnosi di carcinoma sebaceo. Analogamente, calazi recidivanti vanno biopsati.

Invasione dei tessuti circostanti o orbitaria

In caso di invasione orbitaria, la chirurgia escissionale con il risparmio del bulbo può essere considerata in alcuni casi con invasione solo anteriore, al fine di evitare l’exenteratio orbitaria. Un’attenta sorveglianza clinica e radiologica è tuttavia necessaria per individuare possibili recidive. L’exenteratio orbitaria può essere considerata in quei pazienti con coinvolgimento orbitario e scarso residuo visivo per prevenire metastasi a distanza o invasione intracranica. Le tecniche di indagine non invasive come eco color doppler, RMN del collo o TC con contrasto sono utili per la valutazione dei linfonodi locali. I pazienti che hanno una lesione di grandi dimensioni o presentano recidive devono essere sottoposti alla biopsia del linfonodo sentinella. La dissezione radicale dei linfonodi del collo è indicata soltanto nei casi dove sia documentata invasione e malattia in stadio avanzato ma non metastasi a di-

Trattamento

Il carcinoma a cellule sebacee della palpebra va rimosso con ampia escissione locale e sezioni veloci in paraffina controllate da un patologo, o con esame dei margini alle frozen sections. In una recente revisione sistematica su questo raro tumore, non vi è stata alcuna differenza statisticamente significativa nell’esito dopo l’ampia escissione locale con control-

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LE NEOPLASIE PALPEBRALI: COME RICONOSCERLE E COME TRATTARLE

lo rapido in paraffina rispetto alla chirurgia micrografica di Mohs. Sono necessarie biopsie a cuneo a tutto spessore nell’area circostante la lesione per determinare se la malattia è invasiva o solo in situ. La valutazione sistemica pre-escissionale e la stadiazione vengono eseguite per tumori più grandi di 2 cm. In questi casi si esegue un’ecografia del distretto testa-collo, imaging dell’orbita ed eventualmente PET/TC. La PET/CT dovrebbe essere eseguita prima di qualsiasi escissione, poiché la risposta infiammatoria post-chirurgica può mostrare falsa positività dei linfonodi. Solitamente sono necessari tre mesi perché l’infiammazione post operatoria si stabilizzi, e la PET/CT post-escissione viene eseguita 3 mesi dopo la chirurgia per verificare la diffusione sistemica. La mitomicina C 0,02% topica può essere utilizzata insieme alla crioterapia per Figura 4. Carcinoma di Merkel della palpebra superiore trattare la componente in situ. La malattia in situ può essere difficile da monitorare e devono essere eseguite biopsie ripetute per garantire la risposta al trattamento. Il carcinoma sebaceo ha un tasso di recidiva Trattamento di 1 su 5 ed è più alto nei primi 2 anni di follow-up. Il Carcinoma di Merkel va rimosso con ampia escissione locale e sezioni veloci in paraffina controllate Carcinoma a cellule di Merkel da un patologo, o con esame dei margini alle frozen Il carcinoma a cellule di Merkel (MCC) cutaneo è sections. La diagnosi è istologica e l’immunoistoraro ma molto aggressivo. Si verifica principalmente chimica può essere utile poiché la citocheratina-20 dopo i 50 anni. Il carcinoma di Merkel ha un’inciden- (CK20) è positiva fino al 95% dei tumori. L’esame za stimata di 0,66 per 100.000 persone nelle popola- dei linfonodi e la stadiazione sono necessari, prefezioni caucasiche, ma la sua incidenza è in aumento. È ribilmente con biopsia del linfonodo sentinella, PET/ più comune negli uomini e ha la tendenza a colpire TC ed ecografia della testa e del collo. La gestione la pelle della testa e del collo, principalmente le aree multidisciplinare è essenziale in quanto i tassi di soesposte al sole. È più comune nei soggetti immuno- pravvivenza a 5 anni sono solo del 50% circa. È racdepressi. comandata radioterapia successivamente alla chirurgia a livello del sito di escissione. Se sono coinvolti i Esame clinico linfonodi, si raccomanda l’escissione e la radioterapia Si presenta come un nodulo rossastro a crescita ra- nell’area interessata. pida, duro, che originariamente ha un aspetto simile L’immunoterapia con nivolimumab e pembrolizua un carcinoma basocellulare nodulare, ma la rapi- mab è stata utilizzata nella gestione della malattia da crescita e il colore tipico devono destare sospetto metastatica, sebbene la risposta si sia dimostrata (Fig. 4). Si diffonde principalmente per via linfatica e meno efficace in pazienti sottoposti a chemioterapia. può metastatizzare localmente causando diversi tu- È anche importante ricordare che nuovi carcinomi a mori nella pelle intorno al sito principale. La maggior cellule di Merkel sono stati riportati in pazienti che parte delle recidive si verifica entro i primi 2 o 3 anni. trattati con inibitori del checkpoint per altre forme di Il poliomavirus a cellule di Merkel è stato rilevato in cancro. Nel 2017 è stato approvato un nuovo inibitore circa l’80% dei carcinomi. Si pensa che il virus causi PD1/PDL1 (avelumab) per il trattamento del carcimutazioni genetiche che portano alla formazione del noma metastatico a cellule di Merkel che ha mostrato carcinoma a cellule di Merkel quando la funzione im- una risposta clinica in un terzo dei pazienti. munitaria sia compromessa. I tumori virus-negativi sono associati ad un’elevata esposizione alle radiazio- Melanoma maligno ni ultraviolette, a causa della comparsa del tumore I melanomi maligni (MM) derivano da alterazioni sulla pelle esposta al sole. neoplastiche all’interno dei melanociti sia nella pelle

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Francesco Quaranta Leoni, Antonella Leonardi

scissione completa con un margine clinico di 2 mm in prima istanza per accertare una diagnosi. Una biopsia parziale può non essere rappresentativa dell’intera lesione e deve essere interpretata con cautela e va discussa con il patologo referente. In circostanze eccezionali, se la lesione è molto grande e la microscopia confocale è disponibile, può essere appropriata una biopsia incisionale parziale. Una volta che un MM è stato diagnosticato, il gold standard è che venga discussa la gestione e la necessità di un’indagine sistemica con un team multidisciplinare specializzato. In generale, il MM va asportato con un ampio margine di resezione fino a 10 mm tenendo presente la necessità di bilanciare la radicalità dell’escissione con la necessità di preservare la funzionalità palpebrale e la visione del paziente. Le biopsie dei linfonodi sentinella sono raccomandate quando lo spessore di Breslow è superiore a 0.8 mm. Se si sospetta una invasione orbitaria e questa viene confermata dall’imaging deve essere eseguita una biopsia incisionale senza coinvolgimernto del periostio e dell’osso. Il melanoma orbitario secondario di solito forma una massa ben definita al momento della presentazione e, in tali casi, la massa può essere asportata intatta attraverso un’orbitotomia anteriore risparmiando l’osso. Laddove l’escissione macroscopicamente intatta non sia possibile, la lesione deve essere meticolosamente isolata dai tessuti vicini e può essere eseguito un debulking chirurgico. La radioterapia locale può essere utilizzata come terapia adiuvante quando non ci sono metastasi a distanza. La chemioterapia svolge un ruolo quando c’è una malattia metastatica sistemica alla presentazione orbitaria. L’exenteratio dell’orbita a scopo palliativo può essere presa in considerazione se la malattia orbitaria causa gravi deturpazioni. Le opzioni di trattamento stanno cambiando rapidamente con l’avvento di terapie mirate: l’immunoterapia combinata con ipilimumab e nivolumab migliora notevolmente la sopravvivenza del melanoma cutaneo metastatico

Figura 5. Kissing nevus, la trasformazione in melanoma maligno è rara, anche se riportata in casi sporadici

normale, sia su un nevo preesistente (Fig. 5), che su una lentigo maligna. Il tasso di incidenza globale stimato per il melanoma cutaneo nel 2018 è stato di 3,1 per 100.000. Questa incidenza è aumentata negli ultimi tre decenni principalmente a causa dell’aumento dell’esposizione al sole. I recenti progressi nella biologia molecolare hanno portato allo sviluppo di molteplici nuove terapie che prendono di mira gli oncogeni o utilizzano inibitori del checkpoint immunitario. La ricerca genomica ha rivelato diverse possibili aree di bersagli che possono modificare il cambiamento neoplastico all’interno dei tumori, cambiando drasticamente i tassi di sopravvivenza. Esame clinico

La diagnosi di melanoma maligno cutaneo della palpebra è sospettata clinicamente e confermata istologicamente. Le lesioni sospette possono essere identificate utilizzando il classico metodo di valutazione ABCD - Asimmetria, irregolarità del Bordo, variazione di Colore, Diametro). L’esame dovrebbe includere anche la palpazione per valutare un’eventuale linfoadenopatia regionale. Le lesioni sospette possono presentarsi con uno spettro che va dalle macule piatte, con bordi irregolari, alle lesioni nodulari o elevate di colore variabile con lesioni nere, grigie, rosa, blu e persino bianche.

Prognosi

Fornire una prognosi accurata ai pazienti con melanoma orbitario rimane problematico, a causa di curve di sopravvivenza altamente variabili, probabilmente a causa della variazione genetica nella biologia del tumore tra i vari pazienti. Attualmente, la chirurgia rimane il pilastro della terapia, ma lo sviluppo di Trattamento Quando si considera la biopsia di una lesione mela- nuovi agenti immunoterapici offre la speranza di un nocitica sulla pelle delle palpebre va consigliata un’e- controllo migliore della malattia.

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LE NEOPLASIE PALPEBRALI: COME RICONOSCERLE E COME TRATTARLE

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Novità terapeutiche dell’occhio secco Romina Fasciani1, Luigi Marino2 1. Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, Roma 2. Casa di cura La Madonnina, Milano

L’occhio secco, noto anche come sindrome dell’occhio secco, è letteralmente una condizione oculare in cui l’occhio non produce abbastanza lacrime o le lacrime prodotte non sono di buona qualità. In realtà, la sindrome dell’occhio secco (o Dry Eye Syndrome, come coniato dall’accademia anglosassone) è una condizione più complessa di reale disequilibrio dell’intera superficie oculare caratterizzata da instabilità ed infiammazione di tutte le strutture della superficie: le palpebre, gli epiteli della congiuntiva e della cornea, l’innervazione di queste strutture, le ghiandole che producono il film lacrimale e di conseguenza il fluido che riveste e protegge tutta la superficie dell’occhio, il film lacrimale. La vera grande novità sul dry eye è che non è più una novità parlare di occhio secco. Ormai ci sono molti e bravi colleghi che si dedicano a questa ex sub-specialità. Il dry eye e la sua corretta diagnosi e gestione terapeutica rappresentano ancora un problema importante. Soprattutto in alcuni ambiti e per alcune categorie di genere ed età: le donne infatti storicamente sono le più colpite da questa patologia e, purtroppo, invecchiando sempre più persone ne saranno affette. La forma più comune di occhio secco è causata da una condizione di iperevaporazione della superficie oculare causata da un film lacrimale qualitativamente non efficace a causa di una alterazione prevalente della componente lipidica del film lacrimale o della mancata distribuzione di questo sulla superficie per problemi relativi al movimento palpebrale (come incompleta o la parziale chiusura/ammiccamento) e solo il 10% delle forme di occhio secco è legato ad una ipoproduzione del volume lacrimale, mentre più frequenti sono forme miste in cui una forma coinvolge l’altra. Questa condizione può causare una serie di sintomi,

tra cui: Secchezza oculare: Una sensazione di secchezza, bruciore o prurito negli occhi. Arrossamento degli occhi: Gli occhi possono diventare rossi e irritati. Visione offuscata: La mancanza di una superficie oculare ben lubrificata può causare temporanei problemi di visione. Sensazione di corpo estraneo: Si può avvertire la sensazione di avere qualcosa nell’occhio, come un granello di sabbia. Sensibilità alla luce: l’occhio secco può rendere gli occhi più sensibili alla luce. Lacrimazione eccessiva: In alcune persone, il corpo può reagire all’irritazione causata dalla secchezza oculare producendo più lacrime, anche se queste lacrime non hanno la giusta composizione chimica per mantenere l’occhio adeguatamente lubrificato. L’occhio secco può essere causato da una serie di fattori, tra cui l’età, l’uso eccessivo di dispositivi digitali, l’ambiente secco, alcune malattie autoimmuni e farmaci (antidepressivi, sedativi, antistaminici, etc). La vera novità nel trattamento della sindrome da occhio secco è sicuramente l’attenzione al paziente e la strategia messa appunto per indagarne le cause e le concause. Il primo approccio con un paziente con occhio secco è sicuramente il dialogo: l’uso di un questionario dettagliato che descriva abitudini, comportamenti, alimentazione, attività sportiva e sociale è sempre molto utile. Come sempre fondamentale è la compilazione di un diario da parte del paziente. Molto spesso fatti rilevanti per il medico oculista vengono tralasciati dal paziente. Nel trattare un paziente con occhio secco, il medico oculista deve trasformarsi in un vero amico, in una

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Romina Fasciani e Luigi Marino

persona di famiglia perché il paziente deve sentirsi sempre a proprio agio, e anche la famiglia deve condividere tutti i vari momenti anche di crisi psicologica, di ansia, di “depressione” con l’oculista. Tutti insieme collaborano per il goal finale che è quello di migliorare le condizioni cliniche e sintomatologiche del paziente e di rasserenare lui e la sua famiglia. Durante la chiacchierata, si valuta la frequenza e le modalità di ammiccamento palpebrale del paziente, la sua postura, l’apertura della sua rima palpebrale, la sua mimica faciale. Atto fondamentale è lo studio degli occhi del paziente alla lampada a fessura digitalizzata: cercando l’angolo esterno della palpebra inferiore, il punto più critico, il margine palpebrale anteriore e soprattutto posteriore, i dotti delle ghiandole del Meibomio e delle ghiandole di Zeis, Moll e la situazione delle ciglia. Si passa poi ad eseguire i test strumentali: il TBUT (o breack up time, o tempo di rottura del film lacrimale che rappresenta un indice di stabilità delle lacrime sulla superficie oculare), un BUT strumentale sembrerebbe esser meglio riproducibile, lo studio delle

Figura 1. Occhio secco prima del trattamento

ghiandole del Meibomio, l’Osmolarità (la riduzione del volume lacrimale provoca un accumulo di soluti sulla superficie con iperosmolarità) ed il livello di infiammazione locale misurabile qualitativamente valutando i tessuti oppure quantitativamente con appositi strumenti. Fondamentale è la colorazione della superficie oculare con i coloranti vitali, fluoresceina e verde di lissamina in particolare, allo scopo di valutare il livello della lunetta di lacrime sul bordo palpebrale o menisco lacrimale (se inferiore a 2 mm abbiamo sicuramente una grave ipolacrimia) e alterazioni della congiuntiva e della cornea segni di danno tissutale. Nelle fasi più avanzate della colorazione vanno osservati i movimenti di questo fluido lacrimale colorato e fluorescente e la sua disposizione: sia come si deposita il film lacrimale sulla congiuntiva, esaltando le irregolarità, quasi a vedere “piccoli laghetti” e “colline”, la presenza o meno di congiuntivocalasi, l’episclerite, le cisti congiuntivali, la presenza di pinguecole. Anche la secrezione lacrimale può essere studiata controllando la sua qualità: schiumosa, mucosa, ricca di detriti, filamentosa... o se totalmente assente.


NOVITÀ TERAPEUTICHE DELL’OCCHIO SECCO

Questo lungo momento diagnostico alla lampada a fessura è fondamentale non solo per studiare ed analizzare dettagliatamente ogni cosa, ma anche per poter paragonare miglioramenti o insuccessi terapeutici e soprattutto per coinvolgere il paziente ed i suoi cari sulla conoscenza dello “stadio” del nostro occhio secco e dei punti critici su cui dobbiamo lavorare tutti insieme. Una volta diagnosticata una alterazione quantitativa o qualitativa del film lacrimale, se necessario, è possibile effettuare le normali manovre di squeeze e di probing delle palpebre, per sbloccare ed aprire i dotti delle ghiandole di Meibomio presenti sul margine palpebrale interno. La terapia dell’occhio secco prevede essenzialmente interventi che volgono a ripristinare quell’equilibrio perso, intervenendo sui meccanismi che l’hanno alterato: dalla dieta al miglioramento/umidificazione dell’ambiente, all’integrazione del volume o della qualità delle lacrime con i sostituti lacrimali, alla terapia anti-infiammatoria topica, come migliorando l’igiene palpebrale o istillando colliri antinfiammatori, o sistemica, soprattutto nei casi più gravi. L’approccio terapeutico non può compiersi completamente senza l’uso di una o più lacrime artificiali sempre molto complete ed arricchite da aminoacidi, osmoprotettori, vitamine, fattori trofici ad azioni multiple, con acido ialuronico o altri polimeri, e soprattutto devono essere prive di conservanti. Le terapie per l’occhio secco stanno continuamente evolvendo, e ci sono diverse novità terapeutiche che sono state sviluppate o sono ancora in fase di ricerca. Alcune delle novità terapeutiche e delle linee guida più promettenti per il trattamento dell’occhio secco includono: L’attenzione alla dieta ed alle abitudini quotidiane: la prescrizione terapeutica non può prescindere da alcuni ultimi consigli dietetici e comportamentali. È importante una accurata igiene palpebrale con l’applicazione di impacchi caldi associata al massaggio del bordo libero palpebrale favorendo così la disostruzione delle ghiandole del Meibomio (le ghiandole presenti nello spessore delle palpebre e responsabili della produzione del meibum, componente fondamentale delle lacrime). Una dieta ricca e integratori (omega 3) e vitamine è fondamentale: 500 mgr al mattino possono migliorare la situazione e così come bere acqua, mangiare frutta e verdure fresche di stagione. L’attenzione sempre più mirata della ricerca sulle conseguenze dell’alterazione del microbiota intesti-

nale sulla salute generale e nella patogenesi di alcune malattie, ribadisce l’importanza di un corretto apporto di probiotici e quanto questo possa migliorare l’andamento di infiammazioni palpebrali o blefariti o orzaiolo/calazio. Terapie basate sulla membrana amniotica: La membrana amniotica, ottenuta dalla placenta umana, è stata utilizzata con successo per trattare l’occhio secco grave. Essa può essere applicata sulla superficie dell’occhio per promuovere la guarigione e ridurre l’infiammazione. Gocce oculari a base di lipidi: Alcune nuove gocce oculari contengono lipidi, simili a quelli naturalmente presenti nel film lacrimale. Questi prodotti possono migliorare la stabilità del film lacrimale e ridurre l’evaporazione delle lacrime. L’applicazione topica di acidi grassi omega 3 inoltre sembrerebbe migliorare l’effetto antinfiammatorio e la stabilità del film lacrimale senza i problemi di assorbimento che l’assunzione orale comporta. Terapie fisiche: L’applicazione di luce a intensità pulsata (IPL): La IPL è stata utilizzata per trattare l’occhio secco causato da disfunzioni delle ghiandole meibomiane. Questa terapia mira a stimolare il punto di fusione degli acidi grassi presenti nel meibum, il secreto delle ghiandole di Meibomio, in modo da liquefare e migliorare la produzione di oli essenziali per il film lacrimale. Inoltre l’IPL ha un effetto di bonifica da batteri ed acari (come il Demodex), spesso implicati nella patogenesi delle blefariti e nella disfunzione della ghiandole di Meibomio. Oltre all’applicazione di luce pulsata, l’uso di luce a

Figura 2. Occhio secco con severa epiteliopatia

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a cura di Romina Fasciani e Luigi Marino

diodi con effetto di foto-biomodulazione della cute e della palpebre ha lo scopo di stimolare la produzione di ATP mitocondriale nelle cellule oculare e nelle ghiandole e ridurre i fenomeni infiammatori della superficie oculare e della cute palpebrale e perioculare. Novità più recente è la terapia al plasma nell’occhio secco che rappresenta una delle innovative opzioni di trattamento e che è stata oggetto di ricerca e sperimentazione negli ultimi anni. Questa terapia è nota come “terapia al plasma freddo” o “terapia al plasma atmosferico”. Il plasma freddo è uno stato particolare della materia in cui gli elettroni si separano dagli atomi, creando una miscela di particelle cariche, tra cui radicali liberi, elettrodi elettricamente carichi e altre specie reattive. In alcuni studi, è stato suggerito che il plasma freddo possa avere potenziali benefici nel trattamento dell’occhio secco: il plasma freddo sembrerebbe aiutare a ridurre l’infiammazione, a migliorare la stabilità del film lacrimale e a stimolare la guarigione delle cellule oculari danneggiate. La terapia con radiofrequenza nell’occhio secco è una procedura medica innovativa che è stata sviluppata per il trattamento di questa sindrome. Questa terapia utilizza l’energia a radiofrequenza per stimolare le ghiandole meibomiane situate nelle palpebre, che sono responsabili della produzione degli oli essenziali per il film lacrimale. L’obiettivo principale è migliorare la qualità delle lacrime e la stabilità del film lacrimale per ridurre i sintomi dell’occhio secco. L’applicazione della risonanza quantica molecolare induce riduzione del dolore, riduzione dell’espres-

sione di metalloproteinasi MMP9 (enzimi tipici di un processo infiammatorio) e della quota di cellule infiammatorie e l’accelerazione ed il miglioramento dei processi riparativi. Farmaci antinfiammatori topici: Alcuni farmaci antinfiammatori topici, come la ciclosporina A, sono stati sviluppati specificamente per il trattamento dell’occhio secco. Questi farmaci possono ridurre l’infiammazione oculare cronica associata all’occhio secco. Per ottenere il corretto effetto antinfiammatorio della ciclosporina, è fondamentale che la formulazione della preparazione sia in grado di garantirne l’assorbimento efficace attraverso la barriera epiteliale della superficie oculare. Sono in fase di studio molecole innovative, ed altre sono già commercializzate, in grado di garantire un più efficace veicolo per la somministrazione topica della ciclosporina A. Altre molecole come il Liftegrast o il Tacrolimus sono sempre più indicate, quando applicati topicamente nell’occhio, come efficaci nel ridurre e controllare l’infiammazione della superfice oculare affetta da secchezza, così come l’introduzione di nuove molecole ad effetto antinfiammatorio come il Reproxalap, un principio attivo ad attività immunomodulante di nuova generazione. Recentemente la ricerca ha evidenziato il ruolo dell’asse tra il fattore di crescita oppioide ed i suoi recettori nel mantenere l’equilibrio tra secrezione lacrimale e riparazione epiteliale e come la somministrazione orale e topica di basse dosi di Naltrexone, un antagonista del recettore per oppioidi, sia molto

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NOVITÀ TERAPEUTICHE DELL’OCCHIO SECCO

utile nel ripristinare le anormalità neurosensoriali e di riparazione epiteliale presenti nell’occhio secco. Anche la formulazione in applicazione topica di molecole ad effetto antinfiammatorio, quali una pomata a base di androgeni e altra a base di azitromicina sono già in commercio, per la cura e la rigenerazione della funzione delle ghiandole di Meibomio. Lenti a contatto terapeutiche e inserti: Alcune lenti a contatto speciali, progettate per rilasciare lentamente liquidi idratanti, possono essere utilizzate per trattare l’occhio secco. Sono in fase avanzata di studio l’applicazione di inserti o pellets (come ad esempio il Dextenza e il Lacrisert) e nanopolimeri (ad esempio il KP1) in grado di veicolare e somministrare in modo prolungato nel tempo i principi antinfiammatori 8come ad esempio steroidi a basso/medio potere atinfiammatorio) così come lacrime artificiali. Molecole ad attività riequilibrante e stimolante L'applicazione topica in spray nasale a base di Vareniciclina, una molecola antagonista della nicotina

per la cura della dipendenza da fumo di sigaretta, è in grado di stimolare la via trigeminale e aumentare la secrezione lacrimale. Il Visomitin o SkQ1 è una nuova molecola in fase di studio ad effetto antiossidante mitocondriale e neurorigenerativo che sembra aver effetti promettenti nel trattamento del discomfort oculare da occhio secco. Conclusioni L'occhio secco e le strategie terapeutiche sono diventate un nuovo e promettente campo di studio e di interesse del mondo accademico, scientifico e farmacologico. L'approccio al trattamento dell’occhio secco sta diventando sempre più personalizzato. Gli oftalmologi possono attualmente utilizzare test specifici per determinare la causa sottostante dell’occhio secco in ciascun paziente e sviluppare un piano di trattamento mirato alla condizione ed alle esigenze del paziente affetto.

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Chirurgia corneale robotizzata sottrattiva e additiva: il futuro del trattamento delle ametropie, del cheratocono ed ectasie corneali Leonardo Mastropasqua MD, FEBO, FWCRS. Ordinario di oftalmologia, Università "G. d’Annunzio", Chieti-Pescara Centro Nazionale Alta Tecnologia Presidente SOU Presidente SITRAC

L’introduzione del laser a femtosecondi ha rappresentato una pietra miliare nell’evoluzione della chirurgia corneale refrattiva e trapiantologica, rendendo le procedure estremamente automatizzate, predicibili e sempre meno operatore-dipendenti. Inoltre, l’avanzamento delle tecnologie, con l’avvento di una chirurgia robotizzata, ha consentito anche un’evoluzione delle tecniche, con lo sviluppo di una chirurgia non più unicamente sottrattiva, ossia rimuovendo tessuto corneale, bensì anche additiva, ovvero aggiungendo tessuto corneale ad un organo funzionalmente alterato. La chirurgia corneale di tipo sottrattivo trova il suo apice nella SMILE (Small Incision lenticule Extraction) (1), introdotta nel 2011, che ha rivoluzionato il mondo della chirurgia refrattiva, poiché ha consentito il superamento del concetto di fotoablazione del tessuto corneale proprio delle tecniche ablative con laser ad eccimeri fino ad allora note (PRK e LASIK) ed ha aperto, così, una nuova era nel trattamento delle ametropie attraverso l’estrazione di lenticoli corneali

trasparenti (Figura 1 e 2). Evitare l’utilizzo del laser ad eccimeri si traduce in una minima invasività sul tessuto corneale, riducendo in tal modo la risposta infiammatoria cellulare, indipendentemente dall’entità del difetto refrattivo da trattare (2). Evitando la creazione di un flap corneale, la SMILE permette inoltre di conservare le proprietà biomeccaniche della cornea riducendo il rischio di ectasia postoperatoria (3). Sono stati pubblicati più di 850 articoli scientifici su riviste internazionali indicizzate che provano la sicurezza e l’efficacia della SMILE, testimoniando la sempre più ampia popolarità di tale tecnica, con oltre 8 milioni di procedure effettuate in 80 diversi paesi del mondo a tutt’oggi. Come dimostrato in letteratura, la regolarità e la qualità delle superfici di taglio ottenute con laser a femtosecondi è direttamente proporzionale alla frequenza del laser. I risultati finora riportati si riferiscono a laser con frequenza massima di taglio pari a 500 kHz. Gli ultimi avanzamenti tecnologici hanno consentito

Figura 1. Rappresentazione grafica della chirurgia SMILE che evidenzia i piani di dissezione anteriore e posteriore del lenticolo corneale

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Nella SMILE Pro i tempi chirurgici sono marcatamente ridotti: mentre con i laser di vecchia generazione erano necessari circa 30 secondi per la scolpitura del lenticolo corneale da estrarre, con questa tecnica innovativa bastano meno di 10 secondi di trattamento. Ridurre i tempi del trattamento laser, oltre a a rendere la procedura ancora meno invasiva per il paziente, consente di ridurre notevolmente il rischio di perdita di suzione (suction loss), una delle più frequenti e temute complicanze intraoperatorie della SMILE. Inoltre i nuovi laser possiedono un sistema integrato per il controllo automatizzato della centratura della procedura ed il compenso automatico della ciclotorsione corneale. Il vertice corneale viene localizzato automaticamente secondo le coordinate spaziali “x,y” e il software è in grado di mostrare sul monitor la differenza vettoriale tra la posizione del vertice corneale e l’area di trattamento, in modo che il chirurgo venga visivamente guidato in tempo reale durante la procedura di docking. La ciclotorsione, che inevitabilmente si produce quando il paziente è posto in posizione supina, viene similmente compensata automaticamente dal software attraverso la rotazione del reticolo guida visualizzato dal chirurgo (Figura 3). Questa complessa procedura automatizzata consente di ridurre al minimo il rischio di decentramento del trattamento con conseguente riduzione delle aberrazioni e dell’eventuale astigmatismo postoperatorio.

Figura 2. Estrazione del lenticolo corneale durante la chirurgia SMILE

l’introduzione nella pratica clinica di laser con frequenza di 2 MHz, determinando importanti miglioramenti della tecnica chirurgica e degli outcome postoperatori. Le procedure SMILE avanzate, effettuate mediante tali laser di ultima generazione, vengono definite “SMILE Pro” (4) e rappresentano l’attuale evoluzione di questa procedura chirurgica refrattiva.

Figura 3. Procedura automatizzata che compensa la ciclotorsione e facilita la centratura durante la procedura SMILE pro

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CHIRURGIA CORNEALE ROBOTIZZATA SOTTRATTIVA E ADDITIVA...

Studi preliminari effettuati in microscopia confocale hanno dimostrato che il plesso nervoso subepiteliale rimane vitale anche immediatamente dopo la procedura e la densità delle fibre nervose torna a valori comparabili a quelli preoperatori entro 6 mesi dall’intervento, così come l’interfaccia stromale del taglio laser, che torna a mostrare valori di reflettività normali già dopo 3 mesi dalla chirurgia. Inoltre, la SMILE Pro consente di utilizzare livelli personalizzati di energia che differiscono tra il taglio del lenticolo e quello del cap stromale. Questo “switch” tra differenti livelli di energia può essere visualizzato come una brevissima pausa di emissione di energia durante il trattamento, per questo definito “start and stop technique”, e sembra determinare una più agevole dissezione ed estrazione del lenticolo attraverso la microincisione corneale. La SMILE Pro rappresenta quindi un reale passo in avanti verso una chirurgia refrattiva sempre più sicura, efficace, ed individualizzata per ogni singolo paziente con conseguente miglioramento degli outcome visivi e morfologici del trattamento. Una recente metanalisi che prende in considerazione tutti gli studi comparativi pubblicati che confrontano la LASIK e la SMILE hanno mostrato che con la SMILE le aberrazioni di elevato ordine sono significativamente ridotte. Una minore incidenza di aberrazioni postoperatorie si traduce in una migliore qualità della visione assicurando al paziente una migliore sensibilità al contrasto, sensibilità luminosa e del senso cromatico, a parità di quantità di vista recuperata (5). La SMILE si propone come il reale futuro della chirurgia refrattiva in quanto consente di correggere miopie ed astigmatismi elevati agendo solo a livello corneale, senza cioè intervenite all’interno dell’occhio con tecniche molto più invasive. Le possibilità terapeutiche della chirurgia corneale femtolaser-assistita non si esauriscono unicamente alla correzione delle ametropie miopiche ed astigmatiche, ma si estendono anche al trattamento delle ectasie corneali, prima fra tutte il cheratocono. Questa patologia corneale, che tende ad essere bilaterale e progressiva, provoca assottigliamento ed alterazioni della curvatura corneale che spesso esitano in compromissione significativa dell’acuità visiva, fino alla cecità corneale a causa di astigmatismo severo e negli stati avanzati associato a opacità corneale (6). Il peso sociale ed economico della patologia è rilevante, poiché il periodo di insorgenza tipico del cheratocono è la pubertà o la giovane età adulta e, di conseguenza, l’impatto negativo sulla qualità visiva e di vita si protrae spesso per decenni dopo la diagnosi. Le opzioni

attualmente utili per la gestione del cheratocono differiscono in base allo stadio della ectasia stessa. Nelle fasi iniziali della patologia, la visione può essere corretta adeguatamente con occhiali o lenti a contatto morbide, ma con la progressione a stadi più avanzati è spesso necessario ricorrere a lenti a contatto rigide gas permeabili o sistemi contattologici più sofisticati. Infine, una percentuale significativa di pazienti necessita di sottoporsi a forme di cheratoplastica (DALK o PK), che rappresentano le uniche opzioni di riabilitazione visive quando le lenti a contatto non riescono a garantire un adeguata performance visiva in un paziente giovane, o non sono tollerate. Il “Collagen cross-linking (CXL)” si è dimostrato efficace e sicuro nel controllare la progressione del cheratocono, e nel contrastare il peggioramento verso stadi più avanzati, purtuttavia non migliora in modo sostanziale la refrazione corneale o la visione nei pazienti trattati. Poiché nella maggior parte dei casi la cornea nel cheratocono mantiene la sua trasparenza, è stato ampiamente considerato, nei decenni passati, mediante approcci differenti, il concetto di rimodellamento (“reshaping”) corneale, nei pazienti che mostrano visione non adeguata con le correzioni ottiche. Si è cercato di raggiungere questi obiettivi sia con l’innesto nella periferia dello stroma corneale di segmenti sintetici intracorneali (ICRS) (7), al fine di appiattire la curvatura centrale, sia mediante tecniche sottrattive basate su fotoablazioni con laser ad eccimeri combinate con CXL, Tuttavia, nonostante queste tecniche abbiano dimostrato una parziale efficacia, esistono diversi svantaggi che limitano la diffusione più ampia di tali approcci. Gli ICRS migliorano miopia ed astigmatismo in virtù del cosiddetto “arc-shortening effect”, appiattendo la curvatura centrale e riducendo le distorsioni ottiche. Si tratta di un intervento relativamente sicuro ed efficace nel trattamento degli stadi lievi-moderati di cheratocono, con intolleranza alle lenti a contatto o insufficiente visione con correzione tramite occhiali. Tuttavia l’assottigliamento corneale apicale non viene corretto dall’impianto di ICRS e sono state riportate alcune possibili complicanze, quali migrazione interna dei segmenti, o estrusione degli stessi, melting corneale e cheratiti sterili cristalline. D’altro canto, tecniche tissutali sottrattive come il rimodellamento dell’apice del cono basato su fotoablazione PRK in combinazione con CXL, deve considerarsi limitato a condizioni non progressive, stadi non avanzati e pachimetria sufficiente. Il concetto di “addizione tissutale” potrebbe essere al contrario una valida alternativa alla sottrazione di stroma per

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modificare la curvatura corneale, come già proposto molti decenni fa da J.I. Barraquer con l’idea della “cheratofachia stromale” (8), seppure all’epoca le metodiche additive non garantivano sufficienti risultati in termini di efficacia e sicurezza. Attualmente, la possibilità di creare lenticoli stromali femtolaser-assistiti con geometria desiderata, derivante dalla tecnologia di estrazione lenticolare refrattiva SMILE suesposta, e la capacità di creare dissezioni planari (“pocket”) di diametro e profondità desiderate hanno determinato la rinascita dei concetti di impianto intra-tissutale nelle ectasie corneali, quale il cheratocono (9,10). Uno dei concetti chiave è rappresentato dal fatto che il meccanismo di dissezione non distruttivo dei tessuti corneali nelle tecniche di estrazione lenticolare, a

differenza della vaporizzazione nella foto-ablazione, consente di mantenere integrità e trasparenza tissutale, oltre che vitalità cellulare, dei lenticoli creati che, in teoria, possono essere conservati e riutilizzati per scopi differenti. Recentemente sono stati infatti proposti differenti approcci per rimodellare la cornea ectasica nel cheratocono, mediante l’utilizzo di tessuto stromale impiantato in tasche stromali create dal laser a femtosecondi nelle cornee dei pazienti riceventi. In sintesi, sono stati utilizzati tre differenti morfologie di impianto tissutale. In primis, i profili circolari a segmento o ad anello (Corneal Allogenic Intrastromal Ring Segments – CAIRS) (11), che hanno il vantaggio di mimare gli effetti di segmenti di anelli intrastromali sintetici, addizionando tessuto

Figura 4. Rappresentazione grafica della chirurgia additiva SLAK.

Figura 5. Inserimento intracorneale del lenticolo corneale durante la procedura SLAK visualizzata al microscopio operatorio ed in OCT intraoperatorio.

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CHIRURGIA CORNEALE ROBOTIZZATA SOTTRATTIVA E ADDITIVA...

stromale nella media periferia corneale anteriore, ma senza alcuna addizione di tessuto all’apice del cono. Successivamente, l’utilizzo di profili lenticolari concavi a menisco negativo, come nella Stromal Lenticule Addition Keratoplasty – SLAK (Figura 4 e 5); (12, 13) i quali promuovono sia l’effetto di “arc shortening” in virtù della parte periferica del lenticolo più spessa, sia l’incremento di spessore corneale centrale. Infine, l’utilizzo di profili convessi ad ampio diametro (quali i lenticoli miopici di SMILE) o planari (quali i tessuti derivanti da cheratectomie lamellari iso-planari), garantisce il massimo effetto sul ripristino degli spessori corneali, pur inducendo una modesta regolarizzazione della curvatura in ectasie eccentriche come mostrato dall’analisi microscopia in vivo e delle mappe epiteliali (14,15). Ulteriori studi scientifici saranno tuttavia necessari per identificare la migliore opzione per il più efficace rimodellamento stromale nel cheratocono, al fine ultimo di ripristinare una curvatura corneale più vicino possibile alla normalità. In tal senso, il punto nodale che ancora oggi deve essere compreso è rappresentato dalla scelta dei profili lenticolari e dei diametri più adatti ad essere impiantati (16) . Parimenti, anche la profondità di impianto nella cornea ricevente è uno dei fattori che regolano l’effetto di rimodellamento delle superfici anteriore e posteriori della cornea, ed attualmente non vi sono evidenze su quale sia la profondità di impianto ideale nei differenti stadi del cheratocono, sebbene il consenso generale attualmente ricade nel terzo anteriore dello stroma corneale, per massimizzare gli effetti sulla superficie anteriore mediante minima addizione tissutale. È importante sottolineare come non vi sia una morfologia standard utile per trattare ogni stadio o tipologia di cheratocono, ma è verosimile che ogni paziente possa richiedere un profilo di trattamento specifico che meglio si adatta alla propria deformazione corneale. Ciò prevede la possibilità di personalizzare i profili lenticolari, basandosi sulla morfologia corneale preoperatoria e sulle specifiche variazioni di spessore locali della cornea. L’uso combinato di FSL e di foto-ablazioni con laser ad eccimeri sembra essere la tecnologia attualmente utilizzabile, poiché i laser a femtosecondi non ancora consentono di creare profili di ablazione personalizzati, dunque aggiungendo ulteriore complessità ad una tecnica che per definizione dovrebbe essere semplice e ripro-

ducibile. Nonostante ciò, la ricerca di una soluzione tecnologica su larga scala, semplice, riproducibile e personalizzabile rappresenta l’obiettivo da perseguire per una chirurgia mini-invasiva che possa divenire una valida alternativa alle cheratoplastiche. Un altro importante vantaggio, che supporta l’utilizzo di impianto tissutale lenticolare, è correlato al grande numero di lenticoli teoricamente disponibili su scala mondiale, grazie alla diffusione delle operazioni SMILE, rappresentando quindi una fonte preziosa ed accessibile rispetto agli standard attuali delle banche da donazioni da cadavere. La possibilità di conservare, crio-preservare e creare bio-banche di tessuti lenticolari è una promettente prospettiva sempre più studiata in tempi recenti (17), con il fine di conservare ed utilizzare in futuro tessuti stromali che, altrimenti, andrebbero scartati e persi. Tuttavia sarà necessario affrontare gli aspetti regolatori (differenti da paese a paese) ed etici, soprattutto in considerazione della natura di “donatori viventi” per i tessuti derivanti da procedure di chirurgia rifrattiva, prima che bio-banche di lenticoli possano operare nella pratica clinica. Infine, è importante ricordare che i lenticoli corneali possono essere anche decellularizzati, così da renderli degli “scaffold” collagenici impiantabili, con minimo rischio di rigetto tissutale, eventualmente anche bio-ingegnerizzabili, con l’inclusione di sostanze terapeutiche al loro interno, a realizzare una terapia “ibrida”, medica e chirurgica allo stesso tempo (18). In conclusione, il progresso tecnologico nel campo dell’oftalmologia è capace di unire due mondi, quello della chirurgia rifrattiva corneale intra-stromale avanzata su larga scala e quello delle tecniche di rimodellamento corneale per patologie più rare, ma tuttora causa nel mondo di un gran numero di trapianti di cornea, che potranno essere ridotti o evitati con risparmio di preziosi tessuti corneali. Un ambito sicuramente affascinante, che fino a pochi anni fa era del tutto impensabile (come l’idea di tagliare lamelle, con precisione nell’ordine di micron, all’interno dello stroma corneale senza danneggiarlo) e che oggi offre l’opportunità sia di correggere una miopia elevata in pochi secondi, rimuovendo una piccola parte dello stroma del paziente, sia di evitare un trapianto di cornea, semplicemente implementando una lamella stromale ancora trasparente mediante la stessa tecnologia mini-invasiva e automatizzata.

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Profilassi farmacologica delle complicanze infettive ed infiammatorie della chirurgia della cataratta alla luce delle nuove Linee Guida AIMO Alessandro Franchini, Iacopo Franchini Clinica Oculistica Azienda Ospedaliero-Universitaria di Careggi, Firenze

In questi ultimi anni i concetti base del razionale della terapia periintervento di cataratta per la prevenzione delle complicanze sia infettive (Fig. 1) che infiammatorie (Fig. 2), quest’ ultime non meno importanti e potenzialmente meno invalidanti di quelle infettive, sono completamente cambiati e di conseguenza è necessario un cambiamento delle nostre abitudini. Qual è quindi oggi lo schema farmacologico più virtuoso nel perioperatorio dell’intervento di cataratta? (Fig. 3)

Nel preoperatorio l’utilizzo di antibiotici locali è oggi sconsigliato in quanto pur determinando una bonifica del fornice congiuntivale non riduce l’incidenza delle endoftalmiti che nella maggior parte dei casi sembrano causate da patogeni provenienti dalla flora batterica perioculare. Inoltre un uso indiscriminato degli antibiotici può indurre resistenze. Oggi in Italia la percentuale di pazienti che va incontro ad una infezione multiresistente è una delle più

Figura 1. Complicanze infiammatorie dell’intervento di cataratta

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Alessandro Franchini, Iacopo Franchini

Figura 2. Complicanze infiammatorie dell’intervento di cataratta

alte in tutta Europa. Si parla di più di 284.000 casi l’anno che causano 4500-7000 decessi. Tale problema fino ad oggi non è sembrato interessare in modo particolare gli oculisti italiani anche se oggi le cose sembrano essere cambiate. Infatti una recente survey ha rivelato che il 98% degli oculisti italiani ha avuto negli ultimi sei mesi a che fare con fenomeni di resistenza agli antibiotici e che almeno il 60 % lo considera un problema di primaria importanza. Consigliato è invece l’utilizzo di antisettici non antibiotici che bonificano ugualmente e rapidamente il fornice congiutivale senza indurre resistenze. Vengono inoltre utilizzati gli antiinfiammatori non steroidei per la prevenzione della miosi intraoperatoria. Nell’immediato perioperatorio un punto fermo sem-

Preoperatorio

Perioperatorio

bra oggi essere l’utilizzo dello iodopovidone sia al 10% per la detersione della cute periorbitaria che al 5% (o anche nella nuova formulazione allo 0.6%(1)) per la detersione del sacco congiuntivale. Fortemente raccomandato è anche l’utilizzo di una iniezione intracamerulare di cefuroxime o altri antibiotici (moxifloxacina, vancomicina, etc) a fine intervento che nelle giuste concentrazioni e dosaggi è stato dimostrato ridurre di 5 volte l’incidenza delle endoftalmiti(2). Nel postoperatorio il comportamento più virtuoso per quanto riguarda l’utilizzo degli antibiotici sembra oggi essere il seguente: utilizzo di un antibiotico da solo o in associazione con un cortisonico per soli 7 giorni. A tale proposito lo studio LEADER7 (3) ha dimostrato come une settimana di associazione levofloxacina-desametasone ha lo stesso effetto nella prevenzione delle complicanze infettive ed infiammatorie di 15 giorni di tobramicina-desametazone. La somministrazione di antibiotico deve essere effettuata fin dall’inizio a pieno dosaggio ed iniziata immediatamente dopo l’intervento senza aspettare il giorno dopo. Infatti sappiamo che la copertura dell’intracamerulare è valida per circa 1 ora e che la maggior parte delle contaminazioni si verifica nell’immediato postoperatorio quando la TE diminuisce e si può verificare una entrata di liquido in camera anteriore dal fornice congiuntivale. Inoltre al settimo giorno gli antibiotici vanno bloccati immediatamente evitando assolutamente dosi a scalare che servono solo a selezionare ceppi resistenti. Nel postoperatorio l’uso dei FANS e /o dei corticoste-

Antisettici locali FANS Antisettici locali Intracamerulare di antibiotico a fine intervento Associazione antibiotico cortisonica per 7 giorni

Postoperatorio

Corticosteroidi per 1 mese o più FANS per 1 mese o più Lacrime artificiali per 3 mesi o più

Figura 3. Profilassi delle complicanze infettive ed infiammatorie dell’intervento di cataratta

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PROFILASSI FARMACOLOGICA DELLE COMPLICANZE INFETTIVE ED INFIAMMATORIE DELLA CHIRURGIA DELLA CATARATTA...

David F Chang, MD - Douglas J. Rhee, MD Antibiotic prophylaxix of postoprative endophthalmitis after cataract surgery: results of the 2021 ASCRS member survey Jounal of Cataract Refractive Surgery 2022; 48:3-7

Utilizzo di antibiotici IC a fine intervento Utilizzo di antibiotici topici nel preoperatorio

Utilizzo di antibiotici topici nel postoperatorio

2021

2014

2007

66%

50

30

85

88

97

98

73%

86%

47

3gg

30

1g

23

preoperatorio

69

1sett

21 + sett no tapering 10

+

sett

tapering

Figura 4. Risultati della Survey 2021 della ASCRS

roidi per la prevenzione dell’edema maculare cistoide va prolungato per almeno uno/due mesi. Nei casi a rischio i due farmaci possono essere usati anche in combinazione in quanto sembrano avere un effetto sinergico. Parimente l’utilizzo di lacrime artificiali nel postoperatorio va prolungato per alcuni mesi soprattutto nei pazienti a rischio di dry eye e in quelli che presentano un dry-eye conclamato. Ma di fronte a tutto questo qual è la reale situazione oggi in Italia e nel mondo? Per rispondere a questa domanda possiamo fare riferimento a due survey una Italiana prodotta da AICCER (4) ed una americana prodotta dalla ASCRS (5). I risultati sono molto interessanti soprattutto perché ottenuti in gruppi selezionati di oculisti. Si tratta infatti degli iscritti alle due societa e quindi comunque oculisti particolarmente interessati ai cambiamenti ed alle novità. L’AICCER ha inviato ai suoi membri un questionario con 11 domande concernenti aspetti pratici di management dei pazienti. Dai risultati emerge che il 25% dei chirurghi utilizza l’antibiotico topico nel preoperatorio, utilizzato invece nel postoperatorio per una settimana dal 60% dei chirurghi e per due o più settimane dal 40%. Inoltre nel postoperatorio dopo la prima settimana solo il 30% prosegue la terapia corticosteroidea, il 95% la terapia con FANS ed il 61% prescrive lacrime artificiali. Ancora più interessanti appaiono i risultati ottenuti dalla survey che l’American Society of Cataract and Refractive Surgery (ASCRS) propone tra i suoi iscritti ogni 7 anni. I risultati del 2021 mostrano un incremento dei chirurghi che iniettano cefuroxime

intracamerulare a fine intervento che tuttavia resta ancora significativamente basso (66%), e mostra ancora un altissimo numero di chirurghi che utilizzano un antibiotico topico nel preoperatorio (circa il 73%). Per quanto riguarda poi la prescrizione di antibiotici topici nel postoperatorio questi vengono utilizzati dall’86% dei chirurghi ma più del 30% di essi li usa in maniera non corretta (il 69% per una settimana, il 21% per più di una settimana senza scalare, il 10% per più di una settimana con dosi a scalare) (Fig. 4). Bene se questo è il quadro ottenuto tra gli opinion leader della chirurgia della cataratta italiani ed americani, qual è la reale situazione tra tutti i chirurghi della cataratta che lavorano sul territorio con numeri anche molto elevati, per non parlare di paesi con situazioni sanitarie diverse da quella degli Stati Uniti e quella italiana? I risultati delle survey mostrano che la strada perché certi concetti vengano recepiti è ancora lunga da percorrere. Una parola definitiva su quelli che devono essere i corretti comportamenti nella profilassi delle complicanze infettive ed infiammatorie della chirurgia della cataratta è stata data dal Ministero della Salute che il 20 marzo di questo anno ha validato ed emanato le nuove Linee Guida della chirurgia della cataratta prodotte da AIMO (Fig. 5). Come siamo arrivati alla stesura di questo importante documento? La Legge dell’ 8 marzo 2017, “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie”, recita che “gli esercenti le professioni sanitarie, nell’esecuzione delle

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Alessandro Franchini, Iacopo Franchini

promulgato il 20-03-2023 assumendo così tutta la sua importanza clinica e medico-legale (6). Questa prima stesura non ha risposto ovviamente a tutte le domande sull’argomento, ma si è concentrata su 10, 7 delle quali ricalcano punti già considerati dalla American Accademy of Ophthalmology, mentre 3 sono completamente nuovi. Per quanto riguarda in particolare la profilassi delle infezioni sono 4 i quesiti a cui viene data una risposta. Il quesito 2 (“L’iniezione intracamerulare di antibiotici è più efficacie nel prevenire l’endoftalmite postoperatoria rispetto alla sola somministrazione topica di antibiotici?) sottolinea l’importanza della iniezione intracamerulare di antibiotici invece della sola somministrazione di antibiotici topici. La risposta al quesito 4 (“La sola igiene perioculare peri- o intra- operatoria senza terapia antibiotica topica preoperatoria incrementa l’incidenza di infezioni endoculari?) afferma che “nei pazienti che si sottopongono ad un intervento di cataratta, si suggerisce di eseguire la sola igiene perioculare perioperatoria, in combinazione con iniezione antibiotica intracamerulare di antibiotico alla fine dell’intervento, senza terapia antibiotica topica preoperatoria”. Le risposte ai quesiti 9 (“Identificare e trattare il Dry Eye Disease nel preoperatorio dell’intervento di chirurgia della cataratta può ridurre i sintomi di disconfort nel periodo postoperatorio?”) e 10 (“I Farmaci antiinfiammatori non steroidei FANS diminuiscono la probabilità di insorgenza di edema maculare cistoide dopo intervento di cataratta?”) confermano l’importanza di indagare e trattare nel preoperatorio l’eventuale presenza di un dry-eye e di somministrare nel postoperatorio FANS topici per la prevenzione dell’edema maculare cistoide e sostituti lacrimali.

Figura 5. Linee Guida della chirurgia della cataratta AIMO 2022

prestazioni sanitarie si attengono, salve le specificità del caso concreto, alle Raccomandazioni previste dalle Linee guida pubblicate ai sensi del comma 3 ed elaborate da enti e istituzioni pubblici e privati nonché dalle società scientifiche e dalle associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie iscritte in apposito elenco”. In seguito il decreto 2 agosto 2017 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana - Serie Generale n. 186 del 10 agosto 2017, ha stabilito che le società scientifiche che ne avessero i requisiti potessero presentare domanda di iscrizione a tale elenco secondo le modalità previste. Quindi il ministero ha richiesto alle società accreditate esperte su di uno specifico argomento di emanare delle linee guida che una volta validate avrebbero assunto una valenza clinica e medico-legale. Aimo rispondendo a questo invito ha raccolto un gruppo di circa 20 esperti che hanno eseguito una revisione sistematica della letteratura, producendo un documento che è stato consegnato al ministero alla fine del 2022 e che dopo la sua validazione è stato

Bibliografia 1. Musumeci R.,Bandello F.,Martinelli M. et al “In vitro bactericidal activity of 0.6%povidone-iodine eye drop formulation” Eur J Ophthalmol. 2019;29:673–7 2. ESCRS Endophthalmitis Study Group: Prophylaxis of postoperative endophthalmitis following cataract surgery: results of the ESCRS multicenter study and identification of risk factors. J Cataract Refract Surg 2007;33:978- 988. 3. Bandello F, Coassin M, Di Zazzo A, et al. “One week of levo- floxacin plus dexamethasone eye drops for cataract surgery: an innovative and rational therapeutic strategy” Eye 2020; 34: 2112–2122. 4. Orfeo V., Aragona P.,Rossi S. “Management of patients undergoing cataract surgery: an Italian survey” Eur J Ophthalmol 2023 Jul;33(4):16111615 5. David F Chang,MD Douglas J.Rhee,MD “Antibiotic prophylaxis of postoprative endophthalmitis after cataract surgery :results of the 2021 ASCRS member survey Journal of Cataract Refractive Surgery 2022;48:3-7 6. Istituto superiore di Sanità “LINEE GUIDA LA CHIRURGIA DELLA CATARATTA DELL’ADULTO: INDICAZIONI ALL’INTERVENTO, PERCORSO PREOPERATORIO, TECNICHE OPERATORIE, PERCORSO POSTOPERATORIO” https://snlg.iss.it/wp-content/uploads/2023/037lg-109-aimo Chirurgia-cataratta-adulti.pdf

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Gli impianti valvolari nella chirurgia del glaucoma Giorgio Marchini Direttore della UOC Oculistica dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata, Verona Direttore della Scuola di Specializzazione in Oftalmologia dell’Università, Verona

Il significato del termine valvola è quello di un dispositivo che entra in funzione solo ad un determinato livello di pressione essendo dotato di un sistema, appunto valvolato, che controlla il flusso. Gli impianti valvolari oculari sono impropriamente chiamati valvole non essendo dotati, nella quasi totalità, di un sistema di controllo del flusso. È quindi più corretto chiamarli in modo diverso e internazionalmente vengono definiti come Glaucoma Drainage Device (GDD) o più semplicemente tubi lunghi (long tubes). Vengono utilizzati quando è opportuno portare il drenaggio dell’umore acqueo posteriormente, lontano dall’area congiuntivale limbare e paralimbare dei 180° superiori, quando questa non è più utilizzabile per la chirurgia ed è interessata dai fenomeni cicatriziali di interventi precedenti. Si tratta di solito di un tubo in materiale biocompatibile che pesca in camera anteriore, esce dal bulbo oculare, rimane aderente alla parete oculare e porta il drenaggio a livello dell’equatore e più posteriormente ad esso, attorno ad un piatto valvolare che viene applicato alla sclera. Questo consente di drenare l’umore acqueo verso un’area posteriore del bulbo oculare, dove la cicatrizzazione non è assente, ma meno intensa e permette un deflusso attraverso il tessuto capsulare che ricopre il piatto del dispositivo e che si forma dopo poche settimane (da 3 a 4) come reazione da corpo estraneo. È stato dimostrato da studi di Krupin che questo tessuto che ricopre il piatto è avascolare e istologicamente è permeabile all’umor acqueo consentendo una filtrazione minima per unità di superficie. Le dimensioni del piatto sono quindi importanti per assicurare una filtrazione sufficiente ad ottenere il compenso tensionale e teoricamente dovrebbero essere più efficienti i piatti di maggiori dimensioni.

Tipi di impianto (GDD-tubi lunghi) Esistono in commercio numerosi tipi di dispositivi di drenaggio posteriore, ma quelli più utilizzati e che hanno dimostrato la maggiore efficacia sono 4 e portano il nome del loro ideatore: Ahmed, Baerveldt, Molteno e, l’ultimo arrivato, Paul (Fig. 1). Impianto di Ahmed

È l’unico dispositivo valvolato. Ha infatti al suo interno una membrana che si apre quando la pressione supera nominalmente gli 8 mm Hg. Il piatto e il tubo sono in silicone per uso medicale. Il modello FP7, il più utilizzato, ha una superficie del piatto di 184 mm², uno spessore massimo di 2.1 mm e un diametro interno del tubo di 310µ. Impianto di Baerveldt

Non è valvolato ed è costituito da materiale in silicone. Ha un diametro interno del tubo di 310µ. Esistono due modelli, distinti dalla superficie del piatto: 350 mm² e 250 mm² (semplicemente indicati come 350 e 250). Il primo è per l’impianto nell’adulto, il secondo è pediatrico, ma le dimensioni del piatto vanno scelte in funzione delle dimensioni del bulbo e non dell’età del paziente. A differenza degli altri GDD, la forma e la grandezza del piatto della Baerveldt comportano che le estremità del piatto debbano essere collocate sotto il ventre dei muscoli retti. Impianto di Molteno

Non è valvolato. Originariamente era costituito da un doppio piatto (entrambi rotondi). Ora è costituito da un singolo piatto in polipropilene e da un tubo in silicone con diametro interno anch’esso di 310µ. Esistono due modelli di dimensioni diverse: 3SS con

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Giorgio Marchini

Ahmed FP7

Baerveldt 350

Molteno 3SL

Paul

Figura 1. Tipi di impianto valvolare. Sono meglio definiti come dispositivi di drenaggio per il glaucoma (Glaucoma Drainage Devices o GDD). Vengono anche indicati come tubi lunghi (long tubes). La figura riporta il disegno dei 4 GDD più utilizzati (descrizione nel testo)

piatto di 185 mm² e 3SL con piatto di 245 mm². Una particolarità è che sulla superficie esterna anteriore è stata creata una cresta tondeggiante, che determina una piccola camera per accogliere la filtrazione nelle prime settimane in attesa della formazione del tessuto cicatriziale.

Indicazioni per l’impianto dei GDD-tubi lunghi Considerando quanto descritto nella premessa di questo articolo l’indicazione più classica all’impianto di un GDD-tubo lungo è il fallimento della chirurgia tradizionale per i fenomeni cicatriziali. Spesso l’impianto posteriore viene eseguito quando anche una seconda chirurgia tradizionale sia fallita o anche dopo una o due revisioni di bozza. Un’altra indicazione tradizionale è il glaucoma neovascolare incontrollato; in questo caso l’impianto di un tubo lungo viene eseguito come prima chirurgia, dopo aver controllato il possibile sanguinamento con anti-VEGF. Esiste poi una serie di glaucomi secondari particolarmente difficili da controllare in cui l’impianto valvolare è spesso risolutivo: il glaucoma post-uveitico, il glaucoma post-traumatico, il glaucoma post-cheratoplastica, il glaucoma successivo a chirurgia vitreo-retinica e post-vitrectomia con silicone. Anche il glaucoma afachico e il glaucoma della sindrome ICE sono indicazioni all’impianto di un GDD-tubo lungo. Nel glaucoma della sindrome ICE, particolarmente difficile da controllare, l’impianto valvolare viene sempre più frequentemente eseguito come prima chirurgia. Una ulteriore indicazione è costituita dai casi complessi, in cui il glaucoma si verifica in occhi plurioperati per diverse ragioni, e dai glaucomi infantili e congeniti. In casi particolarmente gravi di glaucoma congenito sindromico (presentazione alla nascita con buftalmo, cornea opaca, inserzione anteriore dell’iride) l’impianto valvolare viene consi-

Impianto di Paul

Non è valvolato. Il piatto, costruito in silicone medicale, ha una superficie di 342 mm² e il tubo, anch’esso in silicone, ha un diametro interno di 127µ, il più piccolo tra tutti i GDD. Lo spessore di tutto l’impianto è di 0.8 mm e non supera i 0.95 mm nella porzione più spessa. La conformazione del piatto, più ampia rispetto agli impianti di Ahmed e Molteno, è sovrapponibile a quella di Baerveldt, ma permette di estendersi più posteriormente e di ridurre l’area del piatto che si trova sotto i muscoli retti. Tutti i GDD sono dotati di due fori sul margine anteriore del piatto (o su una piccola sporgenza anteriore del piatto chiamata “castelletto”) per l’ancoraggio alla sclera. Gli impianti di Ahmed e di Molteno sono collocati nel quadrante sclerale senza entrare in contatto con i muscoli retti. A Verona utilizziamo da sempre l’impianto di Baerveldt e abbiamo una iniziale esperienza con gli impianti di Molteno e di Paul. Da 10 anni eseguiamo mediamente 65-70 impianti/anno e abbiamo iniziato ad utilizzarli sistematicamente nel 2005. Abbiamo quindi un’esperienza che si basa su oltre 1000 impianti effettuati.

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GLI IMPIANTI VALVOLARI NELLA CHIRURGIA DEL GLAUCOMA

derato sempre più frequentemente come prima chirurgia. Infine dopo i risultati degli studi TVT (Tube Versus Trabeculectomy) e PTVT (Primary Tube Versus Trabeculectomy) l’impianto di un GDD-tubo lungo può essere proposto anche come prima chirurgia in un glaucoma con indicazione chirurgica e mai operato prima.

posizionamento dell’impianto nel temporale superiore è una regola mandatoria, consigliata da tutti gli Autori. L’eccezione è rappresentata dall’impianto nel quadrante temporale inferiore quando si esegue un secondo impianto valvolare e il quadrante temporale superiore è già occupato dal primo impianto. Il lembo congiuntivale viene preparato di solito con incisione al limbus e base fornice. Noi preferiamo un’incisione a 10 mm dal limbus e una preparazione del lembo base limbus, completando posteriormente lo scollamento del complesso Tenone-congiuntiva per preparare l’alloggiamento del piatto valvolare dopo aver caricato su due fili di trazione i muscoli retto superiore e retto laterale. Il piatto valvolare della Baerveldt viene posizionato con le due parti laterali al disotto dei ventri muscolari e ancorato alla sclera con due suture non riassorbibili (TI-Cron 6-0) in modo che il margine anteriore del piatto sia bloccato a 11 mm dal limbus. A questo punto si procede ad attuare le manovre cosiddette restrittive. Il tubo di un impianto non

Tecnica chirurgica Per l’impianto di un GDD-tubo lungo l’anestesia può essere locale o generale e normalmente viene utilizzata l’anestesia locale, talvolta con l’ausilio della sedazione. Noi utilizziamo l’impianto di Baerveldt 350 nella quasi totalità dei pazienti ed eseguiamo l’intervento il più spesso in anestesia generale. Dal punto di vista tecnico sono importanti e prioritari il sito di posizionamento dell’impianto, il lembo congiuntivale, la legatura temporanea del tubo e il ricoprimento del tubo (patching). L’intervento inizia con la preparazione del lembo congiuntivale nel quadrante temporale superiore. Il

Figura 2. Impianto di Baerveldt in un paziente già sottoposto ad intervento combinato e a successiva revisione di bozza. Particolare del tubo valvolare in camera anteriore. Sono visibili i due fili endoluminali in prolene 5 e 6-0, e una parte del patch di sclera di donatore sottocongiuntivale che ricopre il tubo nell’area paralimbare

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Giorgio Marchini

valvolato se lasciato libero determinerebbe un flusso dell’acqueo eccessivo, con conseguente marcata ipotonia e le relative possibili gravi complicanze. Pertanto diviene essenziale adottare provvedimenti che limitino e controllino il flusso al suo interno per le prime settimane, in attesa che i fenomeni cicatriziali limitino la filtrazione attorno al piatto del dispositivo. Per raggiungere questo obiettivo vengono inseriti nel lume del tubo valvolare due fili in Prolene, uno 5-0 e uno 6-0, e il tubo viene chiuso con una sutura in materiale riassorbibile 7-0 (ripcord suture). Il tubo viene quindi accorciato con microforbici in modo che sporga in camera anteriore per 2 mm e che abbia la punta beveled. Con un ago 22G si entra in camera anteriore a livello del limbus dopo aver iniettato materiale viscoelastico dispersivo attraverso un’apertura di servizio per mantenere gli spazi ed evitare l’ipotonia improvvisa. Quindi si sfila l’ago e nel tramite si introduce il tubo. Quest’ultimo viene fissato alla superficie sclerale con una singola sutura in nylon 10-0. Il tubo viene poi ricoperto con un patch rettangolare di sclera di donatore, opportunamente confezionato ed esteso dal limbus fino al castelletto del piatto valvolare. Il patch viene ancorato alla sclera con due suture in materiale riassorbibile 7-0 e l’intervento si conclude con la sutura della congiuntiva-Tenone in materiale riassorbibile 8-0 avendo attenzione di ricostruire i due piani con precisione. In alcune situazioni complesse si presentano problemi di esecuzione tecnica. In caso di marcata fibrosi e retrazione congiuntivale per precedenti chirurgie ripetute, il tessuto può essere insufficiente e allora è necessario utilizzare ampi patch di sclera di donatore per coprire le mancanze di tessuto. Quando sono presenti elementi indentanti come un cerchiaggio, diviene indaginoso separare i tessuti per preparare l’area di alloggiamento del piatto e il bordo anteriore del piatto va fissato al bordo posteriore del cerchiaggio. Se un occhio a seguito di chirurgia vitreo-retinica contiene ancora in camera vitrea il silicone occorre mantenere con il viscoelastico la compartimentazione tra segmento anteriore e posteriore per evitare che il silicone si sposti in camera anteriore. Nella miopia elevata e nell’afachia, dove l’ipotonia postoperatoria è particolarmente pericolosa per l’effusione uveale, può essere utile utilizzare un ago 25G per preparare l’ingresso del tubo ed evitare la filtrazione peritubulare e mantenere viscoelastico in camera anteriore a fine intervento.

Risultati Alla fine degli anni 90 i risultati di nove studi non erano conclusivi nel confronto fra i vari tipi di GDD allora in uso e, utilizzando come criterio di successo un livello di IOP inferiore a 25 mmHg (sic!), evidenziavano che il successo era raggiunto nel 60-70% dei casi. Un dato tuttavia da ricordare, messo in luce in quel periodo, è che l’impianto in pars plana negli occhi vitrectomizzati è meglio per la perdita di cellule endoteliali corneali, ma aumenta il tasso di esposizione del tubo valvolare. Da allora le cose sono cambiate: l’impianto di un GDD è entrato nell’armamentario chirurgico sistematico per la cura del glaucoma, le tecniche sono state meglio definite e i risultati sono notevolmente migliorati. Nella nostra serie di 160 occhi di 147 pazienti operati con impianto di Baerveldt e seguiti per 4 anni la IOP è scesa da 31.8 ± 6.4 a 14.4 ± 3.5 mmHg (riduzione del 55%), con un successo completo, senza farmaci, del 73% e un successo qualificato, con farmaci ipotensivi oculari, del 91%. Inoltre, con una ricerca dedicata, abbiamo dimostrato che l’utilizzo del doppio filo endoluminale riduce la frequenza e l’entità degli spikes pressori nell’immediato postoperatorio e nei primi giorni successivi all’intervento (Fig. 2). Risultati analoghi pubblicati da altri autori in 7 studi degli ultimi 3 anni e 3 importanti studi randomizzati multicentrici internazionali degli ultimi 10 anni (confronto fra trabeculectomia e tubo lungo a 5 anni, confronto tra Ahmed e Baerveldt a 5 anni, utilizzo del tubo lungo come chirurgia primaria in occhi mai operati prima) hanno permesso finora di affermare che: – Negli occhi già operati di trabeculectomia e/o di estrazione di cataratta con impianto di IOL in cui sia fallito il controllo tensionale, l’impianto di un tubo lungo rispetto ad una seconda trabeculectomia ottiene dopo 5 anni una riduzione tensionale lievemente peggiore (14.4 ± 6.9 contro 12.6 ± 5.9 mmHg), ma con i vantaggi di una minore probabilità di fallimento e di un numero inferiore di reinterventi. – È incerta la differenza fra impianto di Ahmed e Baerveldt nel glaucoma primario ad angolo aperto già sottoposto a precedente chirurgia tradizionale, mentre nei glaucomi secondari post-uveitico, post-vitrectomia, nel glaucoma neovascolare e in quello congenito l’impianto di Baerveldt sembra avere un minor tasso di fallimento e un minor numero di procedure addizionali per controllare il glaucoma.

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GLI IMPIANTI VALVOLARI NELLA CHIRURGIA DEL GLAUCOMA

– L’impianto di Baerveldt rispetto a quello di Ahmed ottiene una IOP più bassa (13.6 ± 5 contro 16.6 ± 6 mmHg), ma paga questo vantaggio con lo sviluppo di ipotonia patologica nel 5% dei pazienti operati. – L’impianto di Paul, concepito per avere miglior tasso di successo tensionale con una minor frequenza di complicanze, si è dimostrato promettente, ma non abbiamo ancora studi in grado di confermare questo vantaggio. – L’impianto di un tubo lungo come primo intervento in occhi mai operati prima, dopo 5 anni ottiene risultati simili alla trabeculectomia, ma richiede un numero maggiore di farmaci postoperatori per ottenere il compenso tensionale.

stoperatorie, dovuta alle tecniche restrittive applicate ai tubi non valvolati (fili endoluminali e ripcord) e finalizzate ad evitare l’ipotonia marcata postoperatoria in attesa della formazione del tessuto attorno al piatto valvolare. Può durare anche poche settimane e richiede una gestione molto attenta delle prime ore e delle prime settimane successive all’intervento, utilizzando farmaci topici ipotensivi oculari e inibitori dell’anidrasi carbonica sistemici, arrivando anche alla rimozione dei fili endoluminali. Le complicanze tardive più tipiche sono invece la cheratopatia bollosa da insufficienza endoteliale e il decubito congiuntivale con esposizione del tubo valvolare. Possono entrambe verificarsi anche dopo anni dall’impianto. L’esposizione del tubo valvolare può favorire infezioni fino all’endoftalmite e va affrontata con il ricoprimento con patch sclerale senza perdere molto tempo. La perdita di cellule endoteliali è maggiore in prossimità del tubo valvolare ed è proporzionale alla lunghezza del tubo in camera anteriore e alla sua vicinanza o contatto con la linea di Schwalbe. La cheratopatia bollosa richiede il trapianto di endotelio corneale, sia DSEK che DMEK. Nella nostra serie l’8% dei pazienti operati con l’impianto di Baerveldt ha richiesto l’intervento di endocheratoplastica e abbiamo pazienti operati da oltre 10 anni che necessitano di una DSEK ogni 3-4 anni. Infine la vera complicanza di questa chirurgia, come di tutte le altre chirurgie per la terapia del glaucoma, è il fallimento della procedura per i fenomeni cicatriziali con la risalita della IOP. Quando la filtrazio-

Complicanze Le complicanze degli impianti valvolari sono le stesse della trabeculectomia: ipo-a-talamia, ipoema, effusione uveale, leakage congiuntivale, infezioni, ipotonia patologica e fallimento per fibrosi con ipertensione oculare. Esistono poi complicanze specifiche dei GDD: l’ipertono postoperatorio precoce, possibili problemi legati a malposizione, ostruzione e retrazione del tubo, infiammazione cronica di basso grado che può portare a edema maculare cistoide (EMC), diplopia dovuta a strabismi restrittivi. Nella Tabella 1 vengono riportate il tipo e il numero di complicanze nella nostra serie di 160 impianti di Baerveldt con follow-up di 4 anni. La complicanza precoce più tipica è la fase ipertensiva iniziale che può verificarsi dalle prime ore po-

Complicanze precoci (entro 3 mesi) Picco ipertensivo (IOP > 30 mmHg)

37/160

23 %

Distacco di coroide

14/160

9%

Emorragia sopracoroideale

7/160

4%

Ipotonia (IOP < 5 mmHg)

9/160

6%

Leakage congiuntivale

1/160

0.6 %

Distacco di retina

2/160

1.2 %

Endoftalmite

1/160

0.6 %

Cheratopatia bollosa da insufficienza endoteliale

13/160

8%

Erosione-esposizione del tubo valvolare

4/160

2.5 %

Edema Maculare Cistoide

4/160

2.5 %

Leakage congiuntivale

1/160

0.6 %

Distacco di retina

1/160

0.6 %

Ipotonia-ftisi bulbare

1/160

0.6 %

Complicanze tardive (dopo 3 mesi)

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Tabella 1. Tipo e numero di complicanze precoci e tardive nella nostra serie di 160 impianti di Baerveldt con un follow-up di 4 anni


Giorgio Marchini

ne esterna posteriore fallisce si possono considerare: la sostituzione dell’impianto con un altro impianto caratterizzato da un piatto più grande, l’impianto di un secondo GDD nel quadrante temporale inferiore o la ciclofotoablazione dei processi ciliari.

è indicato classicamente quando la chirurgia tradizionale è fallita, e anche come prima chirurgia in alcuni glaucomi difficili come quello neovascolare, della sindrome ICE e in casi complessi di glaucoma secondario. La tecnica chirurgica è ormai codificata e deve attenersi a precisi tempi di esecuzione finalizzati soprattutto al controllo della filtrazione eccessiva delle prime settimane. I risultati consentono il compenso tensionale nella maggior parte (80%) dei pazienti operati con un tasso di complicanze accettabile, la maggior parte delle quali è risolvibile.

Considerazioni finali Gli impianti valvolari sono entrati nella moderna chirurgia del glaucoma con il preciso ruolo di drenare l’acqueo nello spazio sotto-tenoniano equatoriale e della porzione posteriore del bulbo. Il loro utilizzo

Bibliografia 1. 2) 3. 4. 5. 6. 7.

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Lesioni melanocitiche coroideali di piccole dimensioni: nevi o melanomi? Cinzia Mazzini Direttore Responsabile Unit di Oncologia Oculare Azienda Ospedaliero Universitaria, Careggi, Firenze

La diagnosi clinica di melanoma uveale è semplice quando di troviamo di fronte a lesioni di grandi dimensioni, con distacco retinico essudativo satellite o con la classica morfologia fungiforme. Più complessa è la diagnosi dei piccoli melanomi, che sono lesioni spesso difficilmente distinguibili clinicamente da un nevo. I nevi della coroide sono le neoplasie intraoculari benigne più frequenti. Si tratta di lesioni comuni, presenti in circa il 5 – 6 % della popolazione adulta. Pur essendo un’evenienza rara sappiamo che il melanoma della coroide può prendere origine da un nevo preesistente. Dalla letteratura sappiamo che il tasso di trasformazione annuo di un nevo in melanoma è basso, compreso tra circa 1 su 5000-8800 casi. Piccole lesioni melanocitiche coroideali possono essere ragionevolmente gestite con sorveglianza fino a quando non dimostrano evidenza di crescita o fattori di rischio clinici per melanoma. Tuttavia, anche i nevi non sono stazionari e molti mostrano una crescita lenta nel tempo (Shields et al.). hanno osservato un aumento delle dimensioni del 3 4% dei nevi senza sviluppare segni di malignità. Distinguere un nevo da un piccolo melanoma può essere complesso, ma conoscere i fattori associati ad un aumento del rischio di trasformazione può aiutare l’oftalmologo a fare una diagnosi corretta, inviando i pazienti al momento opportuno a centri di riferimento, in grado di trattare i pazienti in modo appropriato. Shields et al. hanno individuato i segni clinici oftalmoscopici ed ecografici che permettono di prevedere la trasformazione tumorale di un nevo in melanoma.

Figura 1. Ecografia B-scan: vacuolo acustico interno

Figura 2. Nevo parapapillare con pigmento arancio (freccia)

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Cinzia Mazzini

Dalvin LA, Schields CL et al. Combination of multimodal imaging features pèredictive oh choroidal nevus transformation into melanoma. Br.J.Ophthalmol, 2018.312967

Tali fattori di rischio sono stati descritti con l’espressione mnemonica “To Find Small Ocular Melanoma Using Helpful Hints Daily“ dove T (thikness) spessore >2mm F (fluid) presenza di fluido sottoretinico S (symptoms) fosfeni, diminuzione del del visus O (orange) pigmento arancio M (margin) margine tumorale < a 3mm dalla papilla H (hollowness) vacuolo acustico all’ecografia H (halo) assenza di alone di depigmentazione attorno alla lesione D (drusen) assenza di drusen Le tecniche di imaging impiegate oggi nella valutazione di un nevo coroideale includono retinografia,

con autofluorescenza del fundus (AF), tomografia a coerenza ottica (EDI e SS-OCT) e ultrasonografia (US) ad alta risoluzione. Queste modalità consentono il rilevamento di caratteristiche fini, che possono essere difficili da valutare clinicamente, tra cui la reflettività interna del tumore, il pigmento lipofuscinico, l'edema intraretinico, le alterazioni dei fotorecettori e il fluido sottoretinico superficiale. L’imaging multimodale deve essere sempre utilizzato ad ogni visita di follow up, in modo da evidenziare tempestivamente ogni segno di trasformazione. Per questo motivo più di recente l’espressione mnemonica è stata modificata in “To Find Small Ocular Melanoma Doing Imaging” (TFSOM-DIM), dove la

Figura 3. Retinografia wide-field di nevo epipapillare

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LOREM IPSUM

Figura 4. Autofluorescenza (AF) che dimostra fluido sottoretinico, con sindrome gravitazionale, segno di attività

D intende un diametro basale maggiore di 5 mm all’ecografia e fotografia del fondo. La presenza contemporanea di più fattori si associa ad un aumentato rischio di trasformazione in melanoma. In particolare, in assenza di fattori di rischio la probabilità di trasformazione a 5 anni di un nevo in melanoma è stimata intorno all’1%, in presenza di un fattore, la probabilità varia dal 9 al 37%, a seconda del fattore presente : la presenza di pigmento arancio è uno dei fattori più forti, i sintomi visivi invece sono

un fattore meno importante. In questo caso l’osservazione può essere un’opzione ragionevole, in presenza di pigmento arancio invece è necessario un più stretto follow-up. In presenza di due fattori associati il rischio stimato va dal 12% a 68%, sempre a seconda dei fattori considerati. In presenza di T e O il rischio è particolarmente alto ed è pertanto opportuno riferire il paziente ad uno specialista oncologo oculare. In presenza di tre fattori il range va dal 21% al 100%.

Figura 5. In queste immagini possiamo osservare quelle lesioni melanocitiche che sono rimaste stabili nel tempo, si indentificano una serie di caratteristiche comuni, tra cui la presenza di drusen e alterazioni atrofiche dell’epitelio pigmentato retinico sovrastante

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Cinzia Mazzini

Figura 6. Osservando invece i nevi che si sono successivamente trasformati, si trattava mediamente di lesioni di maggior dimensioni al momento della diagnosi (maggior spessore e diametro) senza drusen e alterazioni atrofiche sovrastanti, e in particolare si osservava spesso la presenza di fluido sottoretinico e la presenza di accumuli di lipofuscina (il cosiddetto pigmento arancio), che sono segni di attività di una lesione pigmentata coroideale

Talvolta, nonostante l’impiego di imaging multimodale, alcune lesioni rimangono di difficile classificazione, e vengono pertanto denominate “lesioni melanocitiche indeterminate”. Tali lesioni, con caratteristiche comuni ad entrambe le lesioni, devono essere sottoposte a controlli più stretti, perché è stato dimostrato che la velocità di crescita aumenta significativamente subito prima della trasformazione in melanoma. Shields e coll. hanno valutato il rischio di trasformazione di nevo a melanoma, per incremento di spessore millimetrico, dimostrando che questo aumenta in modo importante all’aumentare dello spessore. Già rispetto ai nevi piani (<=1 di spessore), quelli con spessore compreso tra 1.1 e 2.0 mm avevano un rischio di trasformazione a 5 anni superiore di 5 volte. L’incremento di dimensioni da ≤2.0 mm a >2.0 mm di spessore conferisce il maggior rischio di trasformazione. I piccoli melanomi coroideali hanno una prognosi migliore rispetto ai tumori di grandi dimensio-

ni. Tuttavia, questi piccoli tumori possono diffondersi, spesso in una fase avanzata del loro decorso e metastatizzare preferenzialmente al fegato. Calcoli teorici basati sui tempi di raddoppio del tumore hanno suggerito che i melanomi uveali piccoli fino a 3 mm di diametro basale (LBD) potrebbero già metastatizzare. Quale sia il limite di dimensione effettivo affinché un melanoma della coroide possa acquisire la capacità di metastatizzare rimane sconosciuto È stato condotto uno studio retrospettivo multicentrico europeo sui piccoli melanoma fatali al fine di determinare se sia possibile stabilire o meno un limite di dimensione per lo sviluppo di metastasi di un melanoma coroideale e per caratterizzare l'aspetto e il decorso di un melanoma piccolo fatale prima e dopo il trattamento. Tali dati costituiscono un aiuto prezioso nella comprensione del momento in cui trattare un tumore coroideale pigmentato piccolo e sospetto. Si conclude che in caso venga osservata una crescita

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LESIONI MELANOCITICHE COROIDEALI DI PICCOLE DIMENSIONI: NEVI O MELANOMI?

Schielsd CL et al. The 2019 Wendell L.Hughes Lecture. Retina, 39.2019

non coerente con un nevo coroidale è prudente considerare un trattamento immediato, indipendentemente dalle dimensioni del tumore. Il rischio di metastasi sembra essere ancora relativamente basso finché il melanoma non supera i 9 mm nel LBD, a condizione che il suo spessore rimanga pari o inferiore a 3 mm: lo studio collaborativo di coorte ha riportato un rischio di metastasi dell'8% a 10 anni per un melanoma coroideale di questo tipo, rispetto al 15% per uno compreso tra 9,1 e 12 mm di

LBD o superiore a 3 mm di spessore. Questo rischio relativamente basso può spiegare perché piccole serie di cazsi osservazionali non hanno riscontrato una differenza nella mortalità dei piccoli melanomi osservati per la crescita rispetto a quelli trattati immediatamente. In generale, si ritiene che i pazienti più anziani siano a maggior rischio di melanoma uveale metastatico. La sopravvivenza dopo le metastasi è tipicamente breve, non superiore a un anno di media.

Bibliografia 1. Ocul Oncol Pathol. 2022 Feb;8(1):71-78. doi: 10.1159/000521541. Epub 2021 Dec 22. A Prediction Model to Discriminate Small Choroidal Melanoma from Choroidal Nevus. Emily C Zabor, Vishal Raval, Shiming Luo, David E Pelayes, Arun D Singh 2. Graefes Arch Clin Exp Ophthalmol. 2023 Jun 2. doi: 10.1007/s00417-023-06130-0. Online ahead of print. Growth rate of indeterminate choroidal lesions prior to melanoma diagnosis. Frances Wu, Anne Marie Lane, Monica M Oxenreiter Evangelos S Gragoudas, Ivana K Kim 3. Eye (Lond). 2022 May 23. doi: 10.1038/s41433-022-02110-6. Online ahead of print. Survey of ophthalmic imaging use to assess risk of progression of choroidal nevus to melanoma. Joseph D DeSimone 1, Philip W Dockery, Jason B Kreinces, Rebecca R Soares, Carol L Shields. Br J Ophthalmol. 2018 Dec 6. pii: bjophthalmol-2018-312967. doi: 10.1136/bjophthalmol-2018-312967. [Epub ahead of print] 4. Combination of multimodal imaging features predictive of choroidal nevus transformation into melanoma. Dalvin LA, Shields CL, Ancona-Lezama DA, Yu MD, Di Nicola M, Williams BK Jr, Lucio-Alvarez JA, Ang SM, Maloney SM, Welch RJ, Shields JA Retina. 2018 Dec 31. doi: 10.1097/IAE.0000000000002440. [Epub ahead of print] 5. Choroidal nevus imaging features in 3,806 cases and risk factors for transformation into melanoma in 2,355 cases: The 2020 Taylor R. Smith and Victor T. Curtin Lecture. Shields CL1, Dalvin LA, Ancona-Lezama D, Yu MD, Di Nicola M, Williams BK Jr, Lucio-Alvarez JA, Ang SM, Maloney S, Welch RJ, Shields JA. 6. Singh AD, Kalyani P, Topham A. Estimating the risk of malignant transformation of a choroidal nevus. Ophthalmology 2005;112: 1784-1789. 7. Ganley JP, Comstock GW. Benign nevi and malignant melanomas of the choroid. Am J Ophthalmol 1973;76:19-25.

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I BAMBINI CRESCONO IN FRETTA, NON FAR CRESCERE LA MIOPIA CON LORO

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LOREM IPSUM

Live surgery: cultura o spettacolo? Vittorio Picardo Oculista, Roma

Da moltissimi anni nei congressi di tutte le Specialità si sono inserite sessioni di chirurgia in diretta come nuovo modello di insegnamento. Questo tipo di inserimento tecnologico richiama molto il concetto culturale dei Paesi anglofoni che registravano già gli interventi chirurgici dal dopo guerra e in alcuni casi, come negli ospedali universitari, le sale operatorie disponevano di soffitti a vetrate per gli ospiti e gli studenti. Nella nostra Specialità, un primo passo in tal senso lo troviamo nell’Istituto Barraquer di Barcellona e poi di Bogotà con il cosiddetto “chirofano”, una specie di cupola trasparente che circondava il chirurgo,

avvicinando molto studenti o visitatori al campo operatorio pur con questo intermezzo di sicurezza. Di fatto, la sala operatoria sterile era l’interno e il lato esterno di questa cupola trasparente era un ambiente “sporco” con le postazioni di insegnamento. A quell’epoca, i microscopi operatori cominciavano a fornirsi di telecamere e quindi di monitor per cui l’attività dimostrativa veniva seguita su questi schermi, prima in bianco e nero poi a colori. Nel corso degli anni, le tecnologie si evolvono, le strumentazioni migliorano, diventando qualche volta più ingombranti, altre volte più snelle, migliora la qualità di ripresa e si pensa così di concepire la

Figura 1. Sala operatoria in allestimento

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Vittorio Picardo

Figura 2. Chirurgia della retina

sala operatoria un po' come uno “studio televisivo” sala congressuale ed equipe medica, per discutere a dal quale trasmettere l’evento programmato. fine intervento delle tecniche adoperate, dei devices Nell’immagine (figura 1) si vede bene come all’in- utilizzati, insomma della conduzione fino al buon terno della sala operatoria sia posizionata non solo fine dell’intervento. una telecamera esterna, ma anche un braccio mo- Nei cambi tra i pazienti o nei momenti di riordino bile, mentre la telecamera sul campo operatorio è delle sale operatorie o di sostituzione delle strugià inserita nel gruppo ottico del campo operatorio. mentazioni di una Azienda o un’altra, nei corridoi del complesso operatorio c’è un traffico legato all’eAlle pareti notate già i monitor di controllo. Così, più o meno è “invasa” oggi una sala operato- vento, ma anche qualche istante di relax (figura 4). Così per sommi capi, le live surgeries oggigiorno, ria per una live di chirurgia oftalmica. Nel momento in cui entra il paziente, e viene siste- naturalmente pensando anche ai collegamenti via mato sul lettino operatorio, nonché preparato il campo sterile... la sala si affolla perché, al personale sanitario e parasanitario indispensabile, si aggiunge quello tecnico per le riprese con cavi, fili elettrici, cerottini di segnalazione, monitor e altoparlanti. La figura 2 mostra un intervento iniziato in modalità 3D con l’equipe chirurgica al suo posto e gli strumenti in attività. Normalmente, in una seduta di live surgery, viene anche allestito un angolo per i chirurghi (figura 3) dove si produce un collegamento tra Figura 3. Angolo intervista

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LIVE SURGERY: CULTURA O SPETTACOLO?

Figura 4. Corridoio - live surgery

internet a seconda delle necessità organizzative. Tutto qui? No, perché queste sessioni meritano spunti di riflessione e di revisione critica. La mia esperienza personale risale a circa 30 anni fa, quando venivo coinvolto dal Dottor Buratto come commentatore delle sue live surgeries di cataratta, poi anche di glaucoma e di refrattiva, per quel congresso che è stato il numero 1 per l’aggiornamento nella chirurgia della facoemulsificazione che è Videocataratta.

Figura 5. Regia

Così, sono passato da cabine di regia (figura 5) con cuffia a posizione di affiancamento al chirurgo, a tecnici, alle realtà delle sale operatorie per il nuovo ruolo di interlocutore / commentatore dell’intervento chirurgico. Ero giovane, gli ospiti erano importantissimi e quindi la soggezione nel gestire il dialogo era tantissima, per rispetto sia ai Colleghi chirurghi che al Dottor Buratto organizzatore, con la paura, tenuta silenziosamente dentro di me, di non saper descrivere bene l’intervento, di porre domande poco significative che potessero creare problemi al chirurgo o alle Aziende coinvolte, magari addirittura nel momento sbagliato. Capirete quanta paura ed ansia, e se tutto questo doveva essere gestito in inglese... immaginate un handicap in più! Evidentemente, ho svolto questo ruolo discretamente bene, per cui la collaborazione agli eventi congressuali con chirurgia in diretta mi è stata richiesta sempre di più negli anni, molte volte anche in qualità di chirurgo, non solo in Italia, ma in Europa e


Vittorio Picardo

anche al di là del mare. È stato sempre un onore e un piacere, perché ho avuto modo di confrontarmi con Colleghi ed Amici esperti, sia italiani che internazionali ed ho quindi “goduto” di corsi di aggiornamento quasi personali, per la possibilità di parlare direttamente con il Collega americano giapponese, sudafricano, sudamericano o del nord o sud Italia. Da qualche tempo, questo tipo di commento della Figura 6. Collegamento live chirurgia lo svolgo anche con collegamenti via internet e quindi sono stato a curiosare in sale operatorie anche molto lontane da Roma, traendo sempre un vantaggio culturale importante (figura 6). Le live surgeries hanno però dimostrato alcuni limiti o problematiche, specialmente quando sopraggiunge una complicanza imprevista o una difficoltà tecnica. La Comunità internazionale ha allora pensato di far lavorare e registrare i chirurghi di un programma scientifico pre-ordinato a casa propria, per migliorare il comfort psicologico e professionale dell’operatore, mantenendo alcune costanti legate al proprio ambiente di lavoro quotidiano. In questo modo, si sono create delle sessioni chirurgiche chiamate “Re-Live” sulle quali il chirurgo o un panel può parlare e discutere più serenamente, perché libero dalla presenza reale del paziente. E peraltro, trattandosi di un filmato, si può ritornare su questo o quel momento chirurgico a seconda della necessità. Penso che questa modalità rispetti di più il rapporto fiduciario tra staff chirurgico e paziente, di cui viene rispettata la scelta professionale, evitando di proporgli un chirurgo ospite. Si fa diventare culturale un momento di routine, mantenendo margini di sicurezza assoluti.Tutt’al più, se si volesse veramente commentare in diretta, io immagino il commentatore non in collegamento con la sala operatoria, ma solo con l’aula congressi cui giungerebbero le sue parole e le sue osservazioni che un panel potrebbe rielaborare ed ampliare. Il chirurgo poi, potrebbe aggiungersi a fine intervento.

Questa, la realtà ad oggi in un mondo in cui un clic su una delle varie piattaforme di internet offre una scelta infinita di contributi più o meno di qualità, più o meno didattici, con il rischio di avere spettacolarizzato l’atto chirurgico del professionista. In fondo, tanti anni fa quando la facoemulsificazione cominciava a presentarsi nelle nostre sale operatorie eravamo più attratti dalla gestione delle complicanze che dallo svolgimento regolare e completo dell’intervento chirurgico secondo i “canoni” scientifici. Per concludere, qualche breve aneddoto: - non sempre riesco a trovare delle tutine da indossare della mia taglia, 3XL, logica conseguenza di tutta la chirurgia in diretta che ho visto, commentato e compreso - ogni tanto, nei corridoi dei congressi mi fermano dei Colleghi per dire: “Ho il piacere di conoscerLa perché, fino adesso, Lei per me era principalmente una voce su uno schermo!” E così, ogni tanto qualche Collega mi presenta come il Pippo Baudo delle dirette oculistiche. Io sorrido volentieri a tutto, ma fondamentalmente devo dire grazie al Dottor Buratto per primo e a tutti gli altri Colleghi che mi hanno coinvolto in questo tipo di avventure professionali, segno forse più del loro affetto nei miei confronti che del mio vero valore in questo ruolo atipico. In tutti questi anni ho imparato tantissimo, mi son divertito e tornando nelle sale operatorie ho spesso messo in pratica ciò che avevo imparato il giorno prima durante quella live.

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INTERVISTA DEL GIORNO

A tu per tu Michele D’Asaro intervista Vincenzo Sarnicola

Michele D’Asaro

Il prof. Sarnicola è uno dei pionieri della nuova chirurgia corneale, ha fondato SICSSO (Società Internazionale Cornea, Staminali e Superficie Oculare), è stato il primo presidente di Eucornea, ha fatto parte dei board di Cornea Society, dell’American Academy, pluripremiato, di recente è stato inserito nella Walk of Fame della Banca degli occhi di Sorocaba Brasile, una delle banche più grandi nel mondo, e gli è stato assegnato il prestigioso Premio Giuseppe Sciacca Dalla Università Urbaniana del Vaticano per aver eseguito il primo autotrapianto della intera superficie oculare da un occhio non vedente, per irreversibile cecità renitica, all’occhio adelfo non vedente per perdita della funzionalità corneale e della superficie oculare. E tantissimi altri traguardi… In occasione del XIV congresso Aimo gli rivolgiamo alcune domande

come la facoemulsificazione, ma anche del segmento posteriore con modalità 23 o 25 gauge. Per la cornea i “fallimenti da Pk” erano l’inizio della fine, una seconda Pk spesso durava davvero poco (50% di sopravvivenza a 5 anni) ed una terza Pk aveva le settimane contate con rigetti che superavano l’80% ad 1 anno, per perdita dell’immunomodulazione del segmento anteriore (Acaid). Poi apparve evidente con il migliorare della diagnosi, che le malattie della superficie oculare avevano un’identità, che spesso provocavano una perdita della funzionalità corneale rimanendo circoscritte alla sola superficie. Lo stesso poteva affermarsi per le malattie dello stroma che raramente interessavano l’endotelio o la superficie. E ancor di più le malattie dell’endotelio interessavano le altre strutture, quasi sempre, solo in caso di disfunzione endoteliale. I dati li avevamo davanti agli occhi, per interpretare le malattie corneali come malattie della superficie, dello stroma o dell’endotelio, almeno come genesi fisiopatologica. E da lì ebbe inizio dell’era dei trapianti lamellari.

Michele D’Asaro: Il prof Ed. Holland qualche tempo fa ha detto che Lei già alla fine degli anni 90 aveva ipotizzato l’’evoluzione” dei trapianti verso la chirurgia mininvasiva lamellare, mentre tutti i chirurghi nel mondo eseguivano trapianti perforanti. Cosa glielo faceva pensare? Cosa è cambiato nel trattamento chirurgico delle malattie corneali negli ultimi 20 anni?

Michele d’Asaro: Che ruolo ha avuto l’Italia? Vincenzo Sarnicola: L’italia ha avuto un ruolo

Vincenzo Sarnicola: io dico sempre che la nostra è stata

importantissimo, riscattandosi dall’oblio che l’aveva contraddistinta negli anni anteriori al ‘95, a causa di una carenza legislativa silenziosamente fragorosa. Erano gli anni in cui moltissimi italiani andavano a farsi operare all’estero. La legge 331 del ’93 sbloccò il genio italiano. Il prof. Traverso per primo eseguì un innesto di epi-

una generazione di chirurghi corneali fortunatissima. Abbiamo assistito ad un capovolgimento copernicano dell’approccio chirurgico trapiantistico. L’intuizione era sotto gli occhi di tutti. I trapianti perforanti, che avevano dominato nel ‘900, non erano al passo con l’evoluzione mininvasiva delle altre chirurgie oculari, sia del segmento anteriore,

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a cura di Michele D'Asaro

telio coltivato, il prof Trimarchi spinse con autentica generosità le prime DALK in Italia, ispirato dalla tecnica “dividi e conquista” pubblicata da Tsubota, il dott Caramello si ispirò alla tecnica di Idrodissezione pubblicata da Sugita, e ne fu il portabandiera. Mentre in Italia le varie scuole si rincorrevano nel trovare le tecniche più semplici e ripetibili, il mondo intero “dormiva” cullandosi di una Pk oggettivamente destinata ad essere messa da parte. A onor del vero, non tutti in Italia si schierarono in favore della Dalk ma anche nomi illustri e blasonati ritenevano che la DALK fosse un intervento senza futuro. Il problema non è ancora risolto. Nonostante le evidenze scientifiche sono schiaccianti e senza possibilità di appello, nel mondo, ancora molti pazienti affetti da malattie stromali ricevono una PK. Le motivazioni sono da ricercare nella severa curva di apprendimento, non facile per la DALK, sia come tecnica chirurgica, sia come possibilità di reclutamento di un numero congruo di pazienti. C’è tanta strada da fare ancora per rendere omogenea l’offerta sanitaria nel mondo.

La tecnica più diffusa, anche per problematiche economiche, è l’autotrapianto di limbus, prelevato dall’occhio adelfo sano. Recentemente La Slet (il prelievo di limbus controlaterale microframmentato ed innestato “a pioggia”) è proposta, da alcuni autori, come alternativa. Attualmente l’argomento è dibattuto. La bilateralità della lesione rende la prognosi più severa e l’approccio più complesso. Se la bilateralità è asimmetrica, il prof. Rama ed il suo gruppo propongono la coltivazione dell’epitelio limbare prelevato in dimensioni molto ridotte nell’occhio migliore e, dopo la coltivazione, l’innesto nell’occhio peggiore. L’innesto di epitelio coltivato è stato proposto anche nelle forme monolaterali. Grava su questa scelta l’alto costo dell’epitelio coltivato. Nelle forme bilaterali trovano indicazione primaria gli allotrapianti da donatore vivente (figli, genitori, germani, aploidentici cioè con compatibilità ameno 50%, o identici con compatibilità 100% per gli antigeni maggiori), oppure da donatore cadavere. Tutti gli allotrapianti necessitano di immunosoppressione sistemica, con approccio multidisciplinare, ed individuazione della dose minima efficace, capace di controllare le crisi di rigetto. Le malattie della superficie in itinere sono forme croniche, non evolute. Sono malattie in continuo aumento soprattutto in relazione all’aumento dei trapianti di midollo osseo che provocano la GVHD. Una malattia autoimmune che nella forma cronica attacca il fegato e la superficie oculare. Ma anche altre malattie come il Pemfigoide Oculare o la Sindrome di Stevens-Johnson attaccano inesorabilmente la superficie oculare. L’immunosoppressione sistemica arresta o rallenta l’aggressività di queste malattie e l’allotrapianto ne consente la ricostruzione, anche se allo stato attuale i successi non superano il 65% dei casi trattati. Molte altre malattie affliggono la superficie oculare, l’aniridia è una malattia genetica con deficit limbare congenito, frequentemente non diagnosticato, come spesso sono non diagnosticati i “deficit limbari iatrogeni”, conseguenza di prolungati trattamenti locali, con colliri preparati con conservanti e/o in pazienti con multipli interventi chirurgici, che hanno danneggiato il limbus.

Michele D’Asaro: Lei ha detto che le malattie si suddividono in malattie della superficie, dello stroma, dell’endotelio. Qual è lo status delle malattie della superficie? Vincenzo Sarnicola: Le malattie della superficie

fondamentalmente si distinguono in evolute ed in itinere. Le evolute sono, nella stragrande maggioranza, la conseguenza di un trauma causticante, da calce o da altri agenti fisici e danneggianti la superficie. In Italia sono stimati in circa 500/anno. Il caso a miglior prognosi è la causticazione monolaterale. Non bisogna aver fretta per la ricostruzione, ma aspettare la conclusione dei postumi, il controllo dell’infiammazione, la correzione di eventuali maleocclusioni palpebrali e, solo quando l’occhio ha raggiunto la condizione di “wet and not inflammed eye”, si può programmare una ricostruzione, utilizzando l’occhio sano.

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INTERVISTA DEL GIORNO

Michele d’Asaro: Qual è lo status delle malattie dello stroma?

Michele d’Asaro: Dobbiamo parlare delle malattie dell’endotelio, cosa si fa oggi e cosa si farà presto?

Vincenzo Sarnicola: Le malattie dello stroma sono

Vincenzo Sarnicola: Le malattie dell’endotelio sono

dominate dalla patologia corneale del secolo: il Cheratocono. Oggi si può serenamente dire che si tratta di una patologia sconfitta. Ed è un grande successo se si sottolinea che affligge pazienti giovani. Fino a 20 anni fa c’era solo la PK con tutti i suoi problemi di rigetto e ritrapianto, oltre le lenti a contatto. L’approccio era “aspetta più che puoi” prima di fare un trapianto. I pazienti vivevano davvero male dopo la diagnosi avvertita come una “sentenza”. Oggi sappiamo fermare/rallentare la malattia con le tecniche di crosslinking. Sappiamo rimodellare alcune cornee sfiancate con l’impianto di anelli corneali, oppure con la fotoablazione abbinata al crosslinking. Ed in ultimo il trapianto DALK big bubble, che è un trapianto “lifetime” con altissime percentuali di successo. Un percorso completamente diverso rispetto al passato! Il trapianto dello stroma deve rispettare alcune regole per essere catalogato come una DALK, l’unico trapianto lamellare anteriore che dà risultati visivi paragonabili alle Pk. Il letto residuo del ricevente deve essere inferiore a 80 micron e pachimetricamente omogeneo. Tutte le opacità stromali, compromettenti il visus possono essere affrontate con una DALK, come i leucomi da infezioni evolute o le distrofie stromali. Recentemente sta trovando spazio l’indicazione alla TDALK a caldo, nelle infezioni pericolose attive, non rispondenti alla terapia medica, come le fungine o l’acanthamoeba.

fondamentalmente due: la cheratopatia bollosa e la distrofia di Fuchs. Poi ci sono forme molto più rare, alcune anche infettive come le erpetiche. La cheratopatia bollosa è una malattia iatrogena, il danno si verifica per difficoltà chirurgiche e/o per chirurgie multiple che finiscono per esaurire il “bagaglio minimo endoteliale” idoneo a garantire la “funzione endoteliale” e quindi la giusta deturgescenza corneale, evitando l’edema, simbolo della insufficienza endoteliale. È la forma più severa di deficit endoteliale in quanto ha messo in crisi il “sistema guarigione” del danno endoteliale. Non solo va ripopolato l’endotelio ma bisogna sperare nel ripopolamento dell’endotelio periferico che rifornisce l’endotelio centrale in caso di necessità. La distrofia di FUCHS ha una prognosi migliore, si tratta di una forma distrofica dove le cellule geneticamente malate producono endotelio incapace di svolgere la propria funzione. La gravità delle forme è variegata, da forme giovanili che necessitano di endotelio-cheratoplastica in occhi fachici, a forme diagnosticate casualmente in novantenni dove un esame dell’endotelio dimostra una Fuchs mai fiorita e completamente asintomatica. La chirurgia moderna vede l’indicazione all’endocheratoplastica e non più alla Pk. Le tecniche più usate sono la DSEK e la piu recente DMEK. In Italia abbiamo ottimi chirurghi di queste tecniche. Il futuro imminente vede l’arrivo di cellule endoteliali coltivate. Le fasi 1 e 2 di sperimentazione sono state superate con successo. Presto dovrebbe iniziare la fase 3 con la conseguenza che la chirurgia dovrebbe diventare più semplice.

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il giornale italiano di

OFTALMOLOGIA SPL ASH

approfondimenti

in collaborazione con le Aziende del set tore


SPLASH

Varilux® XR Series™ La rivoluzionaria lente progressiva nata dall’intelligenza artificiale comportamentale

EssilorLuxottica, costantemente impegnata nella ricerca e progettazione di soluzioni visive sempre più performanti, ha lanciato a maggio – Varilux® XR Series™, la nuova e innovativa lente progressiva: realizzata basandosi su un modello predittivo e sull’analisi degli stili comportamentali e dei movimenti del portatore. Obiettivo? Ampliare l’offerta di prodotti, puntando su tecnologie premium e differenzianti, per permettere ai Centri Ottici partner di rafforzare ed estendere il proprio business con proposte all’avanguardia che rispondano alle esigenze dei consumatori odierni, che ricercano nitidezza istantanea, anche in movimento1. Ed è proprio per rispondere a questo reale bisogno che è nata Varilux® XR Series™, una lente dall’incredibile cuore tecnologico, progettata tramite l’intelligenza artificiale. Per la prima volta, infatti, i ricercatori di EssilorLuxottica hanno sfruttato il potere dell’IA analizzando più di 1 milione di dati da ricerche esclusive, misurazioni posturali condotte in-store, test di vita reale e comportamento dei portatori. Grazie all’estensione dell’ampiezza del volume di visione, queste lenti – estremamente reattive ai naturali movimenti oculari, che sono

La migliore lente progressiva Varilux®*. Progettate con intelligenza artificiale per una visione nitida e fluida anche mentre sei in movimento. Essilor® e Varilux® sono marchi registrati di Essilor International. *Rispetto alle lenti progressive Varilux® di Essilor®. Montatura: Persol È un dispositivo medico leggere attentamente le avvertenze o le istruzioni per l’uso. Aut. Min. 0074473 del 08/09/2023.

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circa 100.0002 al giorno – integrano il comportamento visivo dei consumatori (abbassamento dello sguardo e distanze dell’oggetto) in modo da reagire all’effettivo movimento degli occhi e garantire una visione nitida e fluida. L’intelligenza artificiale viene combinata con lo studio degli stili di vita di oltre 6000 utilizzatori, con la promessa di cambiare e migliorare la performance visiva dei portatori. Il processo tecnologico è affascinante: creare un digital twin, ovvero un gemello digitale del portatore, all'interno di un ambiente 3D3 per prevedere le modalità di osservazione, criteri di nitidezza di visione, percezione dello spazio, comfort posturale. «La potenza dell’intelligenza artificiale risiede nella quantità, qualità e varietà dei dati e nel modo in cui vengono calcolati”, afferma Alessandra Barzaghi, Marketing Director Lenses Wholesale Italia di EssilorLuxottica. “Il nostro Centro di Ricerca, attingendo da molteplici fonti, è riuscito a raccogliere oltre un milione di dati per sviluppare un innovativo sistema di modellazione comportamentale, in grado di prevedere come le persone presbiti guarderanno gli oggetti che le circondano e, di conseguenza, muoveranno gli occhi. La definizione dei nuovi modelli predittivi abbinati alla tecnologia XR Motion ci ha consentito di creare la prima lente progressiva Varilux® Eye-responsive4». Varilux® XR Series™ è un concentrato di tecnologia davvero avveniristico – il primo sul mercato – in grado di prevedere e adattarsi perfettamente al naturale comportamento oculare dei portatori, che potranno quindi beneficiare di una nitidezza istantanea anche in movimento5, con un volume di visione altamente nitida su qualsiasi obiettivo visivo superiore del 49%6 rispetto alle Varilux® XR Series™ e di una navigazione oculare senza soluzione di continuità tra i 30cm e l’infinito. I test condotti da terze parti, inoltre, hanno rilevato un elevato grado di soddisfazione nelle varie condizioni di utilizzo, sottolineando la capacità di queste lenti di rispettare la promessa per cui sono nate: cambiare la performance visiva di chi le indossa.

1. Essilor International - Lenti Varilux® XR series™ - in-Life consumer study – Eurosyn – 2022 - Francia (n=73 portatori di lenti progressive. 2. Peter H. Schiller, Edward J. Tehovnik, Meccanismi neurali alla base della selezione del target con movimenti oculari saccadici, Progressi nella ricerca sul cervello, Elsevier, Volume 149, 2005, Pages 157-171. 3. Le distanze degli oggetti vengono definite in un ambiente 3D in funzione della direzione di sguardo grazie a modelli esclusivi di accomodamento e abbassamento dello sguardo. 4. Eye-responsive, definito in considerazione di due parametri nella progettazione della lente progressiva: la prescrizione e il comportamento visivo. 5. Essilor International - Lenti Varilux® XR series™ - in-Life consumer study – Eurosyn – 2022 - Francia (n=73 portatori di lenti progressive. 6. Simulazione interna condotta dal Team di Ricerca & Sviluppo Essilor - 2022 - vs lenti Varilux® X Series™.

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Rodenstock presenta MyCon

Diversi studi* dimostrano che l’incremento della miopia è in costante progressione, i fattori che ne influenzano l’incremento sono molteplici. Tra questi troviamo la storia familiare. Secondo alcuni studi**, se uno dei genitori è miope, il rischio del bambino di sviluppare la miopia è maggiore. Rischio ancora più alto, con una probabilità del 35-60%, se entrambi i genitori sono miopi, così come la sua velocità di progressione. La miopia infantile aumenta anche il rischio di malattie oculari in età adulta, controllarne la miopia può ridurre significativamente il rischio di sviluppare malattie in età adulta. “Per noi di Rodenstock è importante offrire la visione più nitida e confortevole possibile a tutti, anche ai nostri bambini. Per questo abbiamo sviluppato una soluzione per correggere la loro miopia che allo stesso tempo contribuisca a controllarne la progressione, e non abbiamo dimenticato l’aspetto importante dell’estetica e del comfort, per far sentire a proprio agio i nostri bambini in tutte le loro attività quotidiane. Le lenti MyCon sono disponibili negli indici 1.5, 1.6, 1.67 e 1.74, con i vantaggi tangibili di lenti più sottili e più gradevoli esteticamente rispetto a molte altre”. dichiara Valentina Pucci Mossotti, Training & Product Manager Rodenstock Italia. Per poter identificare e risolvere tempestivamente eventuali problematiche è fondamentale programmare periodicamente le visite oculistiche fin dai primi mesi di vita per poter offrire loro la soluzione visiva e i monitoring necessari. “La miopia è caratterizzata da un occhio leggermente più lungo della media. Il modo in cui le lenti monofocali convenzionali correggono la miopia fa sì che i raggi luminosi siano messi a fuoco sulla parte centrale della retina mentre quelli che interessano le zone periferiche finiscano oltre. Come conseguenza, alcuni occhi, per adattarsi, tendono a crescere maggiormente e questo fa si che la miopia progredisca. Le lenti MyCon

Le lenti progettate per correggere la miopia dei bambini e rallentarne la progressione

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NEWS DALLE AZIENDE

correggono la miopia, ne rallentano la progressione, controllando l'allungamento dell'occhio. I raggi luminosi vengono rifratti in modo da focalizzarsi sulla retina per rallentare l’allungamento del bulbo oculare e le aree di controllo della progressione sono posizionate temporalmente e nasalmente.” continua Valentina Pucci Mossotti. Un importante studio clinico indipendente ha esaminato, per 5 anni, la progressione della miopia nei bambini caucasici di età compresa tra 7 e 14 anni dimostrando che le lenti MyCon sono efficaci nella riduzione della progressione fino al 40%, e dell’allungamento del bulbo oculare fino al 31%”. Le lenti MyCon saranno disponibili in Centri Ottici partner Rodenstock selezionati.

* Holden et al. (2016). Prevalenza globale di miopia e miopia elevata e tendenze temporali dal 2000 al 2050. Oftalmologia. 2016; 123:1036-42. **Kurtz D, Hyman L, Gwiazda JE, Manny R, Dong LM, Wang Y, Scheiman M, (2007). COMET Group. Role of parental myopia in the progression of myopia and its interaction with treatment in COMET children. Invest Ophthalmol Vis Sci. 2007. Fonti: Mew-May Wu M, Edwards MH. (1999) The Effect of Having Myopic Parents: An Analysis of Myopia in Three Generations. Optometry and Vision Science. 1999; 76(6):387–92. Mutti DO, Mitchell GL, Moeschberger ML, Jones LA, Zadnik K. (2002). Parental myopia, near work, school achievement, and children’s refractive error. Invest Ophthalmol Vis Sci. 2002; 43(12): 3633–3640.

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Disfunzione mitocondriale nel glaucoma Nuove prospettive di trattamento

Il glaucoma è la principale causa di cecità irreversibile in tutto il mondo. Sempre più interesse sta suscitando il ruolo della disfunzione mitocondriale in questa patologia in quanto numerosi studi indicano che questo fenomeno può essere alla base della suscettibilità a sviluppare il glaucoma. Le numerose ricerche hanno evidenziato che l’integrità funzionale degli assoni delle cellule ganglionari dipende dalla disponibilita’ di NAD, mentre un deficit di NAD assonale è associato alla neurodegenerazione glaucomatosa. È stato dimostrato che un apporto dietetico di Nicotinamide, che ristabilisce i livelli fisiologici di NAD, previene la neurodegenerazione glaucomatosa anche in caso di pressione intraoculare elevata e, tramite l’elettroretinogramma (ERG), determina un miglioramento della funzione del-

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NEWS DALLE AZIENDE

Miglioramento capacità neuroprotettiva

la retina interna nei pazienti trattati con Nicotinamide e con glaucoma primario ad angolo aperto, in terapia con farmaci ipotonizzanti. La Nicotinamide conferisce neuroprotezione durante la progressione del glaucoma. Anche la proteina SARM1 è coinvolta nel determinare i livelli di NAD assonale ed ha un ruolo pro-neurodegenerativo sugli assoni delle cellule ganglionari e di altri neuroni. Questa proteina, infatti, si attiva quando i livelli di NAD assonale sono molto bassi, determinando una ulteriore degradazione di NAD a livelli già molto ridotti. Si sta studiando pertanto una nuova classe di principi attivi, gli inibitori della SARM1, e tra le sostanze studiate è emersa la Berberina, un alcaloide vegetale estratto dalla pianta Berberis aristata. Si rileva, quindi, una possibile sinergia tra i precursori del NAD e sostanze che vanno ad inibire la SARM1 che potrebbe portare ad un più significativo incremento dei livelli di NAD e ad una migliore capacità neuroprotettiva nella neurodegenerazione glaucomatosa, come nello schema indicato nella figura.

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Ipovisione e vista fragile:

Soft Care di Dai Optical Dall’esperienza trentennale di DAI Optical nella progettazione e produzione di lenti oftalmiche nasce Soft Care, la divisione aziendale interamente dedicata all’ipovisione. Le esigenze visive della popolazione sono in costante evoluzione e gli ipovedenti non sono un'eccezione. Oggi, sempre più persone richiedono soluzioni ottiche che possano migliorare la loro qualità della vita, offrendo una visione chiara e confortevole, anche in presenza di patologie. Per questo DAI Optical, grazie al contributo del suo Centro Ricerca e Sviluppo rappresentato da ProCrea Tech, ha sviluppato lenti oftalmiche per l’ipovisione estremamente personalizzate, dall’elevata estetica e certificate 100% Made in Italy. La personalizzazione di una lente oftalmica implica la creazione di una superficie tridimensionale che tenga in considerazione la prescrizione diottrica del paziente, la presenza di prismi o ingrandimenti e che minimizzi lo spessore della lente finita. A differenza dei normali ausili ottici prodotti in maniera standardizzata, che utilizzano parametri standard, progettare ad hoc le lenti per l’ipovisione permette di compensare correttamente il difetto refrattivo del paziente, anche in casi di alto astigmatismo. Nella gestione ottica del residuo visivo, compensare i difetti di refrazione in modo efficace è la strategia ottimale per soddisfare appieno le esigenze visive dei pazienti ipovedenti. Questo approccio mira a massimizzare la qualità dell’immagine retinica, tenendo conto delle specifiche necessità del portatore. Un altro aspetto da non sottovalutare è la resa estetica degli ausili ottici per l’ipovisione. Troppo spesso i pazienti lamentano lenti troppo spesse, antiestetiche e molte volte questo si traduce in un abbandono dell’utilizzo dell’ausilio. Inoltre, ciò potrebbe sortire effetti negativi sul quadro psicologico dei pazienti, già compromesso a causa della difficoltà nell'accettare la patologia visiva. Grazie all’esperienza decennale di ProCrea Tech nel calcolo e ottimizzazione delle superfici ottiche è possibile realizzare lenti con un’eccellente resa estetica, identificate dal brevetto AIO (All in One Tech). Questo brevetto include l’analisi aberrometrica del fronte d’onda della superficie effettuata punto per punto e una raccordatura multiasferica automatizzata, in grado di ridurre gli spessori in funzione della forma della montatura e di tutti i parametri di montaggio. Tra i prodotti che sfruttano queste tecnologie ricordiamo le lenti per fissazione eccentrica IperX AIO, che riallineano la fissazione grazie al prisma (personalizzabile) e migliorano la visione grazie all’ingrandimento reale del 6%;

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NEWS DALLE AZIENDE

l’ipercorrettivo prismatico binoculare per vicino Iper Bino AIO disponibile fino a +20 diottrie (anche con astigmatismo) e l’innovativo sistema aplanatico Iper APLANAT AIO con ingrandimento fino a 8.0X e prescrizione personalizzata. L’estrema personalizzazione di questi ausili li differenzia profondamente dai prodotti standard: fornire una precisa prescrizione ottica permette di gestire nel migliore dei modi il residuo visivo, garantendo la massima performance visiva possibile per migliorare la qualità della vita. Le persone ipovedenti, inoltre, spesso necessitano di un taglio preciso in lunghezza d’onda per migliorare la percezione visiva durante la lettura o per ridurre l’abbagliamento luminoso all’esterno. I trattamenti fotoselettivi SoftCare, disponibili sia su lenti di costruzione che su filtri per aggiuntivi clip-off garantiscono una risposta in trasmittanza precisa e prevedibile, differenziandoli da una semplice colorazione classica.

Myoga, la lente per la gestione della progressione miopica da oggi è anche colorata, polarizzata e transitions L’utilizzo delle lenti oftalmiche per il controllo della progressione miopica è sempre più diffuso e questo fa ben sperare. La pronta e capillare diffusione di questi dispositivi, infatti, contribuisce a contrastare il repentino aumento dei casi di miopia elevata, che si stima raggiungeranno più del 10% della popolazione entro il 2050 (Holden et al, 2016). Questa epidemia miopica ha allarmato anche l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), poiché numerose patologie oculari (cataratta, degenerazione maculare, distacco di vitreo e di retina etc.) sono correlate con la lunghezza del bulbo oculare, e dunque con la miopia. La strategia più efficace per contrastare questa epidemia è la prevenzione: cercare di controllare l’aumento della miopia nei più piccoli, già dai 6-12 anni, in maniera da ridurre i casi di miopia elevata (superiore a 5 diottrie). Ai consigli di igiene visiva, come passare almeno 80 minuti al giorno all’aperto, è bene associare un trattamento ottico della progressione miopica, per controllare l’allungamento del bulbo oculare in maniera sicura ed efficace. Per questo D.A.I. Optical, in collaborazione con il suo Centro Ricerca e Sviluppo (ProCrea Tech), ha sviluppato MYOGA, una lente monofocale intelligente capace sia di compensare la miopia sia di controllarne lo sviluppo. Disponibile sul mercato già da 3 anni, MYOGA stimola la retina a inibire l’allungamento oculare grazie ad uno stimolo ottico: il defocus. In particolare, lo sfuocamento dell’immagine è presente nella parte periferica della lente, in modo da non intaccare le performance visive, ed è ottenuto mediante un potere ottico positivo. L’introduzione del defocus, inoltre, segue una distribuzione concentrica e simmetrica, in modo da distribuire il segnale ottico in maniera omogenea sulla retina. MYOGA è realizzata sfruttando la più recente tecnologia Free-Form e gode della certificazione 100% made in Italy, come tutta la produzione firmata DAI Optical. Il processo produttivo free-form rende MYOGA la lente più completa e flessibile per controllare l’aumento della miopia. È possibile, infatti, utilizzare qualunque polimero per costruire la lente, associando per esempio al design MYOGA le proprietà protettive del materiale SAFER, che scherma la luce blu nociva, o ancora di rendere MYOGA fotocromatica, nei classici colori (grigio, marrone, G15) o Style Colors (Ametista, Zaffiro, Ambra, Smeraldo). Per questo DAI Optical si impegna quotidianamente per ampliare la capacità produttiva di questo prodotto e ha di recente introdotto la possibilità di realizzare MYOGA con polimero polarizzato, in indice 1,5 – 1,6 – 1,67. Sfruttando a pieno questa vasta gamma di possibilità, potremmo fornire un occhiale davvero completo ai nostri bambini, proteggendoli dai danni cumulativi dei raggi UV solari e dalla luce blu nociva (grazie al polimero SAFER), e, perché no, completare la proposta cono un occhiale da sole colorato (indici 1,5 e 1,53). Controllare la progressione miopica grazie a MYOGA vuol dire anche non rinunciare all’estetica dell’occhiale finito, grazie alla vasta gamma di indici di refrazione (da 1,5 a 1,74).

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Le solide evidenze scientifiche sull’efficacia di MiYOSMART potenziate dai promettenti risultati a un anno di uno studio osservazionale svolto in Europa

Nel settore oftalmico, la maggior parte delle ricerche sulla miopia infantile viene condotta in Asia orientale, dove la condizione è più diffusa.1 Tuttavia, a causa dell'aumento della prevalenza della miopia in tutto il mondo, è necessario testare l'efficacia delle soluzioni per la gestione della miopia in bambini di altre etnie e aree geografiche.1 Per questo motivo il team Global Medical Affairs di HOYA sta conducendo uno studio osservazionale di 3 anni nel Regno Unito, per estendere la portata dei benefici di MiYOSMART ai giovani miopi in Europa. Questo nuovo studio, i cui risultati sono stati presentati ufficialmente alla conferenza dell'Association for Research in Vision and Ophthalmology (ARVO) 2023, tenutasi dal 23 al 27 aprile a New Orleans2, ha raggiunto il traguardo di un anno all'inizio del 2023. Lo studio coinvolge 128 bambini di età compresa tra i 5 e i 15 anni, reclutati in tre centri universitari del Regno Unito. A tutti i partecipanti sono state prescritte le lenti da vista MiYOSMART e ne sono stati seguiti i progressi, con l'obiettivo di valutarne le prestazioni.2 I risultati dello studio hanno dimostrato un'efficacia delle lenti MiYOSMART simile nei bambini europei rispetto a quelli asiatici, in particolare nei bambini di età compresa tra gli 8 e i 13 anni.2,3 La maggior parte di loro si è adattata entro una settimana, dimostrando una grande tollerabilità e accettazione.2 Oltre 2 milioni di genitori in tutto il mondo e 45.000 in Italia, si sono già affidati a MiYOSMART, dal suo lancio nel 2018.4 Con l'estensione delle evidenze di MiYOSMART allo studio osservazionale europeo, HOYA continuerà a contribuire alla lotta e alla gestione del crescente problema della miopia nel mondo.

HOYA, impegnata nello sviluppo di soluzioni innovative per affrontare il crescente problema della progressione miopica nei giovani, ha esteso la sua ricerca all'Europa con l’impegno di combattere questo problema a livello globale

Riferimenti: 1. Lanca C, Saw SM. A review on the epidemiology of myopia in school children worldwide. BMC Ophthalmol. 2020;20(1):27. 2. McCullough S, Barr, H, Fulton, J, et al. 2-Year Multi-Site Observational Study of MiYOSMART myopia control spectacle lenses in UK children:1-year results (Abstract). ARVO 2023; 23-27 April 2023; New Orleans, LA, USA. 3. Lam CSY, Tang WC, Tse DY, Lee RPK, Chun RKM, Hasegawa K, et al. Defocus Incorporated Multiple Segments (DIMS) spectacle lenses slow myopia progression: a 2-year randomised clinical trial. Br J Ophthalmol. 2020;104(3):363-8. 4. Based on number of MiYOSMART spectacle lenses sold per HOYA sales data on file as of July 2023.

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