TRADIZIONI DI NATALE
Mancano ormai pochi giorni a Natale e in tutte le case sono ormai presenti decorazioni di ogni tipo, a partire dall’albero, per arrivare ai centritavola, spesso realizzati dai bambini a scuola. Nei negozi c’è un via vai di persone alla ricerca dei regali da fare ai loro cari e c’è chi si sta già preparando ai giorni di festa, andando in palestra o facendo una dieta…
Ma come sono nate le tradizioni di Natale?
La tradizione più importante è sicuramente quella dell’abete, onorato dagli antichi sacerdoti celti perché la pianta era sempre viva e verde durante i mesi freddi. Ci sono molte leggende che spiegano la storia del suo addobbo, ma quelle più famose sono due e provengono entrambe dalla Germania.
La prima vede protagonista San Bonifacio, un missionario inglese che, recatosi in Germania, vide delle persone riunite attorno a una quercia la vigilia di Natale. La tagliò e al suo posto nacque l’abete, l’albero sempreverde. Il santo lo interpretò come un segno divino e da allora si iniziò a interpretare la pianta come l’albero della vita, dando origine alla tradizione dell’abete per celebrare la nascita di Gesù.
La seconda storia, piú romantica, racconta di un uomo, tedesco, che, durante una notte particolarmente fredda, vide la luce delle stelle farsi strada tra i rami dell’abete. Rimasto affascinato e rapito dallo scintillio riflesso tra il ghiaccio sugli aghi decise di voler replicare lo spettacolo per farlo vivere alla moglie a casa. Tagliò, quindi, un piccolo albero che portò sul tavolo e addobbò con delle candele. La decorazione venne vista e ripetuta da altre famiglie per poi essere proposta negli anni nella piazza principale del villaggio. Ammirato dai viandanti e visitatori portò alla diffusione della tradizione dell’albero di Natale con gli ad-
dobbi.
In Italia la prima ad addobbare l’albero fu Margherita di Savoia, che decise di decorare il pino al Quirinale rendendola una tendenza tra le famiglie italiane dell’epoca.
La tradizione natalizia di scambiarsi i doni ha origine dai Saturnali, la celebrazione pagana dell’antica Roma festeggiata tra il 17 e il 23 di Dicembre in onore del dio Saturno e dell’Età Saturnia, in cui gli uomini vivevano in fratellanza e prosperità e, per rafforzare tali concetti, nacque la consuetudine dello scambio di doni tra servi e padroni.
La tradizione del presepe è nel mondo tra le piú diffuse. Il primo presepe risale alla notte del 1223 quando San Francesco d’Assisi, tornato da Betlemme, ottenne il permesso da Papa Onorio III di ricreare la nascita di Gesù bambino riproponendola in una piccola chiesa di Greccio ai fedeli riuniti per la preghiera. La raffigurazione della natività ha, però, origini molto più antiche, che risalgono a quando i fedeli, in età romana, affrescavano le catacombe e i luoghi d’incontro con scene della nascita del Cristo. Il primo presepe con statuine venne scolpito solo 60 anni dopo quello di San Francesco dallo scultore Arnolfo di Cambio.
Le storie legate alla figura di Santa Claus, l’an-
IN QUESTO NUMERO: PROGETTO ERASMUS + BERGAMO E BRESCIA NEL CUORE DI VIENNA COSA SONO I SOGNI PROCESSO ALLE STREGHE CORSA CAMPESTRE MARIAH: LA MAGIA DELLA MUSICA
E MOLTO ALTRO ANCORA!
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Anno
I.I.S. LUNARDI - BS Dicembre 2022
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ziano barbuto che la notte tra il 24 e il 25 di Dicembre porta doni nella casa dei bambini di tutto il mondo, sono molte e anche la sua figura deriva da un misto di tradizioni pagane e cristiane.
di lasciare di nascosto dei doni sotto l’albero nella notte di Natale.
La divisa rossa di Babbo Natale, invece, ha origine a Boston nel 1885, grazie all’illustrazione di alcune cartoline di Natale realizzate dal tipografo Louis Prang.
Una delle leggende vede Babbo Natale legato alla figura di Odino: secondo la mitologia germanica e norrena, la notte del solstizio d’inverno il capo degli dei scendeva tra i comuni mortali a portare la stagione fredda. I bambini erano soliti cercare di placare la sua ira, lasciando gli stivali vicino al camino con paglia, carote o zucchero per sfamare il suo cavallo. Di fronte a tale bontà il Dio della saggezza si faceva intenerire, lasciando in cambio regali o dolciumi. Secondo la cristianità, Babbo Natale si rifà alla figura di San Nicola di Myra, il santo protettore dei bambini, i marinai e le persone in disgrazia. Si narra che il santo abbia riportato in vita 25 bambini, evento che lo rese un modello per la creazione di Santa Claus. La leggenda che lo rese famoso ha origine nel racconto del greco Michele Archimandrita, un nobiluomo caduto in disgrazia e disperato perché non aveva la dote per far sposare le tre figlie. Impietositosi per la situazione, il santo decise di lanciare attraverso la finestra tre sacchi di monete in tre notti. Tutto andò come sperato ad eccezione della terza notte, quando la finestra venne chiusa dalla governante, ma il Santo, deciso a perseverare nell’impresa, si arrampicò sul tetto e calò nel camino il sacco di denari, che andarono a finire in una delle calze appese ad asciugare sulla mensola. Altre fonti raccontano di come San Nicola calasse del cibo nei camini delle famiglie meno abbienti e, dal tentativo mal riuscito di San Nicola di restare anonimo, nasce la tradizione natalizia
La storia del bacio sotto il vischio, infine, è legata alla figura mitologica di Baldur, fratello minore di Thor: la madre del semidio, Freya, protettrice dell’amore e degli innamorati, vide in un sogno la morte prematura del figlio e, per evitarla, fece promettere a ogni essere, pianta, pietra o animale che non avrebbero portato alcun male a Baldur, ma nella lista lasciò fuori il vischio, in quanto una pianta ancora molto giovane e incapace di recar danno. Loki, il dio dell’inganno, geloso del tanto amato fratellastro, sfruttò questo errore per intrecciare dei dardi avvelenati che consegnò a Hǫðr, il fratello cieco di Baldur e lo invitò a partecipare al gioco a cui tutti gli dei stavano prendendo parte: provare la nuova invincibilità di Baldur scagliandogli addosso armi e oggetti nel tentativo di ferirlo. Il proiettile di vischio fu fatale per Baldur, ma le lacrime della madre a contatto con il dardo di vischio diventarono le bacche perlate della pianta
e Baldur riprese vita. Così Freya, ringraziò chiunque passasse sotto l’albero su cui cresceva il vischio con un bacio, come simbolo dell’amore che sconfigge la sfortuna e la morte. La tradizione natalizia venne assunta dalla cristianità che ne associò la simbologia alla fortuna e all’amore, per ricordare che, nella vita, è molto importante la presenza delle persone care, che ci rendono felici e ci aiutano nei momenti di difficoltà.
Jennifer Schivardi, 5°CL
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PROGETTO ERASMUS + MATEMATICA, INGLESE E TANTE BELLEAMICIZIE
“Ragazzi qualcuno di voi è disponibile a ospitare un ragazzo straniero per una settimana?” Così è iniziato il progetto “Erasmus + Learning and Teaching of maths and science through ICT”.
La professoressa Cavalli ci ha introdotto in questo modo il progetto Erasmus: ospitare un ragazzo straniero proveniente da Macedonia del Nord, Spagna, Polonia o Turchia per una settimana e partecipare a delle “lezioni speciali di matematica” in Italia e, in seguito, in almeno uno di questi Paesi. Beh, che dire… wow!
I Paesi coinvolti in questo programma sono: Italia, Macedonia del Nord, Polonia, Spagna e Turchia. L’istituto Lunardi ha avuto l’onore di partecipare e di costituire la seconda tappa, che ha avuto luogo dal 25 al 30 settembre 2022.
Noi ragazze eravamo molto interessate, e dopo aver parlato a casa del progetto abbiamo accettato: un’esperienza unica e irripetibile, un’occasione da non perdere!
Nei giorni precedenti l’arrivo dei ragazzi stranieri, la professoressa Cavalli ci ha tenute sempre aggiornate sul programma che si sarebbe svolto durante la settimana. Quando poi abbiamo ricevuto i nomi delle nostre ospiti, Stefanjia e Jovana, entrambe macedoni, ci siamo messe subito in contatto con loro per rompere il ghiaccio.
I macedoni sono arrivati prima degli altri ragazzi, ed è stata una fortuna perché così ci siamo “godute” le nostre ospiti un giorno in più: abbiamo trascorso la domenica mattina in famiglia e il pomeriggio abbiamo
fatto una breve passeggiata per il centro di Brescia insieme, dato che le due ragazze sono amiche proprio come noi.
Il progetto vero è proprio è iniziato lunedì mattina. Noi ragazzi, sia stranieri che italiani, ci siamo trovati al bar della scuola dove abbiamo iniziato a fare le prime conoscenze e poi ci siamo spostati in auditorium dove abbiamo assistito ad una breve presentazione del programma e della città.
Il progetto è basato sulla matematica, ma prevede anche delle uscite, per esempio a Milano e Desenzano, per conoscere il territorio di Brescia e dintorni.
Il primo “incontro” tra Brescia e i ragazzi stranieri è avvenuto il lunedì pomeriggio ed è poi proseguito nel corso della settimana. Girare per le strade della nostra amata Brescia chiacchierando con questi ragazzi è stato emozionante perché, nonostante li conoscessimo da poche ore, sembrava di essere amici da tanto tempo e questa è una delle cose migliori del progetto Erasmus.
Le attività previste non erano solo ricreative; per esempio per stimolare l’apprendimento matematico un’attività molto particolare consisteva nel lanciare una bambola con alcuni elastici per capire come cambiasse la caduta a seconda del numero di elastici. È stato molto buffo, ma anche molto interessante. Anche la giornata trascorsa tutti insieme a Milano è stata elettrizzante. Qui abbiamo visitato numerosi luoghi: Piazza Affari, Castello sforzesco, Brera, il Duomo e la Galleria. Dopo il pranzo (libero) abbiamo avuto anche il tempo di accompagnare Boris e Nenad (due ragazzi macedoni) al negozio della Ferrari: si
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sono comprati un modellino Ferrari a testa, che hanno poi trattato come se fossero le loro bambine.
La settimana giungeva al termine era già giovedì quando abbiamo dovuto sospendere la visita a Brescia romana per via della pioggia. Una volta arrivate a casa ci siamo accorte che il tempo stringeva e noi dovevamo ancora farci belle per la cena di fine Erasmus, organizzata al ristorante “Da Ciro”.
Durante la cena iniziarono a scendere le prime gocce dai nostri occhi, perché questi erano gli ultimi momenti tutti insieme. Le nostre lacrime hanno continuato anche il venerdì mattina perché da lì a poco sarebbero partiti sia i ragazzi turchi, sia i ragazzi spagnoli. Tra il venerdì sera e il sabato tutti tornarono a casa, lasciandoci un bellissimo ricordo, tante amicizie ma anche tanta nostalgia della settimana appena trascorsa. Per fortuna abbiamo avuto la bellissima opportunità di rivedere alcuni di loro durante la terza tappa del progetto: quella in Spagna, più precisamente a Barcellona.
Abbiamo scelto di visitare questa bellissima città insieme a Elisa, Francesco e Matteo, tutti e tre ragazzi di 5^A rim.
Siamo partiti insieme alla professoressa Bonzi e al professor Mello. Senza conoscerci tra di noi ci siamo ritrovati alle prime luci di domenica 20 novembre su un transfer, direzione: Orio al Serio.
Per entrambe era il primo volo aereo; Sofia era terribilmente in ansia, ma una volta arrivata sulle nuvole la sensazione che provava era solo quella di felicità immensa.
Il nostro hotel si trovava in una zona di Barcellona molto carina che doveva il suo nome alla vicina stazione della metro “La Sagrera”; questo nome nel giro di pochi gironi è diventato “casa” per noi.
La prima sera abbiamo deciso di percorrere La Rambla, un luogo chiave che ci avrebbe accompagnate in ogni nostra serata, per andare poi a mangiare sul mare una gustosissima Paella.
La mattina seguente era già tempo di conoscere tutti i partecipanti del progetto e noi eravamo elettrizzate al solo pensiero. Dopo una colazione abbondante ci siamo dirette alla scuola, “Institut Valdemossa”, dove siamo state accolti in biblioteca per delle attività di “Ice-breaking”, è qui è stato bello rivedere alcuni dei ragazzi che erano venuti precedentemente in Italia. Nel corso di questa, breve, settimana abbiamo avuto l’opportunità di visitare alcune “chicche” di Barcellona, come la Sagrada Familia, Casa Batllò e Parc Güell, tutte nate dall’estro dell’architetto Gaudì. Come sempre però era prevista anche una parte scientifica che per questa tappa era: la densità degli atomi e le particelle nel mondo. Abbiamo svolto
un primo compito scritto il martedì, mentre il giovedì siamo state coinvolte in un’applicazione più pratica: abbiamo creato la nebbia. Per tornare a parlare delle cose che danno vere emozioni, o almeno per noi è stato così, vorremmo raccontarvi della bellezza dell’interno della Sagrada Familia: a parole non può essere descritta, ma provate ad andare con belle persone e una giornata soleggiata e capirete di cosa stiamo parlando.
Un’altra bellezza che si trova nei pressi di Barcellona è la città di Monserrat, un sito religioso che un docente spagnolo di storia, Daniel, ci ha gentilmente descritto. Lui era molto bravo a spiegare perché riusciva a tenere alta l’attenzione di tutti noi, nonostante le spiegazioni di storia in inglese non siano una passeggiata. Nel pomeriggio ci siamo spostati in un’altra piccola città chiamata Villafranca e qui abbiamo visitato il museo della “Festa Maggiore”, festa tipica di quelle zone. Il giovedì era previsto un programma soft con la mattina laboratori, come già anticipato, e il pomeriggio attività fisica, per esempio noi abbiamo giocato a pallavolo, e infine un giro all’immenso centro commerciale “La Maquinista”. Anche questo giorno, come ogni sera, eravamo in ritardo: ci siamo ritrovate a farci una doccia veloce per poi andare alla cena di fine Erasmus, che a differenza di quella di Brescia ha avuto meno lacrime (per fortuna). Il venerdì mattina, dopo aver ritirato i diplomi di partecipazione, siamo andate al Museo delle Scienze Cosmocaixa; da lì noi ragazzi italiani (tranne uno) con i nostri professori ci siamo staccati dal gruppo per andare a pranzo e poi a visitare Parc Güell. È un parco molto caratteristico che suscita diverse emozioni e che visto con il tramonto è davvero mozzafiato; qui ne abbiamo approfittato per scattare qualche foto ricordo.
In conclusione, come si può descrivere un progetto Erasmus? Tante risate, tante passeggiate serali e chiacchierate (rigorosamente in inglese o spagnolo) con persone che rimarranno per sempre nel cuore, tanto cibo tipico, tanti bei ricordi, ma anche tanta nostalgia di fine progetto. Vorremmo dedicare un ringraziamento speciale a tutti gli studenti che hanno partecipato al progetto Erasmus, soprattutto ai ragazzi con cui abbiamo vissuto una settimana a Barcellona (ciao Elisa, Francesco e Matteo), e alle professoresse Silvia Bonzi, Rosanna Cavalli e al professor Piergiorgio Mello. Grazie.
Greta Bosio e Sofia Lonati, 4°AAFM
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BERGAMO E BRESCIA: DA NEMICHE A SORELLE
Ormai è celebre la secolare rivalità tra le capitali lombarde Brescia e Bergamo, sempre in lotta in numerosi ambiti come quello sportivo, culinario o culturale. Eppure molto le accomuna: entrambe sono state tra le città più colpite dalla pandemia e insieme si sono candidate per diventare “Capitale italiana della Cultura 2023”; la vittoria ha permesso loro di mettere da parte qualsiasi rivalità per promuovere, invece, la solidarietà, l’innovazione e, in particolar modo, il patrimonio artistico e culturale che le caratterizza.
Si tratta di una grande opportunità per dare vita a un progetto importante che ambisce a rilanciare l’economia e mostrare a tutto il mondo le ricchezze culturali del territorio.
Ed è stato proprio per avere maggiore consapevolezza delle bellezze di Bergamo che noi amiche abbiamo deciso di visitare la città durante una soleggiata domenica di ottobre.
La città può essere distinta in due aree: la città bassa, raggiungibile con autobus, e la città alta, una delle principali attrazioni di Bergamo: per raggiungerla, infatti, i turisti sono invitati a utilizzare la funicolare. Si tratta di un aspetto che rende unica l'esperienza di visita, in quanto permette di percorrere un percorso panoramico di qualche minuto, con una vista completa dall'alto. La “fatica” della salita è ben ricompensata anche perché, a pochi passi dalla fermata, si trova “La Marianna”, una delle pasticcerie più famose di Bergamo, se non la più famosa, particolarmente consigliata a tutti gli amanti del gelato alla Stracciatella; infatti sembrerebbe che il gusto sia stato proprio inventato qui, nel lontano 1961.
Da ora in poi è facile addentrarsi nel pieno della città alta, composta da vie lunghe e strette decorate da piccoli negozi di antica data, che mantengono ancora la loro insegna caratteristica e i cui
scopi sono i più vari: si possono notare, infatti, particolari negozi di abbigliamento, dai più classici ai più stravaganti; piccoli ristoranti di “lusso” e semplici pub, e, infine, le pasticcerie più invitanti e le chiesette più caratteristiche. L’atmosfera si completa con la presenza di bancarelle e stand che offrono gioielli particolari, quadri o prodotti artigianali distintivi della cultura bergamasca. È proprio percorrendo queste tipiche vie, inoltre, che si raggiungono le piazze ed i monumenti più importanti della città. La prima che siamo riuscite a visitare è stata “Piazza vecchia”; questo luogo spazioso si distingue per la sua composizione geometrica e per la presenza, al centro, di una particolare fontana. La piazza è recintata da meravigliosi palazzi storici, tra cui spicca la Torre civica, detta “Il Campanone”, che ogni sera, alle
22, batte i 100 rintocchi che nel passato avvertivano gli abitanti della chiusura delle porte della città.
Successivamente, ci si può dirigere verso un’altra piazza, ben più piccola rispetto alla precedente, ma ricca di monumenti pubblici e religiosi: Piazza Duomo.
Nonostante le dimensioni ridotte, la visita richiede molto tempo; si resta, infatti, subito incantati dall’imponente “Cappella Colleoni” che, purtroppo, non può essere fotografata all’interno, inaspettatamente ristretto, ma ricco di particolari e colori. Accanto si trova la “Basilica di Santa Maria Maggiore”: dalla facciata, sembrerebbe semplice e piccola, ma, in realtà, viene proprio reputata tra le più belle a causa dei suoi interni sgargianti e ricchi di dipinti ed arazzi. Infine, è d’obbligo una visita al “Duomo”, caratterizzato da una facciata bianca ed elegante, proprio come i
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suoi interni. Terminata la visita della città alta siamo ridiscese nuovamente alla città Bassa, ma non subito… per concludere in bellezza la giornata, abbiamo infatti deciso di percorrere un sentiero ricco di gradini e immerso nella natura, così da raggiungere un punto panoramico che ci permettesse di ammirare la città Bassa nella sua interezza.
Per cui, la visita si è chiusa con la visuale della cosiddetta “capitale della cultura italiana”, meritevole di essere chiamata tale e di essere apprezzata a causa delle sue molteplici bellezze culturali e storiche.
E ora passiamo a descrivere Brescia…
Brescia è una città policentrica con una base culturale molto antica, ma che è da sempre all’avanguardia sia dal punto di vista economicoindustriale, tecnologico, sociale, che dal punto di vista ambientale e sostenibile.
All’interno dei confini di Brescia possiamo trovare due siti dell’UNESCO: il Parco Archeologico Brixia che è la più vasta area archeologica romana del Nord Italia e il Museo di Santa Giulia, che ospita regolarmente alcuni dei progetti particolari e interessanti come la mostra “The Last Soviet Artist”, attualmente in corso, dell’artista dissidente russa Victoria Lomasko. Questo museo è conosciuto come “museo delle città” e deve la sua unicità alla ricca collezione di reperti storici e opere artistiche.
Brescia deve poi la sua fama anche a splendide piazze come Piazza Vittoria, Piazza della Loggia e Piazza Paolo VI che custodiscono la storia travagliata della città e sono oggi un importante luogo di ritrovo grazie ai numerosi e comodi mezzi di trasporto. Ci sono inoltre importanti teatri come il Teatro Grande, che fu riconosciuto nel 1912 come monumento nazionale, il Teatro Sociale e le fortezze come il Castello di Brescia; sono tutti centri culturali che propongono, ospitano e supportano sempre spettacoli, eventi, artisti capaci di
attirare non solo visitatori italiani ma anche numerosi turisti stranieri. Inoltre per noi bresciani forse è scontato, ma la nostra città è una delle poche città italiane che vanta all’interno del suo territorio un’efficiente metropolitana che ricongiunge tutte le tappe centrali della città. In Italia, infatti, sono solo sette le città che dispongono di questa infrastruttura. La metropolitana bresciana è entrata in funzione già dal 2013 e si estende per ben 13,7 km.
Brescia è vista da occhi esterni come una città grigia, inquinata per via delle sue industrie, ma in realtà è una città colorata, gioiosa e luminosa che ha da sempre abbracciato positivamente l’arte e la cultura, è infatti una città dalle mille sorprese. Girando per le strade bresciane, non è difficile trovare di street art, wall paiting e arte contemporanea che si pensa di poter trovare solo nelle
grandi metropolitane. L’arte Made in Brescia può vantarsi delle opere di Vera Bugatti, artista le cui opere sono state fate entrare nella classifica dei “55 murales migliori del 2019”; le istallazioni di SUBBRIXIA come il famoso cartello con la scritta “BRIXIA” al contrario che troviamo nelle fermate della metro; e sculture come il rinoceronte gigante che si trova appeso nel Quadriportico della Vittoria.
Clara Scaglia e Ivana Lin, 5°AAFM
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Intervista alla professoressa Alice Bodini
La professoressa Alice Bodini, ex studentessa del Lunardi, è la nuova professoressa di cinese. Visto la sua giovane età e la sua prima esperienza di insegnamento in un liceo, ho deciso di approfondire la sua conoscenza, facendole un’intervista.
Domande:
Da cos’è nata la sua passione per il cinese?
“
La mia passione per il cinese è nata alle superiori, proprio qui al Lunardi, quando ero un’alunna della professoressa Paola Mangia. Mi ha affascinato molto la cultura cinese, il significato di ogni carattere che compone questa lingua, i suoi valori antichi e il rispetto della famiglia e degli anziani.”
Come ha cominciato ad insegnare?
“La mia esperienza è cominciata facendo ripetizioni, durante il pomeriggio, ai bambini delle elementari, medie e successivamente anche delle superiori; all’università ho avuto l’opportunità di aiutare i miei compagni con la lingua cinese e, l’anno scorso, ho avuta la possibilità di fare un tirocinio al Lunardi, insieme alla professoressa Mangia, e ho potuto provare l’esperienza di insegnare in modo indipendente, e creare e correggere verifiche mettendo anche delle valutazioni. Grazie a quest’esperienza la mia voglia di insegnare è aumentata e penso che questo lavoro sia il mio sogno.”
Ha sempre pensato di fare questo lavoro?
“Ho sempre sognato di fare questo lavoro, ma pensavo che mi sarebbe capitata quest’opportunità più avanti e non pensavo di riuscire ad insegnare in un liceo linguistico già a 24 anni.”
Da quanto tempo studia cinese? Ha mai visitato la Cina?
“Studio cinese ormai da 10 anni, 5 anni di superiori e 5 di università. Sì, sono stata in Cina nel 2016 tramite un viaggio d’Istituto, organizzato dal Lunardi; era un viaggio estivo, durato per ben due settimane, e abbiamo potuto visitare Pechino e Shanghai, poi non ho più avuto l’opportunità di tornare in Cina a causa del covid. Anche se ci sono stata per poco tempo, posso dire che della Cina mi affascinano diversi valori, soprattutto, oltre alla lingua, la letteratura, i vestiti tradizionali, la musica, i colori e moltissime altre cose.”
Com’è il rapporto con i suoi alunni? Era agitata
quando ha avuto la sua prima lezione?
Per ora, il rapporto con i miei alunni è molto positivo, anche se insegno da solo un mese; gli studenti sono comprensivi e rispettosi nei miei confronti. Purtroppo a volte non mancano momenti di piccoli scontri data anche la nostra età ravvicinata, proprio per questo cerco di instaurare un rapporto di fiducia e di rispetto reciproco per evitare disguidi e conoscerci meglio.
La prima volta che ho insegnato ero agitatissima, tuttora lo sono, anche durante le interrogazioni sono più agitata io rispetto allo studente, però col passare del tempo sto imparando a far sparire l’agitazione e a sentirmi a mio agio.”
Essendo stata una studentessa del Lunardi, come si sente ad essere dall’altro lato della cattedra?
“Tornare in questa scuola mi ha fatto provare diverse sensazioni tutte insieme, è stato molto speciale ma allo stesso tempo anche strano ripercorrere gli stessi corridoi, e rivedere le aule dove studiavo. Devo ammettere però che mi sento molto soddisfatta per ciò che sono riuscita a raggiungere. Sicuramente è strano stare dall’altra parte della cattedra, visto anche la poca differenza d’età con i miei alunni, però questo concetto aiuta molto a far accrescere la consapevolezza di se stessi e l’autostima.”
Conclusione
Prof.ssa Alice Bodini:” Volevo ringraziare in particolar modo la professoressa Mangia per la fiducia che ha sempre riposto in me, anche quando pensavo di non potercela fare, lei mi ha sempre spronata e coinvolta in eventi e progetti, ma soprattutto mi ha convinta a dare il massimo. Inoltre, vorrei ringraziare anche il Preside Gabriele Bolcato per la sua fiducia, e tutti i miei alunni ed Alison che mi ha intervistata.”
Alison Rodella, 3°EL
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L’UNGHERESE IN STEPS HOHOHO,BOLDOGKARÁCSONYT!
Finalmente si sta avvicinando il mio periodo preferito, ovvero quello natalizio! Il Natale conquista i nostri cuori, ma quando c’è anche la lingua ungherese attorno a noi tutto è ancora più bello! Oggi, prima che il Natale arrivi, scopriremo insieme i numeri cardinali, ordinali ed aggettivali ed in più impareremo qualcosina sul natale ungherese! Iniziamo subito con i numeri cardinali che vanno da 0 a 9 e poi pian piano raggiungiamo i miliardi. Qui non c’è una regola: bisogna ricordarsi per forza questi numeri a memoria. Lo 0 si dice “nulla”, del resto come in italiano letteralmente è il nulla lo zero. Poi 1 si dice “egy”, 2 “kettő”, 3 “három”, 4 “négy”, 5 “öt”, 6 “hat”, 7 “hét”, 8 “nyolc” e 9 “kilenc”. Ci siamo. Dopo questo dobbiamo sapere come si compongono i numeri da 10 a 39. Perché questi numeri? Perché saranno gli unici ad avere una forma particolare per noi, ma non vi preoccupate! Dobbiamo semplicemente ricordarci come si dice 10, 20 e 30. Quindi 10 si dice “tíz”, 20 “húsz” e 30 “harminc”, ma se dopo il 10 o il 20 c’è un altro numero come 24 o 15, a questo punto “tíz” e“húsz” prendono il suffisso di stato in luogo in posti che si trovano in alto –N e le vocali lunghe si accorciano per il fatto che hanno solamente 3 lettere (Anche ’’SZ” è una lettera) ma visto che ’’tizn e huszn’’ suonano malissimo, dobbiamo usare per forza la vocale armonica. Con questo suffisso abbiamo due possibilità: o usare la vocale chiusa in „O” oppure la vocale aperta in „E”, quindi diventeranno „Tizen e Huszon”. E il 30? il trenta si dice „harminc” senza altra eccezione. Ora possiamo comporre i numeri normalmente da 10 a 39: tizenegy, tizenkettő , tizenhárom , tizennégy , tizenöt , tizenhat , tizenhét , tizennyolc , tizenkilenc poi húsz , huszonegy , huszonkettő , huszonhárom , huszonnégy , huszonöt , huszonhat , huszonhét , huszonnyolc , huszonkilenc ed infine harminc , harmincegy , harminckettő , harminchárom , harmincnégy , harmincöt , harminchat , harminchét , harmincnyolc , harminckilenc e fino a qui ci siamo! Come si va avanti ora? Easy!
Prendiamo i numeri da 4 fino a 9 e aggiungiamo come suffisso -VAN/VEN cosi formiamo i corrispondenti 40, 50, 60, 70, 80 e 90, quindi négyven, ötven, hatvan, hetven, nyolcvan e kilencven. Poi se si vuole comporre un numero come 89 o 47 basta solamente aggiungere il numero dopo il suffiso -VAN/ VEN. Dopo aver formato i numeri da 0 a 99, tutto è in discesa: cento si dice “száz” e per quanto riguarda i numeri assurdi come 569, non temete! Non c’è nulla di nuovo perché basta solamente mettere prima del 100 un 5 e poi seguire i passaggi indicati prima, quindi il risultato è ötszázhatvankilenc. Abbiamo già quasi concluso i numeri cardinali. Il 1000 si dice ezer, 10000 si dice tízezer, 100000 százezer e cosi via fino al millione che si dice millió, poi se si volesse scrivere dieci millioni o cento, basterebbe aggiungere prima il numero richiesto. Ed infine il miliardo è milliárd e stooop! Adesso passiamo agli ordinali! Come si fanno? Nulla di complicato eccetto per i primi 3 numeri, ovvero 1 , 2 e 3 , ma lo zero? Beh pensateci un attimo: in italiano , esiste lo zero come numero ordinale? I dont think so, ma nel caso noi saremmo allo Zeresimo posto haha. Ad ogni modo le prime 3 eccezioni si dicono „első” , „második” e „harmadik”, ma please non abbattetevi perché i numeri ordinali da ora finiranno in -ADIK/ODIK/EDIK/ÖDIK ad eccezione dei primi 3 numeri che sono irregolari perché il primo non finisce in -dik , il secondo esce con -odik ma non ha il numero due che lo precede ma ha mas (Significa altro) e letteralmente significa altro posto (In ungherese infatti non esiste il concetto di dire –esimo, ma bisogna dire il numero e poi il posto) e il terzo non ha három bensi harm, che è la versione di harom in declinazione (è una delle parole che rispetta la declinazione in un altro modo; questo è stato spiegato nell’articolo precedente, esiste una regola semplice perciò non vi preoccupate). Quindi, gente bellissima, abbiamo formato i numeri ordinali! Scriviamo i numeri ordinali da 1
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a 10 e poi da 10 a 100: Első, második, harmadik, negyedik, ötödik, hatodik, hetedik, nyolcadik, kilencedik, tizedek, huszadik, harmincadik, negyvenedik, ötvenedik, hatvanadik, hetvenedik, nyolcvanadik, kilencvenedik e századik. Parliamo ora dei numeri aggettivali, ma che cosa sono? Avete presente quando noi vogliamo salire su un mezzo come l’autobus e dobbiamo prendere la linea 5? In ungherese si dice che l’autobus è un numero 5, ma in senso descrittivo e come si fa? In questo caso il numero zero esiste perché è comunque un aggettivo e non più un numero cardinale o ordinale e si usa il suffisso -AS/ OS/ÖS/ES e i numeri sono come quelli degli cardinali ad eccezione del 3 che ha sempre la radice hárm, ma il resto è identico. Quindi i numeri da 1 a 10 sono: Egyes, Kettős (qui si aggiunge solamente -S), hármas, négyes, ötös, hatos , hetes, nyolcas , kilences e tízes. Quando si usano? Per l’autobus bisogna indicare il numero del luogo come il padiglione o la fermata, ma non bisogna fare confusione con gli ordinali che indicano invece la posizione o il piano del luogo come terzo piano o primo posto. I cardinali, invece, servono a indicare la quantità delle cose (ma se volete dire che siamo in TOT persone , dovete aggiungere dopo il numero desiderato -N indicante stato in luogo sopra a qualcosa, quindi négyen vagyunk, siamo in quattro) oppure per la matematica. Ricapitoliamo questo, spiegando anche dei trucchi fondamentali. Prendiamo il numero quattro di esempio e diciamo che abbiamo 4 mele, quindi négy alma (Non si mette il plurale dopo il numero ricordatelo!), poi in 4 persone diventa négyen (Con il suffisso -N con eventuale vocale eufonica che sono di due tipi -oe -e-), poi il quarto posto ordinale diventa negyedik , il quarto frazionario o orario si forma come quello in ordinale, ma senza il suffisso -ik quindi negyed (esempio negyed-négy che letteralmente significa quattro quarti quindi il 15 dell’orologio, figo no?). Se poi vogliamo dire che oggi è il quattro di gennaio? Diventerà “január negyedike” (si forma con l’ordinale+suffisso (-A/ JA/E/JE) indicante il possessivo della 3° persona singolare , ma questo ve lo spieghero meglio la prossima volta. Questo dovrebbe assumere il significato di genitivo (Di qualcosa/qualcuno) e letteralmente sarebbe „il suo quarto è di Gennaio”, ma se vogliamo invece dire „nel quattro di gennaio”? Stesso procedimento di prima, aggiungendo -N , quindi január negyedikén (qui la e finale si allunga a causa di N che necessita di un’ altra vocale armonica E). Ma... aspetta e se voglio chiedere quanti e quali? Come in inglese esiste il concetto di many e much (Contabile e non contabile) quindi il quanto
contabile è “hány”, mentre il non contabile è “mennyi” . Iniziamo da quelli contabili: hány indica la quantitá in numeri cardinali, poi hányadik ordinale (In che posto?), hányas (Quale numero di mezzo o luogo…?), hányan (in quanti?), hányadika (Che giorno del mese?) e hányadikán (in che giorno del mese?). Ora andiamo a quello non contabile che ha due versioni: uno è mennyi che si usa per indicare una quantità che non si può contare con le dita come accade con la farina o lo zucchero e c’è poi mennyibe che indica verso quanto e si usa per la domanda mennyibe kerül? (Quanto costa? letteralmente verso quanto costa). E dopo questo finish!
E ora parliamo del Natale! Esistono due festività importanti: il 6 dicembre, giorno di San Nicola (Szent Miklós o Mikulás) e il 25 dicembre, giorno della nascita di Cristo. Ripassiamo come usare i numeri in questo caso. Il 6 di dicembre è uguale “december hatodike”, mentre 25 di dicembre è “december huszonötödike”. Se dobbiamo descrivere il Mikulás, il santo è alquanto simile alla nostra santa Lucia, ovvero porta i dolcetti insieme a due assistenti, l’angela custode e il diavolo chiamato Krampusz; quest’ultimo regala solamente patate, carbone e carote invece di semplici dolcetti. E dove si mettono questi regali? I regali vengono messi dentro agli stivali dei bambini, a condizioni che siano puliti e lucidi. Il cibo tradizionale consumato nel natale ungherese è un bel piatto di gulyás, halászlé (minestra del pescatore, fatto da carpa bollita o arrostita con patate lesse) ed alcuni dolci tipici ungheresi come il Kürtőskalács (torta a cammino solitamente ricoperta di cannella) o il Cukrászdas (panini dolci ricoperti di semi di papavero o nocciolata con l’esterno di noci „Dió” e non Dio perché Quest’ultimo in ungherese si dice Isten o Úristen (a seconda del contesto: se preferisci dire Dio allora usa il primo termine; se invece preferisci
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dire „Signore” allora meglio il secondo). La festività del 25 di dicembre non cambia molto rispetto all’Italia, semplicemente molte persone in Ungheria la celebrano andando a visitare i loro parenti lontani (addirittura fuori dai confini nazionali in Romania, Ucraina, Serbia e in Slovacchia). Buon Natale si dice in ungherese Boldog Karácsonyt! Ma la giornata più bella è il 31 ovvero Capodanno, perché? Perché si potrà assistere allo spettacolo di fuochi artificiali per 30 minuti a mezzanotte ed è uno degli spettacoli artificiali più grande sia d’Europa che del mondo. Se tu hai la cittadinanza ungherese e vivi al di fuori della capitale o della Nazione (Vivi in Serbia, Romania, Ucraina, Croazia, Slovenia, Austria e Slovacchia) hai il diritto di prendere gratuitamente il treno per andare a vedere i fuochi nella capitale Budapest (naturalmente solo se sei Ungherese di cittadinanza, altrimenti paghi haha). Insieme, prima di salutarci, auguriamoci anche un buon anno nuovo: BÚÉK (Boldog új év kívánok!) ovvero Felice anno nuovo! Lo auguro a tutti voi! Viszlát Lunardi diákok!
BOLDOG KARÁCSONYT ÉS BÚÉK NEKTEK!
Nel cuore di Vienna
Vienna è la città austriaca sulle rive del Danubio con maggiore patrimonio artistico e culturale. Oggi vi proporremo diverse località da visitare in questo magnifico centro intellettuale. All’arrivo in città, come prima tappa, consigliamo caldamente una visita al museo del Belvedere.
Il Belvedere oltre che essere un museo, è un vero fastoso castello barocco ed ospita anche una delle più pregevoli collezioni di opere d’arte in Austria – con le opere principali di Gustav Klimt, Egon Schiele e Oskar Kokoschka. Il cuore della collezione del Belvedere è composto dai 24 dipinti di Gustav Klimt, con le sue rappresentazioni dorate de "Il bacio" e "Giuditta". Soprattutto "Il bacio" di Klimt è famoso in tutto il mondo, e ammirato dal vivo: possiamo assicurare che è davvero un capolavoro.
Consigliamo di passeggiare ed osservare bene anche i giardini perché sono ricchi di sculture e
fontane.
Come seconda tappa, gli amanti della storia non potranno perdersi i palazzi imperiali. Il palazzo imperiale viennese si chiama Hofburg ed è considerato uno dei più grandi complessi residenziali al mondo. Le parti più antiche risalgono al XIII secolo. Attraverso l’utilizzo dell’audio guida seguirete un percorso dettagliato per le stanze del palazzo e scoprirete numerose curiosità sulla famiglia reale.
Una terza tappa per gli amanti del divertimento e per i più piccoli è, invece, il Prater, ossia il luna park di Vienna. È colmo di attrazioni come l’antica ruota panoramica, numerose montagne russe, e perfino aree verdi dove rilassarsi, passeggiare o fare un bel picnic con gli amici.
In seguito vi consigliamo di visitare il museo Albertina, collocato nel centro storico della città.
L'Albertina possiede una delle collezioni di gra
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Nazar Vodopyan, 3°FL
Vienna è la città austriaca sulle rive del Danubio con maggiore patrimonio artistico e culturale. Oggi vi proporremo diverse località da visitare in questo magnifico centro intellettuale. All’arrivo in città, come prima tappa, consigliamo caldamente una visita al museo del Belvedere.
Il Belvedere oltre che essere un museo, è un vero fastoso castello barocco ed ospita anche una delle più pregevoli collezioni di opere d’arte in Austria – con le opere principali di Gustav Klimt, Egon Schiele e Oskar Kokoschka. Il cuore della collezione del Belvedere è composto dai 24 dipinti di
imperiale viennese si chiama Hofburg ed è considerato uno dei più grandi complessi residenziali al mondo. Le parti più antiche risalgono al XIII secolo. Attraverso l’utilizzo dell’audio guida seguirete un percorso dettagliato per le stanze del palazzo e scoprirete numerose curiosità sulla famiglia reale.
Una terza tappa per gli amanti del divertimento e per i più piccoli è, invece, il Prater, ossia il luna park di Vienna. È colmo di attrazioni come l’antica ruota panoramica, numerose montagne russe, e perfino aree verdi dove rilassarsi, passeggiare o fare un bel picnic con gli amici. In seguito vi consigliamo di visitare il museo Albertina, collocato nel centro storico della città.
Gustav Klimt, con le sue rappresentazioni dorate de "Il bacio" e "Giuditta". Soprattutto "Il bacio" di Klimt è famoso in tutto il mondo, e ammirato dal vivo: possiamo assicurare che è davvero un capolavoro.
Consigliamo di passeggiare ed osservare bene anche i giardini perché sono ricchi di sculture e fontane.
Come seconda tappa, gli amanti della storia non potranno perdersi i palazzi imperiali. Il palazzo
L'Albertina possiede una delle collezioni di grafica più estese e più preziose del mondo, con opere come “La giovane lepre” di Dürer e gli studi di donna di Klimt. Inoltre, la nuova collezione esposta presenta capolavori dell'epoca moderna che spaziano da Monet a Picasso a Baselitz. L'Albertina è il più grande palazzo residenziale asburgico e troneggia sulle mura di uno degli ultimi bastioni di Vienna all'estremità sud della Hofburg. Mostre temporanee presentano opere celebri come il "Leprotto" e "Le mani raccolte in preghiera" di Dürer, gli studi di bambini di Rubens' o capolavori di Schiele, Cézanne, Klimt, Kokoschka, Picasso e Rauschenberg. Ma nella sua collezione permanente l'Albertina espone anche opere appartenenti a correnti artistiche degli ultimi 130 anni, dall'Impressionismo francese all'Espressionismo tedesco, dall'Avanguardia russa alle opere dei giorni nostri. Si possono ammirare lo "Stagno delle ninfee" di Monet, le "Ballerine" di Degas e il "Ritratto di fanciulla" di Renoir, ma anche dipinti di Beckmann, Macke, Chagall, Malewitsch, Rothko, Rainer e Katz. Inoltre, l'Albertina possiede anche una collezione di architettura e una collezione fotografica (Helmut Newton, Lisette Model ecc.), le cui opere sono esposte in occasione di mostre speciali. Degno di nomina è anche il museo di Sissi, sem-
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pre nel cuore della città. Il Museo di Sissi a Vienna è dedicato a un autentico approfondimento della vita della famosa monarca austro-ungarica, riproducendo l’ambiente abitativo originale dell’imperatrice Elisabeth, detta “Sissi”, allontanandosi dai soliti cliché. La mostra mette in luce la vita privata di Elisabetta, la sua ribellione al cerimoniale di corte, la sua fuga nella bellezza, nelle imprese sportive, nei viaggi e nella poesia. Nel museo viene rivisitata la vita irrequieta della leggendaria imperatrice, dalla gioventù spensierata in Baviera all’inatteso fidanzamento con l’imperatore austriaco. Una vita terminata con l’assassinio di cui fu vittima a Ginevra nel 1898.
Per concludere vorremmo consigliarvi il mercato Naschmarkt, uno dei mercati più famosi di Vienna. Il mercato di strada più famoso di Vienna si allestisce dal XVI secolo, quando si vendevano, per lo più, bottiglie di latte.
Dal 1793 la frutta e gli ortaggi, che arrivavano in città su un carro, si vendevano al Naschmarkt, mentre i prodotti trasportati in barca si distribuivano in altre zone di Vienna. Consigliamo di evitarlo il sabato, poiché molto affollato; meglio visitarlo nei giorni infrasettimanali, così da poterlo gustare con calma.
Martina Franzoni 5EL Sofia Caenaro 5EL
PASSEGGIATAATTRAVERSO LAPRIMAGUERRAMONDIALE
Il giorno 4 ottobre noi alunni delle classi 5CL e 5EL ci siamo recati a Rovereto per trascorrere una giornata letteralmente tra i resti lasciati dalla Grande Guerra, accompagnati da guide molto esperte del Museo Storico Italiano della Guerra.
La mattina è iniziata passeggiando per le trincee della Valle di Gresta –Vallagarina: ci siamo soffermati in diversi punti per analizzare la loro funzione durante il conflitto. Dopo una breve introduzione, in cui la guida ci ha spiegato le caratteristiche del fronte italiano e la sua profondità, la prima tappa è stata una vecchia cisterna d’acqua, alimentata da una sorgente di Manzano, che aveva la funzione di fornire acqua ai soldati. La cisterna era contornata da pali a ricciolo avvitati nel terreno nei quali passava il filo spinato spesso almeno un dito e non teso, in modo che fosse impossibile tagliarlo e i nemici non potessero oltrepassarlo. Successivamente ci siamo fermati in un punto panoramico dal quale la guida ci ha indicato le posizioni nelle quali potevano esserci i cannoni e ci ha detto che i soldati, in realtà, non riuscivano a vedere esattamente dove sparavano. Infatti, prima dovevano calcolare la traiettoria e la gittata con le coordinate delle mappe, ma non sempre il colpo arrivava dove doveva, perché le condizioni atmosferiche, il peso della palla del cannone e il vento potevano alterarne il corso.
La guerra che si combatteva nel nord Italia era principalmente una guerra di montagna. I
fronti erano molto stretti e vicini tra loro: in una lettera che abbiamo letto un soldato scriveva che la trincea nemica distava solo 30 passi da dove si trovava lui e che, quindi, un colpo di cannone con una traiettoria leggermente sbagliata avrebbe potuto ucciderli. Poi ci siamo diretti verso la cucina, considerata un lusso
poiché non tutte le linee di combattimento ne erano dotate. Il cibo arrivava al fronte in casse di cottura ed era spedito dalle cucine da campo nelle retrovie, ma quasi sempre arrivava in pessime condizioni e, soprattutto, freddo. I documenti dell’epoca affermano che l’esercito italiano forniva circa un chilo di pane al giorno (che però poteva contenere anche paglia), 200 grammi di carne, riso, olio, pasta, salmone e tonno; tutto dentro scatole di latta che poi venivano lasciate nei boschi. La cucina da campo, formata da quattro fuochi laterali e tre centrali con l’aggiunta di una vasca dell’acqua, era perciò in grado di offrire un sostentamento “adeguato” alla vita dei soldati.
Man mano che camminavamo per le trincee, la guida ci spiegava che molte di esse si sono riempite di terra col tempo e che la maggior parte sono state costruite con sassi e materiali provenienti da paesi sfollati che, a guerra terminata, sono stati ricostruiti con ciò che era rimasto: tutto infatti veniva riciclato. La nostra accompagnatrice ci ha perfino raccontato che, quando ha dovuto rifare le scale di casa sua, ha trovato i pali a ricciolo dei reticolati ancora intatti all’interno della struttura, che risaliva appunto agli anni ‘50.
L’ultimo punto in cui ci siamo soffermati è stato l’osserva-
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torio che aveva la funzione di comunicare tramite un telefono le informazioni sui colpi di cannone da tirare e poco più sotto si trovava la postazione della mitragliatrice, mimetizzata dalla presenza dell’osservatorio. Ci siamo poi diretti al rifugio degli alpini che ci hanno gentilmente ospitato durante il pranzo. Lì abbiamo anche lasciato un piccolo ricordo del nostro passaggio, scrivendo un ringraziamento agli alpini che, grazie al loro impegno, hanno reso le trincee un posto sicuro dove poter camminare.
Dopo la pausa pranzo abbiamo ripreso il pullman e ci siamo diretti al Museo Storico Italiano della Guerra, aperto per la prima volta il 12 ottobre 1921; prima abbiamo fatto una breve tappa alla sezione dedicata all’ artiglieria dove si trova, poco prima dell’entrata, un mortaio da 305 Skoda che serviva per abbattere le nicchie; è davvero un pezzo raro, visto che ne è rimasto solo un altro esemplare a Sarajevo. Una volta entrati abbiamo visto un cannone a gittata lunga con il quale si sparavano circa 350000 colpi al giorno verso la fine della guerra, un obice che veniva spostato grazie a ruote da treno riciclate e i proiettili, che solitamente viaggiavano a 300 km/h. La guida ci ha poi spiegato che è possibile trovare così tante armi risalenti alla Prima guerra mondiale perché, a differenza della seconda, era una guerra statica e, nel 1918, i soldati le avevano lasciate sul fronte per sicurezza, in modo che, se fosse scoppiata di nuovo la guerra, le armi sarebbero state pronte.
Una volta entrati nel museo, la prima stanza che abbiamo visitato era dedicata all’800. Essa esponeva uniformi di diverso colore che permettevano ai soldati di distinguersi sul campo di battaglia, fucili alimentati da polvere da sparo e la Gatling, la prima mitragliatrice brevettata nel 1860 che sparava circa 250 colpi al minuto.
In una stanza adiacente, in una vetrina, erano esposte delle tute usate dagli austriaci per proteggersi dal gas. Abbiamo poi visto altre uniformi, questa volta di colore grigio-verdi, che aiutavano i soldati a mimetizzarsi meglio nell’ambiente circostante, ma,
ci ha spiegato la guida, arrivavano al ginocchio, in modo che si potesse risparmiare tessuto e si potessero adattare facilmente a qualsiasi taglia. Erano chiuse ai polpacci da fasce di cotone che, a contatto con l'acqua e l'umidità, si stringevano e causavano spesso la cancrena.
La terza e ultima stanza in cui ci siamo soffermati era destinata agli eserciti di massa nella quale la guida ci ha riportato alcuni dati: l'esercito italiano in 3 anni disponeva di 6 milioni di uomini, mentre tutti gli uomini che sono scesi al fronte erano 70 milioni di cui 10 milioni morti e il resto sono rimasti feriti o dispersi. In questa stanza abbiamo potuto osservare anche protesi di gambe e delle mantelline di cotone mimetiche che venivano messe sopra l'uniforme per ripararsi dal freddo gelido in quanto le temperature arrivavano anche ai -30°C.
Una volta usciti dal museo, abbiamo salutato e ringraziato le guide e ci siamo diretti al pullman, dove molti di noi hanno dormito, stanchi per la lunga ma interessante giornata.
Questa gita mi ha lasciato un segno molto profondo: mentre camminavo nelle trincee pensavo che solo poco più di cent’anni prima lì si trovavano ragazzi della mia età e padri di famiglia che probabilmente hanno dovuto salutare figli e mogli senza avere la certezza che si sarebbero rivisti e ciò mi ha aiutato a comprendere quanto noi siamo fortunati, perché la guerra dobbiamo solo studiarla. Inoltre, osservare le armi che usavano e i vestiti che indossavano e sentire gli orrori e le crudeltà che erano costretti a vivere, come le razioni di pane fatto con la paglia o assistere allo scempio dei compagni feriti, mi ha fatto capire meglio alcuni aspetti della guerra che sottovalutavo e provare ancora più compassione per quei poveri soldati: non solo per quelli caduti sul campo, forse anche di più per quelli che sono tornati, che sono riusciti a sopravvivere alle atrocità, ma che con il ricordo di esse hanno poi dovuto convivere.
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Jennifer Schivardi, 5°CL
UN ANNO IN CALIFORNIA
Ultimamente mi è tornata in mente una poesia di Joseph Cornell “Guarda le cose come se le vedessi per la prima volta, con gli occhi di un bambino, fresco di meraviglia”, perché sì, io vorrei avvertire di nuovo la meraviglia che provavo durante i primi due mesi, qui, in California. Diciamo che ci sono certe cose che continuando a stupirmi, ma ormai mi sto abituando quasi a tutto. Ricordo la prima cosa che ho pensato quando sono arrivata qui: “Le macchine sono enormi”, e mi stupivo di tutto: dei semafori che hanno la mano e dell’omino che cammina per i pedoni, delle strade enormi, delle inversioni a U (queste mi sembrano ancora un po’ strane in realtà), dei fast –food, delle case, delle scuole, dei negozi, dei ristoranti, delle fettuccine Alfredo, e più o meno tutto quello che vedevo. Adesso è tutto diverso: mi sono completamente abituata all’America, alla lontananza. Non dico che non senta la mancanza delle persone, intendo solo dire che prima era una sensazione più forte. In un certo senso ne sono felice perché più o meno tutti mi dicevano che il periodo natalizio avrebbe potuto essere il più difficile, ma a me per ora sembra proprio la parte più semplice (poi vi farò sapere perché comunque non è ancora veramente Natale).
Ma ora è tempo di raccontarvi i principali fatti che mi sono capitati questo mese. Una delle pri-
me cose che sono successe in realtà è stata molto triste per me: una mia cara amica è dovuta tornare in Argentina dalla sua famiglia. In un certo senso sono felice per lei perché adesso è con i suoi amici e con la sua famiglia. Ovviamente ci sentiamo tutte le settimane: io la aggiorno su come sta andando la mia esperienza e lei ricambia. Ero andata a trovarla il giorno stesso in cui partiva e ve lo giuro che non volevo piangere, anche perché sapevo che pure lei non voleva piangere, ma non ce l’abbiamo fatta: siamo scoppiate in lacrime come delle bambine. Credo che Maite sia e sarà una delle mie più care amiche anche se viviamo a migliaia di chilometri distanti. Ricordo la prima cosa che mi ha detto la mia mamma ospitante quando ho salutato Maite, mi ha detto che credeva che per me non sarebbe stato troppo difficile salutarci alla fine dell’anno, ma dopo aver visto quanto in fretta mi affeziono alle persone mi ha detto che potrebbe diventare un problema doverci salutare. Ovviamente ha detto tutto in modo scherzoso, ma adesso che ci penso credo che probabilmente sarà molto difficile salutare tutti quanti. Sinceramente non ho grandi novità riguardo la mia vita qui, l’unica cosa nuova che ho fatto ultimamente è stato mangiare un gigantesco tacchino con tutta la famiglia. La tradizione del Ringraziamento vuole che tutta la famiglia si riunisca e insieme si mangi e si parli, si mangi e si parli e… in effetti si mangia e si parla. Purtroppo la mia famiglia non era tutta riunita perché una metà vive in Francia e l’altra metà in America. So che parte della famiglia francese verrà per le vacanze di Natale. Ho veramente riassunto il ringraziamento in solo due parole, però sinceramente credo che sia tutto ciò che ho da dire. Ho conosciuto gran parte della famiglia e mi sono tutti molto simpatici, mi hanno accolta come loro parente e mi sono subito sentita a mio agio. C’è una cosa in particolare di cui sono grata ed è che in ogni mese, per ora, c’è una festività diversa. Sono felice di questo così almeno ho sempre argomenti diversi di cui parlare negli articoli. Ovviamente scherzo. Il fatto che le festività siano così vicine e così vissute fa sì che ci siano sempre decorazioni fuori dalle case e, parlando di decorazioni, l’altro giorno sono andata con la mia famiglia a prendere l’albero di Natale. Sì! È VERO! Mi sono molto divertita a decorarlo e questo credo che sia uno dei momenti più belli che abbia trascorso con la tutta la mia famiglia. Se andrò nei quartieri dei ricconi che fanno a gara a chi ha
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avrei giocato a Basket, stavolta vi saluterò dicendovi che oggi, 9 dicembre, ho la prima partita ufficiale. Spero vada bene, sono un po’ emozionata e agitata perché non ho mai giocato a Basket in vita mia. Auguratemi buona fortuna!
Un’ultimissima cosa prima che torniate alla vostra vita: vorrei solo dire che nella settimana di vacanze per il Ringraziamento sono andata di nuovo alla casa che la mia famiglia ospitante ha sull’oceano. Questo non era indispensabile, ma era per introdurre e contestualizzare la foto del tramonto che non mi stanco mai di vedere. Ci vediamo nel prossimo articolo :)
Sara Chiarini, 4°AAFM
più luci e decorazioni all’esterno, state certi che metterò una foto.
L’ultima volta vi avevo lasciati dicendovi che
COSA SONO I SOGNI?
I sogni sono un argomento molto particolare in quanto non stanno al centro dello studio della psicologia tradizionale, la quale, generalmente, si concentra maggiormente sui meccanismi riguardanti i processi coscienti di pensiero.
Se dobbiamo dare una possibile definizione, il sogno, o pensiero notturno, è un fenomeno psichico legato al sonno, in particolare alla fase REM, caratterizzato dalla percezione di immagini e suoni riconosciuti come apparentemente reali dal soggetto sognante.
I sogni caratterizzano fondamentalmente i mammiferi e gli uccelli ed esiste un’arte divinatoria chiamata oniromanzia che pretende di interpretarli, spesso grazie a dei simboli ricavati dai sogni stessi.
NEUROLOGIA DEI SOGNI
Non esiste una definizione determinata per quanto riguarda i sogni però sappiamo che in generale si osserva una forte corrispondenza con la fase REM in cui l'elettroencefalogramma rileva un'attività cerebrale paragonabile a quella della veglia, a differenza delle altre fasi del sonno in cui l’attività celebrare è meno intensa. Un uomo in media sogna complessivamente per sei anni durante la sua vita, circa due ore per ogni notte
I SOGNI LUCIDI
Vi è mai capitato di prendere coscienza in un sogno?
Anche se spesso non succede, la capacità di pren-
dere coscienza dei sogni prende il nome di onironautica o sogno lucido. Quando capita di acquisire consapevolezza di trovarsi in un sogno, essendo coscienti del fatto che tutto l'ambiente è una creazione della nostra mente, è possibile manipolare a piacimento gli oggetti e gli eventi del nostro sogno. Le persone dotate di queste capacità senza applicare tecniche particolari vengono definite “sognatori lucidi naturali” o “onironauti”.
PERCHÉ I SOGNI SONO COSÌ STRANI?
In parte, è a causa dell’attività del nostro cervello mentre dormiamo. Normalmente, i ricordi vengono archiviati nell’ippocampo e durante la fase Rem del sonno, quella in cui avviene la maggior parte dell’attività onirica, i “collegamenti” con questa zona sono spenti.
Questo significa che non abbiamo accesso ai ricordi conservati nell’ippocampo ma possiamo
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ricordare visi e luoghi, che infatti compaiono comunemente nei nostri sogni. Inoltre, l’attività nelle aree cerebrali collegate alle emozioni è maggiore che durante la veglia. Al contrario, quella della corteccia prefrontale dorsolaterale, dove si svolge il pensiero logico, è ridotta.
CAMBIANO I SOGNI NEL CORSO DELLA VITA?
Pare proprio di sì. Infatti secondo alcune ricerche,
i bambini di età compresa tra 2 e 3 anni sognano generalmente scene semplici caratterizzate dalla presenza di animali e mostri.
I ragazzi più grandi, generalmente hanno sogni più complessi in cui compaiono familiari, amici e conoscenti.
Gli anziani, statisticamente, sono quelli che sognano meno e che si ricordano meno i sogni e sembra che le visioni notturne di chi sta per morire siano affollate di persone già morte.
PERCHÉ SOGNIAMO?
Una delle ipotesi più plausibili è che il sogno abbia la funzione di metterci alla prova in scenari importanti per la sopravvivenza come, per i nostri antenati, sfuggire a un predatore. Questo spiegherebbe anche perché nel contenuto di molti sogni c’è la fuga da un nemico o da un attacco.
Alessandro Gamba, 5°EL
Marc Chagall e l’amante in blu
Gli artisti, si sa, hanno fama di essere amanti passionali, ma infedeli. Possiamo citare gli innumerevoli amori di Picasso, o la vita tormentata di Modigliani. Ma c'è un pittore, Marc Chagall, che fece diventare la propria compagna un’autentica fonte d'ispirazione. Fu Bella Rosenfeld, la donna sempre raffigurata nel cielo, la protagonista di tanti capolavori. L’artista, per raffigurare tutto l'amore che provava per Bella, si dipingeva sempre in volo con lei. Un sentimento delicato, eppure di grande impatto. Si amarono dolcemente fino al 2 settembre 1944, quando un'infezione portò via la donna. Da quel giorno, come disse lo stesso Chagall, "tutto fu tenebra" e la sua arte non fu più la stessa.
Marc nacque nel 1887 in una famiglia ebraica a Lëzna, una città oggi in Bielorussia; il giorno stesso della sua nascita, il villaggio venne attaccato dai cosacchi durante un pogrom (sommosse sanguinose contro gli Ebrei russi) e la sinagoga fu data alle fiamme; da allora l'artista userà dire: "Io sono nato morto”. Nelle sue opere torna spesso il periodo dell'infanzia nello shtetl (villaggio ebraico), felice nonostante le terribili condizioni sotto il dominio degli zar.
Dopo aver intrapreso la carriera artistica, nonostante il divieto della Torah, Chagall dapprima lavorò di malavoglia in bottega, poi iniziò a studiare pittura con il solo pittore di Vitebsk. L’anno successivo si trasferì a San Pietroburgo, dove frequentò l'Accademia Russa di Belle Arti. Bakst (insegnante della scuola Zvanceva) lo convinse in seguito a trasferirsi a Parigi.
Questo era infatti un periodo difficile per Chagall: venne incarcerato dopo essere rimasto fuori dal ghetto oltre l'orario consentito. Rimase nella città fino al 1910, anche se di tanto in tanto tornava nel Paese natale, dove incontrò, appunto, la sua musa ispiratrice Bella Rosenfeld.
Una volta divenuto noto, egli lasciò San Pietroburgo per avvicinarsi alla comunità artistica parigina di Montparnasse: «Nessuna Accademia avrebbe potuto darmi tutto quello che ho sco-
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Nel 1923 riuscì a lasciare la Russia e si trasferì a Parigi, dove ritrovò alcuni dei vecchi contatti.
Durante l'occupazione nazista in Francia nella Seconda guerra mondiale e a seguito dell'Olocausto, il pittore e la sua famiglia si nascosero presso Marsiglia; un giornalista statunitense li aiutò poi nella fuga verso il Portogallo.Da lì la famiglia si stabilì negli Stati Uniti, dove Chagall frequentò la comunità artistica fuggita dall'Europa ed espose in numerose mostre.
perto divorando le esposizioni di Parigi, le sue vetrine, i suoi musei [...] Come una pianta ha bisogno di acqua, così la mia arte aveva bisogno di Parigi», dirà. Lì il giovane conobbe diversi intellettuali d'avanguardia; avrebbe mantenuto, però, un certo scetticismo nei confronti del cubismo (i cubisti anziché descrivere fedelmente ciò che li circondava, scomponevano la realtà in piani e forme geometriche sintetizzando punti di vista diversi), considerandolo troppo “attaccato al lato fisico delle cose”, mentre lui si è sempre sentito attratto «dal lato invisibile dello spirito, senza il quale la verità esterna non è completa». Il suo mondo poetico si nutre di una fantasia che richiama la fiaba, radicata nella tradizione russa; le esperienze della sua infanzia rimasero presenti in lui.
Nel 1914 tornò a Vitebsk fermandosi a Berlino, dove il mercante d'arte Herwarth Walden organizzò nella propria galleria la prima mostra dell'artista, che ebbe un gran successo.
Sopra la città, 1918, Galleria Tretyakov Chagall vola con la sua amata sopra la città, distanti da ciò che succede nella politica e nella società, protetti dalla bellezza dell’arte e da un amore che non conosce confini.
Poco dopo il ritorno in Russia, scoppiò la Prima guerra mondiale che, insieme alla successiva rivoluzione, lo avrebbe bloccato in patria. Intanto, si era unito in matrimonio con Bella e nel 1916 nacque la loro prima figlia, Ida.
Egli prese parte alla Rivoluzione russa lavorando al Ministero della Guerra, dove conobbe i grandi poeti del periodo. Incitò gli artisti a seguire il proprio estro creativo; così le opere decorative per il primo anniversario della Rivoluzione, anziché raffigurare i ritratti trionfali di Marx, Engels e Lenin, riportavano effigi di mucche e cavalli volanti umanizzati.
Pannello per il Teatro ebraico 1920, Galleria Statale Tret’jakov di Mosca
Il Violinista verde, 1924, Solomon R. Guggenheim Museum di New York Chagall dipinse questo quadro dopo essere tornato a Parigi.
La casa sullo sfondo rappresenta la Russia che Chagall ha vissuto, l’arte che resiste e sopravvive.
Nella cultura hassidica il violinista era una presenza fissa durante feste e celebrazioni, poiché si pensava che la musica fosse un mezzo per entrare in contatto con Dio.
Quella del violinista è una metafora, egli affonda i propri piedi non nel terreno, ma sui tetti di quelle case che lo hanno visto crescere, ponendo l’attenzione sul passato e sulle radici dell’artista.
Questo dipinto mostra tutte le influenze avanguardiste accolte da Chagall: il disinteresse per la prospettiva, i dettagli spigolosi degli abiti e le movenze bidimensionali.
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Il 2 settembre 1944 l'amatissima Bella, morì. Questo fu un durissimo colpo per l'artista, che per quasi un anno non riuscì più a dipingere. Finita la guerra si stabilì ad Orgeval. Nel 1947 la Francia gli aveva reso omaggio con un'importante mostra personale al Musée d'Art Moderne de la Ville de Paris e l'anno successivo la Biennale di Venezia gli conferirà il Gran Premio per l'incisione.
In questi anni riscoprì la gioia di vivere: le sue opere sono ora dedicate all'amore, con figure morbide e sinuose. Stabilitosi nel sud, egli conosce Valentina Brodsky che sarà la sua nuova musa ispiratrice, affiancando il ricordo di Bella nelle tele.
Intorno alla fine degli anni '50 Chagall comincia a produrre arazzi e soprattutto vetrate.
La sposa, 1950, ubicazione sconosciuta
La peculiarità de "La Mariée" (la sposa) è la scelta dei colori. La giovane donna è vestita in un abito rosso, con un velo bianco sopra la testa, mentre lo sfondo è un mix di blu e grigi. Questo
Città del
effetto consente all'immagine della donna di attirare l'attenzione. Questo quadro include anche uno degli elementi preferiti degli artisti europei del XX secolo: gli animali che suonano strumenti musicali.
Curiosità: Nel film Notting Hill, il personaggio di Julia Roberts, "Anna Scott", vede una stampa de La Mariée in casa di "William Thacker". I produttori ne fecero una copia per il film, ma dovettero ottenere il permesso del proprietario e della "Design and Artists Copyright Society". Alla fine, essendo preoccupati che il falso fosse troppo accurato, tanto da poter far lievitare il mercato e creare problemi, venne distrutto. Alcuni esperti ritengono che la tela originale potrebbe avere un valore compreso tra $500.000 e $1.000.000."
Dopo una vita lunga e ricca di soddisfazioni artistiche e personali, Chagall morì a 97 anni a SaintPaul-de-Vence il 28 marzo 1985.
Denise Pansini, 4°AT Fonti: wikipedia, finestresullarte, artesvelata
VERONA
pandoro e dell’amore
Durante le vacanze, io, Greta e Annalisa, abbiamo deciso di visitare la bella città di Verona, per poter vedere i luoghi che hanno ispirato la storia di Romeo e Giulietta. Per prepararci abbiamo guardato il film del 1968 di Zeffirelli ispirato alla storia dei due giovani innamorati. Il film è pieno di luoghi sorprendenti, come il palazzo di Giulietta o la piazza nella quale avvengono i combattimenti, peccato però che siano edifici toscani o umbri! Il regista ha inserito la veduta di Verona solo all’inizio del film, ma anche queste immagini non ci hanno dato modo di identificare dei luoghi precisi della città.
Una volta giunte a destinazione abbiamo camminato fino a raggiungere piazza Bra: qui si affaccia il Palazzo della Gran Guardia e i giardini di Vittorio Emanuele II, piccoli ma perfetti per chi vuole rilassarsi. In questa piazza abbiamo ammirato l'esterno dell’Arena di Verona, Palazzo Barbieri e Palazzo Gran Guardia. Poi da piazza Bra ci siamo dirette in via Mazzini, la via dei negozi, dove abbiamo fatto un tuffo nella nostra infanzia grazie ad un bellissimo negozio di giochi. Continuando a percorrere quest’elegante via siamo arrivate alla casa di Giulietta, un palazzo medioevale situato
in via Cappello, e una volta lì era impossibile non percepire una sorta di aria romantica data forse dalle scritte d’amore o forse dall’infinità di cuori rossi che dipingevano i muri.
Come tutti i turisti presenti, abbiamo toccato la piccola statua dorata di Giulietta che pare porti fortuna in amore… chissà! Arrivate nel cortile ci siamo accorte subito che l’edificio non era come quello del film, ed è chiaro dai documenti storici che non ci sia mai stata una Giulietta in quel palazzo del 1300 perché in origine era un’osteria. Abbiamo scoperto che
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quello che vediamo oggi non è altro che una “ricostruzione teatrale” di come avrebbe potuto essere la casa di questa ragazza. Il balcone, infatti, è stato aggiunto in un’epoca recente proprio per rendere l’idea che fosse la casa di Giulietta: insomma è tutta una ricostruzione, nulla di veritiero! Visitando l’interno della casa, abbiamo visto il panorama dal balcone e i costumi di scena del film “Romeo e Giulietta” diretto da Zeffirelli; probabilmente non quelli originali ma erano molto simili. Successivamente ci siamo dirette verso Piazza Erbe, la più grande e antica piazza di Verona dove abbiamo girovagato per le bancherelle, potendo così vedere gli “oggetti” tipici del posto e ovviamente abbiamo ammirato la maestosità di Torre Lamberti. Abbiamo poi visitato Piazza dei Signori per ammirare la statua di Dante, superando infine le Arche Scaligere. A questo punto ci siamo ritrovate in alcune vie particolari dove i negozi avevano insegne antiche o decorate con fiori: passeggiare in questo ambiente è stato molto bello e tranquillo perché
sembrava di essere in un piccolo paese e non in una grande città. Abbiamo iniziato a passeggiare tra le librerie Mondadori e Feltrinelli; qui ognuna di noi si è messa a cercare alcuni libri, manga, dischi musicali e poco prima di uscire ci siamo divertite a cercare i nostri nomi sul libro dei nomi.
Ci siamo poi dirette verso Castelvecchio per poter consumare una gustosa merenda e procedere poi per un’incantevole passeggiata lungo il fiume Adige.
Passando per il ponte di Castelvecchio si possono vedere molteplici lucchetti a forma di cuore; qui, come lungo l’Adige, c’è un’atmosfera molto simile a quella che si percepiva nelle scene romantiche del film. Infine prima di tornare in stazione per il rientro a Brescia, ci siamo fermate in un negozietto per prendere un bubble tea. La nostra giornata in compagnia è passata velocemente, ma è stata molto bella.
PER UN PUGNO DI LIBRI
Il 16 novembre 2022 si è tenuta la prima competizione “Per un pugno di libri” nella biblioteca della nostra scuola. Ogni concorrente ha letto il romanzo di Alexandre Dumas, “Il conte di Montecristo”, pubblicato nel XIX secolo. In sintesi, il libro tratta della vendetta pianificata da Edmond Dantes, un marinaio, contro quattro personaggi, ossia il procuratore del re Villefort, il banchiere Danglar, il conte Morcef e l’avido e ladro Caderousse, che l’hanno fatto imprigionare ingiustamente per convenienza e antipatia nei confronti del marinaio. Dopo essere riuscito a uscire di prigione, Edmond segue le indicazioni dategli da un suo
compagno e amico di cella, l’abate Faria, per trovare il tesoro di valore inestimabile. Esso è fondamentale per l’attuazione della sua vendetta perché gli permette di crearsi nuove identità e guadagnarsi la fiducia dei suoi nemici. Il finale è ricco di colpi di scena che puniscono i personaggi egoisti e crudeli come Villefort e danno la possibilità ai personaggi onesti e buoni di crescere e imparare dai propri errori.
Parlando della competizione, le professoresse Bambini e Mariottini hanno fatto delle domande dettagliate alle tre concorrenti per esaminare le conoscenze e le nozioni che avevano acquisito sul
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Greta Bosio, Annalisa Hu, Sofia Lonati, 4°AAFM
romanzo. Le studentesse si sono battute a ritmo di botta e risposta in modo frenetico dimostrando il loro valore, la loro preparazione, la loro passione per la lettura e l’interesse per progetti di questo tipo che permettono di conoscere sé stessi e mettersi in gioco. Dopo aver decretato la vincitrice di questa fase, le professoresse hanno fatto scegliere due libri alle tre concorrenti per ringraziarle della loro partecipazione e dello spirito di gioco che hanno dimostrato nei confronti l’una dell’altra. La prossima competizione si terrà il 7 febbraio 2023 presso
la biblioteca della nostra scuola e coloro che vogliono partecipare dovranno leggere il libro di Margaret Mitchell, “Via col vento”, una storia perfetta per gli appassionati di storie d’amore. Per concludere, ce ne sarà una terza i cui dettagli devono essere ancora definiti. In questa occasione verrà dichiarato il vincitore che si aggiudicherà un premio: un viaggio a Torino pagato dalla scuola per visitare il Museo del Cinema e il Salone Internazionale del Libro.
L’ULTIMO VERO GATTOPARDO
Nel romanzo “Il Gattopardo” (1958) di Giuseppe Tomasi di Lampedusa tutta la vicenda ruota intorno al principe Fabrizio Salina, il vero protagonista dell’opera. Questo è dimostrato, in primo luogo, dal titolo stesso: i membri della nobile famiglia Salina, infatti, sono sempre stati denominati “i Gattopardi” in quanto paragonabili ad animali potenti, che riescono sempre a mantenere il controllo e il dominio sui territori di loro interesse. Nel romanzo sono presenti anche somiglianze tra loro e i leoni, considerati come i re della foresta. I componenti della nobiltà Salina hanno rappresentato a lungo questi attributi fino all'arrivo della Spedizione dei Mille, guidata da Giuseppe Garibaldi. Questo episodio segnò l'avvio della decadenza della famiglia perché da quel momen-
to in poi i borghesi acquisirono sempre più potere (e, in certi casi, persino titoli nobiliari) e questo li mise in ombra; chiaro esempio è il prestigio raggiunto dal sindaco di Donnafugata, don Calogero Sedara, dopo l’Unità d’Italia.
Il Principe Fabrizio Salina è l’unico della famiglia a essere cosciente che tra i suoi discendenti nessuno sarà in grado, a prescindere, di amministrare efficacemente il potere e il denaro degli antenati. Nessuno degli eredi ha quella grinta e quel coraggio che hanno caratterizzato a lungo i Salina: i figli di Fabrizio e Stelluccia non sono dei veri Gattopardi. Questo il Principe lo specifica ricordando le conquiste avvenute in passato e sottolineando il concetto che sia lui l'ultimo vero Gattopardo rimasto. Il titolo allude dunque
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Giulia Massarotto, 5°EL
all’identità del protagonista.
In secondo luogo la centralità del personaggio è evidente dal momento che è sempre il suo volere a influenzare l’andamento della famiglia. Fabrizio accoglie le richieste, ci ragiona su per decidere e poi comunica: così fu quando Concetta, attraverso il sacerdote, rivelò l'amore che provava per il cugino Tancredi. La ragazza non era sicura che il giovane ricambiasse, aveva solo dei sospetti, ma in ogni caso non poteva esimersi dal chiedere l'approvazione del padre. Egli, non volendo assecondare questo sentimento, per temporeggiare riferì alla figlia che prima di decidere, bisognava avere la certezza.
La potenza del Principe si nota anche nel momento in cui scelse di sostenere apertamente il matrimonio di Tancredi con la bella Angelica Sedara: il nipote si era limitato a rivelargli i suoi sentimenti per lettera, ma la vera richiesta al padre di lei, don Calogero, andò a buon fine solo grazie alla diplomazia di Fabrizio.
Un altro episodio rilevante è la richiesta dei cittadini di Donnafugata, sempre rivolta al Principe, quando si trattò di decidere il futuro della Sicilia: cosa avrebbero dovuto votare? L'unione o meno? Gli accadimenti trattati mettono in risalto il potere decisionale e l'influenza che Fabrizio Salina, nonostante la sconfitta dei Borboni, manteneva a Donnafugata, grazie a una reputazione costruita nel corso di una lunga vita.
Infine è evidente che l'autore abbia posto il Principe al centro del romanzo anche perché le vicende sono narrate dal punto di vista di Fabrizio: tutto è filtrato attraverso i suoi dubbi, paure, insicurezze e aspettative.
All'inizio il suo stato d’animo è tranquillo, la situazione è sotto controllo, lui è rilassato: anche
l'ambiente viene visto così dal lettore. Quando invece l'arrivo dei Mille si fa imminente, in lui comincia un periodo di sconforto: le vicende che accadranno successivamente assumeranno allora una tonalità più cupa e anti eroica. A tal proposito particolarmente significativo è il grande contrasto tra i sentimenti del Principe e gli avvenimenti storici: mentre in Sicilia, grazie a Garibaldi, inizialmente sembra si cominci a respirare aria di rivoluzione e libertà, il Principe non crede nel progresso e mantiene sempre una visione fatalistica del mondo; pensa che i siciliani non cambieranno mai nel profondo, non si adegueranno mai davvero ai nuovi ideali dell’Unità d’Italia, perché troppo abituati alle tradizioni del passato, al rispetto per la dominazione; troppo convinti di essere già perfetti. Un miglioramento vero in positivo (inteso come liberazione dall’oppressione) non avverrà mai: i siciliani stessi lo contrasteranno, porranno fine a un’idea di cambiamento prima che questa riesca ad instaurarsi solidamente nella loro realtà. “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”. I grandi ideali (nobiliari e rivoluzionari) sono destinati a svanire. Gli antichi giochi di potere si ripeteranno. E presto lo stesso Garibaldi verrà ferito e il responsabile del gesto accolto come ospite d’onore al ballo della nobiltà…
In conclusione, la narrazione dimostra che Fabrizio è il vero protagonista della storia, perché qualsiasi azione narrata ruota inevitabilmente intorno ai suoi pensieri, alle sue emozioni, alla sua malinconia.
Madalina Bocancea Benedetti, 5°AAFM
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FOLLIA
"Aveva perso il controllo. Non si controlla un innamoramento, mi disse, non è possibile. E la divertiva che fosse potuto accadere in questo modo, con quest'uomo. Un paziente. Un paziente che lavorava nell'orto. Stella, le dissi, non potevi fare una scelta più scriteriata. La verità, mi rispose, è che non ho scelto affatto"
Autore: Patrick McGrath
Anno di pubblicazione: 1998
Trama: 1959. Dall’interno di un manicomio criminale vittoriano uno psichiatra espone il caso clinico più perturbante della sua carriera: la passione tra Stella Raphael, moglie del vice direttore, ed Edgar Stark, artista detenuto per uxoricidio. Alla fine ci si troverà a dover decidere se la “follia” che percorre il libro sia solo nel rapporto vissuto dai protagonisti o anche nel punto di vista di chi ce lo racconta.
Commento: Gli esseri umani sono mammiferi facenti parte del gruppo dei primati, dai quali deriviamo secondo la Teoria dell'Evoluzione di Charles Darwin. Ciò che ci distingue in modo a
dir poco grandioso nel regno animale è la coscienza. Grazie a essa abbiamo sviluppato un senso di superiorità rispetto alle altre specie. Sarà per questo che gli incoscienti vengono considerati "animali"?
Le menti umane mi hanno sempre affascinata. Ai tempi d'oggi le persone si dedicano allo studio scientifico della mente umana, ma secondo la mia opinione personale non saremo mai in grado di comprendere appieno fino a dove la nostra coscienza sia in grado di arrivare. Di recente ho notato diverse somiglianze tra le parti del corpo e quelle dell'universo come l'occhio e una nebula, la nascita di una cellula e la morte di una stella. Una somiglianza particolare che ha catturato il mio occhio è quella tra una cellula del cervello e l'universo vero e proprio, come se la mente umana fosse tanto vasta e altrettanto inesplorata. Questo libro può mostrare come la psicologia e la psichiatria stessa debbano fare sempre più progressi per studiare fino in fondo l'universo nella nostra testa. Si tratta sempre di scienza, ma i progressi non avvengono in modo uniforme: se nel 1969 eravamo appena sbarcati sulla Luna, per esempio, nella stessa epoca le associazioni psichiatriche catalogavano l'omosessualità come una condizione psicopatologica inserendola tra i "Disturbi sociopatici di Personalità".
Per quanto riguarda l’ambito "amoroso", mi ritengo soddisfatta della modalità con cui una relazione di questo tipo è stata trattata nel romanzo. Mi chiedo se alcuni scrittori d'oggi sarebbero stati in grado di trattarla allo stesso modo Oppure l'avrebbero romanticizzata spingendo i giovani all’emulazione (e dando dunque un brutto esempio)?
La follia e la tossicità all'interno delle relazioni non viene sempre compresa abbastanza, anzi, spesso la si cerca pensando sia affascinante un assaggio di pericolo, adrenalina nella propria vita. In realtà succede sempre che l’esito sia un auto distruzione, dalla quale non si può più tornare più indietro.
Consiglierei questo libro proprio a questa generazione, alla mia generazione, per dare un messaggio di speranza, di salvezza, di salvaguardia, di attenzione, perché è sempre meglio prevenire che curare.
Cristina Dogaru, 5°EL
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PROCESSO ALLE STREGHE
un “mantello” rosso che lo ricopriva da cima a fondo, con tanto di croci poste sul cappuccio, mentre gli altri personaggi sono stati sapientemente vestiti dalla stilista della classe, la grande GB, che ha saputo adattare stoffe di ogni tipo al fisico di ciascuno.
Ma sentiamo dalla viva voce degli interessati le impressioni della giornata:
“Eri a conoscenza di cosa facessero alle presunte streghe prima di immedesimarti in loro?”.
“Pensavo fossero interrogate e che quelle ritenute colpevoli poi le decapitassero, ma non avrei mai immaginato che venissero torturate a tal punto per costringerle ad ammettere la colpa.”
“Nel processo, una donna è stata accusata di essere una strega per aver fatto cadere un uomo in tentazione. Credi che anche oggi si dia la colpa alle donne per azioni commesse dagli uomini?”.
Martedì 29 novembre, la classe 4^E Rim è stata catapultata nel 1687, nello specifico in un vero e proprio processo accusatorio nei confronti di una strega!
La classe era divisa in tre grandi gruppi, formati dalle streghe e dai loro sostenitori, dagli inquisitori e dai testimoni delle stregonerie compiute.
Le donne interrogate erano due e, in seguito alle accuse avanzate dalla controparte, hanno dovuto difendersi con gli artigli dagli inquisitori, per riuscire a evitare la messa al rogo.
Di certo non potevano mancare anche i costumi tipici di quel periodo. Un inquisitore indossava
“Anche oggi si crede che le violenze fatte dagli uomini siano scaturite dalla provocazione, dall’abbigliamento, o dal modo di fare delle donne”.
“
È opportuno, secondo te, a così tanti anni di distanza, trattare ancora di questo argomento?”.
“Si, perché si possono effettuare collegamenti utili con temi odierni e della quotidianità, come per esempio la violenza sulle donne o la violazione dei diritti umani”.
“
Considerando l’assurdità delle accuse nei confronti delle presunte streghe, per quale motivo, a tuo parere, erano così condivisi dalle persone dell’epoca?”.
“
Forse perché la società di quegli anni era ancorata ad idee e pregiudizi che non avevano alcun fondamento”.
I pareri emersi dalla classe sono stati tutti molto positivi, ciascuno ha potuto documentarsi su fatti storici in modo alternativo, provando anche a cogliere i punti di vista dei diversi personaggi.
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Erika Chiari, 4°E RIM
VICTORIA LOMASKO: THE LAST SOVIET ARTIST
Il museo S. Giulia ospita quest’anno il terzo capitolo dell’iniziativa intrapresa da Fondazione Brescia Musei per il Festival della Pace di Brescia, il quale in questi ultimi anni ha visto ricorrente il tema della dissidenza politica; nel 2021 infatti il Museo ha ospitato l’artista cinese Badiucao con “La Cina non è vicina. Opere di un artista dissidente”. L’arte che ci viene mostrata è un’arte anticonformista, la quale non può trovare libertà di espressione nei propri paesi d’origine e vuole denunciare la politica totalitarista e tirannica che sopprime ogni pensiero non idoneo all’ideologia del regime. La protagonista di quest’anno è l’artista russa Victoria Lomasko, nata nel 1978 e cresciuta sotto l’istituzione dell’Unione Sovietica; da giovanissima assistette alla dissoluzione dell’URSS e al vano tentativo di introdurre in Russia un nuovo clima liberale occidentalizzato. Il senso di responsabilità in quanto artista l’aveva portata a non abbandonare la sua patria, nonostante i concetti rappresentati nelle sue opere fossero penalmente perseguibili, fino allo scoppio del conflitto russo-ucraino che la costrinse inevitabilmente a rifugiarsi in Europa, poiché il peso della censura imposta da Putin era diventato insostenibile. La ricerca artistica di Lomasko ci permette di visualizzare in modo minuzioso e provocatorio la storia sociale e politica della Russia dal 2011 fino ad oggi: dalle manifestazioni anti Putin che l’artista ha disegnato dal vivo, fino alla “profonda Russia”, quella degli oppressi, che immancabilmente costituiscono i suoi soggetti prediletti. Lomasko viene definita come “L’ultima artista sovietica” sia in senso cronolo-
gico che figurativo: l’arte che ci viene mostrata è di fatto propagandistica, volta a criticare il regime sovietico nel quale è nata e la politica successivamente attuata da Putin. Uno dei temi più ricorrenti nelle opere di Lomasko è quello del conflitto generazionale. La Russia viene rappresentata infatti come lacerata su due fronti distinti ed opposti: da una parte troviamo la vecchia generazione, ancora vincolata agli ideali sovietici, mentre dall’altra troviamo i giovani, i quali manifestano il proprio dissenso nei confronti della Russia putiniana. Questo conflitto è presente ad esempio nell’opera “Snowdrop of generation” della collezione “Frozen Poetry”, dove da un lato vediamo raffigurato il padre di Lomasko con in mano un dipinto della falce e del martello, in quanto artista devoto all’Unione Sovietica, affiancato da un gruppo di rivoluzionari. Accanto a questa scena altre figure intente a manifestare sbucano dalla neve del rigido inverno russo diventando fiori, metafora utilizzata da Lomasko per rappresentare lo spirito dissidente delle nuove generazioni. Quello dell’artista è quasi un giornalismo grafico: lo stile è semplice e fumettistico, volto a narrare
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ed esporre la storia della sua patria, specialmente quella che non emerge attraverso i media. Nella collezione dei “Graphic reportages” Lomasko rappresenta i pensieri e i punti di vista dei marginali, i quali hanno subito ingiustizie da parte del regime russo: nel primo gruppo, “Forbidden art”, ci mostra infatti le vicende del processo dei curatori di una mostra d’arte anticonformista, i quali furono arrestati e condannati. Tuttavia Lomasko non si limita ad assistere passivamente a questi avvenimenti: ha anche intervistato delle sex workers, rappresentandole con linee semplici e spesse nei quindici minuti di pausa tra un cliente e l’altro, riportando alcune delle loro conversazioni. L’indole artistica e dissidente di Victoria Lomasko si spinge tuttavia oltre i quadretti di piccole dimensioni: i temi cardine della denuncia politica e sociale sono tutti raggruppati nei suoi murales, i quali ci forniscono un quadro completo degli elementi attorno ai quali ruota la critica dell’artista e la sua tragica biografia in quanto esiliata. La sezione conclusiva dell’esposizione è “Five steps”, un complesso monumentale di cinque pannelli, realizzati durante il suo soggiorno a Brescia. In
quest’ultimo passaggio vediamo come parole ed immagini possano essere interconnesse, attraverso le diverse fasi di accettazione di una realtà inconciliabile alla natura umana. Lomasko ha voluto raccontarci il suo percorso interiore verso l’espiazione di una colpa che da individuale diventa collettiva. L’ISOLAMENTO in una nazione che opprime l’individualità dei singoli, la FUGA conseguente ed inevitabile, l’ESILIO in terra straniera alla ricerca di salvezza, la VERGOGNA, sua e quella di tutto un popolo che viene strumentalizzato in nome della violenza. Questo percorso si conclude con l’UMANITÀ, il cui valore inalienabile permetterà sempre alla vita di vincere la morte.
Quella di Victoria Lomasko è una pratica artistica che esprime la volontà di non voltarsi di fronte all’orrore; la brutalità dell’uomo viene affrontata senza ombre né veli, attraverso la tecnica del Realismo, capace di spalancare lo sguardo e di far luce sulle innumerevoli ingiustizie dell’attuale storia politica e sociale di una nazione sterminata.
Annachiara Gregorio, 5°GL
Poeta del mese: Pablo Neruda (1903 –1973) premio Nobel nel 1971
Giardinod’inverno
Giunge l'inverno. Splendido dettato mi dan le foglie lente vestite di giallo e di silenzio. Sono un libro di neve, una mano spaziosa, una prateria, un circolo che attende, appartengo alla terra e al suo inverno.
Crebbe il rumor del mondo nel fogliame, arse poi il frumento costellato di fiori rossi come scottature, quindi venne l'autunno a stabilire la scrittura del vino: tutto passò, fu cielo passeggero la coppa dell'estate, e si spense la nube navigante.
Ho atteso sul balcone così funebre, come ieri con l'edera della mia infanzia, che la terra distendesse le sue ali sul mio amore disabitato.
L’ANGOLO DELLAPOESIA
Ho saputo che la rosa sarebbe caduta e che il nocciolo della pesca transitoria sarebbe tornato a dormire e a germinare: mi sono inebriato con la coppa dell'aria fino a che tutto il mare divenne notturno e il rosso delle nubi fu cenere.
La terra vive ora tranquillizzando il suo interrogatorio, distesa la pelle del suo silenzio. Io torno a essere ora il taciturno che venne da lontano avvolto di pioggia fredda e di campane: debbo alla morte pura della terra la volontà delle mie germinazioni.
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DISSENSO
Cuore di daino alberga in calli remote di nubi serotine Voci di nessuno sgomberano ruote di cielo corpi cedevoli chinano creste chimeriche. Soli crebbero all’ombra della rena di imperi tramutati in nidi roventi e calderoni di steril ragion d’arme.
Sentore di abarica quiete. Primeggia nell’aria di regni remoti un grido, una voce, una musica inerte. Ignaro il giorno segue amaro nelle ore soppresse di chi, per paura, non osa pronunciare parola.
Irene Reboldi 5^DL
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nasconde traccia mestamente si posa colore muta
Chen Ying 4^A AFM
splendida luce illumina di sera il freddo inverno
Hou Yihan 4^A AFM
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BODY WORLDS- il ritmo della vita
Presso la stazione di Milano Centrale, il dott. Gunther von Hagens e la dott.ssa Angelina Whalley, curatrice della mostra, presentano la grande mostra dedicata ai cadaveri: Body Worlds – Il ritmo della vita, visitabile dal 4 novembre 2022 fino al 26 febbraio 2023. La mostra è il frutto della scoperta rivoluzionaria di Gunther von Hagens: la plastinazione. Lo scienziato aveva scoperto già nel 1977 all’Università di Heidelberg questo metodo di conservazione e, da allora, lo ha costantemente perfezionato. Tutti i pezzi esposti provengono dal programma di donazione dell’Istituto di Plastinazione di Heidelberg del quale fanno parte ormai oltre 19.000 donatori. La plastinazione è una tecnica che arresta la decomposizione del cadavere e produce campioni anatomici solidi, inodori e durevoli per la formazione scientifica e medica. La produzione di un plastinato di tutto il corpo umano richiede circa 1.500 ore lavorative.
La mostra offre una panoramica completa dell’anatomia del corpo umano. Durante la visita viene spiegato le funzioni dell’organismo e degli organi, con la visione di diverse parti del corpo umano affette da patologie molto ricorrenti nella nostra società.
Body worlds rivela il corpo umano dal livello strutturale a quello cellulare e mostra il corpo interiore attraverso studi anatomici dettagliati, dissezioni intricate e composizioni estetiche che toccano ogni visitatore. Durante l’esposizione ti stupirai delle affascinanti intuizioni sui processi vitali. Potrai scegliere se immergerti nell’esperienza in autonomia o accompagnato attraverso delle spiegazioni degli esperti. Indipendentemente
dall’età apprenderai diverse curiosità del corpo umano, i rischi e le malattie a cui veniamo esposti ogni giorno nel XXI secolo, e come cercare di vivere meglio.
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Madalina Taranu 4^ER
La Corsa Campestre di Istituto - 7 dicembre 2022 IL RITORNO DELLE BUONE PRATICHE
CLASSIFICA CORSA CAMPESTRE DI ISTITUTO A.S. 2022/23
ALLIEVE F
1 BONTEMPI FRANCESCA 2B TUR 2 SPINELLO GIULIA 1A TUR 3 SIRAGUSA ANASTASIA 2B 4 LOSOLE MARGHERITA 1DL 5 GEMINIANI LUCIA 2AL 6 CUCCHI VIOLA 1AL 7 CRISTEA DENISA EUGENIA 3CR 8 PASQUALI SABRINA 1EL 9 MIGLIORATI LUCIA 1BL 10 NOVAGLIA FRANCESCA 2B TUR 11 TONINELLI NOEMI 2EL 12 JAVED NABIHA 1BL 13 SCALVINI GIORGIA 2EL 14 ROMANI CHIARA 2D 15 NICOLAI GIULIA 3CL 16 CHIARA BELLOMI 2C 17 RIZZINI GIORGIA 1DL 18 TIBERTI CHIARA 2EL 19 ROCCA VALENTINA 3BL 20 BETTONI REBECCA 3BL 21 PIGNOLI AURORA 1C 22 ARTUNGHI VALENTINA 2C 23 BONOMETTI NOEMI 2DL 24 AMARFIO KETHLIN 3BR 25 KUPINIC SARA 2C 26 ARDELEAN ADELA 1AL 27 VRAPI VANESSA 2C
ALLIEVI M
1 PELLEGRINI STEFANO 3AT 2 TRAININI ELIA 2F AFM 3 ISMAILI ENRIKO 2D 4 CIPRIANO SIMONE 2B 5 PUCHER GABREILE 2G AFM 6 POLI LORENZO 2G AFM 7 TAMENI DAVIDE 3CL 8 BINI THOMAS 1A AFM 9 ARICI PIETRO 1A AFM 10 FORELLI DAVIDE 2F AFM 11 YOUSSEF MERDAD 2E AFM 12 CONTESSI MATTEO 2F AFM 13 BONOMI NICCOLO 3DL 13 MALACRIDA SEBASTIANO 2G AFM 14 RICCI STEFANO 1CL 15 BAZZINI RICCARDO 1C 16 FAZZI NICOLA 2F AFM 17 MARINI GABRIEL 1BL 18 SOGNE ABDOUL 2B 19 ALIPRANDI MATTIA 2A AFM 20 HIBRAHIMOV HILKHIN 1A TUR 21 BONTEMPO TOMMASO 2C 22 BEGNI TOMMASO 2C 23 GONZINI FILIPPO 1D AFM 24 CREMONESI BRANDO 2A AFM 25 NOVENTA MICHELE 3AT 26 BROGNOLI MATTIA 2B TUR 27 ATIRNZA JUSSEN 2A TUR 28 PRATI PAOLO 1A AFM 29 ASSETTINI ANDREA 3AT
HANNO SCRITTO PER LUNARFOLLIE
ABRAMI SYDNEY, 4°AR
BENEDETTIBOCANCEAMADALINA, 5°AAFM
BOSIO GRETA, 4°AAFM
BUCATEENI, 5°DR
BUTTI AURORA, 5°CT
CAENARO SOFIA, 5°EL
CARGNONI SILVIA, 5°CT
CHIARI ERIKA, 4°E RIM
CHIARINI SARA, 4°AAFM
DOGARU CRISTINA, 5°EL
FRANZONI MARTINA, 5°EL
GAMBA ALESSANDRO, 5°EL
GREGORIO ANNACHIARA, 5°GL
HOU YIHAN, 4°AAFM
HU ANNALISA, 4°AAFM
LA TORRE ELIO, 5°CT
LAX SAMUELE, 5°CT
LIN IVANA, 5°AAFM
LONATI SOFIA, 4°AAFM
MASSAROTTO GIULIA, 5°EL
PANSINI DENISE, 4°AT
PICENI ILARIA, 4°DL
RODELLA ALISON, 3°EL SCAGLIA CLARA, 5°AAFM
SCHIVARDI JENNIFER, 5°CL TARANU MADALINA, 4°ER VODOPYAN NAZAR, 3°FL
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30 RIVA PIETRO 2A TUR 31 FERRARI FILIPPO 2D 32 ZIDANE NESAR 1BL 33 LAZZARONI MATTEO 1EL 34 ZANINELLI JACOPO 3DL 35 CORDINI ANDREA 2EL 36 NERVI FILIPPO 2B TUR 37 DUMITRASCU DAVIDE 1D AFM 38 FACCARDI MATTEO 3CR 39 CLAUDIO PAOLILLO 2C 40 CONTALDO GABRIELE 3BR 40 TONOLI ANDREA 1E AFM 41 BOTTI LEONARDO 2EL 42 CRISTOFANO GIANLUCA 2D 43 NERVI ALESSANDRO 2E AFM 44 SORRENTINO GABRIELE GIANNI 3CR 45 CIURIC DAVIDE 1D AFM 47 DEGIACOMI MARCO 2B 48 SCALVINI LORENZO 1E TUR
JUNIOR F 1 ABENI BEATRICE 5BL 2 DONATI MARTA 4AL 3 OUEDRAOGO FADILA NAOMI 4AT 4 MARSIGLIA DOMINIQUE 4BT 5 CALISSI ALICE 4BL 6 BASANISI ALESSIA 4BL 7 TIRA VANESSA 5BL 8 RODELLA GIULIA 5BL 9 REBUSCHI ALICE 5BL
JUNIOR M 1 NOVENTA NICOLA 4AT 2 BERTOGLIO JACOPO 4BL 3 FRASSINE LUCA 5B 4 ZANIBONI LORENZO 5B 5 CHERUBINI LORENZO 4BR
DIREZIONE
PROF.SSA RITA PILIA
PROF.SSA ELENA BIGNETTI
PROF.SSA MANUELA BAMBINI
PROF.SSA PATRIZIA MARIOTTINI
Lunarfollie viene pensato, prodotto, stampato e distribuito presso il CIMP dell’ IIS “A. LUNARDI” via Riccobelli, 47 Tel. 030/2009508/9/0
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6 GHIDESI NICOLAS 5CT 7 MARCHETTI ALESSANDRO 5FL 8 BELVEDERE VINCENZO 3BR 9 BAZZINI SAMUELE 5FL 10 GELMINI ANDREA 5DL 11 BRAGHIERI JACOPO 4DL 12 GHIDINI FILIPPO 3BT 13 BRUNI FILIPPO 4AL 14 BERUFFI THOMAS 4BL 15 GATTA ENRICO 4FL 16 REBOLLEDO RODRIGUEZ LUIGI 3CR
IMPAGINAZIONE
MAZZUCCHELLI CRISTIAN, 4^CL ABATTI VALENTINA, 5^AL DE ROSA ALESSIA, 5^DR VODOPYAN NAZAR, 3^FL
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PATTINAGGIO: DA PASSIONE A PROFESSIONE
Il nostro Istituto ospita alcuni sportivi che a livello agonistico, tra competizioni nazionali e internazionali, si sono fatti strada fino a costruirsi un proprio nome.
Uno di loro è Mirko Yan, classe 2005, studente della IV A r, eccellenza del pattinaggio su rotelle. In questo articolo troverete la storia della sua giovane carriera, tra alti, bassi, momenti di gloria e sconfitta.
Mirko, come è nata la tua passione per il pattinaggio?
«Mia sorella è stata la fonte di tutto. Prima del pattinaggio, avevo provato diversi sport: calcio, basket, tennis, ma nessuno di essi mi ha mai intrigato così tanto. Lei ha poi iniziato a pattinare, così ho deciso di seguire i suoi passi e provarci.
Direi che ne è valsa la pena: ad oggi sono 14 anni che pratico questo sport.»
È difficile conciliare questo sport con la scuola? «Dipende. Ci sono settimane più difficili di altre, ovviamente, però riesco sempre a superarle anche grazie al mio metodo di studio. Fortunatamente, da bambino, ho frequentato una scuola privata in cui mi seguivano molto e ho acquisito così un metodo di studio efficace, che mi ha aiutato a sviluppare una buona memoria.»
Hai mai pensato di lasciare il pattinaggio? «Si. La scuola, certamente, ha la sua responsabilità, ma solo parzialmente. Il mondo del pattinaggio è pieno di competizione e di persone che cre-
32 17 ERCOLI ALESSANDRO 5BL 18 BONIOTTI LUCA 5AT 19 CONTE ANDREA 4BR 20 NASTASE GEORGEL 4DL 21 BERTONCINI DAVIDE 4BR 22 GENTILINI MARCO 4DL 23 CHEN ALESSIO 4FL 24 COLPANI ALESSIO 4BR 25 BISCHERI MANUELE 3BT
dono in te, ma basta un errore per deluderle. Quando gareggio non penso solo a me, ma anche a loro e a come potrei da un momento all'altro far cadere tutte le speranze che hanno riposto in me. A tutto ciò, spesso si aggiunge la stanchezza: mi alleno infatti dal lunedì al giovedì per almeno 4 ore al giorno per prepararmi alla stagione di gara che va da Febbraio a Settembre ogni anno.»
Qualche ricordo speciale di alcune gare?
«Molti in realtà. Uno è quello della nazionale di quest'anno, dove sono arrivato primo in Coppia. Un altro sono le regionali del 2021, dove, in singolo, sono arrivato primo e sono stato il totalizzatore di punteggio migliore a livello italiano, raggiungendo la vetta della classifica. Sono stati dei bei traguardi dopo alcune sconfitte e momenti di amarezza, come quella portata da Coppa del Mondo a maggio 2021, la prima fase per entrare nei mondiali del 2022 che non aveva portato ai risultati che
avevo sperato. La stanchezza mi aveva colpito in quel periodo, mi ero anche scoraggiato, però ho continuato ad andare avanti, sicuro che ci sarebbero state altre occasioni per eccellere.»
Hai un rito scaramantico?
«Solo uno, niente viola. È un colore che porta sfortuna.»
Hai una fonte di ispirazione?
«Più di una: generalmente trovo ispirazione durante le gare. Magari vedo un particolare passo che mi piace e prendo spunto da quello per future coreografie, lo comunico al coreografo e poi lui si occupa del resto.»
Pensi che il pattinaggio farà parte del tuo futuro?
«Lo spero, ormai per me è una passione, è la cosa che mi piace fare di più in assoluto. Mi piace provare in pista il pomeriggio, gareggiare e ottenere risultati. Al momento un piano futuro per cui incrocio le dita sono i mondiali del 2023. Nel 2020 non sono stati possibili per colpa del Covid, la Cina quest'anno non ha gareggiato, così si punta all'estate dell'anno prossimo.»
Noi speriamo che Mirko riesca nel suo intento e, chissà, magari trionfi con la Cina a livello mondiale l'anno prossimo. Per il momento, gli auguriamo una buona fortuna per tutte le prossime competizioni.
Sydney Abrami, 4°AR
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Una visita alla nostra città di Brescia
imparato a conoscere meglio la nostra città riuscendo così a promuoverla di fronte al nostro gruppo, e piacevole grazie ai turisti stessi con i quali abbiamo potuto confrontarci, godendoci una mattinata insieme. Nelle settimane successive abbiamo avuto anche l’occasione di ospitare nella nostra scuola gli insegnanti tedeschi che ci hanno raccontato e fatto scoprire qualcosa in più su Berlino. Speriamo inoltre di essere stati loro utili in qualche modo e di aver reso il loro soggiorno a Brescia un po’ più piacevole e accogliente!
Gli studenti della 5^CT: Aurora Butti, Silvia Cargnoni, Samuele Lax, Elio La Torre
Lunedì 14 novembre abbiamo accompagnato alcuni ragazzi tedeschi provenienti dalla“AugustSander- Schule” di Berlino per una visita guidata della nostra città. Siamo stati coinvolti in questa piccola avventura grazie alla collaborazione che la nostra scuola ha con la cooperativa Mistral, responsabile dei progetti PCTO sia in Italia che all’estero.
Ognuno di noi ha avuto la possibilità di esercitare concretamente il ruolo di guida turistica, descrivendo piazze e monumenti, rispondendo alle domande del gruppo e consigliando negozi o locali
secondo le esigenze del turista, naturalmente tutto "auf Deutsch!". È stata un’esperienza molto costruttiva, abbiamo
Mariah: La Magia della Musica
Sarete d'accordo con me che quando si avvicina il periodo natalizio, che convenzionalmente inizia l'8 dicembre fino al giorno dell'Epifania, l'ambiente intorno a noi viene illuminato da luci di colore rosso, verde e oro che accecano gli occhi e il cuore, il tutto accompagnato da pranzi abbondanti e da una calorosa colonna sonora. Natale e musica, infatti, creano un binomio perfetto che ci regala un mood festivo e forse anche un po' di nostalgia per i ricordi felici della nostra infanzia. A conferma di questo, ogni anno dalla fine di novembre, dopo la ricorrenza di "Thanksgiving", la top five della classifica musicale americana più importante, Billboard, è dominata solamente da
canzoni a tema natalizio. Data la forte richiesta, in crescita ogni anno, tanti artisti si sono dilettati nella produzione e scrittura di testi natalizi, ma solo pochi di loro sono riusciti a creare melodie iconiche che a distanza di anni dominano ancora le classifiche e i cuori di tutto il mondo.
Una degli artisti più celebri è la nostra amata Mariah Carey che con le sue canzoni più famose, tra cui "Only I want for Christmas is You", "Oh Santa!" e 'O Holy Night", è diventata la voce del Natale. La diva è stata soppraminata "regina delle feste", che sembra far attendere a tutti il suo consenso per aprire le porte al periodo natalizio.
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Mariah scrisse e pubblicò "All I Want for Christmas Is You" come primo singolo per il suo quarto album "Merry Christmas" il 29 ottobre 1994.
La traccia è una canzone d'amore accompagnata da rintocchi di campane e cori natalizi. È stata descritta da un celebre magazine americano come "una delle poche degne aggiunte moderne al repertorio festivo". La canzone divenne un successo globale, raggiungendo la vetta delle classifiche in ben ventisei paesi e nel 2019, 25 anni dopo la sua uscita originale, riuscì a battere diversi record come la canzone che trascorse più tempo alla posizione numero uno. Con una vendita stimata di oltre 14 milioni di copie in tutto il mondo, "All I Want for Christmas Is You" è uno dei singoli fisici più venduti nella storia della musica. Il brano continua a crescere in termini di popolarità ed ogni anno fa incassare all'artista circa 500 mila dollari.
La popolarità della canzone è dovuta a molteplici fattori, il più ovvio è la potente estensione vocale della cantante, ma anche l'abile scrittura e il tema della canzone hanno giocato un ruolo fondamentale nel successo del brano.
Secondo le analisi di musicologi, Mariah si è ispirata alla struttura delle canzoni festive degli anni '40 e '50, che donano quel tocco di nostalgia a tutti gli ascoltatori. Tuttavia, a differenza delle melodie di quell'epoca, il brano offre una versione più adulta della solita canzone natalizia, rinnovando la tradizionale iconografia incentrata
esclusivamente sui bambini. Il soggetto musicale infatti è l'amore, un tema rivolto ad una fascia molto più ampia e in cui tutti possono identificarsi: l'amante non ha un nome né un genere, e a tutti piacerebbe avere una dolce metà durante le vacanze. È una canzone d'amore secolare, non un canto religioso.
Nonostante tutto, il co-sceneggiatore del pezzo ha affermato in un'intervista che l'idea di realizzare un album di Natale era molto rischiosa per un'artista contemporanea come Mariah Carey all'epoca. “Allora, non c'erano molti artisti con album di Natale, e la canzone non aderiva ai suoni natalizi dell'epoca."
Tuttavia, Mariah, una donna conosciuta per la sua inclinazione ad essere "festosa" fin dalla nascita, è stata capace di riportare il trend degli album natalizi e ad aggiornare il repertorio ormai antiquato e ha saputo regalarci una melodia che ogni anno scalda i cuori di ognuno di noi.
Linda D'Angelo 4°AT
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Ma come si è aggiudicata questo titolo?
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FURTO AL LUNARDI!!!
Oggetto: Alberello di natale
Proprietario: Luigi (per gli amici Gigi)
Cercasi alberello di Natale, scomparso la scorsa settimana, dal bancone al piano terra dei collaboratori scolastici Luigi e Antonio. Chi ne è in possesso, o abbia informazioni utili a riguardo, lo faccia sapere al proprietario o agli studenti della classe 5° A AFM! Grazie per la collaborazione.
Fac-simile alberello
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