Lungarno n. 51 - maggio 2017

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Il teatro in Fabbrica di Tommaso Chimenti

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e il tuo è un andar per teatri alla ricerca di spazi culturali e parole che colano da un palco, sempre affamato di nuove storie per rifocillarsi dall’aridità del presente, allora maggio, se sei fiorentino, se qui vivi da qualche anno, se sei autoctono, universitario o adottato, fa rima inevitabilmente con Fabbrica Europa. Sarebbe bello se la Stazione Leopolda fosse un luogo aperto, una fucina con molte sale fruibili tutto l’anno e non uno spazio affittabile per grandi eventi. La Leopolda è uno di quei luoghi dove appena entrati non ti senti più a Firenze, ma neanche in Italia. Ricorda una certa architettura post industriale milanese, dall’Hangar Bicocca alla Fabbrica del Vapore, dal Carroponte alla Fondazione Prada, il gasometro che protegge il Teatro India a Roma, ma rimanda certamente a certe periferie dove le cose emergono e hanno la possibilità per crescere ed affermarsi, Parigi, Londra o Berlino su tutte, perché le idee hanno bisogno di un luogo dove poter correre e formarsi, cadere e rialzarsi. Anfratti di mattoni e grandi finestre, soffitti alti dove far respirare e decantare le proposte. Tanti i posti simili in Italia che, da un passato operaio, adesso sono porti artistici; pensiamo alle turbine dell’ex centrale idroelettrica dove si svolge da trent’anni il Festival di Dro in provincia di Trento, al Museo del Tessuto, il Teatro Fabbricone e Gli ex Macelli – Officina Giovani tutti e tre nella vicina Prato, le ex ciminiere a Catania, l’ex Lingotto a Torino, le Fonderie Limone a Moncalieri, l’ex cotonificio Muggiari a Rho, l’ex deposito delle arance a Catania, l’ex fabbrica di caramelle a Monteleone Sabino in provincia di Rieti, Le Fornaci a Terranuova Bracciolini, il Caos, Centro per le Arti Opificio Siri a Terni. E come questi altre migliaia di luoghi abbandonati che potrebbero produrre arte. Alla Leopolda tutto questo è possibile e Fabbrica

Europa (l’intuizione fu dei tipi di Pontedera Teatro) è un segno importante, e imponente, che Firenze, al di là delle tante e solite chiacchiere sul presunto diverbio e non convivenza tra la sua rinascimentalità e il contemporaneo, ha anche angoli dove il futuro e la sperimentazione, i nuovi sguardi e orizzonti del domani possono connettersi e dare vita a quello che attualmente non c’è. Fabbrica Europa (dal 4 maggio al 15 giugno) da ventiquattro anni è lì a documentare i passaggi, a sottolineare le tendenze, a farci vedere che c’è altro (tanto altro) appena fuori dalle nostre finestre. E proprio all’interno di FE debutta il nuovo lavoro de Leviedelfool (alias Simone Perinelli e Isabella Rotolo) tra i gruppi che negli ultimi anni hanno saputo coniugare l’arcaicità della parola con un’idea di scena che tende al superamento e all’abbattimento di una vecchia concezione del palco. Il 13 maggio arriva “Heretico” (è stato proposto, e rifiutato, al festival “Teatri del Sacro ‘17” per la scomodità del tema e della forma proposta, molto cruda e diretta) nuova tappa della scrittura di Perinelli che è passato e cresciuto, dentro e attraverso il suo personalissimo Ulisse di “Macaron”, il suo profondo Pinocchio nel “Requiem”, il suo intimo Don Chisciotte di “Luna Park - Do you want a cracker”, il suo privato Van Gogh di “Made in China”. Per Perinelli, che si è recentemente sbattezzato, il tema è particolarmente sentito: “Ho cercato di indagare – spiega l’attore e drammaturgo residente a Calcata - su quel confine che ancora oggi stride tra Scienza e Religione e sulle contraddizioni che dialetticamente emergono. Io mi sento, come uomo, in quel tracciato, compresso tra messaggi contraddittori. Il testo è volutamente urticante e scomodo, certamente schierato, non politicamente corretto. La mia figura di riferimento non

poteva che essere Giordano Bruno. Mi interessa confrontarmi con certa banalità e leggerezza di alcuni messaggi dell’attuale Papa. “Heretico” è contrario a qualsiasi religione. Non ci accorgiamo di quanto la scienza possa fare molto di più per l’umanità rispetto alla preghiera. Sarà un testo ostico: perché abbiamo perdonato le Crociate e i roghi della Chiesa e, ad esempio, non il Nazismo? Come mi posso porre tra darwinismo e creazionismo: di fronte alla meraviglia di un cielo stellato mi devo sentire abbandonato oppure è necessario, per avere un conforto, riempirlo di santi e beati? Possiamo ancora tollerare una Chiesa che entra spesso e volentieri nel discorso politico, dal crocifisso a scuola alle unioni civili fino all’eutanasia? Il fool è per sua stessa natura fastidioso e feroce”. Ci saranno le barricate e i picchettaggi che ci furono in occasione di Jan Fabre (lì erano gli animalisti proprio a Fabbrica Europa) o i blocchi degli ultracattolici per impedire la messa in scena del “Sul concetto di volto nel Figlio di Dio” di Romeo Castellucci? Cosa dirà l’arcivescovo Betori, che in ambito “teatrale” già si è espresso contro “Fa’afafine”, andato comunque in scena al Teatro di Rifredi pochi mesi fa? Poi, se volete, se cercate ancora il tepore del teatro all’italiana di velluti e palchetti, potete andare al Teatro della Pergola del direttore Gabriele Lavia (è stato appena presentato il suo volume “Lavia il terribile”) che propone un poker di avvenimenti: “La morte di Danton” di Mario Martone (dal 9 al 14), “Aspettando Godot” da Beckett (dal 2 al 7) per la rivisitazione di Scaparro, il “Teatro del porto” con Massimo Ranieri (dal 23 al 28) e “Dieci storie proprio così” (il 27) contro ogni tipo di mafia.


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