Lunarfollie novembre 2022

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Donne viaggiatrici, esploratrici e “avventuriere”: un lavoro di ricerca a scuola

Sicuramente l’esperienza del Grand Tour, che tra il XVIII e il XIX secolo inaugurò il viaggio culturale in Italia da parte di aristocratici facoltosi e appassionati d’arte, rappresenta un fondamentale punto di partenza della storia del turismo in Europa. Interessante, in tale contesto, è considerare il fatto che questo viaggio di formazione vide anche la partecipazione appassionata di molte donne, che ci hanno lasciato una ricca rassegna di relazioni dei loro viaggi, in particolare epistolari, diari e memorie. (1) L’esperienza straordinaria del Grand Tour non fu, però, né la prima né l’unica occasione in cui le donne europee del passato intrapresero dei viaggi in modo autonomo, infatti molti recenti saggi biografici ci raccontano di tante donne ribelli e coraggiose che, ben prima del XVIII secolo, abbandonarono la loro famiglia e il loro paese, non per completare la propria formazione intellettuale nelle città d’arte italiane (magari accolte dal comfort degli alberghi di lusso), bensì per avventurarsi in luoghi lontani, spesso da sole, sfidando i limiti delle norme sociali del tempo e compiendo imprese veramente audaci e incredibili. Si pensi, per esempio, alla spagnola Catalina de Erauso la quale, vestita

con abiti maschili, visse esperienze talmente rocambolesche, che nemmeno i romanzi d’appendice riescono a eguagliare. Successivamente, tra il XIX e il XX secolo, questo desiderio di viaggiare in modo estremo e totale tornò ad accendere la vita di molte altre donne, europee e americane, travolte dal bisogno di esplorare l’ignoto, di abbandonare la società e di superare i limiti imposti dalla famiglia, per diventare quelle che Alexandra Lapierre ha chiamato in un suo prezioso saggio “le grandi avventuriere”. (2) Tra queste esploratrici, che partirono spesso in solitaria, sfidando disagi e pericoli di ogni sorta, spicca certamente la figura di Alexandra David Néel, considerata la più grande viaggiatrice del Novecento, alla quale recentemente mi sono dedicata per uno studio monografico.

IN QUESTO NUMERO:

Generazione Z nel mondo del lavoro P. 7

Il codice Da Vinci P. 28

Quattro galline P. 38 Cucina spagnola vs cucina inglese P. 50

E

ALTRO ANCORA!

Anno
I.I.S. LUNARDI BS Novembre 2022
31 Numero 3

Questa lunga premessa mi permette di spiegare il motivo per cui l’anno scorso, essendo stato scelto La parità di genere come argomento di Educazione Civica per la classe 3°BT, è sorta spontanea in me l’idea di proporre agli alunni un lavoro di ricerca a gruppi intitolato, per l’appunto, “Le donne avventuriere”. Mi è stato chiesto di presentare sul giornalino della scuola questo lavoro e lo faccio con piacere. Per prima cosa, ho consegnato agli alunni l’elenco di una quindicina di viaggiatrici avventuriere, delle quali si fornivano solo i dati essenziali in particolare la nazionalità, le date di nascita e morte, i luoghi esplorati e pochi altri dettagli sulla loro personalità chiedendo poi ai ragazzi che si lasciassero “chiamare”, quasi catturare, da una di loro. Ho anticipato che il lavoro sarebbe partito non dalla consultazione di siti online, bensì da una ricerca bibliografica nella biblioteca civica Queriniana, per riunire il materiale cartaceo necessario: le biografie sulla loro avventuriera e i testi da lei stessa scritti (taccuini di viaggio, lettere, reportage o altro), dei quali avrebbero dovuto tradurre qualche brano. La ricerca su Internet avrebbe riguardato solo i contributi iconografici, utili per confezionare un PowerPoint di sostegno alla loro “conferenza”, da tenere in classe. Le avventuriere scelte dai ragazzi sono state: Catalina de Erauso, Freya Stark, Amelia Earhart, Nellie Bly, Laura Ida Pfeiffer e la stessa Alexandra David Néel.

Ben due gruppi hanno scelto di studiare Catalina de Erauso (1592 1650), cui ho già accennato, una donna in fuga e davvero fuori dal comune. Figlia e sorella di soldati baschi, all’età di quattro anni fu mandata in convento. A quindici anni

scappò e, da quel momento, per tutta la vita si vestì da uomo, nascondendosi sotto una moltitudine di identità maschili. Seguendo il suo carattere impetuoso, dal 1603 affrontò continui viaggi, concentrati soprattutto nelle Indie Occidentali (Cile, Argentina, Bolivia, Perù, Messico). Catalina non partì come esploratrice geografica, ma per fuggire dalle costrizioni sociali, e visse esperienze al limite dell’inverosimile, difficili da riassumere: si imbarcò e affrontò gli oceani, si arruolò come soldato sotto falso nome, più volte fu coinvolta in risse in cui uccise i rivali (tra cui il fratello che non aveva riconosciuto). Fuggì e attraversò le Ande e l’Argentina, dove un uomo importante le propose addirittura di sposare la figlia, riprese quindi la fuga (tenendosi i doni nuziali) e, dopo molte peripezie, ferita in modo grave e pensando di morire, confessò il suo vero sesso. Venne invitata dal vescovo di Cuzco a tornare in convento, ma presto riprese il suo vagabondaggio. Giunta a Roma, il papa le concesse di indossare abiti maschili, anche perché ormai la sua fama in Italia era diventata enorme. Lei stessa racconterà tutti questi fatti straordinari, ma storicamente documentati, in un’autobiografia, parlando di sé al maschile. L’esploratrice austriaca Ida Laura Pfeiffer (Vienna 1797 1858) ha invece catturato l’interesse di un altro gruppo. Insofferente fin da bambina dell’educazione e delle regole imposte al genere femminile, dopo un matrimonio di convenienza, a quarantaquattro anni lasciò Vienna e, seguendo il corso del Danubio, arrivò a Costantinopoli, Beirut, Gerusalemme, Damasco e Il Cairo, documentando la sua esperienza in un diario che pubblicherà nel 1843. Dopo aver studiato inglese, danese, scienze naturali e fotografia, nel 1845 partì alla scoperta del Nord Europa, visitando Praga, Amburgo, Copenaghen e l’Islanda. A questi viaggi seguirono, subito dopo, ben due giri del mondo, che la occuparono fino al 1854 e che le permisero di conoscere l’estremo Oriente

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e il continente americano. Ida non fu la prima ad esplorare questi luoghi, ma è corretto considerare anche lei un’avventuriera, perché viaggiando da sola incontrò ostacoli e pericoli di ogni tipo, tra cui un tentato omicidio, e mangiò unicamente pane e riso per lunghi periodi, senza godere di nessun comfort.

Un terzo gruppo si è dedicato alla figura interessante di Nellie Bly (Pennsylvania1864 New York 1922), che da ragazza desiderava più di ogni altra cosa sfidare i pregiudizi maschili riguardo alle capacità delle donne. Dopo un’infanzia difficile e un apprendistato come giornalista di denuncia tra i vari reportage, si finse pazza per documentare le condizioni disumane in un manicomio femminile a soli venticinque anni divenne la persona più famosa d’America, grazie alla sua coraggiosa impresa: nel 1890 completò il giro del mondo in 72 giorni, viaggiando in nave, treno e sul dorso di un asino. Vinse così la sua gara personale contro gli 80 giorni del romanzo di Verne, dimostrando soprattutto che le donne erano in grado di compiere ciò che sembrava appannaggio degli uomini. L’America intera si innamorò di lei, tanto che le ragazze sfoggiavano il suo caschetto e indossavano il suo cappotto iconico. Nellie disse loro: “Il paradiso per le donne non è solo la casa, ma il mondo intero” . Alcuni alunni hanno invece scelto di presentare la storia di Freya Stark (1893 1993), detta “la Signora del Deserto”, che con coraggio e determi-

HANNO SCRITTO PER LUNARFOLLIE

BAJENARU VANESSA, 4°FL

BARUCCO AGATA, 5°CL

BIANCHETTI GIORGIA, 4°ER

BONOMETTI ELISA, 1°AAFM

BUCATEENI, 5°DR

BUI GIULIA, 4°ER

CAENARO SOFIA, 5°EL

CARPELLI ELISA, 1°AAFM

CHEN YING, 4°AAFM

CHIARINI SARA, 4°AAFM

COMINCIOLI CAMILLA, 4°AL

DOGARU CRISTINA, 5°EL

FAUSTINONI VALENTINA, 4°EL

FRANZONI MARTINA, 5°EL

FRASSINE ELISA, 4°DRIM

nazione partì alla scoperta del medio Oriente, dove nessun occidentale, tantomeno donna, era mai stato prima: il viaggio a Beirut del 1927 fu seguito da quello in Iraq, che Freya raccontò nel suo romanzo La valle degli Assassini e grazie al quale fu possibile correggere le precedenti mappe errate. Sempre col Milione di Marco Polo in borsa, Freya raggiunse da sola altre mete inesplorate: la Siria, l’Arabia, lo Yemen, la Turchia e l’Afghanistan. Nella sua lunga vita centenaria Freya scrisse ben venticinque libri e ricevette molti riconoscimenti. Interessante il fatto che, quando viaggiava, indossasse abiti del luogo, imparasse la lingua del posto e si muovesse sul dorso di un cammello. Ad attrarre altri alunni è stata Amelia Earhart (Kansas 1897 1939), una donna amante delle sfide: fin da bambina si appassionò agli aerei e nel 1928 fu la prima donna pilota ad attraversare in solitaria l’Oceano Atlantico. La sua impresa fu compiuta in 20 Hours 40 Minutes, come recita il titolo di un suo famoso libro, e il suo ultimo progetto, a lungo sognato, era quello di compiere il giro del mondo in aereo. Purtroppo, durante questo viaggio Amelia scomparve, in modalità ancora avvolte nel mistero, e fu dichiarata morta nel 1939. La vita di questa pioniera dell’aviazione femminile ha ispirato anche un recente film, intitolato Amelia. Parliamo infine di Alexandra David Néel (Parigi 1868 Digne 1969), una parigina irrequieta e nata per viaggiare, tanto che nella sua adolescenza scappò più volte da casa, perlustrando da

GAMBA ALESSANDRO, 5°EL GILIANI ANGELICA, 4°AL HOU YIHAN, 4°AAFM

MASSAROTTO GIULIA, 5°EL

PANSINI DENISE, 4°AT

PICENI ILARIA, 4°DL

PITURRO LORENZO, 4°AT

REBOLDI IRENE, 5°DL

RIZZI ALESSANDRO, 4°BAFM

ROBERTI DANIELE, 4°AAFM

RODELLA ALISON, 3°EL

SCHIVARDI JENNIFER, 5°CL

VODOPYAN NAZAR, 3°FL Squitty (classe 4°ER) Classe 3°BT Prof.ssa Elena Bolpagni Prof.ssa Laura Vavassori

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sola l’Europa. Attratta dall’Oriente e in particolare dal Tibet, studiò la lingua sanscrita e soprattutto i vari dialetti tibetani, che comprendeva e parlava perfettamente. Il suo obiettivo principale era, infatti, raggiungere il ‘Tetto del mondo’ e la città di Lhasa, nonostante l’ingresso in Tibet fosse proibito agli stranieri e gli inglesi controllassero le frontiere per impedirlo. Dopo un tentativo fallito, Alexandra intraprese un secondo lungo viaggio a piedi, durato ben otto mesi, riuscendo a raggiungere il Potala nel 1924, senza l’aiuto di portatori e di yak e accompagnata solo da un giovane monaco tibetano, che poi adotterà come figlio. Ciò che stupisce della sua eccezionale impresa non è solo il coraggio di affrontare un viaggio davvero rischioso a temperature proibitive e in luoghi impervi, incontrando briganti e animali feroci, dormendo all’addiaccio e non mangiando nulla per giorni ma anche la sua intraprendenza organizzativa, gli incontri con maestri eminenti, tra cui lo stesso XIII Dalai Lama, e la scelta di travestirsi da povera pellegrina tibetana, uno stratagemma che le permise di eludere i controlli e di raggiungere il suo obiettivo. Durante la sua vita centenaria Alexandra scrisse una trentina di libri, che ci lasciano testimonianze inedite sulla realtà del Tibet prima dell’invasione cinese. Qualcuno l’ha definita “la più straordinaria tra tutte le viaggiatrici” e forse il fatto che poco prima dei cent’anni volesse rinnovare il passaporto, per intraprendere un’altra nuova avventura, può ben confermare tale affermazione. È difficile definire in modo assoluto cosa significhi viaggiare, tanto che ogni esploratore, comprese le ‘nostre’ avventuriere, ne ha rappresentato una sfaccettatura, intensa e autentica, che possiamo cogliere e apprezzare attraverso i suoi scritti.

DIREZIONE

PROF.SSA RITA PILIA

PROF.SSA ELENA BIGNETTI

PROF.SSA MANUELA BAMBINI

PROF.SSA PATRIZIA MARIOTTINI

Lunarfollie viene pensato, prodotto, stampato e distribuito presso il CIMP dell’ IIS “A. LUNARDI” via Riccobelli, 47 Tel. 030/2009508/9/0

Email: lunarfollie@lunardi.bs.it Archivio: https://issuu.com/lunarfollie

Leggendo i libri che queste donne ci hanno lasciato, è possibile infatti confrontarci con le loro eccezionali storie di emancipazione, di conoscenza e di libertà, che si rivelano essere esperienze ancora molto attuali, come può ben dimostrare la recentissima uscita in libreria di un saggio sull’argomento, scritto da Lucie Azema. (4) Si potrebbe concludere questa breve panoramica con le riflessioni di due delle donne presentate, che fecero del viaggio il centro della loro vita: “Viaggiare significa ignorare i fastidi esterni e lasciarsi andare interamente all’esperienza, fondersi con ciò che ci circonda e accettare ciò che ci succede, per fare finalmente parte del Paese che si attraversa”. Freya Stark. “Chi viaggia senza incontrare l’altro, non viaggia, si sposta” Alexandra David Nèel. A parer mio, però, è del grande poeta portoghese Fernando Pessoa la frase che riesce a chiarire il cuore delle esperienze fin qui presentate: “I viaggi sono i viaggiatori. Ciò che vediamo non è ciò che vediamo, ma ciò che siamo”. Le scelte ardite di queste donne, infatti, sono maturate dal bisogno di esplorare prima di tutto se stesse e di mettersi alla prova, per inseguire e conquistare la consapevolezza della propria identità.

Prof.ssa Elena Bolpagni e la classe 3°BT

(1) Attilio Brilli , “Le viaggiatrici del Grand Tour, Il Mulino, 2020 (2) A. Lapierre, C. Mouchad, Elles ont conquis le monde.1850 1950 Les grandes aventuriéres, Paris, ed. Arthaud Poche, 2007 (3) Alexandra David Néel, Viaggio di una parigina a Lhasa, ed. it. Voland 1997 (4) Lucie Azema, “Donne in viaggio”, Tion, ottobre 2022

IMPAGINAZIONE

MAZZUCCHELLI CRISTIAN, 4^CL ABATTI VALENTINA, 5^AL DE ROSA ALESSIA, 5^DR FONTANA MICHELE, 3^CL MORI PERLA, 3^CL VODOPYAN NAZAR, 3^FL

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LA GIORNATA MONDIALE DEI DIRITTI DEI BAMBINI

adolescente o dei genitori.

2. Superiore interesse (art. 3): in ogni legge, provvedimento, iniziativa pubblica o privata e in ogni situazione problematica, l'interesse del bambino/adolescente deve avere la priorità.

3. Diritto alla vita, alla sopravvivenza e allo sviluppo del bambino e dell'adolescente (art. 4): gli Stati devono impegnare il massimo delle risorse disponibili per tutelare la vita e il sano sviluppo dei bambini, anche tramite la cooperazione internazionale.

Ascolto delle opinioni del minore (art. 12): prevede il diritto dei bambini a essere ascoltati in tutti i processi decisionali che li riguardano, e il corrispondente dovere, per gli adulti, di tenerne

Il 20 novembre si celebra in tutto il mondo la giornata dedicata ai diritti dei bambini, il giorno in cui, nel 1989, l’Assemblea generale ONU adottò la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza.

Oggi sono 196 gli Stati che si sono vincolati giuridicamente al rispetto dei diritti riconosciuti in questo documento, composto da 54 articoli e ripartito in tre sezioni: la prima contiene l’enunciazione dei diritti, la seconda individua gli organismi preposti e le modalità per il miglioramento e il monitoraggio della Convenzione, mentre la terza descrive la procedura di ratifica.

I principi fondamentali della Convenzione sono quattro:

1. No discriminazione (art. 2): i diritti sanciti dalla Convenzione devono essere garantiti a tutti i minorenni, senza distinzione di razza, sesso, lingua, religione, opinione del bambino/

Alla Convenzione si affiancano tre Protocolli facoltativi approvati dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 2000, i primi due, e nel 2011, il terzo. Questi documenti sono redatti con l’obiettivo di approfondire le tematiche dei bambini in guerra, lo sfruttamento sessuale e la procedura di reclamo, che consente anche ai minorenni di sollevare reclami relativi a violazioni dei propri diritti.

Però, nonostante siano trascorsi più di 30 anni dall’approvazione della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia, le condizioni di vita di milioni di bambini e adolescenti sono ancora oggi inaccettabili. Diritti fondamentali come quello alla vita, alla famiglia, alla salute, alla protezione da ogni forma di abuso e sfruttamento sono continuamente violati.

Secondo i risultati del rapporto Infanzia rubata

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presentato da Save the Children, nel mondo circa 700 milioni di minori sono privati della possibilità di vivere la loro condizione di bambini. Sono 263 milioni i minori che non vanno a scuola, mentre 168 milioni, più di tutti i bambini che vivono in Europa, sono coinvolti in varie forme di lavoro minorile, tra le quali anche lavori pericolosi o pesanti che mettono gravemente a rischio la loro incolumità fisica e psicologica. Sei milioni di bambini muoiono ogni anno per cause facilmente prevenibili, come polmonite, diarrea e malaria, prima di aver compiuto i 5 anni, mentre sono 156 milioni i bambini con meno di 5 anni colpiti da forme di malnutrizione acuta che ne compromettono seriamente la crescita. Circa 28 milioni di bambini sono stati costretti ad abbando-

nare le proprie abitazioni per fuggire da guerre e persecuzioni.

In onore di questa giornata diverse città italiane hanno deciso di tingersi di blu per ricordare i Diritti dei Bambini e della Bambine: a Lodi si colorerà la famosa Torre Zucchetti, un grattacielo di 14 piani alto 60 metri; a Bergamo la Porta San Giacomo sulle mura venete della Città Alta; a Modena verrà illuminata la Fontana dei due Fiumi del Graziosi in Piazza Garibaldi mentre a Genova sarà issata sul Palazzo del Tribunale per i minorenni la bandiera dell'UNICEF e sullo sfondo, la Lanterna, simbolo della città, sarà illuminata di blu ad indicare la rotta sicura; a Firenze il Loggiato dell’Istituto degli Innocenti in piazza Santissima Annunziata e le porte storiche della città si illumineranno di blu; a Torino verranno illuminate la Cupola della Cappella della Sindone, i Palazzi della Giunta Regionale, del Consiglio Regionale, di palazzo Civico e della Caserma dei Vigili del Fuoco.

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LA GENERAZIONE Z NEL MONDO DEL LAVORO

Quando ci viene chiesto che ruolo lavorativo vorremmo ricoprire un domani, la maggior parte delle volte la risposta è sempre quella di una figura di spicco nel mondo del lavoro: chirurgo, avvocato, commercialista, imprenditore, scrittore e molti altri sono queste le aspettative che hanno i ragazzi d’oggi, con conseguente prolungamento del percorso di studi.

I lavori manuali, invece, si stanno perdendo e a volte vengono ritenuti come meno qualificati, rispetto a quelli sopraelencati, nonostante siano altrettanto utili e fondamentali in una società. Questa concezione è frutto del benessere globale che stiamo vivendo e del facile sostentamento che ci offrono i nostri genitori. Nel passato, i ragazzi erano più invogliati ad andare a lavorare perché non c’era una ricchezza tale da poter rendere facile il mantenimento dei figli e, soprattutto, perché c’era bisogno di mano d’opera, cosa che con l’avvento della tecnologia sta gradualmente sparendo.

Con il progresso è inevitabile che il lavoro manuale venga sempre meno richiesto fino a venire completamente sostituito dalla tecnologia o, se non del tutto, è un dato di fatto che con certi lavori è impossibile raggiungere una tale ricchezza monetaria da potersi ritenere economicamente liberi.

Un po’ per l’evoluzione tecnologica, un po’ per il benessere economico che stiamo vivendo, per avere un lavoro che ci faccia vivere nel benessere, oggi è fondamentale studiare e un domani lo

sarà ancora di più.

Non siamo quindi noi giovani, come appartenenti ad un gruppo generazionale, a essere meno propensi al lavoro, ma è la situazione di questi anni che ci mette in circostanze tali da prediligere lo studio rispetto al lavoro, talvolta precludendoci alcuni sbocchi lavorativi per proseguire i nostri percorsi d’istruzione. È perciò chiaro che se per ricoprire un ruolo di spessore, in quasi tutti gli ambiti, è richiesta una laurea, la scelta che devo compiere è quella di lavorare come dipendente tutta la vita o di rivoluzionare la mia vita studiando, perché al giorno d’oggi è duro da accettare ma, senza un titolo di studio abbastanza buono, i lavori a disposizione sono veramente pochi e in molti casi non ben retribuiti.

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IL VILLAGGIO OPERAIO DI CRESPI D’ADDA

Il villaggio operaio di Crespi d’Adda dal 1995 ha la particolarità di essere un sito Unesco abitato

Le case oggi sono tutte di proprietà privata e sono abitate da una comunità di circa 400 persone, in gran parte discendenti degli operai che avevano vissuto e lavorato lì fin dall’origine. Gli esperti dell'Unesco sottolineano che, per ottenere tale riconoscimento, la popolazione locale deve avere un ruolo attivo, un ruolo da protagonista, organizzando attività culturali e didattiche. Da più di vent’anni il villaggio si è posto l’obiettivo di diffondere la propria storia nel rispetto del luogo e, soprattutto, nel rispetto della comunità che lo abita, per questo anche a noi studenti durante la visita è stato richiesto il massimo rispetto.

Dal punto di vista geografico il villaggio si estende tra due fiumi, Adda e Brembo. A livello urbanistico la struttura è a croce. Entrando a nord, la via principale lunga quasi un 1 km separa la fabbrica dalle abitazioni. Questo assume un significato simbolico: a destra ci sono la fabbrica, il lavoro, la fatica il sudore, mentre a sinistra si estendono le abitazioni, i servizi, la vita sociale, le famiglie e infine, al termine del villaggio (e della vita), si trova il cimitero. Gli imprenditori che vollero costruire tutto questo, intendevano prendersi cura dei loro operai “dalla culla alla tomba”: quando nasceva un bambino fornivano gratuitamente la levatrice; al momento della morte, garantivano sepolture gratuite.

Il termine “villaggio operaio” sottolinea che Crespi d’Adda era stato ideato dalla famiglia Crespi per gli operai che lavoravano in fabbrica e per le loro famiglie. Con l’espressione “villaggio” generalmente si fa riferimento al mondo rurale, contadino, mentre la parola operaio richiama il mondo industriale. Il contrasto è davvero efficace: il villaggio operaio, infatti, a livello storico si

colloca proprio in un momento di passaggio da un mondo rurale contadino a un mondo industriale.

La famiglia Crespi ambiva a far nascere un luogo ideale, dove la vita dei dipendenti, insieme a quelle delle loro famiglie, potesse ruotare in un piano perfetto. Alla base dovevano esserci ordine, geometria e armonia. Il fondatore fu l’imprenditore Cristoforo Crespi: a partire dal 1878 iniziò i lavori per la costruzione del canale che avrebbe portato acqua nella centrale idromeccanica, realizzò la prima parte della fabbrica e i primi palazzi per ospitare gli operai. In seguito i Crespi avrebbero costruito anche una centrale idroelettrica. Altrettanto importante fu il ruolo del figlio Silvio che nel 1878 aveva solo 10 anni. A 21 anni, dopo la laurea in giurisprudenza partì per l’Inghilterra, il Paese all’epoca più all’avanguardia dal punto di vista industriale.

Il villaggio fu costruito dal 1878 al 1930: 50 anni di lavoro. Nel 1930, a causa dei debiti, i Crespi furono costretti a vendere tutto e ora la stessa fabbrica, chiusa e inutilizzata, è di proprietà di un privato. La particolarità del villaggio è che dal 1930 fino a oggi non è stato più costruito niente: è rimasto quasi tutto esattamente come avevano voluto Crespi.

La fabbrica era un cotonificio: i Crespi importavano cotone di qualità (la materia prima) che poi, passando attraverso tutte le fasi di lavorazione (filatura, torcitura, tessitura, tintura..), si trasformava in prodotti di vario tipo (tessuti di alta qualità, camicie, lenzuola, coperte…). Oltre la metà era destinata al mercato estero.

Per capire meglio la storia di questo villaggio operaio bisogna fare un passo indietro e tornare alla rivoluzione industriale. Nell’arco di pochi decenni si diffondono nuove tecnologie che consentono la nascita di nuovi sistemi di produzione

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e di consumo. Le condizioni di lavoro degli operai, tuttavia, peggiorano drasticamente: spesso i dipendenti sentivano la mancanza delle loro famiglie, che vivevano lontano, e non si sentivano sicuri nel posto di lavoro.

Ai tempi di Crespi all’interno della fabbrica ogni singolo spazio era occupato da macchinari: negli anni ’20, per esempio, gli operai divennero 3600; il reparto tessitura vantava circa 1300 telai che funzionavano temporaneamente. Silvio Crespi, di ritorno dall’Inghilterra dopo 5 anni, divenne il primo Presidente industriale dei cotonieri. Basandosi su quanto aveva visto e studiato, nel 1894 scrisse un libro per sottolineare quali erano le condizioni dei lavoratori; egli desiderava cercare in qualche modo di risolvere i loro problemi. Il saggio si intitola “Dei mezzi per prevenire infortuni e garantire la vita e la salute degli operai in industria dei cotoni in Italia" Il discorso è chiarissimo: la grande industria costringe l'uomo a diventare un ingranaggio di una macchina enorme, la grande industria è contraria alla natura umana e al suo sviluppo fisico. In conclusione: la responsabilità degli imprenditori è immensa. “Io ho voluto la grande industria, io ho voluto un cielo di macchine e io sono responsabile di tutto questo.” La soluzione, secondo lui, era la nascita di villaggi operai. Il dovere degli industriali, infatti, doveva consistere nel conciliare le necessità dell'industria con le esigenze della natura umana. L’operaio doveva vivere tranquillo, calmo, in pace. Migliorare la vita degli operai avrebbe reso migliore anche il loro lavoro. Questo tipo di rapporto si può definire compromesso o come dicevano i latini “Do ut des”, io ti do affinché tu mi dia.

Le villette operaie, 55 in tutto, sono tutte molto simili, assomigliano ai cottage inglesi e trasmettono una forte sensazione di geometria e ordine.

Sono il cuore di Crespi. Venivano assegnate solo a chi lavorava in fabbrica: se un capofamiglia decideva di lasciare il lavoro, lasciava anche la casa. Nel villaggio la vita e il lavoro erano strettamente collegati.

Attualmente le case sono dipinte con colori molto diversi, ma una volta erano pitturate tutte di giallo scuro con mattoni rossi. Hanno tutte un bel giardino, un tempo utilizzato soprattutto come frutteto e orto: prima di diventare operai, molti abitanti di mestiere facevano i contadini. Per loro dopo il lavoro era una soddisfazione tornare a casa e avere una bella villetta e poi un bel pezzo di terra da coltivare come una volta. Il villaggio aveva la funzione di rendere meno traumatico il passaggio dal mondo rurale al mondo della grande industria meccanizzata

Tutti i servizi, tra cui l’ospedale, venivano pagati dai Crespi. Non li obbligava nessuna legge: furono loro a capire che rendere più accessibili cure e servizi igienici (bagni pubblici, docce…) avrebbe migliorato la salute (e dunque il lavoro) dei loro operai.

I Crespi non vollero realizzare solo una fabbrica funzionale, cioè produttiva e efficiente: volevano anche che fosse bella: un monumento, una cattedrale destinata al culto del lavoro, alla produzione, all'industria. Il cotonificio è un edificio molto elegante arricchito da palazzine realizzate negli anni ’20: erano la sede degli uffici di impiegati e direttori che ricoprivano ruoli di rilievo a livello aziendale. Raramente, inoltre, si può vedere una ciminiera in mattoni alta 70 metri interamente decorata. Ancora oggi la si ammira con stupore.

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Ying Chen, 4°AAFM

OGNI GUERRA È UNA GUERRA CIVILE

Sono svariate le tematiche di attualità spesso oggetto di discussione e confronto. Una di queste è la guerra, che può essere trattata sotto vari punti di vista: sociale, economico, politico, umano. La guerra non è mai giusta, a prescindere dalla causa che l’ha scatenata. La guerra sfida l’irreversibilità della morte e sminuisce l’incommensurabile valore della vita. Sfida la morte mettendo a continuo repentaglio l’esistenza dell’uomo e allo stesso tempo sminuisce il valore della vita lasciando costantemente in bilico le sorti umane.

Cesare Pavese nei suoi libri, in particolare nel libro “La casa in collina” tratta la Seconda Guerra Mondiale da un punto di vista diverso da quello solitamente affrontato in altri romanzi storici. Egli pone in primo piano una visione molto umana e sociale, fino al punto di sviluppare il concetto “ogni guerra è una guerra civile”.

Questa riflessione di Pavese è molto profonda e strutturata, infatti deriva dalla sua esperienza diretta: egli fu testimone del Secondo Conflitto Mondiale e della Resistenza. Il suo vissuto influenza notevolmente le sue opere nelle quali i temi predominanti sono l’uomo e la guerra, posti in relazione tra di loro. La guerra, infatti, non ha valenza puramente ed unicamente storica, ma soprattutto sociale ed umana. L’orrore che Pavese vide e il terrore che provò sulla propria pelle fu poi in grado di imprimerli sulla carta, suscitando nel lettore profonde riflessioni sul piano universale e personale. La guerra è assurda e prepotente, proprio come coloro che ne sanciscono l’inizio. Ogni guerra è una guerra civile, e ciò è purtroppo incontestabile. Il dolore, la sofferenza, la rabbia, la paura, il disagio e l’angoscia che causa, danneggiando ognuno nella propria individualità, innescando una lotta alla sopravvivenza.

Non esiste minima differenza tra chi muore e chi sopravvive, ognuno ha il medesimo valore e diritto alla vita; ad alcuni di questi però tale diritto viene ingiustamente sottratto da atti di arroganza,

prepotenza ed egoismo che la guerra ed i suoi artefici causano, costringendo noi tutti a vivere sul filo del rasoio, con la speranza di riuscire a tagliarsi il meno possibile. Neanche con la fine di un eventuale conflitto torna poi a regnare la pace: per i morti vige l’eterno dubbio sul perché siano stati proprio loro a morire e non altri, per i vivi invece c’è un destino segnato dalla visione di ciò che rimane di coloro che non ci sono più e che sono stati sacrificio per le loro vite. Si genera così per i sopravvissuti, una condizione di umiliazione e una complessa riflessione interiore, riguardante il senso dell’esistenza, propria e di quella ormai cessata dei caduti.

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In guerra non esistono né vinti né vincitori, solo vittime, vittime che alla fine di tutto dovranno essere giustificate, alle quali bisognerà dar ragione dell'ingiusto dramma che le ha colpite. Coloro che si credono vincitori hanno una visione del mondo decisamente superficiale: annebbiati dalla bramosia di potere e gloria, non vedono la crudeltà e la violenza di questo imperdonabile momento. Ma allo stesso tempo non esistono vinti, perché chiunque sia stato, direttamente o indirettamente, coinvolto nel conflitto, ne uscirà almeno minimamente leso che sia per traumi fisici o psicologici, è pur sempre una condizione di disagio che arreca dolore e instabilità. Anche chi non combatte direttamente sul campo, faccia a faccia con nemico, deve fronteggiare il conflitto. Il singolo cittadino è costretto a portare avanti la propria vita, nonostante tutta la serie di impedimenti causati dalla situazione; non può lasciarsi in balia di tutto il tumulto che avviene intorno a lui. Anche il singolo cittadino è una vittima talvolta costretta a combattere. Inoltre è spesso presente, come nei libri di Pavese, il problema della fuga, sia intesa come fuga dalla morte che come fuga dai propri incessanti pensieri. La fuga è generata dalla paura che rende l’uomo umano, vivo. Ciò che collega tutto è il fatto che la violenza non deve essere in alcun modo giustificata. La ferocia della guerra impoverisce la dignità umana e la limita a livello primordiale, sminuendo a livelli inimmaginabili le potenzialità dell’uomo. Diplomazia e dialogo sono soluzioni più coerenti ed applicabili, che dimostrano indubbiamente quella che è la superiorità dell’intelletto umano.

Oltre alla riflessione sulla guerra, consiglio caldamente la lettura del romanzo citato di Pavese, “La casa in collina”.

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Vanessa Bajenaru, 4°FL

DIE MAUER

Als wir sie schleiften, ahnten wir nicht, wie hoch sie ist in uns Wir hatten uns gewöhnt an ihren horizont Und an die windstille In ihrem schatten warfen alle keinen schatten Nun stehen wir entblößt jeder entschuldigung (Reiner Kunze)

Staaten: die Bundesrepublik Deutschland (BRD) im Westen und die Deutsche Demokratische Republik (DDR) im Osten. Die zwei Staaten hatten unterschiedliche Gesellschaftsformen und Wirtschaftssysteme. Im Westen verfolgte der Bundeskanzler Konrad Adenauer einen Weg der Westintegration: die BRD wurde NATO Mitglied, sie entwickelte eine freie Marktwirtschaft und eine demokratische parlamentarische Regierung. Im Osten, im Gegenteil, errichtete die Sozialistische

Einheitspartei Deutschlands (SED) unter Parteichef Walter Ulbricht eine von der Sowjetunion abhängige kommunistische Diktatur. Ziel des SED Regimes war der Aufbau einer sozialistischen Gesellschaft mit Zentralplanwirtschaft. Die DDR wurde Mitglied des Warschauer Pakts.

Deutschland am Nullpunkt. Zwei deutsche Staaten

1945 war der Zweite Weltkrieg endlich vorbei. Deutschland hatte verloren und die Situation war katastrophal: zerstörte Städte, beschädigte Industrien, unterbrochene Verkehrswege… man musste bei Null beginnen. Deshalb wurde das Land in vier Besatzungszonen geteilt, die von den USA, Frankreich, England und der Sowjetunion kontrolliert wurden. Berlin wurde das Symbol der Zersplitterung: die alte Hauptstadt wurde ebenfalls in vier Sektoren geteilt. Im Laufe der Jahre wurden die Gegensätze zwischen den Westmächten und der Sowjetunion jedoch immer tiefer und Deutschland wurde das Spannungsfeld des ideologisch politischen Konflikts zwischen Ost und West, also zwischen der Sowjetunion und den USA. Als es klar wurde, dass eine Mitarbeit unmöglich war, entstanden 1949 zwei deutschen

Die BRD und die DDR Die vier Sektoren von Berlin Berlin wurde auch praktisch in zwei Teile geteilt, denn es gab einerseits den sowjetischen Sektor und andererseits die westliche Zone mit den drei westlichen Sektoren. Wegen der allgemeinen Unzufriedenheit der Bevölkerung flüchteten Hunderttausende DDR Bürger zwischen 1949 und 1961 trotz massiver Grenzüberwachung in die BRD, vor allem über Berlin, da es zwischen den Sektoren keine kontrollierte Grenze gab. Diese Massenflucht bedeutete allerdings für die DDR einen enormen Verlust an Arbeitskräften. Die Mauer

Um diese Massenflucht zu beenden, entschied das DDR Regime, mit der Erlaubnis und der Hilfe der Sowjetunion, eine Mauer zu bauen. In der Nacht zwischen dem 12. und dem 13. August 1961 begann die Volksarmee der DDR, die Sektorengrenze in Berlin mit Stacheldraht und Zäunen zu versperren und in den folgenden Tagen entstand um Westberlin eine 155 Kilometer lange Mauer: Westberlin wurde also auf dem Gebiet der DDR eingemauert und 28 Jahre lang trennte sie nicht nur die zwei deutschen Staaten, sondern spaltete auch Europa in Ost- und Westblock

Die Mauer trennte Nachbarn und Familien, die nur wenige Häuserblöcke voneinander entfernt wohnten. Viele DDR Bürger versuchten kurz nach dem Mauerbau in ihrer Verzweiflung, auf verschiedene Weisen zu fliehen: mit Luftballons, in Kofferräumen, durch selbst gegrabene Tunnel

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Manchen gelang es auch. Aber mit der Zeit wurde das Überwachungssystem immer raffinierter und es wurde unmöglich, die Betongrenze zu überwinden: mehr als 140 Menschen starben bei Fluchtversuchen.

Die Berliner Mauer

Die Wende

Eine sehr wichtige Rolle für die Deutschlandfrage spielte Michail Gorbatschow. Als Generalsekretär des Zentralkomitees der Kommunistischen Partei der Sowjetunion und letzter Staatspräsident der Sowjetunion machte er mit seiner Politik der Transparenz (Glasnost) und Umgestaltung (Perestroika) die Beendigung des Kalten Krieges und die Wiedervereinigung der beiden deutschen Staaten erst möglich. Auf die immer noch starre und reformfeindliche Haltung der SED reagierte die Bevölkerung mit einer enormen Ausreisewelle durch die Staaten des Ostblocks, die den Weg der Reformen eingeschlagen hatten: Polen, die Tschechoslowakei und Ungarn. Die Öffnung der ungarisch österreichischen Grenze am 11. September 1989 ermöglichte Zehntausenden Bürgern die Ausreise in den Westen. Außerdem demonstrierten immer mehr Menschen in vielen DDR Städten für die „Umgestaltung“ der Gesellschaft; Zentrum des Protests wurde Leipzig: es war der Anfang der „friedlichen Revolution“, die den Weg zur Vereinigung

Deutschlands bereiten sollte.

Der Fall der Mauer „Heute hat der Ministerrat nämlich beschlossen, eine Regelung zu treffen, die es jedem Bürger der DDR möglich macht, über Grenzübergangspunkte der DDR auszureisen… ab sofort, unverzüglich ".

In der Nacht vom 9. auf den 10. November 1989 wurde die Einführung der Reisefreiheit von Günther Schabowski, einem Mitglied der SED, im Fernsehen bekanntgegeben. Auf die unerwartete Nachricht strömten Hunderttausende von Menschen in der Nacht und in den darauffolgenden Tagen nach West Berlin oder in die Bundesrepublik, während die ganze Welt im Fernsehen das Zusammenfinden von Ost und Westberlinern erlebte, die auf überfüllten Straßen unter Tränen und mit Tänzen ihre Freude ausdrücken: „Wir sind ein Volk“, „Deutschland, ein Vaterland“ wurde jetzt gerufen.

Der Fall der Mauer

Die Wiedervereinigung Nach einem Jahr wurde am 31. August 1990 der Einigungsvertrag zwischen den beiden deutschen Regierungen unterzeichnet, der den Beitritt der DDR zur Bundesrepublik regelte und ab dem 3. Oktober 1990 war Deutschland ein wiedervereinter Staat. Dieser Tag wird seitdem als Staatsfeiertag gefeiert.

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usw.

IL MURO

Quando lo rademmo al suolo, non avevamo idea di quanto fosse alto in noi

Ci eravamo assuefatti al suo orizzonte E alla bonaccia Alla sua ombra tutti non proiettavano ombra Adesso stiamo denudati di ogni scusante (Reiner Kunze)

La Germania al punto zero. Due Stati tedeschi Nel 1945 la Seconda Guerra mondiale era finalmente terminata. La Germania aveva perso e la situazione era disastrosa: strade distrutte, industrie danneggiate, vie di comunicazione interrotte… Bisognava ripartire da zero. Per questo il Paese venne diviso in quattro zone di occupazione controllate da Stati Uniti, Francia, Regno Unito e Unione Sovietica. Berlino divenne il simbolo della frammentazione: l’antica capitale venne infatti ugualmente suddivisa in quattro settori. Tuttavia, nel corso degli anni i contrasti tra le potenze occidentali e l’Unione Sovietica divennero sempre più profondi e la Germania si trasformò nel centro di tensione del conflitto politico ideologico tra est e ovest, ossia tra Unione Sovietica e Stati Uniti. Quando divenne chiara l’impossibilità di una collaborazione, nel 1949 nacquero due Stati tedeschi: la Repubblica Federale di Germania (RFG) a ovest e la Repub-

blica Democratica Tedesca (RDT) a est. I due Stati avevano tipi di società e sistemi economici differenti. A ovest il cancelliere federale Konrad Adenauer seguì un percorso di integrazione occidentale: la RFG divenne membro della NATO, sviluppò un’economia di libero mercato e un governo parlamentare democratico. A est, al contrario, il Partito Socialista Unificato di Germania (SED), guidato da Walter Ulbricht, istituì una dittatura comunista dipendente dall’Unione Sovietica. Lo scopo del regime SED era la creazione di una società socialista con un'economia centralizzata e la RDT divenne membro del Patto di Varsavia.

Anche Berlino venne divisa in due parti, in quanto vi era da un lato il settore sovietico e dall’altro la zona occidentale, con i tre settori occidentali. A causa però del malcontento generale della popolazione, tra il 1949 e il 1961 centinaia di migliaia di cittadini della RDT fuggirono nella RFG, nonostante la massiccia sorveglianza delle frontiere, e soprattutto attraverso Berlino, dal momento che tra i settori non esisteva un confine controllato. Tale fuga di massa significava tuttavia per la RDT un’enorme perdita di lavoratori. Il muro

Per porre fine a questo esodo di massa, il regime SED, con il permesso e l’aiuto dell’Unione Sovietica, decise di erigere un muro. Nella notte tra il 12 e il 13 agosto 1961 l'esercito popolare della RDT iniziò così a bloccare il confine del settore a Berlino con filo spinato e recinzioni e nei giorni successivi un muro lungo 155 chilometri fu co-

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struito intorno a Berlino Ovest: essa venne dunque murata all’interno del territorio della RDT e per 28 anni non separò solamente i due stati tedeschi, ma divise anche l'Europa nei blocchi orientale e occidentale

Il muro separò vicini di casa e famiglie che vivevano a pochi isolati di distanza. Poco dopo la sua costruzione, molti cittadini della RDT, nella loro disperazione, cercarono in diversi modi di scappare: con mongolfiere, in bauli, attraverso tunnel scavati da loro stessi, ecc. Alcuni vi riuscirono anche, ma col tempo il sistema di controllo divenne sempre più raffinato e superare il confine di cemento fu di conseguenza impossibile: più di 140 persone morirono tentando la fuga.

La svolta

Un ruolo molto importante nella questione tedesca fu svolto da Michail Gorbačëv. Come segretario generale del Comitato centrale del Partito comunista dell'Unione Sovietica e ultimo presidente dell'Unione Sovietica, egli rese per la prima volta possibile, con la sua politica di trasparenza (Glasnost) e trasformazione (Perestroika), la fine della Guerra Fredda e la riunificazione dei due Stati tedeschi.

Di fronte alla posizione sempre più rigida e ostile alle riforme del regime SED, la popolazione reagì con un’enorme ondata di espatri attraverso gli Stati del blocco orientale che avevano intrapreso la strada delle riforme: la Polonia, la Cecoslovacchia e l’Ungheria. L’apertura del confine austro ungarico l’11 settembre 1989 permise a decine di centinaia di cittadini di espatriare

a ovest. Inoltre, nelle città della RDT sempre più persone protestavano per una “trasformazione” della società; Lipsia divenne il centro delle proteste: era l’inizio della “Rivoluzione pacifica”, che avrebbe aperto la strada all'unificazione della Germania.

La caduta del muro “Oggi, infatti, il Consiglio dei ministri ha deciso di adottare una regolamentazione che consenta a ogni cittadino della RDT di spostarsi attraverso i valichi di frontiera della RFG... da subito, immediatamente".

Nella notte tra il 9 e il 10 novembre 1989 Günther Schabowski, membro della SED, annunciò in televisione l'introduzione della libertà di circolazione. Alla notizia inaspettata centinaia di migliaia di persone la notte stessa e nei giorni successivi si riversarono a Berlino Ovest o nella Repubblica Federale, mentre il mondo intero guardava in TV il raduno di berlinesi dell'est e dell'ovest, che nelle strade affollate manifestavano la loro gioia con lacrime e balli: "Siamo un popolo", “la Germania, una patria”, veniva ora gridato.

La Riunificazione Dopo un anno, il 31 agosto 1990, fu firmato il trattato di unificazione tra i due governi tedeschi, che regolamentava l'adesione della RDT alla Repubblica federale e dal 3 ottobre 1990 la Germania era uno stato riunificato. Da allora questo giorno viene celebrato come festa nazionale.

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Camilla Comincioli 4^AL

INSIEME AL QUIRINALE

Roma, una gita unica e innovativa per il Lunardi che per la prima volta ha portato i suoi studenti al palazzo del Quirinale.

L’idea di una gita a Roma nacque alla professoressa Brigandì già l’anno scorso per la sua classe 4^DR che finalmente, il 24 ottobre, è partita accompagnata anche dalla prof.ssa Decca e dalla classe 4^A, accompagnata dalla prof.ssa Cavalli. Nonostante lo scopo principale dell’uscita fosse la visita al palazzo del Quirinale, abbiamo approfittato del tempo disponibile per visitare i punti principali della città, quali: il Vittoriano, il Pantheon, piazza di Spagna, piazza Navona, la Basilica di San Pietro, la fontana di Trevi, piazza del Popolo, il Colosseo, Castel Sant’Angelo. Il 25 mattina abbiamo visitato il palazzo del Quirinale, dimora e ufficio del presidente Mattarella, accompagnati da una guida che ci ha illustrato gli ambienti principali: il cortile, lo scalone d’onore, il salone dei corazzieri, la cappella Paolina, la loggia d’onore, la prima sala di rappresentanza, la sala delle Logge, la sala Gialla, la sala degli Ambasciatori, lo studio del Presidente della Repubblica, la sala degli Arazzi, la biblioteca del Piffetti, la sala dello Zodiaco, la sala degli Specchi, il salone delle Feste.

In ognuno di questi spazi è stata inserita una parte della nostra arte contemporanea. Infatti, nel 2019 il presidente Mattarella volle dare continuità alla storia artistica del palazzo integrando alle opere e all’architettura dal ‘500, anche quadri e sculture dei giorni nostri.

ALCUNI COMMENTI DEGLI ALUNNI

“Mi ha colpito il Colosseo anche se non ci siamo avvicinati abbastanza, vederlo è sempre un colpo d’occhio; anche la fontana di trevi con la sua imponenza e la sua complessa architettura ma soprattutto San Pietro grande e maestosa.”

“Durante l’uscita didattica a Roma mi hanno affascinato molte cose, dalle semplici vie che ti fanno sentire nel cuore della città fino ai più grandi monumenti che ti riportano alla Roma antica. La fontana di Trevi, di sera, è un incanto, illuminata e splendente. Il Quirinale è di una bellezza unica e molto interessante vedere il processo di mutamento dal regno alla repubblica.”

“Di Roma mi è piaciuto tutto, dalle camminate chilometriche nel centro della città, alle visite varie di monumenti e edifici importanti come il Quirinale e il Vaticano. La cosa più appassionante è stato visitare la città di sera, tutta illuminata, che rendeva la vista ancora più mozzafiato di quanto già non lo fosse.”

“Mi ha colpito l’architettura antica che si fonde con i vicoli arricchiti di negozi e ristoranti moderni. Ogni angolo che si gira a Roma è affascinante. Tra i monumenti storici, i turisti che si muovono a gruppi, i mercatini di tartufi e liquori, i negozi per gli appassionati di calcio; è una sorpresa costante. Ma il bello arriva davanti alla fontana di Trevi, dove turisti e locali si riuniscono e per usanza lanciano gli spiccioli per far sì che i loro desideri si realizzino.”

“Per me il monumento più bello, visto a Roma, è stata la basilica di San Pietro. Mi sono sentita come se fossi in un mondo completamente diverso da quello di tutti i giorni. Mi sembrava di visitare un luogo surreale e talmente bello che non credevo a cosa vedevo”

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LA CAPPELLA DEGLI SCROVEGNI A PADOVA

La 4DL davanti alla Chiesa di Sant’Antonio

La mia guida disse: «Non si rialzerà più prima del suono della tromba angelica, quando arriverà Cristo, nemico del male allora ognuno rivedrà la sua triste tomba, riprenderà il suo corpo e il suo aspetto, ascolterà la divina sentenza che durerà in eterno»” Canto VI, Inferno, Divina Commedia

Nel 1303, al principio della costruzione della Cappella degli Scrovegni, era saldo nella moralità del popolo un preciso ideale di bene e male. Gli artisti, con la loro sensibilità e coscienza, hanno rappresentato questo tormento interiore. Queste parole di Dante, nel suo caotico Inferno, ispirarono certamente Giotto. Dio giudicherà tutti gli uomini in base alle loro azioni nella vita terrena e destinerà ciascuno al Paradiso oppure all'Inferno. Alla fine dei tempi i corpi risusciteranno e si riuniranno alle anime per il giudizio finale, di salvezza nella comunione dei santi, oppure di condanna.

Padova, città universitaria, ha anche importanti testimonianze artistiche. È il centro della produzione artistica di Giotto e dell’arte medievale, come dimostra la recente iscrizione alla World Heritage List dell’Unesco. Il liceo linguistico è stato per anni impegnato in esperienze in Italia e all’estero stimolanti e ricche di cultura. Senza la professoressa Cavaliere e le pazienti accompagnatrici, le professoresse Gibellini e Di Ruocco, saremmo ancora chiusi nelle quattro mura della 4°DL e 4°EL. Fortunatamente, la stessa professoressa Cavaliere crede sia importante vivere esperienze reali, specialmente dopo due anni di stop.

La nostra visita è iniziata proprio dalla Cappella degli Scrovegni, realizzata da Enrico Scrovegni per riabilitare il nome della propria famiglia, macchiato dal peccato di usura del padre Reginaldo, collocato proprio da Dante nel III girone dell’Inferno. Una struttura molto semplice, a navata unica voltata a botte, con un soffitto affrescato con blu lapislazzuli. È proprio quel regale blu, finanziato con gli stessi soldi che macchiavano l’onore della famiglia, a rendere la struttura tanto preziosa quanto speciale

Sono rappresentate diverse scene della vita di Cristo e Maria. Impossibile non nominare il primo affresco di un bacio, quello tra Anna e Gioacchino.

Iconico è il Giudizio Universale nella Controfacciata, chiaramente influenzato dalla visione di Dante, amico dell’artista. L’intera scena è srotolata dagli angeli che rivelano la Gerusalemme Celeste.

L’innovazione apportata dall’autore di questo immenso scenario è in relazione con la sua storia contemporanea. Rappresenta fedelmente le figure di Enrico che offre il modello della cappella a Maria, San Giovanni e Santa Caterina d’Alessandria. Nell’Inferno illustra la pena di Reginaldo, Giuda Iscariota e una figura ecclesiastica non identificata, per sottolineare l’impurità della Chiesa.

È sempre particolarmente interessante la scelta, introdotta da Dante, di giudicare e condannare personaggi illustri. Sarebbe interessante immaginare chi, nel nostro ideale collettivo, giudicheremmo come “cattivi” e condanneremmo all’Inferno

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Le linee guida sono cambiate, Giotto espone le sue tramite delle allegorie di vizi e virtù, presenti nello zoccolo. Sono alternate a lastre di finto marmo e realizzate con la tecnica della grisaille. È stato interessante associare Vizi e Virtù ai compagni di classe, e la scelta è vasta: Prudenza e Stoltezza, Giustizia e Ingiustizia, Fortezza e Incostanza, Temperanza e Ira, Fede e Infedeltà, Speranza e Disperazione, e quella che mi ha colpito di più Invidia e Carità.

Fulcro della scena è il Cristo in Mandorla, immagine irradiata da serafini. Da qui genera l’inferno con la mano sinistra e volge lo sguardo verso gli eletti a destra. La controfacciata della cappella è una contrapposizione di beatitudine e caos.

Sotto la danneggiata immagine delle schiere di angeli, si può scorgere l’autoritratto di Giotto accanto a Dante. Giotto, facendo un esame di coscienza, si ritiene meritevole di essere parte del gruppo degli eletti: sarà frutto di obiettività e maturità o di egocentrismo? Voi vi riterreste meritevoli di essere parte degli Eletti?

La serenità del Paradiso è sicuramente affascinante e pacificato, ma l’Inferno nasconde una

moltitudine di dettagli e un realismo sconcertante delle pene, dalle più assurde a quelle più atroci, ma ricorrenti nel Medioevo. Lucifero è grande più del doppio dei peccatori, per simboleggiare il loro destino: soffrire e subire l’ira del diavolo. Nella loro piccolezza non hanno la possibilità di ribellarsi.

Attraverso il sacchetto di monetine che portano al collo notiamo i colpevoli di usura, che sono costretti a terra mentre diavoli scimmieschi sciolgono oro nelle loro bocche. Ci sono poi dannati appesi per la lingua, per i capelli, per i genitali, mangiati da Lucifero mentre le budella colano dallo squarcio dell’addome.

Studiare Cesare Beccaria il giorno prima e rimanere scioccati da una rappresentazione così cruda delle pene è una coincidenza quasi esilarante…

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La 4EL davanti al Giudizio Universale

UN ANNO IN CALIFORNIA

Nuovo numero, nuovo aggiornamento :) Stavo quasi per abituarmi alla mia routine giornaliera fino a che, un giorno, c’è stata un’emergenza: tutti i professori si sono attivati istantaneamente per radunare ogni studente in un unico edificio, la chiesa. Una volta chiuse le porte e controllato che tutti fossero al sicuro il preside ha annunciato che si trattava di un lockdown, ma solo preventivo perché il ragazzo con le armi non era nella nostra scuola. L’NPA è una scuola particolarmente sicura perché ci sono pochi studenti e i professori regolarmente controllano la nostra salute mentale, con domande molto semplici e quotidiane. Nell’arco di un’ora, il ragazzo è stato

scuola elementare, sì, proprio quelli gialli che tutti abbiamo visto almeno una volta nei film o nelle serie americane. Vi devo dare una notizia: sono scomodissimi! Sono seriamente molto scomodi, soprattutto per chi è alto, e ve lo dico io che non sono un gigante. Dopo aver scelto la zucca alcuni si sono persi in un labirinto di girasoli, altri saltavano da una balla di fieno all’altra, altri ancora hanno preferito semplicemente parlare con gli amici. Devo dire che quello è stato uno dei miei giorni preferiti per ora.

fermato e siamo tornati a fare lezione. L’NPA è una scuola particolare: il Preside e sua moglie tengono molto al fatto che tutti gli studenti si trovino bene con tutti quindi, di tanto in tanto, vengono organizzate delle attività che coinvolgono tutta la scuola. Questo mese, per esempio, più o meno una settimana prima di Halloween, abbiamo trascorso un’intera giornata in un campo di zucche per scegliere la zucca che avremmo poi potuto portare a casa. Per recarci sul posto avevamo a disposizione i pulmini della

Un’altra bella giornata è stata il 16 ottobre, quando mi sono recata in una città vicina, Eureka, per assistere al concerto di una cantante molto apprezzata dal mio papà ospitante e anche dalla sua famiglia. Lui aveva organizzato di andarci con i suoi fratelli, ma visto che aveva un biglietto in più ha chiesto a me se volevo aggregarmi. La cantante era Sara Bareilles. Io sinceramente non avevo mai sentito nemmeno una sua canzone, ma dopo essere stata a quel concerto ho iniziato ad ascoltarla. Vi dirò: ha una voce meravigliosa e le sue canzoni sono significative. Mentre ero al concerto sono anche riuscita a ritrovarmi con un sacco di altri exchange students e la cosa più divertente è che nessuno si era organizzato con nessuno: ci siamo ritrovati per caso in mezzo a una folla immensa (circa 11000 persone).

La fine di ottobre e l’inizio di novembre sono

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mesi un po’ tristi, perché è proprio in questo periodo che la stagione di pallavolo e quella di tennis femminile finiscono. In America l’ultimo anno nella scuola superiore è praticamente l’ultima opportunità di praticare uno di questi sport quindi, prima dell'ultima partita di pallavolo che la scuola organizza, vengono presentati tutti i membri della squadra iscritti all’ultimo anno. I giocatori, accompagnati dai genitori, si mostrano in pubblico e ricevono un omaggio (solitamente un mazzo di fiori). Sfortunatamente i miei genitori ospitanti non erano lì quindi un* mi* amic* mi ha accompagnata esattamente come avrebbero fatto i miei genitori ospitanti. Poi noi, all’NPA, abbiamo deciso anche di organizzare una partita studenti contro insegnanti e devo dire che è stato molto divertente insegnare loro qualcosa. Per quanto riguarda la stagione del tennis, invece, la modalità è diversa: viene organizzato un torneo a cui partecipano tutte le scuole della zona. Io ho scoperto questo in un modo un po’ particolare: il 28 ottobre, mentre seguivo la lezione di biologia, improvvisamente ho visto dirigersi verso di me, correndo, una mia compagna di classe. Mi ha chiesto se potevo lasciare la classe per un secondo, io allora la seguo e, uscendo, mi accorgo che con lei c’era il preside. La mia prima reazione è stata pensare a cosa potevo aver fatto o in cosa potessi aver sbagliato, ma mi sono rassicurata in un secondo, quando ho visto che lui stava sorridendo. Lui mi aveva chiamata per implorarmi di andare a giocare il torneo di tennis perché non avevano abbastanza giocatori. Non ho avuto nemmeno il tempo di accettare che lui mi aveva già dato la gonnellina che usano i tennisti, dicendomi: “ok vai a vedere se ti va bene”. Appena sono uscita dal bagno per dire che andava benissimo, la mia compagna di classe mi ha presa per un braccio e mi ha trascinata nel van della scuola, dicendomi che aveva già preso tutte le mie cose. E fu così che, insieme a questa mia amica, quasi vinsi il torneo. Siamo arrivate seconde, ma ci siamo divertite un sacco. La stagione si è poi definitivamente conclusa con una pizzata sui campi da tennis. Due giorni dopo il

torneo sono andata ad intagliare la zuccaaa!! E poi era già Halloween. Quel giorno, invece di andare a scuola, abbiamo accolto gli studenti delle scuole medie, facendo trovare loro numerose stanze allestite in modo tale da raccontare una storia a tema. Io li attendevo nella stanza degli gnomi, poi c’erano la stanza felice, quella della paura, quella degli spaventapasseri, quella dei pirati e quella delle fate. Dopo questa attività siamo

tornati a casa per prepararci per la vera festa di Halloween. Io ho trascorso la serata insieme a dei miei amici: prima hanno voluto portarmi in un ristorante italiano (esistono le fettuccine Alfredo) dove io ho scelto una carbonara, che non era niente male. Poi sia-

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mo andati a casa di un* mi* amic* che ha voluto farmi provare a fare dolcetto o scherzetto: è stato divertentissimo! poi serata film horror e infine pigiama party. Il giorno dopo teoricamente ci sarebbe stata la scuola, ma il preside ha deciso che quelli dell’ultimo anno potevano non andare. È interessante ricordare, inoltre, che negli Stati più o meno vicini al Messico è abbastanza comune che la scuola organizzi qualcosa per ricordare o “celebrare” Los días de los muertos e anche all’NPA la classe di spagnolo si è dedicata a questo.

L’ultima notizia che vi lascio è che ho iniziato a giocare a basket. Oggi era il primo giorno. È uno sport devastante, ma divertente. Con questo credo di aver detto tutto quindi vi saluto e ci vediamo nel prossimo articolo. Ciaoooo :)

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HALLOWEEN NELLA 1^A AFM

Nella nostra classe, abbiamo festeggiato Halloween in modo insolito, ossia con dei lavori a gruppi, basati sui seguenti racconti:“La vernice gialla”, di R. L. Stevenson; “Capitan Omicidio”, di C. Dickens; “La casa infestata”, di V. Woolf. Il lavoro consisteva nel raccontare la vicenda al resto dei compagni, prevedere un finale alternativo rispetto a quello fornitoci e mettere in scena il tutto, tramite degli spettacoli. Ogni gruppo si è impegnato nello svolgere il proprio lavoro: un gruppo ha creato l'ambientazione; un altro ha deciso di travestirsi utilizzando dei costumi inusuali e strampalati; un altro ancora si è creato da solo degli oggetti di scena. È stato bello vedere come tutti abbiano trovato idee diverse e originali, ma ancora più bello è stato assistere agli “spettacoli” messi in scena. Svolgere quest'attività è stato molto interessante e piacevole, perché è stata una bellissima combinazione tra compito scolastico e divertimento, con un occhio di riguardo alla creatività.

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L’UNGHERESE IN STEPS DALLA MONTAGNA ALLA PIANURA PANNONICA

Dopo un mese rieccomi qui a insegnare le basi di questa lingua incredibile! Oggi faremo la parte più tosta e poi dalle prossime volte gli argomenti saranno “deglutibili” facilmente, quindi come vi ho promesso andremo in discesa come nelle montagne russe. Ok se siete pronti possiamo iniziare, però prima dobbiamo ripassare le nostre 14 bellissime vocali e voi ora direte: come 14 vocali?!? Sembreranno eccessive, ma non vi preoccupate: la metà di loro sono solamente allungamenti mentre l’altra metà sono le vocali senza allungamento. Se non ve le ricordate, eccole qua: A Á E É I Í O Ó Ö Ő U Ú Ü Ű

Ma adesso dividiamo le vocali in vocali chiuse e vocali aperte: CHIUSE : A Á O Ó U Ú APERTE : E É I Í Ö Ő Ü Ű

Non ci spaventiamo amici miei perché non ci farete nemmeno caso. In ungherese esistono i casi e voi tipo “Oh no stop, ciao è stato bello, arrivederci!” OKKKKK keep calm, keep calm! Come vi ho detto non vi spaventate perché quando parlo di casi, non sono quei casi che pensate ora, please! Dimenticate per un momento la grammatica della lingua tedesca (Mi raccomando non dimenticatela affatto, la vostra insegnante di tedesco non ne sarebbe per nulla soddisfatta). In ungherese i casi stranamente non sono quei casi dove si è costretti a declinare tutta la parola oppure l’articolo, bensì sono solamente dei suffissi Aspetta un secondo, ma wtf?! “In che senso suffissi = casi?”

Contenti? Per cosa vi siete spaventati voi? Prima guardare attentamente e solamente poi agire! Ma a ogni modo non è solamente il caso un suffisso, ma anche l’aggettivo, l’avverbio o altre “robe” molto utili che, mamma mia, non sono troppo difficili da memorizzare! Se vi state chiedendo a cosa servono queste vocali, eccoci arrivati al concetto chiave della lingua ungherese, ovvero l’armonia vocalica. L’armonia collega parole e suffissi. Provo a spiegarvelo semplicemente, partendo dalle vocali:

CHIUSE : A O U APERTE : E I Ö Ü

Immaginiamo la parola più semplice del mondo , ovvero ”gép” macchinario. Adesso se vogliamo fare il plurale seguiamo questo schema.

Parola + Vocale armonica + Suffisso

Gép + Vocale armonica aperta + K (suffisso del plurale) = Gépek

Facciamo altri esempi cosi capirete meglio il ra-

gionamento:

Malac (Maiale) + vocale armonica chiusa + K (Suffisso del plurale) = Malacok

Tej (latte) + vocale armonica aperta + K = Fregati , il latte non ha plurale Rendőr (Poliziotto) + vocale armonica aperta + K = Rendőrök

Kebab + vocale armonica chiusa (perché la vocale finale è A) + K = Kebabok

Gyönyürű (Bello/a di aspetto) + vocale armonica aperta + K = Gyönyürűek

Ház (Casa) + vocale armonica chiusa + K = Házak (Non viene usata la O perché la parola Ház ha la lettera Á e non A quindi si usa la lettera stessa, ma senza accento. Non rispettan la regola solo poche parole come Lány (ragazza) che vuole la O invece della A quindi Lányok o Barátság (amicizia) che diventa Barátságok Ujj (dito) + vocale armonica chiusa + K = Ujjak

Ma ora vediamo i casi strani che in realtà sono facili da risolvere e le poche eccezioni con plurale irregolare: Híd (ponte) + vocale armonica chiusa (Se la I o Í sono sole oppure alla fine dopo una vocale aperta senza altre vocali allora sono aperte e si accorciano, ma non vale per la parola Hír (notizia) che diventa Hírek) + K = Hidak

Alma (mela) + vocale armonica chiusa (Qui ATTENZIONE , si allunga la vocale e non si aggiunge nient’altro) + K = Almák

Ajtó (Porta) + NESSUNA VOCALE ARMONICA (È gia lunga di per sé per essere una vocale armonica visto che c’è già la vocale richiesta anche allungata , per esempio per Ű non vale la regola perché non è richiesta questa vocale allora

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si aggiunge un'altra richiesta) + K = Ajtók Fog (Dente) + Vocale armonica chiusa + -K = Fogak (In questo caso perché c’è già la lettera O non serve ripeterla)

Ora tocca ai pochi che hanno una loro costruzione che in realtà non è difficile da capire: Le parole composte da 2 o 3 lettere tipo Szó (Parola), Tó (Lago), Kő (Pietra) e Ló (Cavallo) seguono questo schema: Parola con la Ó/Ő/Ű tolta (eccetto per la parola Mű = Opera) + AV/ÖV/OV/ÜV+ suffisso (Qualsiasi tipo di suffisso ma quando è senza allora si lascia com’è)

Szó = Sz + av + K (In questo caso solo o con A o con E) = Szavak

Tó = Tavak, Kő = Kövek, Ló = Lovak ed ecc... Mancano le altre tre tipologie e poi andiamo verso la discesa promesso!

Nyúl (coniglio) = Nyulak Út (via) = Utak Tűz (Fuoco) = Tüzek VIGYÁZZ / ATTENZIONE!

MA NON SEGUONO LA REGOLA CSŐ (tubo) E NYŰ (verme) IN QUANTO SEGUONO LA REGOLA DELL’ACCORCIARE + OV/AV/ÖV/ ÜV + SUFFISSO! Quindi Csövek e Nyüvek E infine l’ultima tipologia e poi è finito il mal di testa giuro, questa è l’unica difficolta vera della lingua ungherese, ovvero parole che hanno prima una vocale non corta e poi una vocale lunga che finisce in consonante come in questo caso: Madár (uccello) = (tutte le vocali della parola diventano corte e il plurale è sempre AK se ci sono vocali chiuse, senno ci va -EK) Madarak STOP! VÉGRE (FINALMENTE)!

Le parole composte da 4 o 5 lettere solitamente non hanno alcuna eccezione, ma l’eccezione arriva quando si prova a fare il plurale ed esce qualcosa del genere: Dolog (cosa) + Vocale armonica chiusa + K = Dologok

Meglio evitare troppe lettere O in una parola scambiando di posto l’ultima lettera della parola con la penultima quindi: Dolgo + K = Dolgok (Non dobbiamo allungare o accorciare niente, va bene cosi) Álom (sogno) = Álmo + K (Senza allungare niente) = Álmok

La prossima eccezione sono le parole di 3 o 4 lettere che hanno una vocale lunga Ú/Ű che si trasformano in vocali brevi con poi la vocale armonica seguita da suffisso:

Dopo questo andiamo tutto sarà più facile! Non spiegherò nient’altro perché questo è stato l’unico blocco pesante di questa lingua. Prima di concludere vi dico che la teoria dell’armonia vale se la parola deve essere trasformata in plurale, possesso o caso. Per esempio avete imparato il vostro primissimo suffisso, ovvero K che indica il plurale! Poi ci saranno molti altri suffissi che hanno tutti logica e non esistono eccezioni. Quando parliamo di trasformazioni, parliamo anche della coniugazione dei verbi o di congiunzioni, perciò queste armonie esistono quasi dappertutto. Poi seguendo la logica, sarà intuitivo capire quale vocale armonica usare, non abbiate paura! Non ci sarà neppure bisogno di declinare aggettivi e articoli. La prossima volta parleremo dei pronomi personali e del verbo essere/avere; in realtà non esiste il verbo avere perché l’avere in ungherese è esistenza e quindi è sempre essere/c’è o ci sono. E dopo questo vi lascio riposare mentalmente.

Köszönöm a figyelmet és viszlát mindenkinek, grazie per l’attenzione ed arrivederci a tutti!

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MICROEDITORIA - LIBRI COME PONTI

Durante il weekend dall’11 al 13 novembre a Chiari si è tenuta la ventesima edizione della Microeditoria, una rassegna editoriale a ingresso libero. Si tiene ogni anno dal 2003 nella villa comunale, villa Mazzotti, coinvolge piccoli e medi editori provenienti da tutta la penisola e offre una possibilità unica di dialogare con altri lettori appassionati su proposte diverse da quelle delle grandi case editrici. Dal 2011 fa parte delle tre fiere di settore più importanti, insieme a Pisabook Festival (Pisa) e a Più libri più liberi (Roma) ed è la manifestazione più grande della Lombardia.

Nella giornata di Venerdì 11 novembre, insieme alla mia classe, ho partecipato alla gara di lettura “Per un pugno di libri”, ispirata all’omonimo programma televisivo, per la quale ci siamo preparati su due libri, un classico L’amico ritrovato di Uhlman, e uno più recente, Play di Laura

comunque solo cinque a testa.

L’argomento del terzo gioco non erano i due libri, ma cultura generale; si trattava di domande a risposta multipla per cui non era necessario prenotarsi: tutti dovevano rispondere e ogni risposta corretta valeva 3 punti.

Il quarto gioco, ultimo ma sicuramente non per importanza, comprendeva 6 buste sulle quali era scritta una parola, indizio sul contenuto della domanda, e un moltiplicatore, x2, x3 o x5 e ogni squadra, partendo dalla più bassa in classifica, doveva scegliere una di queste insieme al numero di punti da scommettere, da 1 a 3, e a seconda del numero indicato sulla busta venivano assegnati o tolti punti. Per esempio, se si sceglieva di scommettere 3 punti su una busta x5 rispondendo correttamente alla domanda si guadagnavano 15 punti e in caso contrario i punti venivano tolti. È stata un’esperienza molto divertente e stimolante oltre che formativa, dato che mi sono potuta approcciare alla lettura in maniera completamente diversa dal solito, ma soprattutto mi è piaciuto vedere come ognuno abbia fatto la sua parte e si sia impegnato per raggiungere l’obiettivo comune.

Orsolini.

L’evento si è diviso in due turni durante ciascuno dei quali si sono sfidate 3 classi. Ogni turno comprendeva 4 giochi: Il primo gioco consisteva in una serie di domande del valore di un punto su entrambi i libri a cui si doveva rispondere con una sola parola; per prenotarsi bisognava premere il pulsante prima degli avversari e in caso di risposta errata la domanda passava alla più veloce delle squadre rimanenti. Il secondo gioco riguardava numeri e date: la presentatrice leggeva un elenco di domande le cui risposte erano numeri da sommare. La prima squadra a fare il calcolo in maniera corretta avrebbe guadagnato 10 punti e se anche le altre due fossero arrivate al risultato ne avrebbero presi

Durante la mattinata di domenica 13 novembre il professor Luca Guerra, insieme alla professoressa Fausta Moreschi e a alcuni studenti che hanno partecipato all’iniziativa, ha presentato il libro: “L’esperienza Covid 19. La riscoperta della relazione educativa nella

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scuola”, che comprende i lavori artistici, multimediali e narrativi realizzati dagli studenti coinvolti nel progetto. L’incontro si è concluso con una riflessione del professor Raffaele Mantegazza, autore di un contributo del libro, sull’importanza dell’ascoltare i pensieri e le emozioni degli studenti e sui cambiamenti necessari all’interno dell’ambiente scolastico.

È da anni che visito questa esposizione della Microeditoria e ogni volta ne esco sempre più entusiasta e mi sento davvero di consigliarla a tutti, sia agli appassionati di libri come la sottoscritta, sia a chi leggere piace un po’ meno, dato che dà la possibilità di interfacciarsi con così tante persone, temi e argomenti diversi che è difficile non trovare almeno un argomento di interesse. Inoltre, appena si varcano le porte della villa Mazzotti, l’amore e la passione che gli autori e gli editori nutrono per quello che fanno si percepisce a tal punto che risulta impossibile non farsi coinvolgere dalla bellissima atmosfera!

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THE GREAT!

Riprende la competizione oratoria sia all’interno del nostro Istituto sia con le nostre squadre in ambito nazionale.

Novità di quest’anno è che abbiamo inaugurato il DEBATE IN LINGUAe che parteciperemo alle Olimpiadi in inglese oltre che alla competizione Nazionale in italiano.

Il prossimo appuntamento saràAFINE NOVEMBRE con la prima fase del torneo interno all’Istituto .

Le squadre che dibatteranno in italiano dovranno confrontarsi sulla mozione:

• “L’industria cosmetica è un mezzo per promuovere la piena espressione di sé oppure favorisce

• il fenomeno dell’omologazione sociale?”

Le squadre che dibatteranno in inglese si confronteranno intorno alla questione:

• “The 2010 “meat dress” worn by Lady Gaga, made of raw beef, a fashion statement or an

• obscene pretext to stir up sensation?”. Per ulteriori informazioni e per avanzare le proprie candidature come oratori e oratrici, scrivete a : laura.vavassori@lunardi.edu.it giulia.muiesan@lunardi.edu.it

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IL CODICE DA VINCI

Il più clamoroso caso editoriale degli ultimi decenni, tradotto in oltre quaranta lingue e venduto in decine di milioni di copie: un libro che ha stregato il mondo. Un romanzo che ha ridisegnato il concetto di narrativa di suspense e, tra arte, storia e immaginazione, ha aperto la strada al thriller misterico. Spiegandoci finalmente perché la Gioconda sorride."

Autore: Dan Brown

Anno di pubblicazione: 2003

Trama: Parigi. Il professore di storia dell'arte specializzato in simbologia di ogni epoca e cultura Robert Langdon viene coinvolto e sospettato colpevole dell'omicidio del creatore del Louvre, Jacques Saunière, dal capo della Polizia francese Bezu Fache. Sophie Neveu, crittografa della Polizia e nipote del creatore, aiuta il professore a uscire di scena e a scappare. Lo sviluppo della storia si basa sul mistero dietro all'omicidio, il quale riguarda la storia del Cristianesimo e, in particolar modo, della vera identità del Santo Graal. Descrizione di un personaggio: Sophie Neveu

Sophie ha trascorso tutta la sua infanzia con il nonno Jacques, dopo che la sua famiglia è tragicamente scomparsa in un incidente d'auto. Gli insegnamenti particolari e stimolanti del nonno hanno fatto sì che Sophie diventasse una donna davvero intelligente, intuitiva e molto perspicace, oltre che ad essere gentile ed agile. Il nonno le ha trasmesso la passione per la crittologia, materia della quale si occupa la sua professione. Nel corso della storia andiamo incontro ad un personaggio che pur di ottenere quello che desidera si spinge a tutto, persino oltre i confini della legge. Dimostra una forza d'animo e fisica da ammirare, anche se non manca di grande sensibilità, tant'è che è ciò che la spinge maggiormente a risolvere gli enigmi dietro l'omicidio. Un elemento che la caratterizza durante il percorso che fa insieme a Robert sono i sensi di colpa, dovuti al fatto che per via di un fatto particolare ha interrotto i rapporti con Jac-

ques senza mai riprenderli, nonostante quest'ultimo facesse di tutto per raggiungerla. Erano davvero legati, ma allo stesso tempo celavano dei segreti che li tenevano a distanza. Man mano che gli enigmi si sciolgono, la distanza diminuisce sempre di più, e Sophie può finalmente vivere con l'anima in pace.

Commento: Il libro ha uno stile davvero scorrevole e il modo in cui Brown scrive è talmente accattivante da impedire di staccare la testa dalle pagine. Le teorie sul Santo Graal e sulla sua vera identità sono trattate in maniera talmente convincente da far sembrare il libro un documentario, anche se in realtà l’opera ha suscitato numerose critiche per la sua grande inaccuratezza storica. Consiglio quindi di non prendere questo romanzo troppo seriamente e di non trattarlo come un libro di storia. La chimica tra Robert e Sophie permette di distinguere finzione e realtà, rappresenta un distacco da quest'ultima, una sorta di "schiocco" o di "sveglia" che ci allontana dal nostro sogno e ci riporta dalle nuvole con i piedi per terra. Consiglio vivamente la lettura per riflettere ed essere meno rigidi, ma al contempo realisti, per riuscire a non farsi ipnotizzare ed essere meno ingenui.

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Review of the book Babel, Or the Necessity of Violence: An Arcane History of the Oxford Translators' Revolution.

"Translation means doing violence upon the original, means warping and distorting it for foreign, unintended eyes. So then where does that leave us? How can we conclude, except by a knowledging that an act of translation is then necessarily always an act of betrayal?"

nese, you stop thinking in Chinese… Words and phrases you think are carved into your bones can disappear in no time.’

1828. Robin Swift, orphaned by cholera in Canton, is brought to London by the mysterious Professor Lovell. There, he trains for years in Latin, Ancient Greek, and Chinese, all in preparation for the day he'll enroll in Oxford University's prestigious Royal Institute of Translation also known as Babel. Oxford, the city of dreaming spires, is a fairytale for Robin; a utopia dedicated to the pursuit of knowledge. But knowledge serves power, and for Robin, a Chinese boy raised in Britain, serving Babel inevitably means betraying his motherland.

As his studies progress Robin finds himself caught between Babel and the shadowy Hermes Society, an organization dedicated to sabotaging the silver working that supports imperial expansion. When Britain pursues an unjust war with China over silver and opium, Robin must decide: Can powerful institutions be changed from within, or does revolution always require violence? What is he willing to sacrifice to bring Babel down?

Language was always the companion of empire, and as such, together they begin, grow, and flourish. And later, together, they fall.”

As you can probably guess from the title and premise of Babel, colonialism, racism, languages, translations, identities, necessities of violence, and finding a place to belong are some of the heaviest themes of Babel.

"Languages are easier to forget than you imagine… Once you stop living in the world of Chi-

Babel has the weight of a modern literary classic, although it is a unique blend of historical fiction, fantasy, and nonfiction. Kuang’s writing can be very technical, and often reads like a textbook. Despite the dense, lecture like paragraphs about etymology and the history of language, Babel is incredibly immersive. It’s so easy to get swept up in this story. Babel honors the magic of translation and linguistics. While many say that words are just sequences of

sounds given meaning, language is undeniably a keystone of history and culture. Translation is a highly underappreciated art. Every time words are converted between languages, they lose some of their association, some of their meaning and gravity. Babel is passionate, scathing, incendiary, fervent. It has all the inevitability and gravity of a tidal wave, a massive force. crashing into me, sweeping me away. Here, I find that language has failed me once again, because I cannot write a sentence or a paragraph or a whole review that will quite capture how I felt when I finished Babel. I will leave it for you to discover, because if you pick up just one book this year, make it this one.

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La gioia di scrivere

Dove corre questa cerva scritta in un bosco scritto?

Ad abbeverarsi ad un’acqua scritta che riflette il suo musetto come carta carbone?

Perché alza la testa, sente forse qualcosa? Poggiata su esili zampe prese in prestito dalla verità, da sotto le mie dita rizza le orecchie. Silenzio anche questa parola fruscia sulla carta e scosta

I rami generati dalla parola “bosco”. Sopra il foglio bianco si preparano al balzo lettere che possono mettersi male, un assedio di frasi che non lasceranno scampo. In una goccia d’inchiostro c’è una buona scorta

L’ANGOLO DELLA POESIA

di cacciatori con l’occhio al mirino, pronti a correr giù per la ripida penna, a circondare la cerva, a puntare.

Dimenticano che la vita non è qui. altre leggi, nero su bianco, vigono qui. Un batter d’occhio durerà quanto dico io, si lascerà dividere in piccole eternità piene di pallottole fermate in volo. Non una cosa avverrà qui se non voglio. Senza il mio assenso non cadrà foglia, né si piegherà stelo sotto il punto del piccolo zoccolo.

C’è dunque un mondo di cui reggo le sorti indipendenti? Un tempo che lego con catene di segni? Un esistere a mio comando incessante?

La gioia di scrivere. Il potere di perpetuare. La vendetta d’una mano mortale.

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Poeta del mese: Wislawa Szymborska (1923 2012) premio Nobel nel 1996

PRIMAVERA

Muto si fa il giorno. Speranze silenziose corteggiano ricordi arrugginiti di sogni ridenti. Nuova nasce la vita e, tremula, riecheggia d'improvviso in sotterranei sobborghi, come sonno senza velo, arcana commedia di labile mistero.

Api danzano nel focolare del mondo. Rombi di cielo gagliardo trafiggono inermi viandanti e squarci di sole, posati su labbra di nefasta tristezza, brucano memorie latenti.

Dolce e tenera è la notte. Inattese risalgono le vie del cuore gioie viventi.

Iridi subacquee

Scosse elettriche sono le tue limpide iridi, saette da Poseidone create nel mare più profondo. Selene risplende dentro questi occhi dalla caduta di mille astri scalfiti, e i naviganti soggiogati, catturati dal dolce canto delle crudeli sirene, si immergono. Sangue reale vi scorre,

blú, scosse elettriche che uno ad uno uccidono i pirati che ricercano il segreto dei tuoi cigli preziosi.

Agata Barucco 5^CL

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Irene Reboldi 5^DL
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cachi maturi pendevano dall alto sui rami fini
Yihan Hou 4^AAFM momento giusto intreccio di due mani amore spinge
Ying Chen 4^AAFM

D’autunno suoni e colori nebbia sui campi appena s’intravede un casolare *** nuvole grigie oscurano il tramonto pioggia nell’aria *** rosso brunito una foglia volteggia tempo d’attesa ***

lungo il sentiero scricchiolio dorato note d'autunno *** flessuosamente ondeggia una betulla resiste al vento

Prof.ssa Patrizia Mariottini

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Venice through Shakespeare’s eyes

Campo San Giacomo, 2nd November 2022. It’s late in the morning, but you can still hear on one side the cheerful shouting of the Venetians, hasty to make the last purchases at the fish and fruit markets not far away, and on the other one the sound of the waves of the Grand Canal crashing on boats and gondolas intent on crossing its narrowest point, the Rialto Bridge. Six hundred years before, in the 15th century, that was the crossroads for the trade of spices arriving from the Far East, of cotton from the Middle East, of iron and tin from Great Britain, leather from Spain, as well as Venice’s own products such as ships, glasswork, printed books, objects in gold, mosaics and luxury cloths. In the 16th century, the city was still an important trading centre and, among the ships departing and returning, there were also those of Antonio, the protagonist of the comedy "The Merchant of Venice", written by William Shakespeare in 1596.

On this Wednesday in early November, the guide Ornella Naccari and the actor Solimano Pontarollo accompanied us, the class 4^AL, to discover the places which have inspired one of the most important playwrights in the history of literature of all time, through the streets of a city that turns into an open air theatre.

Campo San Giacomo Act I, Scene III

Shylock: “This kindness will I show. Go with me to a notary, seal me there Your single bond, and, in a merry sport, If you repay me not on such a day, In such a place, such sum or sums are Expressed in the condition, let the forfeit Be nominated for an equal pound Of your fair flesh, to be cut off and taken In what part of your body pleaseth me”.

Campo San Giacomo is one of the most characteristic places of Venice. On the south eastern side is the Church of San Giacomo, called San Giacometto, which is said to be the oldest of the city, consecrated in 421 AD. On the opposite side, instead, is the Hunchback of the Rialto, a statue representing a naked and crouched man who supports a small staircase, called

"hunchback" because of its position; at the time of the “Serenissima”, it was used as a podium from which an officer read the most important laws of the Republic or the names of those sentenced to death, standing on the block at the end of the staircase. Finally, under the porch, you can still see the Banco Giro, the first public bank in Venice, active from 1524 to 1806, which guaranteed liquidity to the Rialto merchants. The term “Banco giro” comes from the transactions of giroconto, payments that could be made without cash, simply by turning the sum on the books placed on desks. This is one of the first places where we find the two main characters of the Merchant of Venice: Antonio, a rich Christian merchant, known for his honesty and generosity, and Shylock, a Jewish moneylender, who, on the contrary, is described as greedy and bloodthirsty. They both hate each other: Antonio despises Jews for asking the payment of interest on a debt, while Shylock detests Antonio both because he lends money without asking for any extra payment, but also and above all for the merchant’s attitude towards the Jewish community, which he publicly insults, and Shylock himself, often victim of verbal as well as physical aggressions. However, other stories develop parallel to the main plot: the first one is the romance between Bassanio, Antonio’s cousin, and Portia, a wealthy heiress of Belmont (an imaginary setting a short distance from Venice), while the second one is that between Jessica, Shylock’s daughter, and Lorenzo, another of Antonio’s friends, obviously a Christian. The events are intertwined: in order to win Portia’s hand, Bassanio needs money to reach Belmont palace; nevertheless, Antonio can’t help him, as all his riches are on his ships traveling around the world. Hence, he’s obliged to borrow money from Shylock, who finally sees the right occasion to take revenge: if the loan of 3000 ducats is not paid back on time, Antonio will have a pound of his flesh cut (a pound is about 450 g). It is therefore most likely in Campo San Giacomo that the two sign their contract. Just another little curiosity, some scholars believe that Launcelot

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The Rialto Bridge

Hunchback of the Rialto

Campo dell’Abbazia della Misericordia Act II, Scene V

Shylock: “What, are there masques? Hear you me, Jessica: Lock up my doors; and when you hear the drum And the vile squealing of the wry necked fife, Clamber not you up to the casements then, Nor thrust your head into the public street To gaze on Christian fools with varnished faces; But stop my house’s ears, I mean my casements;

Let not the sound of shallow foppery enter My sober house. By Jacob’s staff I swear I have no mind of feasting forth tonight; But I will go. Go you before me, sirrah. Say I will come”. After crossing the Grand Canal by gondola and a short walk, we arrived at the Campo dell'Abbazia della Misericordia, where Shylock tries to dissuade his daughter Jessica from dating Christians and, among them, her beloved Lorenzo. Nonetheless, he’s unaware that Lorenzo and his friends have already come up with a plan to let Jessica escape: after the dinner at Bassanio’s house, to whom Shylock is invited too, the Christians plan to give a masked ball and the girl, disguised, will escape without being recognized. So, while her father is out, Lorenzo joins Jessica and the young woman, once having taken possession of a part of her father’s money and especially jewels, climbs down from the window.

Shylock and Jessica Campo della Chiesa della Madonna dell'Orto e Campo dei Mori Act III, Scene I

Shylock: “To bait fish withal. If it will feed nothing else, it will feed my revenge. He hath disgraced me and hindered me half million, laughed at my losses, mocked at my gains, scorned my nation, thwarted my bargains, cooled my friends, heated mine enemies, and what’s his reason? I am a Jew. Hath not a Jew eyes? Hath not a Jew hands, organs, dimensions, senses affections, passions? Fed with the same food, hurt with the same weapons, subject to the same diseases, healed by the same means, warmed and cooled by the same winter and summer as a Christian is? If you prick us, do we not bleed? If you tickle us, do we not laugh? If you poison us, do we not die? And if you wrong us, shall we not revenge? If we are like you in the rest, we will resemble you in that. If a Jew wrongs a Christian, what is his humility? Revenge. If a Christian wrong a Jew, what should his sufferance be by Christian

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Gobbo, Shylock’s servant, and his father Old Gobbo would be inspired by the statue of the square! Banco Giro The contract between Shylock and Antonio Grand Canal

example? Why, revenge! The villany you teach me I will execute, and it shall go hard but I will better the instruction”. Tintoretto was born not far from here and in this

culiarity was to be very skilled but not so honest traders: in fact, they were very good at cheating their customers by selling them low quality goods at very high prices. The legend has it that one day a beggar knocked on their door for help, but she was kicked out by the brothers. However, the woman was actually a witch, who, as punishment, turned them alive into stone, along with their servant, whose name no one knew. It is also said that by leaning your hand against their chest, you can still feel their heart beating. Moreover, the statue of Rioba later lost its nose, which was replaced by a piece of iron instead of stone; even today it is possible to see the "black" nose of Mr Rioba, which is said to bring good luck to all who

church of the 14th century he left beautiful paintings and was eventually buried. Even before the works of the great painter, we are impressed by the many sculptures and the portal of the facade, one of the highest examples of Venetian Gothic. Right here Shylock recites the most famous monologue of the entire comedy. The Jew has lost everything: his daughter, his money, his friends. But why? Because of his religion. And here a comedy of four centuries ago becomes the most current of all: is Shylock really different? Why? Isn’t he, after all, a human being? In Shakespeare’s time, no Jews had been legally present in England since the Edict of Expulsion in 1290, but the stereotype of Jews as greedy moneylenders remained from the Middle Ages. Historically, moneylending had been a common occupation among Jews, and this was mostly due to two reasons: first of all, Christians were not permitted to practise usury and, at the same time, Jews were excluded from most fields of work. Why then should Shylock be wrong to ask for what he needs to live? Why, after all the things Antonio has done to him, remaining always unpunished, should not the Christian merchant receive the punishment he deserves?

With minds full of questions and reflections, our tour continued through the Campo dei Mori, a few steps from the house of Tintoretto, where you cannot miss four stone statues set in the wall of Mastelli del Cammello palace, built by the homonymous family arrived in Venice from the kingdom of the Morea, the old province of the Byzantine Empire, whose inhabitants, because of their origin, were called "Moors". The Moors were three brothers (Rioba, Sandi and Alfani), experienced traders of silks and spices. Their pe-

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Campo della Chiesa della Madonna dell'Orto Mr. Rioba

touch him.

Ghetto

Act V, Scene I

Shylock: “Nay, take my life and all, pardon not that! You take my house when you do take the prop That doth sustain my house. You take my life When you do take the means whereby I live”. Traditionally, the word "ghetto" is traced back to the Venetian term "geto", with whom the jet of molten metal produced by foundries was indicated in the Middle Ages. In fact, this type of activity was present in this area and, although the etymology is not 100% certain, what is sure is that in 1516 the government of the Serenissima established here the first Jewish ghetto in history. Today a quiet neighbourhood, articulated around the Campo del Ghetto Novo, part of its charm comes from its sad past of segregation. The narrow streets and bridges leading to the airy square were once closed by gates and guarded by guards: the Jews weren’t allowed to exit from sunset to dawn. And they couldn’t even live anywhere else. Thus, as more and more children were born and new exiles arrived, the inhabitants had no other solution but building in height: that’s why the houses of the ghetto are among the highest in Venice. The Jewish population of Venice was (and still is) very diverse. This is witnessed by the five synagogues, all incorporated in the top floors (as close as possible to God) of pre existing buildings, each of whom belongs to its own community: the Spagnola, the Levantina, the Scola Grande Tedesca, the Scola Italiana e the Scola Canton. Over time this last one actually hosted several communities and took its name either from the family that financed the construction or from the place (a corner, "canton" in Venetian) in which it is located. The Jewish Museum, which has existed since 1954, illustrates Jewish festivities and liturgy through ritual objects as well as the history of Venetian Jews.

As we’ve already said, in the past moneylending was a one of the few occupations still open to Jews: they lent money with interest or in exchange for pawned items. The pawnshops were all in Campo del Ghetto Novo and they were three: the Banco Rosso, the Banco Verde and the Banco Nero. Probably their name depends on the colour of the pawn receipts; the Banco Rosso di Venezia still carries the ancient sign and remains one of the symbolic places of the Jewish community. Right here was born the expression "to be in red" and "to be broke" when you want to say you have no money.

This is where the performance ended. The scene actually takes place at the court of the Doge of

Venice. Shylock seems happy: Antonio’s ships have sunk and the merchant has nothing to repay the loan with but his own flesh. Shylock also categorically refused the 6,000 ducats, double the amount of the loan, offered by Bassanio, now married to Portia. But it is just as Antonio prepares for Shylock’s knife that the woman intervenes reversing the situation: disguised as a lawyer, she affirms that the contract allows Shylock to take only his flesh, not his blood; as a consequence, if Shylock sheds one single drop of blood, his lands and money become the property of the state. Feeling defeated, Shylock agrees to accept Bassanio’s offer, but Portia prevents him from doing so, as he has already refused it. On the contrary, she adds that when a non Venetian tries to take the life of a citizen directly or indirectly, then half of his property goes to the person he tried to kill and the other half goes to the state. His life is left at the mercy of the Duke, who decides to save him. The merchant allows Shylock to keep his half, but he must sign a document that bequeaths all of its heritage to Lorenzo and Jessica. Second, he must become a Christian. In the end, what may seem a happy ending for Antonio, who will also recover his ships, is a tragedy for Shylock. Venice is certainly one of the most beautiful cities in the world, and of course more visited. However, very often tourists concentrate in the most popular areas, forgetting there are thousands of hidden spots to discover. Thanks to this trip, we had the opportunity to “taste” a Venice a little different from the usual one, going back in time and letting ourselves be guided by the energy of the theatre. What is it after all the theatre, if not the need to listen to something that someone else needs to say?

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Ghetto Camilla Comincioli, 4^AL Foto di Angelica Giliani 4^AL

QUATTRO GALLINE

Quattro galline un modo di dire equivalente a poca cosa. In quanti eravate ieri all’inaugurazione? Quattro galline. Tanto chiasso per quattro galline! Credo che la scelta di tradurre il titolo originale: La covata, con il più ambiguo e leggero: Quattro galline sia stata dettata dal desiderio di rendere accattivante una storia dal sapore tragico, alludendo a una trama perfino comica.

“La vita non è altro che lo sforzo continuo di vivere.” Siamo nella profonda provincia americana del Minnesota, appena a ridosso alla Grande Pianura, sulle prime pendici della imponente Catena Rocciosa. Ambiente dai forti contrasti climatici: d’inverno la temperatura arriva abbondantemente sotto i 20 gradi e d’estate può anche essere colpita da forti cicloni. Immaginiamo urbanizzazioni a scacchiera di villette con giardino ammesso, in quartieri abitati da un ceto medio sempre in bilico sulla povertà. Non è però un contesto amorfo: i pochi personaggi che gravitano direttamente o indirettamente intorno alla villetta con il pollaio ci trasmettono la sensazione di una comunità presente senza essere oppressiva. Ognuno vive dentro una condizione assolutamente singolare, ma non separata. La comprensione delle relazioni è filtrata dalle regole non scritte del rispetto reciproco. Prima del giudizio sociale c’è il riconoscimento dello sforzo che ognuno di loro mette in campo per vivere.

È la storia di una maternità mancata. Del desiderio di volere accudire una vita che sfugge alla volontà di cura, fino ad accettare di vivere in una dimensione orizzontale, senza perdere la creatività progettuale del desiderio.

“Nell’occhio della gallina è custodita la verità del mondo. La gallina non pensa, sa.”

All’inizio i due mondi, quello del pollaio con il quartetto di galline e quello della coppia nella

casa, sembrano non avere nulla in comune. Nel secondo c’è l’attivismo cosciente di chi si occupa di costruire un recinto sicuro e protetto al fine di procurarsi uova e gratificazioni. Nel secondo l’incoscienza di esseri che si lasciano vivere, inconsapevoli delle cause e delle conseguenze, in balia di eventi atmosferici, di predatori, di compagnie rissose e di recinti.

Alla fine i due mondi ci appaiono per quello che sono: il segno leggero che ogni essere lascia su questa Terra che non sta mai ferma.

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Laura Vavassori Il romanzo d’esordio dell’americana Jackie Polzin, Quattro galline , Einaudi Stile libero

Siamo lieti di annunciarvi che, dopo un anno di interruzione, ripartirà l’appuntamento con il laboratorio teatrale.

Tutte le attività inizieranno nella seconda metà di novembre, con incontri settimanali di lunedì dalle ore 14,10 alle ore 15,40 presso la Palestra del nostro Istituto.

Gli studenti non saranno chiamati solo ad interpretare un testo teatrale, ma saranno anche direttamente coinvolti nella ideazione di una performance originale, sotto la guida di insegnanti e di una qualificata esperta esterna, Valentina Pescara. Pertanto, tutte le aspiranti attrici e gli aspiranti attori del Lunardi, nonché tutti gli studenti che possiedono qualità artistiche (canto, musica, danza, ecc.) sono pregati di farsi avanti e di contattare al più presto via mail, le sotto indicate insegnanti.

Vi ricordiamo che i posti sono limitati, perciò … … affrettatevi!

Prof.ssa Carla Laudati carla.laudati@lunardi.edu.it

Prof.ssa Laura Vavassori laura.vavassori@lunardi.edu.it

Prof.ssa Rita Pilia rita.pilia@lunardi.edu.it

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BELLEZZA

Spazio, Tempo e Canoni

Vi siete mai chiesti cosa sia la bellezza? Personalmente penso sia difficile dare una definizione di un concetto così ampio e, diciamolo, anche personale. Forse ne abbiamo una concezione un po' rigida.

Se ognuno di noi pensasse per un momento a questa parola così affascinante, probabilmente la nostra mente produrrebbe un’immagine differente per ciascuno. Ma, quando si parla di canoni estetici è invece possibile fare un discorso più coerente, osservando le situazioni che si sono manifestate nel corso del tempo e nei differenti posti del mondo. Con la parola “canone estetico” indichiamo l’ideale che viene riconosciuto dalla società, strettamente legato all'epoca e al contesto culturale, economico e sociale, che raccoglie le migliori e più desiderabili caratteristiche di forma fisica. Tale canone si è espresso in varie formee tramandato attraverso le espressioni artistiche.

Un po’ di storia

Nella Preistoria abbiamo molte rappresentazioni della Venere primitiva, in cui il volto della donna era appena abbozzato, mentre le forme tipiche della femminilità, il seno, i fianchi e il ventre, erano esageratamente evidenziati, e quindi rigonfi, per valorizzare la funzione materna della donna. Gli uomini, invece, sono spesso stati raffigurati in maniera stilizzata e minimalista, comunque

si presuppone avessero un fisico asciutto data la vita faticosa che veniva condotta.

È però solo nell’Antica Grecia (V secolo a.C.) che lo scultore Policleto di Argo, dopo aver preso le misure di diverse parti del corpo su un centinaio di giovani atleti, arrivò a definirne le misure medie, imponendole come ideali. Policleto scolpì dunque un corpo perfetto, ma teoricamente possibile, le cui proporzioni sarebbero desunte dalla natura.

L’ideale di bellezza nel Medioevo (europeo) invece era un concetto molto particolare. A quei tempi, infatti, la donna era considerata bella in base a due elementi: una figura esile e una pelle estremamente candida. I capelli dovevano essere biondi e lunghissimi, la fronte alta, gli occhi chiari e la bocca rosea. I lunghi capelli venivano trattati con sapone a base di zolfo o miele e, se non erano chiari naturalmente, venivano schiariti al sole o con l’aceto. Il seno non era simbolo di seduzione: era piccolo e spesso stretto in una fascia, al contrario il ventre veniva messo in evidenza ricorrendo a imbottiture sotto i vestiti. In quest'epoca la bellezza era rappresentata solo come attributo della Madonna e per questa ragione quella maschile non era valorizzata come nella classicità.

Nel periodo rinascimentale ci fu una riscoperta positiva del corpo, incentrata soprattutto sulla donna, che appare florida, portatrice di gioia e ispiratrice dell'amor cortese. Il maschio veniva rappresentato solitamente in maniera meno idea-

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lizzata, infatti la ritrattistica ebbe una decisa ripresa.

Osservando, invece, le dame in un dipinto del ‘700 si nota un accessorio immancabile, ovvero l’ombrello parasole, un oggetto impreziosito da ricami e volants, che evitava l’esposizione al sole del viso. Il colorito pallido si otteneva inoltre con creme a base di biacca, un composto tossico contenente un’alta percentuale di piombo, che conferiva al viso un aspetto liscio e levigato e spesso nascondeva i segni lasciati dal vaiolo. Era molto diffuso l’utilizzo di finti nei, considerati simbolo di sensualità, ma l’attributo femminile per eccellenza era il vitino da vespa che, non avrebbe dovuto superare i 40 centimetri, in modo da poter essere circondato dalle mani di un uomo. Le scollature erano ampie per evidenziare il seno prosperoso, spinto in alto dal corsetto, mentre la parte inferiore del corpo era rigorosamente nascosta da gonne molto larghe. Le parrucche, acconciate con boccoli, erano usate sia dalle donne che dagli uomini. Nei primi del Novecento si affermò di un mo-

Negli anni successivi si affianca il modello di donna Twiggy, famosa per la sua magrezza e il volto da bambina.

Cosa è considerato attraente oggi nei vari Paesi? Ecco qui alcuni esempi: Indonesia: Nelle aree più rurali del Paese, in particolare nel nord di Sumatra dove vivono i Karo Batak, la bellezza di una donna passa per i suoi piedi. Secondo l'antropologo Geoff Kushnick dell'Università di Washington, nella zona la popolazione ha una vera e propria ossessione per i piedi grandi.

Giappone: Nel Paese del Sol Levante il sorriso imperfetto è considerato molto sexy, a tal punto che le ragazze decidono di farsi incollare dei canini finti pur di non avere i denti allineati. A Tokyo, nel quartiere di Ginza, c’è addirittura una clinica specializzata in questo tipo di interventi.

Brasile: In molti Paesi il “lato b” formoso è considerato molto sensuale. In Brasile però questa tendenza è portata all’estremo, tanto che nel 2013 ci sono state più di 63.000 operazioni chirurgiche (cinque volte più che negli USA) per aumentare il volume dei glutei.

L’uomo brasiliano, invece, per essere attraente dovrebbe avere i capelli ricci e gli occhi chiari. Hong Kong, Corea, Cina e Thailandia: In molti Paesi asiatici una pelle chiarissima è sinonimo di bellezza. Non stupisce che in queste culture non solo non ci si abbronzi mai, ma, addirittura, si usino creme e prodotti in grado di rendere la cute più chiara.

dello di bellezza femminile più atletico, caratterizzato dalla vita stretta e dai capelli corti che sottolineano l'esile collo. Nel secondo dopoguerra, dopo che miseria, distruzione e morte avevano dilagato, ritorna un ideale di donna barocca estremamente femminile, con forme evidenziate da generose scollature.

Birmania: Per soddisfare i criteri di bellezza locali, le donne della tribù di Kayan Lahwi dall'età di cinque anni iniziano ad indossare anelli di ottone con l'obiettivo di allungare il collo. Un modo per essere più femminili, secondo i canoni estetici del luogo.

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Cina: Fin dall'undicesimo secolo, i piedi piccoli sono stati giudicati particolarmente attraenti, tanto da convincere molte donne a fasciare le estremità dei piedi in minuscole scarpe. Secondo alcuni, lo sviluppo di tale canone sarebbe da ricercarsi in un motivo sessuale: l'andatura del corpo con i piedi piccoli e fasciati rafforzerebbe i muscoli vaginali di una donna, rendendo più piacevole il sesso.

Etiopia: Gli uomini della tribù Karo mostrano la loro mascolinità con le cicatrici (a tal punto da procurarsele volontariamente). Veri e propri ornamenti che in queste zone dell'Africa vengono considerati un motivo di prestigio e bellezza. Le donne, invece, sono considerate apprezzabili se hanno le labbra sottili e allungate. Per questo sei mesi prima del matrimonio inseriscono un anello nel labbro inferiore per allargare il diametro della propria bocca.

Iran: La chirurgia plastica è diffusa in tutto il mondo e ha spesso influenzato i canoni di bellezza. In questo Paese mediorientale, però, le donne sono contente di mostrarsi con i cerotti che derivano da operazioni chirurgiche. Questo è infatti segno di una buona situazione economica.

India: pelle chiara, gioielli e lucenti capelli scuri sono gli attributi che rendono così affascinanti le donne indiane. Gli uomini, invece, curano molto i propri capelli con l’utilizzo di gel e prestano molta attenzione anche alla propria barba, più o meno apprezzata dalle donne in base alla zona del Paese.

USA: negli Stati Uniti le donne ammirano in particolar modo gli uomini muscolosi con la barba,

mentre le ragazze aspirano ad un fisico atletico.

Svezia: In Svezia, al contrario, sono apprezzati gli uomini alti ed esili, con il volto malinconico, gli zigomi appuntiti, e la pelle chiara e le donne esili dai capelli biondi.

Dopo aver analizzato queste situazioni è interessante rendersi conto di quanto la cultura influenzi la nostra visione del mondo e, in questo caso, anche ciò che riteniamo bello. Ci si accorge come l’aspetto esteriore sia percepito come importante dovunque, non importa l’etnia, le abitudini o la religione. Per quanto riguarda in generale gli animali, la femmina tende a scegliere il miglior maschio disponibile con cui accoppiarsi; per questo motivo andrà a ricercare alcune caratteristiche visibili, indici di un buon patrimonio genetico. Negli esseri umani, però, il discorso è più complicato: abbiamo delle strutture cerebrali che si attivano nel momento in cui vediamo qualcosa o qualcuno di bello e per questo l’aspetto estetico ha un ruolo importante nella nostra società, tanto nelle donne quanto negli uomini. Questa attenzione però spesso ha portato (e tuttora porta) le persone a conformarsi ad un ideale comune e, in alcuni casi, anche a procurarsi dei danni fisici. Ciò dovrebbe far riflettere e spingerci a riconoscere che in realtà la bellezza sta negli occhi di chi guarda e viene percepita in base ai propri gusti personali.

È bello e giusto curare il proprio corpo per essere più piacevoli alla vista e sentirsi a proprio agio, ma è ancora più importante mantenersi in salute.

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Fonti: Wikipedia, Giornale di psicologia Denise Pansini, 4°AT

EL MAQUILLAJE Y LA VALORACIÓN DE

LA BELLEZA.

de sebo. Una vez aplicada la loción, pueden empezar a maquillarse. Se suelen utilizar cosméticos para resaltar la belleza de la cara. Cada uno tiene una paleta de colores que más le apaga. ¿Cómo se puede conocer la propia paleta de colores? La sincronía es la respuesta porque a partir de la combinación de piel, ojos y pelo nos permite definir cuál es la paleta de colores ideal para cada uno.

Además de lociones que corrigen las impurezas de la piel, hay un cosmético, el polvo, que las

El maquillaje es una forma de arte muy apreciado por las mujeres porque las ayuda a valorar la belleza de su cara y a subir la confianza en sí mismas.

Hay muchas tiendas de maquillaje adonde las mujeres les gusta ir para comprar cosméticos. En estas tiendas antes de comprar un producto, se puede probarlo para ver qué efecto hace en su cara.

Los dependientes aconsejan cuáles productos serían más apropiados para cada una de ellas basándose en el tipo de piel, el color de los ojos,

etcétera. Ellos son muy profesionales porque muestran también cuál es la mejor manera de usarlos y dan consejos sobre una rutina de maquillaje correcta. Vamos a verla, analizando también los cosméticos.

Las mujeres suelen aplicar una loción sobre su piel para hidratarla y suavizarla antes de maquillarse.

Existen diferentes tipos de lociones según las necesidades que las mujeres tienen y su tipo de piel.

Por ejemplo, si tienen una piel grasa, sería preferible aplicar una loción que reduzca la producción

esconde y en consecuencia hace la piel más suave, luminosa y de porcelana. En cambio, el rubor es un cosmético de tonos rojizos que le confiere su color a las mejillas. Hablando de los ojos, las sombras de ojos sirven para dar luz y color a los ojos, que son los espejos del ánima, para resaltarlos más y se aplica en los párpados. El lápiz de ojos de distintas tonalidades ayuda a corregir pequeños defectos de los ojos. Por último, el rímel extiende y tiñe de negro las pestañas para tener una mirada irresistible. Igualmente, existen cosméticos para los labios como el pintalabios que las colora. Para concluir, el maquillaje es de todos modos una parte de la cotidianidad de las mujeres muy importante para subir su confianza y dedicar tiempo a sí mismas para apreciar quiénes son.

Giulia Massarotto, 5°EL

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VIDEOGAMES & CO. – IN VISTA DEI THE GAME AWARDS…

Segnatevi questa data sul calendario: 8 dicembre uno degli appuntamenti più importanti per l’industria dei videogiochi, l’edizione 2022 del The Game Awards, un evento che ogni anno riunisce sviluppatori e gamers di tutto il mondo.

Creato da Geoff Keighley nel 2014, si pone come scopo di premiare le eccellenze, ma anche per presentare in anteprima anche prodotti e videogiochi di rilievo, senza dimenticare la versione orchestrale delle sigle dei giochi nominati. Come avvengono le premiazioni?

L’organo principale degli awards è il consiglio consultivo, composto da nomi illustri quali il presidente di Activision e gli CEO di AMD e Ubisoft. Il suo compito è quello di nominare i giudici, selezionati fra vari media autorevoli in materia, da tutto il mondo, tra quali anche i blog italiani everyeye.it, multiplayer.it, Spaziogames e Roundtwo, che influiscono sul risultato per il 90%. Anche il pubblico può votare direttamente sul sito TheGameAwards.com determinando il

risultato per il 10%. L’ultima edizione presenterà 31 categorie, tra cui l’attesissimo “Gioco dell’anno”, in cui si aspetta la presenza di Elden Ring e God of War: Ragnrök, e una novità, la categoria della “migliore adattazione”.

Le nomine sono attese per metà novembre, data in cui il voto online verrà aperto sul sito ufficiale e sul server Discord. Le nomine sono coperte dal più totale segreto: vengono rivelate nello stesso momento per tutti. Tutti sono invitati a partecipare al voto e chi ha un canale YouTube o Twitch può presentare l’evento in co streaming compilando il modulo sul sito. Se volete rimanere aggiornati su questi eventi, non vi resta che seguire la rubrica sul giornalino d’istituto.

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LA MIA CARRIERA NEL GIOCO DEGLI SCACCHI

Mi chiamo Daniele Roberti e frequento la quarta A AFM.

Ho iniziato a giocare a scacchi in prima superiore; non so bene da dove mi venne questa passione, ma appena iniziai mi applicai subito seriamente. Mi iscrissi subito a un circolo di scacchi, quello di Gussago, dove conobbi il mio allenatore, che già dall’inizio puntava molto su di me. Durante il lockdown mi faceva lezione online gratuitamente, per cercare di farmi migliorare il più velocemente possibile, infatti nel frattempo studiavo le partite dei grandi giocatori e continuavo ad allenarmi online.

Dall’anno successivo cominciai a gareggiare nei tornei, partendo subito con i provinciali di categoria. In seguito ottenni il passaggio ai nazionali di categoria, grazie a una settima di partite giocate bene anche se i risultati non erano quelli attesi. Da lì non smisi più di giocare, anche se il mio livello di gioco sta aumentando sempre di meno; in realtà questo è abbastanza normale, considerando che più si diventa esperti, più tempo si impiega per migliorare.

L’anno scorso iniziai a scendere continuamente di livello soprattutto nei tornei, e infatti non mi sono qualificato ai nazionali. Ripresi a giocare in linea con il mio standard soltanto verso fine giugno,

perché anche negli scacchi come negli altri sport non si può rendere sempre al massimo, questo perché negli scacchi la performance non dipende solo dalla preparazione, ma anche da molti altri fattori Spero comunque di continuare a dare ogni tanto qualche soddisfazione al mio allenatore, che mi ha dato tanto ed è giusto che si aspetti molto da me.

Ho ancora tempo per migliorare, coltivando la mia ambizione. So che i periodi dove gioco male ci sono e continueranno ad esserci, ma bisogna andare avanti

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Daniele Roberti,

ENTREVISTA

Introducción

El kendo es un deporte nacido en Japón. Es un arte marcial que implica un combate uno contra uno y se usaba como entrenamiento para los samurais. Además de ser un arte marcial para la autodefensa, se dice que ayuda a desarrollar el espíritu y, en particular, las tres virtudes: la sabiduría, la compasión y el coraje. Ahora vamos a conocer el kendo haciendo algunas preguntas a Andrea Larocca, un joven practicante en Brescia.

1.

¿De dónde sacaste esa idea de hacer kendo?

La idea de comenzar este deporte se debe a mi gran pasión por Japón, así que decidí practicar un arte marcial que incluyera las espadas y me permitiera desahogarme, y descubrí el kendo. Esta decisión se debe a una convergencia de intereses que me hicieron descubrir este aspecto de Japón.

gue cierto orden y rigor. Hay partes tanto protectoras como no protectoras. Comenzando desde la base, encontramos la camisa(keikogi) y la falda pantalón (hakama) La armadura real está compuesta por para golpes(tare), coraza protectora(do)y guante de algodón(hote). Para cubrir la cabeza se utiliza el casco(men)y la máscara metálica; como arma para golpear al adversario se usa la espada de bambú(shinai).

5.

¿Dónde lo practicas? ¿Participas en las competiciones y cómo se organizan?

2.

¿Es cierto que el kendo ofrece beneficios espirituales? ¿Y con respecto a las tres virtudes?

Si, el kendo ofrece beneficios espirituales, porque te permite reflexionar sobre la vida y los sentimientos. Se basa en las tres virtudes, que son reales, pero en cierto sentido. La compasión y el coraje son las que me pertenecen más y me han hecho comprender que durante un combate no quiero hacer ningún daño al adversario, pero, al mismo tiempo, me siento libre cuando demuestro mi carácter y mi fuerza contra otra persona.

6.

Lo práctico en un gimnasio en Brescia. Hay competiciones, como en todos los deportes y hay clasificaciones hasta las finales. Obviamente no decides contra quién combatir. Luego están los jueces que juzgan el combate y establecen los tantos.

3.

¿Cómo es un combate? ¿Y cuánto dura?

Normalmente el combate se realiza después de una hora y media de entrenamiento o directamente en los torneos. Se empieza saludando al adversario; el saludo es muy importante y es fundamental en el kendo porque es una forma de respeto. Durante el combate tienes que demostrar las técnicas que has aprendido y saber utilizarlas perfectamente para tomar puntos y luego ganar.

No hay una duración de tiempo porque el combate termina cuando uno de los dos jugadores se equivoca en golpear y en consecuencia gana el adversario.

Gracias a este deporte, ¿has establecido relaciones que te han cambiado? Si, es muy importante establecer varias relaciones con otras personas, es un deporte muy social. Tal vez no son las relaciones que me han cambiado, sino es el deporte que ha cambiado mi visión de las relaciones con los demás. Los primeros días me concentraba solo en ganar contra mis adversarios, mientras que luego el kendo me hizo descubrir un modo muy jovial de acercarme a las personas que me rodean, a pesar de los gritos durante los combates.

El kendo es un deporte que cambia la persona física y mentalmente. Ofrece muchos beneficios y facilita nuevas amistades.

4.

¿Cuál es la equipación que llevas?

La equipación es muy rígida. Todo si-

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GILMORE GIRLS: profumo d’autunno

Tutti abbiamo le nostre tradizioni: la casa al mare d’estate, i cinepanettoni d’inverno Personalmente, col cadere delle prime foglie colorate dagli alberi, accendo la televisione e guardo Gilmore Girls.

“Una mamma per amica” su Italia 1. Questa serie è sempre stata un punto d’incontro tra me e mia madre, nonostante i nostri gusti diversi ci dividano poi nella scelta del “fidanzato perfetto” per Rory, una delle protagoniste.

Il primo episodio si apre con la presentazione della protagonista Lorelai Gilmore, una donna frizzante, dall’umorismo spiccato e la battuta facile, ma soprattutto amata da tutti gli abitanti della piccola cittadina Stars Hollow. Se penso al profumo della pioggia autunnale mi immagino di passeggiare proprio a Stars Hollow, un paesino bloccato nel tempo, con parchi verdi e un gazebo bianco al centro della piazza principale, leggende raccontate di bocca in bocca e cantastorie per le strade. La verdura è venduta da Jackson, la colazione si consuma da Weston, il pranzo da Luke, la spesa nel market di Taylor.

Il primo concittadino che conosciamo è Luke, un cinico e solitario, proprietario del diner di fiducia delle protagoniste; il suo è, in assoluto, il miglior caffè di Stars Hollow.

Seduta al suo solito tavolo, la protagonista viene raggiunta dalla coprotagonista: la figlia Lorelai, detta Rory. Le due protagoniste hanno quindi lo stesso nome, scelta giustificata dal “femminismo della madre”, come spiega Rory.

Rory Gilmore potrebbe essere la rappresentazione moderna di una principessa Disney, anche lei ugualmente amata da tutti gli abitanti della città. Ha sedici anni ed è un prodigio negli studi, passa

il tempo a leggere libri ossessivamente, trascorre le serate a guardare film d’epoca con la madre. In realtà questa prima stagione può suggerire alle giovani madri un modello di figlia irraggiungibile. Non sto dicendo che non possa esistere una Rory Gilmore là fuori, ma a chiunque capita di prendere un’insufficienza a scuola, fare qualche bravata e litigare con la madre. Non alla nostra protagonista, però, e la sequenza di stagioni, infatti, descriverà “l’umanizzazione” di questa, costruendola come un essere umano nella sua imperfezione.

Lorelai lavora in un hotel, l’Indipendence Inn, con i colleghi Michel, l’elegante e preciso concierge, e Sookie, la goffa e creativa cuoca.

Rory non ha molti amici ed è speciale il suo rapporto con la ribelle Lane Kim, figlia di una rigida ed estremamente credente famiglia coreana. La signora Kim è la proprietaria di un negozio di antiquariato e una madre tradizionalista e oppressiva. Ciò costringe la figlia a coltivare le sue passioni, come la musica rock, di nascosto.

La notizia chiave di questo primo episodio è che Rory sia stata accettata alla Chilton, un’esclusiva e costosa scuola. Per diversi mesi la madre ha parlato con professori, il preside, alla ricerca di referenze. Nonostante la buona volontà e la predisposizione a fare qualunque cosa per rendere felice sua figlia, ignora il problema economico che questa scelta le avrebbe causato.

Lorelai si definisce “diversa”, spiega di aver sempre cercato di allontanarsi dalla ricchezza e dal lusso della famiglia di origine, ma appena si presenta il problema torna sui suoi passi.

È pur sempre figlia di una famiglia ricca, quindi Lorelai ha un piano B. Infatti, vediamo la prota-

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gonista guardare intimorita la sfarzosa villa dei genitori e decidersi a entrare. Emily Gilmore è una donna di classe, una borghese, educata ad essere aggraziata, tenere la casa e aiutare il marito. Richard Gilmore è un uomo di cultura, stacanovista e a tratti burbero. In un primo momento è naturale chiedersi come, da due personalità così distanti, sia nata una Lorelai.

I due sembrano alla fine comprensivi e si offrono di pagare interamente la retta della Chilton per tutta la carriera scolastica della nipote, in cambio di una cena settimanale ogni venerdì. La protagonista si ritrova costretta ad accettare, a patto che resti un loro segreto. Un supremo cliché: Rory è esaltata dall’imminente cambiamento nella sua carriera scolastica, e sta svuotando l’armadietto dagli ultimi effetti personali che raccoglie nel classico scatolone di cartone da film. Il contenitore è troppo piccolo e inadatto, quindi le cade qualche libro. Si accuccia a raccogliere dei fogli accartocciati e si ritrova davanti una figura con jeans larghi e un pesante giaccone. Quando alza lo sguardo e vede i suoi penetranti occhioni blu, rimane senza parole. È proprio Dean, il ragazzo che l’aveva adocchiata all’entrata poco prima. Richiama l’attenzione di Rory con un'osservazione sul libro che le è appena caduto. “Rosmary’s baby” dice lui. Rory in genere non è interessata ai ragazzi, i libri sono i suoi migliori amici, quindi quest’alto ragazzo diventa ai suoi occhi un perfetto principe azzurro. Le manca il respiro, inizia a balbettare, mentre Dean cerca il suo sguardo e lei fissa imbarazzata il pavimento.

I due entrano presto, forse troppo presto, in confidenza e la invita a guidarlo in giro per la città a cercare un impiego. Lei accetta senza esitare.

Tra una battuta e l’altra iniziano a parlare di Moby Dick, l’ultimo libro che lei ha letto. Rory domanda quindi come lui fosse al corrente di questa informazione… “Io ti osservo”, si sente rispondere.

Si ritorna nel locale “Da Luke”, dove Lorelai racconta alla figlia della prossima cena dai nonni il venerdì, nascondendo i termini dell’accordo.

Il vero colpo di scena è però la rivelazione che Rory non voglia andare nella stessa scuola che solo la mattina descriveva come il suo sogno, cosa sarà cambiato?

Stars Hollow è un piccolo paese e le notizie si diffondono velocemente. Miss Patty avvisa Rory di aver trovato un’occupazione per “il suo amico”. Alla madre è tutto chiaro: la studentessa modello rinuncerebbe alla scuola dei

suoi sogni per un ragazzo.

Rory non sembra cambiare idea, quindi Lorelai prende posizione e decide che sua figlia cambierà scuola, che lei voglia o no. Quando si recano a cena dai nonni, madre e figlia sono nel territorio nemico. Lorelai è letteralmente paralizzata davanti alla porta e conta sul supporto della figlia per questa difficile serata. Come era prevedibile, nasce un litigio che svela molto del passato di quella famiglia. Lorelai aveva 16 anni quando è rimasta incinta e, dopo aver rifiutato la proposta di matrimonio del fidanzato Christopher, scappa a Stars Hollow.

Peggiorerà così il rapporto (già travagliato) coi genitori, che sembrano non aver accettato la sua scelta, ancora tema principale delle loro liti. Dalle loro grida in cucina, Rory scopre del prestito per i suoi studi e tra le due protagoniste, dopo un acceso litigio, si giunge ad un forzato riappacificamento.

Dal mio punto di vista, definirei Gilmore Girls come una storia di crescita, in cui emergono la forza di allontanarsi da un ambiente opprimente, la difficoltà di entrare nel mondo del lavoro, l’influenza che una relazione può esercitare sul modo di approcciarsi al mondo. Non è certamente la storia di una relazione perfetta madre figlia, ma proprio per questo ci può insegnare qualcosa…

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Cucina spagnola vs cucina inglese

Aceite de oliva suave para freír o aceite de girasol.

¿Los tienes todos?

¡Entonces vamos a cocinar! Se pone la harina en un bol amplio y después se calienta el agua con la sal en una cazuela. Cuando el agua empiece a hervir, la vertemos directamente y de una sola vez sobre la harina.

Hai esperienza in cucina oppure ami addentrarti tra i fornelli anche senza una particolare vocazione? Ti piace sorprendere gli ospiti con un piatto sempre nuovo ma sei a corto d’idee? Non disperare perché sei nel posto giusto!

Nel seguente articolo infatti ti verranno proposte due ricette insolite per lasciare tutti a bocca aperta.

La prima ricetta proviene direttamente dalla Spagna ed è un dolce tipico della capitale, gustoso ma anche facile ed estremamente veloce da preparare, ossia i churros. Li ho assaggiati personalmente quando sono andata a Madrid e sono davvero deliziosi (sia accompagnati da un semplice strato di zucchero, sia immersi in una tazza di cioccolata calda).

CHURROS CASEROS

Los ingredientes que vas a necesitar son los siguientes:

250 g. harina de trigo. 250 g. de agua.

1 cucharadita de sal (8 gramos aproximadamente).

Azúcar (si quieres espolvorear los churros).

Tomamos una cuchara de madera para integrar la harina con el agua: nos quedará una masa muy pegajosa y bastante compacta. Para evitar problemas en la fritura debemos poner la masa en una “churretera” pero si no la tenéis podéis usar una manga pastelera con una boquilla en forma de estrella. Después vamos a hacer las porciones de churros con la masa cruda ¡Poned mucha atención para que no se abran o estallen durante la fritura!

Ponemos al fuego una sartén con abundante aceite de oliva muy suave o aceite de girasol. Cuando esté caliente introducimos las porciones de masa para freír pero antes de que frían hay que medir la temperatura del aceite entre 195º y 200º C.

Una vez fritas las ponemos en bandeja con papel de cocina para absorber el exceso de aceite y para concluir servimos espolvoreadas de azúcar a placer.

Una receta alternativa, para los aficionados del chocolate, es comer los churros acompañados de un tazón de chocolate caliente.

Il Natale si avvicina, quindi perché non provare un dolce natalizio? La seconda ricetta infatti è tipica di questo periodo dell’anno, proviene dall’Inghilterra ed è un po’ più complessa da realizzare, ma il risultato vi lascerà più che soddisfatti. Si tratta del Christmas Pudding!

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Ingredients that you need (they are a lot but don’t worry):

50g blanched almonds

2 large Bramley cooking apples

200g box candied peel (in large pieces)

1 whole nutmeg

1kg raisins

140 g plain flour

100g soft fresh white breadcrumbs

100g light muscovado sugar

3 large eggs

2 tbsp brandy or cognac

250g packet butter

175g unsalted butter, softened grated zest of half an orange

5 tbsp icing sugar

4 tbsp brandy or cognac

2 pieces of stem ginger, finely chopped.

Ok let’s start our Christmas pudding recipe!

bowl. Holding the butter in its wrapper, grate a quarter of it into the bowl, then stir everything together. Repeat until all the butter is grated, then stir for 3 4 mins the mixture is ready when it subsides slightly after each stir. A fun anecdote that I want to add is that, at this point, you can ask the family to stir too, and get everyone to make a wish. Later on generously butter two 1.2 litre bowls and put a circle of baking parchment in the bottom of each. Pack in the pudding mixture. Cover with a double layer of baking parchment, pleating it to allow for expansion, then tie with string .Now stand each bowl on a large sheet of foil and bring the edges up over the top, then put another sheet of foil over the top and bring it down underneath to make a double package. Tie with more string, and make a handle for easy lifting in and out of the pan.

You can watch a video on youtube to understand better. Boil or oven steam the puddings for 8 hrs, topping up with water as necessary. Remove from the pans and leave to cool overnight. When cold, discard the messy wrappings and re wrap in new baking parchment, foil and string. Store in a cool, dry place until the next day.

To make the brandy butter, cream the butter with the orange zest and icing sugar. Gradually beat in the brandy or cognac and chopped stem ginger. Put in a small bowl, fork the top attractively and put in the fridge to set. The butter will keep for a week in the fridge, or it can be frozen for up to six weeks.

First of all, chop the almonds coarsely then peel, core and chop the cooking apples. Sharpen your knife and chop the candied peel. Grate three quarters of the nutmeg.When it’s all done, mix the almonds, apples, candied peel, nutmeg, raisins, flour, breadcrumbs, light muscovado sugar, eggs and 2 tbsp brandy or cognac in a large

The following day, boil or oven steam for 1 hr. Unwrap and turn out. To flame, warm 3 4 tbsp brandy in a small pan, pour it over the pudding and set light to it. Perfect, you are ready to serve the dessert!

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Sofia Caenaro, 5°EL
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LE FANTASTICHE AVVENTURE DI SQUITTY

Ciao, Lunardini! Sono Squitty, il topolino più simpatico del mondo, coinquilino fisso nella 4^ER. Vivo in questo istituto da ormai molti anni e durante la mia permanenza ho vissuto esperienze che mi hanno lasciato il segno e altre che mi hanno terrorizzato, anche se non è ancora arrivato il momento di condividerle

Oggi vi racconterò la mia storia. Sono nato in campagna, precisamente in un fienile. La mia era una famiglia molto grande, ritrovandomi ad essere il fratello minore tra 10.

Durante il viaggio per arrivare all’Istituto ho rischiato la vita innumerevoli volte, ma con la forza e il coraggio niente è insormontabile. Ed ora posso dire di essere finalmente a casa e di aver trovato una classe molto accogliente, soprattutto in fatto di merendine certo, sono un po’ chiassosi e mi tocca pure suggerire le risposte durante i compiti in classe ma di questo ed altro ve ne parlerò nella prossima puntata.

Alla prossima, Lunardini!

Di giorno in giorno, mi sentivo sempre più emarginato dalla famiglia, così una notte decisi di fare i bagagli e portare con me il mio foulard portafortuna, alla ricerca di una famiglia che mi volesse bene.

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GB2, 4^ER
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13 DICEMBRE 2022 ore 14:15 in BIBLIOTECA

GRUPPO DI LETTURADEI DOCENTI

I docenti propongono la lettura, a scelta, di uno di questi testi:

14 DICEMBRE 2022 ore 14:15 in BIBLIOTECA

GRUPPO DI LETTURADEGLI STUDENTI

Gli studenti propongono la lettura, a scelta, di uno di questi romanzi:

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