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Diana Wynne Jones

Il castello errante di Howl (Howl's moving castle,1986)

Questo libro è per Stephen

Prefazione L'idea da cui è nato questo libro mi è stata suggerita da uno studente che incontrai in una mia visita presso una scuola, e che mi chiese di scrivere un romanzo intitolato The moving castle. Mi ero presa un appunto con il nome di quel ragazzo, poi l'ho messo in un posto sicuro, per non perderlo. Ma il posto era troppo sicuro, tanto che non sono più riuscita a ritrovare quell'appunto. Mi piacerebbe tanto poterlo ringraziare di cuore. CAPITOLO UNO In cui Sophie parla ai cappelli Nella terra di Ingary, dove realmente esistono cose come stivali delle sette leghe e mantelli che rendono invisibili, essere il primogenito di tre fratelli è considerata una sfortuna piuttosto grossa. Colui che nasce per primo, infatti, è anche quello destinato a sbagliare per primo; e sarà ancora peggio se sarà l'ultimo ad andarsene di casa in cerca di fortuna...


Sophie Hatter era la primogenita di tre sorelle, e non era nemmeno figlia di un povero taglialegna, cosa questa che le avrebbe dato una qualche possibilità di successo; i suoi genitori, anzi, erano benestanti e gestivano un negozio di cappelli per signora nella prospera cittadina di Market Chipping. È vero che la mamma di Sophie era morta quando la bambina aveva solo due anni e la sua sorellina Lettie ne aveva uno, ed è anche vero che il loro babbo si era presto risposato, prendendo in moglie la commessa più giovane del loro negozio, una biondina molto graziosa di nome Fanny. Ed è pur vero che Fanny aveva dato ben presto alla luce un'altra bimba, Martha. Ma tutto ciò non servì a Sophie per bilanciare lo scomodo peso della primogenitura. Inoltre la nascita di Martha avrebbe dovuto trasformare Sophie e Lettie nelle due brutte sorellastre, invece tutte e tre le bimbe, crescendo, divennero molto carine (anche se Lettie era considerata da tutti la più bella) e venivano trattate da Fanny senza alcun favoritismo, con la stessa identica dolcezza. Il signor Hatter era tanto orgoglioso di queste sue tre figliole da far frequentare loro la miglior scuola della città. Sophie era la più studiosa delle tre e passava buona parte del suo tempo a leggere. Così presto si rese conto che avrebbe avuto poche opportunità di vivere un interessante futuro. Questa consapevolezza le lasciava un po' di amaro in bocca, tuttavia riusciva a sentirsi ancora abbastanza felice nell'occuparsi delle sorelle minori e nel prendersi cura in particolare di Martha, proprio mentre si avvicinava il momento in cui la più piccola sarebbe uscita di casa per affrontare il proprio destino. Poiché Fanny era sempre occupata in negozio, era Sophie a seguire l'educazione delle sorelline che spesso litigavano furiosamente, prendendosi per i capelli, perché Lettie non si rassegnava a essere la secondogenita, e quindi quella che, dopo Sophie,


avrebbe avuto un futuro meno brillante. — Non è giusto! — gridava Lettie. Per quale motivo Martha deve avere la parte migliore solo perché è nata per ultima? Io sposerò un principe, vedrete! —. Al che Martha inevitabilmente rispondeva che sarebbe stata lei a diventare ricca in maniera ributtante senza dover sposare proprio nessuno. A questo punto Sophie era costretta a separarle a viva forza e quindi a rammendare i loro abiti. Diventò così, poco a poco, anche piuttosto abile nel cucito e cominciò a confezionare per le sorelle dei vestiti molto carini; per esempio, in occasione di quel Calendimaggio che segna l'inizio vero e proprio di questa storia, Sophie cucì un abito per Lettie di un bel rosa intenso, talmente principesco da far dire a Fanny che sembrava uscito dal più pretenzioso negozio di Kingsbury. Già un bel po' prima di quella festa erano cominciate a circolare di nuovo delle chiacchiere sulla Strega delle Terre Desolate. Dicevano che la Strega avesse minacciato la vita della figlia del Re, e che il sovrano avesse dato l'ordine al suo negromante personale, il Mago Suliman, di andare nelle Terre Desolate per trattare. Sembrava, però, che la missione fosse fallita e la Strega avesse ucciso Suliman. Così quando un alto castello nero, con quattro snelle torri che sputavano nuvole di fumo scuro, apparve all'improvviso sulle colline di Market Chipping, tutti pensarono che la Strega fosse di nuovo uscita dal suo territorio per spaventare l'intero paese, come aveva fatto cinquant'anni prima. La gente cominciò a essere terrorizzata e nessuno usciva più da solo, soprattutto di notte. Quello che faceva maggiormente paura era il fatto che il castello non stesse fermo in uno stesso posto: a volte la sua sagoma indistinta incombeva nera e tetra sulla brughiera a nordovest, altre si innalzava sulle rocce a est; qualche volta, invece, scendeva dalle colline e si andava a posare sull'erica appena


oltre l'ultima fattoria a nord della cittadina. Spesso si riusciva a scorgerne il movimento, mentre le sue torri sputavano getti di fumo grigio e sporco. Tutta la popolazione avrebbe giurato che il castello sarebbe sceso a valle di lì a non molto, e per questo il Sindaco cominciò a pensare di chiedere aiuto al Re. Il castello però non scese lungo la valle, rimase a vagare fra le colline mentre si spargeva la notizia che non apparteneva affatto alla Strega, bensì a Howl, il Mago. Il che non migliorava, però, la situazione; si diceva infatti che il Mago non muovesse il castello dalla zona perché si divertiva a collezionare ragazze dai dintorni. Alle giovani succhiava l'anima o, sostenevano alcuni, mangiava il cuore. Era un essere freddo e crudele, e nessuna ragazza si sarebbe salvata se mai fosse caduta nelle sue mani. Sophie, Lettie e Martha, come tutte le giovani di Market Chipping, erano state avvisate del pericolo e non potevano uscire da sole, cosa che finiva per essere una grande seccatura; mentre anche loro, come tutti, si chiedevano che cosa mai se ne facesse il Mago di tutte quelle anime che andava collezionando. Tuttavia le tre ragazze dovettero presto affrontare un'altra preoccupazione ben più grave e vicina: il signor Hatter morì all'improvviso, più o meno quando Sophie stava per concludere gli studi. La famiglia si rese subito conto che il cappellaio era stato fin troppo orgoglioso delle sue figliole: una volta pagate le alte rette scolastiche, la contabilità del negozio rivelava più debiti che crediti! Dopo il funerale, Fanny spiegò la situazione alle figlie; le riunì nel salotto della loro casa attigua alla cappelleria, si sedette e disse: — Temo che dovrete abbandonare quella scuola. Ho rifatto i conti cento volte, ma da qualunque parte si guardino, proprio non tornano... L'unico modo per mandare avanti il negozio e prendermi cura di voi è sistemarvi come apprendiste


in qualche posto che possa assicurarvi un buon avvenire. Non è possibile tenervi tutte e tre in negozio, non posso permettermelo. Così, ecco la mia decisione: prima Lettie... Lettie alzò lo sguardo. Era il ritratto stesso della salute e della bellezza, che né il dolore, né l'abito a lutto potevano nascondere. — Ma io voglio continuare a imparare! — E lo farai, tesoro! — ribatté Fanny. — Ti ho sistemato da Cesari, la pasticceria sulla Piazza del Mercato. Hanno fama di trattare i loro apprendisti come re e regine. Sono sicura che lì sarai felice e imparerai un commercio che ti potrà essere molto utile. La signora Cesari è una mia buona cliente e una cara amica. Ha accettato di prenderti per farmi un favore personale, anche se al momento non ha veramente bisogno di una nuova apprendista. Dalla risata di Lettie tutte capirono che non era per nulla soddisfatta. — Bene, grazie... Non è una fortuna che mi piaccia cucinare? Fanny non badò al tono un po' caustico con il quale furono pronunciate queste parole, anzi, sembrò sollevata: Lettie a volte riusciva a essere testarda in modo decisamente fastidioso e inopportuno. — E ora Martha — continuò Fanny, — so che sei troppo giovane per andare a lavorare, così mi sono preoccupata di trovarti qualcosa che ti potesse garantire un lungo e tranquillo tirocinio e potesse esserti utile qualsiasi cosa tu decida di fare in futuro. Conosci, vero, la mia vecchia compagna di scuola Annabel Fairfax? La bionda Martha sgranò i disarmanti occhioni grigi su Fanny. Tutto in lei sembrava fragile, ma in realtà sapeva essere cocciuta tanto quanto Lettie. — Intendi quella donna che parla in continuazione? Ma non è una fattucchiera? — chiese alla


madre, la quale si affrettò a risponderle con l'ansia nella voce — Sì, Martha. Ma ha una bella casa piena di clienti che vengono da tutta la Vallata del Folding. Poi è una donna dal cuore d'oro e trasferirà su di te tutto il suo sapere. Senz'altro ti presenterà la bella gente che lei conosce a Kingsbury. Una volta completata la tua educazione, ti ritroverai sistemata per tutta la vita. — È una donna simpatica — concesse Martha. — Va bene, andrò da lei. Mentre Sophie ascoltava si rendeva conto che Fanny aveva sistemato tutto per il meglio. Lettie, in quanto secondogenita, probabilmente non avrebbe mai avuto grandi opportunità, così Fanny l'aveva sistemata dove avrebbe potuto incontrare un giovane apprendista, sposarsi e vivere felice e contenta. Martha, che era quella destinata al pieno successo, avrebbe avuto arti magiche e amici ricchi ad aiutarla. Per quanto riguardava lei personalmente, Sophie non aveva dubbi su quanto l'aspettasse, per cui non fu per nulla sorpresa dalle parole di Fanny — Ora, Sophie cara, l'unica cosa giusta è che tu erediti la cappelleria quando io mi ritirerò, poiché sei tu la primogenita. Così ho deciso di tenerti come apprendista, per darti l'opportunità di imparare il mestiere e i trucchi di questa attività. Cosa ne pensi? Sophie avrebbe voluto dire che era semplicemente rassegnata a vendere cappelli, ma ringraziò, cercando di apparire grata per quella decisione. — Bene — concluse Fanny, — allora è tutto a posto! Il giorno dopo Sophie aiutò Martha a sistemare i suoi abiti in uno scatolone e la mattina successiva tutte rimasero sulla porta a salutare la più giovane che se ne stava diritta e immobile sul carretto del barocciaio. Sembrava ancora più piccola e sul suo viso si leggeva un evidente nervosismo. Martha era comprensibilmente spaventata poiché la strada che portava alla


casa della signora Fairfax, sull'alta Valle del Folding, si inerpicava proprio sulle colline oltre il castello errante di Howl. — Se la caverà benissimo — disse Lettie. Al contrario della sorella aveva rifiutato ogni aiuto per fare i bagagli, e quando il carretto fu fuori dalla vista radunò in fretta tutto quello che possedeva, lo infilò in una federa e diede sei centesimi al garzone del vicino perché portasse con la carriola il suo fagotto da Cesari. Lettie marciò dietro al ragazzo con un'espressione molto più festosa di quanto Sophie si aspettasse. Anzi, aveva proprio l'aria di una che volesse scrollarsi al più presto dalle scarpe ogni granello di polvere della cappelleria. Il garzone riportò poi un messaggio, scribacchiato in fretta da Lettie, con il quale informava la famiglia di aver sistemato le proprie cose nel dormitorio delle ragazze e di aver già avuto l'impressione che da Cesari ci si potesse divertire un sacco. Una settimana più tardi il barocciaio portò una lettera di Martha che comunicava come fosse arrivata sana e salva; della signora Fairfax diceva che era una donna deliziosa con la passione per l'apicoltura e che, per questo, metteva il miele su qualsiasi cosa! Per molto tempo quelle furono le uniche notizie che Sophie ebbe delle sorelle, anche perché lei stessa cominciò il suo tirocinio il giorno in cui Lettie e Martha se ne andarono dalla casa paterna. Naturalmente Sophie conosceva già piuttosto bene tutto quello che c'era da sapere sui cappelli. Fin da piccolina infatti era stata abituata ad attraversare il cortile e correre dentro e fuori dal vasto laboratorio dove venivano inumiditi i cappelli per poi essere modellati sulle apposite forme e dove venivano fatti, con cera o seta, i fiori, la frutta e gli ornamenti vari che servivano da guarnizione. Sophie conosceva tutte le persone che vi lavoravano, la maggior parte delle quali era già lì quando il babbo era ancora un ragazzo. Conosceva bene anche Bessie,


l'unica commessa rimasta, e tutte le clienti della cappelleria. Conosceva tutti i fornitori e il barocciaio che, dalle campagne circostanti, portava sul suo carretto i cappelli di paglia grezza pronti per essere modellati. Sapeva come si facevano i feltri per i cappelli invernali... Insomma, non c'era molto che Fanny potesse insegnarle, tranne forse il modo migliore per indurre le clienti a un acquisto. Fanny le aveva detto: — Mia cara, sei tu che devi condurre la cliente al cappello adatto a lei. Per prima cosa falle vedere dei modelli che non le stiano bene, così appena indosserà quello che le sta meglio, sarà lei stessa a scoprire che è quello giusto. Sarà tutta soddisfatta e si convincerà da sola a comperarlo. In pratica, però, Sophie non rimase a servire in negozio. Dopo aver trascorso un paio di giorni a osservare le attività nel laboratorio e dopo aver speso un'altra giornata in giro con Fanny dal tessitore e dal mercante di seta, Sophie fu destinata dalla matrigna a guarnire i cappelli. Se ne stava seduta nell'angusto retrobottega, cucendo rose e velette; foderava di seta cuffie e cappelli e li adornava con frutta di cera e nastri secondo la tendenza del momento. Sophie si rivelò molto abile e questo lavoro le piaceva, ma non poteva fare a meno di sentirsi isolata e un po' depressa. Gli operai della cappelleria erano troppo vecchi per essere divertenti, e inoltre la trattavano come la futura padrona, non una di loro. Anche Bessie si comportava nei suoi confronti allo stesso modo e comunque l'unico argomento di conversazione della commessa era il giovane fattore che l'avrebbe sposata la settimana dopo il Calendimaggio. Ma Sophie invidiava soprattutto la vivace attività di Fanny che era libera di andare e venire a suo piacimento e rimanere a contrattare con il mercante di seta tutte le volte che ne aveva voglia.


L'unico aspetto interessante delle sue giornate era costituito dalle chiacchiere delle clienti, che Sophie riusciva a cogliere dal suo bugigattolo. Nessuno riusciva a comperare un cappello senza fare dei pettegolezzi e lei, seduta a cucire nel retrobottega, ascoltava le chiacchiere che si facevano in negozio. Veniva così a sapere che il Sindaco non voleva mai mangiare verdure verdi, oppure che il castello di Howl, il Mago, era di nuovo in movimento sulle scogliere e che il suo terribile proprietario... Ma a questo punto la voce si riduceva a un bisbiglio, come sempre quando si parlava del Mago. Tuttavia una volta Sophie riuscì a sentire chiaramente che il mese prima Howl aveva catturato una ragazza della valle. — Barbablù — sussurrarono piano le voci in negozio, per alzare subito dopo il volume, mentre affermavano che la nuova acconciatura di Jane Farrier era proprio orrenda. Quella era una ragazza che non avrebbe attratto neppure il Mago, figuriamoci un uomo rispettabile! Fra tutti i bisbigli ce ne fu anche uno, fugace e impaurito, sulla Strega delle Terre Desolate, tanto che Sophie comincio a pensare che il Mago e Strega avrebbero proprio dovuto incontrarsi. — Sembrano fatti l'uno per l'altra — fece notare al cappello che aveva in mano, — qualcuno dovrebbe proprio organizzare una bella gara fra quei due! Improvvisamente, ai primi di aprile, i pettegolezzi si incentrarono tutti su Lettie. Si diceva che la pasticceria fosse incredibilmente affollata, di giorno e di sera, da gentiluomini che volevano essere serviti dalla nuova commessa e che compravano quantità enormi di dolciumi pur di parlarle. Lettie aveva avuto ben dieci proposte di matrimonio, dal figlio del Sindaco allo spazzino, ma lei le aveva rifiutate tutte, dicendo che era ancora troppo giovane per prendere una qualsiasi decisione.


— Mi sembra che Lettie si sia comportata finora in modo molto sensato — disse Sophie a una cuffia che stava foderando di seta plissettata. E Fanny commentò compiaciuta: — Sapevo che se la sarebbe cavata benissimo! Sembrava che fosse sinceramente felice della notizia, ma a Sophie venne da pensare che forse Fanny era doppiamente contenta perché Lettie non era più nei paraggi. — Lettie non sarebbe andata per niente bene con le clienti — disse alla cuffia, mentre pieghettava la seta dal colore di un fungo verdastro, — avrebbe fatto sembrare affascinante anche un vecchiume triste come te. Le altre donne guardano Lettie e perdono ogni speranza... Man mano che il tempo passava, Sophie parlava sempre di più con i cappelli, visto che non c'era nessun altro con cui scambiare quattro chiacchiere. Fanny se ne stava fuori quasi tutto il giorno a mercanteggiare o a cercare di invogliare le signore a nuovi acquisti, mentre Bessie era impegnata a servire e a comunicare a tutti i suoi progetti matrimoniali. Sophie prese così l'abitudine, man mano che finiva un cappello e lo metteva sull'apposita forma, di fare una breve pausa dal lavoro; si soffermava a valutare il copricapo, che in quella posizione sembrava una testa senza corpo, quindi gli spiegava chi avrebbe dovuto essere la sua proprietaria, gli descriveva l'immaginario fisico sottostante, lo blandiva e lo adulava, proprio come avrebbe fatto con una cliente. — Lei, mia cara, ha veramente un fascino misterioso — disse a una veletta che lasciava intravvedere dei piccoli Strass. A un cappello color crema con delle rose che spuntavano al di sotto dell'ampia tesa predisse invece un ricco matrimonio, mentre a una paglietta verde come un piccolo vermiciattolo, adorna di una lunga penna arricciata dello stesso colore, non poté fare a meno di dire: — Sei proprio


giovane e fresca come una fogliolina primaverile! Alle cuffie rosa sussurrava che avevano il fascino delle fossette di una bimba, mentre ai cappelli eleganti rifiniti in velluto diceva che erano intelligenti e arguti. Alla cuffietta con la seta plissettata color fungo disse: — Hai un cuore d'oro, e una persona di alto rango lo vedrà e si innamorerà di te —. Questo solo perché provava pietà per quella cuffia che sembrava così disadorna, austera, un po' triste. Il giorno successivo a quella frase, Jane Farrier entrò in negozio e comprò la cuffietta triste. Sophie fece capolino dal retrobottega e pensò che effettivamente la pettinatura di Jane era un po' strana, come se la ragazza avesse attorcigliato ai capelli un mazzo di bastoncini. Era un vero peccato che Jane avesse scelto proprio quella cuffia. In quel periodo sembrava che tutti volessero acquistare cappelli e cuffie; forse era il frutto della propaganda fatta da Fanny o forse era semplicemente l'avvicinarsi della primavera, stava di fatto che gli affari della cappelleria avevano proprio preso il volo, tanto che Fanny cominciò a dire in tono un po' colpevole che non avrebbe dovuto essere così precipitosa nel piazzare Martha e Lettie fuori casa, perché a quel punto avrebbero potuto benissimo cavarsela tutte quante con i proventi del negozio. Mentre i giorni di aprile correvano veloci verso il Calendimaggio, c'era talmente tanto da fare nella cappelleria, che Sophie aveva dovuto indossare un contegnoso abito grigio e servire in negozio. Ma tale era la richiesta che non riusciva a guarnire i cappelli fra una cliente e l'altra, per cui ogni sera la ragazza doveva portarsi il lavoro a casa, dove lavorava alla luce della lampada fino a notte fonda per poter avere dei cappelli da vendere il giorno successivo. I copricapo più richiesti erano le


pagliette verdi vermicello come quella della moglie del Sindaco, seguite dalle cuffiette rosa. Poi, la settimana prima del Calendimaggio, entrò in negozio una cliente che voleva la stessa cuffietta color fungo che indossava Jane Farrier il giorno che si era imbattuta nel Conte di Catterack. Quella notte, mentre cuciva, Sophie ammise a se stessa che la sua vita era veramente triste e monotona. Invece di parlare ai cappelli, man mano che li finiva cominciò a provarli e a guardarsi nello specchio. Ma fu un errore. Il serio vestito grigio che indossava non le donava per nulla, soprattutto ora che aveva gli occhi cerchiati di rosso dal troppo cucire e non le stavano bene né le pagliette verdi, né le cuffiette rosa, visto che i suoi capelli erano del colore rossiccio dorato della paglia; la cuffia color fungo, poi, la faceva sembrare ancora più depressa. — Sembro proprio una vecchia domestica — disse all'immagine riflessa nello specchio. Non che volesse imbattersi in un conte come era successo a Jane Farrier e non sognava neppure mezza città ai suoi piedi come era capitato a Lettie, ma voleva fare qualcosa (non sapeva nemmeno lei cosa!) che fosse un po' più interessante del guarnire cappelli. Se ne andò a letto riproponendosi di trovare il tempo, il giorno dopo, di andare a trovare sua sorella da Cesari. Ma non andò. Vuoi che non riuscì a trovare il tempo, vuoi che non riuscì a trovare l'energia per farlo, vuoi che il percorso le sembrasse troppo lungo, vuoi che le tornasse in mente il pericolo che poteva correre di incontrare il Mago Howl, Sophie non si mosse né quel giorno né i successivi, anzi, ogni giorno Sophie incontrava una nuova difficoltà che le impediva di andare a trovare Lettie. Era molto strano perché Sophie aveva sempre pensato di essere volitiva quasi quanto la sorella; ora invece scopriva che c'erano delle cose che poteva fare solo


quando non le fosse rimasta più neppure una scusa. — È assurdo, la Piazza del Mercato è solo due strade più in là. Se corro... — e giurò a se stessa che sarebbe andata da Cesari il giorno del Calendimaggio, quando anche la cappelleria avrebbe chiuso. Intanto arrivò anche in negozio un pettegolezzo nuovo: il Re aveva litigato con suo fratello, il Principe Justin, che, quindi, era andato in esilio. Nessuno veramente sapeva il motivo del litigio, ma i soliti ben informati assicuravano che il Principe, un paio di mesi prima, avesse attraversato la Piazza del Mercato sotto mentite spoglie senza essere riconosciuto da nessuno, e se ne fosse andato. Il Conte di Catterack era stato mandato dal Re in cerca del fratello, quando si era invece imbattuto in Jane Farrier. Sophie, nell'udire tutte quelle chiacchiere, si sentì ancora più triste. Sembrava che le cose interessanti capitassero sempre e solo agli altri. Di nuovo pensò che sarebbe stato carino rivedere Lettie. Finalmente giunse il Calendimaggio. La gente festante cominciò a riempire le strade fin dall'alba. Anche Fanny uscì di buon mattino, ma Sophie doveva finire un paio di cappelli prima di poter lasciare il negozio. Comunque si ritrovò a canticchiare mentre cuciva, dopotutto anche Lettie stava lavorando: da Cesari tenevano aperto fino a mezzanotte nei giorni di festa. — Comprerò uno dei loro dolci alla crema — decise Sophie, — sono secoli che non ne mangio uno... Intanto sbirciava dalla vetrina la folla che riempiva la strada in un caleidoscopio di colori; guardava i venditori di souvenir, le persone che camminavano sui trampoli e si sentì veramente eccitata, felice. Ma quando alla fine si mise uno scialle grigio sul suo grigio vestito da lavoro e uscì in strada, non si sentì più tanto eccitata. Anzi, si ritrovò del tutto priva di forze. C'era


troppa gente che quasi la travolgeva, ridendo e urlando, c'era troppo rumore e troppa calca. Sophie sentì come se i mesi trascorsi seduta a cucire l'avessero trasformata in una vecchia o in una donna semi-invalida. Si strinse nello scialle e strisciò lungo i muri delle case, cercando di non essere calpestata da tutte quelle scarpe della festa o infilzata da tutti quei gomiti ricoperti da lunghe, ampie maniche di seta. Quando arrivò improvvisa, da qualche parte sopra la sua testa, una scarica di detonazioni, Sophie si sentì sul punto di svenire. Alzò lo sguardo e vide il castello del Mago scendere dalle colline e scivolare veloce verso la città. Si avvicinò al punto che sembrava volesse alzarsi in volo per poi posarsi sui camini delle case; da tutte e quattro le torri uscivano delle fiamme bluastre che si portavano dietro delle spaventose palle di fuoco blu che esplodevano alte nel cielo. Sembrava che il Mago fosse offeso dal Calendimaggio o, al contrario, forse si stava unendo, a modo suo, ai festeggiamenti. Sophie era troppo terrorizzata per preoccuparsi di quale delle due ipotesi rispondesse a verità e sarebbe tornata volentieri indietro, ma ormai aveva già percorso più di metà della strada, così si mise a correre verso la pasticceria di Cesari. E mentre correva pensava perché mai avesse sognato di voler vivere una vita interessante. — Non potrei sopportarla, sono troppo paurosa. Succede, se sei la più vecchia di tre sorelle! Quando raggiunse la Piazza del Mercato la situazione diventò, se possibile, ancora peggiore. Nella piazza si trovava la maggior parte delle taverne della città e compagnie di giovani, già ebbri di birra, entravano e uscivano dai locali. I ragazzi si pavoneggiavano nei loro mantelli, facevano roteare le lunghe maniche degli abiti a festa e battere i tacchi degli stivali adorni di fibbie luccicanti, che non si sarebbero mai sognati di


indossare in un giorno di lavoro. Si chiamavano e facevano ad alta voce ogni tipo di apprezzamento, cercando di avvicinare le ragazze, che da parte loro erano pronte a lasciarsi avvicinare, mentre anch'esse si pavoneggiavano negli abiti della festa e camminavano a coppie o a piccoli gruppi. Era normale nel giorno del Calendimaggio, ma Sophie era terrorizzata anche da quella consuetudine, tanto che quando un uomo giovane e vestito in un fantastico costume blu e argento la notò e decise di accostarla, Sophie si rifugiò nel vano della porta di un negozio e cercò di nascondersi. Il giovane la guardò sorpreso. — Va tutto bene, piccolo topino grigio — le disse ridendo, ma dalla sua risata traspariva una certa pietà. — Ti voglio solo offrire da bere. Non avere paura. Lo sguardo compassionevole che le rivolse fece venire a Sophie la voglia di scavarsi una buca per la vergogna. Per di più era un esemplare di maschio veramente affascinante (forse solo un po' troppo vecchio, senz'altro sulla ventina) con un viso ossuto, sofisticato e i capelli biondi acconciati in maniera piuttosto elaborata. Le sue maniche pendevano più lunghe di qualsiasi altra manica vi fosse nella piazza ed erano tutte smerlate e ricamate con inserti d'argento. - Oh, no, vi ringrazio, signore... per favore, io... - balbettò Sophie, - .. .io sto andando a trovare mia sorella. - Be', allora fallo —. Il giovane scoppiò a ridere fragorosamente. — Chi sono io per impedire a questa graziosa dama di raggiungere la propria sorella? Ti piacerebbe se ti accompagnassi? Sembri così spaventata. Probabilmente voleva solo essere gentile e questo fece vergognare ancora di più Sophie, che disse tutto d'un fiato: — No. No, la ringrazio, signore! —. Poi, fuggì via più in fretta che poté Il giovane aveva


un intenso profumo di giacinti che seguì Sophie mentre se la dava a gambe. Che persona raffinata! Senza ulteriori incontri Sophie arrivò da Cesari, dove tutti i tavoli, sia quelli esterni che quelli interni al locale, erano occupati da avventori pigiati gli uni contro gli altri che facevano un baccano quasi maggiore di quello che si sentiva in piazza. Sophie individuò Lettie nella fila delle ragazze dietro il bancone dal grappolo di contadinotti che gridavano al suo indirizzo cercando di appoggiare i gomiti al banco e di attirare la sua attenzione. Lettie, più carina che mai e forse un po' più magra, stava mettendo dolci nei sacchetti più velocemente che poteva, poi dava un abile e secco giro a ciascun sacchetto mentre sorrideva agli avventori, guardandoli da sotto il gomito alzato nel rapido movimento. C'erano un gran vociare e delle gran risate tutt'attorno e Sophie faticò ad aprirsi un varco verso il bancone. Poi Lettie la vide; per un attimo rimase interdetta, quindi i suoi occhi e le sue labbra si allargarono in un sorriso, mentre urlava il nome della sorella maggiore. — Posso parlare con te da qualche parte? — urlò di rimando Sophie, che si sentì del tutto disarmata di fronte a un grande gomito ben vestito che la spingeva indietro. — Solo un momento! — gridò Lettie per superare il frastuono, poi si volse verso la ragazza che le stava accanto e le bisbigliò qualcosa all'orecchio. La ragazza fece di sì con il capo e scoppiò in una sciocca risata prendendo il posto di Lettie e apostrofando la folla di giovani con uno stentoreo — adesso avrete me... Chi è il prossimo? — Ma io voglio parlare con te, Lettie — gridò il figlio di un agricoltore della zona. — Invece parlerai con Carrie, perché io voglio parlare con mia sorella. Nessuno parve prendersela e fecero girare Sophie su


se stessa sospingendola alla fine del bancone dove Lettie sollevò un'anta per lasciarla passare dietro il banco, ma le raccomandarono di non tenere impegnata tutto il giorno la loro beniamina. Lettie afferrò sua sorella per un polso e la trascinò nel retro del negozio, in una stanza che aveva tutte le pareti occupate da rastrelliere e scaffalature di legno piene di file di dolci. Lettie prese due sgabelli e invitò la sorella a sedersi, poi con un'occhiata distratta individuò un dolce alla crema sullo scaffale più vicino, lo prese e lo porse a Sophie dicendo: — Tieni, potresti averne bisogno. Sophie si lasciò andare sullo sgabello, aspirò a fondo il ricco profumo dei dolci e si commosse fino alle lacrime — Oh, Lettie. Come sono felice di vederti! — Sì, anch'io e... sono felice che tu sia seduta perché, vedi, io non sono Lettie. Io sono Martha. CAPITOLO DUE In cui Sophie è costretta ad andare incontro al suo destino — Cos'hai detto? — Sophie fissò incredula la ragazza che sedeva sullo sgabello di fronte a lei. Sembrava proprio Lettie. Indossava uno degli abiti migliori di Lettie, quello di una favolosa sfumatura blu che le stava perfettamente e metteva in risalto i suoi occhi azzurri e i capelli neri. Occhi e capelli erano quelli di Lettie. — Io sono Martha... Chi hai sorpreso mentre tagliuzzava i mutandoni di seta di Lettie? Io non l'ho mai confessato a Lettie. E tu? Tu glielo hai mai detto? — No, — le rispose Sophie sempre più stupita. Ora le


sembrava di cominciare a ravvisare le sembianze di Martha. Riconosceva il suo modo di inclinare il capo e l'abitudine di abbracciarsi le ginocchia con le mani intrecciate, mentre si girava i pollici. — Ma perché? — Temevo che tu mi venissi a trovare, Sophie, e allora avrei dovuto dirtelo. Ora che l'ho fatto, mi sento sollevata. Promettimi che non lo dirai a nessuno. Se lo prometterai, starai zitta, lo so bene. Tu sei una persona d'onore. — Te lo prometto... Ma perché? Com'è successo? — Lettie e io ci siamo messe d'accordo — cominciò a spiegare Martha girandosi i pollici. — Lei voleva imparare le arti magiche, mentre io non lo desideravo affatto. Lettie ha cervello e vuole un futuro in cui poterlo usare, va' a spiegarlo a nostra madre! La mamma è troppo gelosa di Lettie per poter ammettere che quella ragazza abbia del sale in zucca! Sophie non riusciva a credere che Fanny fosse così, ma non insistette. — Dimmi di te, piuttosto. — Mangia la tua pasta, Sophie. È buona... Anch'io sono intelligente, sai. Mi ci sono volute solo due settimane a casa della signora Fairfax per trovare la magia giusta da utilizzare. Di notte mi alzavo e leggevo di nascosto i suoi libri. È stato facile. Finalmente le ho chiesto il permesso di tornare a far visita alla mia famiglia e lei ha acconsentito. È una donna molto cara, pensava che io provassi una gran nostalgia di casa. Così ho preso la pozione magica e sono venuta qui, mentre Lettie è tornata dalla signora Fairfax al mio posto. La prima settimana qui è stata la più difficile poiché non sapevo nulla di quello che si supponeva io avessi già imparato. È stato terribile, ma poi ho scoperto di piacere alla gente... puoi piacere, sai, se anche loro ti


piacciono... e così è andato tutto bene. Visto che la signora Fairfax non ha sbattuto fuori Lettie, immagino che anche lei se la stia cavando benissimo. Sophie continuava a sbocconcellare la sua pasta senza neanche sentirne il sapore. — Ma cosa ti ha spinto a fare tutto questo? —. Martha si appollaiò meglio sul suo sgabello. Un largo sorriso le illuminò il volto, che era ancora quello di Lettie, e mentre roteava i pollici in un allegro e tenero mulinello rosa confessò — Voglio sposarmi e avere dieci figli. — Ma non hai ancora l'età... — Sì, non sono abbastanza grande — convenne Martha, — ma tu capisci che se voglio mettere al mondo dieci bambini devo cominciare a darmi da fare. La soluzione che ho trovato mi permette di avere tutto il tempo che mi serve per vedere se alla persona che ho scelto piaccio per quello che sono. L'effetto della pozione magica sta svanendo poco a poco, così io tornerò a essere gradualmente me stessa, capisci? Sophie era così stupita che finì la sua pasta senza aver capito cosa avesse mangiato e riuscì solo a chiedere: - Ma perché proprio dieci figli? — Perché quello è il numero di figli che voglio. — Non lo sapevo! — Be', non era molto saggio sbandierare una cosa del genere mentre eri così impegnata a sostenere il desiderio di nostra madre che io me ne andassi in cerca del mio destino. Tu pensavi che le sue intenzioni fossero solo quelle. Lo pensavo anch'io, almeno fino alla morte del babbo; allora ho capito che stava cercando di sbarazzarsi noi, mettendo Lettie in un posto dove avesse l'opportunità di incontrare un sacco di uomini e di sposarsi, e mandando me il più lontano possibile. Ero furiosa, così mi sono detta: "Perché no? Si può fare", e ne ho parlato a


Lettie, che era arrabbiata quanto me e ci siamo messe d'accordo per benino. Ora noi siamo soddisfatte, ma entrambe siamo preoccupate per te. Sei troppo intelligente e carina per rimanere piantata in quel negozio tutta la vita. Ne abbiamo parlato, ma non siamo riuscite a trovare una soluzione. — Ma io sto bene — protestò Sophie, — sono solo un po' annoiata. — Bene?! Puoi andarlo a dire a qualcun altro. Non ti sei fatta viva per mesi, poi compari qui con quell'orrendo vestito grigio e quello scialle... hai un aspetto che fa paura persino a me! Cosa ti sta facendo la mamma? — Niente — rispose Sophie imbarazzata. — Siamo state piuttosto impegnate. Ma tu non dovresti parlare di Fanny in questo modo, Martha. Lei è tua madre. — E io le assomiglio abbastanza per comprenderla — ribatté Martha. — Questo è proprio il motivo per cui mi ha mandato così lontano... o meglio ha cercato di farlo. Nostra madre sa che non si deve essere scortesi con qualcuno se lo si vuole sfruttare. Conosce bene il tuo forte senso del dovere e il tuo pallino sul fallimento del primogenito. Ti ha manipolato perfettamente e ora ti sta schiavizzando. Scommetto che non ti paga. — Ma sono ancora un'apprendista — protestò Sophie. — Lo sono anch'io, ma percepisco un salario. I Cesari sanno bene che me lo merito. Quel negozio di cappelli è diventato una miniera d'oro grazie a te. Sei stata tu a creare quel cappellino verde che ha trasformato la moglie del Sindaco in una stupenda adolescente... o no? — Verde come un piccolo bruco... Sì, l'ho fatto io. — Per non parlare della cuffietta che indossava Jane Farrier quando ha incontrato quel nobiluomo — continuò Martha


implacabile. — Sei un genio con cappelli e vestiti, e la mamma lo sa! Hai segnato irrevocabilmente il tuo destino quando hai cucito a Lettie quell'abito per il Calendimaggio. Ora sei tu a far guadagnare il negozio, mentre lei se ne va in giro a bighellonare... — Va dai fornitori a fare acquisti... — Acquisti! — strillò Martha, facendo roteare vorticosamente i pollici. — I fornitori le portano via metà mattinata. L'ho vista io, Sophie, e ho anche sentito le chiacchiere. Va in giro su un calesse a noleggio e con abiti nuovi grazie ai soldi che tu le fai guadagnare. E visita tutte le tenute giù per la valle! Si dice che stia trattando l'acquisto e la ristrutturazione di quella grande casa giù a Vale End... e tu, tu dove stai? — Be', Fanny si merita di godersela un po' dopo aver lavorato tanto per mantenerci... Poi, suppongo che io erediterò il negozio. — Che bella prospettiva! — esclamò Martha. — Ascolta, Sophie... Ma proprio in quel momento due rastrelliere vuote vennero ritirate attraverso un'apertura in fondo alla stanza e un apprendista si affacciò. — Mi sembrava di aver sentito la tua voce, Lettie ... — disse il ragazzo con un sorriso legato alle orecchie e con tutta l'aria di voler flirtare. — La nuova sfornata è pronta. Dillo a quelli di là. La testa ricciuta e incipriata di farina scomparve, mentre Sophie pensava che fosse proprio un ragazzo simpatico e si domandava se fosse lui il prescelto di Martha. Sua sorella, però, non le diede la minima opportunità di scoprirlo visto che era già balzata in piedi continuando a parlare. — Devo passare i dolci alle ragazze di là. Aiutami, prendi quell'estremità...


Così dicendo, sollevò la rastrelliera più vicina e Sophie l'aiutò a farla passare per la porta che immetteva nella pasticceria affollata e rumorosa. — Devi fare qualcosa per te stessa, Sophie. Martha ansimava un po' per lo sforzo, mentre ritornavano nel negozio. — Lettie ha sempre sostenuto di non poter immaginare quello che ti sarebbe successo una volta che noi due ce ne fossimo andate e non fossimo state più lì a darti un po' di rispetto per te stessa. Aveva ragione di preoccuparsi... Nella pasticceria la signora Cesari intanto sollevava la rastrelliera piena di dolci con le sue possenti braccia e gridava un paio di ordini a una fila di ragazzi che si precipitarono sul retro per prendere il resto della sfornata. Sophie fu costretta a urlare un saluto prima di scivolare via, fra tutto quel trambusto. Non le sembrava giusto rubare altro tempo a Martha e poi voleva starsene da sola per pensare. Si avviò di corsa verso casa. In quel momento i fuochi d'artificio si alzavano dal campo vicino al fiume dove era stata allestita la Fiera, e sembravano competere con gli scoppi e le fiammate blu che uscivano dal castello di Howl. Sophie si sentì più che mai come un'invalida. Passò la maggior parte della settimana successiva a pensare e rimuginare sulle parole di Martha, con l'unico risultato di sentirsi sempre più confusa e scontenta. Niente sembrava più essere come aveva immaginato che fosse. Era sbalordita dalle sue sorelle, per anni le aveva fraintese. In ogni modo non poteva credere che Fanny fosse il genere di donna descritto da Martha. Ora aveva un sacco di tempo per riflettere, perché Bessie era in luna di miele e lei se ne stava da sola in negozio per la maggior parte del tempo, visto che il lavoro era rallentato dopo il Calendimaggio. Le sembrava inoltre che Fanny fosse sempre più spesso in giro a bighellonare. Dopo tre giorni dalla sua visita


in pasticceria, Sophie trovò il coraggio di chiederle — Non dovrei essere pagata? — Certo, tesoro, con tutto quello che fai... — le rispose Fanny con calore, aggiustandosi in testa un cappellino guarnito di rose. — Ne parleremo stasera non appena avrò fatto i conti — . Poi uscì e tornò solo quando Sophie aveva già chiuso il negozio e si era portata a casa i cappelli che dovevano essere finiti. Dapprima Sophie si sentì meschina per aver dato ascolto alle insinuazioni di Martha, ma quando Fanny non fece più alcun accenno al suo salario né quella sera, né le sere successive, allora cominciò a pensare che sua sorella avesse ragione. — Forse mi sta davvero sfruttando — disse a un cappello che stava guarnendo con seta rossa e un pugno di ciliegie di cera. — Ma qualcuno deve pur fare questo lavoro, altrimenti non ci sarà più nessun cappello da vendere. Terminò il copricapo e cominciò a lavorare su un cappello bianco e nero, molto elegante nella sua semplicità. All'improvviso le balenò un pensiero per lei del tutto nuovo: — Ha qualche importanza se ci sono dei cappelli da vendere? — chiese a quello sul quale stava lavorando. Girò lo sguardo sui cappelli già pronti e sul mucchio ancora da guarnire. — A cosa servite mai? ...Certamente a me servite pochissimo —. E si trovò a un pelo dall'abbandonare la sua casa e andarsene in cerca di fortuna, poi si ricordò che era la primogenita e che quella scelta non l'avrebbe portata a niente. Così riprese il suo lavoro, sospirando. La mattina successiva era ancora scontenta e sola in negozio quando una giovane cliente, piuttosto insignificante, entrò come una furia tenendo una cuffietta color fungo tutta plissettata per i nastri e facendola roteare. — Guarda! — strillò la ragazza. — Mi avevi detto che era lo


stesso modello indossato da Jane Farrier quando ha incontrato il Conte. Invece mi hai mentito. A me non è successo proprio niente! — Non ne sono sorpresa —. Sophie non riuscì proprio a trattenersi. — Una che è stata tanto sciocca da indossare quella cuffia su un viso del genere, non avrebbe avuto certo l'acume di riconoscere lo stesso Re se fosse venuto a chiederle l'elemosina. Sempre che non fosse già stato trasformato in pietra... guardandoti! La cliente la fulminò con un'occhiata piena d'ira, poi lanciò la cuffia contro Sophie e si precipitò fuori dal negozio. Sophie spinse con cura la cuffia dentro al cestino dei rifiuti e si trovò a respirare con affanno. La regola era 'perse le staffe, perso il cliente', e lei aveva appena dimostrato la validità di quel principio. In ogni caso, anche se faceva fatica ad ammetterlo, trovò che la scena fosse stata piuttosto divertente. Sophie non fece in tempo a riprendersi che sentì un rumore di ruote e uno scalpitare di cavalli, mentre una carrozza oscurava la luce della vetrina. Il campanello della porta suonò e la cliente più incredibile che avesse mai visto veleggiò dentro al negozio in una trina di sabbia che le pendeva dai gomiti e uno scintillio di diamanti che ricoprivano il pesante vestito nero. Gli occhi di Sophie andarono immediatamente all'ampio cappello adorno da vere piume di struzzo, tinte per riflettere i bagliori rosa, verdi e blu che mandavano le pietre dell'abito, piume che tuttavia restavano di un nero profondo. Quello era un signor cappello! La nuova venuta aveva un viso bello e curato, incorniciato da capelli castani che la facevano apparire giovane, anche se... Ma lo sguardo di Sophie fu subito catturato dall'uomo che la seguiva: chiaramente più giovane della signora


che accompagnava, capelli rossi, abito elegante, un viso assolutamente anonimo, ma pallido e con un'espressione di profondo disagio. Quando incrociò i suoi occhi, la ragazza, sconcertata, vi lesse una sorta di orrore implorante. — Signorina Hatter? La dama si rivolgeva a Sophie con voce melodiosa, ma autoritaria. — Sì, — ribatté semplicemente la ragazza, mentre il giovane, forse il figlio, sembrava sempre più a disagio. — Mi hanno detto che qui vendete dei cappelli veramente divini — continuò la signora. — Fammeli vedere. Sophie, che non si fidava di se stessa nello stato d'animo in cui si trovava, si limitò a tirar fuori i cappelli senza dare alcuna risposta. Per di più sentiva lo sguardo del giovane accompagnare ogni sua mossa, e questo aumentava il suo imbarazzo. Nessun copricapo che aveva in negozio era all'altezza della classe di quella donna, ma prima avesse scoperto che i suoi cappelli non erano adatti a lei, prima quella strana coppia se ne sarebbe andata. Sophie seguì il consiglio di Fanny e per prima cosa prese fuori i peggiori. La signora cominciò a scartare i cappelli uno dopo l'altro. — Fossette sulle guance — dichiarò riferita alla cuffietta rosa. — Gioventù — disse rivolta a quello verde come un bruco, mentre il cappello con le paillette e i veli venne definito 'fascino misterioso'. — Come sono ovvi... Non hai nient'altro da mostrarmi? Sophie allora le porse l'elegante cappello bianco e nero, l'unico che forse potesse vagamente interessare a quella signora. Ma lei lo guardò con disprezzo. — Questo non serve a niente e a nessuno. Mi stai facendo perder tempo, signorina Hatter. — Solo perché voi siete entrata qui e mi avete chiesto di


vedere i cappelli... Questo è soltanto un piccolo negozio in una piccola città, signora. Perché... —. Intanto, dietro alla donna, il giovane inghiottiva a vuoto e sembrava voler mandare a Sophie un segnale d'avvertimento. —...Perché vi siete presa il disturbo di entrare? — Sophie terminò la frase domandandosi cosa sarebbe successo a quel punto. — Io mi prendo sempre il disturbo quando qualcuno cerca di mettersi contro la Strega delle Terre Desolate... Ho sentito parlare di te, signorina. Non m'interessa competere con te, non m'importa niente di te... Sono solo venuta a fermarti! Una mano uscì dalla lunga manica nera e, con un rapido gesto fluttuante, fu puntata verso il viso di Sophie. — Voi... voi siete la Strega delle Terre Desolate? — La voce era uscita dalla gola di Sophie roca e tremante. Anzi, sembrava che la paura e lo stupore fossero gli unici padroni di quella voce. — Sì, sono io, e... questo ti insegnerà a intrometterti in cose che mi appartengono. — Penso proprio di non averlo fatto. Ci dev'essere un errore — gracchiò a fatica Sophie, mentre il giovane, in preda all'orrore, continuava a fissarla e lei seguitava a non capirne il motivo. — Nessun errore, signorina Hatter... Vieni, Gaston. Così dicendo, la Strega si girò e raggiunse rapidamente l'ingresso del negozio. Mentre l'uomo le teneva umilmente aperta la porta, la Strega si volse di nuovo verso Sophie. — Ricorda che non sarai in grado di dire a nessuno di essere preda di un sortilegio. La campanella della porta rintoccò come una campana funebre, poi la Strega scomparve. Sophie allora si portò le mani alla faccia, domandandosi che cosa quell'uomo continuasse a fissare con tanta intensità. Sentì


così una fitta rete di rughe. Si guardò le mani e vide che anch'esse erano grinzose, tutte pelle e ossa, con grosse vene che coprivano il dorso e con nocche deformi. Si rialzò la gonna grigia e vide due caviglie ossute e decrepite e due piedi che avevano sformato le scarpe tanto erano bitorzoluti. Le sue gambe erano diventate quelle di una novantenne e il dramma era che sembravano proprio vere! Sophie si avvicinò allo specchio e scoprì di doversi piegare in avanti se voleva vedere la sua immagine riflessa. Il volto nello specchio aveva un'espressione piuttosto tranquilla, perché era ciò che già si aspettava di vedere, il viso macilento di una vecchia, pallido sotto il colorito bruno e contornato di ciuffi di capelli bianchi. Quelli che la fissavano erano proprio i suoi occhi, anche se più gialli e acquosi e con un'espressione piuttosto tragica. — Non ti preoccupare, vecchia mia — disse Sophie alla sua faccia. — Sembri in buona salute. Inoltre il tuo aspetto attuale rispecchia meglio il tuo stato d'animo... Si mise quindi a riflettere sulla sua situazione e, nonostante tutto, riuscì a farlo con distacco. Sembrava che tutto fosse successo nella più assoluta calma, come se lei ne fosse solo una spettatrice. Non si sentiva neanche particolarmente in collera con la Strega delle Terre Desolate. — Be', naturalmente dovrò fargliela pagare, non appena ne avrò l'opportunità. .. ma, nel frattempo, se Martha e Lettie possono sopportare di vivere l'una nella pelle dell'altra, sarò senz'altro in grado di sopportare il mio aspetto attuale. Non posso però rimanere qui, Fanny si farebbe prendere dalle convulsioni. Vediamo. Questo vestito grigio è proprio adatto, ma avrò anche bisogno dello scialle e di un po' di cibo. Arrancò verso la porta del negozio e appese con cura il cartello con su


scritto CHIUSO. Le sue articolazioni scricchiolavano non appena si muoveva, doveva camminare curva e lentamente, ma scoprì di essere una vecchia sana e piuttosto robusta. Non si sentiva debole o malata, semplicemente rigida nei movimenti. Si chinò a fatica per raccogliere lo scialle, che si mise sulla testa e sulle spalle come facevano le vecchie, poi si aggirò per la casa, prese il borsellino, che conteneva poche monete, e fece un fagottino con pane e formaggio. Quindi uscì, badando di nascondere accuratamente la chiave nel solito posto, e s'incamminò un po' zoppicante giù per la strada, ancora sorpresa dalla calma che pervadeva il suo spirito. Si domandò se avrebbe dovuto passare a salutare Martha, ma poi non le piacque l'idea di non essere riconosciuta da sua sorella. Era molto meglio andarsene e basta. Sophie decise che avrebbe scritto a entrambe le sue sorelle quando avesse raggiunto una meta qualsiasi, là dove ora era diretta, così continuò a camminare attraverso il campo dove si era tenuta la Fiera, oltre il ponte e ancora oltre, sui sentieri della campagna circostante Market Chipping. Era una tiepida giornata primaverile e Sophie scoprì che essere decrepita non le impediva di godersi i profumi e la vista della fioritura del biancospino che bordava la via, anche se i suoi occhi erano un po' appannati. Poi cominciò a farle male la schiena. Arrancava sul sentiero, e a questo punto aveva bisogno di un bastone. Guardò attentamente ai bordi della strada per trovare un bastone qualsiasi. I suoi occhi, però, non erano evidentemente così buoni come avrebbero dovuto essere. Pensò infatti di aver visto un bastone circa un miglio più avanti, ma quando ci arrivò vicino si rese conto che era la parte finale di uno spaventapasseri, che qualcuno aveva gettato sulla siepe. Sophie lo sollevò: la testa dello spaventapasseri era costituita da


una rapa che stava avvizzendo e lei provò un senso di solidarietà per quella cosa; così, invece di farlo a pezzi e prendere il bastone, ficcò la parte superiore dello spaventapasseri fra due rami della siepe di biancospino, in modo che sembrasse voluttuosamente adagiato sulla siepe con le lunghe maniche sbrindellate che fluttuavano sulle sue braccia stecchite. — Ecco fatto —. La sua voce era quanto mai gracchiante e la risata suonava sgangherata. — Né tu né io siamo molto in sesto, vero amico mio? Forse tornerai al tuo campo, se ti lascio qui dove qualcuno ti potrà vedere —. Così dicendo riprese il sentiero, ma un pensiero le attraversò la mente e tornò su i propri passi. — Ora, se io non fossi destinata al fallimento a causa della posizione nella mia famiglia, tu potresti tornare a vivere e potresti aiutarmi a fare fortuna. In ogni caso ti auguro ogni bene! Sghignazzò di nuovo, mentre si rimetteva in cammino. Forse era un po' matta, ma spesso le persone anziane lo erano. Trovò un bastone circa un'ora dopo, quando si sedette per riposare e mangiare il suo pane e formaggio. Aveva sentito dei rumori provenire dalla siepe dietro di lei: degli squittii strangolati, seguiti da uno sbuffare che faceva muovere i petali del biancospino, così si era piegata sulle ginocchia ossute per scrutare fra le foglie, i fiori e le spine dentro la siepe. Aveva quindi scoperto un cane grigio e magro. Era intrappolato da una corda attorcigliata a un robusto bastone. Il bastone era intrappolato fra due rami della siepe e il cane riusciva a muoversi a stento. Al comparire di Sophie, aveva cominciato a strabuzzare gli occhi in maniera selvaggia. Da ragazza Sophie aveva paura di tutti i cani. Anche ora, da 'vecchia', era piuttosto allarmata dalla due file di denti bianchi e aguzzi che spuntavano


dalla bocca di quella creatura. — Nella mia condizione attuale non vale la pena di preoccuparsi troppo — rifletté ad alta voce, e si mise a cercare le forbici da lavoro che teneva sempre in tasca. Raggiunse il cane facendosi strada fra i rami e cominciò a lavorare sulla corda per tagliarla. Il cane, un esemplare alquanto selvatico, cercò di sfuggirle e ringhiò, ma Sophie continuò a tagliare la corda, mentre cercava di rabbonirlo. — Morirai di fame o ti strangolerai, vecchio mio, a meno che tu non mi permetta di liberarti. Sai cosa penso? Qualcuno ha già cercato di strangolarti, forse proprio a causa della tua indole selvaggia. La corda e il bastone erano attorcigliati strettamente e a Sophie ci volle un bel po' prima di riuscire a tagliare quello stretto, terribile vincolo, ma alla fine il cane riuscì a divincolarsi e passare sotto al bastone. — Vuoi un po' di pane e formaggio? — gli chiese Sophie, ma la bestia ringhiò, si fece strada a fatica fra i rami e sparì dalla parte opposta. — Che bella gratitudine! — sospirò Sophie sfregandosi le braccia scorticate. — In ogni caso, che tu lo volessi o no, mi hai lasciato un regalo. Raccolse il bastone che aveva tenuto intrappolato il cane e scoprì che era un bastone da passeggio vero e proprio, lavorato e con un puntale di ferro. Sophie finì il suo pane e formaggio, poi riprese il cammino. Il sentiero diventava sempre più ripido e il bastone si rivelò di grande aiuto. Ora aveva anche qualcosa alla quale rivolgersi, e così cominciò a parlare con il bastone, come faceva con i cappelli. — Ho fatto due incontri e non ho avuto neanche un cenno di magica gratitudine. Tuttavia tu sei un buon bastone e non mi


lamento. Ma dovrò fare un terzo incontro, magico o no. Mi domando come sarà. Il terzo incontro avvenne verso la fine del pomeriggio, quando Sophie aveva già percorso un bel pezzo di strada verso la cima della collina. Un contadino scendeva la strada, venendo verso di lei. Un pastore, pensò Sophie, che se ne stava tornando dopo aver pascolato le sue pecore. Era un uomo ben piantato, sulla quarantina. — Bel tipo! — borbottò Sophie, — questa mattina l'avrei considerato vecchio. Come cambiano i punti di vista! Quando il pastore vide Sophie che mormorava fra sé e sé, si spostò cautamente sull'altro lato del sentiero e le si rivolse con grande gentilezza: — Buonasera a voi, madre! Dove state andando? — Madre? Non sono tua madre, giovanotto! — È un modo di dire — le rispose il pastore avvicinandosi sempre più all'orlo del sentiero, — stavo solo facendovi una domanda gentile, visto che state camminando su per la collina ed è quasi sera. Non vorreste scendere ad Upper Folding prima che cada la notte? Sophie non aveva preso in considerazione questo fatto, perciò si fermò in mezzo al sentiero riflettendo. — Non ha importanza, tutto sommato — disse più a se stessa che al suo interlocutore, — non puoi fare troppo il difficile quando te ne vai in cerca del tuo destino. — Davvero, madre? — chiese allora il pastore, che aveva superato Sophie e si trovava ormai sotto di lei, verso valle, e sembrava essere sollevato per la posizione raggiunta. — Allora vi auguro buona fortuna, madre. Possa il vostro destino non aver nulla a che fare con il bestiame delle persone buone — , e prese a scendere a lunghi passi, quasi di corsa.


Sophie lo fissò indignata. — Pensava che fossi una strega! — disse rivolta al bastone. Le venne una mezza idea di urlare delle cattiverie alla volta del pastore per impaurirlo, ma poi le sembrò veramente poco gentile e continuò ad arrampicarsi su per la collina, mugugnando. Presto le siepi lasciarono il posto a bordi di prato e il terreno cominciò a essere coperto di erica, di massi e di erba giallastra. Sophie continuò testarda, anche se cominciavano a farle male i piedi, la schiena e le vecchie ginocchia. Era troppo stanca persino per brontolare, semplicemente arrancò su per la collina ansando fino a che il sole fu quasi del tutto tramontato. A un tratto capì che non avrebbe potuto muovere un altro passo. Stramazzò su un sasso, domandandosi cosa avrebbe potuto fare a quel punto. — L'unica cosa fortunata alla quale posso pensare è una comoda sedia! Da quella posizione si guardò attorno: laggiù nella valle poteva vedere nella fioca luce della sera Market Chipping, la piazza del mercato, le strade che ben conosceva e la pasticceria di Cesari. — Come sono ancora vicino! — Sophie si sentiva stanchissima e piuttosto sconsolata. — Tutta quella strada e sono ancora qui... tutto quel camminare e sono ancora sopra al mio tetto! La pietra sulla quale era seduta diventava sempre più fredda man mano che il sole calava, e ora si era anche alzato un vento gelido che le faceva sempre più desiderare di essere comodamente seduta davanti a un fuoco. Incominciò a preoccuparsi anche degli animali selvaggi e del buio che stava scendendo attorno a lei. Si chiese se non fosse meglio tornare indietro, ma poi pensò che a quel punto sarebbe arrivata in città nel cuore della notte. Sospirò e si alzò di nuovo a fatica, tutta


dolorante. Meglio proseguire. — Non avrei mai pensato che i vecchi dovessero affrontare cose del genere... Comunque sono pelle e ossa e non sono certo una buona preda per i lupi. Almeno questo! La notte stava scendendo velocemente e il terreno coperto di erica si stava tingendo di grigio e di blu, mentre il vento si faceva sempre più tagliente. Le sue ossa scricchiolavano... quando il rumore delle sue giunture fu superato da un altro rumore sinistro: il castello di Howl, il Mago, stava venendo verso di lei attraverso la brughiera. Un fumo nero formava delle nuvole sopra le quattro torri. Appariva alto, enorme, terribile. Sophie si appoggiò al bastone, osservandolo. Non era particolarmente spaventata, anzi, si chiese come facesse a muoversi e soprattutto cominciò a farsi strada nella sua mente l'idea che tutto quel fumo volesse dire che all'interno, da qualche parte, doveva pur esserci un grande camino, un fuoco. — Be', perché no? — disse sempre rivolta al bastone. — Il Mago non vorrà certamente la mia anima per la sua collezione, visto che prende solo donne giovani. Allora sollevò il bastone, lo agitò alla volta del castello e gli ordinò con un urlo imperioso: — Fermati! Il castello, ubbidiente, si fermò sbuffando sulla collina, circa a cinquanta piedi da Sophie, che si sentì pervadere da un senso di gratitudine mentre si avviava zoppicando alla volta delle nere mura. CAPITOLO TRE In cui Sophie entra in un castello e accetta un patto


C'era una larga porta scura nel muro nero di fronte a Sophie e lei vi si diresse zoppicando spedita. Da vicino il castello era più spaventoso che mai e sembrava troppo alto per la sua forma irregolare. Per quanto Sophie poteva vedere nell'oscurità crescente, era costruito con grandi blocchi neri come il carbone e, come il carbone, i blocchi erano tutti di forme e misure differenti. Quando si avvicinò, dai blocchi cominciò a soffiare un vento gelido che comunque non riuscì a spaventare Sophie. Continuava a pensare a sedie e caminetti, così allungò una mano rabbiosa verso la porta. Ma la sua mano non riuscì ad avvicinarsi. Una sorta di muro invisibile la fermò a un piede dalla porta. Sophie lo saggiò nervosamente con le dita e, visto che non succedeva nulla, provò con il bastone. Il muro invisibile sembrava coprire tutta la porta, in alto fino a dove riusciva ad allungare il bastone, in basso fino a dove l'erica spuntava dai gradini della soglia. — Apriti! — gracchiò Sophie rivolta al muro. Ma non accadde nulla. — Bene, troverò la porta di servizio. Sophie si diresse zoppicando verso l'angolo sinistro del castello, che era quello più vicino a lei e quello più a valle, ma non riuscì a girare l'angolo poiché il muro invisibile la fermò di nuovo. A questo punto Sophie pronunciò una parola che aveva imparato da Martha e che né le vecchie signore né le ragazze avrebbero dovuto conoscere. Poi arrancò su per la collina verso l'angolo destro del castello muovendosi in senso antiorario rispetto a esso. Lì non incontrò barriere. Voltò l'angolo e si diresse, ormai molto seccata, verso la seconda grande porta nera che era nel mezzo di quel lato del castello. C'era una barriera anche su quella porta. Sophie la guardò accigliata. — Ma io dico, che razza di benvenuto è questo?! In quel momento giù dai bastioni soffiò un fumo nero che


fece tossire Sophie. Ora era veramente arrabbiata. Era vecchia, fragile, infreddolita e ogni parte del corpo le doleva. La notte stava avanzando e il castello era lì a soffiare su di lei un fumo denso e nero. — Ne parlerò a Howl! — disse mentre girava l'angolo con rabbia. Lì non c'era nessuna barriera (evidentemente si doveva girare intorno al castello in senso antiorario), anzi, un po' più in là c'era una terza porta, molto più piccola e male in arnese. — Finalmente la porta di servizio! —. Non appena Sophie si avvicinò a quell'uscio, il castello cominciò a muoversi, il terreno tremò, il muro fu scosso da una vibrazione e scricchiolò, e la porta cominciò a scappare lungo la parete. — Oh, non farlo! — urlò Sophie, e le corse dietro colpendola ripetutamente col bastone. — Apriti! La porta si aprì verso l'interno continuando a muoversi. Sophie riuscì a salire sul primo gradino della soglia con difficoltà. Poi, mentre i grandi blocchi intorno alla porta sobbalzavano e scricchiolavano, come se il castello stesse guadagnando velocità, riuscì a salire i gradini rimanendo in equilibrio prima su un piede poi sull'altro. Sophie si chiese come mai il castello, tutto sbilenco, non cadesse di colpo sulla collina accidentata. — Che modo stupido di trattare un edificio! — e trattenne il respiro mentre si lanciava all'interno. Così facendo dovette lasciare il bastone e attaccarsi alla porta aperta per non essere scaraventata fuori. Quando ricominciò a respirare regolarmente si accorse della persona che le stava di fronte e che teneva anch'essa la porta. Anche se superava Sophie di tutta la testa, era ancora un ragazzino, solo un po' più vecchio di Martha. Sembrava stesse cercando di chiuderle la porta in faccia respingendola di nuovo nella notte, lontano da quella stanza calda e fiocamente illuminata che si scorgeva dietro di lui.


— Non avere l'impudenza di chiudermi la porta in faccia, ragazzo mio! — Non lo stavo facendo — protestò il ragazzo. — Siete voi a tenere aperta la porta! Cosa volete? Sophie si sporse cercando di guardare oltre le spalle del ragazzo. Vide una grande quantità di cose che pendevano dalle travi e che probabilmente servivano a fare incantesimi: trecce di cipolle, mazzi di erbe e strane radici. Poi scorse anche grossi libri rilegati in cuoio, bottiglie dai colli storti e un vecchio teschio umano scuro e sogghignante. Sul lato non coperto dalla mole del ragazzo si vedeva un caminetto con un piccolo fuoco che bruciava dietro la grata. Era un fuoco molto più piccolo di quanto si potesse intuire dal fumo che usciva all'esterno, ma questa era soltanto una stanza sul retro del castello. La cosa più importante per Sophie fu constatare che il fuoco aveva raggiunto quello stadio in cui piccole fiammelle blu e rosa danzano sui ceppi emanando un invitante tepore e che, accanto al camino, proprio nel punto più caldo, c'era una sedia bassa con un cuscino. Sophie spostò il ragazzo con il braccio e si tuffò sulla sedia. — Ah, che fortuna! — e si accomodò per benino sulla seggiola. Era una vera beatitudine. Il fuoco le scaldava le articolazioni doloranti e lo schienale le sosteneva la schiena. Per toglierla da lì avrebbero dovuto usare le maniere forti o una potente magia. Il ragazzo chiuse la porta, raccolse il bastone e lo appoggiò con delicatezza alla sedia a portata di mano di Sophie. Si rese conto che dall'interno non si avvertiva il moto del castello, né il minimo rumore o la più lieve vibrazione. Che strana cosa! — Ragazzo, dovresti dire al Mago che questo castello finirà per crollare su se stesso, se viaggerà ancora per molto. — Il castello è tenuto insieme da un incantesimo — le


rispose il ragazzo, — e comunque credo che Howl non sia qui al momento. Questa era una buona notizia per Sophie che chiese, un po' nervosa: — E quando tornerà? — A questo punto probabilmente non prima di domani. Posso, invece, esservi utile io? Mi chiamo Michael e sono il suo apprendista. Questa era una notizia ancora migliore e Sophie aggiunse in fretta e con fermezza: — Temo che solo il Mago possa aiutarmi —. E forse era proprio così. — Aspetterò, se non ti dispiace. Era invece evidente che a Michael dispiacesse e cominciò a ronzarle attorno con l'aria di chi non sa come comportarsi. Per fargli capire che non aveva nessuna intenzione di farsi mettere alla porta da un semplice apprendista, Sophie chiuse gli occhi fingendo di addormentarsi. Ma prima mormorò: — Di' al Mago che il mio nome è Sophie — e per essere sicura aggiunse: — la vecchia Sophie. — Questo vorrà dire aspettare per tutta la notte — ribatté Michael. Poiché era proprio quello che Sophie desiderava, fece finta di non averlo sentito e dopo poco si addormentò. Era così stanca da tutto quel camminare. Dopo un po' anche Michael riuscì a ignorarla e tornò a quello che stava facendo sul banco di lavoro, dove era posizionata la lampada. Sophie nel dormiveglia pensò che avrebbe avuto un'intera notte tranquilla e al sicuro anche se per ottenerla aveva dovuto dire una piccola bugia. Visto che Howl era una persona in gamba e importante non si sarebbe lasciato abbindolare, ma Sophie aveva intenzione di essere ben lontana da lì prima del suo arrivo e prima che potesse sollevare qualche obiezione in merito alla sua presenza nel castello. Senz'altro il suo apprendista pensava che lei fosse profondamente addormentata


e che fosse una vecchietta innocua. Lei, invece, si sorprese a considerare che Michael fosse un ragazzo carino e gentile: dopo tutto era entrata con la forza e in modo piuttosto maleducato, ma lui non le aveva fatto alcun appunto. Forse Howl lo trattava come un servo, anche se Michael non aveva un'aria sottomessa. Era un ragazzo alto, moro, con un viso aperto e piacevole, vestito in modo rispettabile. Ora era intento a versare, da una fiaschetta dal collo ricurvo, un liquido verde in un recipiente di vetro contenente una polvere nera, che teneva inclinato, attento a non versarne fuori neanche una goccia. Se Sophie non lo avesse visto intento in quell'operazione, avrebbe potuto scambiarlo per il figlio di un ricco proprietario terriero. Che strano! In ogni caso le cose dovevano essere strane, pensò Sophie, dove si esercita la magia. Questa cucina, o laboratorio che fosse, era comunque molto intima e accogliente. E questo fu l'ultimo pensiero prima di addormentarsi profondamente e cominciare a russare. Non si svegliò quando dal banco di lavoro si sprigionò un lampo e uno schiocco sordo, seguito da un'imprecazione di Michael. Non si svegliò quando il ragazzo, succhiandosi le dita bruciacchiate, accantonò per quella notte la magia che stava preparando e tirò fuori dal ripostiglio pane e formaggio. Non si svegliò nemmeno quando Michael inciampò nel suo bastone, facendolo cadere, nel tentativo di raggiungere il fuoco e ravvivarlo con altra legna. Infine, non si svegliò quando il ragazzo, guardando la bocca aperta di Sophie, disse, rivolto al caminetto: — Ha ancora tutti i denti. Non è la Strega delle Terre Desolate, vero? — Pensi che altrimenti l'avrei lasciata entrare?! — ribatté il fuoco scoppiettante nel focolare. Michael raccolse delicatamente il bastone da terra, mise un grosso ceppo sulle fiamme con


altrettanta grazia e se ne andò a dormire da qualche parte al piano di sopra. Nel cuore della notte Sophie fu svegliata da qualcuno che russava. Sussultò per poi scoprire, piuttosto irritata, che era lei quella che stava russando. Le parve di essersi addormentata solo per qualche istante e Michael era sparito con il lume, senza dubbio aveva imparato quel trucco fin dalla prima settimana di apprendistato. Aveva lasciato il fuoco molto basso, che sibilava e scoppiettava in maniera irritante, e c'era uno spiffero gelido che le torturava la schiena. Sophie ricordò di essere nel castello del Mago e le venne in mente anche il teschio ghignante appoggiato sul tavolo, da qualche parte alle sue spalle. Rabbrividì e ruotò il collo irrigidito, ma dietro di lei vide solo buio. — Facciamo un po' di luce —. La sua voce gracchiante suonò lieve, molto somigliante al crepitare del fuoco. Ne rimase sorpresa poiché si aspettava l'eco di rimando delle alte volte del castello.Vide di fianco a sé un cesto di legna, allungò il braccio addormentato e faticosamente depose un ceppo sul fuoco. Immediatamente scintille verdi e blu si sprigionarono dal focolare, per essere subito aspirate dalla canna del camino. Mise un secondo ciocco di legna nel fuoco e tornò a sedere, non senza aver nervosamente guardato in direzione del teschio, che in quel momento rifletteva un bagliore blu-violetto proveniente dal fuoco. La stanza era piuttosto piccola e non c'era nessun altro tranne quel teschio e Sophie, che si consolò pensando: — Lui ha tutti e due i piedi nella tomba, io ancora uno soltanto —. Tornò a voltarsi verso il fuoco che ora mandava fiamme blu e verdi. — Ci dev'essere del sale su quella legna —. Si sistemò più comodamente, allungando i piedi dalle ossa deformi sul


parafuoco e appoggiando la testa nell'angolo della sedia. Fissava le fiamme colorate e cominciò a pensare a quello che avrebbe fatto la mattina successiva, ma fu distratta perché le sembrò di riconoscere un viso fra le fiamme. — Sarebbe un viso lungo e magro, di colore blu e con un naso affilato. Quelle fiamme verdi potrebbero essere i capelli ricciuti... Supponiamo che non me ne vada e attenda l'arrivo di Howl. Che cosa potrebbe succedere? Immagino che i Maghi possano sciogliere gli incantesimi... Quelle fiamme violette lì in fondo formano la bocca... hai delle zanne affilate, amico mio, e hai due cespugli verdi di fuoco come sopracciglia. In modo curioso le uniche fiamme arancione erano sotto quelle verdi, che sembravano sopracciglia, proprio come fossero occhi, e ognuno aveva una piccola fiammella violetta nel mezzo, tanto che Sophie le interpretò come pupille che la stessero guardando. Si rivolse quindi alle fiamme arancione, fissandole. — D'altra parte, se fossi liberata dall'incantesimo mi ritroverei con il cuore mangiato prima di potermi voltare per andarmene. — E tu non accetti l'idea che il tuo cuore sia mangiato, ovviamente! — disse il fuoco. Era veramente il fuoco a parlare! Sophie vide le labbra viola muoversi mentre udiva le parole. La voce del fuoco era gracchiante quasi come la sua, piena dei crepitii della legna che bruciava. — Certo che non lo voglio... Ma tu chi sei? — Sono un demone del fuoco — le rispose la bocca vermiglia. Poi aggiunse, quasi piagnucolando: — Sono legato a questa terra da un contratto. Non posso muovermi da questo punto.


Quindi la sua voce diventò dura e gracchiante, quando le chiese: — E tu chi sei? Sicuramente sei preda di un incantesimo. Queste parole scossero Sophie dal suo torpore. — Te ne sei accorto! Puoi togliermi questo maleficio? Ci fu un silenzio interrotto solo dagli scoppiettii del fuoco. Gli occhi arancione del demone studiarono Sophie da capo a piedi. — È un sortilegio molto potente. Mi sembra opera della Strega delle Terre Desolate. — Ha indovinato, è proprio così! — Mi sembra che ci sia qualcosa di più — gracchiò il demone, — distinguo due livelli di sortilegio. E inoltre tu non puoi parlare con nessuno della tua situazione, tranne che con persone che la conoscano già —. Fissò Sophie ancora per un momento. — Dovrò studiarlo approfonditamente. — E quanto ti ci vorrà? — Mi potrebbe occorrere un po' di tempo —. Poi aggiunse con un tono dolce e persuasivo: — Cosa ne dici di fare un contratto con me? Io spezzerò il tuo incantesimo se tu mi aiuterai a rompere il contratto che mi lega indissolubilmente a questo posto. Sophie guardò la scarna faccia blu del demone con circospezione. Aveva un'espressione astuta, mentre le faceva la proposta. Tutto ciò che aveva letto in proposito le ricordava quanto fosse estremamente pericoloso fare un patto con un demone, e non c'erano dubbi sul fatto che questo sembrasse particolarmente cattivo, con quei lunghi denti viola. — Sei sicuro di essere del tutto onesto con me? — Non completamente — ammise il demone. — Ma vuoi rimanere così come sei ora fino alla tua morte? Quell'incantesimo ti ha abbreviato la vita di circa sessantanni, se sono un buon giudice di certe cose.


Questo era un pensiero sgradevole, un aspetto a cui Sophie aveva cercato di non pensare fino a quel momento. E faceva la sua bella differenza. — Questo contratto che ti lega è con il Mago Howl, immagino. — Certo — rispose il demone con una voce di nuovo piagnucolosa. — Sono legato a questo focolare e non posso muovermi nemmeno di un piede. Sono obbligato a fare la maggior parte delle magie qui dentro. Devo tenere insieme il castello, muoverlo e produrre tutti gli effetti speciali che terrorizzano la gente, oltre a dover fare qualsiasi altra cosa che venga in mente al Mago. Howl è proprio senza cuore! Sophie non aveva bisogno di sentirsi ripetere che il Mago Howl fosse senza cuore, d'altra parte anche il demone era sicuramente piuttosto maligno. — Ma tu non ricavi nulla da questo contratto? — Non l'avrei stipulato, se fosse così — le rispose il demone facendo tremolare tristemente la sua fiamma. — Ma non avrei accettato, se avessi immaginato di essere sfruttato in questo modo. Nonostante non si volesse far coinvolgere, Sophie provò una certa dose di compassione per il demone. Pensò a se stessa intenta a decorare i cappelli per Fanny, mentre la matrigna se ne andava in giro a fare niente. — Bene, quali sono i termini del tuo contratto? Come dovrei fare a romperlo? Una fiammata viola attraversò il volto del demone. — Accetti dunque il mio patto? — Se tu accetti di spezzare l'incantesimo che grava su di me — disse Sophie col tono di chi pronuncia con coraggio parole fatali, — accetto! La faccia del demone si allungò in una lingua di fuoco su per


il camino. — Spezzerò il tuo incantesimo nel preciso istante in cui mi libererai del mio contratto! — Bene, ora spiegami come dovrò procedere. Gli occhi arancione luccicarono, ma si volsero a guardare altrove. — Non posso! Il contratto prevede che né io né il Mago possiamo rivelare ad alcuno come fare per scioglierlo. Sophie si rese conto di essere stata truffata. Aprì la bocca per dire al demone che allora poteva starsene nel camino fino al giorno del giudizio, ma il fuoco, che l'aveva già intuito, crepitò: — Non essere frettolosa! Potrai scoprire di che cosa si tratta, se osserverai e ascolterai con attenzione. Ti prego di provarci. Il contratto con Howl non porterà vantaggi per nessuno, alla lunga, e io sto mantenendo la mia parola. Il fatto che stia qui nel camino lo dimostra! Stava parlando seriamente agitandosi sui ceppi di legno e Sophie provò di nuovo compassione per lui. — Ma se devo osservare e ascoltare, questo significa che dovrò rimanere nel castello — obiettò Sophie. — Un mese dovrebbe essere sufficiente, anch'io devo studiare il tuo incantesimo —. Il tono del demone era convincente. — Ma quale scusa plausibile posso addurre per poter restare?! — Penseremo a qualcosa. Howl, nella maggior parte dei casi si rivela inutile — disse il demone sibilando velenosamente, — è troppo preso da se stesso per accorgersi di cosa succede oltre il suo naso. Lo possiamo ingannare per tutto il tempo che tu vorrai rimanere al castello. — Molto bene, resterò! Ora pensiamo a una scusa. Sophie cercò una posizione comoda sulla sedia, mentre il


demone rifletteva a voce alta, producendo un borbottio che le ricordò il suono della propria voce quando parlava al bastone, sulla via del castello. Le fiamme si alzarono in un ruggito felice e potente e lei ricominciò a sonnecchiare. Sentì alcuni suggerimenti del demone, fra i quali la possibilità di presentarsi a Howl come una vecchia zia di cui non si avevano da tempo notizie e un paio di altre scuse che non comprese chiaramente. Poi il demone cominciò a cantare una canzoncina con voce suadente. Sophie non riconobbe alcuna lingua a lei nota (per lo meno pensò così, finché non comprese distintamente la parola casseruola) e alla fine si accorse che si trattava soltanto di una ninna-nanna. Cadde in un sonno profondo, col vago sospetto di essere stata ammaliata, ma non le importava: presto sarebbe tornata libera dal maleficio... CAPITOLO QUATTRO In cui Sophie scopre diverse cose strane Quando Sophie si svegliò la luce del giorno la inondava. Dato che non ricordava finestre nel castello, la prima impressione fu quella di essersi addormentata mentre adornava i cappelli e di aver sognato di lasciare casa sua. Davanti a lei il fuoco si era trasformato in un letto di braci rosate e di cenere bianca, il che la convinse di essersi sognata il demone del fuoco. I suoi primi movimenti, però, la convinsero che non aveva sognato, perché in effetti tutto il suo corpo risuonava di scricchiolii sinistri. — Ahi! Sento dolori dappertutto! — esclamò con voce gracchiante.


Si coprì il viso con le mani nodose e sentì al tatto la fitta rete di rughe. Si rese conto di aver trascorso il giorno precedente in stato di shock. Ora era veramente in collera con la Strega delle Terre Desolate per ciò che aveva subito. Era profondamente, enormemente arrabbiata: — Entrare come il vento dentro un negozio e trasformare una ragazza in una vecchia! Oh, cosa non le farei! Saltò su dalla sedia per la rabbia producendo un concerto di crick crack, e si diresse verso una finestra, comparsa all'improvviso sul muro al di sopra del tavolo di lavoro. Con suo grande stupore la vista che si godeva era il panorama di una cittadina di pescatori. Poteva vedere una strada bianca e tortuosa fiancheggiata da casupole, all'apparenza povere, e alberi di navi oltre i tetti. Al di là degli alberi colse lo scintillio del mare, che non aveva mai visto in vita sua. — Dove sono mai? — chiese al teschio poggiato sul bancone. — Non mi aspetto comunque che tu mi risponda, amico mio — aggiunse in fretta, ricordandosi di essere nel castello di un mago. Infine si voltò e cominciò a ispezionare la stanza. Alla luce del giorno appariva piccola e incredibilmente sporca, con grandi travi nere che reggevano il soffitto. Le pietre del pavimento erano macchiate di grasso e c'era una montagna di cenere vicino al parafuoco. Le ragnatele pendevano dai travi come festoni polverosi e anche il teschio era ricoperto da uno strato di polvere. Sophie la spazzò via distrattamente mentre si chinava sull'acquaio posto di fianco al tavolo di lavoro. Rabbrividì di fronte al fluido vischioso rosa e grigio che occupava il fondo del lavello e quello bianco che pendeva dalla pompa sopra di esso. Howl ovviamente non si curava dello squallore in cui viveva la sua servitù. Il resto del castello doveva essere oltre una delle quattro


basse porte che si affacciavano sulla stanza. Sophie aprì l'uscio più vicino, situato sulla parete di fondo, oltre il tavolo di lavoro. Trovò, così, una vasta stanza da bagno che ti saresti immaginato di vedere solo in un grande palazzo. Piena di lussuose comodità come una toilette nascosta, un vano doccia e un'immensa vasca da bagno, con i piedi a forma di zampa artigliata, e specchi su tutte le pareti. Questa stanza era, se possibile, ancora più sporca e in disordine della precedente. Sophie si ritrasse dal gabinetto, indietreggiò di fronte al colore della vasca e distolse lo sguardo disgustata dalla muffa verde che cresceva nella doccia. Riuscì facilmente a non vedere la propria immagine riflessa sugli specchi, perché questi ultimi erano ricoperti da una serie di macchie e schizzi di sostanze sconosciute e improbabili. Quelle stesse sostanze quasi certamente affollavano un largo scaffale sopra la vasca, contenute in vasi di vetro, scatole e tubetti, in pacchetti e sacchetti di carta scuri e mezzo sbrindellati. Il vaso più grande aveva un nome, POTERE ASCIUGAMARI scritto a lettere così contorte che Sophie non era del tutto sicura che non si trattasse invece di POLVERE ASCIUGAMANI. Raccolse un pacchetto a caso ma subito lo posò, non appena lesse lo scarabocchio che lo identificava come PELLE. Su un altro vaso era scarabocchiata la parola OCCHI, mentre su un tubetto c'era la scritta PER DENTI. Guardando dentro il lavandino con un brivido, Sophie pensò che comunque il rubinetto sembrava funzionare. Infatti, quando ruotò il pomello verde bluastro, che avrebbe dovuto essere di ottone, l'acqua cominciò a scorrere nel lavandino portandosi via un po' di sporcizia. Sophie si sciacquò le mani e la faccia stando attenta a non toccare nient'altro. Non ebbe il coraggio di usare il Potere Asciugante, usò, invece, la sua gonna. Uscita dal bagno, si accinse ad aprire la successiva porta


nera. Questa dava su una scala di legno tutta sgangherata, ma non appena udì qualcuno muoversi al piano di sopra, precipitosamente la richiuse. In ogni caso sembrava conducesse a una specie di grande solaio. Sophie zoppicò verso la porta successiva. Si muoveva comunque ancora in maniera abbastanza agile e questo le confermò quanto aveva già scoperto il giorno prima, cioè che era sì vecchia, ma ancora in buona salute. La terza porta si apriva su un cortiletto disordinato e circondato da alte mura di mattoni. Conteneva una grande catasta di legna, un cumulo di rifiuti di metallo, ruote, secchi, lastre e fili di ferro, e il tutto costituiva un ammasso talmente alto che quasi raggiungeva la cima del muro. Sophie chiuse anche quella porta, piuttosto sconcertata perché quello che aveva visto non si adattava al resto del castello. Tra l'altro le mura sembravano arrivare tanto in alto da nascondere le altre parti del castello. Sophie pensò che il cortile interno corrispondesse esternamente a quella parte di castello di fronte alla quale era stata fermata dal muro invisibile la sera precedente. Aprì la quarta porta. Era semplicemente il ripostiglio delle scope e, appoggiati su di esse, stavano due bellissimi mantelli di velluto ignobilmente impolverati. Sophie richiuse lentamente la porta. Rimaneva soltanto quella dalla quale era entrata nel castello, che aprì con molta cautela. Per un momento rimase a guardare le colline che scorrevano lentamente sotto di lei, con l'erica che scivolava sotto la porta. Sentì il vento fra i capelli e ascoltò il rombo emesso dalla pietre del castello mentre questo si muoveva. Chiuse la porta e si diresse verso la finestra, e da lì vide di nuovo la cittadina di mare che aveva visto in precedenza. Non era un quadro. Una donna aveva aperto la porta della casa


di fronte e stava spazzando fuori la polvere. Oltre la casa una vela grigiastra veniva issata sull'albero maestro, disturbando uno stormo di gabbiani che stava volando lì attorno. Il mare luccicava sullo sfondo. — Non capisco — disse Sophie rivolta al teschio. Poi, visto che il fuoco stava per estinguersi del tutto, mise due grossi pezzi di legna nel camino e tolse la cenere. Allora delle fiamme verdi si insinuarono, come dei piccoli riccioli, fra i due pezzi di legno, poi improvvisamente il lungo viso blu comparve e le fiamme verdi divennero i suoi capelli. — Buongiorno — le disse il demone del fuoco. — Non dimenticare il patto che abbiamo stretto. Niente di tutto quello che le stava attorno era un sogno. Sophie non si mise a urlare solo perché non faceva parte del suo carattere, ma si sedette sulla sedia e fissò a lungo il viso sfuggente del demone, così non prestò attenzione ai rumori che faceva Michael mentre si alzava, e si ricordò di lui solamente quando se lo ritrovò a fianco imbarazzato. — Siete ancora qui allora? — Più che una domanda era una constatazione esasperata. — Qual è il problema? Sophie tirò su col naso e cominciò — Sono vecchia... — Be', succede a tutti prima o poi. Non vorreste fare colazione? Sophie sentì di nuovo di essere una vecchia in buona salute, infatti avvertiva i morsi della fame visto che non aveva più mangiato niente dal giorno precedente. Accettò quindi la proposta di Michael con entusiasmo, e quando il ragazzo si avvicinò alla dispensa, Sophie fu presto alle sue spalle per cercare di vedere che cosa ci fosse di buono. — Temo che ci sia solo pane e formaggio. — Ma se c'è un intero cesto di uova — ribatté Sophie, — e quella non è forse pancetta? Cosa ne dici se ci prepariamo


qualcosa di caldo da bere? Dov'è il bollitore? — Non c'è — le spiegò Michael, — Howl è il solo in tutto il castello che possa cucinare. — Io so farlo benissimo. Stacca dal chiodo quella padella e te lo farò vedere —. Così dicendo Sophie cercò di afferrare la grande padella nera dalla dispensa, nonostante Michael tentasse di impedirglielo. — Voi non capite, il problema è Calcifer, il demone del fuoco. Non piegherà la testa per permettere ad alcuno, tranne che a Howl ovviamente, di usare le sue fiamme per cucinare. Sophie si voltò a guardare il demone del fuoco, e questi ricambiò l'occhiata malignamente. — Rifiuto di essere sfruttato. — Michael, vuoi forse dire che non puoi bere niente di caldo a meno che Howl non sia a casa? Il ragazzo, piuttosto imbarazzato, annuì col capo. — Allora sei tu quello che viene sfruttato! — gli disse Sophie. — Dammi qua! — e gli strappò dalle mani la padella, vi mise dentro la pancetta, poi raccolse alcune uova con un grosso mestolo di legno e marciò verso il camino. — Ora, Calcifer, vediamo di non dire altre sciocchezze. Piega quella testa. — Non puoi farmi questo! — gracchiò il demone del fuoco. — Certo che posso! — ribatté Sophie con quel tono autoritario che spesso era riuscito a fermare le sorelle quando si picchiavano. — Se non lo farai, ti verserò dell'acqua in testa, oppure prenderò le molle e toglierò tutta la legna. Nel frattempo si era inginocchiata sulle pietre del focolare, non senza scricchiolare, e aggiunse sussurrando: — Oppure potrei ritirarmi dal nostro patto o, ancor meglio, raccontare tutto a Howl. Cosa ne dici? — Maledizione! — imprecò Calcifer. — Michael, perché l'hai lasciata entrare? —. Poi chinò la faccia imbronciata in


avanti finché non si vide solo l'aureola di fiamme verdi danzare sui ceppi. — Ti ringrazio — disse Sophie e si affrettò ad appoggiare la pesante padella sul cerchio di fuoco per essere sicura che Calcifer non cambiasse idea. — Spero che la tua pancetta si bruci! — sbuffò Calcifer da sotto la padella. Sophie sistemò le fette di pancetta che cominciarono a sfrigolare e avvolse un lembo della gonna attorno al manico del padella per poter cucinare senza bruciarsi la mano. La porta si aprì, ma lei non ci fece caso perché era intenta a sussurrare al fuoco: — Non fare lo sciocco, Calcifer, e mantieniti così perché adesso aggiungerò le uova. — Salve Howl —. Michael rivolse al suo capo un saluto rassegnato. Allora Sophie si girò di scatto e fissò il mago che sfoggiava un abito sgargiante blu e argento, e si era chinato nell'atto di appoggiare la chitarra in un angolo. Howl scostò il ciuffo biondo che gli copriva la fronte rivelando due occhi verdi, di un verde che ricordava il vetro di una bottiglia. La guardò incuriosito e sul volto, lungo e squadrato, si poteva leggere un'espressione perplessa. — Chi accidenti sei? Dove ti ho già visto? — Sono assolutamente un'estranea — mentì Sophie con decisione, ma dopo tutto quella era una mezza verità. Howl, infatti, l'aveva incontrata in quel Calendimaggio che ora le sembrava tanto lontano, e l'aveva chiamata piccolo topino grigio. Avrebbe dovuto ritenersi fortunata per essergli sfuggita quella volta, ma in effetti l'unica cosa che Sophie ora riusciva a pensare era che il Mago Howl, con tutta la sua crudeltà, era solo un giovanotto sui vent'anni, un ragazzino di fronte alla sua vecchiaia! Faceva una bella differenza essere vecchia, pensò


mentre girava la pancetta, e sarebbe morta piuttosto di far sapere a qual ragazzo così pomposamente vestito che lei era la giovane della quale lui aveva avuto compassione quel giorno di maggio. Cuore e anima non c'entravano in questo momento. Howl non lo avrebbe saputo. — Mi ha detto che si chiama Sophie — stava intanto spiegando Michael. — È arrivata la notte scorsa. — E come ha fatto a piegare Calcifer? — Mi ha tiranneggiato! — spiegò Calcifer con voce lamentosa e soffocata da sotto la padella. — Non sono molte le persone che riescono a farlo — disse Howl pensieroso avvicinandosi al camino. Il profumo dei giacinti si mescolò all'aroma della pancetta mentre scostava Sophie con fermezza. — Calcifer non ama che qualcuno che non sia io cucini sulle sue fiamme — disse chinandosi sul fuoco e afferrando la padella, proteggendosi la mano con la manica del vestito. — Passami altre due fette di pancetta e sei uova, per piacere, e raccontami perché sei capitata qui. Sophie fissò il gioiello blu che pendeva dall'orecchio di Howl e cominciò a passargli un uovo dopo l'altro. — Perché sono venuta qui, giovanotto? —. Dopo quello che aveva visto nel castello, la scusa sembrava lampante — Ovviamente sono venuta per essere la tua nuova domestica. — Davvero? — Howl, intanto, rompeva con una mano le uova e buttava i gusci fra i ceppi dove Calcifer sembrava mangiarli di gusto, facendo un sacco di smorfie. — E chi dice che sei la mia nuova domestica? — Io — rispose Sophie con aria risoluta e si affrettò ad aggiungere: — Io posso pulire lo sporco di questo posto, anche


se non posso spazzare via la malvagità dal tuo cuore, giovanotto. — Howl non è cattivo — intervenne Michael. — Sì che lo sono — lo contraddisse Howl. — Ti dimentichi come sia crudele in questo momento, Michael —. Poi, alzando il mento verso Sophie: — Se sei così ansiosa di renderti utile, buona donna, trova coltelli e forchette e pulisci il banco da lavoro. Sotto il bancone c'erano degli alti sgabelli e Michael cominciò a tirarli fuori e ammonticchiare da una parte del tavolo tutte le cose di cui era ingombro, per far posto alle posate che tirò fuori da un cassetto posto su di un lato del banco. Sophie si mise ad aiutarlo. Non si era certo aspettata che Howl le desse il benvenuto, ma non si era neppure sbilanciato a darle il permesso di restare, una volta finita la colazione. Poiché Michael sembrava cavarsela benissimo da solo, Sophie andò a prendere il suo bastone e con calma, ma ostentatamente, lo mise nel ripostiglio delle scope. Dato che questo gesto sembrava non aver attirato l'attenzione di Howl, gli disse: — Puoi tenermi per un mese di prova, se ti fa piacere —. Ma Howl si limitò a ordinare a Michael: — I piatti, per favore — e si drizzò con la padella fumante nelle mani, mentre Calcifer balzò su con un ruggito di sollievo, spingendo le sue fiamme in alto nel camino. Sophie fece un altro tentativo per punzecchiare il Mago: — Se dovrò fare le pulizie qui per il mese prossimo, mi piacerebbe conoscere il resto del castello, io sono riuscita a trovare solo questa stanza e il bagno. Con sua grande sorpresa sia Michael che il Mago scoppiarono in una sonora risata. Solo quando finirono di fare colazione Sophie scoprì il motivo della risata. Non solo risultava difficile punzecchiare Howl, ma sembrava anche che non gli facesse piacere rispondere a nessun tipo di


domanda. Una volta compresa questa sua tattica, Sophie la smise di porre domande al Mago e si rivolse a Michael. — Spiegale tutto, così la smetterà di essere noiosa — disse Howl rivolto all'apprendista. — C'è solo la parte del castello che avete visto, Sophie, oltre a due camere da letto al piano di sopra. — Cosa? Howl e Michael risero di nuovo e l'apprendista continuò a spiegare: — Howl e Calcifer hanno inventato il castello. È il demone a mantenerlo in movimento. Il suo interno è costituito dalla vecchia casa di Howl a Porthaven ed è l'unica parte reale. — Ma Porthaven è molte miglia lontano da qua, giù verso il mare! — disse Sophie. — Questa è pura malvagità! E perché fare andare avanti e indietro, su e giù per le colline questo enorme, terribile castello e spaventare a morte tutti gli abitanti di Market Chipping?! Howl si strinse nelle spalle. — Che vecchia chiacchierona sei! Ho raggiunto uno stadio della mia carriera in cui ho bisogno di impressionare tutti con il mio potere e la mia malvagità, altrimenti anche il Re non avrebbe una buona opinione di me. Inoltre l'anno scorso ho offeso qualcuno molto potente e ora ho bisogno di starmene alla larga. Quello sembrava un modo abbastanza strano per evitare qualcuno, pensò Sophie, ma immaginò che i maghi avessero abitudini diverse dalle persone comuni. In breve scoprì che il castello aveva altre peculiarità. Avevano appena finito di mangiare e Michael stava impilando i piatti nel lavello ancora sporco, quando si udì bussare forte e prepotentemente alla porta. Calcifer divampò: — Porta di Kingsbury!


Howl, che si stava dirigendo verso il bagno, andò invece alla porta. Sopra di essa c'era un pomello di legno quadrato fissato nell'architrave con una pennellata di vernice su ciascuno dei quattro lati. La parte tinta di verde era rivolta verso il basso, ma Howl, prima di aprire la porta, ruotò il pomello in modo che verso il basso ci fosse la parte dipinta in rosso. Fuori c'era un personaggio con una parrucca bianca rigida e un cappello a larghe tese. Indossava un abito viola, scarlatto e dorato e reggeva un piccolo staffile decorato con nastri che sembrava un sonaglio per bimbi. Si inchinò. Un profumo dolce di chiodi di garofano e fiori d'arancio pervase la stanza. — Sua Maestà il Re presenta i suoi omaggi e mi manda a consegnarvi il pagamento anticipato a fronte dell'ordine di duemila paia di stivali delle sette leghe — disse questa persona. Dietro di lui Sophie aveva scorto una carrozza ferma in attesa, in una strada piena di case sontuose decorate con incisioni dipinte e torri, guglie e cattedrali di uno splendore inimmaginabile. Con suo grande dispiacere, al messaggero occorse poco tempo per porgere al Mago un borsellino di seta sonante di monete, e altrettanto poco tempo occorse a Howl per prenderlo, inchinarsi a sua volta e richiudere la porta. Howl ruotò il pomello quadrato con la parte verde verso il basso e mise in tasca il borsellino. Sophie vide gli occhi di Michael seguire il percorso del borsellino con aria ansiosa e preoccupata. Howl si diresse quindi verso il bagno ordinando al fuoco: — Calcifer, ho bisogno di acqua calda! — e scomparve per un bel po' di tempo. Sophie non riuscì a frenare la curiosità — Chi era, Michael, quella persona alla porta, e soprattutto, dove si trovava? — La porta dà su Kingsbury, dove vive il Re. Penso che quell'uomo fosse il segretario del Cancelliere —. E, rivolto a


Calcifer, aggiunse: — Vorrei che non gli avesse dato tutto quel denaro. — Pensi che Howl mi lascerà restare? — Se lo farà, voi non dovrete forzarlo in nessun modo - le rispose Michael. — Odia essere vincolato a qualsiasi cosa. CAPITOLO CINQUE Che è veramente troppo pieno di lavaggi Sophie decise che l'unica cosa da fare era dimostrare a Howl di essere una domestica sopraffina, un vero tesoro. Si legò un vecchio straccio attorno ai capelli, ispidi e bianchi; si arrotolò le maniche sulle braccia ossute e usò una vecchia tovaglia trovata nel ripostiglio delle scope come grembiule. Pensò con sollievo che doveva pulire solo quattro stanze e non un intero castello, così prese un secchio e una granata e si mise al lavoro. — Ma questa cosa fa? — gridarono Michael e Calcifer in coro, inorriditi. — Pulisco — replicò Sophie decisa. — Questo posto è una schifezza. — Non ce n'è alcun bisogno — disse Calcifer, e Michael di rincalzo mormorò: — Howl la sbatterà fuori a calci! Sophie ignorò entrambi e continuò a sollevare nugoli di polvere. Alcuni colpi alla porta vennero a interrompere questa scena. Calcifer levò le sue fiamme dicendo: — Porta di Porthaven! — e fece volare mille scintille rosse e viola fra le nuvole di polvere, mentre Michael lasciava il banco di lavoro e andava ad aprire. Sophie vide Michael ruotare il pomello quadrato in modo


che la parte colorata di blu fosse rivolta in basso, quindi aprì la porta e le comparve davanti la strada che aveva visto dalla finestra. Fuori dalla porta c'era una ragazzina che si rivolse a Michael: — Buongiorno, signor Fisher. Sono venuta a ritirare l'incantesimo per la mia mamma. — Se non sbaglio era l'incantesimo per la sicurezza della barca di tuo babbo... mi ci vorrà solo un attimo —. Tornò al banco di lavoro, prese una polvere da un vaso posto su uno scaffale e la mise in un pezzo di carta quadrato. Mentre Michael preparava la pozione, la ragazzina spiò con curiosità Sophie che ricambiò lo sguardo indagatore. Finalmente Michael tornò con il pacchettino contenente la polvere. — Dille di spargerla per bene lungo tutta la barca. Durerà per molto tempo, anche se ci sarà tempesta. La ragazzina prese il pacchetto e diede a Michael una moneta, chiedendogli curiosa: — Ma... lo Stregone ha una nuova Strega che lavora per lui? — No — si affrettò a rispondere Michael. Sophie, però, si intromise: — Parli di me? Sì, bambina mia, sono la Strega migliore e più pulita delle Terre di Ingary. Michael chiuse la porta esasperato. — Adesso lo saprà tutta Porthaven e a Howl potrebbe non piacere affatto —. Così dicendo ruotò di nuovo il pomello con la parte verde in basso. Sophie per un po' parlò fra sé e sé, per niente pentita di quello che aveva fatto. Quand'era una ragazza le sarebbe venuta la pelle d'oca per l'imbarazzo al solo pensiero di come si stava comportando, da vecchia non le importava niente di quello che dicesse e facesse. Tutto sommato era un gran sollievo. Chissà come le era venuto in mente di dire che era una Strega, forse gliel'aveva suggerito la scopa, ma questo avrebbe potuto


persuadere Howl a permetterle di restare, visto che ormai tutti a Porthaven sapevano che lei si trovava lì. Così, quando Michael sollevò una pietra del caminetto e nascose la moneta della ragazzina, Sophie continuò imperterrita con le sue domande: — Cosa stai facendo? — Calcifer e io stiamo cercando di accantonare un po' di denaro — rispose Michael con tono colpevole. — Altrimenti Howl spenderebbe ogni penny che guadagniamo. — Spendaccione dalle mani bucate! — gracchiò Calcifer. — Spenderà il denaro del Re più velocemente di quanto io non bruci un ceppo nel camino. Sciocco imprevidente! Sophie spruzzò dell'acqua sul pavimento per non sollevare troppa polvere e Calcifer si ritrasse sul fondo del focolare. Sophie ricominciò a spazzare dirigendosi verso la porta per meglio osservare il pomello quadrato. Il quarto lato del pomello, che non era ancora stato usato, era dipinto di nero. Domandandosi dove mai si aprisse la porta quando il pomello era sul nero, Sophie cominciò a togliere le ragnatele che pendevano dalle travi del soffitto con foga tale che Michael si lamentò e Calcifer starnutì. Proprio in quel momento Howl uscì dal bagno circondato da un alone di profumo, meravigliosamente azzimato. Persino le filigrane d'argento e i ricami sul suo vestito sembravano essere diventati più luminosi. Si guardò intorno e si ritrasse verso il bagno, proteggendosi la testa con la lunga manica del vestito. — Fermati, donna! Lascia stare quei poveri ragni! — Queste ragnatele sono una vera disgrazia! — disse Sophie, continuando il suo lavoro. — Lascia stare le ragnatele e lascia in pace i ragni! Sophie pensò che Howl avesse una malvagia affinità con quei ragni, ma continuò imperturbabile. — Produrranno soltanto


nuove ragnatele. — E uccideranno le mosche, cosa molto utile — ribatté Howl. — Tieni ferma quella scopa mentre attraverso la stanza, per favore. Sophie si appoggiò alla scopa e guardò Howl che andava a prendere la chitarra. Quando il Mago aveva ormai la mano sul chiavistello della porta, Sophie gli chiese: — Se il rosso porta a Kingsbury e il blu a Porthaven, dove porta il nero? — Che vecchia ficcanaso! Il nero porta al mio privatissimo rifugio e non sei tenuta a sapere dove esso sia —. Così dicendo Howl aprì la porta sull'ampia brughiera e sulle colline che scivolavano sotto al castello. — Quando tornerai? — chiese Michael in tono scoraggiato, ma Howl fece finta di non aver sentito e si rivolse, invece, a Sophie: — Non devi uccidere un singolo ragno, mentre sono via —. Poi la porta sbatté dietro di lui. Michael diede un'occhiata significativa a Calcifer e sospirò. Il demone, di rimando, scoppiettò in una maliziosa e gracchiante risata. Dato che nessuno le aveva comunicato dove Howl se ne fosse andato, dedusse che fosse di nuovo in caccia di ragazze e si rimise a lavorare con rinnovato vigore, anche se non osò far del male a nessun altro ragno dopo quanto le aveva intimato il Mago. Cominciò così a battere le travi con la scopa, urlando: — Via, ragni! Fuori dai piedi! I ragni, temendo per la loro vita, cominciarono a scappare rifugiandosi in ogni fessura, mentre le ragnatele cadevano come vecchi festoni. A quel punto dovette spazzare di nuovo il pavimento, dopo di che si inginocchiò per passare la brusca. — Vorrei che la smetteste! — le disse Michael seduto sulle scale, fuori dalla sua portata, mentre Calcifer, nascosto dietro il parafuoco, mormorava: — Oh come vorrei non aver fatto alcun


patto con te! Sophie continuò a lavare vigorosamente il pavimento: — Sarete entrambi molto più contenti quando qui sarà tutto più ordinato e pulito. — Ma intanto io mi sento soltanto depresso! — protestò Michael. Howl rientrò a notte fonda e, a quel punto, Sophie era ridotta in uno stato in cui riusciva a malapena a muoversi per la fatica fatta, e se ne stava seduta eretta sulla sedia sentendo dolore in ogni parte del corpo. Appena il Mago fu entrato, Michael lo prese per una manica e lo attirò dentro il bagno, da dove Sophie sentì provenire un torrente di lamentele accorate. Distinse chiaramente frasi come "terribile vecchia impicciona" e "non ascolta una sola parola", e persino Calcifer si mise a ruggire: — Howl, fermala! Ci ucciderà tutti quanti! Quando Michael lo lasciò finalmente andare, Howl rivolse a Sophie un'unica domanda: — Hai ucciso qualche ragno? — Naturalmente no! — rispose lei seccamente, dato che i dolori la rendevano irritabile. — I ragni mi guardano e scappano via temendo per la loro vita. Ma che cosa sono? Ragazze alle quali tu hai mangiato il cuore? Howl rise. — No, sono soltanto ragni — e salì pensieroso al piano di sopra. Michael sospirò, poi entrò nel ripostiglio e continuò a rovistare finché non tirò fuori un vecchio letto pieghevole, un materasso di paglia e delle coperte che mise nella nicchia sotto la scala. — Fareste meglio a dormire qui questa notte — suggerì a Sophie. — Significa che Howl mi permette di restare? — Non lo so! — le rispose Michael irritato. — Howl si interessa solo a se stesso. Sono trascorsi almeno sei mesi prima che desse segno di accorgersi che vivevo qui ed ero diventato il suo apprendista. Ho solo pensato che un letto sia più comodo di


una sedia —. Sophie allora lo ringraziò di cuore. Il letto si dimostrò veramente più comodo della sedia, e quando Calcifer si lamentò di aver fame e di aver bisogno di legna per la notte fu facile per Sophie allungarsi e mettere un altro ceppo nel camino. Nei giorni che seguirono, Sophie continuò a pulire il castello senza sentirsi più in colpa, anzi, trovò la cosa divertente. Dicendo a se stessa che stava cercando degli indizi lavò la finestra, pulì il lavandino melmoso e fece sgomberare a Michael sia il tavolo da lavoro che tutte le scansie in modo da poterle spolverare a dovere. Tolse ogni cosa dagli armadietti, staccò tutto quello che pendeva dalle travi e pulì ogni angolo della stanza. A forza di spostare il teschio da un posto all'altro, le sembrò che avesse assunto la stessa aria sofferente che anche Michael aveva dipinta sul volto. Riuscì a scomodare perfino Calcifer: infatti, per pulire la cappa del camino lo costrinse a piegare il più possibile la testa in avanti, cosa che il demone detestava più di ogni altra. Calcifer si prese la rivincita quando Sophie scoprì che la fuliggine si era posata dappertutto, nonostante avesse appeso un telo di fronte al focolare. Il guaio di Sophie era di non avere metodo. Ora avrebbe dovuto ricominciare a pulire da capo. Questo suo darsi da fare per pulire il castello nascondeva, comunque, l'intento di cercare il nascondiglio del tesoro di Howl. Prima o poi si sarebbe di certo imbattuta nelle anime delle ragazze o nei loro cuori masticati, oppure avrebbe trovato qualcosa che avrebbe spiegato il contratto fra Howl e Calcifer. Sophie aveva pensato che la cappa del camino, a cui Calcifer faceva da sentinella, avrebbe potuto essere un ottimo nascondiglio, ma trovò solamente un mare di fuliggine con la quale riempì alcuni sacchi che poi lasciò in cortile. Luogo, questo, che figurava in cima alla lista dei possibili posti in cui


cercare con cura. Ogni volta che Howl rientrava, Michael e Calcifer si lamentavano a gran voce di Sophie. Il Mago sembrava non accorgersene, così come non sembrava notare i risultati della pulizia e nemmeno che la dispensa fosse sempre più piena di provviste, quali dolci, marmellata e ogni tanto insalata verde. Come Michael aveva profetizzato, la voce era corsa veloce per tutta Porthaven, così la gente cominciò a presentarsi alla porta per vedere Sophie che veniva chiamata Signora Fattucchiera; a Kingsbury, invece, era stata nominata Signora dei Sortilegi, infatti la notizia si era sparsa anche nella capitale. Sebbene la gente che bussava alla porta di Kingsbury fosse vestita assai meglio della gente di Porthaven, il loro comportamento era simile: nessuno in entrambi i posti si azzardava a scomodare una persona potente senza una scusa, così Sophie spesso si trovava a dover interrompere il lavoro per accettare un regalo, fare un sorriso o pregare Michael di operare un incantesimo per qualcuno. Alcuni regali erano veramente carini: dipinti, collane di conchiglie e utili grembiuli. Sophie usava quotidianamente i grembiuli e appese le collane e i dipinti nella sua 'cuccia' sotto la scala che cominciò a prendere un aspetto sempre più umano e confortevole. Sapeva che tutto questo le sarebbe mancato quando Howl l'avrebbe cacciata e cominciò a paventare sempre più il momento in cui l'avrebbe fatto. Non poteva andare avanti ignorando l'eventualità. Terminata la stanza principale, pulì il bagno. Questo le occupò diverse giornate perché Howl vi trascorreva molto tempo, ogni giorno prima di uscire. Appena lui se ne andava, lasciando dietro di sé una scia di profumo e il bagno pieno di vapore, Sophie vi entrava. — Cerchiamo qualcosa che riguardi il contratto — mormorò


la prima volta alla vasca, ma il suo vero obiettivo era la scansia dei pacchetti, vasi e tubetti. Col pretesto di pulire accuratamente lo scaffale li spostò uno a uno e li esaminò accuratamente per vedere se dietro le etichette che dichiaravano PELLE, OCCHI e CAPELLI ci fossero in effetti ragazze fatte a pezzettini minuscoli. Mentre procedeva con il lavoro si convinse che in effetti erano soltanto creme, ciprie e tinture. Se mai si fosse trattato di ragazze che non ce l'avevano fatta contro Howl, doveva aver usato su di esse il misterioso contenuto del tubetto PERDENTI. Una volta decomposte, Howl avrebbe potuto sbarazzarsi facilmente dei resti nel lavandino, ma in cuor suo Sophie sperò che in tutti quei contenitori ci fossero solo dei cosmetici. Dopo aver pulito, rimise ogni cosa al suo posto. Quella notte, mentre sedeva dolorante sulla sedia, Calcifer brontolò di aver dovuto prosciugare un'intera sorgente di acqua calda per tutte quelle pulizie. — Dove sono le sorgenti di acqua calda? — domandò Sophie, curiosa di tutto ciò che riguardava il Mago e il suo castello. — La maggior parte si trova sotto le Paludi di Porthaven — le rispose Calcifer, — ma se vai avanti a questo ritmo, dovrò andare a prendere l'acqua calda dalle Terre Desolate. Quando la finirai di pulire e troverai come rompere il mio contratto? — A tempo debito... come posso scoprire i termini del contratto se Howl non è mai in casa? Ma... se ne sta sempre via così tanto? — Solo quando sta dietro a una signora — le spiegò il demone. Una volta che il bagno fu pulito e brillante, Sophie attaccò le scale e il pianerottolo. Quindi si spostò nella cameretta di Michael. Questi, che sembrava aver accettato la presenza di


Sophie come un ineluttabile disastro naturale, nel momento in cui fu invasa la sua camera cacciò un urlo di costernazione e si precipitò su per le scale per salvare le sue cose più care che erano racchiuse in una vecchia scatola posta sotto al letto di legno mangiato da tarli. Una volta raggiunta la scatola, la strinse fra le braccia proteggendola dalle grinfie di Sophie e lei vide un nastro blu con sopra una rosa di zucchero e quelle che sembravano essere delle lettere. — Così Michael ha un'innamorata! — disse a se stessa mentre apriva la finestra, che dava anch'essa su una strada di Porthaven, e metteva le coperte a prendere aria. Considerando quanto ultimamente fosse diventata curiosa, Sophie si sorprese di se stessa per non avergli chiesto chi fosse mai quella ragazza e come avesse fatto a tenerla al sicuro da Howl. Spazzò una tale quantità di polvere e di pattume dalla stanza di Michael che quasi soffocò Calcifer nel tentativo di bruciarlo. — Mi condurrai alla morte! Sei senza cuore come Howl! — riuscì a dire il demone che mostrava solo la sua capigliatura verde e un pezzettino del lungo viso blu. Michael mise la sua preziosa scatola nel cassetto del tavolo da lavoro e poi lo chiuse a chiave. — Vorrei che Howl ci ascoltasse!' Perché quella ragazza gli porta via così tanto tempo? Il giorno successivo Sophie pensò di cominciare a ripulire il cortile, ma quel giorno a Porthaven si mise a piovere. L'acqua picchiava contro la finestra e si infilava nel camino, facendo fischiare Calcifer in modo assai fastidioso. Anche il cortile faceva parte della casa di Porthaven, così, quando Sophie aprì la porta fu investita da uno scroscio di pioggia. Si protesse la testa col grembiule, cominciò a rovistare fra gli oggetti che si trovavano lì ammassati e, prima di essersi bagnata come un pulcino, trovò un grande pennello e un secchio di pittura bianca


che portò in casa e con i quali cominciò a ridipingere le pareti. Grazie a una scala di legno trovata nel ripostiglio, riuscì a dipingere anche il soffitto fra i travi. La pioggia si protrasse per due giorni, ma quando Howl apriva la porta con il lato del pomello verde girato in basso e usciva sulla collina, c'era il sole e grandi nuvole bianche si rincorrevano sopra l'erica, più veloci del castello. Sophie pitturò di bianco anche le pareti del suo cantuccio, delle scale, del pianerottolo e della camera di Michael. Quando Howl rientrò, il terzo giorno non poté fare a meno di esclamare: — Cos'è successo qui? Sembra tutto più luminoso. Michael, con voce da funerale, pronunciò solo: — Sophie! — Avrei dovuto indovinarlo — disse il Mago scomparendo nel bagno. — L'ha notato! — bisbigliò Michael a Calcifer. — Evidentemente la ragazza alla fine sta cedendo! Il giorno successivo cadeva ancora una fine pioggerellina su Porthaven. Sophie si mise il fazzoletto in testa per coprirsi i capelli, si arrotolò le maniche e si legò il grembiule in vita, poi, armata di secchio, granata e sapone, si accinse a pulire la stanza di Howl col cipiglio di un angelo vendicatore non appena il Mago uscì dal castello. Aveva lasciato per ultima quella stanza per paura di quello che avrebbe potuto trovarvi, addirittura non aveva osato, fino a quel momento, darvi nemmeno una sbirciatina. Era stato un atteggiamento abbastanza sciocco, pensò mentre si inerpicava su per le scale. A questo punto le era chiaro che fosse Calcifer a fare la maggior parte delle magie nel castello. Michael svolgeva tutto il lavoro di routine, mentre Howl se ne andava a zonzo in caccia di ragazze, e sfruttava gli altri due, proprio come Fanny aveva sfruttato lei. Sophie non aveva mai trovato Howl particolarmente spaventoso, e ora nei


suoi confronti provava solo del disprezzo. Arrivò al pianerottolo e trovò Howl fermo sulla soglia della sua stanza. Stava appoggiato allo stipite con aria indolente, bloccando completamente l'accesso. — No, non lo fare — le disse in tono gentile, — voglio che la mia camera resti sporca. Grazie. Sophie, imperturbabile, lo guardò fisso negli occhi. — Da dove sei entrato? Ti avevo visto uscire. — Ho immaginato quello che avevi intenzione di fare. Hai fatto del tuo peggio con Michael e Calcifer, quindi, una volta terminato con loro, era logico che avresti rivolto su di me le tue attenzioni. Qualsiasi cosa ti abbia detto Calcifer, non dimenticare che io sono un Mago. O forse pensavi che non fossi nemmeno in grado di una magia così piccola? Questo sconvolse tutte le supposizioni fatte poco prima da Sophie, ma sarebbe morta piuttosto di ammetterlo. — Tutti sanno che sei un Mago, giovanotto, ma questo non cambia il fatto che il tuo castello sia il posto più sporco in cui io sia entrata. Così dicendo cercò di sbirciare la camera di Howl, guardando sotto la manica del suo vestito. Il tappeto sul pavimento era ingombro di sporcizia come il nido di un uccello. Dalle pareti della stanza pendevano brandelli di intonaco e c'era uno scaffale pieno di libri dall'aspetto bizzarro e sospetto. Non c'era comunque traccia di cuori di ragazza masticati, ma potevano essere dietro, o sotto, l'enorme letto a baldacchino. Le tende del baldacchino erano grigie e bianche, tutte impolverate, e le impedivano di scorgere il paesaggio oltre la finestra. Howl le sventolò la manica in faccia. — Uh! Uh! Non essere curiosa. — Non sono curiosa! — protestò Sophie. — È che quella stanza... — Sì, tu sei una vecchia ficcanaso! Terribilmente curiosa,


orribilmente autoritaria. Una vecchia che tiene alla pulizia in maniera maniacale. Controllati! Stiamo diventando tutti tue vittime. — Ma questo è un porcile e io non posso essere diversa da quello che sono! — Sì che lo puoi. In ogni caso a me piace la mia stanza così com'è. Devi riconoscere che ho il diritto di vivere in un porcile, se voglio. Ora scendi al piano di sotto e pensa a qualcos'altro da fare. Per favore. Odio litigare con la gente. Sophie non poté fare altro che scendere le scale col suo passo zoppicante e con il secchio che le sbatteva contro il fianco. Era un po' scossa e soprattutto molto sorpresa che Howl non l'avesse cacciata dal castello su due piedi. Dato che non l'aveva fatto, le venne subito in mente la mossa successiva: aprì la porta a fianco alla scale e scoprì che aveva smesso di piovere quasi del tutto, così andò decisa in cortile e cominciò a impilare con furia tutti i ferrivecchi che vi si trovavano. Nel muovere tutta quella ferraglia, Sophie faceva un fracasso infernale, così Howl ricomparve sulla porta, incespicando nella lastra di ferro arrugginito che stava spostando. — Nemmeno qui puoi pulire! Sei un vero terremoto! Lascia stare il cortile. Io so esattamente dove si trova ogni oggetto, e se tu fai ordine non riuscirò più a trovare quello che mi serve per gli incantesimi di trasporto. Sophie pensò che probabilmente era proprio quello il posto dove il Mago teneva nascosto un cesto di anime o una scatola di cuori masticati. Si sentì talmente frustrata da urlare: — Fare le pulizie è il mio compito qui! — Allora devi inventarti una nuova ragione di vita — le rispose Howl che, per un attimo, sembrò sul punto di perdere le staffe. I suoi strani occhi chiari guardarono dappertutto senza soffermarsi su Sophie, infine riuscì a controllarsi. — Ora fila in


casa, vecchia trottola sempre in movimento, e trovati qualcos'altro con cui giocare prima che io mi arrabbi sul serio. Detesto arrabbiarmi. Sophie incrociò le braccia ossute, non le piaceva essere fissata da quegli occhi freddi come il ghiaccio. — Certo, tu odi arrabbiarti! Non ti piace fare niente che ti risulti sgradevole, vero? Sei un opportunista... dovrebbero chiamarti il Mago Svicolone. Ecco quello che sei! Scappi via da qualsiasi cosa che non ti piaccia! Howl la guardò con un sorriso tirato sulle labbra. — Bene, ora conosciamo i difetti l'uno dell'altra. Torna in casa. Sbrigati. Si mosse verso Sophie indicandole la direzione, ma, così facendo, la lunga manica del suo braccio alzato si impigliò nel metallo arrugginito e si strappò. — Dannazione! — esclamò Howl tenendosi i lembi strappati — Guarda che cosa mi hai fatto fare! — Te la posso rammendare. Le diede un'altra occhiata glaciale. — Ecco, ci stai ricadendo. Devi proprio amare il servilismo! —. Howl prese delicatamente i lembi strappati della manica fra le dita della mano destra e li unì. Non appena la sua mano lasciò la stoffa, Sophie vide che lo strappo era scomparso. - Ecco fatto! Hai capito adesso? Sophie rientrò nel castello piuttosto abbattuta. Ovviamente i Maghi non hanno nessun bisogno di lavorare come la gente comune e Howl le aveva dimostrato di essere veramente un mago. — Perché non si sbarazza di me? — disse Sophie un po' rivolta a se stessa e un po' a Michael, che le rispose: — Non lo so! E la cosa mi colpisce. Penso che Calcifer abbia comunque a che fare con la vostra permanenza in questo posto. Infatti, tutti


quelli che entrano nel castello o non lo notano nemmeno oppure ne sono spaventati a morte. Voi, invece... CAPITOLO SEI In cui Howl esprime i suoi sentimenti con melma verde Howl quel giorno non uscì, né lo fece per alcuni giorni successivi. Sophie sedette tranquilla vicino al camino tenendosi fuori dai piedi e pensando. Dovette ammettere con se stessa che aveva riversato tutti i suoi sentimenti di rabbia e frustrazione sul castello, ma, a pensarci bene, ce l'aveva solo con la Strega delle Terre Desolate. Inoltre era anche turbata dal fatto di trovarsi lì sotto mentite spoglie e che il Mago potesse pensare che lei piacesse a Calcifer, quando invece sapeva bene che il demone aveva solo colto l'occasione per stipulare un patto con lei. Sophie rimuginò anche sulla sua capacità di far piegare la testa al demone. Tutte queste elucubrazioni comunque non durarono a lungo, perché scoprì una pila di abiti di Michael che avevano bisogno di essere rammendati. Frugò nella sua tasca da lavoro e tirò fuori ago, filo, forbici e ditale. Quando giunse la sera, il suo animo si era rasserenato al punto di unirsi alla voce di Calcifer che cantava una sciocca canzoncina che parlava di casseruole. — Felice del tuo lavoro? — le chiese Howl con tono sarcastico. — Ho bisogno di qualcos'altro da fare ancora — gli rispose tranquillamente Sophie. — Bene, se hai bisogno di sentirti impegnata, il mio vecchio abito ha bisogno di qualche rammendo.


Questo probabilmente voleva dire che il Mago non era più seccato con lei. Sophie, che aveva passato tutta la giornata tesa come una corda di violino, si sentì sollevata. Era inoltre chiaro che Howl non aveva ancora catturato la ragazza cui dava la caccia. Sophie sentì che Michael poneva al Mago delle domande piuttosto ovvie riguardo l'argomento e che Howl le eludeva con grande abilità. — È veramente un grande 'svicolone' — mormorò Sophie a un paio di calzini di Michael che stava rammendando. — Non riesce ad affrontare la sua malvagità. Guardò Howl che faceva finta di essere indaffarato per nascondere il suo malcontento. Questo almeno era un atteggiamento che riusciva a comprendere piuttosto bene. Al banco di lavoro si dava da fare con molto maggiore impegno e molto più velocemente di Michael, mettendo assieme gli incantesimi in modo esperto, ma frenetico. Dall'espressione dipinta sul volto dell'apprendista, Sophie comprese che quelle magie erano inusuali e difficili da sviluppare, ma non fece in tempo a fare questa considerazione che Howl lasciò un incantesimo a metà e si precipitò in camera sua per cercare qualcosa, sicuramente qualche oggetto sinistro, poi scese di corsa in cortile per fare anche lì un'altra magia. Sophie aprì uno spiraglio della porta e si stupì nel vedere l'elegante Mago inginocchiato nel fango, con le lunghe maniche del vestito legate dietro al collo per essere libero nei movimenti, mentre componeva una strana forma fatta di metallo tutto ingrassato e ingarbugliato dentro una strana cornice. Quella magia era per il Re. Un altro messaggero, elegantemente vestito e profumato, arrivò con una lettera e si dilungò in un complicato discorso in cui si chiedeva se Howl avrebbe potuto dedicare il suo tempo libero, che altrimenti avrebbe senz'altro impiegato in


modo più interessante, a concentrare la sua potente e ingegnosa mente su un piccolo problema che assillava Sua Maestà Reale, a escogitare cioè come un esercito potesse trasportare pesanti carri attraverso la palude e sul terreno sconnesso. Howl diede una risposta meravigliosamente educata e altrettanto contorta. In sostanza disse di no. Il messaggero, però, continuò a parlare per un'altra buona mezz'ora, e alla fine, dopo essersi più volte inchinati l'uno verso l'altro, Howl acconsentì a risolvere il problema. — Tutto questo è un po' infausto — disse Howl rivolto a Michael, una volta che il messaggero se ne fu andato. — Sembra proprio che Suliman si sia perso nelle Terre Desolate... Lui, che è il Mago di Corte. E il Re pensa che invece io ce la possa fare. — A ogni buon conto Suliman non era creativo come te — replicò Michael. — Sono troppo paziente e troppo educato - continuò Howl con tono funereo. — Gli avrei dovuto chiedere una ricompensa ben maggiore. Il Mago si comportava in modo ugualmente paziente ed educato con i clienti di Porthaven, ma, come Michael gli fece notare per l'ennesima volta e con una certa ansia nella voce, il guaio era che Howl chiedeva pochissimo agli abitanti di quella cittadina. Questa discussione avvenne dopo che Howl aveva ascoltato per un'ora le motivazioni della moglie di un pescatore che non poteva pagargli neanche un penny e dopo aver promesso al capitano di una nave una magia, praticamente gratuita, per ottenere un buon vento. Howl, come al solito, riuscì a eludere tutti i commenti di Michael e gli diede, invece, una lezione di magia. Sophie attaccava i bottoni della camicia di Michael e ascoltava Howl che faceva un incantesimo assieme al


suo aiutante. — So di fare le cose in modo affrettato — stava dicendo il Mago, — ma non c'è nessun bisogno che tu mi prenda ad esempio. Per prima cosa il libro degli incantesimi va letto attentamente, con grande cura e precisione. La formula con la quale è espresso un incantesimo ti dirà molte cose, per esempio se ci si trova di fronte a un incantesimo che si sviluppa da solo oppure a uno che si scioglie da solo, oppure a un incantamento semplice o infine a un incantesimo composto da gesti e formule. Quando hai capito di che tipo si tratta, rileggi di nuovo la formula e decidi quali sono le parti che hanno il significato letterale e quelle che sono composte come un indovinello o un puzzle. Ora stai venendo a conoscenza di incantesimi sempre più potenti, e scoprirai che ogni sortilegio che fornisce potere racchiude in sé almeno un errore inserito deliberatamente o un enigma, al fine di prevenire incidenti. Tu devi individuare queste parti. Ora prendi in considerazione questa magia... Ascoltando le esitanti risposte di Michael alle domande poste da Howl e vedendo il Mago prendere appunti su un foglio di carta con una strana penna d'oca che non aveva bisogno di essere intinta nell'inchiostro, Sophie si rese conto che avrebbe potuto imparare anch'essa un sacco di cose. Le venne in mente che Martha aveva potuto scoprire l'incantesimo per scambiarsi con Lettie a casa della signora Fairfax e quindi che anche lei sarebbe stata capace di fare lo stesso. Con un po' di fortuna non avrebbe più avuto bisogno di appoggiarsi a Calcifer. Quando Howl si ritenne soddisfatto e fu convinto che Michael avesse dimenticato tutta la questione relativa ai piccoli o grandi importi che avrebbero dovuto pagare le persone di Porthaven, condusse il suo aiutante in cortile per farsi aiutare a eseguire l'incantesimo per il Re. Sophie allora si alzò in punta di piedi e raggiunse


zoppicando il banco di lavoro. L'incantesimo era abbastanza chiaro, ma gli appunti scarabocchiati da Howl la sconfissero. — Non ho mai visto una simile scrittura! — borbottò rivolta verso il teschio. — Ma adopera una penna o un attizzatoio?! Scorse avidamente ogni pezzetto di carta che era sul tavolo ed esaminò le polveri e i liquidi che si trovavano nei vasi dai colli ricurvi. — Lo ammetto — disse al teschio, — sto spiando e mi merito di trovare tutte queste cose inutili al mio caso: adesso so come curare la peste dei polli, far terminare un attacco di pertosse, far sollevare un vento e rimuovere i peli dalla faccia. Se Martha avesse fatto questo genere di scoperte sarebbe ancora dalla signora Fairfax! Quando Howl tornò, Sophie pensò per un momento che sarebbe andato a esaminare tutte le cose che lei aveva mosso. In effetti, semplicemente, non aveva pace e non sapeva cosa fare di se stesso. Sophie lo sentì camminare avanti e indietro per tutta la notte e la mattina successiva rimase in bagno solo per un'ora. Sembrava che non riuscisse a controllarsi, mentre Michael indossava il suo miglior abito di velluto color prugna, pronto per recarsi a Palazzo a Kingsbury, e insieme avvolgevano in una carta dorata il voluminoso macchinario magico che avevano preparato. L'oggetto doveva essere sorprendentemente leggero malgrado il suo volume, perché Michael riusciva a trasportarlo facilmente reggendolo con entrambe le braccia. Howl girò il pomello della porta con la pennellata rossa rivolta in basso e fece uscire l'aiutante sulla strada dalle case affrescate. — Lo stanno aspettando. Dovrai solo rimanere in attesa per la maggior parte della mattinata. Di' loro che anche un bambino potrebbe farlo funzionare e mostra loro come si adopera. Avrò pronto al tuo ritorno un nuovo incantesimo di potere su cui


lavorare. Arrivederci! Howl chiuse la porta e cominciò a misurare la stanza a grandi passi. Quindi prese una decisione improvvisa. — Mi prudono troppo i piedi. Andrò a fare una passeggiata sulla collina. Di' a Michael che l'incantesimo che gli ho promesso è sul tavolo da lavoro ed ecco qualcosa per te, per tenerti occupata. Dal nulla cadde in grembo a Sophie un abito grigio e scarlatto, non meno sfarzoso di quello blu e argento. Nel frattempo Howl aveva raccolto la chitarra, aveva ruotato il pomello della porta con il verde in basso e con un salto era uscito sull'erica che scorreva veloce sotto il castello, sulle colline attorno a Market Chipping. — A lui prudono i piedi! Poverino! — brontolò Calcifer con tono caustico. Su Porthaven era calata una fitta nebbia e Calcifer se ne stava basso fra i ceppi, muovendosi a disagio, cercando di evitare le goccioline che cadevano nel camino. — E come dovrei sentirmi io, piantato qui in questa umida grata? — Se vuoi che riesca a rompere il tuo contratto, dovrai darmi almeno un indizio — gli disse Sophie mentre scrollava il vestito grigio e scarlatto. — Buon Dio! Sei veramente un bel vestito, anche se un po' malconcio! Sei stato cucito per attirare gli sguardi delle ragazze. — Io ti ho dato un indizio! — sibilò Calcifer. — Be', allora dovrai darmelo di nuovo, perché io non l'ho affatto capito — gli disse Sophie di rimando mentre appoggiava l'abito e si dirigeva verso la porta. — Se ti do un indizio e ti dico che si tratta di un indizio, diventa un'informazione e io non sono tenuto a dartela... E adesso dove stai andando? — A fare qualcosa che non ho osato fare finché erano


entrambi qui. Così dicendo girò il pomello finché la parte nera non fu rivolta verso il basso, poi aprì la porta. Fuori non c'era niente. Non era nero né grigio né bianco. Non era denso né trasparente. Non si muoveva, non faceva odore e non emanava alcuna sensazione. Quando Sophie mise fuori un dito, con cautela sentì che non era né caldo né freddo. Non sapeva di nulla, sembrava assolutamente il nulla. — Che cos'è questo? — chiese a Calcifer. Il demone era interessato quanto Sophie. La sua faccia blu era piegata il più possibile fuori dalla grata per sbirciare fuori dalla porta. Del tutto dimentico della nebbia sospirò: — Non lo so, lo mantengo soltanto stabile. Tutto quello che ti posso dire è che si trova sul lato del castello che nessuno può avvicinare. Sento che è un posto molto lontano. — Sembra al di là della luna! — mormorò Sophie, chiudendo la porta e ruotando il pomello col verde rivolto in basso. Si fermò un attimo, esitante, poi cominciò a salire la scala. — Guarda che l'ha chiusa a chiave — le disse Calcifer. — Mi ha detto di dirtelo nel caso che tu avessi provato a curiosare di nuovo. — Cosa terrà mai, lassù? — Non ne ho la più pallida idea. Io non so niente del piano di sopra. Se solo tu potessi immaginare quanto sia frustrante! In effetti non riesco neanche ad avere una visione completa dell'esterno del castello. Vedo soltanto quello che mi serve per prendere la giusta direzione. Sophie, sentendosi ugualmente frustrata, tornò a sedere e cominciò a rammendare l'abito grigio e scarlatto. Poco dopo rientrò Michael. — Il Re mi ha ricevuto subito, e... Il suo sguardo era caduto sull'angolo, ora vuoto, dove di


solito Howl riponeva la chitarra. — Oh, no! Non di nuovo quella signora! Pensavo che si fosse innamorata di lui già da parecchi giorni. Che cosa la trattiene?! Calcifer sibilò con cattiveria. — Hai interpretato male gli indizi. Howl il Senza Cuore si è trovato davanti una signora piuttosto difficile e ha deciso di lasciarla sola per alcuni giorni, per vedere se ciò avrebbe giovato al suo scopo. E questo è tutto. — Sciocchezze! Vedo solo guai in vista... E io che speravo che Howl fosse tornato in sé! Sophie sbatté il vestito sulle ginocchia. — Bella roba! Come potete parlare in tono così leggero di una tale crudeltà! Immagino di non poter biasimare Calcifer che è un demone malvagio, ma tu, Michael...! — Non penso proprio di essere crudele — protestò Calcifer. — E io non sono affatto freddo e indifferente, se è questo che pensate! — le disse Michael. — Se solo sapeste i guai che abbiamo avuto perché Howl continua a far innamorare le ragazze in questo modo! Abbiamo dovuto fronteggiare procedimenti legali, fidanzati armati di spada, mamme armate di ferri da calza e padri e zii armati di randelli. E zie. Le zie sono terribili, ti inseguono con gli spilloni da cappelli. Ma la cosa peggiore è quando la ragazza stessa scopre dove vive Howl e continua a bussare alla porta, piangendo e urlando. In queste situazioni il nostro bel Mago se ne va dalla porta di dietro, mentre io e Calcifer dobbiamo cercare di cavarcela da soli. — Io odio le persone infelici — aggiunse Calcifer. — Mi gocciolano addosso le loro lacrime. Le preferisco arrabbiate. — Chiariamo una cosa — disse Sophie stringendo fra le mani con rabbia la seta rossa del vestito. — Ma che cosa fa Howl a queste povere donne?! Mi è stato detto che mangia i loro cuori e ruba loro l'anima. Michael rise a disagio: — Allora voi


venite da Market Chipping, All'inizio, quando attivammo il castello, Howl mi mandò a Market Chipping per mettere in giro voci che gli dessero una cattiva fama. Sono stato io... Io ho detto tutte quelle cose. È quello che di solito dicono le zie. E poi, in senso metaforico, corrisponde a verità. — Howl è molto volubile — aggiunse Calcifer. — Prova interesse per una ragazza fino a quando lei non si innamora di lui, dopo di che non sopporta più di averci nulla a che fare. — Ma non riesce a fermarsi finché non l'ha fatta innamorare. Michael sembrava realmente esasperato. — Finché non c'è riuscito, non puoi avere da lui niente di sensato. In questi casi non vedo l'ora che arrivi il momento in cui la ragazza si innamora di lui. Dopo le cose vanno meglio. — Almeno fino a quando la ragazza non riesce a rintracciarlo — sogghignò Calcifer. — Potrebbe avere il buon senso di usare un nome falso — fu il commento sdegnoso di Sophie. Lo sdegno serviva a nascondere il fatto che, a quel punto, lei si sentisse veramente una sciocca. — Oh, lo fa sempre — disse Michael e aggiunse: — Howl ama dare nomi falsi e stravaganti. Lo fa anche quando non sta corteggiando una ragazza. Non avete notato che a Porthaven è Jenkins lo Stregone, mentre a Kingsbury è il Mago Pendragon, così come nel castello è l'Orribile Howl? Sophie non l'aveva notato, il che la fece sentire ancora più sciocca facendola ulteriormente arrabbiare. — Continuo a pensare che sia malvagio, visto che va in giro a rendere infelici delle povere ragazze. È un comportamento crudele e senza senso. — Ma è fatto così — fu la laconica constatazione di Calcifer. Michael avvicinò al camino uno sgabello a tre piedi, vi si


sedette, e mentre Sophie continuava a cucire, le raccontò le conquiste di Howl e alcuni dei guai che erano seguiti. Lei si sentiva ancora piuttosto sciocca, e mentre cuciva brontolava con il vestito, come sua abitudine. — Così ti nutrì di cuori, vero, mio bel vestito? Perché le zie raccontano le cose in modo colorito, quando parlano delle loro nipoti? Probabilmente anche loro sono affascinate da te. Come ti sentiresti se fossi inseguito da una zia inviperita? Mentre Michael le raccontava di una zia in particolare, a cui lui evidentemente stava pensando, a Sophie parve di riconoscere, nelle sue parole, le chiacchiere che si erano fatte attorno a Howl a Market Chipping, nei giorni prima che lei partisse. Poi, pensando all'ultima tentata conquista del Mago, a Sophie venne in mente quella cocciuta di sua sorella Lettie che avrebbe potuto cadere nella trappola di Howl ed essere così molto infelice. Michael aveva appena suggerito di pranzare, sostenuto dall'usuale ruggito di Calcifer se si parlava di cibo, quando Howl aprì la porta ed entrò come un fulmine, più scontento che mai. — Qualcosa da mangiare? — gli propose Sophie. — No! Piuttosto acqua calda nel bagno, Calcifer — ordinò il Mago. Ma prima di entrare nel bagno, si soffermò per un attimo sulla porta con aria piuttosto imbronciata. — Sophie, per caso hai messo a posto lo scaffale degli incantesimi, qua dentro? Sophie si sentì più sciocca che mai. Niente l'avrebbe costretta ad ammettere che aveva rovistato fra tutti quei pacchetti e quei barattoli alla ricerca di pezzettini di ragazza. Così assunse l'aria più virtuosa che riuscì a dipingere sul suo volto. - Non ho toccato proprio niente - e andò a prendere la padella. — Spero proprio che non l'abbiate fatto — le disse Michael a


disagio, mentre la porta del bagno sbatteva. Mentre Sophie preparava il pranzo si udiva l'acqua scrosciare in bagno. — Sta usando un sacco d'acqua calda — commentò Calcifer da sotto la padella. — Penso che si stia tingendo i capelli e spero proprio che tu abbia lasciato stare le tinture magiche. Malgrado i suoi capelli color fango, è terribilmente vanesio. — Oh, chiudi quella boccaccia! — sbottò Sophie. — Ho rimesso a posto ogni cosa proprio come l'avevo trovata! — Ma era così di cattivo umore che rovesciò uova e pancetta su Calcifer. Naturalmente, il demone divorò tutto con mostruose entusiastiche fiammate. Sophie fu costretta a ricominciare da capo e finalmente anche lei e Michael poterono mangiare. Stavano finendo di sgomberare, e Calcifer si stava ancora leccando le labbra purpuree con la sua linguaccia blu, quando la porta del bagno si spalancò di schianto e Howl schizzò fuori lamentandosi disperato. - Guarda qui! - urlò. - Guarda! Che cos'ha combinato quella donna, signora del Caos, alle mie tinture magiche? Sophie e Michael si voltarono per guardare Howl. I suoi capelli erano bagnati, ma, a parte quello, nessuno dei due riuscì a vedere alcuna differenza rispetto a prima. — Se intendi me... — cominciò Sophie — Certo che intendo te! Guarda! — strillò Howl. Si lasciò andare sullo sgabello e cominciò a tamburellare con le dita nervose sui capelli bagnati. — Guarda! Controlla! Ispeziona! I miei capelli sono rovinati! Sembro una padella di uova e pancetta! Michael e Sophie si piegarono nervosamente sopra la testa di Howl. Le radici dei capelli erano del solito colore biondo, l'unica differenza era una lieve, lievissima traccia di rosso.


Sophie la trovò gradevole, forse perché le ricordava il colore che avrebbero dovuto avere ancora i suoi capelli. — Penso che sia una sfumatura molto carina. — Carina! — gridò Howl, — sembrerà a te! L'hai fatto di proposito. Insomma, non sei stata capace di fermarti fino a che non mi hai scocciato del tutto. Guarda! È terribilmente rosso! Dovrò nascondermi fino a quando non saranno cresciuti di nuovo! — allargò le braccia scoraggiato. — Oh, disperazione! Angoscia! Orrore! La stanza divenne buia. Dai quattro angoli si levarono delle enormi nuvole dall'aspetto umano che avanzarono verso Sophie e Michael ululando. Gli ululati cominciarono come gemiti orrendi, poi divennero ragli disperati, infine salirono di tono esprimendo pena e terrore. Sophie si tappò le orecchie con le mani, ma i gemiti diventarono sempre più acuti e più orribili, attimo dopo attimo, fino a trapanarle il cervello. Calcifer rabbrividì, si nascose sotto la grata e le sue fiamme si vedevano appena sotto l'ultimo ceppo. Michael prese Sophie per un gomito e la trascinò verso la porta, ruotò il pomello con la parte blu rivolta in basso, aprì la porta con un calcio e insieme fuggirono come il vento nella strada di Porthaven. Il rumore continuava a essere orribile anche da fuori, tanto che lungo la strada si aprivano le porte e la gente correva fuori tappandosi le orecchie. — Ma dobbiamo proprio lasciarlo solo in quello stato? — chiese Sophie con voce tremante. — Sì — le rispose Michael. — Se poi lui pensa che sia stata colpa vostra è senz'altro meglio lasciarlo solo. Si precipitarono attraverso la città perseguitati da urla così terribili da far vibrare l'aria. Una piccola folla li seguiva. Anche se la nebbia si era trasformata in una bruma mischiata a gocce di


acqua salata, la gente si diresse o verso il porto o sulla spiaggia dove il rumore sembrava essere più sopportabile. L'umidità che saliva dal mare li bagnava fino alle ossa, se ne stavano a gruppetti a guardare l'orizzonte bianco e brumoso e le cime tesate dei velieri all'ormeggio, mentre il rumore divenne un gigantesco singhiozzo così disperato da spezzare il cuore. Sophie rifletté che era la prima volta in vita sua che vedeva il mare così da vicino ed era un peccato che non potesse godere di quella vista. I singhiozzi si dileguarono poco a poco, trasformandosi in tristi e profondi sospiri. Poi fu il silenzio. La gente cominciò a ritornare in punta di piedi in città. Alcuni si avvicinarono timidamente a Sophie per chiederle: — C'è qualcosa che non va? Cos'è successo al povero Stregone, Signora Fattucchiera? Al posto suo rispose Michael: — Oggi è solo un po' infelice. Via, penso che possiamo arrischiarci a tornare indietro. Mentre percorrevano il lungo molo di pietra diversi marinai li chiamarono dalle barche ormeggiate, ponendo loro domande ansiose su quel rumore, se fosse portatore di tempeste o di cattiva sorte. — No, affatto — si affrettò a rispondere Sophie. — È tutto finito. Ma non era finita. Tornarono alla casa del Mago che dall'esterno appariva come un piccolo edificio ordinario e per giunta storto. Sophie pensò che non l'avrebbe certo riconosciuto se fosse stata da sola. Michael aprì la porticina male in arnese, con estrema cautela. Howl sedeva immobile sullo sgabello, completamente coperto da una densa sostanza verde, vischiosa. Sul suo viso era dipinta un'espressione di profonda disperazione. C'erano orrende, drammatiche quantità di quella sostanza dappertutto. La testa e le spalle del mago erano ricoperte come


da drappeggi verdi induriti e senza forma, mentre sulle mani e sulle ginocchia c'erano veri e propri mucchietti di gelatina verde che colava lungo le gambe e che si rapprendeva attorno ai piedi dello sgabello, per finire in pozzanghere che si allargavano sempre più sul pavimento. Lunghe propaggini si protendevano come dita verso il camino ed emanavano una puzza terribile. — Salvatemi! — urlò Calcifer con voce strozzata. Era ridotto a due piccole fiammelle disperate. — Questa schifezza mi sta soffocando! Sophie sollevò la gonna e marciò decisa verso Howl cercando di avvicinarsi il più possibile senza rimanere invischiata. — Smettila! Smettila immediatamente! Ti stai comportando come un poppante! Howl non si mosse e non rispose da sotto l'ammasso verde. Sgranò solo gli occhi, chiari e tragici, fissandola. — Cosa facciamo?! È morto? — chiese Michael dalla porta. Sophie pensò che l'apprendista fosse un ragazzo molto simpatico, ma un po' inutile in un momento così cruciale. — Non è morto, naturalmente. Ma se non fosse per Calcifer potrebbe restare tutto il giorno così, come un'anguilla in gelatìna, per quel che me ne importa! Apri la porta del bagno. Mentre Michael si faceva strada verso il bagno fra le pozzanghere di melma verde, Sophie gettò il suo grembiule sul camino per impedire che un'ulteriore quantità di quella robaccia verde si avvicinasse a Calcifer, poi afferrò la paletta, raccolse dei mucchietti di cenere e con essa coprì le pozze più grandi. La poltiglia sfrigolò e la stanza si riempì di vapore e di un odore pestilenziale. Sophie si arrotolò le maniche e si piegò per riuscire a fare più forza sulle ginocchia scivolose del Mago, quindi lo spinse nel bagno sgabello compreso. I piedi incespicarono e scivolarono sulla melma verde, ma per contro quella schifezza facilitò il movimento dello sgabello. Michael


venne in suo aiuto tirando Howl per le maniche. Finalmente riuscirono a portarlo nel bagno, e poiché Howl continuava a non volersi muovere, lo ficcarono a viva forza nella doccia. — Acqua calda, Calcifer! — ordinò Sophie. — Bollente! Ci volle un'ora per liberare Howl da tutta quella melma e ci volle un'altra ora a Michael per convincere il Mago ad alzarsi dallo sgabello e a infilarsi degli abiti asciutti. Fortunatamente il vestito grigio e scarlatto che Sophie aveva appena aggiustato era stato piegato sullo schienale della sedia, quindi fuori dalla portata della melma. Il vestito blu e argento era rovinato e Sophie suggerì a Michael di buttarlo nella vasca. Nel frattempo, brontolando e bofonchiando prese altra acqua calda, ruotò il pomello della porta col verde in basso e spazzò fuori tutta la melma nella palude. Il castello lasciò una scia bavosa come quella di una lumaca sulla pietra, ma era il modo più facile per liberarsi di tutta quella schifezza. C'erano senza dubbio dei vantaggi a vivere in un castello mobile, pensò Sophie mentre lavava il pavimento. Si chiese poi se le urla di Howl fossero state udite anche a Market Chipping, e in quel caso ebbe pietà degli abitanti. A quel punto, stanca e di cattivo umore, si rese conto che la melma verde era la vendetta di Howl su di lei e non era affatto pronta a provare per lui la benché minima compassione. Finalmente Michael condusse il Mago fuori dalla stanza da bagno, rivestito con l'abito grigio e scarlatto, e lo fece sedere sulla sedia, vicino al camino, con tenera sollecitudine. — È stata una cosa veramente stupida! — sputacchiò Calcifer. — Stavi forse cercando di liberarti della parte migliore delle tua magia o cos'altro? Howl non reagì a quelle parole, rimaneva semplicemente seduto con un'aria tragica, scossa dai brividi. — Non riesco a farlo parlare! — sospirò Michael con voce


triste. — È solo questione di nervi — sentenziò Sophie. Martha e Lettie erano altrettanto brave a lasciarsi prendere dalle crisi di nervi e lei sapeva bene come trattarle. D'altra parte sarebbe stato rischioso sculacciare un Mago in preda a una crisi isterica per i suoi capelli. In ogni modo l'esperienza di Sophie le diceva che la vera ragione di una crisi nervosa raramente coincide con il motivo scatenante. Attizzò Calcifer in modo da poter mettere un pentolino di latte sui ceppi, poi, quando il latte fu caldo, lo versò in una tazza e la pose fra le mani di Howl. — Bevi il latte, da bravo... Perché hai combinato tutto questo? È forse per quella signorina che ti ostini a voler vedere? Howl sorseggiò il latte con aria malinconica. — Sì. L'ho lasciata da sola per vedere se questo l'avrebbe fatta pensare a me con passione, ma non è successo. Non era ancora sicura dei suoi sentimenti, quando l'ho vista l'ultima volta. Ora mi dice che c'è un'altra persona. Sembrava così triste che Sophie provò dispiacere per lui. Ora che i suoi capelli erano asciutti, notò che erano quasi rosa e si sentì in colpa per quello che aveva fatto. Il tono di Howl diventava sempre più funereo. — È la più bella ragazza che si sia mai vista da queste parti. L'amo profondamente, ma lei disdegna la mia profonda devozione ed è tutta presa da un altro giovane. Come può desiderare un altro ragazzo dopo tutte le attenzioni che io le ho dedicato? Di solito le ragazze si liberano degli altri pretendenti quando compaio all'orizzonte. La compassione di Sophie si dissolse rapidamente, poiché le venne fatto di pensare che se poteva ricoprirsi così facilmente di tutta quella melma verde, altrettanto facilmente avrebbe potuto far tornare i capelli del colore giusto. Poi gli chiese: — Perché non dai alla ragazza un filtro d'amore e la fai finita lì?


— Oh, no! In questo modo sarebbe non stare al gioco e rovinerebbe tutto il divertimento. La compassione di Sophie calò ulteriormente. Era forse solo un gioco per lui? — Ma non pensi mai al dolore che procuri? Howl finì di bere il latte e, fissando il fondo della tazza, assunse un'aria terribilmente sentimentale. — Penso a lei in continuazione... Dolce, dolcissima Lettie Hatter. La compassione di Sophie svanì di colpo e una buona dose di ansia prese il suo posto. — Oh, Martha! — pensò, — non hai certo perso tempo! A sentir te non c'era nessuno di cui parlare, quando ti ho incontrata da Cesari! CAPITOLO SETTE In cui uno spaventapasseri impedisce a Sophie di lasciare il castello Solo un attacco particolarmente cattivo di acciacchi e dolori impedì a Sophie di mettersi in marcia per Market Chipping quella sera stessa. La pioggia sottile di Porthaven sembrava esserle entrata nelle ossa, e fu costretta a stare sdraiata nel suo angolo, tutta dolorante e preoccupata per Martha. Dopo una serie di riflessioni giunse comunque alla conclusione che tutta la faccenda si poteva risolvere facilmente. Sarebbe bastato, infatti, avvertire la sorella che il suo corteggiatore era in realtà il Mago Howl. Questo l'avrebbe spaventata moltissimo e l'avrebbe indotta a non pensare più a lui. Poi Sophie le avrebbe suggerito il modo più sicuro per liberarsi del pericoloso cascamorto: avrebbe dovuto semplicemente annunciargli che lei si era innamorata di lui. Infine, se ci fossero stati ulteriori problemi,


avrebbe potuto anche minacciarlo di sferrargli contro uno stuolo di zie. Quando la mattina successiva si alzò, Sophie sentì che le sue ossa scricchiolavano ancora a ogni movimento. — Maledetta Strega delle Terre Desolate! — brontolò rivolta al bastone, mentre lo raccoglieva, pronta a partire. Sentiva Howl che cantava nel bagno, come se non avesse avuto nessun attacco isterico. In punta di piedi si diresse zoppicando verso la porta, ma Howl uscì dal bagno prima che lei potesse raggiungere l'uscio. Sophie lo guardò storto. Era tutto azzimato e aveva un tenue profumo di fiori di melo. La luce che entrava dalle finestre faceva luccicare l'abito grigio e scarlatto e produceva un tenue alone rosa attorno ai suoi capelli. — Penso che i miei capelli stiano piuttosto bene di questo colore. — Davvero? —. Il tono di Sophie suonava piuttosto polemico. — Sì... S'intona perfettamente con questo vestito. Hai una mano veramente felice con ago e filo; sei riuscita a dare a quest'abito un nuovo tocco di eleganza. Sophie pensò che non fosse il caso di fare alcun commento. Howl fermò la mano sul pomello al di sopra della porta. Poi si rivolse di nuovo a Sophie: — Dolori e acciacchi ti fanno ammattire o c'è qualcos'altro che ti rende così irritabile? — Che mi rende irritabile? Perché dovrei essere irritata? Qualcuno ha semplicemente riempito il castello di gelatina verde andata a male, assordato tutti gli abitanti di Porthaven, spaventato Calcifer rischiando di trasformarlo in cenere e ha infranto circa un centinaio di cuori. Perché tutto questo dovrebbe irritarmi? Howl rise e ruotò il pomello con la parte rossa in basso. — Ti chiedo scusa, Sophie, ma il Re vuole vedermi. Probabilmente


metterò radici a Palazzo e non riuscirò a liberarmi fino a sera, ma quando tornerò, farò qualcosa per i tuoi reumatismi. Non dimenticare di dire a Michael che ho lasciato l'incantesimo per lui sul tavolo —. Rivolse un sorriso smagliante a Sophie e uscì fra le mille guglie di Kingsbury. — E tu pensi di poter sistemare tutto così?! — mugugnò Sophie mentre la porta si chiudeva. Ma quel sorriso l'aveva intenerita. — Se quel sorriso funziona su di me, allora non fa meraviglia che la povera Martha si senta confusa! Finalmente si accinse a guadagnare l'uscita, ma questa volta fu Calcifer a fermarla, ricordandole che aveva bisogno di un altro ceppo prima che lei uscisse. Così Sophie si attardò per porre sulla grata un grosso pezzo di legno. Fu quindi la volta di Michael, che scese le scale di corsa, agguantò una pagnotta dal tavolo e si precipitò verso la porta. — Non vi dispiace, vero? — le disse tutto concitato. — Porterò una pagnotta fresca quando tornerò indietro. Ho qualcosa di molto urgente oggi, ma entro sera sarò di ritorno. Se il capitano viene a chiedere il suo incantesimo per un buon vento, troverete la polvere magica all'estremità del banco. Sopra al pacchetto c'è un'etichetta. Non potete sbagliare! Girò il solito pomello con la parte verde in basso e saltò giù, sul fianco della collina spazzata dal vento, con la pagnotta stretta fra le mani. — Arrivederci! — urlò, mentre il castello ruzzolava via e la porta sbatteva. — Che seccatura! — esclamò Sophie. — Calcifer, come si fa ad aprire la porta quando non c'è nessuno dentro al castello? — Io l'aprirò per te o per Michael. Howl lo fa da solo — la informò il demone. Così nessuno sarebbe rimasto chiuso fuori una volta che lei


fosse uscita. Non era sicura di tornare, ma non aveva nessuna intenzione di dirlo a Calcifer. Diede tempo a Michael di fare un buon tratto di strada verso il luogo dov'era diretto, ovunque fosse, e si accinse di nuovo a uscire. Questa volta fu il demone a fermarla. — Se hai intenzione di stare via a lungo, dovresti mettere alcuni ceppi dove io li possa raggiungere. — Riesci a raccogliere i pezzi di legna da solo? Sophie era affascinata da questa possibilità piuttosto curiosa, nonostante la sua fretta di uscire. Per tutta risposta Calcifer allungò una fiamma blu dalla forma di un braccio, fiamma che terminava in piccole fiammelle verdi, simili a dita. Non era molto lunga e non sembrava molto forte, ma il demone ne era piuttosto orgoglioso. — Visto? Riesco a raggiungere la soglia del caminetto. Sophie impilò diversi pezzi di legna di fronte alla grata del camino, in modo che Calcifer potesse almeno raggiungere quello che stava in cima, poi gli suggerì di non bruciare comunque altra legna finché ne aveva fra gli alari. Ora, finalmente, poteva andarsene, ma prima che potesse mettere una mano sulla maniglia, si sentì bussare. Era, evidentemente, uno di quei giorni in cui andava tutto storto. Siccome Sophie pensava fosse il capitano, allungò la mano per girare il pomello con la faccia blu in basso. Fu Calcifer a fermarla — No, non aprire! E la porta del castello! Non sono sicuro... Sophie non gli lasciò finire la frase, visto che allora poteva essere Michael tornato indietro per una qualche ragione. Così aprì la porta. Una faccia di rapa la guardò di traverso mentre si sentì nell'aria odore di muffa. Sullo sfondo del cielo blu, comparve un braccio coperto di stracci che terminava nel


moncherino di un bastone. Con un ampio gesto il braccio cercò di colpirla. Era uno spaventapasseri, fatto solo di stracci e bastoni, ma era vivo e stava cercando di entrare. — Calcifer! — urlò Sophie. — Fa' muovere il castello più velocemente! Le pietre che incorniciavano la porta scricchiolarono e stridettero rumorosamente. Il terreno scuro della brughiera accelerò all'improvviso. Il braccio stecchito batté sulla porta e continuò a graffiare le pietre del castello mentre questo acquistava velocità. Lo spaventapasseri ruotò l'altro braccio e parve aggrapparsi alle pietre. Se avesse potuto, sarebbe sicuramente entrato nel castello. Sophie chiuse la porta di colpo. — Questo — pensò, — mi dimostra quanto sia stato stupido, per una primogenita, andare in cerca di fortuna. Lo spaventapasseri era quello che lei aveva lasciato sulla siepe mentre arrivava al castello. Aveva scherzato con lui. Era come se le sue parole l'avessero diabolicamente animato e questi l'avesse seguita per tutta la strada e avesse cercato di colpirla in faccia. Corse alla finestra per vedere se quella cosa stava ancora cercando di entrare nel castello. Naturalmente tutto quello che riuscì a vedere fu che il sole splendeva su Porthaven, che una dozzina di vele venivano issate al di là dei tetti e che uno stuolo di gabbiani volava in cerchio nel cielo. — Ecco qua! è il problema di essere in posti diversi nello stesso tempo! —disse Sophie al teschio sul bancone. Poi, all'improvviso, scoprì il vero handicap di essere vecchia. Il suo cuore balzò nel petto, si fermò per un attimo e quindi sembrò di nuovo volerle uscire dal torace. Le doleva. Le gambe le tremarono e tutto il corpo ebbe un sussulto. Pensò di stare per morire. Tutto quello che poteva fare era raggiungere la sedia vicino al focolare. Si sedette tenendosi il petto e respirando a


fatica. —C'è qualche problema? — le chiese Calcifer. — Sì, il mio cuore —. Sophie continuò a fatica. — C'era uno spaventapasseri alla porta! — Che cos'ha a che fare uno spaventapasseri col tuo cuore? — Stava cercando di entrare nel castello e questo mi ha spaventato terribilmente. Il mio cuore... Ma tu non capiresti... sei un demone giovane e sciocco! Tu non hai un cuore. — Sì che ce l'ho — disse Calcifer dimostrando altrettanto orgoglio di quando le aveva fatto vedere il suo braccio. — Giù, nella parte più incandescente, sopra i ceppi. E non chiamarmi giovane, visto che sono più vecchio di te di un buon milione di anni! Posso ridurre la velocità del castello, adesso? — Solo se lo spaventapasseri se n'è andato... L'ha già fatto? — Non saprei dirlo, perché non è una persona in carne e ossa e, come ti ho già detto, non riesco ad avere una visione completa di quello che c'è là fuori. Sophie si alzò e si trascinò di nuovo verso la porta, sentendosi davvero poco bene. Aprì l'uscio lentamente, con grande cautela. Sotto il castello scorrevano rocce verdi e dirupi purpurei, facendole provare un senso di vertigine, ma si aggrappò alla cornice della porta e si sporse per guardare lungo il muro, verso la brughiera che stavano lasciando. Lo spaventapasseri era rimasto indietro di circa cinquanta iarde. Seguiva il castello, balzando sull'unico piede da un boschetto di alberelli a un cespuglio di erica, bilanciandosi con le braccia stecchite per mantenersi in equilibrio sul fianco ripido della collina, e procedeva a lunghi balzi, ostentando un coraggio sinistro. Mentre Sophie lo osservava, il Castello aumentava la distanza. Quella cosa mostruosa procedeva lentamente, ma li stava ancora seguendo. Chiuse la porta.


— È ancora lì, ci sta seguendo saltando a 'zoppo galletto'. Va' più veloce, Calcifer. — Questo però scombina tutti i miei piani — le spiegò il demone. — Avevo in animo di fare un giro in cerchio sulle colline e quindi tornare dove Michael ci ha lasciato, per raccoglierlo questa sera. — Bene, allora raddoppia la tua velocità e fa' il giro sulle colline per due volte, fino a che non ci siamo lasciati indietro quell'orrore. — Che agitazione! — brontolò il demone, aumentando comunque la velocità. Per la prima volta Sophie riuscì effettivamente a sentire il rombo del castello che si muoveva, mentre stava rannicchiata sulla sedia, chiedendosi se stesse morendo. Non voleva morire prima di aver parlato con Martha. Mentre scorrevano le ore, ogni cosa nella stanza cominciò a tintinnare per la velocità: le bottiglie si crepavano, il teschio batteva i denti, alcuni oggetti sullo scaffale del bagno caddero nella vasca, dove il vestito blu e argento era in ammollo. Sophie cominciò a sentirsi un po' meglio. Si trascinò di nuovo alla porta e guardò fuori con i capelli al vento. Il terreno scorreva veloce sotto di loro e le colline giravano più lentamente, in uno stridio terrificante di ingranaggi e sbuffi di fumo. Lo spaventapasseri, però, rimaneva un puntino nero all'orizzonte. La volta successiva che Sophie si affacciò vide che, finalmente, era sparito del tutto. — Bene, allora mi fermerò per la notte — disse Calcifer. — E stato un grosso sforzo per me. Il rombo si spense, gli oggetti smisero di tintinnare. Il demone si addormentò nel modo in cui si mettono a dormire i fuochi, ritraendosi fra i ceppi finché non rimasero che piccoli cilindretti rosa fra la cenere bianca da cui, ogni tanto, si alzava


una piccola fiammella blu e verde. A quel punto Sophie si sentì di nuovo arzilla. Andò in bagno e ripescò sei pacchetti e una bottiglia dall'acqua melmosa. I pacchetti erano intrisi d'acqua e lei non osò lasciarli in quel modo dopo quanto era successo il giorno precedente. Li pose sul pavimento e con grande cautela li cosparse con la sostanza contenuta nel pacchetto con la scritta POLVERE ASCIUGANTE. Si asciugarono all'istante. Questo era incoraggiante. Sophie svuotò la vasca e provò la polvere sull'abito di Howl. Anche quello si asciugò subito. Malgrado fosse rimasto macchiato di verde e si fosse ristretto, Sophie si rallegrò perché dimostrò a se stessa che, ogni tanto, riusciva a fare anche qualche cosa giusta. Si sentiva abbastanza allegra da poter preparare la cena. Impilò tutte le cose che erano sul tavolo all'estremità vicina al teschio e cominciò a tagliare le cipolle. — Almeno i tuoi occhi non piangono, amico mio — disse al teschio. — Renditi conto di che fortuna hai! La porta si aprì di colpo e Sophie rischiò di tagliarsi un dito dalla paura, pensando fosse di nuovo lo spaventapasseri. Era invece Michael che si precipitava nella stanza tutto contento. Appoggiò sul tavolo e sulle cipolle una pagnotta, un pasticcio e una scatola a righe bianche e rosa. Poi abbracciò la vita sottile di Sophie e la fece piroettare in una danza frenetica tutto intorno alla stanza. — Va tutto magnificamente! — esclamò, sprizzando gioia da tutti i pori. Sophie zoppicò e incespicò per tenersi lontana dagli stivali di Michael. — Fermo! Fermo! — Cercava di riprendere fiato e di tenere il coltello in modo che nessuno dei due si tagliasse. — Cosa va magnificamente bene? — Lettie mi ama! — gridò Michael, mentre continuava a farla danzare dal bagno al focolare. — Non ha mai nemmeno


visto Howl, è stato tutto un errore! — Continuò a piroettare con Sophie al centro della stanza. — Vorresti mollarmi prima che questo coltello ci tagli?! E, forse, darmi una piccola spiegazione! — disse con la voce che le usciva soffocata. — Yuhuu! — gridò Michael, mentre con un'ultima piroetta depositava Sophie sulla sedia, dove rimase senza fiato. — La scorsa notte avrei voluto che gli aveste dipinto i capelli di blu! Ora non me ne importa più niente. Quando Howl ha pronunciato le parole "Lettie Hatter" ho pensato di dipingerlo io stesso di blu. Avete sentito il modo in cui si esprime? Sapevo che avrebbe abbandonato questa ragazza, così come ha fatto con tutte le altre, non appena l'avesse fatta innamorare. Quando ho avuto il sospetto che si trattasse della mia Lettie, io... comunque, come voi ben sapete, Sophie, Howl ha detto che c'era un altro uomo e ho pensato che quella persona fossi io! Così oggi mi sono precipitato a Market Chipping e ho scoperto che invece andava tutto bene! Evidentemente Howl corteggia una ragazza che porta lo stesso nome, poiché Lettie non l'ha mai nemmeno visto. — Vediamo di chiarire bene questa cosa — disse Sophie, che si sentiva prendere dalle vertigini, — stiamo parlando della Lettie Hatter che lavora da Cesari, la pasticceria? — Certo! — rispose Michael, felice come una pasqua. — Mi sono innamorato di lei da quando ha cominciato a lavorare lì, e quasi non potevo credere alle mie orecchie quando lei ha detto di amarmi. Ha centinaia di ammiratori. Non mi sarei certo sorpreso se Howl fosse stato uno di essi. Adesso sono così sollevato! Vi ho portato una torta per festeggiare, dove l'ho messa... ah, eccola! Spinse la scatola bianca e rosa verso Sophie facendole cadere tutte le cipolle in grembo.


— Quanti anni hai, ragazzo mio? — Quindici, compiuti lo scorso Calendimaggio. Calcifer ha sparato i fuochi artificiali per festeggiarlo, non è vero? Oh, si è addormentato. Penserete che sono troppo giovane per fidanzarmi, devo fare ancora tre anni di apprendistato e Lettie ancora di più, ma noi ci siamo promessi l'un l'altra e non ci importa di aspettare. Michael, quindi, aveva l'età giusta per Martha, pensò Sophie. Ora lei sapeva anche che era un ragazzo simpatico, equilibrato, con una carriera di mago davanti. Benedetto il cuore di Martha! Quando Sophie ripensò a quello sconcertante Calendimaggio, si rese conto che Michael doveva essere in quel gruppo di ragazzi urlanti che si chinavano sul bancone di fronte a Martha. D'altra parte anche Howl era in Market Square, quel giorno, così s'informò con ansia crescente. — Sei sicuro che Lettie ti abbia detto la verità riguardo a Howl? — Sicuro. So quando mente: la smette di girarsi i pollici. — Già, è vero... fa proprio così —. Sophie non poté fare a meno di sorridere teneramente. — E voi come fate a saperlo? — le chiese Michael sorpreso. — Perché è mia sorella... volevo dire la nipote di mia sorella, e da bambina era terribilmente bugiarda. È ancora molto giovane e... immagino che cambierà crescendo... potrebbe non essere più la stessa fra un anno o giù di lì. — Nemmeno io sarò più lo stesso. La gente alla nostra età cambia velocemente, ma questo non ci preoccupa. Sarà sempre la mia Lettie. — Per modo di dire — pensò Sophie, poi continuò con l'ansia nella voce: — Supponiamo che dicesse la verità, ma che semplicemente conoscesse Howl sotto falso nome... — A questo avevo già pensato! Le ho descritto Howl,


bisogna ammettere che è piuttosto ben identificabile, e veramente lei non l'aveva mai visto e non ha mai visto nemmeno la sua maledetta chitarra, quindi non ho neanche dovuto dirle che lui non sa come si suona quell'affare. Non ha mai posato gli occhi su di lui e ha continuato a girarsi i pollici per tutto il tempo del colloquio. — Questo è un gran sollievo! — disse Sophie appoggiandosi con un sospiro alla spalliera della sedia. Era certamente un sollievo per quanto riguardava Martha, ma non lo era del tutto perché sapeva bene che l'unica vera Lettie Hatter in circolazione era un'altra. Se ci fosse stata un'omonima, qualcuno senz'altro sarebbe andato a far delle chiacchiere nella cappelleria e lei l'avrebbe saputo. Sembrava tipico della testarda Lettie non dare soddisfazione a Howl. Quello che preoccupava Sophie era che Lettie avesse detto al Mago il suo vero nome. Probabilmente si fidava di lui abbastanza da rivelargli un segreto così importante, ma dubitava dei suoi sentimenti. — Non siate così ansiosa! — rise Michael piegandosi sulla sedia. — Date piuttosto un'occhiata alla torta che vi ho portato. Mentre Sophie apriva la scatola le venne in mente che Michael era evidentemente passato dal considerarla un vero disastro della natura, a provare per lei sentimenti di affetto. Ne era così compiaciuta e grata che decise di dire al ragazzo tutta verità su Lettie, Martha e se stessa. Sarebbe stata una cosa gentile fargli sapere con che tipo di famiglia aveva intenzione di imparentarsi. Finalmente la scatola fu aperta. Era il dolce più ricco fra quelli che sfornava Cesari, tutto coperto di crema e di ciliegie e piccoli riccioli di cioccolato. — Oh! — esclamò Sophie, mentre il pomello della porta ruotava con la parte rossa verso il basso e Howl compariva sulla


soglia, esclamando a sua volta: — Che torta meravigliosa! La mia preferita! Dove l'hai presa? — Io... io... l'ho presa da Cesari — rispose Michael in tono sottomesso e impacciato. Sophie alzò lo sguardo verso Howl. Tutte le volte che decideva di comunicare a qualcuno di essere vittima di un incantesimo, sopraggiungeva qualcosa o qualcuno a interromperla. — Sembra proprio che questa torta valga la camminata — disse Howl guardandola attentamente. — Ho sentito dire che Cesari è un pasticciere anche migliore di quelli di Kingsbury. Stupido da parte mia non esserci mai andato. È un pasticcio quello che vedo sul bancone? Si avvicinò per guardare meglio. — In un letto di cipolle crude il teschio sembra trarne vantaggio. Raccolse il teschio e gli infilò una rondella di cipolla nella cavità dell'occhio. — Vedo che Sophie si è data da fare di nuovo. Non potevi tenerla a bada, amico mio? Il teschio digrignò i denti, Howl stesso sembrò perplesso, come se non si aspettasse una reazione del genere, e lo posò frettolosamente. — C'è qualche problema? — chiese Michael che sembrava riconoscere i segni di una prossima arrabbiatura. — Sì, penso di dover trovare qualcuno disposto a screditare il mio nome presso il Re. — Qualcosa non andava nell'incantesimo del carro? — chiese Michael. — No, il guaio è che funziona perfettamente — spiegò Howl mentre faceva roteare con un dito un anello di cipolla. — Il Re sta cercando di inchiodarmi con un altro compito. Calcifer, se non staremo molto attenti, finirà per nominarmi Mago di Corte.


Calcifer non reagì, cosicché Howl si precipitò al caminetto e si accorse che il demone era addormentato. — Sveglialo, Michael. Ho bisogno di consultarlo. L'apprendista pose due ceppi di legno su Calcifer e lo chiamò. Si levò soltanto una sottile spira di fumo. — Calcifer! — urlò Howl, ma anche questo non sortì alcun effetto. Il Mago lanciò a Michael un'occhiata d'intesa, raccolse l'attizzatoio, cosa che Sophie non gli aveva mai visto fare, e smosse le braci con furia. — Mi dispiace, Calcifer. Svegliati! Una densa nuvola di fumo nero si levò, e rimase sospesa a mezz'aria, mentre Calcifer mugugnava: — Vattene, sono stanco. A questo punto Howl parve veramente allarmato. — Cos'ha?... Non l'ho mai visto in condizioni del genere! — Penso che sia stato lo spaventapasseri — cercò di spiegare Sophie. Howl, inginocchiato accanto al fuoco, si girò trovandosi alla stessa altezza di Sophie e la trafisse con uno sguardo freddo come il marmo. — Cos'hai combinato questa volta? Continuò a fissarla mentre Sophie raccontava l'accaduto. Alla fine Howl sembrò piuttosto incredulo. — Uno spaventapasseri? Calcifer è stato d'accordo ad aumentare la velocità del castello a causa di uno spaventapasseri? Sophie cara, ti dispiacerebbe spiegarmi come hai fatto a costringere un demone del fuoco a obbedirti? Sarei veramente curioso di saperlo! — Non l'ho costretto. Mi ha semplicemente dato una mano perché era dispiaciuto per me. — Le ha dato una mano perché Calcifer era dispiaciuto per lei — la canzonò Howl. — Mia cara Sophie, Calcifer non si dispiace mai per nessuno. Comunque spero che tu ti goda le cipolle crude e il pasticcio freddo per cena, visto che l'hai


praticamente messo fuori gioco. — C'è la torta — intervenne Michael, cercando di riappacificare gli animi. Il cibo sembrò migliorare l'umore di Howl anche se, per tutto il tempo della cena, continuò a lanciare occhiate ansiose ai ceppi che non prendevano fuoco. Il pasticcio risultò molto buono anche freddo e le cipolle, dopo che Sophie le ebbe lasciate a mollo nell'aceto, gustose e saporite. La torta era superba. Mentre la gustavano, Michael si arrischiò a domandare a Howl quali fossero state le richieste del Re. — Ancora niente di definito — rispose il Mago in tono cupo. — Mi è sembrato di capire, comunque, che si tratta di qualcosa di abbastanza sinistro e che riguarda suo fratello. Evidentemente, prima che il principe Justin scomparisse, avevano in corso una vecchia disputa e la gente continua a chiacchierarne. Il Re, ovviamente, voleva che mi offrissi volontario per andare alla ricerca del fratello. Io sono andato a dirgli, come uno stolto, che penso che il Mago Suliman non sia affatto morto e questo ha peggiorato le cose. — Perché vuoi evitare di cercare il Principe? — gli chiese Sophie. — Pensi di non riuscire a trovarlo? — Offensiva quanto tiranna... —. Howl evidentemente non le aveva ancora perdonato quanto aveva fatto a Calcifer. — Voglio tenermi fuori da tutta questa faccenda perché sono certo di poterlo trovare, se proprio lo vuoi sapere. Justin era grande amico di Suliman e la lite fra lui e il Re è avvenuta perché gli ha detto che sarebbe andato a cercare il negromante. Tanto per cominciare pensava che suo fratello, il sovrano, non avrebbe dovuto mandare Suliman nelle Terre Desolate. Ora persino tu dovresti sapere che in quelle terre vive una certa signora che è solo portatrice di disgrazie. Ha promesso di friggermi vivo,


l'anno scorso, e mi ha lanciato dietro una maledizione che sono riuscito a evitare solo perché ho avuto il buon senso di darle un nome falso. Sophie lo guardò con timore misto ad ammirazione. — Vuoi dire che fra le tue conquiste c'era anche lei e... l'hai piantata? — Howl si tagliò un'altra bella fetta di torta, con aria triste e virtuosa. — Be', non la metterei proprio così... Un tempo ho creduto di provare per lei una certa passione. Per alcuni aspetti è una signora molto triste e assolutamente non amata. Ogni uomo in Ingary si pietrifica dallo spavento quando la vede. Tu dovresti ben sapere cosa si prova in certe situazioni, Sophie cara. La bocca di Sophie si aprì in una smorfia, pronta a esprimere una profonda indignazione. Fortunatamente Michael riuscì a intervenire: — Pensi che dovremmo spostare il castello? È per questo motivo che l'hai costruito, non è vero? — Dipende da Calcifer —. Howl guardò nuovamente, al di sopra delle sue spalle, i ceppi che a malapena fumavano nel camino. — Se penso che Re e Strega mi sono alle calcagna, devo dire che mi viene una gran voglia di andare a piantare il castello su una bella roccia scoscesa a mille miglia da qui. A queste parole Michael desiderò, ovviamente, di non aver parlato e Sophie gli lesse sul viso che per lui mille miglia erano una distanza da Martha terribile. — Ma cosa accadrà alla tua Lettie Hatter — chiese Sophie al Mago, — se tu te ne andrai e sposterai il castello? — Per quel tempo mi aspetto che tutto sia finito — le rispose Howl con aria assente. — Ma se potessi escogitare qualcosa per togliermi intanto il Re dal groppone... Ho trovato! Sollevò la forchetta con infilzato un gran pezzo di torta grondante di crema e la puntò verso Sophie. — Tu potresti oscurare la mia fama presso il Re. Potresti fingere di essere la


mia vecchia madre e perorare la causa del tuo giovane figlio dai begli occhi blu. Così dicendo lanciò a Sophie un sorriso tale che le fece capire in che modo il Mago avesse potuto affascinare la Strega delle Terre Desolate e, probabilmente, anche Lettie. Un sorriso che, nonostante le fosse giunto fra la forchetta e la crema, le arrivò diritto negli occhi, mandandola in confusione. — Se hai potuto tiranneggiare Calcifer, non dovresti avere il benché minimo problema con il Re. Nonostante tutto, Sophie ricambiò il suo sguardo e rimase in silenzio. Questo, intanto pensava, era ciò a cui lei doveva sfuggire. Se ne sarebbe andata, il patto con Calcifer aveva, a questo punto, un prezzo troppo alto. Ne aveva avuto abbastanza di Howl: prima tutta quella schifezza verde, poi il sarcasmo e la riprovazione per qualcosa che il demone del fuoco aveva fatto liberamente, senza costrizione, e adesso anche questo! L'indomani se ne sarebbe sgusciata via e sarebbe andata ad Upper Folding per raccontare tutto a Lettie. CAPITOLO OTTO In cui Sophie lascia il castello in direzioni diverse tutte in una volta Con gran sollievo di Sophie, la mattina successiva Calcifer fiammeggiava tutto allegro e brillante. Se non ne avesse avuto abbastanza di Howl, sarebbe stata senz'altro toccata dalla felicità che il Mago manifestò nel vedere il demone del fuoco così arzillo. Inginocchiato sulle pietre del focolare, con le maniche che strisciavano nella cenere, Howl sussurrò al fuoco: —


Pensavo che ti avesse distrutto, vecchia palla di gas! — Ero solo stanco — gli spiegò Calcifer. — C'era come una specie di impedimento sul castello e io non l'avevo mai lanciato così in fretta! — Be', non permetterle più di farlo. Poi Howl si alzò in piedi e, con un gesto aggraziato, scrollò via la cenere dal suo abito grigio e scarlatto. — Michael, comincia quell'incantesimo e se qualcuno viene da parte del Re, digli che starò via fino a domani per affari privati e urgenti. Ho intenzione di vedere Lettie, ma non c'è alcun bisogno che tu lo vada a spifferare in giro. Raccolse la chitarra, aprì la porta ruotando il pomello sul verde e nel varco aperto apparvero le colline sormontate dalle nuvole. Lo spaventapasseri era lì di nuovo. Quando Howl aprì del tutto la porta, questi gli tagliò la strada e la sua faccia di rapa finì contro il petto del mago. La chitarra emise un terribile sblang. Dalla gola di Sophie uscì un flebile suono rauco di terrore mentre si aggrappava alla sedia. Una delle braccia stecchite dello spaventapasseri stava graffiando l'aria come per raggiungere un appiglio qualsiasi sulla porta. Quando i piedi di Howl furono nuovamente in equilibrio stabile, fu chiaro che avrebbe dovuto faticare per scacciare quella cosa, poiché non c'era alcun dubbio che quella creatura fosse più che mai determinata a entrare nel castello. Il viso blu di Calcifer si sporse dalla grata e anche Michael guardò fuori dalla porta, poi entrambi esclamarono: — Ma... c'è veramente uno spaventapasseri! — Ah, davvero?! Non ditemelo! Howl aveva il fiato corto. Puntò un piede contro la cornice della porta e tirò l'uscio. Lo spaventapasseri volò all'indietro in


modo piuttosto goffo e atterrò con un fruscio sull'erica, alcune iarde più in là. Ma si rialzò all'istante e tornò immediatamente verso il castello con la sua andatura a lunghi balzi. Howl appoggiò velocemente la chitarra sulla soglia e saltò giù dal castello. — No, non lo farai, amico mio — gli disse protendendo una mano. — Tornatene da dove sei venuto. Così dicendo, cominciò a camminare lentamente, tenendo sempre la mano protesa. Lo spaventapasseri si ritrasse un po', saltellando lentamente. Quando Howl si fermò, si arrestò anche lo spaventapasseri, con la sua unica gamba piantata fra l'erica e con le braccia coperte di stracci che roteavano, come qualcuno che cerca di aprirsi un varco. Gli stracci fluttuavano sulle sue braccia stecchite e sembravano una folle imitazione della maniche di Howl. — Allora non te ne vuoi proprio andare? —. A queste parole di Howl la testa di rapa si mosse da una parte e dall'altra per far segno di no. — Temo invece che lo farai — gli disse a quel punto Howl. — Tu spaventi Sophie e nessuno sa cosa può combinare quella donna quando è spaventata... poi fai paura anche a me! Le braccia di Howl si mossero a fatica verso l'alto, fino a che non furono completamente distese. Era come se stesse sollevando una massa enorme al di sopra della propria testa. Poi urlò una strana parola che fu in parte soffocata dallo schianto improvviso di un tuono. Solo allora lo spaventapasseri volò via in un lampo. Fu sollevato e spinto indietro, con gli stracci che fluttuavano e le braccia che roteavano in un gesto di protesta. Fu sollevato e sollevato ancora e ancora, finché non diventò una macchiolina nel cielo, un punto che svaniva fra le nuvole. E finalmente non si vide più. Howl abbassò le braccia e tornò sulla soglia di casa, facendo


delle smorfie e nascondendosi il volto con il dorso delle mani. — Ritiro tutto quello che ho detto, Sophie — le disse con il fiato corto. — Quella cosa era veramente spaventosa e probabilmente era lo spaventapasseri che, ieri, tirava indietro il castello. Aveva in sé una magia fra le più forti che io abbia mai incontrato. Qualunque cosa fosse... Ma non potrebbe essere un dono dell'ultima persona presso la quale sei stata a servizio? Sophie scoppiò in una risata debole e chioccia, poiché il suo cuore stava di nuovo facendo il matto. Howl si rese conto che c'era qualcosa che non andava. Scavalcò in un balzo la chitarra e fu dentro casa in un batter d'occhio. Tenne Sophie per il gomito e la fece sedere. — Prenditela comoda, ora! A quel punto avvenne qualcosa fra Howl e Calcifer. Sophie se ne rese conto benissimo, mentre era tenuta stretta dal mago e il demone si sporgeva completamente dalla grata. Qualsiasi cosa avessero fatto, il suo cuore quasi immediatamente riprese il battito normale. Howl guardò verso Calcifer, scosse la testa e si girò per dare a Michael istruzioni dettagliate su come tenere Sophie tranquilla per tutto il resto della giornata. Raccolse la chitarra e finalmente se ne andò. Sophie rimase a sedere e fece finta di sentirsi ancora male, più di quanto in realtà non stesse. Doveva lasciare che Howl scomparisse dalla vista. Era una seccatura il fatto che si stesse dirigendo verso Upper Folding, anche perché avrebbe camminato così lentamente che sarebbe forse arrivata là nel momento in cui lui sarebbe stato già pronto a venir via. Comunque la cosa importante era di non incontrarlo per strada. Di sottecchi sbirciò Michael che stava cercando di


raccapezzarsi sull'incantesimo e si grattava la testa pensieroso. Aspettò fino a che l'apprendista non ebbe tirato giù dagli scaffali dei pesanti libri rilegati in cuoio e cominciato a prendere appunti in modo frenetico e sconsolato al tempo stesso. Quando le sembrò che fosse completamente assorbito dal lavoro, Sophie borbottò diverse volte: — Mi manca l'aria... Michael non diede segno di averla sentita. — È terribilmente caldo qua dentro! — riprese Sophie, alzandosi dalla sedia e trascinandosi verso la porta. — Aria fresca! Ho bisogno d'aria! Aprì la porta e si sporse fuori. Calcifer fermò completamente il moto del castello, così Sophie poté comodamente atterrare nell'erica e dare un'occhiata attorno per orientarsi. La strada che dalle colline portava ad Upper Folding era una linea polverosa fra i bassi cespugli d'erica. Partiva praticamente dal castello, com'era naturale, del resto, poiché Calcifer non avrebbe fatto niente che potesse risultare scomodo a Howl. Quindi Sophie si apprestò a scendere per il sentiero, sentendosi un po' triste. Sapeva, infatti, che le sarebbero mancati sia Michael che Calcifer. Era già per strada quando udì un grido alle sue spalle. Anche Michael era uscito e la seguiva, mentre la nera sagoma del castello gli veniva dietro, ballonzolando e diffondendo sbuffi di fumo dalle quattro torri. — Cosa state facendo? — le chiese Michael quando l'ebbe raggiunta. Dal modo in cui la guardò, Sophie capì che pensava che lo spaventapasseri l'avesse impaurita al punto da farle perdere il senno. — Sto perfettamente bene — gli rispose Sophie indignata. — Sto semplicemente andando a trovare la nipote dell'altra mia sorella. Anche lei si chiama Lettie Hatter. Adesso capisci? — Dove vive? — chiese Michael, come se pensasse che Sophie potesse non saperlo.


— Ad Upper Folding. — Ma... è lontano circa dieci miglia! Ho promesso a Howl che vi avrei fatto riposare. Non posso permettervi di andare. Ho dato la mia parola che non vi avrei perso di vista. Sul volto di Sophie si dipinse un'espressione adirata. Howl pensava che ora lei avrebbe potuto essergli utile a risolvere il suo problema con il Re e, naturalmente, non voleva lasciarla andare via... — Inoltre — continuò Michael, cominciando a capire, — anche Howl dev'essere andato ad Upper Folding. — Certo che è andato là. — Allora voi siete in ansia per vostra pronipote — soggiunse Michael, arrivando finalmente al nocciolo della questione. — Capisco, ma io non posso lasciarvi andare. — Io me ne sto già andando... — Ma se Howl vi vedrà là, andrà su tutte le furie —. Michael stava afferrando il problema. — Visto che gli ho fatto una promessa, farà fuoco e fiamme con tutti e due. Voi dovreste riposare... Poi, quando Sophie, ormai esasperata del tutto, stava per mollargli uno scapaccione, esclamò: — Aspettate... c'è un paio di stivali delle sette leghe nel ripostiglio! Agguantò il polso di Sophie e la trascinò su per la collina, al castello che li stava spettando immobile. Costretta a saltellare per non inciampare nell'erica, riuscì a gridargli: — Ma sette leghe corrispondono a ventuno miglia! In due balzi sarei a metà strada per Porthaven! — No, un passo sono dieci miglia e mezzo — le spiegò Michael, — cioè quasi l'esatta distanza da qui a Upper Folding. Se prenderemo uno stivale a testa e andremo insieme, non vi perderò di vista e per voi non sarà molto faticoso. Per di più


torneremo prima di Howl e lui non saprà mai dove saremo stati. Mi sembra che questa sia una magnifica soluzione! Michael era così compiaciuto della propria idea che Sophie non ebbe il coraggio di protestare. Si limitò a stringersi nelle spalle e a pensare che Michael avrebbe fatto meglio a cercare di saperne di più delle due Lettie... prima che le sorelle cambiassero aspetto! Ma quando il ragazzo tirò fuori gli stivali dal ripostiglio Sophie cominciò ad avere qualche dubbio. Fino a quel momento aveva pensato che quei due cosi fossero dei secchi di cuoio che avessero perso, per un qualche motivo, il manico e fossero poi stati un po' schiacciati, ammaccati dalla permanenza nel ripostiglio. — Dovreste infilarci un piede, scarpa compresa — si affrettò a spiegarle Michael, mentre trascinava a fatica quei due pesanti oggetti verso la porta. — Questi sono i prototipi che Howl ha creato per l'esercito del Re. Siamo riusciti a perfezionarli e l'ultimo modello ha più l'aspetto dello stivale ed è più leggero. Sophie e il ragazzo si sedettero sulla soglia e infilarono un piede ciascuno in uno stivale. — Puntate su Upper Folding, prima di appoggiare la suola sul terreno — l'avvertì Michael. Poi entrambi girarono il viso verso il luogo dov'erano diretti e si alzarono appoggiando ciascuno uno stivale, mentre l'apprendista gridava: — Via, ora! Zip! Il paesaggio scivolò sotto di loro a una velocità tale da essere ridotto a una semplice linea grigio-verde, mentre il cielo era diventato un nastro azzurrognolo. Il vento teneva indietro i capelli di Sophie e le spianava persino le rughe del volto, tanto da farle temere che sarebbe arrivata a destinazione con metà della faccia dietro alle orecchie! All'improvviso la folle andatura si fermò di colpo, così come di colpo era iniziata. Tutto intorno era calmo e il sole brillava


alto nel cielo. Si erano piantati nei ranuncoli che punteggiavano i prati del villaggio di Upper Folding. Una mucca sgranò su di loro i suoi occhi bovini, mentre alcuni cottage, dai tipici tetti di paglia, sonnecchiavano sotto gli alberi, un po' più in là. Sfortunatamente lo stivale che calzava era talmente pesante che, nell'atterraggio, fece vacillare Sophie. — Non mettete giù quel piede! — le urlò Michael. Ma ormai era troppo tardi. Ci furono un altro zip e un'altra folata di vento. Quando tutto cessò, Sophie si ritrovò giù per la Valle del Folding, sull'orlo delle Paludi. — Oh, povera me! —. Cercò di reggersi su una gamba sola e tentò di nuovo. Zip! Il paesaggio sfilò ancora una volta sotto di lei e si ritrovò di nuovo sui pascoli di Upper Folding. Mentre vacillava in avanti per il peso dello stivale, ebbe la subitanea visione di Michael che tentava di afferrarla... Zip! Partenza... Questa volta si ritrovò sulle colline, dove la sagoma nera del castello fluttuava bassa nell'aria. Calcifer si divertiva emettendo anelli di fumo nero da una delle torri. Sophie vide tutto questo molto prima che la scarpa venisse trattenuta dall'erica e la facesse partire di nuovo. Zip! Zip! Questa volta Sophie visitò in rapida successione la piazza di Market Chipping, alla quale gridò "Vola via!" e un prato davanti a un'immensa tenuta che le fece scappare di bocca un "Maledizione!". Poi via di nuovo. Zip! E si ritrovò in un campo sconosciuto, da qualche parte alla fine della valle. Un enorme toro rossiccio sollevò il muso dal pascolo, puntò il naso inanellato verso di lei e abbassò le corna. — Me ne vado... me ne vado subito! — gli gridò Sophie, affrettandosi disperatamente a riprendere la strada. Zip! Di nuovo la grande tenuta. Zip! Ecco Market Chipping.


Zip! Ancora il castello... Stava per appoggiarvisi quando... Zip! Ed ecco Upper Folding... Ma come fare per fermarsi? Zip! — Al diavolo! — gridò Sophie, quando si ritrovò accanto alle Paludi. Questa volta fece la manovra con grande attenzione e decisione e... Zip! Atterrò, fortunatamente, su un mucchietto di sterco di vacca che fece presa sullo stivale e le permise di sedersi di botto. Prima che Sophie si potesse muovere, Michael le balzò a fianco e le tolse lo stivale. — Oh! Grazie mille — gli gridò Sophie ormai senza respiro. — Sembrava che non dovessi fermarmi mai più! Il cuore le batteva forte nel petto, mentre attraversarono il pascolo di Upper Folding, diretti verso la casa della signora Fairfax. Non era comunque nulla di preoccupante, solo un battito accelerato di chi ha appena fatto uno sforzo. E Sophie provò una gratitudine profonda per qualsiasi cosa avessero fatto al suo cuore Howl e Calcifer. — Un bel posticino — notò Michael, mentre nascondeva gli stivali nella siepe di casa Fairfax. Anche Sophie ne convenne. La casa era la più grande del paese, con il tetto coperto di paglia intrecciata e i muri bianchi che spiccavano fra le travi nere. Come si ricordava dalle visite fatte quand'era una bambina, si accedeva al portico antistante la casa attraverso un giardino pieno di fiori e animato da una miriade di api che ne suggevano il nettare. Sul portico si arrampicavano un caprifoglio e una pianta di rose bianche, che sembravano competere fra loro nel dare lavoro alle api. Era una perfetta e calda mattina d'estate, lì ad Upper Folding. La signora Fairfax venne di persona ad aprire la porta. Era una di quelle donne grasse e morbide, dai capelli striati a ciocche di un bianco burro, che ti faceva sentire in pace con il mondo al solo


guardarla. Sophie provò una punta d'invidia nei confronti di Lettie, mentre lo sguardo della signora Fairfax passava da lei a Michael e viceversa. Aveva incontrato Sophie circa l’anno precedente, quando lei aveva diciassette anni, quindi non era senz'altro possibile che la riconoscesse nei panni di una vecchia novantenne. Finalmente si decise a rivolgere loro un gentilissimo — Buongiorno a voi! —. Al che Sophie sospirò profondamente, mentre Michael spiegava: — Questa è la prozia di Lettie Hatter. L'ho accompagnata qui per far visita alla nipote. — Oh, mi sembrava che il suo volto avesse un che di familiare! — esclamò la signora Fairfax. — C'è senz'altro una somiglianza fra loro. Prego, entrate. In questo momento Lettie ha da fare, ma accomodatevi e vi farò assaggiare le mie focaccine al miele, nell'attesa. Spalancò la porta e immediatamente un collie enorme sgusciò dalla casa, s'intrufolò fra Sophie e Michael per poi correre all'aiuola più vicina e fare strage di fiori. — Oh, fermatelo! — disse la signora Fairfax con voce strozzata mentre si lanciava all'inseguimento. — Non lo voglio qui fuori proprio ora! Seguì una breve caccia affannosa, in cui il cane correva da una parte all'altra, uggiolando in modo penoso, inseguito dalla signora e da Sophie che passavano da un'aiuola all'altra, spesso intralciandosi a vicenda, mentre Michael urlava: — Fermatevi! Sophie, starete male di nuovo! Poi il cane sparì dietro un angolo della casa. A quel punto Michael si rese conto che l'unico modo di fermare Sophie era quello di fermare il cane, così attraversò in un lampo le aiuole, sfrecciò dietro l'angolo e piombò sulla povera bestia, afferrando con entrambe le mani il lungo pelo, proprio nel momento in cui il cane raggiungeva il frutteto dietro la casa. Anche Sophie stava


per girare l'angolo in cerca di Michael, quando lo vide che trascinava con sé il cane, mentre faceva al suo indirizzo delle smorfie tali da far pensare che si sentisse male. Il ragazzo continuò ad ammiccare verso il frutteto, e allora lei capì che stava solo cercando di dirle qualcosa. Si affacciò prudentemente all'angolo della casa, pensando di vedere un intero sciame di api. La fila di alveari era sul fondo del giardino, mentre in un boschetto di meli in fiore, su un tappeto di muschio Sophie scorse Howl e Lettie. La ragazza sedeva su un sedile bianco e il Mago era inginocchiato ai suoi piedi, tenendole una mano. In quel momento il suo aspetto appariva ardente e nobile, mentre Lettie gli sorrideva teneramente. La cosa peggiore, dal punto di vista di Sophie, era che sua sorella non assomigliava per nulla a Martha. Era semplicemente se stessa, la bellissima Lettie, con indosso un abito bianco e rosa, della stessa sfumatura di tutti quei fiori che le facevano da cornice. I capelli neri le poggiavano sulle spalle in grossi riccioli serici e gli occhi brillavano di devozione per Howl. Sophie si ritrasse velocemente e lanciò un'occhiata costernata a Michael, che continuava a tenere l'uggiolante collie. — Deve essersi portato dietro un incantesimo velocizzante — bisbigliò l'apprendista in modo ugualmente costernato. In quel momento vennero raggiunti dalla signora Fairfax che ansimava e cercava di risistemare una ciocca dei capelli color burro. — Cane cattivo! — sussurrò con autorità al collie. — Finirò per farti un incantesimo, se lo farai di nuovo! L'animale sbatté le palpebre e si accucciò. La signora Fairfax puntò un dito contro di lui: — Fila in casa! E... restaci! Il cane si scrollò il pelo, finalmente libero dalla presa di Michael, e si avviò oltre l'angolo. — Ti ringrazio moltissimo... Avrebbe continuato a cercare di


mordere l'ospite di Lettie — spiegò la fattucchiera a Michael, mentre tutti e tre seguivano l'animale. — Dentro! — aggiunse a voce alta, libera ormai di gridare visto che erano tornati nel giardino sul davanti; il cane si era fermato come se pensasse di ritornare nel frutteto aggirando l'ostacolo e l'angolo opposto, poi girò la testa e lanciò un'occhiata triste alla sua padrona. Finalmente rientrò, attraversando il portico con aria sconsolata e sconfitta. — Quel cane potrebbe avere l'idea giusta — sbottò Sophie. — Signora Fairfax, sa chi sia precisamente l'ospite di Lettie? La fattucchiera sorrise sorniona. — È il Mago Pendragon, o Howl, o in qualunque modo si faccia chiamare. Lettie e io non gli abbiamo, comunque, detto di essere a conoscenza delle sue differenti identità. Quando si è presentato la prima volta dicendo di chiamarsi Sylvester Oak è stato molto divertente, perché evidentemente lui si era scordato di me, mentre io non avevo dimenticato chi fosse, anche se a quell'epoca lui era ancora uno studente e portava i capelli neri. La signora Fairfax se ne stava dritta impalata nel mezzo del suo giardino, con le mani intrecciate sulla pancia, pronta a chiacchierare tutto il giorno, come Sophie l'aveva vista fare tante volte in passato. — È stato l'ultimo scolaro della mia vecchia maestra, prima che lei si ritirasse. Quando il signor Fairfax era ancora vivo, aveva piacere che ogni tanto io teletrasportassi entrambi a Kingsbury per assistere a una rappresentazione. In quelle occasioni ero solita fermarmi dalla signora Pentstemmon, che ama che i suoi vecchi allievi si tengano in contatto con lei. Una volta, quindi, che mio marito e io eravamo passati a farle visita, ci presentò il giovane Howl. Oh, era così orgogliosa di lui. Sapete, ha dato lezioni anche al Mago Suliman, ma diceva che


Howl era molto più abile... — Ma non conoscete la reputazione di Howl? — la interruppe Michael. Inserirsi in un discorso della signora Fairfax era un po' come saltar dentro al gioco della corda. Si deve scegliere il momento esatto, poi una volta che sei dentro, ti tocca saltare. La signora Fairfax rivolse un'occhiata superficiale al ragazzo, quindi continuò imperterrita: — Secondo me, sono tutte chiacchiere. Michael aprì la bocca per dire che non era vero, ma si ritrovò preso nella trappola di quel gioco e la corda continuava a girare inesorabile. — E io ho detto a Lettie: "Ecco la tua grande occasione, tesoro mio", poiché sapevo che Howl avrebbe potuto essere un maestro venti volte migliore di me... Fra l'altro non mi secca certo affermare che il cervello di Lettie va ben oltre il mio e che potrebbe finire per essere annoverata nello stesso gruppo della Strega delle Terre Desolate, solo che lei opererebbe per il bene. Lettie è una brava ragazza e io le voglio molto bene. Se la signora Pentstemmon insegnasse ancora, le manderei Lettie domani stesso. Ma purtroppo ha lasciato la professione. Così le ho detto: "Lettie, ecco il Mago Howl che ti fa la corte e potresti fare qualcosa di peggio che innamorarti di lui e permettergli di essere il tuo insegnante. Insieme, voi due, andrete lontano!". Penso che Lettie, inizialmente, non fosse troppo dell'idea, ma poi si è ammorbidita e oggi mi sembra che tutto proceda al meglio. A questo punto la signora Fairfax fece una pausa per sorridere con benevolenza a Michael, e Sophie si lanciò fra i giri della corda per saltare a sua volta, così riuscì a dire: — Ma qualcuno mi ha detto che Lettie era innamorata di un altro. — Volete dire che siete dispiaciuta per lui, immagino —. Poi


la signora Fairfax continuò abbassando la voce: — Si tratta di una terribile menomazione... — quindi soggiunse con un sospiro suggestivo: — È chiedere troppo a qualsiasi ragazza, l'ho detto anche a lui. Oh, io stessa sono profondamente dispiaciuta... Sophie riuscì solamente a emettere un disorientato — Oh? —...Ma si tratta di un maleficio terribilmente potente. Tutto ciò è molto triste — continuò implacabile la signora Fairfax. — Gli ho dovuto confessare che non c'è niente che possa fare una persona della mia abilità per spezzare un incantesimo messo in piedi dalla Strega delle Terre Desolate. Howl forse sarebbe in grado di farlo, ma naturalmente lui non può chiederlo a Howl, ne converrete... A questo punto Michael, che continuava a guardare nervosamente verso l'angolo della casa, riuscì a inserirsi di nuovo nel gioco della corda e a farlo smettere dicendo: — Penso che sarebbe meglio andare. — Siete sicuri di non voler entrare per assaggiare il mio miele? — chiese la signora Fairfax. — Lo uso per quasi tutti i miei incantesimi, sapete... — ed era già ripartita: si trattava, in questo caso, di magnificare le virtù magiche del miele. Michael e Sophie si incamminarono con passo deciso verso il cancello, mentre la fattucchiera teneva loro dietro, continuando il vortice delle chiacchiere anche mentre si chinava per raddrizzare, con gesti pietosi, le piante che il cane aveva piegato. Nel frattempo Sophie si stava spremendo le meningi per trovare il sistema di chiedere a quella donna come facesse a sapere che Lettie era Lettie, senza per altro insospettire Michael. Quando la signora Fairfax si fermò per prendere fiato e per raddrizzare una grande pianta di lupino, Sophie colse la palla al balzo. — Signora Fairfax, le volevo chiedere... non avrebbe dovuto essere mia nipote Martha a studiare presso di voi?


— Che ragazzacce! — le rispose la fattucchiera con un largo sorriso, mentre scuoteva la testa emergendo dal lupino. — Come se io non avrei riconosciuto un mio stesso incantesimo a base di miele! Ma come le ho detto a quel tempo: "Non sono una che tiene qualcuno contro la sua volontà, piuttosto ho sempre insegnato volentieri a chi volesse apprendere le mie arti. Solo", le ho detto, "non avrò alcuna pretesa e tu starai qui come se fossi a casa tua o non ci starai affatto". E tutto si è sistemato felicemente, come potete ben vedere. Non volete rimanere e chiedere a Lettie personalmente? — Penso che sarebbe meglio che ce ne andassimo — le rispose Sophie. — Dobbiamo tornare a casa — aggiunse Michael, lanciando un'altra occhiata apprensiva verso il frutteto. Raccolse gli stivali delle sette leghe dal nascondiglio nella siepe e ne preparò uno per Sophie appena fuori dal cancello, dicendole: — Ho intenzione di tenervi per tutto il tempo dello spostamento. La signora Fairfax si sporse dal cancello proprio nel momento in cui Sophie infilava un piede nella magica calzatura e non poté fare a meno di esclamare: — Oh, dei viaggiatori delle sette leghe! Ci credereste, non vedevo questi affari da anni. Molto utili soprattutto per persone della vostra età, signora... Non mi dispiacerebbe procurarmene un paio, uno di questi giorni. Così è da voi che Lettie ha ereditato le sue doti magiche, non è vero? Non che queste corrano sempre lungo l'asse ereditario, comunque... Michael tenne forte il braccio di Sophie e la tirò. Entrambi gli stivali toccarono terra contemporaneamente e il resto del discorso della signora Fairfax svanì in uno Zip! E l'aria prese il suo posto. Un attimo dopo Michael dovette tenere i piedi in equilibrio perfetto per evitare di sbattere contro il castello. La


porta era aperta. Dall'interno Calcifer stava ruggendo: — Porta di Porthaven! C'è qualcuno che sta bussando a quella porta da quando ve ne siete andati. CAPITOLO NOVE In cui Michael ha dei guai con un incantesimo Alla porta c'era il capitano della nave che era venuto a ritirare il suo 'incantesimo per un buon vento' e non era per niente contento di aver aspettato tanto. — Se perderò la mia marea, ragazzo — disse a Michael — dirò qualche parolina su di te allo Stregone. Non mi piacciono i ragazzi pigri. Michael, secondo il parere di Sophie, fu anche troppo educato con quell'uomo, ma si sentiva troppo abbattuta per interferire. Quando il capitano finalmente se ne fu andato, Michael si diresse al banco di lavoro per affrontare nuovamente l'incantesimo che Howl gli aveva assegnato e Sophie si sedette in silenzio rammendando le proprie calze. Aveva solo quel paio e i suoi piedi, ora pieni di bitorzoli, le avevano bucate miseramente. Anche il suo vestito grigio a quel punto era sporco e logoro. Si domandò se avesse il coraggio di tagliare le parti macchiate dell'abito blu e argento di Howl e di utilizzare la stoffa restante per farsi una gonna. Ma si rispose che quel coraggio non l'aveva. — Sophie, quante nipoti avete? — le chiese a quel punto Michael alzando gli occhi dal dodicesimo foglio di appunti. Sophie aveva temuto che il ragazzo cominciasse a farle delle domande del genere, per cui era preparata. — Quando si


raggiunge la mia età, se ne perde il conto, poi si assomigliano tutte. Nella mia testa, per esempio, quelle due Lettie potrebbero essere gemelle. Con sua grande sorpresa sentì Michael che le rispondeva: — No, non è così. Quella vostra nipote di Upper Folding non è carina come la mia Lettie. Intanto appallottolava l'undicesimo foglio, per iniziarne un dodicesimo. — Sono felice che Howl non abbia incontrato la mia Lettie. — Così dicendo accartocciò anche quel foglio per cominciarne un altro e appallottolare, infine, anche quello. — Stavo per scoppiare in una gran risata quando quella signora Fairfax ha detto di sapere chi fosse Howl. Non veniva da ridere anche a voi? — No — fu la secca risposta di Sophie. Chiunque fosse Howl non cambiava affatto i sentimenti che evidentemente Lettie provava per lui, era chiaro dallo sguardo luminoso e adorante della ragazza, là sotto i meli in fiore. Così Sophie pose una domanda di cui già temeva di conoscere la risposta. — Immagino non ci sia nessuna possibilità che Howl si innamori sul serio, almeno questa volta, vero Michael? Calcifer, sentendo queste parole, sbuffò un ammasso di scintille verdi su per il camino. — Temevo che poteste farvi venire in mente idee del genere. Ma vi sbagliate di grosso, proprio come la signora Fairfax — le rispose l'apprendista. — E tu come lo sai? Calcifer e Michael si scambiarono un'occhiata d'intesa, poi il ragazzo le domandò: — Il Mago ha forse dimenticato di trascorrere almeno un'ora in bagno stamattina? — È stato là dentro per tre ore, lo sciocco vanesio — rispose il demone al posto di Sophie — mettendosi in faccia ogni tipo di


pozione! — Visto? Avevo ragione. Comincerò a credere che Howl si stia innamorando per davvero solo quando si dimenticherà degli incantesimi di bellezza prima di un incontro amoroso . Prima... no. A Sophie tornò in mente l'immagine di Howl inginocchiato nel frutteto, atteggiato in modo da apparire più affascinante possibile. Allora seppe che quei due avevano ragione. Pensò, quindi, di andare in bagno e di buttare tutti i filtri di bellezza giù per il gabinetto. Poi non ebbe il coraggio di farlo. Invece andò a prendere il vestito blu e argento e trascorse il resto della giornata tagliando dei triangoli di stoffa blu per farsi una specie di gonna patchwork. Passandole vicino per buttare nel fuoco le diciassette pagine di appunti, Michael le batté affettuosamente su una spalla, dicendole: — Alla fine si riesce a superare ogni cosa, sapete. Era chiaro che stesse parlando anche a se stesso, visto che evidentemente aveva qualche problema con il compito di magia affidatogli da Howl. L'apprendista lasciò perdere gli appunti e si mise grattare via un po' di fuliggine dal camino. Calcifer allungò e storse il collo per guardarlo meglio, con un'espressione interrogativa. Michael prese una radice essiccata da una delle borse che pendevano dal trave e la mise fra la fuliggine. Poi, dopo aver riflettuto a lungo, girò il pomello sul blu e svanì nelle vie di Porthaven. Fece ritorno circa venti minuti dopo, portando con sé una grande conchiglia a forma di fuso, che mise con la radice e la fuliggine. Dopodiché strappò pagine e pagine di carta e le mise nel mucchietto davanti al teschio, quindi cominciò a soffiarvi sopra cosicché la fuliggine e i pezzetti di carta volarono, spargendosi su tutto il bancone.


— Cosa pensi che stia facendo? — sussurrò Calcifer a Sophie. Michael smise di soffiare, pose tutta quella roba in un mortaio e cominciò a batterla con un pestello, mentre, di tanto in tanto, lanciava al teschio delle occhiate cariche di aspettativa. Non accadde nulla, così provò diversi ingredienti presi dalle varie borse e dai barattoli. — Non mi piace per niente spiare i movimenti di Howl — annunciò il ragazzo, mentre pestava con foga la terza serie di ingredienti in una ciotola. — Può essere volubile con le donne, ma è stato maledettamente buono con me. Mi ha raccolto sulla porta di casa sua a Porthaven quand'ero un orfano che nessuno voleva. — Com'è successo? Racconta — lo invitò Sophie, mentre tagliuzzava un altro triangolo blu. — Mia madre era già morta, quando mio padre affogò in una tempesta. Nessuno ti vuole, quando succede una cosa del genere. Dovetti lasciare la nostra casa perché non potevo pagare l'affitto e cercai di vivere per strada, ma gli abitanti di Porthaven continuavano a cacciarmi dalla loro porta o dalle loro barche. Alla fine mi venne in mente l'unico posto dove tutti avevano paura di venire a intromettersi. A quel tempo Howl aveva appena cominciato a esercitare un po' di magia sotto il nome di Jenkins lo Stregone, ma tutti assicuravano che c'erano i diavoli in casa sua, così dormii un paio di notti, indisturbato, sulla sua soglia; finché una mattina Howl aprì la porta per andare a comperare il pane e io gli caddi dentro casa. Lui mi invitò semplicemente a entrare e ad aspettarlo mentre andava a prendere qualcosa da mangiare. Così mi accomodai, conobbi Calcifer e mi misi a parlare con lui perché non avevo mai incontrato un demone prima d'allora.


— E di cosa mai parlaste, voi due? — s'informò Sophie, poiché era curiosa di sapere se fosse stato proposto anche a Michael il patto che il fuoco aveva proposto a lei. — Mi ha raccontato i suoi guai e ha sgocciolato su di me le sue lacrime, non è vero? — si affrettò a rispondere Calcifer. — Non pensava proprio che anch'io potessi avere dei problemi. — Continuo a pensare che tu non li abbia, caro il mio Calcifer. Ti lamenti solo un bel po', comunque tu fosti molto gentile con me, quel mattino, e penso che Howl sia stato profondamente colpito dal tuo atteggiamento. Ma tu lo conosci bene, non mi ha detto che potevo restare, semplicemente non mi ha detto di andarmene. Così ho cominciato a rendermi utile là dove potevo, facendo cose come curarmi del suo denaro, in modo che non spendesse tutto subito, e via discorrendo. In quel momento l'incantesimo a cui l'apprendista stava lavorando emise una specie di puffe si dissolse in una blanda esplosione. Michael ripulì il teschio dalla fuliggine sospirando e ricominciò con nuovi ingredienti, mentre Sophie, sul pavimento, componeva un patchwork di triangoli blu. — Ho commesso un sacco di stupidi errori all'inizio — continuò a raccontare Michael. — Howl era terribilmente paziente. Pensavo di aver superato quello stadio. Penso, comunque, di essergli veramente utile per quanto riguarda il denaro. Howl compera dei vestiti talmente costosi... Dice che nessuno si sognerebbe di rivolgersi a un Mago che ha l'aspetto di uno che non guadagna abbastanza con la sua attività. — È solo perché gli piacciono i vestiti — intervenne Calcifer, dando un'occhiata abbastanza significativa al lavoro di Sophie, che ribatté: — In ogni caso quest'abito è stato senz'altro sfruttato appieno. — Non spende solo per i vestiti — continuò Michael. — Ti


ricordi, Calcifer, lo scorso inverno, quando ormai avevamo solo un ceppo di legna da darti e lui tornò a casa con il teschio e quella stupida chitarra? Mi sono proprio arrabbiato e lui, per tutta risposta, ha detto che sembravano due oggetti positivi. — E come avete fatto con la legna? — s'incuriosì Sophie. — Con la magia ne ha sottratta una certa quantità a una persona che gli doveva del denaro, almeno lui ce l'aveva raccontata così, e io spero solo che abbia detto la verità. Poi abbiamo mangiato alghe... Howl dice che fanno bene… eh, Calcifer? — Robaccia — brontolò il demone. — Secca e crepitante. — Odio questo incantesimo — disse Michael, guardando distrattamente la ciotola. — Non so... dovrebbero esserci sette ingredienti, a meno che non si tratti di sette procedimenti... in ogni caso proviamolo in un pentacolo. Mise la ciotola sul pavimento e le disegnò attorno, con un gesso, una sorta di stella a cinque punte. La polvere esplose con forza tale da far volare i triangoli di Sophie nel focolare. Michael imprecò e si affrettò a cancellare i segni fatti per terra. Poi, scoraggiato, chiese addirittura aiuto a Sophie: — Mi sono piantato in questo incantesimo e non riesco a procedere... Mi dareste una mano, per favore? — È proprio come un bambino che porta il compito alla nonna per farsi aiutare — pensò Sophie raccogliendo i triangoli di stoffa e disponendoli di nuovo sul pavimento con pazienza. — Fammi dare un'occhiata — gli disse prudentemente. — Non me ne intendo affatto di magia. Michael le mise in mano, con foga, uno strano, sottilissimo foglio di carta liscia e lucida. Aveva un aspetto insolito persino per un incantesimo. Le lettere erano in grassetto, ma apparivano di un grigio tenue e come sfocate, e lungo i margini c'erano delle


macchie grigie come nuvoloni che si ritraessero dal foglio. — Ditemi cosa ne pensate — la incoraggiò Michael. Sophie lesse: "Prendi una stella cadente, con tatto, Alla mandragola dona un bambino. Gli anni passati, che fine hanno fatto? Chi taglia al Diavolo il piede caprino? Delle sirene come odo il canto? E dell'invidia com'evito il pianto? Ancora, ancora: Qual è il mulinello Che spinge l'onesto oltre ogni tranello? Di cosa si tratti decidilo tu, E aggiungi, a questa, una strofa in più. " Lo scritto rese Sophie estremamente perplessa. Non aveva nulla a che fare con gli incantesimi che aveva spiato in precedenza nei libri del Mago. Lo rilesse con attenzione, parola per parola, due volte, senza che Michael fosse di alcun aiuto, visto che cercava di dare concitate spiegazioni mentre lei leggeva. — Sai che Howl mi ha detto che gli incantesimi avanzati contengono sempre un indovinello? Be', per prima cosa ho deciso che ogni verso doveva essere interpretato come tale. Ho usato fuliggine e scintille al posto della stella cadente, e una conchiglia per il canto delle sirene. Poi ho pensato che io avrei potuto rappresentare il bambino, così ho preso quella radice, poi ho compilato le liste degli anni passati dagli almanacchi, ma non ero sicuro di questo punto, anzi, forse è proprio dove ho commesso l'errore. E la cosa che fa evitare il pianto... visto che


l'invidia brucia, potrebbe essere una foglia di acetosa? Non ci avevo ancora pensato... Comunque sia, niente di tutto questo funziona! — Non ne sono affatto sorpresa. A me sembra un insieme di cose impossibili da fare. Michael, però, non si dava per vinto e le fece notare che, a rigor di logica, se tutte quelle cose erano impossibili, allora nessuno sarebbe stato in grado di fare quell'incantesimo. — Anzi — aggiunse il ragazzo — mi vergogno talmente di spiare le mosse di Howl che voglio assolutamente venirne a capo senza chiedere il suo aiuto e fare quest'incantesimo proprio per benino! — Molto bene, Michael. Cominciamo allora dalla frase "decidi di cosa si tratta". Questo dovrebbe metterci sulla buona strada, se pensiamo che faccia comunque parte dell'incantesimo. — No, è un tipo di incantesimo che spiega se stesso mentre lo si compie. Questo è il significato dell'ultima strofa. Quando scriverai la seconda parte, dicendo quello che significa l'incantesimo, allora lo farai funzionare. Si tratta di un tipo di magia molto avanzata. Prima di tutto dobbiamo capire almeno qualcosa della prima parte. Sophie fece di nuovo un mucchietto dei triangoli di stoffa e propose di chiedere aiuto al demone del fuoco. — Calcifer, chi... Michael, però, non le permise di continuare. — No, non fatelo. Penso che Calcifer sia parte dell'incantesimo. Guardate a quante cose chiede con insistenza. All'inizio credevo che si riferisse al teschio, ma non ha funzionato, quindi deve trattarsi di Calcifer. — Puoi continuare da solo, se devi contestare tutto ciò che dico! — l'apostrofò Sophie. — Calcifer dovrà pur sapere chi gli


ha 'tagliato il piede'! Calcifer si animò per un istante, mandando alcuni bagliori. — Non ho piedi, io. Sono un demone, non un diavolo —. Pronunciando queste parole si ritrasse sotto ai ceppi, da dove continuarono a uscire rimbrotti e borbottii, tipo "solo un mucchio di stupidaggini!", per tutto il tempo che Sophie e Michael proseguirono la loro discussione. Poco a poco l'indovinello aveva fatto presa su Sophie che, messi definitivamente da parte i triangoli blu, aveva afferrato carta e penna e aveva cominciato a prendere appunti nella stessa quantità e alla stessa maniera di Michael. Entrambi passarono il resto della giornata seduti, mordicchiando le rispettive penne d'oca, lanciandosi occhiate e suggerimenti. In una pagina 'tipo' di Sophie si poteva leggere: L'invidia può essere tenuta lontana dall'aglio? Si potrebbe ritagliare una stella di carta e lasciarla cadere. Possiamo dirlo a Howl? Howl preferirebbe le sirene a Calcifer? Probabilmente Howl non è l'onesto che si spinge oltre ogni tranello. Che sia Calcifer? E, comunque, dove sono gli anni passati? Significa forse che una di quelle radici secche deve dare un frutto? Piantarla? Vicino a dell'acetosa? Nella conchiglia? Molti animali hanno uno zoccolo caprino, ma non i cavalli. Solo se lo taglio, diventa così. Taglio? Ferrare un cavallo con uno spicchio d'aglio? Mulinello? Cattivo odore? Un mulinello provocato dagli stivali delle sette leghe? Il diavolo è Howl? Dita caprine negli stivali delle sette leghe? Sirene con gli stivali? Mentre Sophie scriveva cose di questo genere, Michael chiedeva con tono altrettanto disperato: — Il 'mulinello'


potrebbe essere interpretato come una sorta di puleggia... a cui è stato appeso un uomo onesto? Ma questa sarebbe magia nera! — Ceniamo — propose a quel punto Sophie. Mangiarono pane e formaggio continuando a guardarsi con una certa ostilità. Alla fine Sophie sbottò: — Michael, per amor del cielo, piantiamola di tentare di indovinare e cerchiamo di fare semplicemente quello che c'è scritto. Dov'è il posto migliore per acchiappare una stella cadente? Sulle colline, forse? — Meglio le Paludi di Porthaven, sono più piatte. Ma... ci riusciremo? Le stelle cadenti sono terribilmente veloci. Al che Sophie gli rammentò gli stivali delle sette leghe, con i quali avrebbero potuto senz'altro farcela. Questo suggerimento fece balzare in piedi l'apprendista che, carico di entusiasmo, esclamò: — Ci siete arrivata! —. Poi si affrettò a prendere gli stivali. — Su, andiamo... proviamoci! Questa volta Sophie fu più prudente e prese con sé il bastone e lo scialle, visto che era quasi buio. Michael stava girando il pomello della porta sul blu, quando accaddero due cose strane. Sul banco i denti del teschio cominciarono a sbattere violentemente, mentre Calcifer, mandando una fiammata su per il camino, lanciò un grido disperato — Non voglio che andiate! — Torneremo presto — gli disse Michael per rabbonirlo. Uscirono sulla via di Porthaven. Era una notte luminosa e profumata. Tuttavia, appena giunsero alla fine della strada, Michael si ricordò che Sophie quella mattina si era sentita male, e cominciò a preoccuparsi per gli effetti che l'aria notturna avrebbero potuto avere sulla sua salute, ma, per tutta risposta, Sophie gli disse di non fare lo sciocco e continuò ad arrancare


arditamente appoggiandosi al bastone. Infine si lasciarono alle spalle le finestre illuminate del villaggio. La notte divenne, così, immensa, umida e fredda. Dalle paludi saliva odore di sale, misto a terra; il mare baluginava e mormorava dolcemente da qualche parte alle loro spalle. Sophie poté intuire, più che vedere, la piana immensa che si stendeva davanti a loro. Riusciva, invece, a scorgere lembi di nebbiolina azzurrognola e il tenue riflesso degli stagni mentre si inoltravano sempre di più nelle paludi, finché non giunsero alla pallida linea dove iniziava il cielo. Ora il cielo era ovunque, ancora più profondo, e la Via Lattea sembrava un nastro di nebbia alzatosi dalle paludi, mentre le stelle brillavano intensamente. Michael e Sophie si fermarono con ciascuno uno stivale pronto sul terreno davanti a loro e si misero ad aspettare che una stella si muovesse. Dopo circa un'ora Sophie cercava di nascondere i brividi per timore che Michael si preoccupasse. Mezz'ora dopo a Michael sorse un dubbio: — Potrebbe non essere il periodo giusto dell'anno. Agosto o novembre sono senz'altro meglio. Dopo un'altra mezz'ora aggiunse, in tono preoccupato. — E poi come la mettiamo con la radice di mandragola? — Oh, senti... risolviamo questa parte, intanto. Poi ci preoccuperemo anche di quella — gli rispose Sophie, stringendo i denti mentre parlava per paura che si mettessero a battere all'impazzata. Dopo un altro po' di tempo Michael le si rivolse di nuovo: — Andate a casa, Sophie. Dopo tutto è il mio incantesimo —. Sophie aveva già la bocca aperta per rispondergli che era una buon'idea, quando una stella si staccò dal firmamento e sfrecciò giù dal cielo lasciando una scia bianca dietro di sé, così invece urlò: — Eccone una!


Michael infilò immediatamente un piede nello stivale e scomparve di colpo. Sophie si bilanciò con il bastone e... via anche lei. Zip!... Squash! Giù per le paludi, sempre più lontano, fra la nebbia, il vuoto e gli stagni che baluginavano attorno a lei. Sophie puntò il bastone al suolo e riuscì a fermarsi mantenendo l'equilibrio. Lo stivale di Michael era una macchia scura proprio di fianco a lei, mentre del ragazzo udiva solo il rumore dei passi affrettati che diguazzavano nella melma e nell'acqua da qualche parte, più avanti. È là, ecco la stella cadente, come una fiammella bianca che scendeva poche iarde oltre quella scura figura in movimento. La forma luminosa stava venendo giù lentamente e sembrava che Michael potesse arrivare ad afferrarla. Dopo aver ripescato la scarpa dallo stivale, Sophie gridò, felice come una bimba: — Su, bastone! Portami là! Poi partì di gran carriera... per quel tanto che le permetteva la sua andatura zoppicante, balzando fra i ciuffi d'erba e barcollando fra le pozze d'acqua, con gli occhi sempre puntanti su quella piccola luce bianca. Quando arrivò vicino al luogo dove si trovava Michael, individuò la sagoma del ragazzo che si stagliava contro la luce della stella. La stava inseguendo con passi rapidi e furtivi, tenendo entrambe le braccia aperte, pronto ad afferrarla. Ora l'astro fluttuava all'altezza delle mani di Michael, ormai vicinissimo. La stella, in quel momento, si volse a guardarlo con grande apprensione. — Che strano! — pensò Sophie. Era fatta di luce, tanto da illuminare un ampio cerchio dove si scorgevano erba, canne e stagni tutto attorno a Michael, e nonostante questo aveva un'espressione ansiosa nei grandi occhi che spiavano l'inseguitore, e un visino puntuto. L'arrivo di Sophie la spaventò. Cadde in una picchiata irregolare, gridando con vocina


tremante: — Che cos'è? Cosa volete? Sophie cercò di dire a Michael "Fermati... è terrorizzata!", ma non aveva più fiato per emettere una sola parola. Il ragazzo, intanto, cercava di spiegare alla stella: — Ti voglio solo prendere, non ti farò del male. — No! No! È sbagliato! Sono destinata a morire! — Ma io ti potrei salvare, se solo mi permettessi di afferrarti — le disse allora Michael con tono gentile. — No! — gridò di nuovo la stella. — Preferisco morire! Così dicendo, fece un tuffo sgusciando fra le dita del ragazzo, che si lanciò dietro di lei. Ma la stella era troppo veloce; piombò nello stagno più vicino e l'acqua nera sussultò in un bianco sfavillio, per un istante. Poi solo uno sfrigolio morente... Quando Sophie lo raggiunse zoppicando, Michael se ne stava lì immobile, guardando spegnersi gli ultimi bagliori nell'acqua tornata ormai di nuovo nera. — È molto triste — gli disse Sophie. — Sì, in un certo senso il mio cuore se n'è andato con lei — le rispose il ragazzo in un sospiro. — Andiamo a casa. Ne ho abbastanza di questo incantesimo. Ci vollero venti minuti prima che riuscissero a ritrovare gli stivali e Sophie pensò che fosse un vero miracolo ripescarli in quell'oscurità. — Sapete — le disse Michael, mentre completamente abbattuti percorrevano faticosamente le vie buie di Porthaven, — senz'altro non sarò mai capace di compiere quest'incantesimo. È di un grado troppo elevato per le mie capacità. Dovrò chiedere a Howl. Odio arrendermi, ma almeno questa volta riuscirò a cavare qualcosa di sensato dal nostro Mago, visto che questa Lettie Hatter gli si è arresa. Questo, però, non rendeva Sophie felice per niente.


CAPITOLO DIECI In cui Calcifer promette a Sophie un indizio Howl doveva essere rientrato quando Sophie e Michael erano ancora fuori. Il Mago, infatti, uscì dal bagno proprio mentre Sophie stava friggendo su Calcifer le uova per la colazione. Tutto bello azzimato, avvolto in una nuvola di profumo al caprifoglio, si sedette sulla sedia in una posa aggraziata, con un'espressione radiosa dipinta in volto. — Sophie cara, sempre indaffarata... Hai lavorato duramente anche ieri, vero, nonostante il mio consiglio? Ma perché ridurre il mio abito migliore come un puzzle? Te lo chiedo così, in amicizia, tanto per sapere —. Il suo tono era ironico e sornione. — L'hai coperto tu di gelatina, non ricordi? Lo sto trasformando. — Posso farlo benissimo da solo. Credevo di avertelo già dimostrato. Posso anche prepararti un paio di stivali delle sette leghe tutti per te, se mi dai la misura giusta. Qualcosa di pratico in vitello marrone, per esempio. È davvero sorprendente il modo in cui uno possa fare un passo lungo dieci miglia e mezzo e atterrare in una montagna di sterco di vacca... — Potrebbe essersi trattato anche di sterco di toro — ribatté Sophie con lo stesso tono. — Mi viene da pensare che tu abbia trovato sugli stivali anche del fango proveniente dalle paludi. Una persona della mia età ha bisogno di molto esercizio. — Allora sei stata anche più impegnata di quanto pensassi, visto che ieri, quando ho distolto per un istante gli occhi dall'amato volto di Lettie, avrei giurato di aver visto il tuo lungo


naso curiosare oltre l'angolo della casa. O mi sbaglio? — La signora Fairfax è un'amica di famiglia. Come potevo sapere che anche tu saresti andato a farle visita? — Hai un vero istinto per queste cose, Sophie. Ecco tutto. Niente si salva da te. Se mi mettessi a corteggiare una ragazza che vivesse su un iceberg sperduto in mezzo all'oceano, prima o poi (probabilmente prima) alzando il viso ti vedrei curiosare a cavalcioni di una scopa. Ti dirò di più, d'ora in poi sarò molto deluso, se non ti vedrò... — Partirai per quell'iceberg... oggi? — ribatté Sophie. — Dall'espressione che aveva ieri Lettie, direi che niente ti trattiene più là! — Mi stai offendendo — le disse Howl con tono oltraggiato. Sophie lo guardò di traverso, sospettosa. Malgrado il frivolo gioiello rosso che pendeva dall'orecchio, il profilo di Howl le appariva triste e nobile, mentre le diceva: — Passeranno ancora lunghi anni prima che io lasci perdere Lettie. In effetti sto per tornare dal Re proprio oggi. Soddisfatta, signora Ficcanaso? Sophie non era sicura di poter prendere per vera nessuna delle sue parole, anche se, visto che il pomello della porta era sul rosso, era certamente Kingsbury il luogo dove Howl era diretto. Dopo colazione, infatti, aveva spostato con un cenno della mano Michael, che stava cercando di consultarlo sul difficile incantesimo, ed era uscito di fretta. Non avendo null'altro da fare, anche l'apprendista se n'era andato, dicendo che a quel punto poteva tranquillamente andare da Cesari. Sophie, lasciata sola, continuò a riflettere se poter effettivamente credere alle parole di Howl o meno. Si era già sbagliata sul suo conto e, tutto sommato, aveva tenuto in considerazione solo i discorsi fatti da Michael e di Calcifer sul suo comportamento. Raccolse tutti i triangolini di stoffa blu e, sentendosi un po' in


colpa, cominciò a ricucirli assieme sulla rete d'argento che copriva in origine il vestito e che era tutto ciò che ne rimaneva. Quando qualcuno bussò alla porta, trasalì violentemente, pensando che potesse trattarsi di nuovo dello spaventapasseri. — Porta di Porthaven — annunciò Calcifer, ammiccando verso do lei con una fiammata purpurea. Allora non doveva esserci alcun pericolo, pensò Sophie, zoppicando verso la porta e aprendola con la faccia blu del pomello rivolta in basso. Fuori c'era un cavallo da tiro. L'uomo che lo conduceva, e che sembrò a Sophie un tipo aitante sulla cinquantina, era venuto a chiedere se la signora Strega avesse qualcosa per impedire al cavallo di perdere continuamente i ferri degli zoccoli. — Vedrò... — gli rispose Sophie, poi, avvicinatasi alla grata del focolare, bisbigliò a Calcifer: — Cosa debbo fare? — Polvere gialla, nel quarto vaso sul secondo scaffale — sussurrò il demone di rimando. — La maggior parte di quegli incantesimi è attendibile. Mostrati sicura di te, quando glielo porgi. Così Sophie versò la polvere gialla in un quadratino di carta come aveva visto fare a Michael, lo accartocciò con cura, quindi tornò alla porta. — Ecco, tieni, ragazzo mio. Questo terrà attaccati i ferri più di un centinaio di chiodi. Mi hai sentito, cavallo? Non avrai più bisogno del maniscalco per tutto l'anno prossimo. Fa un penny in tutto, grazie. Fu una giornata piuttosto movimentata. Sophie dovette posare l'ago più volte e vendere, con l'aiuto di Calcifer, un incantesimo per liberare un tubo di scarico, un altro per radunare le capre e qualcosa per fare una buona birra. L'unico che le diede qualche problema fu il cliente che bussò


alla porta di Kingsbury. Sophie aveva aperto l'uscio con il pomello sul rosso, e si era trovata davanti un ragazzino poco più vecchio di Michael vestito in modo sfarzoso. Il giovane, però, aveva la faccia bianca come un lenzuolo, sudava e si torceva le mani. — Signora dei Sortilegi, dovrò cimentarmi in un duello, domani all'alba. Abbiate pietà! Datemi qualcosa che mi faccia essere sicuro di vincere. Sono disposto a pagare qualsiasi cifra! Sophie, da sopra una spalla, lanciò un'occhiata a Calcifer, e il demone fece un sacco di smorfie di rimando per farle capire che non c'erano magie del genere pronte. — Qualsiasi cifra?... Non sarebbe per niente corretto — rispose Sophie al ragazzo con aria severa, poi aggiunse: — Inoltre i duelli sono una cosa sbagliata. — Allora mi prepari semplicemente qualcosa che mi dia almeno una buona opportunità! — la pregò il ragazzo con la disperazione nella voce. Sophie lo guardò: era piuttosto basso per la sua età e aveva il viso contratto dalla paura. Il suo sguardo senza speranza era quello che ha negli occhi solo chi non ha mai vinto. — Vedrò cosa posso fare — gli disse Sophie dirigendosi verso gli scaffali e cominciando a esaminare attentamente i barattoli. Quello rosso, contrassegnato dall'etichetta CAYENNA, sembrava il più adatto. Sophie ne mise una quantità generosa nel consueto pezzetto di carta, poi spostò il teschio di fianco al pacchetto mormorando: — Tu ne devi sapere senz'altro più di me. Il giovane intanto sporgeva la testa oltre la porta per guardarsi attorno con quella sua aria ansiosa. Sophie, allora, afferrò un coltello e con esso fece sul mucchietto di pepe quelli che sperava sembrassero gestì magici. Poi pronunciò le seguenti


parole sempre rivolta al teschio, come in un rito: — Devi fargli fare un leale combattimento. Un duello leale. Capito, vero? Poi chiuse con cura il pacchetto, andò alla porta e lo porse al ragazzo. — Quando inizia il duello, getta questo in aria. Ti darà la medesima opportunità che avrà l'altro contendente. Dopo di che, la vittoria dipenderà da te. Le fu così grato che cercò di darle una moneta d'oro, ma Sophie rifiutò di prenderla, così il giovane la pagò con un pezzo da due centesimi e se ne andò tutto felice, fischiettando. — Mi sento un'imbrogliona — disse a voce alta Sophie mentre riponeva il denaro sotto la pietra del focolare. — Comunque vorrei essere presente a quel duello! — Piacerebbe anche a me! — gracchiò Calcifer. — Quando hai intenzione di liberarmi, cosicché io me ne possa andare a vedere azioni di questo tipo? — Quando avrò ottenuto almeno un indizio su questo contratto. — Ne potrai avere uno nel corso di questa giornata — replicò il demone. Verso la fine del pomeriggio. Michael rientrò, leggero come una brezza marina, guardandosi attorno con aria ansiosa per controllare che Howl non fosse rincasato prima di lui. Andò al tavolo da lavoro e, in fretta e furia, tirò fuori diversi oggetti per dare l'impressione di essere stato molto impegnato. Intanto cantava allegramente. — Ti invidio, perché tu sei ancora in grado di camminare tutto il giorno e poi startene lì fresco come una rosa — lo apostrofò Sophie, mentre cuciva un triangolo blu alla rete d'argento. — Come sta Ma... mia nipote? Michael lasciò con aria felice il suo lavoro per andarsi a sedere sullo sgabello accanto al focolare e raccontarle la sua


giornata. Quindi si informò su quello che aveva fatto Sophie. Il risultato fu che quando Howl aprì la porta con una spallata, visto che aveva le braccia cariche di pacchi, Michael non si era ancora messo al lavoro, ma si stava dondolando sullo sgabello, ridendo come un matto al racconto dell'incantesimo per la buona riuscita del duello. Howl si volse per chiudere la porta e rimase là, con la schiena appoggiata all'uscio in una posa tragica. — Guardateli! Io ho lavorato come uno schiavo tutto il giorno per loro, la rovina è dipinta sul mio viso, e nessuno, nemmeno tu, Calcifer, che trovi un secondo per lanciarmi un salve! Michael si alzò di colpo dallo sgabello con aria colpevole, mentre Calcifer diceva: — Io non dico mai salve. — Qualcosa è andato storto? — si informò Sophie. — Così va meglio. Finalmente qualcuno fa finta di notarmi. Gentile da parte tua, Sophie. Sì, qualcosa di storto c'è. Il Re mi ha chiesto ufficialmente di trovargli suo fratello, con il marcato sottinteso che la distruzione della Strega delle Terre Desolate sarebbe molto utile, e voi due ve ne state lì a ridere! A quel punto era evidente che Howl si trovava in quel particolare stato d'animo che avrebbe potuto portarlo a produrre il ben noto viscidume verde di lì a qualche secondo. Pertanto Sophie si affrettò a spostare il suo lavoro di cucito e a suggerire: — Preparerò un po' di pane tostato con il burro. — È tutto quello che sai fare per fronteggiare una tragedia? — le chiese Howl. — Preparare pane e burro?! No, non alzarti. Ho camminato faticosamente fin qui carico come un somaro per te, ora l'unica cosa che farai è dimostrare un educato interesse. Tieni. Così dicendo le riversò in grembo una pioggia di pacchi e ne porse un altro a Michael. Sconcertata, Sophie aprì i suoi pacchetti: diverse paia di


calze di seta; due confezioni di sottovesti del più fine percalle, con balze, trine e inserti di raso; un paio di stivali in pelle scamosciata, grigio tortora; uno scialle di merletto; un vestito grigio di seta marezzata guarnito di un merletto che si intonava perfettamente con quello dello scialle. Sophie soppesò tutti quei capi di vestiario con occhio professionale e rimase senza fiato. Il solo merletto valeva una fortuna. Poi accarezzò l'abito di seta con soggezione reverenziale. Michael intanto aveva tirato fuori dal suo pacco uno splendido vestito nuovo di velluto. — Devi aver speso tutte le monete che avevi in quella borsa di seta! — esclamò con poco tatto. — Non ho bisogno di questo abito, sei tu quello che ha bisogno di un vestito nuovo. Howl agganciò con uno stivale quello che restava del suo abito blu e argento e lo sollevò con aria triste. Anche se Sophie aveva lavorato instancabilmente, l'indumento era ancora più buchi che altro. — Come sono altruista... Non posso comunque mandare te e Sophie a screditare il mio nome presso il Re, vestiti come due straccioni. Il sovrano penserebbe che non mi prendo cura di mia madre. Allora, Sophie? Gli stivali sono della misura giusta? Sophie sollevò lo sguardo dall'abito, che stava ancora accarezzando. — Fai così perché sei gentile oppure codardo? Grazie mille, ma... no, non ci andrò. — Che ingratitudine! — esclamò Howl allargando le braccia. — Allora sarà di nuovo melma verde! Dopodiché sarò costretto a spostare il castello mille miglia lontano da qui e a non vedere mai più la mia amata Lettie! Michael guardò Sophie con aria implorante. Sophie, di rimando, lo guardò con cipiglio. Capiva bene che la felicità di entrambe le sue sorelle dipendeva dal fatto che lei acconsentisse


a vedere il Re, e per di più c'era anche tutta quella schifezza verde! — Non mi hai ancora chiesto di fare niente di preciso. Hai semplicemente detto che dovevo andare. Howl sorrise. — E tu ci andrai, non è vero? — Va bene... Quando? — Domani pomeriggio. Michael può accompagnarti come lacchè. Il Re ti aspetta. Howl sedette sullo sgabello e cominciò a spiegare, in maniera seria e minuziosa, che cosa Sophie dovesse dire. Ora che tutto procedeva come voleva Howl, Sophie notò che non c'era più traccia alcuna dello stato d'animo foriero della verde poltiglia. Lo avrebbe preso a schiaffi molto volentieri! Intanto il Mago spiegava: — Voglio che tu compia un'abile missione, in modo che il Re continui ad affidarmi compiti come l'incantesimo per il trasporto dell'esercito, ma che non si fidi di me per incarichi quali la ricerca del fratello. Devi spiegargli come io abbia fatto infuriare la Strega delle Terre Desolate e raccontargli che figlio devoto io sia per te. Voglio, comunque, che tu sia talmente convincente che lui capisca bene che non posso essergli di aiuto alcuno in quella ricerca. Howl si dilungò nei dettagli, mentre Sophie si teneva i pacchi stretti al petto e cercava di memorizzare le parole del Mago. Non poté comunque fare a meno di pensare che se lei fosse stata nei panni del Re non avrebbe capito dove quella vecchia che aveva davanti volesse andare a parare! Michael, intanto, continuava a toccare il gomito di Howl per cercare di trasferire la sua attenzione sul famoso incantesimo che non riusciva a mettere in atto. Ma al Mago continuavano a venire in mente nuovi particolari per favorire la buona riuscita della missione.


— Non adesso, Michael. Vediamo... Ho pensato, Sophie, che potresti avere bisogno di un po' di pratica per non essere intimorita dalla maestosità del Palazzo, dalla formalità del cerimoniale. Non vogliamo che tu sia sopraffatta da qualche dubbio nel bel mezzo della tua conversazione con il Re, vero?... Michael, aspetta... Così ho preso accordi perché tu possa far visita alla signora Pentstemmon, la mia vecchia insegnante. È una dei 'grandi vecchi' e, in un certo qual modo, è ancora più importante del Re. Così almeno farai un po' di pratica con quel tipo di personaggi prima di presentarti a Corte! A quel punto Sophie desiderava di non aver mai acconsentito e, in cuor suo, si sentì decisamente sollevata quando finalmente Howl volse la sua attenzione all'apprendista. — Bene, Michael. Adesso è il tuo turno. Cosa c'è? L'apprendista, sventolandogli sotto al naso il lucido foglio grigio, riversò sul Mago una fiumana di parole per spiegargli con tristezza quanto la realizzazione di quell'incantesimo fosse impossibile. Nell'udire una cosa del genere, Howl sembrò un po' meravigliato. Prese comunque in mano il foglio, dicendo: — Vediamo... dov'era il tuo problema? —. Mentre pronunciava queste parole, spiegò il foglio e lo fissò attonito, inarcando un sopracciglio. — Ho cercato di affrontarlo come se fosse un indovinello, poi facendo semplicemente quello c'era scritto — spiegava intanto Michael, — ma Sophie e io non siamo riusciti a prendere la stella cadente... — Grandi dei! — si lasciò scappare di bocca Howl. Poi scoppiò in una gran risata e dovette mordersi un labbro per smettere di ridere. — Questo non è l'incantesimo che avevo lasciato sul bancone per te. Dove l'hai trovato, Michael? — Veramente io l'ho trovato proprio sul bancone. Era nel


mucchio di cose che Sophie ha impilato attorno al teschio ed era l'unico incantesimo che ci fosse, così ho pensato... Howl balzò in piedi, si mise a fare una cernita delle cose che erano sul banco da lavoro, poi sbottò: — Sophie colpisce ancora! Mentre continuava nella sua ricerca, fogli e oggetti volavano a destra e a sinistra. — Avrei dovuto immaginarlo! No, l'incantesimo giusto non è qui — e mentre rifletteva, si mise a tamburellare sulla calotta cranica, marrone e lucente, del teschio. — È opera tua, amico? Ho idea che tu provenga da là, da dove sicuramente viene la chitarra... Sophie cara... — Sì?!... — Vecchia Sophie... pazza ingovernabile, sempre indaffarata... Ho ragione se penso che hai girato il pomello della porta sul nero e hai messo fuori il tuo lungo naso impiccione? — Solo un dito. Ho messo fuori un dito e niente più — gli rispose Sophie cercando di mantenere un'aria dignitosa. — Ma hai aperto la porta e quello che Michael pensa sia un incantesimo dev'essere entrato da quel varco. Non è venuto in mente a nessuno dei due che il testo di quell'incantesimo non assomiglia affatto ai soliti testi? — Gli incantesimi spesso hanno un aspetto molto particolare — intervenne Michael. — Ma... cos'è in realtà? Howl scoppiò in una sonora risata. — "Decidi di cosa si tratta. Scrivi tu stesso una seconda strofa!" Oh, Signore! —. Poi corse su per le scale e, mentre i suoi piedi sparivano al piano di sopra, urlò: — Ve lo mostrerò! — Penso che abbiamo sprecato il nostro tempo a correre qua e là per le paludi — stava intanto dicendo Sophie a Michael che assentiva con aria cupa. Poi, capendo che in quel momento il


ragazzo si sentiva uno sciocco, aggiunse: — È stata colpa mia, sono stata io ad aprire la porta. — Ma mi tolga una curiosità, cos'avete visto, là fuori? — le chiese Michael subito molto interessato. Proprio in quel mentre, però, Howl scese le scale, dicendo: — Non ho quel libro, come invece pensavo. Ora, comunque, aveva un'espressione turbata. — Michael, ho sentito bene... ha cercato di catturare una stella cadente? — Sì, ma si è spaventata, è caduta in uno stagno ed è affogata. — Ringraziamo il cielo! — esclamò Howl. — Era molto triste — intervenne Sophie. — Triste... davvero? — chiese il Mago, che appariva più turbato che mai. — È stata una tua idea, eh? Tipico da parte tua! Mi pare di vederti mentre te ne vai con il tuo passo incerto fra le paludi, incoraggiando Michael! Lasciami dire che quella è stata proprio la cosa più stupida che abbia mai fatto. Lui sarebbe stato molto più che triste, se mai fosse riuscito ad afferrare quella cosa! E tu... Calcifer sembrò risvegliarsi ed emise qualche fiammella, domandando: — Cos'è tutta questa confusione? Se non mi sbaglio, ne hai catturata una tu stesso, o no? — Sì! E io... — cominciò Howl, lanciando una gelida occhiata al demone, ma riuscì a controllarsi e a rivolgersi, invece, all'apprendista. — Michael, promettimi che non tenterai più di catturare una stella cadente, mai più! — Lo prometto — rispose il ragazzo prontamente e di buon grado. — Cos'è quello scritto, se non si tratta di un incantesimo? Howl guardò il foglio grigio che aveva in mano. — Si chiama Song... ed è quello che sembra, immagino. Ma questa poesia non è completa e io non mi ricordo come continua.


Se ne rimase immobile, come colpito da una nuova idea, un pensiero che, comunque, lo preoccupava. — Penso che la strofa successiva fosse importante. Sarebbe meglio cercarla e controllare... —. Andò alla porta, girò il pomello sul nero, poi si fermò. Si voltò a guardare Sophie e Michael, che fissavano il pomello stupiti, com'era abbastanza logico fosse, e disse loro: — Va bene! Sono sicuro che se la lasciassi qui, Sophie sarebbe capace di fare delle contorsioni pur di seguirmi. E, d'altra parte, non sarebbe carino nei confronti di Michael prendere con me lei e non lui. Quindi verrete entrambi, così potrò controllarvi a vista. Aprì la porta sul nulla e mosse fuori un passo. Michael inciampò nello sgabello e cadde nella furia di seguirlo, mentre Sophie sparse i pacchi a destra e sinistra sulle pietre del focolare, e schizzò in piedi per quanto le permettevano le sue povere ossa, ma fece anche in tempo a raccomandare a Calcifer: — Non far cadere nessuna scintilla su quei pacchetti! — Se tu mi prometti di dirmi che cosa c'è là fuori... In ogni modo tu hai già avuto il tuo indizio... — Dici davvero? — ma andava troppo di fretta per aspettare una spiegazione a quelle parole. CAPITOLO UNDICI In cui Howl va in uno strano paese in cerca di un incantesimo Dopo tutto il nulla aveva lo spessore di un pollice soltanto. E oltre il nulla c'era un sentiero lastricato che portava al cancello di un giardino, dove Howl e Michael la stavano aspettando nella sera grigia e piovigginosa. Al di là del cancello si intravvedeva


una strada piatta, affiancata da case. Sophie si volse indietro, rabbrividendo sotto la pioggerella, e vide che il castello si era trasformato in un edificio giallo di mattoni, con grandi finestre. Al pari di tutte le altre case era nuova e a pianta quadrata, con una porta d'ingresso di spesso vetro zigrinato. Sembrava che non vi fosse nessuno in giro. Questo fatto poteva forse essere dovuto alla pioggia, fina e insistente, ma Sophie provò la sensazione che il vero motivo fosse un altro: certamente quel quartiere si trovava da qualche parte ai margini di una città. — Quando poi avrai finito di curiosare... — commentò Howl che, evidentemente, la stava aspettando, lì fermo sotto la pioggia che già gli aveva tutto bagnato lo sfarzoso abito grigio e scarlatto. Nell'attesa, stava facendo dondolare un mazzo di strane chiavi, la maggior parte delle quali erano piatte e gialle, e sembravano intonarsi perfettamente alle case. Mentre Sophie scendeva per il sentiero, Howl disse che dovevano vestirsi in maniera adeguata a quel luogo e, improvvisamente, il suo abito raffinato tremolò e fu offuscato alla vista come se la pioggia attorno a lui si fosse, di colpo, trasformata in nebbia. Quando l'immagine del Mago fu di nuovo a fuoco, era ancora vestito di grigio e scarlatto, ma gli abiti avevano una foggia completamente diversa. Le lunghe maniche penzolanti erano sparite e l'insieme appariva più abbondante, frusto e un po' logoro. La giacca di Michael si era accorciata, ora arrivava solo in vita, ed era diventata una strana cosa imbottita. Il ragazzo alzò un piede, calzato ora con scarpe di tela, poi guardò con stupore quei cosi blu attillati che gli rivestivano le gambe. — Riesco a malapena a piegare il ginocchio! — Ti ci abituerai —. Poi Howl esortò Sophie ad avvicinarsi. Con sua grande sorpresa, il Mago imboccò il sentiero che


portava al giardino e tornò verso la casa, allora Sophie poté anche vedere che sulla schiena della strana giacchetta di Howl, un po' rigonfia in vita, c'erano due parole misteriose: GALLES RUGBY. Michael seguiva il Mago, camminando a piccoli passi rigidi a causa di quei cosi che gli fasciavano le gambe. Sophie, finalmente, abbassò lo sguardo per vedere quanto fosse cambiato il suo abbigliamento, ma a parte la gonna, che si era un po' accorciata mettendo in mostra le gambe rinsecchite e i piedi bitorzoluti, il resto era rimasto sostanzialmente uguale. Howl, con una chiave del mazzo che teneva in mano, aprì la porta d'ingresso, accanto alla quale era appesa, tramite una catenella, un'insegna di legno con un'unica parola, GRAN BURRONE, come poté leggere Sophie mentre il Mago la sospingeva in un ingresso tutto pulito, ordinato e luminoso. Sembrava che in casa ci fosse qualcuno, poiché si sentivano, oltre la porta più vicina, delle persone che parlavano a voce alta. Ma quando Howl aprì l'uscio, Sophie si rese conto che le voci erano emesse da immagini magiche e colorate, che si muovevano sulla faccia anteriore di una scatola quadrata. — Howell! — esclamò una donna che se ne stava seduta intenta a lavorare a maglia. Depose il lavoro un po' seccata, ma ancor prima che potesse alzarsi, una ragazzina, che era intenta a guardare la scatola magica con il mento appoggiato sulle mani, si alzò di scatto e si lanciò verso Howl, strillando: — Zio Howell! In men che non si dica gli era già balzata in braccio, tenendosi avvinghiata a lui stretta stretta. — Mari! — gridò Howl per tutta risposta. — Come stai, piccolina? Hai fatto la brava? Poi lui e la bambina si misero a parlare fitto fitto, a voce alta, in una lingua straniera all'orecchio di Sophie, che captò,


comunque, l'affetto del tutto speciale che c'era fra quei due. Si chiese in che lingua mai stessero parlando: suonava come la sciocca canzoncina di Calcifer sulle casseruole, ma era difficile esserne sicuri. Fra uno scroscio e l'altro di chiacchiere, Howl, come se fosse un ventriloquo, riuscì a fare anche le presentazioni: — Questa è mia nipote, Mari, e questa mia sorella, Megan Parry. Megan, lui è Michael Fisher e la signora si chiama Sophie... ehm... — Hatter — completò la frase Sophie. Megan strinse le mani a entrambi in modo misurato, rivelando una certa disapprovazione. Era più anziana di Howl, ma gli assomigliava molto, soprattutto nella forma del viso che, come quello del Mago, era scarno e allungato. Aveva, però, grandi occhi blu carichi d'ansia e capelli piuttosto scuri. — Mettiti tranquilla adesso, Mari! — ordinò con un tono di voce che metteva a tacere tutte quelle strane chiacchiere, poi, rivolta al fratello, chiese: — Howell, hai intenzione di fermarti a lungo? — Mi trattengo solo pochi minuti — le rispose Howl rimettendo Mari sul pavimento. — Gareth non è ancora tornato — aggiunse Megan, con tono carico di sottintesi. — Che peccato! Ma non possiamo rimanere. Howl le lanciò un largo sorriso ipocrita. — Pensavo semplicemente di presentarti questi miei amici... poi volevo chiederti una cosa che forse potrà sembrarti sciocca. Neil ha perso per caso una parte del suo compito d'inglese ultimamente? — Buffo che sia proprio tu a chiederlo! — esclamò Megan. — Giovedì scorso Neil ha continuato a cercare invano quel compito per tutto il giorno, ovunque! Sai, ha una nuova insegnante d'inglese molto... severa. Non solo fa delle vere tragedie per stupidi errori d'ortografia, ma si appella addirittura


al timore di Dio perché i suoi alunni consegnino i compiti assegnati per casa nel tempo stabilito. Non che questo allarmi particolarmente Neil... quel diavoletto è talmente pigro! Comunque ha passato tutto giovedì in caccia... al piano di sopra... al piano di sotto... e tutto quello che è riuscito a trovare è stato uno strano, vecchio brano... — Ah! — la interruppe Howl. — E cosa ne ha fatto di quello scritto? — Gli ho detto di consegnarlo comunque alla sua insegnante, tale signorina Angorian. Per dimostrarle che, per una volta, almeno ci aveva provato. — E Neil gliel'ha consegnato? — Come faccio a saperlo... io? È meglio che tu lo chieda a Neil. È su, nella stanza sul davanti... con una di quelle sue macchine, naturalmente. Ma non gli caverai di bocca niente di sensato! — Andiamo! — Howl spronò Michael e Sophie che erano rimasti a osservare con curiosità quella stanza luminosa, tutta arredata nelle tonalità dell'arancione e del marrone. Il Mago prese per mano la nipotina e guidò la piccola processione su per una rampa di scale coperte da un tappeto verde e rosa. Salirono, così, nel più assoluto silenzio e non si udirono i loro passi nemmeno quando entrarono in una stanza al piano superiore, poiché anche quel pavimento era ricoperto da un tappeto blu e giallo. In ogni caso, pensò Sophie, i due ragazzi, che erano seduti a un tavolo presso la finestra, non avrebbero alzato gli occhi dalle loro scatole magiche nemmeno all'arrivo di un esercito accompagnato da una banda di ottoni. La scatola magica più grande aveva la parte anteriore di vetro, come quella che era al piano di sotto, solo che questa sembrava mostrare scritte e diagrammi, più che figure. Tutte quelle scatole


magiche crescevano su lunghi steli bianchi flessibili e sembravano avere le radici nella parete. — Neil! — chiamò Howl a voce alta. — Non interromperlo, altrimenti muore — rispose uno dei due ragazzi. Visto che si trattava di una questione di vita o di morte, Sophie e Michael arretrarono verso la porta. Howl invece, mantenendosi imperturbabile anche di fronte all'uccisione del proprio nipote, andò diritto alla parete e con un gesto secco strappò le radici alle scatole. L'immagine svanì di colpo e l'azione, rapida e decisa, fece scaturire dai ragazzi una cascata di parole che probabilmente nemmeno Martha conosceva. Poi, il secondo ragazzo si girò furioso come una tigre, urlando: — Mari! Te la farò pagare... — Non sono stata io, questa volta... ecco! Al che Neil si girò completamente su se stesso, vide Howl e gli lanciò uno sguardo astioso e accusatorio. Il Mago, invece, gli si rivolse con tono divertito. — Come va, Neil? — Ma chi è? — chiese a Neil l'amico che gli stava accanto. — Il mio zio cattivo — rispose il ragazzo, continuando a guardare Howl con fiero cipiglio. Era un giovane moro, con delle folte sopracciglia e lo sguardo intenso, che finalmente si rivolse a Howl con tono perentorio: — Cosa vuoi? Rimetti a posto quella spina. — Oh, finalmente il signorino ci degna di una parola! Comunque la riattaccherò solo quando avrai risposto a una domanda che voglio farti. Neil sospirò. — Zio Howell, ero proprio nel bel mezzo di un gioco! — Un gioco nuovo? — s'informò il mago. Sul viso di entrambi i ragazzi si dipinse, allora, un'espressione di profonda insoddisfazione. — No, è ancora quello che mi hanno regalato per Natale —


lo informò Neil. — Dovresti sapere come la pensano i miei sul tempo e i soldi che loro giudicano sprecati inutilmente. Non mi compreranno un altro videogioco fino al mio compleanno. — Allora possiamo arrivare molto facilmente a un accordo — gli disse lo zio. — Non ti importerà poi troppo smettere questo gioco, se l'hai già fatto e... io posso corromperti con un nuovo videogioco... — Davvero? — esclamarono i ragazzi all'unisono, poi Neil aggiunse: — Potresti regalarmi un altro di quei giochi che i miei compagni non hanno? — Va bene, ma prima da' un'occhiata a questo e dimmi cos'è —. Così dicendo Howl gli mise sotto al naso il foglio grigio e lucido. Entrambi i ragazzi gli diedero una rapida occhiata, ma fu Neil a rispondere prontamente: — È una poesia — e lo disse con il tono con cui la maggior parte della gente avrebbe detto "È un topo morto". — È il compito che la signorina Angorian ci ha assegnato la settimana scorsa — spiegò l'amico di Neil — ricordo parole come àncora e mulinello. Ha a che fare coi sottomarini. Mentre Sophie e Michael si scambiavano un'occhiata interrogativa, domandandosi entrambi come avessero fatto a non cogliere questo nuovo significato, Neil esclamò: — Ehi! Questo è il compito che avevo perso... l'ho cercato dappertutto, dove l'hai trovato? E... quello scritto buffo che ho trovato al posto di questo era tuo? Per mia fortuna la signorina Angorian l'ha trovato interessante e se l'è portato a casa. — Grazie mille, Neil — gli disse Howl — si può sapere dove vive la tua insegnante? — In quell'appartamento sopra la sala da tè della signora Phillips in Cardiff Road — gli spiegò il ragazzo, poi aggiunse: — Quando mi darai il mio nuovo videogioco?


— Quando ti ricorderai come continua quella poesia. — Non è per niente carino da parte tua! Non riesco neanche a ricordarmi il pezzetto che è su quel foglio. Questo si chiama prendersi gioco dei sentimenti altrui! Ma la smise immediatamente quando vide che Howl scoppiava a ridere, tastava una delle sue tasche rigonfie e gli porgeva un pacchetto piatto. — Grazie1. —. La voce e l'espressione di Neil rivelavano una profonda gratitudine. Senza aggiungere una parola tornò a girarsi verso le sue scatole magiche, mentre lo zio piantava di nuovo tutto il fascio delle radici nel muro ridendosela sotto i baffi, e faceva un cenno a Michael e Sophie perché uscissero dalla stanza. Subito, entrambi i ragazzi cominciarono una misteriosa e frenetica attività, in cui riuscì a intrufolarsi anche Mari, che però stava a osservarli tutta intenta, succhiandosi un pollice. Howl si affrettò giù per le scale, ma Sophie e Michael indugiarono sulla porta domandandosi quale fosse il significato di tutto ciò che stavano vedendo e della scena alla quale avevano appena assistito. Neil, intanto, leggeva ad alta voce: — Ti trovi all'interno di un castello incantato. Ci sono quattro porte. Ciascuna di esse si apre su una dimensione differente. Nella Dimensione Uno il castello si muove costantemente e può arrivare, in qualsiasi momento, in una situazione pericolosa... Sophie si meravigliò di quanto tutto ciò le suonasse familiare, poi, sovrappensiero, cominciò a scendere le scale. Michael era fermo a metà strada e sembrava piuttosto imbarazzato, poiché ai piedi della scala Howl stava discutendo con sua sorella. — Come sarebbe che hai venduto tutti i miei libri? Ne avevo bisogno di uno in particolare. Non erano tuoi e non avevi nessun diritto di venderli, Megan!


— Oh, non continuare a interrompermi! —. La voce della donna era bassa, ma l'intonazione feroce. — Ora ascoltami bene\ Ti ho già detto altre volte che questa casa non è un magazzino per le tue cianfrusaglie. Sei una vera disgrazia per me e per Gareth. Te ne vai in giro conciato in quel modo, invece di comperarti un vestito come si deve e presentarti, una volta tanto, come una persona rispettabile. Per di più ti unisci a ogni genere di plebaglia e li porti in questa casa! Stai cercando forse di trascinarmi in basso, al tuo livello? Sei tanto istruito, eppure non sei neanche capace di trovarti un lavoro decoroso. Te ne vai in giro a bighellonare, sprecando tutto il tuo tempo al college, sprecando tutti i sacrifici che altri hanno fatto per te e... sprecando il tuo denaro... Megan sarebbe stata una bella antagonista per la signora Fairfax, pensò Sophie mentre la donna continuava a parlare, parlare... Ora capiva come Howl avesse acquisito l'abitudine di svicolare dalle situazioni sgradevoli. Megan era il genere di persona che ti faceva desiderare di guadagnare la porta più vicina, di sgattaiolare fuori in silenzio. Sfortunatamente per Howl, questa volta, la sorella l'aveva inchiodato ai piedi delle scale, senza alcuna via d'uscita, con Michael e Sophie imbottigliati dietro di lui. —...Senza fare mai un onesto giorno di lavoro, senza trovarti un'occupazione della quale io possa andare fiera, anzi, tu getti il discredito su me e su Gareth. E vieni qui a viziare Mari in maniera disgustosa. Megan continuava a lanciare le sue stoccate senza ombra di rimorso. Allora Sophie spinse Michael da una parte, scese le scale con la sua goffa andatura e, cercando di sembrare più decisa possibile, si rivolse a Howl con voce ferma: — Vieni, ora dobbiamo proprio andarcene. Mentre ce ne stiamo qui il nostro denaro rotola via e la servitù è capace di vendersi il


servizio d'oro. Quindi... piacere di averla conosciuta, signora. Così dicendo raggiunse l'ingresso. — Ma adesso dobbiamo scappar via. Howl ha un tale numero di impegni... Megan inghiottì a vuoto e fissò Sophie, che le fece un dignitoso cenno con il capo, poi spinse Howl verso la vetrata d'ingresso. Sophie scorse il viso di Michael che si copriva di rossore, mentre Howl tornava un attimo sui suoi passi per chiedere alla sorella: — La mia vecchia macchina è ancora nella rimessa o hai venduto anche quella? — Hai tu l'unico mazzo di chiavi — fu la cupa risposta di Megan che suonò anche come l'unico suo saluto. La porta d'ingresso sbatté dietro di loro, poi Howl li condusse a un edificio bianco, quadrato, alla fine della strada nera. Non pronunciò una sola parola su Megan, invece, mentre apriva con la chiave l'ampia porta del basso edificio, rifletté ad alta voce sul fatto che la severa insegnante d'inglese di Neil doveva senz'altro avere una copia del libro che fino a pochi minuti prima pensava di possedere ancora. Sophie sperò di riuscire a dimenticare in fretta i momenti che seguirono. Erano saliti su una carrozza senza cavalli che si muoveva a una velocità terrificante, faceva un odore strano e un rumore più strano ancora. Inoltre era scossa in continuazione, mentre si precipitava giù per le strade più ripide che Sophie avesse mai visto, talmente ripide che si chiese come mai le case che le fiancheggiavano non scivolassero giù, finendo in un unico mucchio là in basso. Chiuse gli occhi, si aggrappò ad alcuni pezzi di quella strana vettura che separavano i sedili e si limitò a sperare che tutto finisse presto. E così fu, fortunatamente. Giunsero, infatti, in una strada più pianeggiante, fiancheggiata da due file di case attaccate l'una all'altra. Oltre una grande finestra, fra le tende che ne


occupavano l'intera superficie, un cartello avvertiva che la sala da tè era chiusa. Nonostante questo avvertimento, quando Howl premette un pulsante situato su una porticina a fianco della finestra, la signorina Angorian aprì l'uscio e tutti e tre non poterono fare a meno di spalancare tanto d'occhi. Per essere un'arcigna insegnante d'inglese era giovane in modo sorprendente, snella e affascinante. Ciocche di capelli corvini le incorniciavano un viso a forma di cuore, dalla carnagione olivastra, e facevano risaltare un paio di enormi occhi scuri. L'unico indizio della sua severità era dato dal modo, diretto e intelligente, con cui quei grandi occhi li guardavano e sembravano soppesarli. — Sarei pronta a fare una scommessa: lei è Howell Jenkins, vero? La sua voce, bassa e melodiosa, rivelava una sfumatura di divertimento e una grande sicurezza di sé. Howl, per un attimo, rimase sconcertato. Poi sul suo volto comparve un ampio sorriso che, pensò Sophie, segnava l'addio ai piacevoli sogni di Lettie e della signora Fairfax. La signorina Angorian era esattamente il tipo di donna che poteva incantare uno come Howl all'istante. E non solo uno come Howl... Anche Michael infatti la stava fissando imbambolato, ammirato. Sebbene le case attorno sembrassero deserte, Sophie non aveva alcun dubbio che fossero piene di gente che conosceva sia Howl che la signorina Angorian e che li stava osservando con interesse per vedere cosa sarebbe successo. Poteva persino sentire quegli sguardi invisibili... A Market Chipping, del resto, sarebbe accaduto lo stesso. — E lei deve essere la signorina Angorian. Mi dispiace seccarla, ma la scorsa settimana ho fatto uno stupido errore, ho preso il compito d'inglese di mio nipote al posto di un foglio


piuttosto importante che mi ero portato dietro. Immagino che Neil gliel'abbia dato come prova che non stava mentendo a proposito del suo compito. — Sì, effettivamente Neil me l'ha consegnato. È meglio che entriate... Venga a prendere il suo foglio lei stesso. Sophie era sicura che gli occhi invisibili dietro tutte le case lì attorno venissero strabuzzati all'unisono e che tutti i colli si allungassero, mentre Howl, Michael e lei entravano in fila indiana in casa della signorina Angorian e salivano la rampa di scale che portava al suo lindo, severo soggiorno. L'insegnante, con aria molto rispettosa, le offrì di sedersi e Sophie, ancora scossa da quell'incredibile viaggio, fu molto felice di accettare e si accomodò sulla sedia che le veniva gentilmente indicata. Non era per nulla comoda, ma quella stanza non era stata fatta per la comodità, bensì per lo studio. La maggior parte degli oggetti che vi erano contenuti erano del tutto estranei per Sophie, che non avrebbe saputo dire cosa fossero o a cosa servissero. Notò comunque che le pareti erano ricoperte di libri e il tavolo di pile di carta, mentre sul pavimento si trovavano diverse cartelle. Mentre Sophie studiava la stanza, vide che Michael seguiva con uno sguardo da cagnone fedele ogni movimento della signorina Angorian e Howl sfoderava tutto il suo fascino per carpirle ogni possibile informazione. — Come ha fatto a sapere chi sono? — Mi sembra che lei abbia già provocato un sacco di pettegolezzi in questa città — gli rispose l'insegnante, mentre scartabellava le carte sul tavolo. — E cosa le avranno mai detto tutti quei pettegoli? —. Intanto si chinava con mossa languida sul tavolo, cercando di carpire lo sguardo della signorina Angorian. — Per esempio che lei scompare e ricompare senza alcun


preavviso, tanto per incominciare. — E poi, cos'altro le è stato riferito? —. Howl seguiva i movimenti della donna con uno sguardo tale da far pensare a Sophie che l'unica chance che rimaneva a Lettie era che la signorina Angorian s'innamorasse all'istante del Mago. Ma evidentemente non era quel tipo di donna. — Mi hanno riferito molte altre cose, poche a suo favore, comunque. Uno sguardo a Michael, che arrossì violentemente, e un'occhiata a Sophie sembrarono suggerire che quei pettegolezzi non erano per nulla adatti alle loro orecchie. Poi porse a Howl un foglio ondulato e ingiallito. — Eccolo, tenga... ma sa di cosa si tratta? I suoi occhi erano più severi che mai. — Certo che lo so. — Allora me lo dica, per favore... Howl prese il foglio e provocò una piccola baruffa, poiché cercò di afferrare anche la mano che glielo porgeva. La signorina Angorian, però, uscì vincitrice dal breve scontro e nascose le mani dietro la schiena. Howl sfoderò un sorriso che avrebbe sciolto un iceberg, passò il foglio a Michael e gli ordinò di dare la spiegazione richiesta. Il viso del ragazzo, già rosso d'imbarazzo, divenne, se possibile, ancora più acceso quando scorse quello che vi era scritto. — È l'incantesimo! Oh, ma questo lo so fare... è un'espansione, vero? — Proprio come pensavo — intervenne la signorina Angorian con tono accusatorio. — Sarei proprio curiosa di sapere cosa stavate combinando con uno scritto del genere. — Signorina Angorian, se lei è stata ad ascoltare tutti quei pettegolezzi sul mio conto dovrebbe anche sapere che ho scritto la mia tesi per il dottorato sugli incantesimi e i sortilegi. Non mi


guardi come se mi sospettasse di magia nera! Le assicuro che non ho mai messo in atto un sortilegio in tutta la mia vita —. Sophie non riuscì a trattenersi ed emise un lieve sibilo a questa evidente bugia. — Mi metto una mano sul cuore — aggiunse Howl, mentre rivolgeva a Sophie un'occhiata irritata di avvertimento, — questo incantesimo è solo a scopo di studio, ma è uno scritto molto antico e raro, ed è per questo che lo voglio indietro. — Bene, ora lo ha! —. Il tono della signorina Angorian era secco, brusco. — Ma prima di andarvene, le dispiacerebbe rendermi il foglio con il compito che avevo assegnato? Le fotocopie costano, sa? Howl tirò fuori il foglio grigiastro e glielo porse di buon grado, ma lo tenne per un attimo fuori portata. — Questa poesia mi ha creato qualche fastidio... strano davvero, ma non riesco a ricordare come continua. E di Walter Raleigh, non è vero? — Assolutamente no, è di John Donne —. L'insegnante lo incenerì con uno sguardo, — ed è per giunta molto conosciuta. Ho il libro dal quale è stata tratta a portata di mano, se vuole rinfrescarsi la memoria. — La ringrazio — disse semplicemente Howl, e dal modo in cui la guardava mentre andava verso la parete ricoperta da tutti quei volumi, Sophie si rese conto che questo era il vero motivo per cui Howl era venuto in quella strana terra dove viveva la sua famiglia. Ma il Mago era anche il tipo da non perdere mai alcuna occasione e da prendere due piccioni con una fava, per cui, mentre l'insegnante si allungava per prendere il libro e lui la osservava da capo a piedi, gli sentì dire: — Signorina Angorian, non vorrebbe prendere in considerazione una cenetta in mia compagnia, questa sera? L'insegnante si girò con un'espressione più severa che mai


dipinta sul volto e con in mano un libro voluminoso. — No, non prenderò in considerazione nessuna cenetta. Non so quello che lei abbia sentito sul mio conto, signor Jenkins, ma dovrebbe esserle giunto all'orecchio che io mi considero ancora impegnata con Ben Sullivan... — Non l'ho mai sentito nominare. — Il mio fidanzato... È scomparso alcuni anni fa. Ora, se le fa piacere, leggerò per lei questa poesia. — La legga, la prego... —. Poi Howl aggiunse con aria impertinente: — La sua voce è veramente deliziosa. — Inizierò con la seconda strofa, visto che la prima è su quel foglio. La signorina Angorian lesse molto bene, non solo con voce melodiosa, ma in modo tale che la seconda strofa si adattasse perfettamente al ritmo della prima, un ritmo col quale Sophie non si trovò per nulla d'accordo. "Se tu sei nato in stravaganza, È l'invisibile il tuo occhio non manca, Per diecimila dì e notti avanza Finché la neve degli anni t'imbianca. Al tuo ritorno mi racconterai Le meraviglie del tuo viavai, E giura: nemmeno su di una stella Esiste donna fedele e bella. Se tu. . . " Il viso di Howl era sbiancato terribilmente e Sophie poté vedere il sudore che gli imperlava il volto. — Grazie, basta così. Non la seccherò ulteriormente. Persino la donna buona dell'ultimo verso non è fedele, vero? Ora me la


ricordo, che stupido... è John Donne, naturalmente —. La signorina Angorian abbassò il libro e lo fissò. Howl si costrinse a sorriderle. — Ora dobbiamo andare. È sicura di non cambiare parere su quella cena? — Non lo cambierò... Ma vi sentite bene, signor Jenkins? — Benissimo, grazie —. Così dicendo sospinse Sophie e Michael giù per le scale e dentro quell'orrenda carrozza senza cavalli. Gli invisibili osservatori dalle case circostanti dovevano pensare che la signorina Angorian li stesse cacciando armata di sciabola a giudicare dalla velocità con la quale Howl li ficcò in carrozza e partì. — Qualche problema? — gli chiese Michael, mentre la carrozza ruggiva e caracollava di nuovo su per le salite e Sophie si aggrappava al sedile, temendo seriamente per la sua vita. Ma Howl fece finta di non sentire, così il ragazzo attese che il Mago chiudesse di nuovo la vettura nel suo riparo per fargli di nuovo la stessa domanda. — Oh, niente, nessun problema — gli rispose Howl con tono vacuo, riconducendoli verso la casa gialla chiamata Gran Burrone. — La Strega delle Terre Desolate mi ha raggiunto con la sua maledizione e questo è quanto. Doveva accadere prima o poi. Intanto sembrava che stesse facendo dei conti, sommando delle cifre, mentre spingeva il cancello del giardino. — Diecimila — Sophie lo sentì mormorare. — Questo conduce circa al 24 giugno, al giorno di San Giovanni. — Cosa porta al giorno di San Giovanni? — gli chiese Sophie. — A quell'epoca avrò diecimila giorni. E quello, signora Ficcanaso, è il giorno in cui dovrò tornare dalla Strega delle Terre Desolate.


Sophie e Michael gli tennero dietro sul sentiero che portava a Gran Burrone, con gli occhi fissi sulla schiena di Howl così stranamente contrassegnata da quella misteriosa scritta GALLES RUGBY. — Se io mi libero delle sirene — sentirono che borbottava — e non tocco la radice di mandragola... Michael lo richiamò al presente: — Dobbiamo entrare di nuovo in quella casa? — mentre Sophie aveva in testa un'altra preoccupazione: — Cosa farà la Strega? — Mi vengono i brividi solo a pensarci... No, Michael, non devi tornare là dentro. Aprì la porta di vetro smerigliato e si ritrovarono nella familiare stanza del castello. Le fiamme sopite di Calcifer tingevano appena le pareti di blu e di verde, ma non riuscivano a rischiarare l'oscurità. Howl si rimboccò le lunghe maniche per dare al demone un ciocco di legna. — Mi ha raggiunto, sai... vecchia faccia blu. — Lo so... ho sentito la maledizione mentre ti arrivava addosso. CAPITOLO DODICI In cui Sophie diventa la vecchia madre di Howl Sophie non vedeva l'utilità di sminuire la fama di cui Howl godeva a corte, visto che ormai la Strega l'aveva raggiunto. Ma Howl fu molto fermo su questo punto: adesso era più importante che mai che lei si recasse a Palazzo. — Avrò bisogno di ogni potere che posseggo per sfuggire


alla Strega, quindi non posso avere anche il Re alle costole. Così il pomeriggio successivo Sophie indossò gli abiti nuovi e si sedette, sentendosi molto elegante anche se un po' rigida, ad aspettare che Michael si preparasse e che Howl uscisse dal bagno. Nell'attesa, per non pensare al suo incontro con il Re, Sophie raccontò a Calcifer dello strano paese dove viveva la famiglia del mago. Calcifer si mostrò molto interessato. — Sapevo che veniva da un paese straniero, ma da quello che mi dici sembra che si tratti più di un altro mondo. Intelligente la Strega a fargli arrivare la maledizione attraverso quel paese. C'è una notevole intelligenza in tutto ciò. Questa è la magia che io ammiro di più: usare qualcosa che esiste comunque e trasformarla in una maledizione. Mi era venuto qualche dubbio l'altro giorno, quando tu e Michael stavate leggendo quel foglio. Quel pazzo di Howl le ha detto troppo di se stesso, le ha dato troppe informazioni. Sophie osservò il viso blu e affilato di Calcifer. Non la stupiva che questi provasse ammirazione per quella maledizione, così come non la meravigliava il fatto che il demone desse del pazzo a Howl, visto che lo insultava in ogni occasione. Ma dato che Calcifer appariva sempre e comunque demoniaco, c'era una cosa che Sophie continuava a non capire, ed era se odiasse veramente il Mago o il suo atteggiamento fosse solo una posa. Calcifer mosse gli occhi arancione per guardare diritto in quelli di Sophie. — Anch'io ho paura. Soffrirò con Howl se la Strega lo cattura. Se tu non romperai il mio contratto prima che lei riesca nel suo intento, io non potrò più aiutarti. Prima che Sophie potesse rivolgergli qualche altra domanda, Howl uscì improvvisamente dal bagno nella sua tenuta migliore, spandendo profumo di rose e chiamando a gran voce Michael. Il


ragazzo scese immediatamente, tutto agghindato nel suo nuovo abito di velluto blu. Sophie allora si alzò in piedi e raccolse il fido bastone. Era tempo di andare. — Sembrate meravigliosamente ricca e nobile! — Michael non poté fare a meno di notare. — È vero, mi fa onore... a parte quell'orrendo vecchio bastone — intervenne il Mago. — Certe persone di mia conoscenza sono egocentriche in modo spaventoso... Questo bastone viene con me. Ne ho bisogno, come... sostegno morale. A queste parole di Sophie, Howl alzò gli occhi al cielo, ma non riuscì a ribattere. Si misero in cammino con aria aristocratica e dignitosa, ma Sophie, prima di allontanarsi dal castello, si girò per vedere come apparisse agli occhi degli abitanti di Kingsbury. Così vide un grande voltone con una piccola porta nera. Il resto del castello sembrava uno spazio vuoto con i muri imbiancati a calce fra due case di pietra a vista. — Prima che tu me lo chieda è solo una stalla in disuso — le spiegò Howl. — Da questa parte, ora. Presero a camminare per le strade di Kingsbury confondendosi fra i passanti, altrettanto eleganti e ben vestiti. Non c'era comunque molta gente in giro. La capitale era situata piuttosto a sud e quel giorno faceva un caldo terribile, tanto che in lontananza il selciato sembrava tremolare davanti a loro. Sophie scoprì, così, un altro svantaggio che comportava la vecchiaia: si sentiva debole e aveva le vertigini per la temperatura canicolare. Gli edifici elaborati della città le ondeggiavano davanti agli occhi, e questo fatto la infastidiva particolarmente perché avrebbe voluto guardarsi attorno con tutta calma, invece quella che ebbe fu solo un'indistinta visione


di cupole dorate e alte abitazioni. — Sophie, ricordati che la signora Pentstemmon ti chiamerà signora Pendragon, che è il cognome con il quale mi conoscono in questo posto. — Ma a quale scopo? — È un travestimento, poi Pendragon è un bel cognome, molto migliore di Jenkins. — Io mi sento comunque benissimo con un cognome più semplice e comune — sbottò Sophie mentre giravano in una viuzza stretta e misericordiosamente fresca. — Ma non possiamo chiamarci tutti quanti i 'Matti Hatter', non credi? — la canzonò Howl. La casa della signora Pentstemmon era un edificio alto e grazioso, quasi alla fine della stradina, con due grandi vasi contenenti ciascuno una pianta di arance ai lati di una bella porta d'ingresso. Furono introdotti da un anziano servitore in livrea di velluto nero, che li condusse in un atrio dal pavimento di marmo a grandi scacchi bianchi e neri. La stanza era deliziosamente fresca e Michael approfittò per detergersi di nascosto il sudore dal viso, mentre Howl, ancora fresco e impeccabile, chiacchierava e scherzava amabilmente con il servitore, come se questi fosse un vecchio amico. L'uomo li affidò, poi, a un paggio in livrea di velluto rosso. A quel punto, mentre il giovane li conduceva con tutte le cerimonie su per uno scalone di marmo scintillante, Sophie comprese il motivo per cui Howl aveva organizzato questa visita: effettivamente le sembrava di essere già a Palazzo e senz'altro questo incontro le sarebbe servito per adattarsi al cerimoniale di corte. Quando il paggio li fece entrare in un salotto in penombra, Sophie fu sicura che nemmeno un palazzo reale potesse avere stanze più eleganti di quella. L'arredamento


e tutti gli oggetti si componevano una sinfonia di blu, oro e bianco; tutto era proporzionato all'ambiente e incantevole. E la signora Pentstemmon era l'immagine della massima raffinatezza. Alta e slanciata, se ne stava seduta diritta come un fuso su una sedia blu e oro, finemente ricamata. L'aiutava a sostenersi, in quella posa rigida ed eretta, un bastone da passeggio dal pomo dorato, che lei teneva con la mano coperta da un mezzo guanto, anch'esso in maglia d'oro. Indossava un abito di seta dal colore dell'oro antico e dal taglio rigido e antiquato. Completava l'abbigliamento un copricapo dello stesso colore del vestito, molto simile a una corona regale, che era tenuto fermo da un ampio nastro annodato sotto il mento. Il volto era quello di una vecchia aquila. Era, comunque, la signora più affascinante e più spaventosa che Sophie avesse mai incontrato. — Ah, mio caro Howell —. Salutando il Mago, gli porse la mano inguantata, che Howl immediatamente baciò, facendo un inchino. Compì quel gesto in modo del tutto naturale e aggraziato, il che non gli impedì di gesticolare freneticamente con la mano libera dietro la schiena per fare capire a Michael che avrebbe dovuto starsene in piedi di fianco al paggio, fermo immobile sulla porta, invece di avanzare nella stanza. Finalmente l'apprendista colse il significato di quei gesti affannosi e si precipitò al posto indicato, ben felice di trovarsi più lontano possibile da quella donna che gli incuteva un incredibile timore. — Signora Pentstemmon, concedetemi di presentarvi la mia vecchia madre — le disse Howl, indicando Sophie con un ampio gesto della mano. Ma poiché Sophie stava provando gli stessi sentimenti di Michael, il Mago dovette ricominciare a gesticolare furiosamente dietro la schiena per farle capire di


avvicinarsi. — Incantata. Quale grande piacere poter fare la vostra conoscenza — disse la signora rivolta a Sophie, mentre le porgeva la mano inguantata. Sophie non era sicura di dover baciare a sua volta la rete dorata, in ogni caso sentì che non avrebbe mai potuto farlo. Così si limitò ad appoggiare una mano sul mezzo guanto e le parve di toccare un vecchio, freddo artiglio. Come poteva essere ancora vivo un essere simile? — Perdonatemi se non mi alzo, signora Pendragon, ma la mia salute è piuttosto cagionevole e mi ha costretto a ritirarmi dall'insegnamento già tre anni fa. Ma vi prego, sedetevi entrambi. Cercando di controllare i nervi e il tremore che la scuoteva, Sophie si sedette con un atteggiamento maestoso su una sedia finemente ricamata proprio di fronte alla signora Pentstemmon, sostenendosi con il suo vecchio bastone, in una posa che sperò fosse altrettanto elegante di quella assunta dalla donna che le stava davanti. Howl intanto si era lasciato scivolare con grazia sulla sedia accanto. Sembrava completamente a proprio agio e Sophie lo invidiò di tutto cuore. — Io ho ottantasei anni, e voi, mia cara signora Pendragon? — Novanta — fu il primo numero che le venne in mente. — Siete così anziana? — La signora Penstemmon sembrò provare una punta d'invidia. — Come siete fortunata a muovervi ancora con quella sicurezza. — Oh, sì, è ancora meravigliosamente agile — convenne Howl, — tanto che a volte è molto difficile fermarla. La signora Pentstemmon gli lanciò un'occhiata che rivelava quanto fosse stata un'insegnante severa, almeno quanto la signorina Angorian. — Sto parlando con tua madre, Howell. Oserei dire che è orgogliosa di te quanto lo sono io. Siamo


entrambe due vecchie signore che hanno provveduto alla tua formazione. Tu sei, si potrebbe dire, una nostra creazione congiunta. — Non pensate che anch'io possa aver avuto qualche merito nel formare me stesso? Ci abbia messo un po' del mio? Giusto qualche tocco qua e là... — Non dico di no e, comunque, non tutti i tuoi tocchi sono stati di mio gradimento — replicò la signora Pentstemmon. — In ogni caso non credo che tu abbia voglia di startene seduto qui ad ascoltarci mentre parliamo di te. Te ne andrai giù e ti siederai sulla terrazza, portandoti dietro il tuo paggio. Hunch vi porterà qualcosa di fresco da bere. Va', dunque. Se Sophie non fosse stata così nervosa, avrebbe riso volentieri all'espressione che si era dipinta sul viso di Howl. Ovviamente non si era aspettato niente di tutto quello che stava accadendo. Comunque si alzò in piedi, scosso solo da un breve brivido, lanciò a Sophie un'occhiata fugace di avvertimento e si fece precedere da Michael mentre lasciavano entrambi la stanza. La signora Pentstemmon girò appena il corpo rigido per osservarli, poi fece un cenno con il capo al proprio paggio che si affrettò a uscire. Dopodiché si volse nuovamente verso Sophie, che si sentì più nervosa che mai. — Lo preferisco con i capelli neri — dichiarò l'anziana insegnante. — Quel ragazzo sta prendendo una brutta china. — Chi? Michael? — Sophie si sentiva più che mai confusa. — Non sto parlando del servitore, penso che non sia abbastanza intelligente perché io me ne debba occupare. Sto parlando di Howell, naturalmente, signora Pendragon. Dalla bocca di Sophie uscì soltanto una breve esclamazione, ma avrebbe voluto chiedere alla signora Pentstemmon perché mai avesse detto sta prendendo, visto che Howl su quella brutta


china aveva già fatto un lungo tratto di strada. — Prendiamo il suo aspetto, nell'insieme. Guardate i suoi vestiti... — È sempre molto attento al suo aspetto esteriore — convenne Sophie e si domandò perché quella donna si esprimesse sull'argomento in modo così misurato. — Sì, lo è sempre stato. Anch'io, del resto, sono sempre molto attenta al mio aspetto e non vedo nulla di male in questo. Ma che bisogno ha di andarsene in giro con addosso un abito incantato? Si tratta, per giunta, di un incantesimo di 'attrazione' molto efficace, rivolto ovviamente alle signore. Ammetto che sia stato ben fatto, visto che, imbastito fra le cuciture dell'abito, è a malapena visibile anche ai miei occhi allenati. Immagino che lo renderà praticamente irresistibile. Secondo me, però, rappresenta un pericoloso scivolone verso la magia nera, e questo sicuramente sta suscitando in voi qualche preoccupazione materna, signora Pendragon. Sophie pensò al vestito grigio e scarlatto e si sentì sempre più a disagio. L'aveva rammendato seguendo le cuciture e non aveva notato nulla di insolito, ma la signora Pentstemmon era un'esperta in fatto di arti magiche, mentre lei era solo brava a cucire. L'anziana insegnante mise entrambe le mani sul bastone e inclinò il corpo irrigidito dalla malattia. I suoi occhi allenati e perforanti si fissarono in quelli di Sophie, che si sentì sempre più a disagio, sempre più nervosa. — La mia vita è quasi giunta al termine. Da un po' di tempo sento la morte che si avvicina in punta di piedi. — Oh, sono sicura che non sia così —. Sophie tentò di farsi uscire dalla gola una voce rassicurante, ma era davvero difficile modularla in qualsiasi modo al cospetto di una persona che ti guardava in quella maniera.


— Vi assicuro che è come vi ho appena detto, ed è questo il motivo per cui ero così ansiosa di incontrarvi, signora Pendragon. Vedete, Howell è stato il mio ultimo allievo e, senz'altro, è stato il migliore. Stavo per ritirarmi dalla professione, quando lui è arrivato da un paese straniero. Io pensavo che il mio lavoro fosse già finito con Benjamin Sullivan, che voi probabilmente conoscete meglio come Mago Suliman, pace all'anima sua! Gli avevo già procurato il posto di Mago del Re. Poi, fatto abbastanza strano, dallo stesso paese di Benjamin arrivò Howell. Mi accorsi alla prima occhiata che aveva il doppio della creatività e delle abilità di Ben. Nonostante qualche difetto caratteriale, lo ammetto, Howell aveva una forza naturalmente rivolta verso il bene. Il Bene, signora Pendragon. Ma ora mi chiedo che cosa sia diventato... — Già, che cosa? — Gli è successo qualcosa — proseguì la signora Pentstemmon, continuando a fissare Sophie con quello sguardo che la passava da parte a parte. — Ma sono assolutamente decisa a rimetterlo sulla buona strada prima di morire. — Cosa pensate che gli sia accaduto? —. La voce di Sophie era densa di sconforto. — Veramente conto che me lo sappiate dire voi. Purtroppo sento che ha preso la stessa strada che ha preso la Strega delle Terre Desolate. Pare che un tempo non fosse malvagia, anche se nel fare quest'affermazione mi posso basare solo su una diceria, visto che è più vecchia di noi due e si mantiene giovane solo con le sue arti. Howell ha avuto in dono poteri simili ai suoi. Sembra che coloro che hanno grandi capacità non resistano alla tentazione di qualche pericoloso colpo di genio con conseguenze fatali. Questo li porta lentamente a scivolare verso il male. Ma voi non avete proprio nessun indizio su cosa possa


essere accaduto a Howell? In un lampo tornò alla mente di Sophie la voce di Calcifer che diceva: "Alla lunga questo contratto non porterà niente di positivo né per me né per Howl" e sentì il freddo scenderle lungo la schiena, nonostante dalla finestra aperta soffiassero folate di vento caldo. — So che ha stipulato una sorta di contratto con il suo demone del fuoco — confessò in fine alla signora Pentstemmon. Questa ebbe un tremito che fece oscillare leggermente il bastone al quale continuava ad appoggiarsi. — Questo può essere un buon motivo. Dovete rompere quel contratto, signora Pendragon. — Lo farei, se solo sapessi come. — Senz'altro i vostri sentimenti materni, unitamente al dono della forte magia che possedete, vi indicheranno il modo. È da un po' che vi osservo, signora Pendragon, forse non ve ne siete accorta... — No, no... l'ho notato, signora Pentstemmon. —...E il vostro dono mi piace molto. Voi date vita alla cose, come a quel bastone che avete in mano, a cui evidentemente avete parlato, e che avete trasformato in quella che la gente comune chiamerebbe una bacchetta magica. Penso che per voi non sarà troppo difficile rompere quel contratto. — Sì, ma io ho bisogno di sapere quali sono i termini esatti di quell'accordo. Howl vi ha forse detto che sono una fattucchiera? Perché se l'ha fatto... — No, non mi ha detto niente del genere. Ma non c'è alcun bisogno di far la ritrosa con me. Fidatevi anzi della mia esperienza in questo campo. A questo punto la signora Pentstemmon chiuse gli occhi con gran sollievo di Sophie. E fu come se si fosse spenta una luce potente.


— Io non so nulla, e non desidero neppure sapere niente, su simili contratti — aggiunse, mentre il bastone ondeggiò di nuovo, come se la signora Pentstemmon fosse stata scossa da un brivido. Le sue labbra divennero una linea sottile, e dalla smorfia che fece sembrò che avesse accidentalmente morso un granello di pepe. — Ora comunque capisco cos'è accaduto alla Strega. Ha stipulato un contratto con un demone del fuoco e, con il passar degli anni, quel demone ha preso il sopravvento. I demoni non hanno in sé il concetto di bene e di male, ma possono venire indotti da un umano a sottostare a un contratto, a patto che costui offra loro qualcosa di valore, qualcosa che solo gli uomini posseggono. Questo prolunga la vita sia all'essere umano che al demone, e l'uomo prende su di sé il potere magico del demone e l'aggiunge ai propri. Poi la signora Pentstemmon riaprì gli occhi: Questo è tutto quello che riesco a sopportare di riferirvi sull'argomento, di più non posso dire. Posso, comunque, aggiungere che vi consiglio di scoprire quello che ha ottenuto il demone da Howl. Ora vi devo congedare, ho assolutamente bisogno di riposarmi un po'. Come per magia, e forse era proprio una magia, la porta si aprì ed entrò il paggio per sospingere Sophie fuori dalla stanza, cosa che la rese estremamente felice. Ormai non si sentiva più imbarazzata, un profondo malessere aveva preso il posto dell'imbarazzo e provava una forte preoccupazione, come se fosse effettivamente lei la madre di Howl. — Tanto di cappello al caro Mago per averla sopportata più di un giorno come insegnante! — borbottò fra sé e sé. — Cosa dice, signora? — le chiese il paggio, pensando che Sophie si stesse rivolgendo a lui. — Dico che devi scendere le scale più lentamente altrimenti non riesco a reggermi in piedi —. Sentiva, infatti, che le sue


ginocchia non riuscivano a reggerla saldamente. — Voi giovani non sapete far altro che correre. Il paggio rallentò il passo e l'aiutò a scendere lentamente la scalinata di marmo. Quando ormai era circa a metà, Sophie si era sufficientemente ripresa dell'effetto che aveva avuto su di lei la forte personalità della signora Pentstemmon, tanto che poté ripensare ad alcune delle cose che quella donna le aveva detto. Praticamente le aveva aperto gli occhi sui suoi poteri magici e, fatto strano, la mente di Sophie accettò tranquillamente questa verità. Ciò spiegava, per esempio, la popolarità che avevano avuto certi suoi cappelli, come quello di Jane Farrier e del suo Conte Pincopallino. Probabilmente spiegava anche la gelosia della Strega delle Terre Desolate. Era come se Sophie avesse sempre saputo di essere una Maga, ma al tempo stesso avesse pensato che non fosse giusto avere il dono della magia, visto che era la primogenita fra tre sorelle. Lettie era sempre stata più sensitiva di lei, così almeno aveva ritenuto finora. Poi le venne in mente l'abito di Howl, grigio e scarlatto, e a questo pensiero quasi cadde dalle scale per lo sgomento. Era stata lei a mettere l'incantesimo nel vestito. Poteva udire la sua voce che sussurrava all'abito: "Cucito per catturare le ragazze!". Ovviamente, l'indumento aveva eseguito il suo ordine alla lettera e aveva affascinato Lettie, là nel frutteto. E il giorno precedente, nonostante Howl l'avesse trasformato in un inconsueto travestimento, aveva ottenuto il suo segreto effetto anche sulla signorina Angorian. — Povera me! — pensò Sophie — ho raddoppiato il numero dei cuori che spezzerà! In qualche modo dovrò fargli levare quel vestito! Intanto Howl, con addosso quello stesso abito, la stava aspettando nel fresco salone d'ingresso assieme a Michael.


L'apprendista, appena vide Sophie scendere lentamente le scale dietro il paggio, diede una gomitata al Mago. Howl apparve rattristato nel vederla così. — Sembri a pezzi — le disse e aggiunse premurosamente: — Penso che faremo meglio a evitare d'incontrare il Re. Andrò io, porgerò le mie scuse per la tua mancata visita e cercherò di offuscare da solo la mia reputazione. Dirò che la mia malvagità ti ha fatto ammalare. Il che non sembra molto lontano dalla verità, guardandoti. Certo Sophie non aveva alcun desiderio d'incontrare il Re, ma ripensò a quello che le aveva detto Calcifer: se il Re avesse ordinato a Howl di andare nelle Terre Desolate e la Strega l'avesse catturato, allora lei non avrebbe potuto avere più nessuna opportunità di tornare a essere giovane. Così scosse il capo, dicendo: — Dopo la signora Pentstemmon, lo stesso Re di Ingary mi sembrerà solo una persona ordinaria. CAPITOLO TREDICI In cui Sophie diffama il nome di Howl Sophie stava decisamente provando di nuovo un senso di vertigine quando tutti e tre raggiunsero il Palazzo. Le sue innumerevoli cupole la stordirono. L'ingresso era situato alla fine di una scalinata immensa e lunghissima, e ogni sei gradini vi era un soldato di guardia in uniforme scarlatta. Quei poveri ragazzi dovevano essere sul punto di svenire dal caldo, pensò Sophie mentre li superava uno a uno, ansimando in preda alle vertigini. Alla fine della scalinata c'erano arcate, atri, corridoi,


sale per il pubblico, in una successione che le parve infinita, tanto che passando ne perse il conto. A ogni arcata che segnava il passaggio da un ambiente all'altro, stava immobile una persona vestita splendidamente, che indossava guanti bianchi, immacolati a dispetto della canicola. Questi personaggi, di volta in volta, si informavano sul motivo della loro visita e li conducevano dal valletto fermo sul passaggio successivo. — La signora Pendragon chiede di vedere il Re! —. La voce di ciascuno di essi veniva rimandata dall'eco che correva giù per le alte arcate. Circa a metà strada, Howl venne separato dagli altri e gli venne detto di aspettare, mentre Michael e Sophie continuarono a passare da persona a persona. Furono quindi condotti al piano superiore, dove il personale di guardia era vestito di rosso e dove dovettero fare la stessa trafila finché giunsero a un'anticamera tutta rivestita di pannelli di legno multicolori. Lì Michael venne fermato e lasciato in attesa. Sophie, che a quel punto non era più sicura di essere sveglia o di trovarsi nel bel mezzo di uno strano sogno, fu condotta attraverso un'immensa porta doppia e finalmente sentì la voce riecheggiante che annunciava: — Vostra Maestà, la signora Pendragon chiede di essere ricevuta. Ed eccolo il Re, non su un trono, ma seduto su una sedia quadrata sormontata da un'unica, piccola foglia. La sedia era posta circa nel mezzo di una sala enorme e il Re era vestito molto più modestamente della gente che attendeva di parlargli. Era solo, come una persona qualsiasi. L'unico particolare che poteva far pensare alla sua regalità era la posa in cui stava seduto, con un piede appoggiato davanti all'altro. Era bello, anche se la sua figura si poteva definire grassoccia, con un'aria un po' svagata. A Sophie sembrò molto giovane e forse un pochino troppo orgoglioso di essere il Re: con quel viso paffuto


avrebbe dovuto avere un'espressione un po' meno sicura di sé. — Per quale motivo la madre del Mago Howl vuole vedermi? All'improvviso Sophie si sentì schiacciata dal fatto di essere alla presenza del sovrano di Ingary e di parlare con lui. In preda alle vertigini, le venne fatto di pensare che il giovane che le stava seduto davanti e il concetto, enormemente importante, di regalità fossero separati e che per caso ora occupavano la stessa sedia. Si era dimenticata ogni parola del discorso attento e accurato che Howl le aveva detto di fare. In ogni caso doveva dire qualcosa. — Vostra Maestà, Howl vi manda a dire che non ha intenzione di andare in cerca di vostro fratello. Guardò fissa il Re e il sovrano la fissò di rimando. Era un vero e proprio disastro. — Siete sicura di quello che dite? Mi sembrava che il Mago avesse accettato di buon grado la mia proposta, l'ultima volta che gli ho parlato. L'unica cosa che era rimasta in mente a Sophie era che la sua missione consisteva nel diffamare il nome di Howl. — Ha mentito. Non voleva deludervi. Mio figlio, purtroppo, è una persona che elude le proprie responsabilità, Vostra Maestà. — E spera di sfuggire alla responsabilità che gli ho affidato di trovare mio fratello Justin... Capisco. Ma non vorreste sedervi, visto che non mi sembrate più molto giovane, e dirmi le ragioni che lo portano a questo rifiuto? C'era un altro sedile, piuttosto lontano da quello del Re. Sophie vi si lasciò cadere fra mille scricchiolii e rimase seduta con le mani appoggiate al bastone, nella stessa posa che aveva visto assumere dalla signora Pentstemmon. Sperò che questo la facesse sentire un po' meglio, ma nella sua mente vuota


continuava a ruggire solo il silenzio. — Solo un codardo avrebbe mandato la sua vecchia madre a intercedere per lui. Vostra Maestà può vedere di che pasta è fatto mio figlio già da questo particolare. — Tutto ciò è piuttosto insolito. Eppure gli avevo assicurato una ricompensa di tutto rispetto, veramente lauta. — Oh! Non gliene importa niente dei soldi. È terrorizzato dalla Strega delle Terre Desolate: gli ha mandato una terribile maledizione che l'ha appena raggiunto. — Allora ha tutte le ragioni di avere paura —, Il Re rabbrividì al solo pensiero di quella maledizione. — Ma ditemi qualcosa di più sul Mago, ve ne prego. Qualcosa di più su Howl? Sophie si mise a pensare disperatamente. — Devo infangare il suo nome! —. La sua mente era assolutamente vuota. Per un secondo le sembrò che, in realtà, Howl non avesse nemmeno un difetto. Che stupidaggine! — Bene, è volubile, trascurato, egoista e isterico. La maggior parte delle volte penso che non gliene importi niente di quello che succede agli altri purché lui stia bene, per poi scoprire come sappia essere terribilmente gentile con qualche persona. Subito dopo mi viene fatto di pensare che sia gentile solo quando conviene anche a lui, ma vengo smentita dallo scoprire che non si fa quasi pagare dalla povera gente per i suoi incantesimi. Insomma, non lo so, Vostra Maestà. Howl è un vero pasticcio! — L'impressione che mi sono fatto — le disse il Re — è che Howl sia un furfante con pochi scrupoli e senza principi, con una lingua pronta e la mente sveglia. Non siete d'accordo? — Un bel quadretto di mio figlio! — gli rispose Sophie di tutto cuore. — Ma vi siete dimenticato quanto sia vanesio e... — . Si interruppe per guardare con sospetto il Re, attraverso le


iarde di tappeto che li dividevano. Sembrava troppo pronto ad aiutarla a offuscare la fama di Howl. Il Re le stava sorridendo e il suo sorriso un po' incerto si adattava perfettamente alla persona che era, più che al sovrano che avrebbe dovuto essere. — Vi ringrazio, signora Pendragon. Le vostre chiacchiere, così informali, mi hanno tolto un peso dal cuore. Il Mago aveva acconsentito ad andare alla ricerca di mio fratello con una prontezza tale che mi ero domandato se, dopo tutto, non avessi scelto la persona sbagliata. Temevo che fosse uno incapace di resistere a mettersi in mostra oppure che facesse qualsiasi cosa per sete di denaro. Ora voi, invece, mi avete dimostrato che è proprio l'uomo di cui ho bisogno. — Oh! Al diavolo! — scappò detto a Sophie. — Mi ha mandato per dirvi che non è l'uomo che fa per voi. — E voi avete fatto quello che lui vi ha ordinato. — Il Sovrano avvicinò la propria sedia a quella di Sophie. — Permettetemi, ora, di parlare altrettanto liberamente, signora Pendragon. Io ho maledettamente bisogno di avere indietro mio fratello. Non è perché sia legato a lui in modo particolare o che mi senta in colpa per il litigio che abbiamo avuto. Non è neanche per quello che certa gente mormora, cioè che il mio spirito se ne sia andato con lui, cosa questa che sembrerebbe, del resto, piuttosto insensata a chiunque ci conosca bene. No, signora Pendragon. Il fatto è che mio fratello Justin è un generale molto brillante e capace, e con le Terre del Nord e la Strangia che stanno per dichiararci guerra, non posso fare a meno di lui. Sapete, la Strega ha terrorizzato anche me. Ora, tutti i rapporti che ho ricevuto sono concordi su un fatto: Justin è andato veramente nelle Terre Desolate. Sono certo che la Strega abbia voluto privarmi di lui proprio nel momento in cui io ho più bisogno di mio fratello. Penso, anzi, che lei abbia usato il


Mago Suliman come uno specchietto per le allodole per avere Justin. Da tutto questo si deduce che io ho l'assoluta necessità di trovare un mago molto in gamba e con pochi scrupoli per riavere indietro mio fratello. — Howl se ne scapperà via —. Sophie cercò di mettere in guardia il Sovrano. — No, signora Pendragon. Non penso che lo farà. Me lo conferma il fatto che vi abbia mandato da me. L'ha fatto per dimostrarmi che sarebbe stato un codardo se gli fosse importato qualcosa della mia opinione su di lui, non è vero signora Pendragon? Sophie annuì. Desiderò di essersi ricordata di tutte le parole e i suggerimenti che Howl le aveva dato. Il Re li avrebbe compresi anche se per lei erano rimasti del tutto oscuri. — Questa non è l'azione di un vanesio, ma quella di un uomo a cui non resta che quest'ultima risorsa. E questo mi dimostra che il Mago Howl farà quello che voglio io, una volta che avrà capito che la sua ultima risorsa è miseramente fallita. — Vostra Maestà, penso che... ecco, potrebbero esserci dei particolari che io non sono riuscita a chiarire e... — No, penso proprio di no —. Il Re sorrise, la sua espressione ora era quella di un uomo sicuro del fatto suo. Aveva ragione, era sicuro di essere nel giusto. — Signora Pendragon, direte al Mago Howl che il suo sovrano lo nomina Mago del Re da questo momento, e gli trasmetterete il nostro Ordine Ufficiale di trovare il Principe Justin vivo o morto, prima che sia finito l'anno. Ora avete il nostro permesso di lasciare questa sala. Porse la mano a Sophie, proprio con lo stesso gesto della signora Pentstemmon, ma forse un po' meno regalmente. Sophie si alzò, domandandosi se il Re volesse che lei gli baciasse la


mano. Poiché, invece, sentiva una voglia prepotente di alzare il suo bastone e di darglielo in testa, gli diede semplicemente la mano, accennando a una rigida riverenza. Sì, questa era l'unica cosa giusta da fare! Sul volto del Re si dipinse un sorriso di grande comprensione, mentre Sophie lasciava la sala con il suo passo zoppicante. — Maledizione... maledizione! — mormorava intanto fra sé e sé. Non solo non aveva ottenuto quello che Howl voleva, ma ora il Mago avrebbe spostato il castello miglia e miglia lontano da quel posto. Lettie, Martha e Michael sarebbero stati infelici e, per di più, il castello sarebbe stato inondato da fiumi di quella schifezza verde. — Succede, se sei la primogenita — borbottò mentre spingeva le pesanti porte della sala. — Semplicemente non puoi mai vincere! Ed ecco subito un'altra cosa che andava storta. In preda all'arrabbiatura e allo sconforto, Sophie era uscita, non sapeva neppure lei come, dalla porta doppia sbagliata. L'anticamera in cui ora si trovava era interamente ricoperta di specchi, nei quali poteva vedere riflessa la sua immagine di vecchia un po' incurvata in un elegante abito grigio, e quella di molte persone in vestiti di corte blu, mentre altri indossavano abiti lussuosi come quello di Howl. Fra tutta quella gente, però, non vedeva Michael. L'apprendista, naturalmente, la stava aspettando da qualche parte del Palazzo, in una stanza completamente ricoperta di pannelli di legno. — Oh, accidentaccio... — esclamò Sophie, sempre più preda dello sconforto. Uno dei cortigiani le si avvicinò e le fece un inchino. — Signora dei Sortilegi! Posso esservi d'aiuto? Quello che le stava parlando era un giovane piuttosto basso,


con gli occhi arrossati. Sophie lo fissò con attenzione. — Oh, buon Dio! Allora l'incantesimo ha funzionato! — Sì, davvero — le rispose il piccolo cortigiano con un'aria un po' triste. — Ho disarmato il mio avversario mentre stava starnutendo e ora lui mi ha citato in tribunale. Ma la cosa importante... — e qui il suo viso s'illuminò in un sorriso felice. —...È che la mia cara Jane è tornata con me! Ora, cosa posso fare per voi? Mi sento responsabile della vostra felicità. — Non sono sicura di essere uscita dalla porta giusta... Comunque, siete, per caso, il Conte di Catterack? — Per servirvi — le disse il piccolo cortigiano, facendole un inchino. Jane Farrier doveva essere più alta di lui di almeno un buon piede, pensò Sophie, e tutto questo, in fondo, è colpa mia! — Sì, potete aiutarmi — gli rispose Sophie, comunque, e gli spiegò che Michael la stava aspettando in un'altra sala. Il Conte di Catterack le assicurò che Michael sarebbe stato avvisato e accompagnato a quell'uscita per incontrarla. Non ci sarebbe stato alcun problema. La consegnò a un valletto, le diede la mano e si inchinò più volte, facendole ampi sorrisi. Sophie passò di valletto in valletto come quando era arrivata, poi si trovò davanti lo scalone guardato dai soldati del Re. Michael non c'era, e non c'era nemmeno Howl, ma questo fu per Sophie un piccolo, momentaneo sollievo. Pensò che avrebbe dovuto immaginarselo! Il Conte di Catterack era, ovviamente, una persona che non ne combinava mai una giusta, e anche lei, del resto, si sentiva far parte della stessa schiera! Già era una fortuna che avesse trovato la strada per uscire dal Palazzo. A quel punto si sentiva talmente stanca, accaldata e depressa che decise di non aspettare Michael. Voleva solo starsene seduta accanto al focolare e raccontare a Calcifer quale enorme


pasticcio avesse appena combinato. Scese zoppicando l'immensa scalinata e poi via, lungo un gran viale. Continuò per un'altra larga strada dominata da guglie, torri e tetti dorati. Poi si rese conto che era ancor peggio di quanto avesse immaginato: si era proprio persa. Non aveva assolutamente la benché minima idea di come fare a ritrovare la finta stalla dove si trovava l'entrata del castello di Howl. Girò un altro angolo a caso, ma non riconobbe neanche quel posto. A quel punto non sapeva neppure come fare a tornare a Palazzo. Provò a chiedere alle persone che incontrava, la maggior parte delle quali le sembravano stanche e accaldate come si sentiva lei stessa. — Il Mago Pendragon? Chi è? — fu l'invariabile risposta. Sophie continuò a zoppicare ormai senza speranza. Stava per darsi per vinta e sedersi sulla soglia della prima casa che aveva dinnanzi, e passarvi addirittura la notte, quando riconobbe l'imboccatura della stretta strada dove si trovava la casa della signora Pentstemmon. — Ah, bene! — pensò Sophie, — posso andare a chiedere al vecchio servitore, lui e Howl sembravano in rapporti di grande amicizia, senz'altro mi saprà indicare dov'è la casa del Mago. Così imboccò la stradina. La Strega delle Terre Desolate stava venendo verso di lei, dalla parte opposta del vicolo. Come avesse fatto Sophie a riconoscerla, sarebbe stato difficile dirlo. Il viso era diverso. I capelli, invece di esser castani e acconciati in riccioli ordinati, erano una massa di ricci rossi che le arrivavano quasi alla vita. Il suo abito era fatto di veli sciolti dal colore del rame e del giallo pallido, che fluttuavano a ogni suo passo. Aveva un aspetto molto grazioso, ma un'espressione fredda, determinata. Sophie la riconobbe


immediatamente. Rallentò e quasi si fermò. — Non c'è alcuna ragione per cui si debba ricordare di me — pensò Sophie, — visto che sarò senz'altro solo una fra le tante persone alle quali ha fatto un incantesimo. Così riprese con coraggio la sua strada, battendo il bastone sull'acciottolato e ricordando a se stessa quello che le aveva detto la signora Pentstemmon che, in caso di guai, proprio quel bastone poteva diventare un oggetto molto potente. Fu un altro errore di quell'orribile giornata. La Strega avanzava per la stradina con il suo abito fluttuante, facendo roteare il parasole tutta sorridente, mentre due paggetti, vestiti in livrea di velluto arancione, la seguivano imbronciati. Quando arrivò all'altezza di Sophie si fermò e il suo forte profumo le riempì le narici. — Guarda, guarda, è proprio la signorina Hatter! — esclamò la Strega, ridendo. — Non dimentico mai una faccia, soprattutto se l'ho creata io! Cosa stai facendo da queste parti, tutta bella agghindata? Se pensi di far visita a quella tale signora Pentstemmon, puoi evitarti il fastidio. La vecchia gallina è morta. — Morta? — Sophie ebbe lo stupido impulso di aggiungere: — Ma se era ancora viva solo un'ora fa! —. Si trattenne in tempo, perché la morte è così: la gente è viva finché non muore. — Sì, morta, — ribadì la Strega. — Si è rifiutata di dirmi dove avrei potuto trovare una persona che sto cercando. Anzi, le sue parole sono state: "Passerai sul mio cadavere, piuttosto!", così l'ho presa in parola. Stava cercando Howl! Sophie si chiese cos'avrebbe potuto fare, a quel punto. Se non fosse stata così stanca e accaldata, senz'altro sarebbe stata terrorizzata al punto da non poter più pensare a niente. Per una Strega che aveva potuto uccidere la


signora Pentstemmon, non ci sarebbe stato nessun problema con una come Sophie, con o senza bastone. E se avesse solo avuto il benché minimo sospetto che Sophie sapesse dove trovare Howl, sarebbe stata la sua fine. Forse, ora, era un bene che lei non ricordasse dove si trovava l'ingresso del castello. — Non so chi sia la persona che avete ucciso, in ogni caso questo fa di voi una crudele assassina. La Strega sembrava, comunque, nutrire ancora dei sospetti. — Mi sembrava che tu avessi detto che stavi andando a far visita alla signora Pentstemmon. — No, siete stata voi a dirlo e non c'è alcun bisogno che la conoscessi per definirvi crudele e assassina. — Be', allora dove te ne stavi andando? Sophie fu tentata di dirle di farsi i fatti propri, ma questo voleva senz'altro dire cercarsi dei guai, così disse la prima cosa che le venne in mente: — Sto andando a incontrare il Re. La Strega rise in maniera smodata. — Ma il Re incontrerà te? — Naturalmente —. Sophie tremava di paura e di rabbia al tempo stesso. — Ho ottenuto un appuntamento. Sto... sto andando a sottoporgli una petizione per migliorare le condizioni dei cappellai. Continuo la mia professione, vedete, nonostante tutto quello che mi avete fatto. — Allora stai andando nella direzione sbagliata — l'avvertì la Strega. — Il Palazzo si trova dietro di te, dalla parte opposta. — Oh, davvero? —. Sophie non fece molta fatica ad apparire sorpresa. — Devo aver continuato a girare in tondo. Sono un po' persa da quando voi mi avete ridotto così. La Strega rise di cuore e, ovviamente, non prestò fede a una sola parola. — Allora vieni con me e ti mostrerò la strada che porta a Palazzo.


Sembrava che non ci fosse nient'altro da fare, se non girarsi e mettersi di fianco alla Strega, con i due paggi che arrancavano imbronciati dietro di loro. Rabbia e sfiducia s'impossessarono di Sophie. Guardò la Strega che si muoveva in un grazioso fluttuare di stoffe e le venne in mente che la signora Pentstemmon le aveva detto che in realtà la Strega era una donna piuttosto vecchia. — Tutto ciò non è per nulla simpatico — pensò Sophie, in ogni caso non c'era nulla che lei potesse fare. — Perché mai mi avete ridotta in questo stato? —. Sophie non riuscì a trattenersi dal domandare alla Strega, mentre risalivano un'ampia strada trafficata che terminava con una fontana. — Mi stavi impedendo di ottenere alcune informazioni di cui avevo bisogno. Naturalmente le ho ottenute, alla fine —. Sophie rimase piuttosto spiazzata da una tale affermazione. Si stava domandando se mai avesse avuto una qualche importanza dire alla Strega che doveva essersi sbagliata, quando questa aggiunse: — Anche se oserei dire che tu non avessi idea di quanto stava accadendo —. Così dicendo si mise a ridere, come se quella fosse la parte più divertente di tutta la faccenda. — Hai mai sentito parlare di un paese chiamato Galles? — No. Si chiama così perché galleggia sul mare? La Strega trovò questa domanda ancora più buffa di tutto il resto. — Non è in mezzo al mare, almeno per il momento. È il paese da dove proviene il Mago Howl. Conosci il Mago Howl, vero? — Solo per sentito dire — mentì Sophie. — Mangia le ragazze ed è crudele quanto voi —. E sentì un brivido freddo correrle lungo la schiena. Non era certo dovuto all'acqua che


zampillava dalla fontana che stavano superando in quel momento. Oltre la fontana, al di là di una piazza pavimentata in marmo rosa, c'era lo scalone di pietra che conduceva al Palazzo. — Eccoti arrivata. Lì c'è il Palazzo — le disse la Strega, — ma sei sicura di riuscire a salire tutti quei gradini? — Quale occasione migliore... per dimostrare il vostro potere. Ridatemi la mia giovinezza e io correrò su per quelle scale di volata, nonostante questo caldo opprimente. — Non sarebbe così divertente come invece lo è vederti salire nei panni di una vecchia — ribatté prontamente la Strega. — Su, va'. E se riesci a persuadere il Re a riceverti, ricordagli che è stato suo nonno a mandarmi nelle Terre Desolate e che io gli porto rancore per questo. Sophie guardò la lunga scalinata senza speranza. Almeno non c'era nessuno tranne le guardie, con la fortuna che aveva contraddistinto tutta quella giornata, non sarebbe stata, infatti, sorpresa nel vedere Michael e Howl che scendevano assieme le scale. Poiché la Strega se ne stava, ovviamente, lì impalata a guardarla, Sophie non ebbe nessun'altra scelta se non quella di risalire la scalinata. Arrancò su per i gradini, superò tutte le guardie, che a quell'ora grondavano sudore, si diresse di nuovo verso l'entrata del Palazzo, odiando la Strega un po' di più passo dopo passo. In cima alla gradinata si girò ansante. La Strega era ancora là, immobile, una figura color ruggine che fluttuava ai piedi della scala, con due figure arancione più piccole dietro di lei. Aspettava di vedere che la cacciassero fuori dal Palazzo. — Maledetta! — non poté fare a meno d'imprecare Sophie, mentre si dirigeva zoppicando verso le guardie ferme sotto la prima arcata. La sfortuna continuava a perseguitarla. Non c'era traccia né di Michael, né di Howl nei paraggi. Così fu costretta a raccontare alle guardie che si era dimenticata di dire una cosa al


Sovrano. I soldati si ricordarono di lei e le permisero di entrare per essere ricevuta da un personaggio in guanti bianchi. Prima ancora che Sophie avesse tempo di riordinare i propri pensieri, la macchina di Palazzo si era di nuovo messa in moto: fu accompagnata da valletto a valletto, proprio come la volta precedente, finché non arrivò alla porta doppia e lo stesso servitore in livrea blu non annunciò: — Vostra Maestà, la signora Pendragon chiede di essere ricevuta. Era tutto come un incubo, pensò Sophie non appena fu introdotta nell'enorme sala reale. Le sembrò di non avere nessuna scelta se non quella di diffamare il nome di Howl. Il guaio era che, con tutto quello che aveva dovuto sopportare, la sua mente ora era più vuota che mai. Questa volta trovò il Re in piedi dietro una scrivania d'angolo, che muoveva ansiosamente delle bandierine su una carta geografica. Alzò lo sguardo e le disse gentilmente: — Mi hanno riferito che c'è qualcosa che vi siete dimenticata di dirmi. — Sì, Howl dice che andrà in cerca del Principe Justin solo se gli promettete la mano di vostra figlia. Come le fosse venuta in mente un'idea del genere, Sophie non sapeva proprio spiegarselo. Il Re li avrebbe condannati entrambi a morte! Il sovrano la guardò con sguardo preoccupato. — Signora Pendragon, dovreste sapere che questo è assolutamente fuori discussione. Capisco che voi siate molto preoccupata per vostro figlio tanto da suggerire una cosa del genere, ma non lo potrete tenere legato al vostro grembiule per sempre e io ho preso una decisione, ormai. Ma prego, venite a sedervi su questa sedia. Mi sembrate piuttosto stanca. Sophie trotterellò verso la bassa sedie che il Re le stava indicando e vi si lasciò cadere, domandandosi


quando le guardie sarebbero venute ad arrestarla. Il Re si guardò attorno per un attimo, con aria svagata. — Mia figlia era qui giusto un momento fa —. E con grande sorpresa di Sophie si piegò e guardò sotto alla scrivania. — Valeria... Vallie, vieni fuori di lì. A modo suo è una brava bambina. Si sentì un fruscio provenire da sotto la scrivania, poi, dopo qualche secondo, la Principessa Valeria schizzò fuori gattoni, mandando dei gridolini felici. Aveva già quattro denti, ma non ancora dei veri e propri capelli. Infatti spuntavano da dietro le orecchie solo dei ciuffi di peluria così bionda da sembrare bianca. Quando vide Sophie, le sorrise e allungò la manina, che prima aveva in bocca, per afferrarle il vestito. Poi si sedette ai suoi piedi sopra le pieghe del vestito grigio, sul quale subito si allargò una macchia umida... Guardandola negli occhi, Valeria le indirizzò un discorsino amichevole e tenero in un linguaggio tutto suo, comprensibile solo a lei. — Oh... — Sophie non riuscì a pronunciare altro, sentendosi terribilmente stupida. — Vedete, signora Pendragon. Posso benissimo capire come si senta un genitore. CAPITOLO QUATTORDICI In cui un Mago del Re prende il raffreddore Sophie fu ricondotta all'ingresso del castello di Howl in Kingsbury da una carrozza del Re trainata da quattro cavalli. Su di essa avevano preso posto, oltre al conducente, anche un palafreniere e un valletto, ed era stata scortata da un sergente e


da sei uomini delle Truppe Reali. A procurarle quell'accompagnamento era stata la Principessa Valeria che le si era arrampicata in grembo, là nello studio del padre. Mentre la carrozza percorreva la breve distanza fra il Palazzo e il castello del Mago, il vestito di Sophie restava bagnato dai segni tangibili del consenso reale di Valeria nei suoi confronti. Nonostante tutto, a quel pensiero a Sophie venne da sorridere e si ritrovò a comprendere il desiderio di Martha di avere dei bambini, anche se dieci 'Valerie' le continuavano a sembrare veramente un po' troppe! Come l'infante reale era ruzzolata ai suoi piedi, a Sophie erano tornate alla memoria le chiacchiere udite in negozio sul fatto che la Strega avesse, in qualche modo, minacciato Valeria. Così aveva sentito la sua stessa voce dire alla bambina: — La Strega non ti farà del male. Non glielo permetterò! Il Re non aveva detto nulla a quella sua uscita, si era semplicemente limitato a ordinare carrozza e scorta per accompagnarla al castello. L'equipaggio reale fece una brusca, rumorosa frenata davanti alla finta stalla e Michael si precipitò fuori dalla porta, scostando il valletto che stava aiutando Sophie a scendere e prendendo il suo posto. — Dov'eravate finita? Sono stato così in pensiero! E Howl è terribilmente scombussolato... — Non ho alcun dubbio in proposito... — gli disse Sophie già in grande apprensione. — È perché la signora Pentstemmon è morta — spiegò il ragazzo. Anche Howl si affacciò all'uscio. Era pallido, depresso. Teneva in mano una pergamena e faceva dondolare i sigilli reali rossi e blu che la identificarono immediatamente agli occhi colpevoli di Sophie. Howl diede una moneta d'oro al sergente e


non disse una parola finché la carrozza e le Truppe Reali non si furono allontanate lasciandosi dietro solo l'eco dello scalpiccio dei cavalli. — Ci sono voluti un tiro a quattro e dieci uomini per liberarsi di una vecchia signora. Che cos'hai fatto al Re? Sophie seguì Howl e Michael all'interno del castello, aspettandosi di trovare la stanza piena di melma verde. Invece non ve n'era traccia e Calcifer mandava fiamme rosse su per il camino, sogghignando. Sophie si lasciò cadere sulla sua sedia accanto al focolare. — Penso che il Re non ne possa più di vedermi e di sentirmi diffamare il tuo nome. Ci sono andata ben due volte. E tutto è andato storto. Per di più ho incontrato la Strega che usciva dalla casa della signora Pentstemmon dopo averla uccisa. Che giornata orribile! Mentre Sophie raccontava parte di quello che le era successo, Howl se ne stava piegato sul focolare facendo dondolare la pergamena come se stesse pensando di darla in pasto a Calcifer. — Hai davanti a te il Mago del Re. Ah, sì... il mio nome è stato proprio diffamato per bene! Poi Howl cominciò a ridere con grande sorpresa sia di Sophie che di Michael. — E cos'ha mai fatto questa donna al Conte di Catterack? — e giù un'altra risata. — Non avrei mai dovuto lasciare che si avvicinasse al Re! — Io ho infangato il tuo nome! — protestò Sophie a gran voce. — Lo so. Avevo fatto male i miei calcoli. Ora come farò ad andare al funerale della povera signora Pentstemmon senza che la Strega lo venga a sapere? Hai qualche idea, Calcifer? Era chiaro che Howl fosse molto più sconvolto dalla morte della signora Pentstemmon che da qualsiasi altra cosa. Michael, invece, era quello che si preoccupava di più della Strega. La


mattina successiva confessò che aveva avuto gli incubi per tutta la notte. L'aveva sognata mentre riusciva ad aprirsi un varco per tutte le entrate del castello contemporaneamente. — Dov'è Howl? — chiese infine in preda all'ansia. Il Mago era uscito molto presto quella mattina, lasciando il bagno pieno del solito fumo profumato. Non aveva preso la chitarra e il pomello sopra la porta aveva la parte verde rivolta in basso. Persino Calcifer non ne sapeva niente di più e si raccomandò di non aprire la porta a nessuno. — La Strega conosce tutte le entrate del castello tranne quella che dà su Porthaven. Questa notizia allarmò Michael al punto che andò a prendere alcune assi dal cortile e le incuneò nella porta a croce. Alla fine si mise a lavorare sull'incantesimo che gli aveva restituito la signorina Angorian. Dopo circa mezz'ora il pomello si girò di colpo sul nero. La porta cominciò a sobbalzare. Michael si strinse a Sophie, per dirle, tutto tremante: — Non abbiate paura. Vi proteggerò io. La porta continuò a essere scossa per un po', poi più nulla. Michael aveva appena lasciato andare Sophie, respirando di sollievo, quando avvenne un'esplosione violenta. Le assi si schiantarono al suolo, Calcifer si rintanò nel più profondo del focolare e Michael si andò a nascondere nello stanzino delle scope, lasciando Sophie in piedi davanti alla porta che si spalancò di colpo. Howl entrò come un fulmine. — Questo mi sembra un po' troppo, Sophie! Io vivo qua, ricordi? Era bagnato fradicio tanto che il suo abito grigio e scarlatto appariva nero e marrone, mentre le lunghe maniche e le punte dei capelli gocciolavano sul pavimento. Sophie guardò il pomello sopra la porta, con la parte nera ancora girata in basso.


Doveva trattarsi della signorina Angorian, questa volta, che Howl era andato a trovare indossando quel vestito fatato. — Dove sei stato? Howl starnutì. — Sono rimasto sotto la pioggia. Niente che ti riguardi — le disse con voce roca. — A cosa dovevano servire quelle assi? — Le ho messe io — confessò Michael sbucando dal ripostiglio — La Strega... — Tu probabilmente pensi che io non conosca il mio mestiere —. La voce di Howl lasciava chiaramente capire quanto egli fosse irritabile e irritato. — Fuori ci sono talmente tanti incantesimi per non far trovare le entrate, che la maggior parte della gente non ci scoprirebbe mai. Anzi, scommetto che anche la Strega stessa non ci metterebbe meno di tre giorni. Calcifer, ho bisogno di bere qualcosa di caldo. Calcifer si stava arrampicando fra i ceppi, ma non appena Howl si avvicinò al camino, si nascose di nuovo sotto la legna. — Non venirmi vicino in quello stato! Sei tutto bagnato! — sibilò il demone. Allora Howl rivolse a Sophie la stessa preghiera, ma lei incrociò le braccia senza pietà. — Cosa mi dici di Lettie? — Sono bagnato fradicio, non vedi? Sophie, avrei bisogno di bere qualcosa di caldo. — E io ti ho chiesto: cosa mi dici di Lettie Hatter? — Oh, insomma... maledizione! —. Howl si scosse e l'acqua cadde sul pavimento facendo un cerchio ai suoi piedi. Il Mago uscì dal cerchio completamente asciutto, erano asciutti i suoi capelli lucidi, così come lo era il vestito, che non mostrava nemmeno alcuna traccia di umidità. Mentre andava a prendersi un tegame, disse rivolto a Michael: — Il mondo è pieno di donne dal cuore di pietra, potrei farti almeno tre nomi senza


pensarci su neanche un attimo. — Una di queste è forse la signorina Angorian? — s'informò Sophie. Howl non le rispose, la ignorò completamente per il resto della mattinata mentre discuteva con Michael e Calcifer su come spostare il castello. Sophie pensò che Howl stesse veramente per darsela a gambe, come lei stessa aveva preannunciato al Re. Intanto si affrettava a cucire assieme i triangoli blu e argento, poiché ora sapeva di dover fare cambiare a Howl l'abito grigio e scarlatto che stava indossando il prima possibile. — Penso che non abbiamo bisogno di spostare l'ingresso di Porthaven —. Così dicendo Howl fece materializzare in aria un fazzoletto e si soffiò il naso con un fragore tale da far tremolare le fiamme di Calcifer. — In ogni caso voglio che questo castello mobile sia lontano da qualsiasi luogo in cui è stato in precedenza e che l'ingresso da Kingsbury sia ben chiuso. A quel punto qualcuno bussò alla porta e Sophie vide Howl sobbalzare e guardarsi attorno nervoso quanto Michael. Nessuno dei due uomini rispose. — Codardi! — pensò Sophie sdegnata. Si domandò perché mai avesse sopportato per Howl tutte le sofferenze del giorno precedente. — Dovevo essere ammattita del tutto! — borbottò rivolta al vestito blu e argento. — È l'ingresso al quale si accede con il pomello sul nero? — chiese Michael quando la persona che era stata alla porta sembrò essersene andata via. — Quella resta — gli rispose il Mago mentre faceva materializzare dal nulla un altro fazzoletto con una specie di schiocco delle dita. Quell'ingresso sarebbe rimasto! — Con la signorina Angorian a portata di mano — pensò Sophie. Ah, povera Lettie!


Circa a metà mattinata Howl cominciò a materializzare fazzoletti a due o tre alla volta e Sophie si accorse che, in realtà, erano dei pezzi di carta quadrati, flosci e morbidi. Howl continuava a starnutire e la sua voce diventava sempre più rauca. Presto cominciò a far comparire sei fazzoletti per volta e tutto attorno a Calcifer erano sparsi mucchietti di cenere proveniente da quei moccichini... — Vorrei sapere perché in qualsiasi momento io vada in Galles, torno indietro con il raffreddore! — gracchiò Howl facendo materializzare dal nulla un intero pacco di quei fazzoletti di carta. Sophie sbuffò. — Hai detto qualcosa? — le chiese Howl sempre più rauco. — No, ma stavo pensando che la gente che scappa via da ogni cosa si merita tutti i raffreddori che prende. E la gente che ha avuto dal proprio Re l'incarico di fare qualcosa e invece se ne va in giro sotto la pioggia a corteggiare le ragazze, deve solo biasimare se stessa. — Tu non conosci tutte le cose che faccio, Signora Moralista — le rispose Howl. — Debbo farti la lista la prossima volta che uscirò? Io ho cercato il Principe Justin. Corteggiare le ragazze non è l'unica cosa di cui mi occupo, quando esco. — Quando l'hai cercato? — Oh, come fremono le tue orecchie e come fibrilla il tuo lungo naso! — fu il rauco e caustico commento di Howl. — Naturalmente l'ho cercato appena è scomparso. Ero curioso di sapere cosa stesse combinando il Principe Justin, quando tutti sapevano che Suliman era andato nelle Terre Desolate. Penso che qualcuno deve avergli venduto un incantesimo di ritrovamento fasullo, perché se ne andò diritto nella Valle del Folding e acquistò un altro incantesimo dalla signora Fairfax.


Quello lo portò indietro da questa parte, dove si fermò al castello e Michael gli vendette un altro incantesimo di ritrovamento, assieme a un incantesimo di mascheramento... Michael si coprì la bocca con una mano. — Vuoi dire che quell'uomo in uniforme verde era il Principe Justin? — Sì, ma non ho rivelato niente finora, perché il Re avrebbe potuto pensare che tu avresti dovuto avere il buon senso di vendergli un altro incantesimo fasullo. Dopotutto ho una coscienza. Coscienza. Capisci questa parola, Signora Ficcanaso? Io ho una coscienza. Mentre parlava Howl fece comparire un altro pacco di fazzoletti e guardò Sophie al di sopra di quel pacco con occhi che ora erano cerchiati di rosso e lacrimosi. Quindi si alzò in piedi. — Non sto bene. Me ne vado a letto, dove potrei anche morire —. Avanzò barcollando verso la scala. — Seppellitemi di fianco alla signora Pentstemmon — furono le ultime parole rauche, prima di salire nella sua camera da letto. Sophie si applicò quasi con frenesia a cucire i triangoli di stoffa blu e argento, visto che forse avrebbe avuto l'occasione buona per far togliere a Howl l'abito grigio e scarlatto prima che procurasse danni ancora maggiori al cuore della signorina Angorian, a meno che, ovviamente, Howl non si coricasse con quel vestito. Così il Mago doveva essere andato in cerca del Principe Justin quando si era recato ad Upper Folding e aveva incontrato Lettie. — Povera Lettie! — pensò Sophie mentre metteva uno vicino all'altro i triangoli di stoffa e considerava che ne mancavano ancora una quarantina o giù di lì. Intanto si sentiva la voce di Howl che urlava rauca dal piano di sopra. — Qualcuno mi aiuti! Sto morendo negletto e trascurato


quassù! Sophie sbuffò, ma Michael lasciò il lavoro che stava facendo e cominciò a dover correre su e giù per le scale. Nel tempo che Sophie impiegò a cucire una decina di triangoli, Michael corse al piano superiore con limone e miele, con un volume particolare, con una pozione per la tosse, con un cucchiaio per la pozione, poi con le gocce per il naso, le pastiglie per la gola, il necessario per i gargarismi, penna, carta, altri tre volumi e un infuso di corteccia di salice. Intanto c'era gente che continuava a bussare alla porta, facendo sobbalzare Sophie e mettendo a disagio Calcifer a cui tremolavano tutte le fiamme. Visto che nessuno apriva la porta, c'era anche qualcuno che continuava a martellarla per qualche minuto, pensando, a ragion veduta, che gli occupanti del castello lo stessero semplicemente ignorando. A un certo punto la preoccupazione di Sophie si concentrò sul vestito blu e argento, poiché diventava sempre più piccolo, tanto che era sempre più difficile cucire insieme quei pezzettini minuscoli. — Michael! — lo apostrofò Sophie mentre l'apprendista scendeva per l'ennesima volta, dato che Howl desiderava un sandwich alla pancetta per pranzo. — Michael, c'è un sistema per allargare un abito diventato piccolo? — Certo, anzi, riguarda proprio il nuovo incantesimo al quale sto lavorando, cioè se avrò l'opportunità di lavorarci un po' su. Vuole sei fette di pancetta sul pane. Potreste chiedere a Calcifer? Sophie e Calcifer si scambiarono occhiate eloquenti. — Penso proprio che non morirà — fu il laconico commento del demone. — Ti darò tutta la pelle da mangiare, se piegherai la testa — gli disse Sophie, appoggiando il suo lavoro di cucito. Aveva,


infatti, ormai imparato che si otteneva più facilmente qualcosa da Calcifer con la corruzione che con le minacce. Per pranzo mangiarono tutti pane e pancetta abbrustolita, ma Michael dovette precipitarsi al piano di sopra nel bel mezzo del suo pasto. Tornò giù con la notizia che Howl voleva che lui andasse subito a Market Chipping per prendere alcune cose che gli servivano per lo spostamento del castello. — Ma la Strega... È sicuro andare là? — gli chiese Sophie preoccupata. Michael si leccò il grasso che gli era colato sulle dita e si tuffò nel ripostiglio delle scope, per venirne subito fuori con uno dei mantelli di velluto, tutto impolverato, gettato sulle spalle. La persona che uscì dal ripostiglio, però, era un uomo piuttosto robusto con una folta barba rossa. Si leccava le dita e parlava con la voce di Michael. — Howl pensa che io sarò abbastanza al sicuro conciato così. Questo mantello, oltre a procurare un travestimento, produce anche un incantesimo per far perdere le proprie tracce. Mi chiedo se Lettie mi riconoscerà lo stesso. L'omone aprì la porta con il pomello sul verde e saltò fuori, sulle colline che sembravano muoversi lentamente al di sotto del castello. Sul castello finalmente scese la pace. Calcifer si era accomodato nel suo angolino e si era messo a crepitare piano. Howl, evidentemente, si era reso conto che Sophie non sarebbe corsa su e giù per le scale come Michael per soddisfare tutti i suoi capricci, così se ne stava buono buono nel suo letto. Sophie aveva dunque l'opportunità di andare a trovare Lettie, che doveva essere terribilmente triste, visto che senz'altro non aveva più avuto la possibilità di vedere Howl dal giorno del loro incontro nel frutteto. Se lei avesse avuto il modo di avvertire la


sorella che i suoi sentimenti erano stati dettati solo da un abito incantato, questo le avrebbe sollevato il morale. Sophie si alzò e si diresse con grande cautela al ripostiglio delle scope, ma gli stivali delle sette leghe non erano più lì. All'inizio pensò di essersi sbagliata e tirò fuori tutte le cianfrusaglie che erano radunate nello stanzino, ma niente da fare, gli stivali non c'erano. — Che gli venga un accidente! — imprecò alla volta di Howl che, evidentemente, aveva preso tutte le precauzioni perché lei non potesse seguirlo quando usciva. Stava rimettendo a posto scope, secchi, stracci e il mantello di velluto rimasto, quando qualcuno cominciò a bussare alla porta. Sophie, come al solito, sobbalzò e sperò vivamente che chiunque fosse la smettesse di bussare e se ne andasse presto per la propria strada. Ma questa volta la persona fuori dalla porta sembrava più determinata di tutti coloro che l'avevano preceduta. Continuò a bussare, anzi, sembrava addirittura che si scagliasse con tutto il peso del corpo contro l'uscio visto il rumore sordo che si sentiva da dentro il castello. Passarono almeno cinque minuti e quel rumore continuava a intervalli regolari. Sophie, allora, si volse alle verdi fiammelle che tremolavano basse sulla legna. — È la Strega? — No — bofonchiò Calcifer da sotto i suoi ceppi. — È la porta del castello, qualcuno ci sta correndo a fianco, anche se andiamo piuttosto veloci. — Lo spaventapasseri?! —. A Sophie tremava già il petto alla sola idea. — No, è qualcuno in carne e ossa — le rispose il demone, mentre la sua faccia blu si allungava perplessa su per il camino. — Non riesco a capire precisamente chi o cosa sia, so solo che vuole entrare a tutti i costi; ma non penso che rappresenti un


pericolo. Poiché il rumore continuava, dandole ai nervi e ispirandole una fastidiosa sensazione d'urgenza, Sophie decise di aprire la porta e di fermare in qualunque modo quel suono sordo e fastidioso. Inoltre era troppo curiosa di vedere chi lo stava procurando. Aveva ancora in mano il secondo mantello di velluto, così se lo drappeggiò sulle spalle e andò alla porta. Calcifer la fissò, poi fece volontariamente un gesto che Sophie non gli aveva mai visto fare in precedenza: piegò la testa spontaneamente... per scoppiare poi in una sonora, crepitante risata! Domandandosi quale aspetto le avesse fatto assumere il mantello per provocare tanta ilarità, Sophie aprì l'uscio. Un enorme levriero, che stava correndo sulle colline a fianco a loro, fu come risucchiato dal varco apertosi fra i blocchi neri del castello e atterrò come una trottola nel bel mezzo della stanza. Sophie lasciò cadere il mantello e si ritrasse di colpo. I cani l'avevano sempre resa piuttosto nervosa e i levrieri, poi, non hanno un'aria particolarmente rassicurante. L'animale si mise fra lei e la porta e la fissò. Sophie diede una lunga occhiata al paesaggio che intravvedeva dall'uscio aperto: le rocce e l'erica vorticavano sotto il castello e, per un attimo, si chiese se valesse la pena di urlare e chiamare Howl. Il cane inarcò ancor di più il dorso già curvo, poi in qualche modo si sollevò, tenendosi in equilibrio sulle scarne zampe posteriori diventando alto quasi come Sophie. Per rimanere eretto in quella posizione innaturale, muoveva le zampe anteriori, come se nuotasse nell'aria. Poi, mentre Sophie aveva già la bocca aperta per chiamare Howl in aiuto, quella creatura, con uno sforzo enorme, fece uscire dalla pelle di cane le sembianze di un uomo, con un vestito marrone tutto spiegazzato, i capelli rossicci e un viso pallido, infelice.


— Arrivato da Upper Folding — ansimò l'uomo-cane. — Cara Lettie... Lettie mi mandò... Lettie piange, molto infelice... mandato me da te... detto io restare... — Ancor prima di aver finito di parlare, rabbrividì, tentò di sdoppiarsi del tutto, separandosi dall'animale, poi emise un terribile ululato di rabbia e disperazione. — Non dire al Mago! — guaì e si ripiegò su se stesso, assumendo nuovamente le sembianze di un cane. Un cane diverso, però. Questa volta, infatti, si era trasformato in un setter dal pelo fulvo con una bella coda sfrangiata e due occhioni teneri e tristi che fissavano Sophie per comunicarle tutta la sua buona fede. — Poverino — gli disse Sophie mentre andava a chiudere la porta, — hai veramente dei guai seri, amico mio. Tu eri nei panni di quel collie nel giardino della signora Fairfax, vero? Ora capisco tutto quel discorso che mi fece quando parlava della terribile menomazione del corteggiatore di Lettie... Tu sei la conferma che quando la Strega vuol fare del male a qualcuno, ci riesce benissimo! Ma perché Lettie ti ha mandato qui se non vuoi che io ne parli al Mago Howl?... Appena Sophie pronunciò il nome del Mago, il cane emise un brontolio sordo e rabbioso, ma continuò a scodinzolare e a guardarla con occhi imploranti. — Va bene, non glielo dirò — promise Sophie, e il cane sembrò calmarsi, rassicurato. Trotterellò verso il focolare, diede un'occhiata vacua a Calcifer, poi si raggomitolò al caldo in un ammasso di peli rossicci. — Cosa ne pensi, Calcifer? — chiese Sophie al demone. — Questo cane è un uomo in preda a un maleficio. — Come sei ovvio! Questo lo sapevo da sola... ma tu non potresti liberarlo? —. A Sophie, intanto, venne in mente che Lettie potesse aver sentito dire che Howl aveva ora una Strega


che lavorava per lui, forse era per questo che le aveva mandato il cane. Ora sembrava piuttosto importante riuscire a farlo diventare un uomo di nuovo e rimandarlo ad Upper Folding prima che Howl si alzasse e lo trovasse nel castello. — Non posso farlo, avrei bisogno di essere unito al Mago per compiere un'impresa del genere — le rispose Calcifer. — Allora ci proverò da sola. Povera Lettie! Con il cuore infranto da Howl e con l'altro suo innamorato che era un cane per la maggior parte del tempo! Sophie appoggiò la mano delicatamente sulla testa del cane rivolta ora verso di lei. — Trasformati nell'uomo che dovresti essere! —. Ripetè più volte la stessa frase, ma l'unico effetto che sembrò sortire era quello di far addormentare sempre più profondamente la povera bestia, che alla fine cominciò a russare appoggiata alle gambe di Sophie. Nel frattempo dal piano di sopra provenivano gemiti e lamenti, ma Sophie continuò a ignorarli e a mormorare le sue frasi al cane. Poi si sentì un colpo di tosse fortissimo, seguito da lamenti sempre più forti. Ma Sophie non si prese nemmeno la briga di alzarsi. La tosse fu seguita da starnuti talmente tonanti da far scuotere le finestre e le porte. Sophie trovò difficile ignorare quei rumori, ma ci riuscì e rimase ancore accanto al cane. Pooot poooot... questa volta il Mago si soffiava il naso producendo un suono simile a quello di un controfagotto suonato in una galleria. Poi ricominciò la tosse, seguita dai lamenti. Starnuti, lamenti, colpi di tosse, il naso che veniva soffiato, deboli gemiti proseguirono in un crescendo sinfonico di cui Howl era direttore ed esecutore al tempo stesso, finché le porte cominciarono a sbattere, le travi del soffitto a tremare e persino un ceppo di legna cadde fuori dal focolare.


— Va bene, va bene, ho ricevuto il messaggio! —. Così dicendo Sophie si alzò e rimise la legna sul fuoco. — La prossima manifestazione sarà melma verde! Calcifer, mi raccomando, fa' in modo che il cane non si muova di qua — e prese a salire le scale, brontolando ad alta voce. — Ah, questi Maghi! Sembrerebbe che nessuno abbia mai preso un raffreddore prima d'ora! Allora, cosa ti succede? — chiese a Howl entrando nella camera da letto e attraversando il lurido tappeto che ne copriva il pavimento. — Sto morendo di noia —. La voce del Mago suonava patetica. O forse sto morendo e basta. Era disteso nel suo letto, sostenuto da cuscini ingrigiti, tanto erano sporchi. Dall'aspetto sembrava piuttosto provato, e lo squallore dell'insieme era accentuato dal copriletto che un tempo doveva essere del tipo patchwork, ma ora di un colore unico: quello della polvere che lo ricopriva. I ragni, che sembrava amare così tanto, avevano un daffare frenetico nelle pieghe del baldacchino che copriva il letto. Sophie gli appoggiò una mano sulla fronte. — Devi avere un po' di febbre — ammise. — Sono in preda al delirio... Vedo delle macchioline che mi ruotano davanti agli occhi. — Quelli sono i ragni, altroché macchie! Perché non ti curi con un incantesimo? — Perché non esiste cura per il raffreddore... Le idee formano dei vortici nella mia testa, o forse è la mia testa che ruota freneticamente attorno alle idee... Sto continuando a pensare ai termini in cui è stata scritta la poesia di cui si è servita la Strega per la maledizione. Non mi ero reso conto che quella donna potesse lasciarmi così inerme. È brutto sentirsi così, anche se le cose che sono successe realmente finora sono tutte opera mia. Sto aspettando che accada il resto.


Sophie ripensò a quei versi per lei piuttosto oscuri. — Di quali cose parli? Ti riferisci a "Dimmi ove son tutti gli anni passati"? — Oh, quello lo so. So dove sono i miei o quelli di qualsiasi altra persona. Sono tutti là, dove sono sempre stati. Potrei andare a interpretare il ruolo della fata cattiva al mio battesimo, se volessi... e forse l'ho fatto... Quello è il mio problema. No, ci sono solo tre cose che sto aspettando: le sirene, la radice di mandragola e il mulinello che spinge l'onesto oltre ogni tranello. Se mai riuscirò a vivere tanto da avere i capelli bianchi, suppongo che non toglierò quella maledizione per vederle. Sono rimaste solo tre settimane perché quelle tre cose si realizzino, e in quel momento la Strega mi avrà. Ma la Riunione del Club del Rugby è alla vigilia della Festa di San Giovanni, così almeno lì riuscirò ad andare. Tutto il resto era accaduto tanto tempo fa. — Ti riferisci alla stella cadente e al non essere capace di trovare una donna fedele e bella? Non ne sono sorpresa, visto il tuo modo di comportarti. La signora Pentstemmon mi ha detto che avevi imboccato una brutta china. Aveva ragione, non è vero? — Devo andare al suo funerale, anche se questo dovesse uccidermi —. Poi la voce di Howl divenne ancora più triste. — La signora Pentstemmon ha sempre avuto un'opinione anche troppo alta di me. L'ho accecata con il mio fascino incantato. A quel punto cominciò a sgorgare dell'acqua dai suoi occhi e Sophie non riusciva a capire se Howl stesse veramente piangendo o se fosse semplicemente colpa del raffreddore, ma di una cosa era sicura: per l'ennesima volta stava sottraendosi a un discorso. — Stavo parlando del tuo modo di lasciare le ragazze non appena sei riuscito a farle innamorare di te. Perché lo fai? Howl puntò una mano tremante verso il baldacchino. —


Quello è il motivo per cui amo i ragni. "Se non riesci la prima volta, tenta, tenta, tenta ancora". Io continuo a tentare —. La voce di Howl ora suonava terribilmente triste. — Questa maledizione, però, me la sono tirata addosso da solo, qualche anno fa, concludendo un patto, e so che non sarò mai capace di amare veramente qualcuno, adesso. Dagli occhi di Howl scorrevano sul serio lacrime. Sophie ne fu commossa e coinvolta. — Su, ora non devi piangere... In quel momento si sentì battere fuori dalla porta, Sophie andò e vide l'uomo-cane che s'infilava nella stanza. Con un rapido gesto, prese una manciata di pelo fra le mani per trattenerlo, pensando che sarebbe senz'altro andato diritto al letto di Howl per morderlo. Il cane, invece, si limitò ad appoggiarsi di peso alle sue gambe, tanto da farla arretrare verso la parete dalla quale si staccavano pezzi di carta da parati. — E questo cos'è? — le chiese Howl — Il mio nuovo cane — rispose Sophie aggrappandosi al pelo ricciuto. Ora che era costretta contro la parete, poteva veder fuori dalla finestra della stanza da letto. Secondo i suoi calcoli avrebbe dovuto affacciarsi sul cortile interno del castello, invece mostrava un giardino quadrato tenuto perfettamente, con un'altalena di metallo nel mezzo. Il sole del tramonto infiammava le gocce di pioggia impigliate nell'altalena e le faceva brillare dei colori dell'arcobaleno. Mentre Sophie rimaneva a guardare dalla finestra, Mari, la nipotina di Howl, attraversò di corsa il prato bagnato, seguita da sua madre, Megan. Evidentemente questa le stava gridando di non sedersi sull'altalena bagnata, ma dalla stanza non si sentiva alcun rumore. — È quello il posto chiamato Galles? — chiese Sophie.


Howl cominciò a ridere e, contemporaneamente, a battere sul copriletto dal quale si levò un fumo di polvere. — Bada quel cane! — ordinò con voce roca il Mago. — Avevo scommesso con me stesso che sarei riuscito a impedirti di ficcanasare fuori della finestra per tutto il tempo che tu saresti rimasta qua dentro! Sophie lasciò andare il cane nella speranza che avrebbe morso Howl, ma il cane continuò ad appoggiarsi a lei, sospingendola verso la porta. — Così tutti quei versi, quella manfrina... erano solo un gioco, vero? Avrei dovuto immaginarlo! Howl tornò ad appoggiarsi al suo cuscino grigio, con l'espressione di uno che ha sbagliato, ma che è stato anche ferito. — Alle volte parli proprio come Megan — le disse con aria di rimprovero. — Alle volte — rispose Sophie sospingendo il cane davanti a sé fuori dalla stanza — capisco come Megan abbia fatto a diventare quella che è. Poi sbatté la porta sui ragni, la polvere e il giardino. CAPITOLO QUINDICI In cui Howl va a un funerale con uno strano travestimento L'uomo-cane si acciambellò pesantemente sui piedi di Sophie quando lei riprese a cucire. Forse sperava che sarebbe riuscita a levargli quell'incantesimo di dosso se le fosse stato sempre vicino. Quando un omone dalla barba rossa piombò nella stanza portando una scatola piena di cose, e si tolse il mantello di velluto per tornare a essere Michael, l'uomo-cane si alzò e


cominciò a scodinzolare. Poi rimase a farsi accarezzare sulla testa dall'apprendista e a farsi grattare le orecchie. — Spero che rimanga con noi. Ho sempre desiderato avere un cane —. Howl aveva sentito la voce di Michael e si mise a scendere al piano di sotto avvolto nel suo copriletto. Sophie smise di cucire e per prudenza afferrò il cane. Ma la bestia fu gentile anche con Howl e non si scansò quando il Mago tirò fuori una mano dal suo bozzolo e cominciò ad accarezzarlo. — Allora Michael? —. La sua voce era ancora roca e dispensava nuvole di polvere quando faceva materializzare con un gesto nuovi fazzoletti di carta. — Ho preso tutto. E abbiamo avuto anche un vero colpo di fortuna, Howl. A Market Chipping c'è un negozio in vendita, vuoto. Era una cappelleria. Pensi che potremo spostare lì il castello? Howl sedette su un alto sgabello, sembrava un senatore romano in toga. — Dipende da quanto costa — rifletté a voce alta. — Sono tentato di muovere lì l'ingresso di Porthaven... ma non sarà facile, perché vorrebbe dire spostare Calcifer, visto che il nostro demone si trova effettivamente a Porthaven. Cosa ne dici, Calcifer? — Muovermi sarà un'operazione molto delicata — rispose il fuoco. Era impallidito al solo pensiero. — Forse dovresti lasciarmi dove sono. Così Fanny sta vendendo il negozio, pensava intanto Sophie mentre gli altri tre continuavano a discutere sullo spostamento del castello, alla faccia della coscienza che Howl diceva di avere! Ma il pensiero che la tormentava maggiormente era lo sconcertante comportamento del cane. Nonostante gli avesse già detto varie volte che lei non poteva togliergli di dosso quella maledizione, non sembrava volersene andare. Non voleva


neanche mordere Howl, però, ed era andato volentieri con Michael a correre vicino alle Paludi di Porthaven sia quella sera che la mattina successiva. Sembrava che il suo unico scopo fosse quello di far parte del castello. — Se io fossi in te, me ne andrei comunque ad Upper Folding per essere sicuro di catturare il cuore di Lettie una volta tornato uomo — provò infine a suggerirgli Sophie. Per tutto il giorno successivo Howl continuò a fare la spola fra il letto e la stanza del focolare e Michael dovette stargli dietro. Quando il Mago era alzato, l'apprendista doveva corrergli appresso e misurare con lui il castello, fissando delle graffe metalliche in ogni angolo. Fra una graffa e l'altra, Howl faceva la sua comparsa davanti a Sophie, sempre avvolto nel copriletto e nelle nuvole di polvere, per fare commenti e domande. — Sophie, visto che hai coperto di pittura bianca tutti i segni che avevamo fatto sui muri quando è stato inventato questo castello, potresti dirmi, per caso, quali erano i punti segnati in camera di Michael? — No, non mi ricordo — gli rispose Sophie, mentre cuciva il settantesimo triangolino blu. Howl starnutì e si ritirò di nuovo, con aria triste, per tornare di lì a poco. — Sophie, se dovessimo prendere quella cappelleria, che articoli potremmo vendere? Sophie pensò che ne aveva avuto abbastanza dei cappelli e non ne voleva più sapere. — In ogni caso non dei cappelli. Puoi comperare il negozio, ma non l'attività... — Applica la tua mente diabolica a risolvere questo problema, o comunque pensa, se sai come si fa! — e se ne tornò al piano di sopra. Cinque minuti dopo, era di nuovo giù. — Sophie, hai qualche preferenza riguardo alle altre entrate? Dove ti piacerebbe che vivessimo?


A Sophie venne in mente, all'istante, la casa della signora Fairfax. — Mi piacerebbe una casa graziosa, con tanti fiori attorno. — Capisco — gracchiò Howl con la sua voce roca e se ne andò di nuovo al piano superiore. Quando tornò, era vestito di tutto punto. Era la terza volta in quel giorno e Sophie non ci fece caso, finché Howl non si mise sulle spalle il mantello di velluto che aveva usato anche Michael e si trasformò in un uomo pallido, dalla barba rossa, che tossiva e teneva il naso in un fazzolettone rosso. Solo allora si rese conto che stava per uscire. — Peggiorerai il tuo raffreddore. — Morirò e allora voi tutti ne sarete dispiaciuti — disse l'uomo dalla barba rossa e si diresse alla porta che aveva il pomello sul verde. Nell'ora successiva Michael ebbe, così, il tempo di lavorare al suo incantesimo e Sophie di attaccare fino all'ottantaquattresimo triangolo di stoffa blu. A quel punto l'uomo dalla barba rossa fu di ritorno. Toltosi il mantello di velluto, si trasformò di nuovo in un Mago che tossiva ancora più di prima e aveva un'espressione ancor più corrucciata. — Ho preso quel negozio — disse a Michael. — Ha un magazzino molto utile sul retro e una casa a fianco. Ho comperato tutto, anche se non so ancora di preciso come lo pagherò. — E se tu usassi la ricompensa che il Re ti darà per trovare suo fratello il Principe Justin? — Ti stai dimenticando che l'intero scopo di questa operazione è proprio quello di non andare a cercare il Principe. Stiamo per scomparire, Michael —. Tossendo, salì le scale e si mise a letto, dove ricominciò a starnutire per attirare l'attenzione.


Michael dovette lasciar perdere l'incantesimo e precipitarsi al piano superiore. L'avrebbe potuto fare Sophie, se solamente l'uomo-cane non si fosse messo in mezzo tutte le volte che lei aveva provato ad alzarsi. Questa era un'altra stranezza del suo comportamento. Non gli piaceva che Sophie facesse qualcosa per Howl. E lei, tutto sommato, trovò che non fosse un comportamento poi così sbagliato! Quindi riprese in mano il lavoro e si mise a cucire l'ottantacinquesimo triangolo. Michael se ne tornò giù tutto allegro e riprese il suo compito. Era così felice da unirsi alla voce di Calcifer per cantare la solita canzoncina della casseruola. Poi si mise a chiacchierare con il teschio, come aveva fatto Sophie mentre lavorava. — Andremo a vivere a Market Chipping e potrò andare a trovare la mia Lettie ogni giorno. — È questo il motivo per cui hai parlato a Howl del negozio, vero? Sophie, intanto, cuciva l'ottantanovesimo triangolo. — Lettìe me ne ha parlato, perché ci stavamo chiedendo come avremmo fatto a vederci. Io le ho detto... Fu interrotto da Howl che scendeva di nuovo avvolto nella sua coperta. — Questa è davvero la mia ultima apparizione — comunicò loro il Mago con la voce sempre più roca. — Ho dimenticato di dirvi che la signora Pentstemmon verrà sepolta domani nella sua tenuta vicino a Porthaven, e ho bisogno che questo vestito sia in ordine. Così dicendo, tirò fuori dal bozzolo l'abito grigio e scarlatto e lo lasciò cadere in grembo a Sophie. — Ti stai occupando del vestito sbagliato. Questo è quello che voglio indossare, ma non ho l'energia sufficiente per pulirmelo da solo. — Non avresti bisogno di andare a quel funerale... — intervenne la voce ansiosa di Michael.


— Non mi sogno nemmeno di starmene a casa. La signora Pentstemmon ha fatto di me il Mago che sono ora. Le sono obbligato e voglio porgerle il mio ultimo saluto. — Ma il tuo raffreddore peggiorerà — provò a insistere l'apprendista. — L'ha già fatto peggiorare andandosene in giro, in caccia... — furono le caustiche parole di Sophie. Howl mise su la sua espressione più nobile. — Starò benissimo, basterà che riesca a tenermi al coperto dal vento che soffia dal mare. Peccato che la tenuta della signora Pentstemmon sorga in un luogo piuttosto aspro, gli alberi sono tutti piegati e non c'è alcun riparo per miglia. Sophie sapeva che quelle parole erano state pronunciate solo per avere la loro comprensione, così si mise a sbuffare. — È la Strega? —. Michael non poté fare a meno di domandare. Howl diede un pietoso colpo di tosse. — Mi travestirò. Probabilmente parteciperò al funerale nei panni di... un altro cadavere —. Raccolse i lembi della coperta e si avviò verso la scala. — Avresti bisogno di un paravento, non di questo vestito —. La voce di Sophie lo raggiunse sul primo gradino, ma Howl non rispose e continuò a salire ben avvolto nel copriletto. Sophie pensò che non fosse il caso di insistere, ora aveva in mano il vestito incantato e quella era un'ottima occasione, che non doveva lasciarsi scappare. Quando il Mago scomparve di vista, prese le forbici e fece nell'abito sette pezzi irregolari: questo avrebbe dovuto scoraggiare Howl e impedirgli di indossarlo. Poi tornò al suo lavoro. Doveva ancora attaccare gli ultimi triangoli per dare una forma allo scollo dell'abito blu e argento, che ora però era veramente piccolo. Sembrava essere


addirittura troppo piccino anche per il paggio della signora Pentstemmon. — Michael, sbrigati con quell'incantesimo. È terribilmente urgente! — Non ci vorrà ancora molto — le rispose l'apprendista. Mezz'ora dopo controllò se avesse usato tutti gli ingredienti della sua lista e ritenne che l'incantesimo fosse pronto. Così si avvicinò a Sophie, portando una piccola boccia con un po' di polvere verde sul fondo. — Dove vuoi che la metta? — Qui — gli rispose Sophie, tagliando il filo che aveva cucito l'ultimo triangolo. Spostò l'uomo-cane che dormiva ai suoi piedi e spiegò sul pavimento l'abito blu e argento che ora aveva le dimensioni di un vestitino da bambino. Michael, con grande attenzione, prese la sostanza magica a pizzichi e la spolverizzò su ogni parte dell'indumento. Poi, tutti e due cominciarono ad aspettare, sentendo i loro cuori che battevano con ansia. Passò un attimo e, quindi, Michael poté tirare un sospiro di sollievo. Il vestito, lentamente, s'ingrandiva. Continuarono a fissare l'abito che si allargava sempre più sul pavimento, finché una parte prese contro all'uomo-cane che Sophie si affrettò a spostare per far spazio alla stoffa che doveva ancora lievitare. Dopo circa cinque minuti Sophie e Michael si trovarono d'accordo sul fatto che l'abito avesse finalmente raggiunto la taglia di Howl, così l'apprendista lo raccolse e lo scosse con cura perché la polvere in eccesso finisse oltre la grata del focolare. Calcifer emise delle fiammate che si aggrovigliarono su per il camino, mentre l'uomo-cane si svegliò di soprassalto. — Attenzione! È sbagliato... — li avvertì il demone, ma Sophie portò il vestito al piano superiore, facendo i gradini in punta di piedi per non svegliare il Mago. Questi dormiva sul suo cuscino grigiastro, in compagnia di tutta una serie di ragni


indaffarati a tessere le loro ragnatele sul baldacchino. Nel sonno appariva nobile e triste. Sophie, sempre in punta di piedi, andò a posare il vestito sul vecchio cassettone vicino alla finestra, cercando di convincersi che l'indumento non fosse ulteriormente cresciuto nel tragitto. — In ogni caso, se questo t'impedirà di andare al funerale, non sarà poi un gran danno — mormorò mentre sbirciava fuori dalla finestra. Il giardino era ancora illuminato dal sole, ormai basso all'orizzonte. Un uomo robusto, dai capelli scuri, stava lanciando, con grande entusiasmo, una palla rossa a Neil, il nipote di Howl, che se ne stava lì con un'aria di paziente sopportazione e con una mazza nelle mani. Dalla somiglianza fra i due, Sophie capì che l'uomo era il padre di Neil. — Di nuovo a curiosare! —. La voce di Howl si levò, improvvisa, alle spalle di Sophie, che si girò con aria colpevole per accorgersi che il Mago, in effetti, era solo mezzo sveglio. Forse addirittura credeva che fosse ancora il giorno precedente, poiché continuò con la citazione di un altro verso. — "E dell'invidia com'evito il pianto?"... anche questo fa ormai parte degli anni passati. Amo il Galles, ma il Galles non ama me. Megan è piena d'invidia perché lei è così rispettabile, mentre io non lo sono —. Poi si svegliò quasi del tutto. — Cosa stai facendo, Sophie? — Sto semplicemente riponendo il tuo vestito — fu la sua rapida risposta, mentre già si allontanava verso la porta. Howl doveva essersi riaddormentato subito, perché non comparve più al piano di sotto per quella notte. Neanche la mattina successiva si fece vedere, quando Sophie e Michael si alzarono facendo attenzione a non disturbarlo. Né l'uno, né l'altra pensava che andare al funerale della signora Pentstemmon


fosse una buona idea. Michael andò a fare una corsa su per le colline con l'uomo-cane, mentre Sophie preparava la prima colazione in punta di piedi, sperando che Howl continuasse a dormire ancora a lungo. Quando Michael fu di ritorno, Howl non si era ancora affacciato alla porta. L'animale era evidentemente molto affamato, così si misero a cercare nella dispensa qualcosa di adatto da fargli mangiare. Ed ecco Howl che chiamava con tono accusatorio: — Sophie! Teneva ferma la porta che dava sulla scala con un braccio completamente nascosto da un'immensa manica blu e argento, mentre le falde di una giacca gigantesca erano ammonticchiate ai suoi piedi. L'altro braccio di Howl non s'intravvedeva neanche sotto l'immensa manica, poi Sophie ne scoprì i contorni: il Mago stava facendo degli strani gesti con quel braccio attorno a una vasta frappa che fungeva da collarino. Dietro a Howl la scala era ricoperta di stoffa blu e argento che si perdeva oltre la porta della sua camera da letto. — Oh, povero me! — esclamò Michael. — È tutta colpa mia, Howl. Io... — Colpa tua? Stupidaggini! Ci vedo la mano di Sophie lontano un miglio. E ci sono parecchie miglia di questo vestito qui con me... Sophie cara, dov'è l'altro abito? Sophie, senza dire una parola, si affrettò a prendere i brandelli dell'abito grigio e scarlatto che aveva nascosto nel ripostiglio. Howl li guardò attentamente. — È già qualcosa... Pensavo che fosse diventato troppo minuscolo perché si potesse persino vedere. Dammi qua tutti i sette pezzi di quel vestito. Sophie gli porse il mucchietto di stracci, sempre in silenzio. Howl con un po' di sforzo riuscì a trovare la mano dentro le molteplici pieghe dell'abito e a farla uscire fra due punti di cucitura, tremendamente lunghi. Afferrò il mucchietto che gli


veniva porto. — Vado a prepararmi per il funerale. Prego entrambi di astenervi dal fare qualsiasi cosa. Direi che Sophie è proprio in piena forma e io, uscendo dal bagno, gradirei ritrovare questa stanza alle sue attuali dimensioni. Dopo questo discorsino andò a prepararsi, cercando di mantenere un'aria dignitosa nonostante nuotasse in un mare di velluto blu e argento. Il resto dell'abito lo seguiva, scivolando gradino dopo gradino e spazzando il pavimento della stanza mentre lo attraversava. Quando Howl fu nel bagno, la maggior parte della giacchetta aveva finito di scendere le scale, mentre lassù in cima erano finalmente comparsi i pantaloni. Howl stava tenendo la porta socchiusa e sembrava che non la dovesse finire più di ammassare stoffa su stoffa, mentre Sophie, Michael e l'uomo-cane continuavano a veder sfilare davanti ai loro occhi esterrefatti iarde e iarde di velluto blu e argento, decorato, ogni tanto, da un bottone delle dimensioni di una macina da mulino e cucito con un filo che sembrava una gomena, a enormi punti regolari. — Penso di non aver fatto l'incantesimo nel modo giusto — disse l'apprendista, quando anche l'enorme orlo fu finalmente scomparso dietro la porta del bagno. A quel punto era passato quasi un miglio di stoffa... — Come se non te l'avesse fatto notare! — gli disse Calcifer, poi gli ordinò di aggiungere altra legna. Michael gli diede un grosso ceppo, mentre Sophie dava da mangiare all'uomo-cane. Né l'uno, né l'altra osò, però, fare qualsiasi altra cosa, se non starsene in piedi a sbocconcellare pane e miele, aspettando che Howl uscisse dalla stanza da bagno. Il Mago ne uscì due ore dopo, lasciando una scia d'incantesimi alla verbena. Era tutto in nero. Il suo vestito era nero, così come lo erano gli stivali. Persino i capelli erano neri,


dello stesso tono corvino dai riflessi blu che avevano i capelli della signorina Angorian. All'orecchio portava un lungo pendente di giaietto. Sophie si chiese se il colore dei capelli fosse un tributo alla signora Pentstemmon e convenne con il giudizio che aveva dato la vecchia insegnante: il nero era il colore che gli donava di più, anche perché i suoi occhi verde bottiglia risaltavano maggiormente. Ma si domandò anche quale dei due abiti avesse usato, in realtà, per ottenere la nuova tenuta. Howl fece materializzare un fazzoletto nero e vi si soffiò il naso. La finestra, come consueto, vibrò, ma lui non sembrò accorgersene, prese una fetta di pane col miele e, con un cenno, chiamò a sé l'uomo-cane, che gli rispose con uno sguardo dubbioso, interrogativo. — Voglio soltanto studiarti per bene — spiegò Howl all'animale, con la solita voce roca. Il suo raffreddore non era per nulla migliorato. — Vieni qui, cagnone. Come la bestia si spostò riluttante al centro della stanza, Howl aggiunse: — Non troverai l'altro vestito nella stanza da bagno, Signora Ficcanaso, e non metterai mai più le mani su nessuno dei miei abiti. Sophie, che stava dirigendosi in punta di piedi verso il bagno, si fermò di colpo e si mise a guardare Howl che girava attorno al cane, alternando un morso alla fetta di pane con una soffiata di naso. — Cosa ne pensate di questo travestimento? —. Così dicendo fece volare il fazzoletto nero sul fuoco e si mise carponi. Quasi nello stesso istante in cui cominciò a piegarsi verso il pavimento, le sembianze di Howl scomparvero e, una volta arrivato a terra, si era già trasformato in un setter dal pelo riccio


e fulvo come quello del-l'uomo-cane, che fu colto del tutto alla sprovvista dalla trasformazione. Il suo istinto animale prese il sopravvento: arruffò i peli del collo, abbassò le orecchie e ringhiò. Howl fece lo stesso. Ora i due cani identici si fronteggiavano, girando intorno, ringhiando e rizzando il pelo, pronti ad attaccarsi. Sophie afferrò quella che pensava fosse la coda dell'uomocane, mentre Michael agguantò l'animale che riteneva fosse Howl. A quel punto Howl tornò improvvisamente se stesso e Sophie si ritrovò davanti una figura alta e nera a cui lei stava tenendo il dorso della giacca, che si affrettò a lasciare. L'uomocane era accucciato ai piedi di Michael con aria tragica. — Bene, se posso imbrogliare un altro cane, posso farlo con chiunque. Nessuno al funerale farà caso a un bel setter che solleva la zampa contro qualche pietra tombale —. Andò alla porta e girò il pomello sul blu. — Aspetta un attimo — lo fermò Sophie. — Se andrai a quel funerale con le sembianze di un setter, perché ti sei preso il disturbo di metterti tutto in nero? Howl alzò un sopracciglio e assunse un'aria nobile: — Per rispetto alla signora Pentstemmon. Lei amava che si pensasse a ogni minimo dettaglio. Poi aprì la porta e uscì per le strade di Porthaven. CAPITOLO SEDICI In cui avvengono un bel po' di stregonerie Parecchie ore trascorsero. L'uomo-cane era di nuovo affamato e anche Michael e Sophie avevano fame, così decisero di pranzare e Sophie si avvicinò a Calcifer con la padella in


mano. — Ma perché non vi mangiate pane e formaggio, per una volta! -brontolò il fuoco, piegando comunque la testa. Sophie stava appoggiando la padella sui riccioli verdi del demone, quando, all'improvviso, la voce di Howl risuonò dal nulla: — Aumenta la tua potenza, Calcifer! Mi ha trovato! Calcifer, di colpo, sprigionò un gran fuoco, tanto che la padella cadde fra le ginocchia di Sophie. — Dovrai aspettare! — ruggì il demone, levando fiamme sempre più alte. Quasi contemporaneamente si suddivise in una dozzina di facce blu fiammeggianti, come se fosse stato percosso con violenza, e bruciò emettendo un alto, terribile rombo. — Significa che stanno combattendo — bisbigliò Michael. Sophie intanto si succhiava le dita bruciacchiate e, con l'altra mano, raccoglieva le fette di bacon sparse sulla gonna, fissando ammaliata Calcifer. Sembrava che si spostasse da un lato all'altro del focolare sotto delle sferzate e le sue facce fiammeggiavano dal blu intenso all'azzurro, per poi diventare quasi bianche. Per un momento aveva una molteplicità di occhi arancione, l'attimo dopo argentei come le stelle. Sophie non aveva mai nemmeno immaginato niente di simile. Qualcosa passò al di sopra delle loro teste con uno scoppio che scosse la stanza, seguito da un qualcos'altro che emise un lungo ruggito la cui eco sibilò in lontananza. Le fiamme di Calcifer pulsarono e divennero così blu da sembrare nere e la pelle di Sophie frizzò per la magia che c'era nell'aria. Michael si precipitò alla finestra. — Sono piuttosto vicini! Anche Sophie andò alla finestra con la sua andatura zoppicante. La tempesta magica sembrava aver influenzato metà delle cose che erano nella stanza. Il teschio stava battendo le


mandibole talmente forte che si muoveva in circolo. I pacchetti saltavano. La polvere nei vasi era diventata effervescente. Un libro cadde con un gran tonfo dallo scaffale e rimase aperto sul pavimento con le pagine che si sfogliavano da sole avanti e indietro. A un'estremità della stanza un vapore profumato filtrava attraverso la porta del bagno, mentre all'estremità opposta la chitarra di Howl emetteva un lamento stonato. E Calcifer sferzava le sue fiamme più forte che mai. Michael mise il teschio nell'acquaio perché non cadesse sul pavimento, poi andò ad aprire la finestra e si sporse fuori. Qualsiasi cosa stesse accadendo, avveniva maledettamente lontano, fuori dalla loro vista. La gente che abitava nelle case di fronte era tutta sulle porte o alla finestra e indicava qualcosa più o meno sulle loro teste. Sophie e Michael corsero al ripostiglio e si gettarono sulle spalle un mantello per uno. A Sophie capitò quello che trasformava nell'uomo dalla barba rossa, mentre Michael fu tramutato in un cavallo. Sophie ebbe così l'occasione di sapere perché Calcifer fosse scoppiato a ridere quando lei l'aveva indossato. Ora, però, non c'era tempo di ridere. Spalancò la porta e si precipitò in strada, seguita dall'uomo-cane che si manteneva piuttosto calmo nonostante tutto quel trambusto. Michael le trottò dietro, lasciando nel castello Calcifer che continuava a produrre fiamme dal blu al bianco. La strada era affollata di gente col naso in aria. Nessuno ebbe il tempo di meravigliarsi di un cavallo che usciva dalla porta di un'abitazione. Anche Sophie e Michael alzarono il capo e scoprirono un'enorme nuvola che ribolliva proprio sopra la cima dei comignoli. Era nera e roteava violentemente su se stessa, ed era attraversata da lampi bianchi che erano qualcosa di diverso dai normali fulmini. Dopo poco quel gigantesco grumo di magia prese la forma di un fascio di serpenti che si combattevano in


una specie di nebbia. Poi si separarono in due mucchi con l'assordante verso di un enorme gatto impegnato in un combattimento furioso. Un gruppo di serpi si precipitò sui tetti e, ululando, si fece strada verso il mare, un altro si mise all'inseguimento del primo urlando terribilmente. A quel punto alcune persone si rifugiarono in casa, ma Sophie e Michael seguirono i più coraggiosi che si precipitavano per le stradine che scendevano al molo. Una volta arrivati, sembrò che la maggior parte delle persone pensasse che la vista migliore si sarebbe avuta lungo la curva che faceva il muro di cinta del porto. Anche Sophie si avviò per quella strada, ma non ci fu alcun bisogno di oltrepassare il riparo dato dalla baracca del capitano di porto, perché due nuvoloni stavano sospesi in aria, sul mare, gli unici due nuvoloni in un tranquillo cielo blu. Erano quindi facilmente visibili, così come era ben visibile un grumo nero di tempesta che stava agitando il mare fra le due nubi e che sollevava enormi onde dalla schiuma bianca. C'era una barca sfortunata preda di quella tempesta. I suoi alberi venivano sbatacchiati avanti e indietro, mentre enormi cavalloni si abbattevano su entrambe le fiancate. L'equipaggio stava cercando disperatamente di ammainare le vele, ma una di esse era già ridotta a brandelli grigiastri. — Potrebbero almeno avere un po' di rispetto per quella povera imbarcazione — disse una voce indignata. Poi il vento e le onde provocate dalla tempesta si abbatterono sul muro del porto. La spuma bianca lo superò e gli spettatori coraggiosi, che erano rimasti fuori dal suo riparo, si precipitarono spintonandosi al di qua del muro, dove le barche alla fonda facevano, comunque, gemere gli ormeggi. A un certo punto si aggiunsero delle voci acute che urlavano e cantavano. Sophie si arrischiò a sporgere la faccia oltre il riparo della


baracca, nella direzione da cui proveniva quello strano suono. Scoprì così che quel turbine di magia aveva sconvolto qualcosa di più delle onde del mare e della barca che stava rischiando il naufragio. Un folto gruppo di signore tutte bagnate e dall'aspetto viscido si dirigeva verso il muro del porto con i capelli verdastri al vento. Agitavano le lunghe braccia bagnate e urlavano perché dalle onde comparissero altre loro simili. Al posto delle gambe, ognuna di loro aveva una lunga coda di pesce. — Accidenti! — imprecò Sophie. — Le sirene della maledizione! Quello significava che solo altre due cose impossibili avrebbero ora dovuto avverarsi. Alzò lo sguardo verso le due nuvole. Howl stava inginocchiato su quella alla sua sinistra, che ora appariva più grande e più vicina di quanto lei si sarebbe aspettata. Era ancora tutto vestito di nero e, cosa abbastanza caratteristica da parte sua, stava osservando, da sopra una spalla, le frenetiche sirene. Ma non le stava guardando come se gli fosse venuto in mente che facessero parte della maledizione. — Mantieni la tua mente fissa sulla Strega! — urlò il cavallo che era di fianco a Sophie. Di colpo la Strega si materializzò sulla nube di destra, in un vortice di veli color fiamma e di lunghi capelli rossi, con le braccia alzate nell'atto di invocare ulteriore potere magico. Come Howl si girò a guardarla, le sue braccia si abbassarono. La nuvola di Howl eruttò una fontana di fiamme rosate. Il calore sprigionato spazzò il porto e le pietre del muro fumarono. — Va tutto bene! — disse il cavallo con voce strozzata. Howl si tuffò, affondando quasi l'imbarcazione sottostante. Ora era diventato una figurina nera, appoggiata all'inclinato albero maestro. Con un cenno ironico della mano, Howl fece capire alla Strega che lo aveva mancato. La Strega lo vide


nell'attimo stesso in cui alzava la mano. Nuvola, Strega, e tutto il resto si trasformarono all'istante in un selvaggio rapace dalle piume rosse che si tuffò verso l'imbarcazione. La barca era già scomparsa. Le sirene intonarono un canto, che era un urlo dolente. Dove poco prima c'era il battello ora non c'era più niente, se non le acque del mare che ribollivano. Ma l'uccello andava troppo veloce per frenare il suo tuffo e piombò fra le onde, sollevando montagne d'acqua. Gli spettatori applaudirono. — Sapevo che non era una vera barca! — disse qualcuno dietro Sophie. — Sì, dev'essere stata un'illusione. Era troppo piccola per essere reale — intervenne saggiamente il cavallo. A riprova del fatto che la barca fosse molto più vicina di quanto fosse sembrato durante il combattimento, le onde arrivarono sul muro prima che Michael avesse finito di parlare. Una muraglia d'acqua verde alta venti piedi si abbatté sul riparo del molo, spazzando le sirene urlanti nel porto e facendo rollare le imbarcazioni alla fonda in modo talmente violento da capovolgerle. Poi si infranse sulla baracca in mille vortici. Un braccio uscì dalla pancia del cavallo, afferrò Sophie e la trascinò verso la banchina. Sophie, col fiato corto, sguazzò nell'acqua grigia che le arrivava al ginocchio. L'uomo-cane, bagnato fino alle orecchie, si affiancò ai compagni. Avevano appena raggiunto la banchina e le imbarcazioni nel porto erano tornate a dondolare dalla parte giusta, quando una seconda altissima ondata scavalcò il muro del bacino. Dalla muraglia d'acqua uscì un mostro. Era una cosa lunga e nera dotata di artigli, mezzo gatto e mezzo leone marino, e si stava precipitando verso la banchina. Ed ecco un altro mostro uscire dall'onda e abbattersi in porto: anch'esso era lungo e basso, ma con il dorso coperto di squame, e rincorreva il mostro


precedente. Tutti si resero conto che il combattimento non era ancora terminato e si precipitarono a trovare un riparo o a entrare nelle case lungo la banchina. Sophie prima s'inciampò in una corda, poi cadde sul gradino di una porta. Di nuovo uscì il braccio dalla pancia del cavallo e la rimise in piedi, mentre i due mostri li superavano coprendoli di spruzzi d'acqua salmastra. Un'altra onda si alzò oltre il muro del porto e ne uscirono altri due mostri, identici ai primi due, tranne che il mostro inseguitore questa volta era più vicino al mostro metà gatto, metà leone marino. Poi un'altra ondata portò con sé un'altra coppia di creature mostruose identiche alle precedenti, ma la distanza fra loro, questa volta, era ancora minore. — Cosa sta succedendo? — squittì Sophie al terzo passaggio dei mostri che scuotevano nella loro corsa le pietre del molo. — Illusioni — rispose la voce di Michael dall'interno del cavallo. — Alcune sono semplicemente illusioni ottiche. Entrambi, ora, stanno cercando di ingannarsi l'un l'altra, sperando che l'avversario dia la caccia al mostro illusorio. — Chi è chi? — gli chiese Sophie. — Non ne ho la minima idea. Alcuni spettatori trovarono che i mostri erano davvero troppo terrificanti e se ne andarono a casa. Altri saltarono nelle barche legate alla banchina per godersi lo spettacolo fuori dal passaggio dei mostri. Sophie e Michael, invece, si unirono al gruppo dei coraggiosi che seguiva i mostri per le stradine di Porthaven. Prima seguirono il rigagnolo d'acqua salmastra che era colata dalle mostruose creature, poi le enormi impronte bagnate, infine i graffi biancastri che gli artigli dei mostri avevano prodotto sulle pietre della strada. Tutte queste impronte li condussero fuori dalla cittadina verso le paludi, dove Sophie e Michael


erano andati a caccia della stella cadente. A quel punto tutte e sei le creature mostruose erano diventate dei puntini neri in lontananza, che presto svanirono all'orizzonte. La folla si dispose istintivamente in una lunga linea che fiancheggiava i primi stagni. Tutti guardavano all'orizzonte, sperando di riuscire a scorgere qualcosa e, al tempo stesso, avevano paura dello spettacolo al quale avrebbero potuto assistere. Dopo un po' ognuno di loro aveva davanti agli occhi solo le pozze d'acqua delle paludi. Non accadeva più nulla. Diverse persone stavano già per andarsene, quando qualcuno gridò: — Guardate! In lontananza una palla di fuoco dalle sfumature tenui si stava alzando pigramente, ruotando su se stessa. Doveva essere enorme, poiché enorme era la distanza, infatti lo scoppio che l'accompagnò raggiunse gli spettatori solo quando la sfera di fuoco si era già trasformata in un'alta colonna di fumo. La folla ebbe un sussulto a quello scoppio più forte di un tuono e rimasero a osservare il fumo che si dileguava, finché non si confuse del tutto con la nebbiolina delle paludi. Gli spettatori continuarono a rimanere dov'erano con il naso in aria, ma ormai tutto era pace e silenzio. Il vento passava fischiando fra le alte erbacce delle paludi e gli uccelli osarono riprendere il loro canto. — Penso che si siano distrutti l'un l'altra — era la voce che correva fra la folla, che gradualmente tornò a essere un insieme di singole figure che si affrettavano a tornare alle loro faccende piantate a metà. Sophie e Michael aspettarono fino alla fine, quando fu evidente che tutto era finito, quindi se ne tornarono a Porthaven, in silenzio. Né l'uno, né l'altra aveva voglia di parlare, e solo l'uomo-cane sembrava felice, zampettava di fianco a loro vivace come un cucciolo. Sicuramente pensava che Howl fosse stato


annientato nel combattimento. Quando girarono nella loro strada, un gatto randagio attraversò la via. L'uomo-cane cominciò ad abbaiare tutto contento e partì a razzo all'inseguimento. Raggiunse il gatto con un balzo e si fermò, con la bestiola in bocca, sulla soglia del castello, dove si girò a guardare Sophie e Michael tutto orgoglioso. — Mollami — miagolò il gatto. — Mi mancava solo questo! L'uomo-cane mollò il gatto e arretrò con un'espressione piena di vergogna dipinta sul muso. Nel frattempo Michael era arrivato al galoppo, nitrendo di gioia: — Howl! Il gatto rabbrividì e diventò un micio dall'aria afflitta. — E voi due siete ben ridicoli!... Apri quella porta, sono esausto. Sophie aprì la porta e il gatto zampettò dentro, dirigendosi immediatamente al focolare, dove Calcifer era ridotto a piccole fiammelle blu. Poi, con un certo sforzo, mise la zampine anteriori sul sedile della sedia accanto al camino. Poco a poco tornò a essere Howl, anche se era rimasto praticamente piegato in due. — Hai ucciso la Strega? — gli chiese subito Michael, mentre si toglieva il mantello e tornava se stesso. — No —. Si girò e si lasciò andare sulla sedia. Sembrava veramente prostrato. — E tutto all'acme di un terribile raffreddore! Sophie, ti prego, togliti quell'orrenda barba rossa e va' a cercare la bottiglia di brandy in dispensa, sempre che tu non te la sia scolata o l'abbia trasformata in trementina... Sophie si tolse il mantello, trovò la bottiglia di brandy e un bicchiere che porse al Mago. Howl se ne versò un bicchiere pieno che scolò come fosse acqua. Poi lo riempì nuovamente e, invece di berlo, lo verso piano piano, con grande cura, su Calcifer che fiammeggiò, mandò qualche scintilla e sembrò un po' rinfrancato dalla bevanda. Poi Howl riempì per la terza volta


il bicchiere e si accomodò sulla sedia per sorseggiarlo. — Non fissatemi in quel modo. Non so chi abbia vinto. La Strega è un avversario terribilmente potente. Fa soprattutto affidamento sul suo demone del fuoco e se ne sta dietro di lui, fuori dai guai. Penso, comunque, che le abbiamo dato qualcosa su cui riflettere, eh, Calcifer? — È un vecchio demone — rispose Calcifer con un debole guizzo da sotto i ceppi. — Io sono più forte di lui, ma lui conosce cose alle quali io non ho mai pensato. Stanno insieme da cent'anni e mi ha mezzo ammazzato! Il fuoco sembrò friggere un po' sotto la legna, poi alzò la testa per brontolare: — Avresti potuto avvertirmi! — L'ho fatto, vecchio imbroglione! — La voce di Howl suonava più che mai stanca. — Tu sai tutto quello che so io. Howl continuò a sorseggiare il suo brandy, mentre Michael tirava fuori pane e salame. Il cibo rinfrancò tutti quanti, tranne forse l'uomo-cane che, ora che il Mago era tornato, aveva un'aria piuttosto sottomessa. Anche Calcifer, poco a poco, riacquistò il suo bel colore blu. — Così non può andare! — Howl si alzò in piedi e si rivolse a Michael. — Ascoltami bene. La Strega sa che siamo a Porthaven. Non solo dobbiamo spostare il castello e l'entrata di Kingsbury, dovrò anche trasferire Calcifer nella casa attigua alla cappelleria. —Spostare me?— gracchiò incredulo Calcifer, che era diventato azzurro dall'angoscia. — Sì, certo. Hai solo due possibilità: o Market Chipping o la Strega. Non fare il difficile! — Ah, le maledizioni! — e si nascose nel più profondo del focolare.


CAPITOLO DICIASSETTE In cui il castello magico cambia casa Howl si mise al lavoro così alacremente che sembrava fosse reduce da una settimana di vacanza e non da un terribile scontro con la Strega. Se Sophie non l'avesse visto combattere un'ora prima, non ci avrebbe mai creduto. Il Mago e Michael si muovevano come schegge impazzite per casa, urlandosi a vicenda delle misure e facendo col gesso degli strani segni sulle pareti dove prima avevano messo le graffe metalliche. Sembrava che dovessero segnare ogni angolo, compreso il cortile. La 'cuccia' di Sophie nel sottoscala e un posto nel bagno col soffitto dalla forma strana diedero loro un sacco di grane. Sophie e l'uomo-cane furono spinti prima in un angolo, poi in un altro, infine fu loro ordinato di starsene fuori dai piedi, così Michael poté disegnare col gesso una stella a cinque punte inscritta in un cerchio per terra. Michael aveva appena finito quel lavoro e stava spazzando via la polvere e le tracce di gesso dalle ginocchia, quando Howl piombò nella stanza, con l'abito nero chiazzato di calce. Sophie e l'uomo-cane furono nuovamente spostati, perché Howl doveva tracciare strani caratteri sia dentro la stella e il cerchio, che tutt'attorno. Sophie e l'uomo-cane, che era scosso da tremiti continui, trovarono rifugio sulle scale; anche l'animale, evidentemente, non amava affatto la magia. Howl e Michael si precipitarono in cortile, poi Howl rientrò come una furia. — Sophie! Presto, dimmi cosa venderemo in quel negozio. — Fiori — gli rispose Sophie, a cui era di nuovo tornata alla mente la signora Fairfax.


— Perfetto — acconsentì Howl e si precipitò alla porta con un barattolo di vernice e un piccolo pennello. Intinse il pennello e ricoprì con cura la parte blu del pomello sulla porta, facendola diventare gialla. Poi immerse di nuovo il pennello che uscì dal barattolo intinto di porpora e con quel colore dipinse la faccia del pomello che prima era verde. Poi ripetè l'operazione e, questa volta, il pennello uscì intinto di vernice arancione, che andò a coprire la parte rossa. Howl non toccò il lato nero e si girò di scatto per fare qualcos'altro, ma il bordo di una manica gli finì nel barattolo assieme al pennello. — All'inferno! — imprecò, tirando fuori la manica, che era diventata di tutti i colori dell'arcobaleno. La scosse energicamente e tornò nera. — Quale vestito indossi, in realtà? — gli chiese Sophie, che non sapeva darsi pace a quel proposito. — L'ho dimenticato. Non interrompermi. Il difficile deve ancora arrivare — e si precipitò a riporre il barattolo sul banco da lavoro, dove prese un piccolo recipiente pieno di polvere. — Michael! Dov'è la pala d'argento? Michael rientrò come un fulmine dal cortile, reggendo un grande badile luccicante. Il manico era di legno, ma la pala sembrava proprio d'argento massiccio. — Tutto pronto, qui fuori! Howl si appoggiò il badile sulle ginocchia per poter fare un segno col gesso sia sul manico che sulla parte metallica e vi spolverò sopra la polvere contenuta nel recipiente. Poi, con cura estrema, mise una presa degli stessi granelli su ciascuna punta della stella e versò il resto sulla sua parte centrale. — Sta' ben attento, Michael. Ognuno stia attento. Sei pronto, Calcifer? Calcifer emerse dai suoi ceppi di legna sotto forma di una lunga e sottile fiamma blu. — Pronto come sempre... Sai, vero,


che questo potrebbe uccidermi? — Guardala dal lato positivo... potrei essere io a restare ucciso! Tieniti ben fermo. Uno... Due... Tre! . Con grande abilità infilò la pala nella grata del focolare, lentamente, tenendola ben salda e piatta. Per un secondo la mosse delicatamente, con la destrezza di un giocoliere, perché s'infilasse sotto Calcifer. Poi, ancor più gentilmente e con maggiore fermezza, la sollevò. Michael, ovviamente, non faceva altro se non trattenere il respiro. — Fatto! — annunciò Howl, mentre i ceppi rotolavano ai lati della pala, senza essersi bruciati. Howl si alzò in piedi e si girò, portando Calcifer sul badile d'argento. La stanza si riempì di fumo. L'uomo-cane guaì e rabbrividì. Howl tossì ed ebbe il suo daffare a tener diritta la pala. Gli occhi di Sophie lacrimavano e faceva fatica a vedere, comunque riuscì a rendersi conto che il demone le aveva detto la verità: non aveva né piedi, né gambe. Era una lunga faccia blu appuntita, piantata in una massa nera che brillava debolmente. La massa nera aveva una protuberanza che, a prima vista, sembrava essere formata da due piccole ginocchia, come se Calcifer fosse seduto su delle gambe corte, ripiegate sotto di sé. Ma quando il demone si dondolò un po' per assestare la sua posizione, Sophie vide che la massa che formava il corpo di Calcifer era tonda. Naturalmente lui non si sentiva per nulla sicuro. I suoi occhi arancione erano sgranati dalla paura e continuava a protendere due piccole fiamme a forma di braccia verso i bordi della pala, nel tentativo di reggersi. — Faremo presto, non temere! — gli disse Howl con tono rassicurante. Ma dovette chiudere la bocca immediatamente e fermarsi un attimo nello sforzo di non tossire. La pala ondeggiò e Calcifer ne fu terrorizzato. Il mago si riprese e, con un lungo


passo accorto, entrò nel cerchio disegnato a terra, poi con un altro passo fu nel centro della stella. Lì, tenendo la pala ben piatta, fece un lento giro su se stesso, e Calcifer girò con lui. La sua faccia era una fiamma azzurrognola e gli occhi puro panico! Sembrò che l'intera stanza girasse con loro. L'uomo-cane si strinse a Sophie. Michael barcollò e Sophie provò la sensazione che quel pezzo di mondo su cui si trovavano si staccasse dal resto e fosse preso in un vortice che le dava il mal di mare. Capiva perfettamente Calcifer e il suo terrore. Ogni cosa stava ancora roteando, quando Howl mosse gli stessi due passi lenti e misurati per uscire dal cerchio. S'inginocchiò davanti al focolare e, con enorme cura, fece scivolare Calcifer di nuovo nella grata del camino, poi tornò a mettergli tutt'attorno i ceppi di legna. Il demone levò fiamme sfumate di verde, mentre Howl tossiva, appoggiato al badile. La stanza dondolò, poi si fermò. Per alcuni istanti, mentre il fumo ristagnava nell'aria, Sophie, con grande stupore, vide i contorni del salotto della casa dov'era nata. Lo riconobbe anche se il pavimento era di nude assi di legno e non c'erano quadri alle pareti. La stanza del castello sembrò entrare e adattarsi alla forma del salotto, restringendosi da un lato, allargandosi da un altro, abbassando il soffitto perché i travi combaciassero con i propri... finché le due stanze non furono perfettamente mescolate assieme, allora tornò a essere di nuovo la consueta stanza del castello, tranne che, adesso, era forse un pochino più alta e quadrata di prima. — Ce l'hai fatta, Calcifer? — gli chiese Howl, tossendo. — Penso di sì — rispose il demone, alzando le fiamme su per il camino. Ora aveva un aspetto molto migliore di quando se ne stava sul badile. — È meglio, comunque, che tu dia una controllata.


Howl si alzò in piedi appoggiandosi alla pala, poi aprì la porta col pomello sul giallo. Fuori dall'uscio comparve la strada di Market Chipping che Sophie conosceva da quando era nata. Persone a lei note stavano facendo la passeggiata serale, prima di cena, com'era abitudine d'estate. Howl fece cenno di sì con il capo alla volta di Calcifer, chiuse la porta, girò il cubo con la faccia arancione verso il basso e aprì di nuovo l'uscio. Un ampio viale, coperto d'erbacce, partiva dalla soglia e si snodava fra macchie di alberi che allungavano la loro ombra alla luce del sole morente. In distanza si vedeva un cancello con gli stipiti di pietra, sormontati da statue. — Dov'è questo posto? — chiese Howl. — È un'ampia tenuta situata alla fine della valle — gli rispose Calcifer, piuttosto sulla difensiva. — È la bella casa che tu mi hai detto di trovare. È veramente magnifica. — Ne convengo, ma... spero che i proprietari non abbiano nulla da obiettare —. Howl chiuse l'uscio e girò il pomello sul porpora. — E ora la dimensione in cui il castello si sposta — e riaprì la porta. Fuori era l'imbrunire, un vento caldo portava dentro al castello aromi differenti. Sophie riuscì a scorgere una bordura di foglie scure, che scivolavano sotto di loro, carica di fiori purpurei. Il castello si mosse lentamente e la siepe fu sostituita da un tratto di terreno coperto da gigli bianchi, che apparivano diafani nell'oscurità. Oltre quella bianca distesa, il sole morente faceva brillare una pozza d'acqua. Il profumo era talmente paradisiaco che Sophie si ritrovò in mezzo alla stanza senza neanche accorgersene. — No, mia cara, non ci ficcherai il tuo lungo naso almeno fino a domani — le disse Howl, chiudendo la porta con un colpo secco. — Questa zona è proprio si margini delle Terre Desolate.


Ben fatto, Calcifer. Perfetto. Una bella casa e un sacco di fiori, tutto come ordinato! Appoggiò il badile e se ne andò a letto. Doveva essere veramente spossato, poiché non si udì alcun suono provenire dalla sua camera, se non, ogni tanto, qualche lieve colpo di tosse. Anche Sophie e Michael erano stanchissimi. L'apprendista si lasciò andare sulla sedia e si mise ad accarezzare l'uomo-cane, con lo sguardo fisso, inebetito. Sophie si arrampicò sullo sgabello, sentendosi più che mai strana. Avevano traslocato, ma il posto sembrava lo stesso, eppure era diverso e tutto sembrava confuso. Perché poi trasferire il castello ai confini delle Terre Desolate proprio ora? Forse era la maledizione a spingere Howl verso la Strega? O forse il Mago era fuggito così velocemente dalle proprie responsabilità da ritrovarsi di colpo dietro a se stesso, e si era trasformato in un uomo che la gente avrebbe comunemente definito 'onesto'? Sophie si volse verso Michael per vedere cose ne pensasse, ma Michael e l'uomo-cane dormivano profondamente. Sophie allora spostò lo sguardo su Calcifer, che riposava emettendo piccole fiammelle rosate, con gli occhi arancione quasi chiusi. Le tornò in mente l'immagine del demone che pulsava, con le fiamme praticamente bianche, poi ancora Calcifer che sgranava gli occhi pieni d'ansia, mentre dondolava sulla pala. Allora la forma del suo corpo e l'insieme di tutti questi particolari le fecero ricordare qualcosa. — Calcifer, sei mai stato una stella cadente? Il demone aprì un occhio arancione e lo puntò su di lei. — Certo, te lo posso raccontare, se vuoi. Il contratto mi permette di farlo. — Ed è stato Howl a catturarti? — Cinque anni fa, nelle Paludi di Porthaven. Fu dopo poco


che si era sistemato in quella cittadina col nome di Jenkins lo Stregone. Mi rincorse con gli stivali delle sette leghe e mi catturò. Io ero terrorizzato sia da lui sia dal fatto che sapevo di dover comunque morire. Avrei compiuto qualsiasi gesto pur di sopravvivere. Quando Howl mi offrì di mantenermi in vita, così come vivono gli umani, gli suggerii di stipulare un contratto, lì all'istante. Né io, né lui sapevamo a cosa andavamo incontro: io lo feci per gratitudine e lui perché era dispiaciuto per me. — Proprio come Michael — intervenne Sophie. — Sì? Che c'è? —. L'apprendista si era svegliato. — Oh, Sophie. Come vorrei che avessimo sbagliato posto. Non sapevo proprio che ci saremmo ritrovati sull'orlo delle Terre Desolate. Non mi sento affatto al sicuro. — Nessuno è al sicuro in casa di un Mago — intervenne Calcifer. La sua voce proveniva dal più profondo del suo essere. La mattina successiva la porta aveva il pomello sul nero e, a dispetto di Sophie, non si apriva, in qualsiasi direzione girasse la manopola. Voleva vedere quei fiori, Strega o non Strega! Decise di sopire la sua ansia prendendo un secchio d'acqua e sfregando via i segni di gesso che erano rimasti sul pavimento. Dopo un attimo, il Mago fu di ritorno. — Lavoro, lavoro, lavoro! — le disse mentre la scavalcava. Aveva un aspetto un po' strano. Il suo vestito era ancora di un nero intenso, ma i capelli erano tornati chiari, anzi, per contrasto con l'abito, sembravano bianchi. Sophie gli lanciò una lunga occhiata e pensò alla maledizione della Strega... forse ci aveva pensato anche lui. Nel frattempo Howl aveva tolto dall'acquaio il teschio e, tenendolo con una mano, recitava in tono funereo: — Ahimè, mio povero Yorick! Ella ha udito le sirene, ne consegue che c'è qualcosa di marcio in Danimarca. Ho preso un raffreddore senza fine, ma, per fortuna, sono terribilmente disonesto. Mi resta solo


questo a cui aggrapparmi —. Poi tossì in modo patetico, ma il suo raffreddore stava in effetti migliorando, e i colpi di tosse suonarono poco convincenti. Sophie scambiò un'occhiata significativa con l'uomo-cane, che se ne stava seduto, guardandola con lo stesso sguardo dolente che aveva Howl. — Dovresti tornartene da Lettie — mormorò rivolta alla bestia, poi chiese al Mago: — Qual è il tuo problema, adesso? Non va bene con la signorina Angorian? — Per niente... Lily Angorian ha il cuore più duro del marmo —. Rimise il teschio nell'acquaio e chiamò Michael a gran voce. — Cibo! Lavoro! Su, su... Dopo colazione tirarono fuori dal ripostiglio ogni cosa. Poi Michael e Howl fecero un buco nella parete dello stanzino. Volò fuori un sacco di polvere e si sentirono dei tonfi strani. Alla fine chiamarono Sophie, che si portò dietro la scopa per far capire immediatamente le sue intenzioni. Dove prima si trovava un muro, ora c'era un'arcata. Portava ai gradini che avevano unito da sempre la sua casa al negozio. Howl la sospinse nella bottega e la invitò a guardare. Era vuota e si sentiva l'eco dei suoi passi su un pavimento che, adesso, era a scacchi bianchi e neri, come quello nell'ingresso della signora Pentstemmon. Gli scaffali, che una volta avevano contenuto i cappelli, erano vuoti, fatta eccezione per un vaso di rose di seta e un mazzolino di primule gialle in velluto. Sophie si rese conto che ci si aspettava da lei un segno di ammirazione, così se ne stette zitta. — Ho trovato i fiori nel magazzino sul retro — la informò Howl. — Vieni a vedere l'esterno. Aprì la porta che dava sulla strada e la stessa campanella di un tempo risuonò in modo familiare. Sophie avanzò nella via, ancora vuota vista l'ora mattutina. La facciata del negozio era stata ridipinta di verde e giallo. Sopra la vetrina, a caratteri


svolazzanti, era scritto: H. JENKINS FIORI FRESCHI TUTTI I GIORNI. — Vedo che hai cambiato opinione sui nomi più comuni... — Solo per non dare nell'occhio, mia cara Sophie... Preferisco sempre Pendragon. — E da dove arriveranno i fiori freschi? Non puoi avere un'insegna del genere e pretendere di vendere rose finte per cappelli! — Aspetta e vedrai — le rispose Howl, riconducendola in negozio. Attraversarono la bottega vuota e uscirono nel cortile che Sophie aveva calpestato fin da bambina. Era ridotto alla metà delle sue antiche dimensioni, poiché il cortile del castello ne occupava una parte. Sophie guardò oltre il muro di mattoni che delimitava la corte del castello. Provò un sentimento strano nel vedere la nuova finestra che sapeva appartenere alla camera di Howl, e un sentimento ancora più strano la pervase quando si rese conto che da quella finestra non si vedeva il panorama che lei aveva ora davanti agli occhi. Là, sopra il negozio, c'era poi la finestra di quella che era sempre stata la sua cameretta Era conscia del fatto che non avrebbe mai più potuto entrare nella sua stanza da letto e questo la scombussolò del tutto. Come rientrarono e raggiunsero di nuovo il ripostiglio, sul volto di Sophie si dipinse un'espressione imbronciata. Veder la sua vecchia casa ridotta in quel modo le creava un groviglio di sentimenti diversi e un senso di panico. — Penso che sia tutto molto carino — riuscì comunque a dire. — Davvero? — disse di rimando Howl, che, evidentemente, era piuttosto urtato. Gli avrebbe fatto senz'altro piacere che il suo lavoro fosse ben più apprezzato, pensò Sophie, mentre il Mago rientrava nel castello e girava il pomello della porta sul porpora. In ogni caso lei non l'aveva mai lodato, non più di


quanto avesse fatto Calcifer, e non vedeva il motivo di cominciare a sperticarsi dagli elogi proprio adesso. La porta si aprì. Cespugli enormi carichi di fiori stavano passando lentamente sotto di loro. Poi il castello si fermò per farli scendere. Fra i cespugli c'erano sentieri coperti d'erba verde che brillava nel sole mattutino. Sembrava che si allontanassero in mille direzioni diverse. Howl e Sophie cominciarono a percorrere quello più vicino, mentre il castello li seguiva spazzando via petali al suo passaggio. Sebbene fosse una costruzione alta, nera e sbilenca, che emetteva nuvolette di fumo ora da una torre, ora da un'altra, il castello non sembrava essere fuori luogo. Naturalmente si trattava ancora di magia, Sophie lo sapeva bene, comunque bisognava ammettere che l'edificio si adattava perfettamente al paesaggio. L'aria era calda, piena di vapori e ricca di migliaia di essenze differenti che provenivano da tutta quella fioritura. Sophie si trattenne appena in tempo dal dire che le venivano in mente tutti i profumi che di solito uscivano dalla stanza da bagno di Howl. Quel posto era veramente meraviglioso. Fra i cespugli carichi di fiori purpurei, rossi e bianchi, l'erba umida era punteggiata da fiori più piccoli: fiorellini rosa con solo tre petali, viole giganti, flox selvatici, lupini di tutti i colori, gigli arancione, alti gigli bianchi, iris e miriadi di altri fiori. C'erano poi piante rampicanti cariche di fiori che sarebbero andati bene a guarnire i cappelli, fiordalisi, papaveri e piante dalla foggia strana e dalle foglie di un colore ancora più inusuale. Non assomigliava affatto al suo sogno di avere un giardino simile a quello della signora Fairfax, ma Sophie dimenticò del tutto la sua scontentezza e cancellò dal suo volto il broncio che aveva tenuto fin lì, per lasciare il posto a un'espressione deliziata. — Guarda! —. Howl alzò un braccio e la sua lunga manica


nera disturbò centinaia di farfalle che banchettavano su un cespuglio di rose gialle. — Possiamo tagliare i fiori ogni mattina e venderli a Market Chipping ancora coperti di rugiada. Alla fine del sentiero, l'acqua divenne acquitrinosa e videro enormi orchidee che facevano capolino da sotto i cespugli. Howl e Sophie presto arrivarono a uno stagno completamente coperto di ninfee. La foschia del mattino stava alzandosi lentamente e il castello costeggiò in parte lo stagno, poi si diresse verso un altro sentiero, molto ampio e bordato da fiori ancora diversi. — Se vieni qui fuori da sola, porta sempre con te il tuo bastone, per saggiare il terreno. Qui è pieno di sorgenti e di acquitrini. E non proseguire per questa strada, non superare questo punto — si raccomandò Howl. Indicò un punto a sud-est, dove il sole era un disco bianco, luminoso nella nebbiolina. — Laggiù ci sono le Terre Desolate... un caldo terribile, desolazione e... completo dominio della Strega. — Chi ha piantato questi fiori, proprio sull'orlo di quelle Terre? — Il Mago Suliman cominciò un anno fa — le spiegò Howl tornando verso il castello. — Penso che intendesse far fiorire il deserto e, in questo modo, liberare il mondo dalla Strega. Portò sorgenti d'acqua calda in superficie e diede vita a queste colture. Stava facendo proprio un bel lavoro, quando fu catturato dalla Strega. — La signora Pentstemmon mi ha detto che Suliman, all'inizio, si chiamava in un altro modo e veniva dal tuo stesso mondo. È vero? — Più o meno, però io non l'ho mai incontrato. Pochi mesi dopo la sua scomparsa arrivai qui e continuai per un po' la sua opera. Mi sembrava una buona idea. È così che ho incontrato la


Strega. A lei non piaceva affatto quel progetto. — E perché? Il castello li stava aspettando Howl aprì la porta, ma si fermò per un attimo. — Alla Strega piace pensare a se stessa come un fiore, un'orchidea solitaria che fiorisce nel deserto. Veramente patetica. Sophie diede un'altra occhiata a quella distesa di fiori, poi seguì il Mago all'interno del castello, dove c'erano delle rose, migliaia di rose. — La Strega saprà che sei qui? — Ho cercato di fare l'ultima cosa che lei si aspetta da me. — E stai cercando di trovare il Principe Justin? — chiese ancora Sophie, ma Howl evitò di risponderle precipitandosi attraverso il ripostiglio e chiamando Michael a gran voce. CAPITOLO DICIOTTO In cui appaiono di nuovo lo spaventapasseri e la signorina Angorian Il giorno successivo aprirono il negozio di fiori. Come Howl aveva previsto non poté essere più semplice di così. Alla mattina presto, tutto ciò che avevano da fare era aprire la porta con il pomello sul porpora e uscire nella tenue foschia per raccogliere i fiori. Presto divenne per loro una routine. Sophie prendeva le forbici e il bastone, che le serviva per saggiare il terreno, per attirare a sé i rami troppo alti delle rose rampicanti e da... interlocutore silenzioso. Michael, in quelle loro uscite, si portava dietro una sua invenzione di cui andava molto fiero. Era una tinozza larga e leggera colma d'acqua, che fluttuava nell'aria e seguiva il


ragazzo per tutto il giardino. Li accompagnava l'uomo-cane, che se la spassava correndo come un matto giÚ per i sentieri a caccia di farfalle, o cercando di afferrare la tinozza di Michael oppure gli uccellini che volavano fra i fiori. Mentre faceva le sue scorribande, Sophie recideva lunghi steli di iris o di gigli, fronde cariche di fiori arancione e mazzi di hibiscus blu, nel frattempo Michael caricava la sua invenzione di orchidee, rose, fiori bianchi a forma di stelle o qualsiasi altra pianta che catturasse la sua fantasia. Insomma, tutti e tre se la godevano un mondo. Poi, prima che il caldo diventasse troppo intenso, portavano i fiori appena raccolti in negozio e li sistemavano in una collezione di vasi variopinti e di secchi che Howl aveva scovato per loro fra la ferraglia del cortile. Due secchi, in effetti, erano gli stivali delle sette leghe e Sophie, sistemandovi dentro un fascio di gladioli, per l'ennesima volta pensò che Howl avesse perso completamente interesse per Lettie, visto che non gliene importava niente se gli stivali venivano usati come portafiori. Quando Sophie e Michael erano in giro per la raccolta, Howl era quasi sempre assente e il pomello della porta sempre sul nero. Generalmente tornava in tarda mattinata per far colazione, con l'aria sognante e l'abito nero addosso. Non avrebbe mai detto a Sophie di quale vestito in effetti si trattasse; se lei gliel'avesse chiesto, lui avrebbe dato una risposta tipo: "Sono in lutto per la signora Pentstemmon". E se Sophie o Michael gli avessero chiesto il perchÊ delle sue lunghe assenze, Howl sarebbe apparso offeso e avrebbe certamente detto: "Se vuoi parlare a un'insegnante, devi beccarla prima che inizino le lezioni". Mentre Howl passava le sue due ore consuete a fare toeletta, Sophie e Michael indossavano i loro abiti migliori e aprivano


bottega. Howl aveva insistito perché si vestissero con cura: riteneva, infatti, che questo avrebbe attirato i clienti. Sophie, invece, aveva insistito perché portassero almeno dei grembiuli sopra gli abiti. Dopo i primi giorni, quando la gente di Market Chipping si era limitata a sgranare gli occhi davanti alla vetrina senza entrare, il negozio divenne molto popolare. Era corsa voce che Jenkins aveva fiori come non se n'erano mai visti prima, così gente che Sophie aveva sempre conosciuto andò a comperare i loro fiori a mazzi. Nessuno la riconosceva e questo la faceva sentire piuttosto strana, anzi, tutti pensavano che fosse l'anziana madre di Howl. Sophie, però, ne aveva avuto abbastanza di recitare quel ruolo. — Sono sua zia — disse quindi alla signora Cesari e da quel momento fu conosciuta come Zia Jenkins. Quando Howl arrivava in negozio, con un grembiule nero che si adattava all'abito, lo trovava di solito affollato. E il suo arrivo lo rendeva ancor più pieno di clienti. Da questo Sophie dedusse che l'abito nero non era altro che la trasformazione del vestito incantato grigio e scarlatto. Qualsiasi signora Howl servisse era sicura di andar via con almeno il doppio dei fiori che effettivamente aveva chiesto. Il più delle volte le clienti se ne andavano dopo aver comperato dieci volte di più di quanto non fossero state intenzionate a fare entrando in negozio, tanto era il suo fascino incantato. Dopo un po' Sophie si accorse che le signore sbirciavano dalla vetrina, e se vedevano che c'era Howl a servire, non entravano. Sophie non poteva biasimarle. Se vuoi comperare solo una rosa da appuntarti sul seno, non puoi sentirti forzata ad acquistare tre dozzine di orchidee! Così non scoraggiò Howl, che cominciò a trascorrere lunghe ore nel laboratorio al di là del


cortile. Lui, comunque, si era premurato di darle una spiegazione: — Prima che tu me lo chieda, ti dico che sto preparando le difese contro la Strega. Quando avrò finito, non troverà alcun sistema per entrare in questo posto. Alle volte c'era un problema con i fiori che rimanevano. Sophie non poteva sopportare di vederli appassire durante la notte e scoprì che poteva mantenerli freschi se parlava con loro. Così, dopo quella scoperta, cominciò a parlare spesso alle piante. Inoltre ottenne da Michael un incantesimo di 'nutrimento' che sperimentò in qualche secchio messo nell'acquaio e in tinozze che aveva posto nel bugigattolo che un tempo usava come laboratorio. Scoprì che poteva mantenere alcune piante fresche per giorni. Così, naturalmente, fece altri esperimenti. Portò in cortile della fuliggine e vi piantò alcune cose, continuando a parlare senza sosta. Crebbe, quindi, una rosa blu notte, che le diede un'immensa soddisfazione. I boccioli erano neri come il carbone, poi, quando i fiori si dischiusero, divennero sempre più blu, della stessa tonalità che avevano le fiamme di Calcifer. Sophie era così deliziata dal proprio esperimento che prese tutte le radici che si trovavano nelle sacche appese ai travi e cominciò a sperimentare su di esse, dicendo a se stessa che non era mai stata così felice in vita sua. Questo non era del tutto vero, non era completamente felice, c'era qualcosa che non andava e lei, pur sentendolo, non riusciva a individuare cosa fosse. A volte pensava che dipendesse dal fatto che nessuno a Market Chipping la riconoscesse. Non osava andare a trovare Martha per paura di non essere riconosciuta nemmeno dalla sorella. Per lo stesso motivo non indossava gli stivali delle sette leghe e non andava a far visita a Lettie. E non poteva sopportare, comunque, di essere vista da loro ora che era


una vecchia. Michael portava a Martha i fiori che non venivano venduti. Qualche volta Sophie pensava che il problema fossero le lunghe assenze di Michael: il ragazzo se ne usciva tutto felice e lei rimaneva in negozio da sola sempre più spesso. Ma senz'altro non dipendeva neanche da quello, visto che a lei piaceva starsene da sola a vendere fiori. Alle volte il problema sembrava essere costituito da Calcifer. Il demone si annoiava. Ogni mattina non aveva altro da fare se non muovere lentamente il castello per portarli a raccogliere nuovi fiori, in nuovi vialetti. La sua faccia blu saltava fuori dalla grata non appena Sophie e Michael rientravano carichi di fiori recisi. — Voglio vedere com'è, là fuori — diceva. E Sophie gli portava foglie profumate da bruciare, che riempivano il castello di essenze simili a quelle che uscivano dal bagno. Ma Calcifer confessò che gli mancava la compagnia, loro se ne stavano tutto il giorno in negozio lasciandolo solo! Così Sophie decise di lasciare Michael a servire da solo in bottega per almeno un'ora ogni mattina, mentre lei restava a chiacchierare con il demone. Arrivò a inventare degli indovinelli per tenere Calcifer impegnato quando lei aveva da fare, ma era lo stesso scontento, tanto che sempre più spesso cominciò a chiederle quando avesse intenzione di scoprire come rompere il suo contratto con il Mago. Sophie cercò di sbarazzarsi di Calcifer con un "Sto lavorando al tuo contratto, non ci vorrà molto, ormai", ma non era proprio la verità. Aveva smesso di pensarci, a meno che non ne fosse costretta. Quand'era riuscita a mettere assieme le cose dette dalla signora Pentstemmon con tutto quello che aveva saputo sia da Howl che da Calcifer in proposito, le erano balenate delle idee piuttosto terribili riguardo a quel contratto. Era sicura che


romperlo avrebbe voluto dire la fine per entrambi, Mago e demone. Howl poteva meritarselo, ma non Calcifer. E poiché Howl sembrava che fosse tremendamente impegnato a evitare quello che rimaneva della maledizione della Strega, Sophie decise di non fare nulla. A volte Sophie pensava che fosse l'uomo-cane a renderla malinconica. Era una creatura così triste... L'unico momento in cui sembrava spassarsela era alla mattina quando li accompagnava a raccogliere i fiori. Per il resto della giornata se ne stava attaccato alle gonne di Sophie, mandando profondi sospiri. Poiché Sophie non poteva fare nulla neanche per lui, fu molto contenta quando la temperatura cominciò ad alzarsi, verso il giorno di San Giovanni, e la bestia prese a passare sempre più tempo sdraiata nelle zone d'ombra del cortile. Nel frattempo le radici che Sophie aveva piantato erano diventate piuttosto interessanti. La cipolla si era trasformata in una piccola palma che dava piccole noci profumate di cipolla. Un'altra radice aveva prodotto, invece, una sorta di girasole rosa. Solo una cresceva piuttosto lentamente, e quando alla fine mise fuori due foglie verdi, Sophie cominciò ad aspettare con grande ansia che cosa sarebbe spuntato. Il giorno successivo alla comparsa delle foglie, si sarebbe detto che la pianta potesse essere un'orchidea. Le foglie stavano virando al color malva e dal centro della pianta stava crescendo uno stelo con un grosso bocciolo. Il giorno dopo ancora, Sophie, lasciati a bagno nell'acqua fresca i fiori che aveva appena raccolto, corse nel famoso retrobottega per controllare i progressi di quella pianta strana. Il bocciolo si era aperto in un fiore rosa simile a un'orchidea passata sotto una pressa. Era piatto e unito allo stelo proprio


sotto un bottoncino rotondo. Aveva quattro petali che spuntavano da un centro carnoso e rosa: due di essi puntavano verso il basso, mentre gli altri due erano più sostenuti e messi perpendicolarmente ai precedenti. Mentre Sophie guardava stupita quella sua nuova creazione, sentì un forte profumo di fiori primaverili che l'avvertì che Howl era arrivato e se ne stava dietro di lei. — Cos'è quella cosa? — le chiese. — Se ti aspettavi una viola ultravioletta o un geranio infrarosso hai fallito il tuo esperimento, la mia Scienziata Pazza. — A me sembra un fiore neonato bello schiacciato — intervenne Michael, che si era avvicinato a curiosare. In effetti era una giusta definizione e Howl, sollevando la pianta, lanciò un'occhiata allarmata al suo apprendista. Tolse il fiore con tutto lo stelo dal vaso, separò con cura i bianchi peli radicali dalla fuliggine e dai granelli di pozione magica usati come nutrimento, e osservò la radice a fittone, marrone biforcuta, che Sophie aveva messo in origine a germinare. — Avrei dovuto indovinarlo. È la radice di mandragola. Sophie ha colpito di nuovo. Hai un tocco particolare, vero Sophie? Rimise a posto con cura la pianta, la porse a Sophie e se ne andò. Il suo viso era diventato mortalmente pallido. Così la maledizione ormai si era avverata quasi del tutto, pensò Sophie mentre sistemava i fiori nella vetrina del negozio. La radice di mandragola aveva generato un figlio. Ora rimaneva un'unica cosa: il mulinello che spinge l'onesto oltre ogni tranello. Se significava che l'animo di Howl doveva diventare onesto, c'era ancora qualche possibilità che la maledizione non si compisse mai... in ogni caso Sophie si sentì preoccupata e colpevole.


Mentre faceva queste riflessioni, si mise a sistemare un fascio di gigli bianchi in uno dei due stivali delle sette leghe proprio sul davanti della vetrina, quando un suono proveniente dalla strada la colpì in modo particolare. Era un battito regolare sul selciato, ma non si trattava senz'altro di un cavallo... era più come un bastone che pestasse forte sulla via, nel suo ritmico procedere. Il cuore di Sophie cominciò a fare il matto. Sicuramente era lo spaventapasseri che avanzava nel centro della strada. Sophie finalmente osò alzare gli occhi e lo vide: gli stracci che gli coprivano le braccia stecchite erano diventati più grigi e sbrindellati e la rapa che formava la sua faccia era avvizzita in un'espressione determinata, come se avesse continuato a battere il terreno a zoppogalletto da quando Howl l'aveva scacciato per ritornare, a ogni costo, al punto di partenza. Sophie non era la sola a essere spaventata, le poche persone che erano già per strada stavano scappando via più velocemente che potevano alla vista dello strano spaventapasseri, che sembrava non curarsi di nessuno e continuava testardo per la sua strada. Sophie nascose il viso. — Non siamo qui! — bisbigliò per darsi coraggio. — Tu non sai che noi siamo qui! Non ci potrai mai trovare. Vattene via subito! Ma mentre lo spaventapasseri si avvicinava al negozio, il tump tump del suo bastone rallentò. Sophie avrebbe voluto urlare per chiedere aiuto a Howl, ma sembrava che fosse solo capace di ripetere: — Non siamo qui! Vattene via subito. Subito! Non appena ebbe pronunciato quelle parole, il battito ritmico sul selciato accelerò, proprio come lei gli aveva ordinato, e lo spaventapasseri superò il negozio senza fermarsi, poi continuò per la sua strada attraverso Market Chipping. Sophie pensò di essere sul punto di svenire dalle vertigini, poi si rese conto di


stare ancora trattenendo il respiro, permise all'aria di scenderle in profondità nei polmoni e fu scossa da un brivido di sollievo. Se lo spaventapasseri fosse tornato, ora sapeva che avrebbe potuto scacciarlo. Quando Sophie rientrò nella stanza del castello, vide che Howl se n'era andato. — Sembrava terribilmente turbato — le disse Michael. Sophie guardò il pomello sopra la porta: aveva la parte nera rivolta verso il basso. Non abbastanza turbato per evitare di vedere la signorina Angorian, però! In mattinata uscì anche Michael per andare da Cesari, così Sophie si ritrovò da sola in negozio. Era molto caldo e, nonostante gli incantesimi, i fiori ne soffrivano. Del resto c'erano poche persone che avevano voglia di acquistare delle piante. Sophie, a quel punto, si sentì tristissima: gli scarsi clienti, il caldo, la radice di mandragola e, per finire, lo spaventapasseri, contribuivano tutti assieme alla sua depressione. — Penso che il mio stato d'animo dipenda soprattutto dalla mia primogenitura... — sospirò rivolta ai fiori. — Guardatemi! Mi ero messa in cerca del mio destino e sono finita esattamente nel punto da cui ero partita, per di più vecchia come le colline! A quel punto l'uomo-cane mise il naso dentro al negozio e Sophie sospirò: non passava un'ora senza che quella creatura non andasse a controllarla. — Sono sempre qui — gli disse. — Dove pensavi che fossi andata? Il cane entrò nel negozio, si mise seduto, poi allungò le zampe davanti a sé e cominciò a stirarsi con forza. Sophie comprese che stava cercando di tornare a trasformarsi in un uomo e cercò di essere gentile con lui. Povera creatura, dopo


tutto lui stava senz'altro peggio di lei. — Provaci, provaci ancora con convinzione... stira la tua schiena... puoi essere un uomo, se lo vuoi. Il cane si stirò, tirò la schiena, spinse e tirò ancora, e proprio quando Sophie pensava che avrebbe rinunciato oppure che sarebbe finito di colpo in fondo al negozio, riuscì a sollevarsi sulle zampe posteriori e a far emergere l'uomo dai capelli rossi che aveva in sé. — Invidio... Howl — disse respirando a fatica. — Lui fa... così facilmente... Io ero... cane nella siepe... tu aiutasti. Detto Lettie... Io ti conoscevo... Continuerò fare guardia... Io stato qui... prima... Poi cominciò a piegarsi su se stesso per trasformarsi di nuovo in un cane, ma prima riuscì a ululare: — Con la Strega in negozio! —. E cadde sulle mani, mentre gli cresceva una gran massa di pelo grigio e bianco. Sophie fissò stupita l'enorme cane irsuto che le stava di fronte. — Eri con la Strega?! Ora si ricordava. Era l'uomo fulvo che la guardava con gli occhi pieni di orrore. — Allora sai chi sono e che sono sotto un perfido incantesimo. Lo sa anche Lettie? Il testone irsuto che le stava di fronte annuì. — La Strega ti ha chiamato Gaston... Ora mi viene in mente. Oh, amico mio, che cosa orribile ti ha fatto la Strega! Poi con tutto quel pelo in questo caldo! Farai meglio a cercarti un angolino fresco. Il cane annuì di nuovo e se ne andò con un'aria miserevole nel cortile. — Ma perché Lettie ti ha mandato? — si chiese Sophie. Ora si sentiva veramente a terra, tanto da starne male. Salì i gradini per passare dal ripostiglio e andare a parlare con Calcifer. Il


demone, però, non le fu di grande aiuto. — Non fa nessuna differenza se c'è o no molta gente che sa che sei vittima di un incantesimo. Mi sembra che questo non abbia aiutato il cane, per esempio... — No, ma... —. Sophie non riuscì a finire la frase perché in quel momento sentì lo scatto della porta che si apriva. Anche Calcifer si mise in attesa. Il pomello aveva ancora la parte nera rivolta in basso, quindi avrebbe dovuto entrare Howl. Ma con immenso stupore di entrambi, chi stava entrando in punta di piedi non era il Mago, bensì la signorina Angorian. La giovane donna sembrò ugualmente stupita. — Oh, chiedo scusa! Pensavo che il signor Jenkins potesse essere qui. — È fuori — le disse Sophie seccamente, mentre si chiedeva dove fosse Howl, se non era andato a trovare la signorina Angorian. La signorina lasciò andare l'uscio, a cui si era aggrappata per la sorpresa, e la porta restò aperta sul nulla, mentre avanzava con aria supplichevole verso Sophie, che si era alzata e si era fermata immobile in mezzo alla stanza, come se volesse impedire alla donna di muovere un altro passo. — Per favore, non dite al signor Jenkins che sono stata qua. Per dire la verità, io l'ho incoraggiato solo nella speranza di ottenere notizie del mio fidanzato, Ben Sullivan. Sono certa che Ben sia scomparso nello stesso luogo in cui il signor Jenkins continua a scomparire. Solo che Ben non è mai tornato indietro. — Qui non c'è nessun signor Sullivan — le disse Sophie che, intanto, si era ricordata che Ben Sullivan era il nome del Mago Suliman. Quella donna stava mentendo! — Oh, lo so — continuò la signorina Angorian. — Ma questo sembra proprio il posto giusto. Vi dispiacerebbe se mi guardassi un po' attorno, giusto per farmi un'idea di che vita


conduce ora Ben? Si mise una ciocca di capelli neri dietro un orecchio e cercò di avanzare nella stanza. Ma Sophie le sbarrava la strada. Questo costrinse la signorina Angorian a spostarsi, in punta di piedi, di fianco verso il banco di lavoro. — Che posto pittoresco! — e intanto guardava le bottiglie dal collo ricurvo e i vasi pieni di polveri. — E che cittadina caratteristica! — mentre spiava fuori dalla finestra. — Si chiama Market Chipping — la informò Sophie, mentre cercava di sospingere la donna verso la porta. — E cosa c'è su per quelle scale? — La stanza di Howl. Ma è un luogo privato! — le rispose Sophie con fermezza, facendola arretrare ulteriormente. — E là... oltre quella porta aperta? — continuò imperterrita la signorina Angorian. — Un negozio di fiori —. La risposta di Sophie fu più che mai secca. Che ficcanaso era quella donna! A quel punto alla signorina non restava che sedersi accanto al fuoco oppure guadagnare l'uscita. Guardò Calcifer aggrottando le sopracciglia come se non fosse sicura di quello che stava vedendo e il demone sostenne il suo sguardo senza emettere un suono. Questo fatto fece sentire meglio Sophie, che temeva di essere stata troppo dura con l'intrusa. Solo la gente che capiva Calcifer era la benvenuta in casa del Mago. Ma la signorina Angorian evitò con un guizzo la sedia e afferrò la chitarra di Howl che aveva visto riposta nell'angolo. Poi si girò con lo strumento stretto al seno in un gesto di possesso. — Dove l'avete presa? — chiese con una voce bassa, carica di emozione. — Ben aveva una chitarra come questa! Potrebbe essere la sua!


— Howl mi ha detto di averla acquistata lo scorso inverno — le disse Sophie, mentre avanzava di nuovo verso la signorina e cercava di stanarla da quell'angolo e farle raggiungere la porta. — Qualcosa è accaduto a Ben! — disse la donna con voce vibrante. — Non si sarebbe mai separato dalla sua chitarra! Dov'è Ben? So che non può essere morto. Lo sentirei, qui nel mio cuore! Sophie si chiese se fosse il caso di dirle che la Strega aveva catturato il Mago Suliman, mentre si guardava attorno per vedere dove fosse finito il teschio. Le era venuta, infatti, una mezza idea di sventolarlo in faccia alla signorina Angorian e di dirle che erano le ossa di quel Mago. Ma il teschio era nell'acquaio, nascosto dietro un secchio pieno di felci e gigli, e sapeva che se si fosse diretta a prenderlo, l'intrusa si sarebbe messa a curiosare per tutta la stanza. Inoltre sarebbe stato un gesto poco carino. — Potrei tenere questa chitarra? — le chiese la donna stringendosela spasmodicamente al seno, — per ricordarmi di Ben. L'emozione vibrante nella voce della signorina Angorian mandò Sophie su tutte le furie. — No. Non c'è alcun bisogno di essere così svenevoli e sentimentali per quella chitarra, visto che non c'è nessuna prova che sia sua. Poi si avvicinò alla donna e afferrò la chitarra per il manico. La signorina la guardò, sgranando due occhi angosciati. Sophie tirò lo strumento, la donna cercò di tenerlo ancor più saldamente. Dalla chitarra partì un orrendo, stonato blang, poi Sophie riuscì a strappargliela di mano. — Non fate la sciocca. Non avete nessun diritto di entrare nei castelli della gente e prendere le loro chitarre. Ve l'ho già detto, il signor Sullivan non


è qui. Ora tornatevene in Galles. Su, andate —. E usò la chitarra per spingerla indietro, fuori dalla porta. La signorina Angorian arretrò nel nulla e sparì a metà. — Come siete dura! — disse a Sophie con tono di rimprovero. — Sì, avete ragione. Sono dura! — e le sbatté la porta in faccia, poi girò il pomello sull'arancione per impedire alla signorina Angorian di entrare di nuovo. Andò nell'angolo e rimise a posto la chitarra così seccamente da farla risuonare. — E tu non osare dire a Howl che quella è stata qui! — disse a Calcifer senza un vero motivo. — Scommetto che era venuta per vedere Howl. Il resto era solo un sacco di bugie. Il Mago Suliman si era sistemato qui anni fa. Probabilmente cercava di sfuggire a quella sua voce melensa in modo odioso! Calcifer dal suo rifugio gracchiò: — Non ho mai visto nessuno essere messo alla porta con tanta fretta! Le parole di Calcifer fecero sentire Sophie scortese e in colpa. Dopo tutto anche lei si era intrufolata nel castello più o meno nello stesso modo ed era stata molto più fastidiosa della signorina Angorian. — Uffa! — esclamò a voce alta mentre entrava nel bagno per guardare allo specchio la sua vecchia faccia grinzosa. Prese in mano un pacchetto contrassegnato dall'etichetta PELLE e poi tornò ad appoggiarlo. Anche se la sua pelle fosse stata giovane e fresca, il suo viso non avrebbe avuto la meglio in un confronto con quello dell'insegnante. — Uffa! Fa' qualcosa! — disse a se stessa. Tornò rapida nella stanza e prese le piante che erano nell'acquaio per portarle in negozio, dove le mise in un secchio di 'incantesimo di nutrimento'. Poi cominciò a dire alle piante: — Diventate margherite!


La sua voce gracchiarne era quella di una pazza, arrabbiata. — Trasformatevi in margherite di giugno! L'uomo-cane mise dentro alla stanza il naso umido, e visto lo stato d'animo di Sophie fece subito dietro front e tornò all'ombra, in cortile. A Michael, rientrato da una visita a Lettie con un'enorme crostata, bastò l'occhiata che gli lanciò Sophie per ricordare che Howl gli aveva affidato un incantesimo urgente. — Uffa! — gli abbaiò dietro Sophie. — Margherite! Trasformatevi in margherite!... Il fatto di sapere che si stava comportando come una sciocca non la fece sentire affatto meglio. CAPITOLO DICIANNOVE In cui Sophie esprime i propri sentimenti con un diserbante Howl aprì la porta del negozio a pomeriggio inoltrato e si mise a gironzolare in bottega fischiettando. Sembrava che si fosse dimenticato della radice di mandragola. Ma questo, assieme al fatto che non fosse andato nel Galles, non fece sentire meglio Sophie, che gli scoccò un'occhiata furiosa. — Misericordia! Il tuo sguardo per poco non mi ha trasformato in pietra! C'è qualche problema? — Qual è il vestito che hai addosso? Howl guardò il suo abito nero. — Fa qualche differenza? — Sì — gli rispose Sophie con tono sempre più arrabbiato. — E, per favore, non raccontarmi quella storia del lutto! Qual è in realtà? Howl si strinse nelle spalle cominciò a studiare il vestito, con


aria dubbiosa come se effettivamente non si ricordasse più che abito avesse usato per ottenere quello attuale. Prese in mano il lembo di una manica, mentre il nero scendeva dalla spalla e lasciava prima il posto a un color marrone, poi a un grigio, mentre la parte finale della manica, che il mago continuava a reggere, diventava sempre più nera. Alla fine si ritrovò con una manica quasi completamente grigia e argento, solo l'orlo era di un nero catrame. — Questo è il vestito che ho usato — e subito dopo aver pronunciato quelle parole permise al nero di tornare a coprire l'intera manica. Sophie, però, era sempre più seccata e sul suo viso si leggeva un sentimento di rabbia sorda. — Sophie! —. Il mago pronunciò il suo nome nel modo più buffo e supplichevole di cui era capace. Nello stesso istante l'uomo-cane fece capolino dal cortile. Non avrebbe mai permesso a Howl di chiacchierare con Sophie troppo a lungo. Il Mago lo guardò sgranando gli occhi. — Adesso hai anche un cane da pastore inglese — e felice della diversione che gli veniva offerta continuò: — Due cani, però, mangeranno un po' troppo... mi sembra siano un po' costosi... — C'è solo un cane — lo interruppe Sophie, — e purtroppo è vittima di un incantesimo. — Davvero? — e Howl si precipitò sul cane, sempre più contento di essere riuscito a cambiare discorso. L'animale, però, non sembrava altrettanto felice e arretrò. Con un balzo Howl riuscì ad acchiapparlo e a tenerlo fermo aggrappandosi alla folta pelliccia, poi s'inginocchiò per guardarlo negli occhi, che si potevano scorgere a fatica visto che il pelo irsuto gli copriva anche il muso. — Sophie, perché tenermi nascosta una cosa del genere?


Questo cane è un uomo! Ed è in uno stato pietoso! Howl si girò, facendo perno su un ginocchio e continuando a tenere il cane ben saldo. Lo sguardo che le lanciò era freddo come il ghiaccio e Sophie si rese conto che ora Howl era arrabbiato, arrabbiato sul serio. Bene. Sophie era proprio nello stato d'animo adatto per litigare. — Te ne saresti potuto accorgere da solo — gli disse restituendogli un'occhiata gelida, ma temendo che vi fosse una sovrapproduzione di melma verde aggiunse: — Del resto, il cane non voleva che.'.. Howl era troppo infuriato per starla ad ascoltare. Balzò in piedi e cominciò a trascinare il cane, facendolo scivolare sulle mattonelle. — Me ne sarei accorto, se non avessi avuto la mente impegnata in qualcos'altro... Avanti, non fare storie, ti voglio davanti a Calcifer. Il cane puntò però saldamente tutte e quattro le sue zampe pelose. Howl lo tirò ancora, mentre la bestia scivolava da tutte le parti nel tentativo di resistere, e contemporaneamente urlò un Michael perentorio. Il grido ebbe un tono d'urgenza e di comando tale da far accorrere immediatamente l'apprendista. — E tu sapevi che questo cane in effetti è un uomo? — gli chiese il Mago, mentre entrambi portavano quella montagna di pelo su per le scale. — Ma è davvero un uomo? — chiese l'apprendista scioccato e sorpreso. — Bene, mi sembri sincero, quindi tu non c'entri. È solo Sophie da biasimare —. Intanto erano riusciti a superare il ripostiglio delle scope. — Sempre Sophie! Ma tu lo sapevi, vero Calcifer? —. A quel punto erano riusciti a sistemare in qualche modo il cane


davanti al focolare. Il demone si ritrasse fino a toccare con le sue fiamme la parete posteriore del caminetto. — Tu non me l'hai mai chiesto. — Ah, sarei io a doverti chiedere cose del genere... Va bene, dovrei essermene accorto da solo! Ma tu, Calcifer, mi disgusti! La tua vita qui, paragonata a quella che la Strega fa fare al suo demone, è stupendamente facile e... tutto ciò che ti chiedo in cambio è che tu mi tenga informato delle cose che ho bisogno di sapere. Questa è la seconda volta che non lo fai. Ora aiutami a ridare a questa creatura il suo corpo, subito! Le fiamme di Calcifer brillavano di un insolito punto di blu, come se il demone si sentisse male. Comunque, tutto imbronciato, rispose di essere pronto. L'uomo-cane cercò di fuggire, ma Howl gli mise le spalle sotto al torace peloso e spinse con forza, così l'animale, volente o nolente, si ritrovò con tutto il peso sulle zampe posteriori. Poi, con l'aiuto di Michael, Lo mantenne in quella posizione. — Perché questa sciocca creatura oppone resistenza? Sembra proprio uno dei simpatici scherzi della Strega delle Terre Desolate... — Sì, è uno dei suoi incantesimi, e sembra che vari livelli siano sovrapposti uno all'altro — intervenne Calcifer. — In ogni caso, prima di tutto eliminiamo il livello bestiale —. Howl era d'accordo con il demone, ma d'altra parte voleva essere utile a quel poveretto e cominciare a liberarlo. Il fuoco ruggì e diventò di un blu profondo. Sophie, che se ne stava prudenzialmente nascosta nel ripostiglio, vide le sembianze del cane diventare sempre più evanescenti per lasciare posto a quelle dell'uomo. Poi di nuovo il cane e, finalmente, Sophie vide i contorni ben distinti di un uomo dai capelli fulvi e l'abito marrone tutto spiegazzato, un uomo


giovane che Howl e Michael sostenevano, ognuno per un braccio. Sophie non fu sorpresa di non averlo riconosciuto nelle sue precedenti trasformazioni, poiché il suo viso mancava quasi totalmente di qualsiasi personalità o espressione, fatta eccezione per lo sguardo ansioso che non l'aveva abbandonato da quando era entrato per la prima volta nel negozio di cappelli. — Chi sei, amico mio? — gli chiese Howl con gentilezza. L'uomo sollevò le mani, si toccò il volto e scosse la testa. — Io... io non sono sicuro. — Percival è il nome a cui ha risposto di recente — intervenne Calcifer. L'uomo guardò il demone come se desiderasse che Calcifer non fosse a conoscenza di questo particolare. — Davvero ho risposto al nome Percival? — Bene, per il momento ti chiameremo così — gli disse Howl, poi lo fece girare e sedere sulla sedia. — Adesso siediti e prenditela comoda, dicci che cosa ti ricordi. Dopo averti sondato con i nostri poteri abbiamo sentito che la Strega ti ha posseduto per un certo periodo di tempo. Percival si sfregò di nuovo il viso. — Sì, mi ha tolto la testa. Io... io ricordo che ero appoggiato su uno scaffale e da lì potevo vedere la parte restante del mio corpo, separato da me. Michael lo guardava a bocca aperta — Ma tu, tu saresti stato un morto! — riuscì ad articolare a fatica. — Non necessariamente — spiegò Howl. — Tu non hai ancora raggiunto quel livello di arti magiche, Michael. Io, con le dovute tecniche, potrei prenderti via qualsiasi parte del corpo e lasciarti vivo. Poi aggrottò le sopracciglia guardando attentamente l'ex cane. — Non sono sicuro che la Strega ti abbia rimesso insieme nel modo giusto. Calcifer, che stava cercando di dimostrare quanto lavorasse seriamente, aggiunse: —


Quest'uomo è incompleto e possiede anche alcune parti di un altro uomo. Percival sembrò più sconvolto che mai, così Howl esortò il proprio demone alla prudenza. — Non allarmarlo, Calcifer. Deve già sentirsi abbastanza male così... Amico mio, conosci, per caso, il motivo della tua decapitazione magica? — No, mi spiace. Non mi ricordo niente. Sophie sapeva che l'uomo poteva mentire nel rispondere a Howl, così sbuffò piuttosto sonoramente, mentre a Michael, improvvisamente, venne in mente l'idea più pazza e affascinante. — Percival, hai mai risposto al nome di Justin... o all'appellativo di Sua Altezza Reale? Sophie, alle parole dell'apprendista, sbuffò di nuovo. Sapeva che la supposizione di Michael era ridicola prima ancora che Percival rispondesse: — No, la Strega mi chiamava Gaston, ma quello non è il mio nome. — Michael, non andare a mettergli altri pensieri e non far sbuffare Sophie... È in uno stato d'animo tale che, se sbufferà ancora, tirerà giù il castello. Anche se la frase scherzosa stava, forse, a indicare che Howl non era più molto arrabbiato con lei, Sophie si scoprì, invece, più arrabbiata che mai. Andò diritta filata in negozio dove cominciò a sbatacchiare di qua e di là per mettere via le cose per la notte e chiudere bottega. Andò anche a dare un'occhiata alle sue margherite. Qualcosa era andato orribilmente storto. I fiori erano diventati delle cose marroni che pendevano tutte storte fuori dal secchio, immerse in un liquido dall'odore più mefitico che Sophie avesse mai sentito. — Oh, accidenti anche a voi! — strillò sempre più nera. — E adesso cosa c'è? — le chiese Howl, entrando nel negozio. Si piegò sopra al secchio e annusò. — Sembra che tu


abbia ottenuto un efficace diserbante. Cosa ne dici di sperimentarlo sulle erbacce che coprono il viale della tenuta? — Lo farò. Ho proprio voglia di sterminare qualcosa! Cominciò a sbattere a destra e a sinistra finché non trovò un annaffiatoio, poi entrò nel castello e, con l'annaffiatoio e il secchio in mano, si diresse alla porta che aprì dopo aver girato il pomello sull'arancione, diretta alla tenuta trovata da Calcifer. Percival alzò il suo sguardo ansioso su di lei. Stava creando dei suoni orrendi con la chitarra, che gli era stata data come si dà un sonaglio a un bambino. — Percival, va' con lei —. Più che un suggerimento, sembrò una raccomandazione da parte di Howl. — Nello stato d'animo in cui è, potrebbe uccidere anche tutti gli alberi. Il giovane, ubbidiente, appoggiò la chitarra e prese il secchio dalle mani di Sophie, facendo molta attenzione. Scesero, quindi, sul terreno ai confini della valle, in una dorata serata estiva. Erano stati tutti troppo impegnati fino a quel momento per prestare anche un minimo di attenzione alla tenuta. Ora Sophie si rendeva conto che era molto più vasta di come le era sembrata in un primo momento. Aveva una terrazza coperta di erbacce, delimitata da delle statue e con dei gradini che portavano al viale d'accesso. Quando Sophie si girò con il pretesto di esortare Percival a sbrigarsi, vide che la casa era molto grande, con altre statue, ancora più numerose, lungo il tetto e file di finestre. Tutto, però, era in uno stato di abbandono. Una muffa verde scendeva da ogni finestra, giù per i muri a cui si stava scrostando l'intonaco. Molte finestre erano rotte e gli scuri, che avrebbero dovuto essere fermati ai loro lati, pendevano grigi e rovinati. — Uh! Il minimo che Howl avrebbe potuto fare era rendere questo posto almeno un po' più vivibile. Ma, no! È troppo


occupato a fare il galletto là nel Galles! Percival, non startene lì impalato! Versa un po' di quella robaccia nell'annaffiatoio e poi seguimi. Percival fece quello che le era stato ordinato, con aria sottomessa e mansueta. Non era per nulla divertente tiranneggiare una persona del genere. Sophie sospettò che Howl l'avesse mandato con lei proprio per quel motivo. Sbuffò e rivolse la sua rabbia contro le erbacce. Qualsiasi cosa fosse quell'intruglio che aveva ucciso le sue piante era veramente potente: le erbacce del viale morivano non appena ne erano bagnate. Con loro moriva, però, anche l'erba ai lati della strada. Sophie cercò di calmarsi e di misurare meglio i suoi gesti. La pace della sera l'aiutò a rasserenarsi. L'aria fresca del tramonto soffiava giù dalle colline, in distanza, e s'incanalava fra gli alberi maestosi che costeggiavano il viale. Sophie aveva già liberato dalle erbacce almeno un quarto di quel lungo viale. — Tu ricordi molto di più di quanto tu non dica, vero Percival? — lo accusò, mentre riempiva nuovamente l'annaffiatoio. — Che cosa voleva in effetti la Strega da te? Perché ti ha portato con sé nella cappelleria, quel giorno? — Voleva scoprire qualcosa su Howl. — Howl? Ma tu non lo conoscevi... o no? — No, non lo conoscevo... ma devo aver saputo qualcosa... qualcosa che aveva a che fare con la maledizione che lei gli voleva inviare —cominciò a spiegare Percival, cercando di fare anche ordine nei suoi pensieri. — Io, però, non ho idea di che cosa fosse. Lei si è presa quel qualcosa dopo che siamo venuti al negozio. Mi sento male per quello. Io stavo cercando di impedirle di sapere, perché una maledizione è una cosa malvagia, demoniaca... L'ho fatto pensando a Lettie. A quel


tempo avevo già Lettie in testa. Non so come l'ho conosciuta, perché lei mi ha detto di non avermi mai visto prima che andassi ad Upper Folding. Ma sapevo tutto di lei... o per lo meno sapevo abbastanza, tanto che, quando la Strega mi ha costretto a parlarle di Lettie, io le ho detto che gestiva un negozio di cappelli a Market Chipping. Così la Strega è venuta alla cappelleria per dare a entrambi una lezione. Tu eri là e lei ha pensato che tu fossi Lettie, mentre io ero paralizzato dall'orrore perché non sapevo che Lettie avesse una sorella. Sophie sparse generosamente del diserbante, desiderando che le erbacce fossero la Strega delle Terre Desolate. — E ti ha tramutato in un cane subito dopo la visita al negozio? — Appena siamo arrivati fuori città. Non appena le ho fatto sapere quello che voleva sapere, ha aperto lo sportello della carrozza e mi ha detto: "Corri via. Ti chiamerò quando avrò bisogno di te". E io mi sono messo a correre, perché riuscivo a percepire l'incantesimo che m'inseguiva. Mi ha raggiunto non appena sono arrivato nei pressi di una fattoria. La gente di quella casa mi ha visto mentre mi trasformavo da uomo in cane, e pensando che fossi un lupo mannaro ha cercato di uccidermi. Ho dovuto mordere una persona per riuscire a fuggire. Ma non sono riuscito a liberarmi del bastone e della corda con cui volevano strozzarmi, così, alla fine, il bastone si è impigliato nelle siepe che volevo attraversare. Mentre ascoltava, Sophie liberò dalle erbacce un'altra curva del viale. — Poi sei andato dalla signora Fairfax. — Sì, stavo cercando Lettie. Sono state entrambe molto gentili con me, anche se non mi avevano mai visto prima. Il Mago Howl continuava a far visita a Lettie e a corteggiarla. Ma lei non lo voleva e mi chiese di morderlo per liberarsi di lui,


finché Howl, improvvisamente, non cominciò a chiederle di te e... Per poco Sophie non si versò il diserbante addosso. Poiché nel punto in cui cadde la ghiaia si mise a fumare, rischiò comunque di rovinarsi le scarpe. — Cosa? — Il Mago le disse: "Conosco una di nome Sophie, un po' ti assomiglia", e Lettie, senza pensarci, gli disse che doveva trattarsi di sua sorella. Poi si preoccupò moltissimo, anche perché Howl continuava a chiederle di sua sorella. Lettie mi ha detto che avrebbe dovuto mordersi forte la lingua, piuttosto che dirglielo. Il giorno che sei arrivata, Lettie stava facendo la carina con il Mago per scoprire come ti avesse conosciuto. Howl sosteneva che tu eri una donna anziana e la signora Fairfax le disse di averti visto e glielo confermò. Lettie pianse a calde lacrime, non riusciva più a smettere e diceva: "A Sophie è successo qualcosa di terribile! E la cosa peggiore è che lei pensa di essere al sicuro da Howl. Sophie è di animo troppo buono per vedere quanto Howl sia senza cuore!". Ed era talmente turbata che io riuscii a trasformarmi in uomo tanto da riuscire a dirle che sarei venuto da te e ti avrei tenuto d'occhio. Sophie spruzzò diserbante producendo un gran arco di fumo. — Maledizione! È molto gentile da parte di Lettie preoccuparsi così, e le voglio ancora più bene per questo. Sono stata molto in pena per lei. Ma io non ho bisogno di un cane da guardia! — Sì, invece. O meglio, ne avresti avuto bisogno... Purtroppo, però, sono arrivato troppo tardi. Sophie fece volare il diserbante in preda alla rabbia, e Percival dovette correre dietro l'albero più vicino per mettersi al riparo. L'erba moriva dietro di lui mentre correva a rifugiarsi. — Maledetti tutti quanti! —. Sophie gridava con quanto fiato


aveva in gola. — Ho fatto tutto il possibile per voi e anche di più! Scaraventò l'annaffiatoio fumante in mezzo al viale e si diresse a grandi passi verso le statue che fiancheggiavano l'ingresso. — Troppo tardi! — brontolava fra sé mentre marciava spedita. — Che stupidaggine! Howl non è solo senza cuore, è impossibile. Per di più io sono una vecchia. Ma non poté negare che qualcosa fosse andato storto da quando avevano trasferito il castello mobile o forse fin da prima. E quel qualcosa sembrava legato al fatto che lei non fosse stata, misteriosamente, in grado di affrontare le sue sorelle. — E tutte le cose che ho detto al Re sono vere! — continuava a brontolare. Se ne sarebbe andata coi suoi piedi, altro che stivali delle sette leghe, e non sarebbe tornata indietro. Gliel'avrebbe fatto vedere lei, a tutti quanti! A chi importava se la povera signora Pentstemmon aveva contato su di lei per impedire a Howl di scendere oltre per una brutta china! Sophie era un fallimento su tutta la linea. Era così che succedeva alla primogenita di tre sorelle. E la signora Pentstemmon aveva pensato che Sophie, in ogni caso, fosse l'amata vecchia madre di Howl. Non lo era forse stata? A questo punto, Sophie si sentì terribilmente a disagio poiché le venne in mente che una signora con gli occhi così allenati alla magia da vedere un piccolo incantesimo nascosto nelle cuciture di un abito, aveva potuto accorgersi, senz'altro più facilmente, del potente incantesimo di cui lei era preda. — Oh, accidenti anche a quel vestito grigio e scarlatto! Mi rifiuto di credere di essere una delle sue vittime! Il guaio era che l'abito blu e argento sembrava aver avuto lo stesso effetto di quello incantato. Mosse ancora qualche passo lungo il viale.


— Comunque, io non piaccio a Howl! — disse a se stessa con sollievo. Questo pensiero rassicurante sarebbe stato sufficiente a farla camminare tutta la notte, se un suono improvviso e familiare non l'avesse fatta sentire a disagio. Le sue orecchie avevano colto un toc, toc, toc che si stava avvicinando. Guardò con attenzione al di sotto della sfera rossa del sole, basso all'orizzonte, e là, sulla strada oltre alle statue d'ingresso, vide una sagoma dalle braccia scheletriche che avanzava inesorabile. Sophie raccolse le gonne, si girò di scatto e si affrettò a ripercorrere la strada fatta. La polvere e la ghiaia le volavano attorno. Afferrò Percival, che se ne stava ancora impalato non lontano dal viale, e lo trascinò dietro agli alberi più vicini. — C'è qualcosa che non va? — Zitto! C'è di nuovo quel maledetto spaventapasseri — riuscì a dire Sophie con il fiato corto. Poi chiuse gli occhi. — Non siamo qui. Non puoi trovarci. Va' via. Va' via subito, subito... subito! — Ma perché... — Percival, chiudi quella bocca! Non qui, non qui, non qui! La voce di Sophie era disperata. Aprì un occhio. Lo spaventapasseri era quasi arrivato alle colonne che segnavano l'accesso al viale e ora se ne stava lì in equilibrio sul suo bastone, incerto sul da farsi. — Bene! Si è fermato — disse Sophie a bassa voce. — Non siamo qui. Va' via veloce, più che veloce, velocissimo. Va' via!. Lo spaventapasseri ondeggiò, ebbe un'esitazione, ruotò su se stesso e cominciò a tornare indietro, su per la strada maestra. All'inizio il bastone batté lentamente e in modo ritmico sul terreno, poi aumentò sempre più la velocità, come gli aveva ordinato Sophie. Lei intanto respirava a fatica, aggrappata a una


manica di Percival, che lasciò finalmente andare solo quando quella cosa terribile fu lontana dalla vista. — Perché non vuoi che si avvicini? Sophie rabbrividì e pensò che finché quello spaventapasseri fosse stato nei paraggi lei non avrebbe avuto il coraggio di andarsene. Raccolse l'annaffiatoio e si diresse verso la villa. Qualcosa che svolazzava attirò la sua attenzione. Era una lunga tenda bianca che usciva, a tratti, da una porta-finestra aperta, oltre le statue della terrazza. Adesso le statue erano bianche, perfettamente pulite, e vide che la maggior parte delle finestre erano adorne di tende. I vetri non erano più rotti, gli scuri aggiustati e dipinti di fresco con la vernice bianca. Non c'era traccia di muffa sull'intonaco color crema della facciata. La porta d'ingresso era un capolavoro di legno nero ornato di riccioli dorati. Al centro faceva bella mostra di sé un leone dorato che teneva in bocca un anello battiporta. — Uh! Che lusso... — mormorò Sophie, ma resistette alla tentazione di entrare per quella porta-finestra e di andare a curiosare dentro la villa, che era senz'altro quello che Howl avrebbe voluto che lei facesse. Invece, andò diritta verso il portone, sollevò l'anello dorato e quindi spinse l'uscio con violenza, entrando nel castello come una furia. Mago e apprendista erano al tavolo di lavoro cercando di far sparire in fretta le tracce di un incantesimo. Parte di esso doveva essere servito per ristrutturare la villa, ma il resto, come Sophie ben sapeva, doveva avere a che fare con un incantesimo per sentire a distanza. Howl e Michael si girarono all'unisono verso di lei, con un'espressione carica di nervosismo e aspettativa, al tempo stesso Calcifer si rifugiò con un guizzo sotto i ceppi del focolare. — Sta' dietro di me, Michael — gli suggerì Howl.


Intanto Sophie gli urlava contro: — Ficcanaso! Brutto impiccione che non sei altro! — Qualcosa non è di tuo gusto? Vuoi che facciamo anche gli scuri neri e oro? — Impertinente... — balbettò Sophie. — Quante cose hai ascoltato? Tu... tu... da quanto tempo sapevi che io ero... che sono...? — Vittima di un incantesimo? — Howl completò per lei la frase. — Be', adesso... — Gliel'ho detto io — intervenne Michael, girandosi verso il Mago a disagio. — La mia Lettie... — Tu! — la voce di Sophie suonò come un grido strozzato. — Anche l'altra Lettie ha vuotato il sacco — si affrettò ad aggiungere Howl, — come tu ora ben sai. E quel giorno la signora Fairfax ha fatto un mucchio di chiacchiere. C'è stato un momento in cui sembrava che tutti mi volessero informare su questa faccenda. Persino Calcifer l'ha fatto... quando gliel'ho chiesto, naturalmente! Ma sii onesta con te stessa, pensi davvero che io conosca talmente poco il mio mestiere da non accorgermi di un incantesimo così potente quando me lo trovo davanti? Ho provato diverse volte a togliertelo di dosso, quando non guardavi. Ma sembra che niente funzioni nel tuo caso. Ti ho portata dalla signora Pentstemmon con la speranza che lei potesse fare qualcosa, ma evidentemente anche lei non ci è riuscita. Sai cosa ti dico? Che sono giunto alla conclusione che ti piaccia startene nascosta sotto un travestimento. — Un travestimento! — strillò Sophie. Howl rise e continuò in tono canzonatorio: — Dev'essere così, poiché stai facendo tutto da sola. Che strana famiglia siete! Anche il nome è davvero Lettie? Questo era troppo per Sophie. In quel momento Percival si


stava affacciando alla porta, portando il secchio ancora mezzo pieno di diserbante. Sophie posò l'annaffiatoio, strappò dalle mani di Percival il secchio e lo lanciò contro Howl, che fu veloce a tuffarsi di lato. Dietro di lui, anche Michael riuscì a evitare il secchio con una mossa fulminea e il diserbante si trasformò in una colonna di fuoco verde che andava dal pavimento al soffitto. Il secchio, facendo un rumore assordante, finì nell'acquaio dove i fiori rimasti morirono all'istante. — Wow... Era bello potente! —. La voce di Calcifer, da sotto i ceppi di legna, aveva un tono ammirato. Howl andò a tirar fuori il teschio da sotto i resti fumanti dei fiori e lo asciugò con una delle sue lunghe maniche. — Certo che era potente, Sophie non fa mai le cose a metà! Il teschio, ripulito dalla micidiale sostanza, era tornato bello bianco e lucido, mentre la manica di Howl appariva sbiadita. Il Mago appoggiò il teschio sul banco di lavoro e si guardò l'abito con rammarico. A Sophie, intanto, era venuta una mezza idea di andarsene all'istante scendendo per il lungo viale alberato, ma l'immagine dello spaventapasseri la fece sedere sulla sedia accanto al fuoco, dove rimase tenendo il broncio. Non avrebbe parlato con nessuno di loro! — Sophie... — Howl aveva un tono gentile. — Io ho fatto del mio meglio. Non hai notato che ultimamente i tuoi dolori, tutti i tuoi acciacchi, sono migliorati? O ti piace avere anche quelli? Ma Sophie non gli rispose, così la lasciò perdere e si rivolse a Percival. — Sono felice di scoprire che, dopo tutto, ti è rimasto un po' di cervello. Mi avevi preoccupato. — In effetti, non riesco a ricordare granché... — gli rispose Percival, ma la smise di comportarsi come un mezzo scemo.


Raccolse la chitarra e l'accordò. Dopo pochi secondi dallo strumento usciva un suono molto più gradevole di prima. — Ecco rivelato il mio grande cruccio — confessò Howl con voce patetica. — Sono un gallese privo di orecchio musicale dalla nascita! Hai raccontato tutto a Sophie? O ti sei tenuto per te quello che la Strega stava realmente cercando di scoprire? — Voleva sapere del Galles — gli rispose Percival. — Immaginavo che si trattasse di quello... Ah, bene... —. E senza aggiungere una parola, se ne andò in bagno dove rimase le due ore successive. Per tutto quel tempo Percival continuò a provare sulla chitarra diversi accordi, in modo lento, come se stesse riflettendo, come se si volesse esercitare con cura. Michael, intanto, passava uno straccio fumante per terra, nel tentativo di raccogliere tutto il diserbante. Sophie, invece, se ne stava seduta senza dire una parola accanto al focolare, dal quale, ogni tanto, Calcifer la sbirciava, facendo capolino fra i ceppi. Howl uscì dal bagno tutto tirato a lucido, con il suo vestito nero e i capelli bianchi, in una nuvola di vapore che odorava di genziana. — Potrei fare tardi — disse rivolto a Michael. — A mezzanotte scoccherà il giorno di San Giovanni e la Strega potrebbe tentare qualche suo tiro mancino. Quindi tieni alte tutte le difese e ricordati tutto quello che ti ho detto, per favore. — Senz'altro —. Michael cercò di rassicurare Howl, mentre buttava i resti fumanti dello straccio nel lavandino. Poi il Mago si rivolse a Percival: — Penso di sapere quello che ti è successo. Toglierti di dosso tutti i livelli di quella maledizione sarà un lavoretto divertente, ma faremo un tentativo domani, al mio ritorno. Poi andò verso la porta e si fermò con una mano sul pomello. — Sophie, non mi vuoi ancora parlare? — le chiese con aria


triste. Sophie sapeva che Howl riusciva ad apparire terribilmente triste e sconfortato, se gli faceva comodo. Poi l'aveva appena usata per ottenere informazioni da Percival, perciò il suo no! le uscì di gola strozzato e stizzito. Howl mandò un sospiro e uscì. Sophie allora alzò lo sguardo e vide che il pomello aveva la parte nera girata in basso. — E sia! — pensò, — non m'interessa se domani è il giorno di San Giovanni! Io me ne andrò. CAPITOLO VENTI In cui Sophie incontra ulteriori difficoltà a lasciare il castello E venne l'alba del giorno di San Giovanni. Proprio quasi in quel momento, quando la luce cominciava a farsi strada nel cielo, Howl piombò nel castello con un rumore tale che Sophie schizzò su dal suo lettuccio nel sottoscala, convinta che la Strega gli fosse alle calcagna. — Hanno una così alta considerazione di me, che quando giocano non mi chiamano mai! — sbraitava il Mago. Sophie si rese conto che stava semplicemente cantando la canzoncina di Calcifer e tentò di riaddormentarsi, ma il Mago cadde sulla sedia e i piedi gli rimasero impigliati nello sgabello, che si schiantò dopo aver fatto un volo attraverso la stanza. Poi Howl cercò di salire al piano di sopra prima passando attraverso il ripostiglio, poi per il cortile posteriore. Era senza dubbio disorientato, quando finalmente scoprì le scale, ma scagliò il primo gradino, cadendo a faccia in giù e facendo scuotere tutto il castello. — Qualche problema? — gli chiese Sophie ficcando la testa


fra le colonne della ringhiera. — La riunione del Club del Rugby — le rispose, cercando di dare alla sua voce un tono di grande dignità. — Forse tu non sai che sono io quello che fa volare di solito l'ala della mia università. Lo sapevi questo, Signora Ficcanaso? — Se stavi cercando di volare, devi aver dimenticato come si fa! — Sono nato sotto strani segni, cose invisibili da vedere... e me ne stavo andando a letto quando tu mi hai interrotto. So dove sono finiti tutti gli anni passati e chi taglia il piede del Diavolo. — Vattene a letto, pazzo che non sei altro! — lo esortò Calcifer, mezzo addormentato. — Sei solo ubriaco. — Chi, io? Vi assicuro, amici miei, che sono assolutamente sobrio. Si rialzò e cominciò a fare i gradini, barcollando e tastando il muro, come se temesse che la parete dovesse sfuggirgli di fianco. Arrivato al piano di sopra, scagliò la porta della sua camera. — Sobrio... Che bella bugia ho detto! — confessò a se stesso mentre cercava di entrare attraverso il muro. — La mia brillante disonestà sarà la mia salvezza. Provò più volte a entrare nella sua stanza da letto, finché non trovò, finalmente, la porta. Sophie lo sentì cadere e rialzarsi, lamentandosi che il letto gli sfuggiva di sotto. — Che uomo impossibile! — e decise che se ne sarebbe andata all'istante. Sfortunatamente per Sophie, tutto il fracasso fatto da Howl aveva svegliato Michael e Percival, che dormiva sul pavimento in camera con l'apprendista. Michael scese proponendo di andare a raccogliere i fiori, visto che ormai erano tutti svegli e stava già albeggiando. Quel giorno avrebbero dovuto fare un buon numero di ghirlande per la festa di San


Giovanni, quindi tanto valeva darsi da fare approfittando delle fresche ore del primo mattino. Sophie fu d'accordo con lui anche perché era contenta di salutare, per l'ultima volta, quel fantastico giardino. Fuori c'era una nebbiolina lattiginosa e calda, densa di profumi diversi. Camminò lungo i sentieri, aiutandosi con il fido bastone e ascoltando le migliaia di uccellini che popolavano il giardino, e provò un gran dispiacere all'idea di lasciare tutto quanto. Raccolse un giglio coperto di rugiada e ne accarezzò i lunghi stami, poi si girò verso la sagoma alta e nera del castello, sospirando. — L'ha molto migliorato — notò Percival mentre metteva un fascio di hibiscus appena recisi nella tinozza fluttuante in aria. — Chi ha migliorato cosa? — gli chiese Michael. — Howl ha migliorato il giardino. Qui, all'inizio, c'erano solo cespugli ed erano piuttosto piccoli e secchi. — Ti ricordi di essere già stato qui? —. Michael era eccitato, non aveva ancora accantonato l'idea che Percival potesse essere il Principe Justin. — Penso di essere stato qui con la Strega — ma la sua voce suonava carica di dubbi. Raccolsero due tinozze di fiori, e quando rientrarono per la seconda volta nel castello, Sophie notò che Michael girava il pomello della porta più volte. Quelle mosse dovevano avere a che fare con le difese contro la Strega. Naturalmente c'erano tutte le ghirlande da fare quel lavoro prese loro un sacco di tempo. Sophie aveva pensato di lasciare i due ragazzi a lavorare, ma Michael era troppo preso da tutta una serie di domande intelligenti che continuava a porre a Percival, mentre quest'ultimo era terribilmente lento e impacciato a intrecciare le ghirlande.


Sophie sapeva che cosa rendeva Michael così eccitabile, poiché c'era una sorta di strana atmosfera carica di aspettative che accompagnava Percival. Anzi, Sophie si domandò anche quanto potere della Strega gli fosse rimasto addosso, mentre lavorava alacremente per fare quasi tutto il lavoro da sola. In quella frenetica attività, qualsiasi pensiero che avesse potuto ancora avere di aiutare Howl contro la Strega, svanì per la fatica e la rabbia: il Mago avrebbe potuto intrecciare tutte le ghirlande del mondo alzando semplicemente una mano, invece se ne stava di sopra, russando in modo talmente sonoro che Sophie poteva sentirlo chiaramente anche dal negozio. Continuarono a lavorare, ma non avevano ancora finito quando fu tempo di aprire bottega. Michael andò a prendere alcune fette di pane e miele che sbocconcellarono, mentre servivano la prima ondata di clienti che si era riversata in negozio. Sebbene il giorno di San Giovanni, come spesso accadeva durante una festa, si fosse trasformato con il passare delle ore in una giornata grigia e fredda, metà degli abitanti di Market Chipping, tutti agghindati nei loro abiti migliori, arrivarono a comprare le ghirlande per il festival. Per strada c'era la solita folla festante e in negozio ebbero un continuo via vai di gente fino a mezzogiorno, quando Sophie riuscì finalmente a guadagnare le scale e a tornare nel castello. Lì si mise a radunare un po' di cibo e i suoi vecchi vestiti in un fagotto, mentre pensava che avevano guadagnato tanti soldi da far aumentare il gruzzolo che Michael teneva come riserva di almeno dieci volte. — Sei venuta a parlare con me? — le chiese Calcifer. — Faremo due chiacchiere fra un po' — gli rispose Sophie mentre attraversava la stanza con il suo fagotto nascosto dietro


la schiena, poiché non voleva che Calcifer tirasse fuori la storia del suo contratto. Stava allungando la mano per prendere il bastone appoggiato alla sedia, quando qualcuno bussò alla porta e Sophie dovette rivolgere uno sguardo interrogativo verso il demone. — E la porta della villa. Carne e ossa, senza alcun pericolo. Il colpo alla porta fu ripetuto. Proprio tutte le volte che cercava di andarsene. .. Sophie, comunque, girò il pomello sull'arancione e aprì l'uscio. Sul viale era ferma una carrozza trainata da due cavalli, che Sophie riuscì a scorgere oltre le larghe spalle del robusto servitore che aveva appena bussato. — La signora Sacheverell Smith, per far visita ai nuovi vicini — annunciò il valletto. — Molto inopportuna! — pensò Sophie. Questo era senz'altro il risultato della ristrutturazione della villa appena operata da Howl. — Mi spiace, ma noi non siamo ancora... —. Ma la signora Sacheverell Smith spostò il suo servitore ed entrò. — Theobald, aspettami in carrozza — ordinò al servo, sorpassando Sophie e chiudendo il suo parasole. Era Fanny... una Fanny che era l'immagine stessa della prosperità con il suo vestito di seta color crema. In testa portava un cappello dello stesso tessuto adorno di rose che Sophie ricordava molto bene. Era il cappello a cui aveva detto, mentre lo guarniva: "Farai un ricco matrimonio". E dall'aspetto di Fanny era chiaro che la profezia si era avverata. — Oh, povera me. Ci dev'essere stato un errore — stava intanto dicendo Fanny, guardandosi attorno. — Questa è l'ala della servitù. — Veramente... ecco... non ci siamo ancora trasferiti completamente, signora — cercò di spiegarle Sophie, domandandosi come si sarebbe sentita Fanny se avesse saputo che il loro vecchio negozio era proprio dietro il varco aperto nel


ripostiglio. La sua matrigna si girò e rimase a bocca aperta. — Sophie!— esclamò con stupore. — Oh, misericordia... Cosa ti è successo, bambina mia? Sembra che tu abbia novant'anni! Sei stata malata? E con gran sorpresa di Sophie, Fanny gettò via cappello, parasole e i modi da gran dama per cingerla in un caloroso abbraccio. — Oh, non sapevo che cosa ti fosse successo! — disse fra le lacrime. — Sono andata da Martha e mi sono informata presso Lettie, ma nessuna delle due sapeva nulla. Quelle sciocchine si sono scambiate di posto, lo sapevi? Nessuno, nessuno sapeva niente di te! Ho promesso anche una ricompensa, se qualcuno ti avesse trovato. Ed eccoti qui, a lavorare come una serva, mentre potresti vivere nel lusso, là sulla collina, con me e il signor Smith! Sophie si ritrovò a piangere anche lei come Fanny. Lasciò cadere il suo fagotto e condusse la matrigna alla sedia vicino al focolare, poi prese lo sgabello e si sedette al suo fianco, tenendole la mano. Ora stavano ridendo e piangendo al tempo stesso, entrambe sinceramente felici di essersi ritrovate. — È una lunga storia — disse Sophie dopo che Fanny le aveva chiesto per la sesta volta cosa le fosse successo. — Quando ho visto, riflessa nello specchio, la mia nuova immagine, sono rimasta talmente scioccata che sono uscita e mi sono messa a vagabondare... — Troppo lavoro — la interruppe Fanny con tono colpevole. — Come devo biasimare me stessa! — No, no davvero, poi non devi preoccuparti perché il Mago Howl mi ha accolto e... — Il Mago Howl! — esclamò Fanny. — Quell'uomo


crudele? Quel maschio malvagio? È stato lui a ridurti così? Dov'è? Presentamelo, che lo combino per le feste! Prese in mano il parasole con tale veemenza e con un'aria talmente bellicosa che Sophie dovette costringerla a sedersi di nuovo. Non poteva nemmeno pensare alla reazione che avrebbe avuto Howl svegliato di soprassalto dal parasole di una Fanny infuriata! — No, Fanny, no! Howl è stato molto gentile con me. E pronunciando queste parole Sophie si rese conto che stava dicendo la verità. Howl le aveva dimostrato gentilezza in modo strano, tutto suo, ma in effetti era stato molto buono con lei, considerando anche quante noie le gli aveva procurato. — Ma dicono che si mangi le donne vive! — protestò Fanny, che stava ancora cercando di alzarsi in piedi. Sophie la tenne seduta agitando il parasole, mentre continuava a parlare. — Non è vero niente. Ascolta, non è affatto crudele! Dietro di lei sentì il fuoco che sfrigolava. Evidentemente Calcifer stava assistendo alla scena con grande interesse. — Non è cattivo — continuò Sophie sia a beneficio di Calcifer che rivolta a Fanny — per tutto il tempo che io sono rimasta qui non gli ho visto fare un solo incantesimo cattivo! —. E Sophie sapeva benissimo che stava di nuovo dicendo la verità. — Insomma, devo crederti —. Fanny appariva ora più rilassata. — Anche se sono sicura che sia stato merito tuo, se si è ravveduto. Tu hai sempre avuto un dono particolare, Sophie. Riuscivi a far smettere le crisi di nervi di Martha, quando io non ci riuscivo affatto. E ho sempre detto che era merito tuo se Lettie faceva come le pareva solo metà delle volte e non tutte! Ma tu avresti almeno potuto dirmi dove ti trovavi, tesoro mio! Sophie sapeva che avrebbe dovuto farlo. Aveva preso per


buono il punto di vista di Martha senza pensarci su, quando invece avrebbe dovuto conoscere meglio la sua matrigna e avere di lei un'opinione migliore. Ora se ne vergognava profondamente. Fanny, intanto, ansiosa di raccontare a Sophie del signor Sacheverell Smith, si era lanciata in un lungo e particolareggiato racconto. L'aveva incontrato proprio la settimana in cui Sophie se n'era andata e l'aveva sposato prima ancora che quella stessa settimana fosse finita. Mentre la sua matrigna si accalorava nel racconto, Sophie si mise a studiarla. Il fatto di essere così anziana le dava di lei un punto di vista completamente nuovo. Fanny era una signora ancora giovane e graziosa, che aveva trovato il negozio di cappelli noioso come l'aveva trovato Sophie. Finché era vivo il loro babbo, Fanny era rimasta coinvolta nell'attività di modisteria e nell'educazione delle tre figlie e aveva cercato di fare il proprio meglio. In seguito aveva temuto di diventare come Sophie: vecchia e senza una meta per cui valesse la pena di tirare avanti. — E poi, senza di te a cui passare l'attività del negozio, sembrava che non ci fosse più alcuna ragione per mandarlo avanti. Così ho deciso di vendere — stava proprio dicendo Fanny a conferma dei pensieri di Sophie. In quel mentre si udì uno scalpiccio di piedi nel ripostiglio. Michael avanzò nella stanza. — Abbiamo chiuso il negozio. Guardate chi c'è qui! — Così dicendo spinse avanti Martha. Era più magra e più chiara di capelli e molto più somigliante a se stessa ora. Lasciò la mano di Michael e corse ad abbracciare Sophie gridando: — Avresti dovuto dirmelo! —. Poi andò ad abbracciare Fanny, nonostante tutto quello che aveva detto di lei.


Ma non era finita lì. Dopo Martha, arrivarono anche Lettie e la signora Fairfax, che portavano un grande cesto, e dopo di loro entrò Percival, finalmente più vivace e animato. — Siamo arrivate alle prime luci dell'alba con il barocciaio e abbiamo portato... Dio ti benedica, questa è proprio Fanny! Lasciò andare di colpo il manico del cesto, per andare a far festa a Fanny, mentre Lettie posava anche l'altra estremità del canestro per andare ad abbracciare Sophie. A quel punto c'era un tale frastuono, dato da tutti quei saluti, quelle esclamazioni e quelle grida festose, che Sophie si meravigliò del fatto che Howl dormisse ancora saporitamente, come lo confermava il russare che giungeva alla sue orecchie nonostante il chiasso... — Dovrò lasciare il castello questa sera — pensò Sophie, però, era troppo felice di rivedere tutti i suoi cari per andarsene. Lettie era molto presa da Percival. Mentre Michael portava il cesto sul tavolo e ne tirava fuori polli freddi, bottiglie di vino e dolci al miele, Lettie si aggirava per la stanza al braccio di Percival, con un'aria di possesso che Sophie non si sentiva di approvare, e gli faceva dire tutto quello che si ricordava. Ma al ragazzo sembrava che tutto ciò non desse assolutamente fastidio, anzi, e poi Lettie era così carina! — Appena è arrivato ha continuato a trasformarsi in un uomo, prima, poi in cani di razze diverse, insistendo che mi aveva già conosciuto — spiegò Lettie alla sorella maggiore, — mentre io insistevo di non averlo mai visto prima. Ma non fa alcuna differenza... — e diede un colpetto rassicurante a Percival su una spalla, proprio come se fosse ancora un cane. — Ma tu hai mai incontrato il Principe Justin? — le chiese Sophie. — Oh, sì —. Così dicendo Lettie abbassò la voce e si mise


una mano davanti alla bocca. — Tienitelo per te, perché era camuffato con un'uniforme verde, ma era comunque proprio lui. Era così calmo e distaccato, e anche quand'era chiaramente seccato per tutti quegli incantesimi di ritrovamento, si comportava in modo regale... Gliene ho dovuti fare due dozzine, perché tutti indicavano che il Mago Suliman era da qualche parte fra la casa della signora Fairfax e Market Chipping, e lui giurava che questo non era assolutamente possibile. E tutte le volte che io mi rimettevo al lavoro, lui mi interrompeva, chiamandomi 'dolce signora', ma con tono un po' sarcastico, e mi chiedeva chi fossi, dove vivesse la mia famiglia, quanti anni avessi... Pensai che fosse uno sfrontato! Avrei preferito il Mago Howl, il che è tutto dire! A quel punto tutti se ne stavano a chiacchierare, mangiando pollo e sorseggiando un bicchiere di vino. Solo Calcifer sembrava non partecipare alla festa e se ne stava timido e basso sui ceppi, mandando solo qualche fiammella verde. Visto che Sophie gli voleva presentare Lettie, cominciò a fargli un sacco di moine. — È davvero il demone da cui dipende la vita di Howl? — chiese Lettie che guardava le fiammelle con aria poco convinta. Sophie alzò gli occhi per assicurare Lettie che Calcifer era un vero demone e vide la signorina Angorian ferma sulla soglia, con aria timida e incerta. — Oh, scusatemi tanto, sono venuta nel momento sbagliato, vero? Volevo solo parlare con Howell. Sophie rimase incerta sul da farsi. Si vergognava di come aveva trattato la signorina Angorian quand'era venuta la volta precedente, solo perché Howl la corteggiava. In ogni caso, si disse, non era costretta a farsi piacere quella donna. Michael, inaspettatamente, le tolse le castagne dal fuoco, poiché salutò la signorina Angorian con un sorriso smagliante e


un benvenuto forse un po' troppo gridato. — Howl sta dormendo, in questo momento — le disse l'apprendista, — ma venite a bere un bicchiere di vino, mentre aspettate. — Molto gentile, da parte vostra! Ma era chiaro che la signorina Angorian non fosse felice. Rifiutò il vino e se ne stette a gironzolare, mentre rosicchiava una coscia di pollo. La stanza era piena di persone che si conoscevano piuttosto bene fra loro, lei era l'unica estranea. Fanny non fu affatto d'aiuto, poiché l'unico commento che fece, inserito in una conversazione non stop con la signora Fairfax, fu: "Che strano abbigliamento, molto particolare!". Anche Martha non aiutò la signorina Angorian a inserirsi nel gruppo, anzi, visto lo sguardo ammirato di Michael quando le aveva dato il benvenuto, Martha si adoperò perché l'apprendista parlasse solo con lei o con Sophie. Lettie semplicemente ignorò la signorina e andò a sedersi su per le scale con Percival. Molto presto l'intrusa ne ebbe abbastanza di essere tale e si diresse verso la porta. Sophie la vide che armeggiava per aprire e le si avvicinò di corsa, sentendosi in colpa. Dopo tutto la signorina Angorian doveva provare un sentimento molto forte per Howl, per continuare a venire a cercarlo a casa. — Per favore, non ve ne andate. Andrò a svegliare Howl. — Oh, non dovete —. Intanto la signorina sorrideva a Sophie con aria nervosa. — Ho il giorno libero e non mi dispiace aspettare. Pensavo di andare a esplorare un po' i dintorni. Qui dentro c'è un'aria pesante con quel buffo fuoco verde che brucia. A Sophie sembrò una splendida occasione per liberarsi della signorina Angorian senza liberarsi veramente di lei. Così le aprì educatamente la porta che aveva il pomello girato, non si sa come, sul porpora, ma forse questa cosa aveva a che fare con le difese di cui Howl aveva parlato con Michael. Fuori c'era una


nebbiolina data dal calore e bordure cariche di fiori rossi e purpurei. — Che rododendri superbi! — esclamò la signorina Angorian con la sua voce più roca e vibrante. — Io devo vedere! —. E scese in fretta nell'erba acquitrinosa. — Non andate verso sud-est — l'avvertì Sophie. Il castello, in quel momento, si stava spostando di lato e la signorina Angorian aveva il suo bel viso sepolto in un mazzo di fiori bianchi. — Non andrò affatto lontano — furono le sue parole. — Santo cielo! Cos'è accaduto alla mia carrozza? — chiese Fanny alle spalle di Sophie. Sophie cercò di spiegarle quel tanto che poteva, ma Fanny era talmente preoccupata che Sophie dovette girare il pomello sull'arancione e aprire la porta. Allora Fanny poté constatare che la sua carrozza non si era volatilizzata per magia, ma era ancora là sul viale della villa, con il cocchiere e il valletto che giocavano a carte mangiando salsicce fredde proprio sul tetto di quella carrozza. Sophie cercò di spiegarle, senza in effetti saperlo bene nemmeno lei, il funzionamento di quella porta unica, che si poteva aprire su parecchi posti differenti. Stava ancora parlando con la matrigna, quando Calcifer si alzò dai sui ceppi di colpo, ruggendo. — Howl! Il camino si riempì di una fiammata blu. — Howl! Howell Jenkins, la Strega ha trovato la famiglia di tua sorella! Ci furono due colpi violenti al piano di sopra. La porta della camera di Howl sbatté e il Mago arrivò giù in un battibaleno, scavalcando Lettie e Percival ancora sulle scale. Fanny lanciò un debole grido vedendo il Mago, i cui capelli erano come un covone di grano mentre gli occhi erano molto arrossati.


— Beccato al fianco, nel mio punto debole, maledetta! — urlò Howl mentre attraversava la stanza facendo fluttuare le maniche nere. — Temevo che l'avrebbe fatto! Grazie Calcifer! —. Spostò Fanny e aprì la porta. Sophie udì sbattere la porta dietro di Howl, mentre si affrettava a raggiungere il piano di sopra. Sapeva che quello voleva dire spiare, ma doveva assolutamente vedere quello che sarebbe accaduto. Mentre attraversava zoppicando la camera di Howl, sentì che tutti gli altri l'avevano seguita. — Che stanza sudicia! — Fanny non si poté trattenere dall'esclamare. Sophie guardò fuori dalla finestra. Sul giardino tutto ordinato, stava cadendo una pioggerella sottile. L'altalena era ricoperta di gocce. Anche la criniera rossa della Strega ne era imperlata. Se ne stava in piedi, appoggiata all'altalena, alta e imperiosa nel suo abito rosso. Ripeteva un gesto con la mano per chiamare qualcuno. Mari, la nipotina di Howl, si trascinava sull'erba bagnata verso la Strega, ma sembrava che non volesse affatto muoversi, solo che non aveva altra scelta. Dietro di lei Neil, il nipote del Mago, procedeva ancor più lentamente con un'espressione feroce testimone del fatto che era costretto a fare qualcosa che non aveva la minima intenzione di fare. Dietro ai due bambini veniva, infine, Megan, che gesticolava e continuava a parlare ininterrottamente. Era chiaro che la Strega le stava rubando una parte della mente, mentre la costringeva a procedere come i suoi figli. Howl apparve all'improvviso, di schianto, sul prato. Non si era curato, nella fretta, di cambiarsi i vestiti e non si diede neanche la pena di tirar fuori le sue arti magiche, puntò semplicemente e direttamente verso la Strega. Questa fece un gesto per afferrare Mari, ma la bambina era ancora troppo


lontana da lei. Howl arrivò per primo alla nipote, la nascose dietro di sé e caricò la Strega come un ariete. La Strega si mise a correre come un gatto inseguito da un cane attraverso il prato e svanì oltre la siepe ben tenuta, in un turbine di veli color fiamma. Howl, come un cane da caccia, le stava dietro a non più di un piede di distanza, con le sue lunghe maniche nere che fluttuavano nell'aria. Poi la siepe nascose entrambi alla vista. — Spero proprio che la prenda — fu il commento di Martha. — La bambina sta piangendo. Laggiù, nel suo giardino tutto ordinato, Megan aveva intanto messo un braccio attorno alle spalle di Mari e ora stava portando in casa entrambi i suoi figli. Non c'era modo si sapere cosa ne fosse della Strega e di Howl. Lettie, Percival, Martha e Michael tornarono al piano di sotto, mentre Fanny e la signora Fairfax erano pietrificate dal disgusto per le condizioni della camera del Mago. — Guarda quei ragni, Fanny! — E tu guarda la polvere sulle tende del baldacchino! Annabel, ho visto delle scope in quel passaggio che abbiamo attraversato per venire su. — E vero, prendiamole. Appunteremo con qualche spilla il tuo vestito, Fanny, e ci metteremo al lavoro. Non posso sopportare che una stanza sia in questo stato! — Oh, povero Howl! — pensò Sophie. — Lui ama quei ragni. Si attardò sulle scale cercando di escogitare come fermare quelle due. Dal piano di sotto Michael la chiamava: — Sophie, stiamo andando a dare un'occhiata attorno alla villa. Volete venire con noi? Ecco la scusa ideale per impedire alle due signore di fare le pulizie. Sophie chiamò Fanny e si affrettò a scendere al piano di sotto. Lettie e Percival stavano già aprendo


a porta. Lettie non aveva sentito la spiegazione di Sophie riguardo a quell'uscio ed era chiaro che neanche Percival ne aveva sentito, o capito, niente, infatti stavano aprendo con il pomello sul porpora. Avevano già spalancato l'uscio, quando sopraggiunse Sophie che voleva correggerli. Lo spaventapasseri apparve nella cornice della porta su uno scenario fiorito. — Chiudi! — strillò Sophie, che aveva capito quello che era successo. Lei stessa, la sera precedente, aveva ordinato a quella cosa di andare dieci volte più in fretta e lo spaventapasseri si era semplicemente affrettato verso l'entrata del castello e aveva cercato di entrare da lì. Ma fuori, fra le piante, doveva esserci anche la signorina Angorian. Si domandò se giacesse svenuta o morta di paura in qualche cespuglio. — No, ti prego. No — mormorò Sophie debolmente. Nessuno comunque stava pensando a lei. Il viso di Lettie, che si era aggrappata a Martha, era eburneo come il vestito di Fanny. Percival se ne stava impalato a bocca aperta e Michael stava cercando di afferrare il teschio che sbatteva talmente forte i denti da correre il rischio di cadere giù dal banco di lavoro trascinando con sé una bottiglia di vino. Il teschio sembrava aver prodotto anche uno strano effetto sulla chitarra che emetteva un lungo, sonoro lamento. Calcifer alzò di nuovo le fiamme verso il camino. — Quella cosa sta parlando e dice che non ha nessuna intenzione di fare del male. Penso che dica la verità. Sta aspettando il tuo permesso per entrare. Era vero, lo spaventapasseri se ne stava fermo davanti alla porta senza fare alcun tentativo di saltare dentro, come invece aveva fatto le volte precedenti. E Calcifer doveva fidarsi di lui, poiché aveva fermato il castello. Sophie guardò la faccia di rapa e gli stracci che gli coprivano le braccia stecchite. Dopotutto non sembrava


poi così spaventoso. Le venne in mente di aver provato dei sentimenti di pietà per quella cosa; il fatto, poi, che tutte le volte che lei aveva deciso di lasciare il castello, lo spaventapasseri fosse arrivato puntualmente a impedirglielo, forse dipendeva dal suo stato d'animo: era lei che, in realtà, non aveva voluto andarsene. A quel punto, però, non ci sarebbero state più scuse, doveva andarsene in ogni caso: Howl preferiva la signorina Angorian. — Prego, accomodati —. L'invito di Sophie suonò solo un po' roco, gracchiante. — Ahmmmnng! — fece la chitarra. Lo spaventapasseri entrò nella stanza con un balzo poderoso. Poi rimase a dondolarsi in equilibrio, guardandosi attorno come se stesse cercando qualcosa. Il profumo di fiori che aveva portato con sé non riusciva comunque a coprire l'olezzo di polvere e di rapa marcia, che pervase l'ambiente. Il teschio ricominciò a battere i denti sotto le dita di Michael. Lo spaventapasseri si girò a quel rumore, e apparve felice mentre si dirigeva verso quelle povere ossa. Michael fece un tentativo di salvare il teschio, ma poi si tolse velocemente di mezzo poiché non appena lo spaventapasseri cadde sul bancone, una scossa di potente magia percorse l'aria, e il teschio si mescolò con la testa di rapa, anzi, sembrò che le ossa entrassero nella rapa e la riempissero per bene, dando l'impressione di un volto spigoloso. L'unico problema era che il volto era girato all'indietro. Lo spaventapasseri si scosse, fece un salto un po' incerto, poi girò a effetto il proprio corpo e si ritrovò con la faccia girata nel verso giusto. Immediatamente le braccia stecchite cominciarono a muoversi e ad abbassarsi lentamente lungo i fianchi. — Ora posso parlare — disse con voce impastata.


— Potrei svenire — annunciò Fanny, ferma sulle scale. — Sciocchezze — intervenne la signora Fairfax alle sue spalle. — Quella cosa è solo il golem di un Mago. Deve compiere la missione che gli è stata affidata. I golem sono creature, di solito, piuttosto innocue. Anche Lettie sembrava sull'orlo di uno svenimento, ma l'unico a cui mancarono davvero i sensi fu Percival. Scivolò sul pavimento senza fare rumore e rimase là rannicchiato come se si fosse addormentato. Lettie, nonostante fosse terrorizzata, corse dal ragazzo, ma si dovette fare subito indietro poiché lo spaventapasseri con un balzo si piazzò davanti a Percival. — Questa è una delle parti che dovevo trovare. Poi con un altro balzo fu davanti a Sophie. — Ti devo ringraziare. Il mio teschio era molto lontano e io ho esaurito le forze prima di raggiungerlo. Sarei rimasto sul margine di quella strada per sempre se tu non fossi arrivata e mi avessi ridato vita, parlandomi —. Quindi accennò un inchino a Lettie e uno alla signora Fairfax. — Ringrazio anche voi due. — Chi ti ha mandato? E cosa dovresti fare? — gli chiese Sophie. Lo spaventapasseri rimase in bilico sulla sua unica gamba. — Più di quanto ho fatto finora. Ci sono ancora delle parti mancanti. Ognuno di loro sembrava in attesa, troppo scosso per parlare, mentre lo spaventapasseri ruotava su se stesso, probabilmente pronto ad andarsene. — Percival di cosa è parte? — gli chiese allora Sophie. — Lascia che raccolga i suoi pezzi da solo — intervenne Calcifer. — Nessuno gli ha chiesto di spiegare se stesso pri... All'improvviso il demone si interruppe, e rabbrividì finché le sue fiamme non diventarono di un verde tenue. Michael e Sophie si scambiarono occhiate allarmate.


Poi, dal nulla arrivò una nuova voce. Era amplificata e soffocata al tempo stesso, come se stesse parlando dentro una scatola. Non c'era, però, ombra di dubbio: quella era la voce della Strega. — Michael Fisher, devi dire al tuo signore che è caduto in un tranello. Ora io tengo prigioniera la donna chiamata Lily Angorian nella mia fortezza nelle Terre Desolate. Digli che la libererò solo se verrà lui a prenderla. È tutto chiaro, Michael Fisher? Lo spaventapasseri si tornò a girare e cominciò a saltellare verso la porta. — Fermatelo! — gridò Michael. — La Strega deve averlo mandato per poter entrare qua dentro! CAPITOLO VENTUNO In cui viene concluso un contratto di fronte a testimoni La maggior parte delle persone radunate nella stanza corse dietro allo spaventapasseri. Sophie, invece, corse dalla parte opposta, raccolse il suo bastone ed entrò in negozio. — E colpa mia — brontolava con se stessa. — Ho una vera dote per fare sempre le cose sbagliate! Avrei potuto trattenere la signorina Angorian se solo mi fossi messa a chiacchierare educatamente con lei, poverina! Howl può avermi perdonato un sacco di cose, ma non mi perdonerà questa tanto facilmente! Arrivata in negozio, si affrettò a togliere dalla vetrina gli stivali delle sette leghe, li vuotò dei fiori che contenevano, rovesciò l'acqua per terra e trascinò le enormi calzature fuori dalla porta, sul marciapiede affollato.


— Mi scusi — dovette dire a varie scarpe e diverse maniche, tanta era la gente in strada. Alzò gli occhi per controllare la posizione del sole in quel momento, cosa non facile vista la giornata grigia e nuvolosa. — Vediamo... sud-est... In quella direzione... Mi scusi, mi scusi... Si ritagliò un po' di spazio sul marciapiede per posizionare gli stivali nella direzione giusta, poi li indossò con un balzo e cominciò a camminare a lunghe falcate. Zip-zip, zip-zip, zip-zip, zip-zip, zip-zip, zip-zip, zip-zip. Andare con due stivali era ancora meglio: maggiori sia la velocità che la stabilità. Fra una lunga falcata e l'altra Sophie lanciava delle brevi occhiate al paesaggio che scorreva sotto di lei: la villa, circondata dagli alberi, alla fine della valle con la carrozza di Fanny ancora ferma all'ingresso; le felci sulle colline; un torrente che scendeva in una valletta verde; lo stesso torrente che scorreva in una valle molto più ampia; la stessa valle che si apriva a tal punto che non se ne scorgeva la fine e l'orizzonte che sembrava tingersi di blu; poi in lontananza una fila di torri e guglie che potevano essere quelle di Kingsbury; poi la pianura ai piedi delle montagne; una montagna così scoscesa che Sophie, nonostante il bastone, scivolò fino alle sue pendici e corse il rischio di cadere in una gola profondissima coperta di nebbiolina blu. A quel punto solo una veloce e lunghissima falcata le impedì di cadere sulle cime degli alberi che intravvedeva appena nell'orrido. Finalmente atterrò su un fitto strato di sabbia gialla. Piantò il bastone e si guardò attorno con fare circospetto. Oltre la sua spalla destra, lontane alcune miglia, si scorgevano la montagne che aveva appena valicato, coperte da una bruma lattiginosa. Al di sotto della nebbia si vedeva una striscia verde scuro.


Sophie annuì, pensando che il castello, anche se da lì era invisibile, doveva essere fermo proprio ai confini di quella zona coperta da tutto quel vapore, là sotto c'erano senz'altro tutti i loro bei fiori. Fece un'altra accorta falcata. Zip. Era caldo in modo spaventoso. Ora la sabbia gialla si estendeva in tutte le direzioni e l'orizzonte baluginava nella temperatura infuocata. Fra la sabbia emergevano, qua e là, degli spuntoni di roccia. L'unica cosa che cresceva in quel deserto erano dei radi cespugli grigi e polverosi. Le montagne sembravano delle nuvole che incombevano sull'orizzonte. — Se queste sono le Terre Desolate — disse Sophie col sudore che le bagnava il viso rugoso — allora mi dispiace per la Strega che deve vivere qui. Sophie mosse un altro lungo passo. Il vento provocato dallo spostamento non la rinfrescò affatto. Ora la sabbia era più grigia, mentre rocce e cespugli erano identici ai precedenti; all'orizzonte le montagne sembravano aver oscurato il cielo. Sophie strinse un po' gli occhi per vedere se riusciva a distinguere meglio, nella grigia linea dell'orizzonte, qualcosa che fosse un po' più alto di una roccia. Poi fece un'altra falcata. Sembrava di essere in un forno. Ma lontano circa un quarto di miglio, c'era qualcosa dalla forma particolare, come una palafitta sopraelevata su quel deserto di sabbia e rocce sparpagliate a terra come immondizie. Aveva una sagoma fantastica: torrette a torciglione si levavano da una torre principale che si ergeva un po' storta, come il dito di una vecchia mano artritica. Sophie si arrampicò fuori dagli stivali. Era troppo caldo per portare qualsiasi cosa, così si avviò per cercare di scoprire qualcosa, servendosi solo del suo bastone. La costruzione sembrava fatta di argilla ricavata dal Deserto. All'inizio Sophie si chiese se non potesse essere il nido di una qualche strana specie di formica. Ma quando fu più vicino, vide


che era come se qualcuno avesse fuso migliaia di vasi da fiori, porosi e gialli, in un unico mucchio affusolato. Sogghignò, pensando che spesso aveva considerato il castello di Howl come l'interno di un grande camino. Quell'edificio, in effetti, era una collezione di comignoli. Doveva essere opera di un demone del fuoco. Non appena Sophie cominciò a percorrere la salita che portava alla costruzione, non ebbe più alcun dubbio: era arrivata alla fortezza della Strega delle Terre Desolate. Due piccole figure arancione uscirono da uno scuro androne alla base dell'edificio, e rimasero immobili ad aspettarla. Riconobbe i due paggetti della Strega. Nonostante fosse accaldata e senza fiato cercò di rivolgersi in maniera gentile per dimostrare che non ce l'aveva con loro. — Buon pomeriggio! La degnarono appena di un'occhiata, uno si inchinò lievemente e stese la mano indicando un'arcata buia fra due colonne. Sophie rabbrividì e lo seguì all'interno, mentre l'altro paggio camminava dietro di lei. Naturalmente l'entrata svanì non appena furono passati. Sophie rabbrividì di nuovo, avrebbe dovuto affrontare un altro problema al ritorno. Si sistemò il nodo dello scialle e cercò di stendere la gonna spiegazzata, poi si incamminò dietro il paggio. Era un po' come passare attraverso la porta del castello quando il pomello era sul nero. Ci fu un momento di nulla, seguito da una luce tenebrosa. La luce proveniva da alcune fiammelle di un colore giallo-verde che bruciavano tutt'attorno, ma in modo talmente debole da non fornire né calore né molta luce. Quando Sophie le fissava, le fiamme non si trovavano mai dove stava guardando, ma sempre in un punto a fianco. Naturalmente si trattava di magia. Sophie rabbrividì di nuovo e seguì il paggio attraverso una galleria fatta di comignoli.


Dopo aver percorso parecchia strada il paggio la condusse a una specie di tana centrale, o forse era solo un grande spazio fra tutti quei comignoli. Sophie era confusa: la fortezza sembrava enorme, ma poteva trattarsi di un inganno, proprio come per il castello. La Strega la stava aspettando. Era difficile dire come Sophie nuovamente avesse la certezza che quella fosse la Strega, tranne che non poteva essere nessun altro. Questa volta la Strega era alta e ossuta e aveva i capelli biondi acconciati in una coda attorcigliata come quella a ricciolo di un maiale che le ricadeva su una spalla scheletrica. Indossava un abito bianco. Quando Sophie si diresse verso di lei brandendo il bastone, la Strega si ritrasse. — Non devo essere minacciata! — disse con tono stanco e fragile. — Allora dammi la signorina Angorian e non ti minaccerò più. La prenderò con me e me ne andrò via. La Strega si ritrasse ulteriormente gesticolando con entrambe le mani. I paggi, allora, si trasformarono in due grossi e viscidi globuli arancione che si levarono in aria e volarono verso Sophie. — Bleah! Andate via! — gridò Sophie cercando di colpirle con il bastone. I due ammassi non sembravano interessarsi al bastone, lo scansarono, volando qua e là, poi attaccarono Sophie alle spalle. Stava giusto pensando di aver avuto la meglio quando si trovò incollata a uno di quei comignoli che fungevano da pilastro. Una sostanza vischiosa arancione le bloccava le caviglie quando cercava di muoversi e le tirava i capelli in modo piuttosto doloroso. — Preferirei la melma verde di Howl! Spero che quelli non fossero dei veri ragazzi. — Solo delle emanazioni — le disse la Strega.


— Lasciami andare! — No! — fu la secca risposta della Strega che si girò e sembrò perdere del tutto ogni interesse per Sophie. Sophie cominciò a temere di aver fatto come al solito una gran confusione. Quella specie di colla sembrava diventare più dura e più elastica a ogni secondo che passava. Quando cercò di muoversi fu violentemente trattenuta contro il pilastro. — Dov'è la signorina Angorian? — Non la troverai — rispose la Strega. — Aspetteremo l'arrivo di Howl. — Non verrà. Ha più buon senso di me e la tua maledizione non è stata poi così efficace. — Lo sarà! — disse la Strega sorridendo. — Ora che sei caduta nel nostro tranello e sei prigioniera qua, Howl dovrà essere onesto almeno per una volta. Fece un altro gesto, questa volta rivolto verso le fiammelle, e subito comparve fra due pilastri una specie di trono che si fermò proprio di fronte alla Strega. Lì seduto c'era un uomo che indossava un'uniforme verde e dei lunghi stivali lucidi. Prima Sophie pensò che dormisse con la testa ripiegata di lato, cosicché non poteva vederla, ma a un nuovo gesto della Strega l'uomo si sedette eretto e Sophie vide che la testa mancava del tutto su quelle spalle e si rese conto di stare guardando tutto ciò che era rimasto del Principe Justin. — Se fossi Fanny, direi che temo di svenire! Rimettigli subito la testa! Così ha un aspetto orribile! — Qualche mese fa avevo a disposizione entrambe le teste, ma ho venduto il teschio del Mago Suliman quando ho venduto la sua chitarra — le spiegò la Strega. — La testa del Principe Justin sta vagabondando con le altre parti rimaste. Questo corpo è una mescolanza perfetta del Principe Justin e del Mago


Suliman. Sta aspettando la testa di Howl per fare la nostra creatura umana perfetta. Quando avremo la testa di Howl, avremo il novo Re di Ingary e io sarò la Regina. — Tu sei pazza! — riuscì a dire Sophie. — Non hai nessun diritto di trattare le persone come se fossero dei puzzle! E ti sbagli se pensi che la testa di Howl esaudirà un tuo desiderio. Sfuggirà via in qualche modo... — Howl farà esattamente come abbiamo detto —. E la Strega sorrise in modo subdolo e scaltro. — Noi controlleremo il suo demone del fuoco. A quel punto Sophie si rese conto di essere veramente spaventata. Sapeva di aver fatto una gran confusione di tutto. — Dov'è la signorina Angorian? — chiese, agitando il bastone. Alla Strega non piaceva che Sophie agitasse il bastone verso di lei e si ritrasse di qualche passo. — Sono molto stanca. Continuate a rovinare i miei piani. Prima il Mago Suliman non voleva neanche avvicinarsi alle Terre Desolate, così ho dovuto minacciare la Principessa Valeria affinché il Re gli ordinasse di venire. Poi, quando è arrivato, ha cominciato a far crescere alberi e piante. Quindi il Re ha impedito per mesi al Principe Justin di seguire Suliman, e quando il Principe finalmente è riuscito ad allontanarsi da Kingsbury, se n'è andato a nord, da qualche parte per qualche oscuro motivo, e io ho dovuto utilizzare tutte le mie arti per attirarlo qui. Howl mi ha causato problemi anche maggiori. Se n'è andato una prima volta. Ho dovuto trovare il giusto sortilegio per riprenderlo. Mentre stavo scoprendo su di lui abbastanza per poter completare il sortilegio, sei arrivata sulla scena tu, che ti sei imbattuta in quello che era rimasto del cervello di Suliman e mi hai creato ulteriori guai. E ora io ti


trascino qui, ma tu mi minacci con il tuo bastone e pretendi di discutere con me. Ho lavorato molto duramente per arrivare a questo momento e non devo essere messa in discussione da nessuno —. Si girò e si mise a gironzolare nella penombra. Sophie fissò la figura alta e bianca che si muoveva alla debole luce delle fiammelle. — Penso che la sua veneranda età le abbia dato alla testa! — rifletté Sophie. — È pazza! Devo liberarmi e soccorrere in qualche modo la signorina Angorian! Le sovvenne che quella roba arancione aveva evitato di entrare in contatto con il suo bastone, proprio come aveva fatto la Strega, così se lo passò ripetutamente dietro alle spalle, proprio dove l'appiccicume la tratteneva al comignolo. Mentre faceva questa operazione diceva con voce imperiosa: — Vattene da lì! Lasciami andare! I capelli erano ancora attaccati in più punti, ma la colla cominciava a cedere sulla schiena e se ne andava scivolando dai suoi fianchi. Visto il risultato mosse il bastone con lena maggiore. Era già riuscita a liberare tutti i capelli e le spalle, quando ci fu un botto sordo che fece ondeggiare le fiammelle e scosse il pilastro a cui Sophie era imprigionata. Poi, con il rumore di mille servizi da tè che vanno in pezzi contemporaneamente, una vasta porzione di parete crollò. Dallo squarcio prodottosi entrò la luce e una figura che procedeva a balzi. Sulle prime Sophie si girò con la speranza che fosse Howl, ma la sagoma nera aveva una gamba sola... di nuovo lo spaventapasseri! La Strega cacciò un urlo pieno di rabbia e gli si avventò contro, con la coda di capelli biondi che le svolazzava su una spalla e le braccia rinsecchite protese. Anche lo spaventapasseri le si avventò contro, ed entrambi furono avvolti da una nuvola


magica, mentre scoppiava un forte rombo di tuono, proprio come quando c'era stato lo scontro fra la Strega e Howl nel mare di Porthaven. La nuvola alzò nugoli di polvere ed emise scoppi e lampi ripetuti che fecero rabbrividire Sophie e le fecero crepitare i capelli. La nuvola era distante solo qualche iarda da Sophie e si spostava in un raggio abbastanza ridotto; anche l'apertura nel muro non era tanto distante da lei, fattori, questi, che le confermarono quanto le dimensioni della fortezza fossero, in realtà, abbastanza ridotte. Tutte le volte che la nuvola passava davanti alla breccia nel muro, Sophie intravvedeva le due sagome rinsecchite che battagliavano in quella sorta di nebbia e lei si dava da fare con foga sempre maggiore per liberarsi. Le erano rimaste ancora intrappolate solo le gambe, quando osservando in controluce e per l'ennesima volta la nuvola che racchiudeva in sé i duellanti, vide che un'altra persona era arrivata attraverso la fenditura. Questa volta Sophie riconobbe immediatamente due maniche nere che vorticavano. Poi Howl, perché era proprio lui, si mise a osservare il combattimento a braccia conserte e per un momento sembrò che non volesse intervenire affatto. A un tratto le maniche batterono come un paio di grandi ali, mentre il Mago sollevava le braccia e gridava una strana, lunga parola accompagnata da un prolungato rombo di tuono. Sia la Strega che lo spaventapasseri sobbalzarono. Degli scoppi cominciarono a risuonare fra i pilastri di terraglia, a riecheggiare sempre più lontano, portando con sé un po' di quella nuvola magica, che svanì in riccioli sempre più piccoli e si perse in piccoli mulinelli debolmente illuminati. Quando la nuvola fu del tutto trasformata in una nebbiolina lattea, la bianca figura della Strega cominciò a vacillare, poi sembrò piegarsi su sé stessa, più magra e bianca che mai. Finalmente, quando anche la nebbiolina


si disperse del tutto, cadde ridotta a un mucchietto di ossa, davanti al quale si ritrovarono a fronteggiarsi Howl e lo spaventapasseri, fra milioni di deboli eco che morivano attorno a loro. — Bene! — pensò Sophie mentre si liberava completamente dei residui di colla e si dirigeva verso il trono dove sedeva ancora il corpo senza testa. Quel tronco acefalo cominciava a darle proprio ai nervi! — No, amico mio — disse Howl rivolto allo spaventapasseri che stava rovistando fra il mucchietto d'ossa con la sua unica gamba, — il suo cuore non lo troverai qui. L'avrà senz'altro il suo demone del fuoco. Penso che abbia avuto il dominio su di lei per molto tempo. Molto triste, davvero. Poi, mentre Sophie si toglieva lo scialle e lo aggiustava attorno alle spalle del Principe Justin, aggiunse: — Penso che il resto di quello che stavi cercando sia qua —. Così dicendo mosse alcuni passi verso il trono con a fianco lo spaventapasseri. — Proprio tipico di te, Sophie! Io mi rompo il collo per arrivare qui e cosa trovo? Te che fai tranquillamente ordine e pulizia! Sophie alzò lo sguardo su di lui. Alla cruda luce del giorno che entrava dallo squarcio nella parete, si vedeva chiaramente che Howl non si era dato la pena di radersi o di aggiustarsi i capelli. Aveva ancora gli occhi cerchiati di rosso e le maniche strappate in più punti. Non c'era molta differenza fra Howl e lo spaventapasseri in quel momento! — Poverino, deve amare davvero la signorina Angorian — pensò Sophie, e quindi gli spiegò: — Sono venuta qui per la signorina Angorian. — E io che pensavo che se ti avessi organizzato una visita della tua famiglia, la cosa ti avrebbe tenuta tranquilla per un po'!— le disse Howl con voce che voleva suonare carica di


disgusto — Ma no... A questo punto lo spaventapasseri arrivò saltellando davanti a Sophie. — Sono stato mandato dal Mago Suliman. Scacciavo gli uccelli che altrimenti venivano a becchettare i cespugli che aveva piantato nelle Terre Desolate, ma poi la Strega l'ha catturato, e lui mi ha passato tutta la magia che è riuscito a liberare prima di cadere del tutto preda di quella donna, e mi ha ordinato di venire in suo soccorso. Ma la Strega l'ha suddiviso in pezzi e ha sparso le varie parti in posti differenti. E stato un compito molto duro. Se tu non mi avessi ridato la vita, parlandomi là nella siepe, avrei miseramente fallito la mia missione. Rispondeva, così, alle domande che lei gli aveva posto prima che tutti e due si precipitassero alla fortezza della Strega. Ora Sophie cominciava a capirci qualcosa. — Così, quando il Principe Justin ha ordinato tutti quegli incantesimi di 'ritrovamento', l'ha fatto per ritrovare te... — Ritrovare me o il suo teschio — le rispose lo spaventapasseri. — Noi siamo le sue parti migliori. — E Percival è composto dal Mago Suliman e dal Principe Justin, vero? Sophie non era sicura che a Lettie piacesse questa parte della storia. — Sì, ed entrambe le parti mi hanno detto che la Strega e il suo demone non erano più uniti, e che quindi potevo sconfiggere quella donna crudele proprio nella sua tana. Ti ringrazio per avermi dato la possibilità, con il tuo ordine, di andare dieci volte più velocemente di prima. A quel punto Howl s'intromise nel loro dialogo: — Porta quel corpo con te al castello, vedrò di trovare una soluzione quando saremo là. Sophie e io dobbiamo tornare


immediatamente prima che il demone della Strega trovi il modo d'infiltrarsi nelle difese che ho posto a guardia del castello —. Così dicendo strinse il polso di Sophie. — Dove sono gli stivali delle sette leghe? Sophie, però, si ritrasse. — Ma la signorina Angorian? — protestò. — Ma non hai ancora capito? — Howl continuava a tenerla per il polso e trascinarla. — La signorina Angorian è il demone del fuoco. Se entrasse nel castello, sarebbero guai seri sia per Calcifer che per me! Sophie riuscì a liberarsi dalla sua stretta e si coprì la bocca con entrambe le mani. — Lo sapevo, ho combinato un grande pasticcio! La signorina... il demone c'è già entrato due volte. Ma lei... lui se n'è andato. — Oh, buon Dio! — L'urlo di Howl era disperato. — Ha per caso toccato qualcosa? — La chitarra — ammise Sophie. — Allora è ancora là... vieni! Sospinse Sophie sulle macerie del muro, mentre urlava allo spaventapasseri di seguirli e di fare attenzione. Poi spiegò a Sophie come se ne sarebbero andati. — Farò alzare un gran vento. Non abbiamo tempo di cercare gli stivali adesso. Tu devi semplicemente correre più forte che puoi e mantenerti in movimento, altrimenti non riuscirò a tenerti sollevata. Sophie, aiutandosi con il bastone e sorretta da Howl, riuscì a superare le macerie abbastanza in fretta. Quando furono usciti, si alzò un mulinello d'aria che cominciò prima a far volare la sabbia grigia che copriva tutto il terreno circostante, per poi tramutarsi in una tempesta vera e propria. Sophie fece quello che Howl le aveva ordinato e cominciarono a muoversi con velocità sempre maggiore. Non era un modo comodo di


viaggiare e, per di più, era piuttosto rumoroso, ma presto le Terre Desolate furono passate. Intanto Sophie, urlando per superare il frastuono del vento, cercava di spiegare: — Non è stata colpa di Calcifer! Io gli ho ordinato di non dire niente. — Non l'avrebbe fatto comunque — le urlò il Mago di rimando. — So che non avrebbe mai tradito un compagno, demone come lui. Calcifer è sempre stato il mio punto debole. — Io pensavo che fosse il Galles! — No! Io, quel posto, l'ho lasciato spontaneamente. Sapevo che mi sarei arrabbiato abbastanza da fermare la Strega se avesse cercato di farmi qualche brutto tiro là. Dovevo lasciarle un punto sul quale colpire, capisci? L'unica possibilità che avevo di arrivare al Principe Justin era quella di usare la sua maledizione per potermi avvicinare a lei. — Cercavi veramente di salvare il Principe! — continuò a urlare Sophie. — Allora perché hai fatto fìnta di scappare? Per confondere la Strega? — Non è andata proprio così! Io sono un codardo, e l'unico modo per costringermi a fare qualcosa di cui ho paura è dirmi che non la farò! — Misericordia! — pensò Sophie guardando la sabbia grigia che ancora vorticava attorno a lei. — E onesto, in questo momento Howl è onesto con me e con se stesso! E questo che ci sospinge è un vero mulinello d'aria. Così l'ultima parte della maledizione si è avverata! La sabbia calda e vorticosa la sferzò con forza, mentre aveva rallentato troppo colpita da quella rivelazione. La stretta di Howl le fece male. — Continua a correre o ti farai del male!


Sophie respirò a fondo e riprese velocità. Ora poteva vedere le montagne e la linea verde segnata dai cespugli in fiore. E quel paesaggio, per fortuna, si stava avvicinando velocemente. — Avevo parecchi punti deboli! — continuò a spiegarle Howl urlando. — Confidavo sul fatto che Suliman fosse vivo. Poi, quando sembrava che tutto ciò che rimaneva di lui fosse Percival, mi sono spaventato al punto che sono uscito e mi sono ubriacato. E poi tu, tu che ti vai a cacciare proprio nelle grinfie della Strega! — Sono la più vecchia di tre sorelle e sono un vero fallimento! — Sciocchezze! Sai qual è il tuo problema? È che non la smetti mai di pensare... Ora Howl stava rallentando e la polvere si stava trasformando in dense nuvole. Sophie sapeva che ormai i cespugli dovevano essere vicini perché il sibilo del vento era cambiato di tono. Infatti, di lì a poco, si ritrovarono fra il verde, ma andavano ancora così in fretta che Howl dovette sostenere Sophie durante una lunga corsa sul lago. — E poi tu sei così carina — aggiunse Howl fra il fruscio dell'acqua e le ninfee che sbattevano. — Io contavo che fossi troppo gelosa per permettere a quel demone di avvicinarsi al castello. Toccarono le sponde del lago, coperte da una leggera nebbia, e la loro corsa finalmente rallentò, mentre i cespugli attraverso i quali passavano rilasciavano nuvole di petali e di uccellini. Il castello, ora, stava scendendo lungo il sentiero verso di loro fumando nel vento. Howl, che aveva rallentato la corsa ma non si era fermato del tutto, spalancò di colpo la porta così che lui e Sophie entrarono come proiettili. — Michael! — urlò il Mago.


— Non sono stato io a far entrare lo spaventapasseri! — rispose Michael con aria colpevole. Ogni cosa sembrava normale e Sophie fu sorpresa nello scoprire che era stata via per così poco tempo. Qualcuno aveva tirato fuori il suo letto dal sottoscala e ora Percival vi stava sdraiato sopra, ancora incosciente. Attorno a lui erano riuniti Lettie, Martha e Michael. Dal piano di sopra provenivano le voci della signora Fairfax e di Fanny che, evidentemente, stavano unendo i loro sforzi per riassettare la stanza di Howl. Dal rumore Sophie pensò che i ragni se la stessero vedendo brutta. Howl lasciò andare Sophie e si precipitò a prendere la chitarra, ma prima di poterla toccare questa scoppiò con un botto lungo e melodioso. Le corde si spezzarono e lo strumento andò in mille pezzi, tanto che Howl fu costretto ad arretrare proteggendosi il volto con una manica. E all'improvviso la signorina Angorian fu di fianco al camino sorridente. Howl aveva avuto ragione, doveva essere rimasta nella chitarra per tutto quel tempo aspettando il momento favorevole. — La tua Strega è morta — le disse Howl. — Non è una gran perdita! — disse la signorina Angorian rimanendo imperturbabile. — Ora posso crearmi da sola un nuovo essere umano molto migliore. La maledizione si è compiuta e io ora potrò mettere le mani sul tuo cuore. Così dicendo si piegò sulla grata del camino e tirò fuori Calcifer. Le fiamme di Calcifer tremolarono strette nel pugno chiuso. Appariva terrorizzato. — Nessuno si muova — avvertì la signorina Angorian. Nessuno osò farlo e Howl era il più immobile di tutti, mentre Calcifer chiedeva debolmente aiuto.


— Nessuno può aiutarti — gli disse la signorina Angorian. — Tu aiuterai me a controllare il mio nuovo essere umano. Ora te lo mostrerò. Devo solo stringere la mia presa. La mano che teneva Calcifer aumentò la stretta fino a che le nocche non diventarono bianche. Sia Howl che Calcifer gemettero. Calcifer si dibatteva agonizzante, mentre il viso di Howl era diventato bluastro, poi cadde sul pavimento come un albero abbattuto e rimase a terra incosciente come Percival. Sophie pensò che non respirasse più. La signorina Angorian era stupefatta, e mentre guardava Howl sgranando gli occhi esclamò: — Sta fingendo! — No, non sta fìngendo! — riuscì a gridare Calcifer, mentre si contorceva ridotto a una debole spirale. — Il suo cuore è davvero molto morbido... lascialo andare! Sophie raccolse il suo bastone con un gesto lento e circospetto, e questa volta, prima di agire, pensò. Poi cominciò a mormorare: — Bastone, colpisci la signorina Angorian, ma non far del male a nessun altro —. Quindi alzò il bastone e colpì la signorina Angorian con tutta la sua forza. La signorina Angorian emise un sibilo come un ceppo di legna bagnato che bruciava e lasciò andare Calcifer. Il poveretto rotolò sul pavimento perdendo fiamme e scintille e urlando di terrore. La signorina Angorian alzò un piede per schiacciarlo ma Sophie, lasciando andare il bastone, si tuffò a soccorrere Calcifer. Con sua grande sorpresa il bastone continuò a colpire la signorina Angorian da solo e poi ancora e ancora. Ma era naturale che lo facesse! pensò Sophie. Con le sue parole l'aveva animato proprio come la signora Pentstemmon le aveva spiegato. La signorina Angoria barcollò e sibilò. Sophie rimaneva in


piedi con Calcifer nelle mani, mentre il bastone continuava a colpire e cominciava a fumare scaldato dal calore emesso dalla signorina Angorian. Al contrario, Calcifer non sembrava molto caldo ed era di un colore blu lattiginoso per lo shock. Sophie percepiva la massa scura del cuore di Howl che batteva debolmente fra le sue dita. Doveva essere il cuore di Howl quello che stava tenendo nelle mani: l'aveva dato a Calcifer come pegno del contratto per mantenere vivo il demone. Evidentemente doveva aver provato un gran dispiacere per Calcifer, ma, al tempo stesso, era stata proprio una cosa sciocca da fare! Fanny e la signora Fairfax entrarono a precipizio portandosi dietro le scope, e alla loro vista la signorina Angorian si convinse del proprio fallimento. Così corse alla porta inseguita dal bastone di Sophie che continuava a batterla. — Fermatela! — urlò Sophie. — Non lasciate che esca! Tutti si precipitarono a obbedire: la signora Fairfax si pose di guardia alla porta del ripostiglio con la scopa alzata, Fanny si mise sulle scale, Lettie a guardia della porta che dava sul cortile e Martha vicino all'uscio del bagno. Michael corse alla porta del castello, ma proprio in quel momento Percival si alzò e corse anche lui verso la stessa porta. Nonostante fosse pallido come un lenzuolo e tenesse gli occhi chiusi, Percival fu più veloce di Michael, arrivò prima alla porta e la aprì. Con Calcifer fuori combattimento, il castello si era fermato. La signorina Angorian vide, attraverso l'uscio aperto, i cespugli immobili nella foschia e si precipitò verso l'uscita con una velocità non umana. Prima che potesse guadagnare la fuga, fu bloccata dallo spaventapasseri, che era appena arrivato saltellando con in spalla il principe Justin che aveva ancora


addosso lo scialle di Sophie. Lo spaventapasseri allargò le braccia stecchite sbarrando la strada e facendo ritrarre la signorina Angorian. Il bastone, che continuava a percuotere la signorina Angorian, aveva preso fuoco e il suo puntale metallico brillava incandescente. Sophie si rese conto che non avrebbe resistito a lungo. Fortunatamente la signorina Angorian odiava talmente il bastone che afferrò Michael per farsene scudo. Al bastone era stato detto di non fare del male a Michael, così rimase in aria ondeggiando, incandescente, senza colpire più nessuno. Ora poi doveva evitare anche Martha, che era accorsa al fianco di Michael. Insomma, pensò Sophie, ancora una volta aveva fatto la cosa sbagliata. Ma non c'era tempo da perdere. — Calcifer — gli disse Sophie, — dovrò rompere il tuo contratto. Questo ti ucciderà? — Morirei se qualsiasi altra persona tranne te lo rompesse — si affrettò a risponderle Calcifer. — È il motivo per cui ho chiesto a te di farlo. Tu puoi dare vita alle cose parlando con esse. Ricordati cos'hai fatto con lo spaventapasseri e con il teschio. — Bene, allora ti auguro di vivere altri mille anni! — gli disse Sophie con molto trasporto, in modo che la cosa si potesse avverare anche nel caso che le semplici parole non fossero state sufficienti. Poi si accinse a fare quell'operazione che la preoccupava terribilmente. Con grande cautela pizzicò la massa scura per tirare fuori Calcifer dal cuore di Howl, come avrebbe fatto con un bocciolo morto per separarlo dallo stelo. Calcifer volteggiò libero e si posò sulle spalle di Sophie, rimanendo in equilibrio come una lacrima blu. — Mi sento così leggero! —. Poi prese del tutto coscienza di quello che gli era successo.


— Sono libero! — si mise a gridare. Poi volteggiò verso il focolare, su per il camino e... scomparve dalla vista. — Sono libero! — Sophie sentì ancora la sua voce sempre più lontana che urlava, finché l'eco si perse fuori dal comignolo del vecchio negozio di cappelli. Sophie si diresse subito verso Howl, tenendo fra le mani la massa scura del suo cuore mezzo morto. Ora l'assalivano mille dubbi: sapeva che quella era la cosa giusta da fare, ma non sapeva di preciso come farla. — Certo va qui — si disse mentre s'inginocchiava accanto al corpo di Howl e gli appoggiava il cuore sul petto, dalla parte sinistra dove tante volte aveva sentito battere il suo all'impazzata. Poi cominciò a spingere. — Entra dentro! — gli disse. — Entra dentro e comincia a funzionare! Tenne premuta la massa scura con la mano e continuò a premerla. Il cuore cominciò ad affondare nel petto di Howl, e più affondava e più forte batteva. Sophie cercò di ignorare le fiamme e il parapiglia che c'era intanto alla porta, cercò di mantenere una pressione forte, ferma e costante. Era talmente intenta così ferma in ginocchio di fianco al Mago, che la pettinatura si sciolse e cominciarono ad andarle i capelli davanti agli occhi, quelle che vedeva erano ciocche di capelli fulvi... ma cercò di ignorare anche questo fatto e continuò a premere. Finalmente il cuore entrò nel petto di Howl, che subito si mosse, emise un lungo gemito e rotolò con la faccia in giù. — Per tutti i diavoli dell'inferno... che sbornia! — si lamentò il Mago. No, hai solo sbattuto la testa per terra — cercò di consolarlo Sophie. Howl si tirò su e rimase appoggiato sulle mani e sulle


ginocchia, a fatica. — Non posso stare qui... —. Sembrava che parlasse come in sogno, — devo salvare quella pazza di Sophie. — Io sono qui! — lo rassicurò Sophie, scuotendolo per le spalle. — Ma è qui anche la signorina Angorian! Alzati e fa' qualcosa... svelto! A quel punto il bastone era del tutto in fiamme. I capelli di Martha sfrigolavano e il demone della Strega stava cercando di manovrare in modo che lo spaventapasseri prendesse fuoco. Vedendo quella scena Sophie si sentì nuovamente colpevole: non ne faceva mai una giusta! A Howl bastò un'occhiata per rendersi conto della situazione, si alzò di scatto, protese una mano e pronunciò una di quelle sue frasi punteggiate di parole che suonavano come scoppi di tuono. L'intonaco si staccò dal soffitto e tutto prese a tremare. Il bastone era scomparso, mentre Howl aveva fatto un passo indietro racchiudendo nella mano una piccola cosa dura e nera. Avrebbe potuto essere un pezzetto di legno carbonizzato, tranne che Sophie vide che aveva la stessa forma della massa che lei aveva appena fatto entrare nel petto di Howl. La signorina Angorian emise un suono come di un fuoco su cui viene rovesciata dell'acqua e aprì le braccia con un gesto implorante. — Temo proprio di non poter far altro — le disse Howl. — Tu hai fatto il tuo tempo. Guardando quello che ho in mano ho la conferma che tu volevi prendere il mio cuore e volevi lasciar morire Calcifer, vero? Così dicendo premette i palmi delle mani l'uno contro l'altro, stritolando così quel pezzetto nero carbonizzato. Il vecchio cuore della Strega si sbriciolò, trasformandosi prima in sabbia, poi in fuliggine. Infine non ci fu più nulla. Anche la signorina Angorian si era volatilizzata nel preciso istante in cui il cuore


del suo demone si era sbriciolato. Accadde però anche un'altra cosa. Nel momento in cui la signorina Angorian era sparita, era scomparso anche lo spaventapasseri. Se Sophie si fosse presa la briga di guardare, avrebbe visto al suo posto due uomini alti, le cui figure si stagliavano nel vano della porta, che si sorridevano. Quello con il viso più squadrato aveva i capelli rossicci, quello con l'uniforme verde aveva, invece, i tratti meno marcati e lo scialle ancora drappeggiato attorno al collo dell'uniforme. Ma Howl si era girato proprio in quello stesso momento verso di lei per dirle: — Il grigio non ti sta molto bene. L'ho pensato anche la prima volta che ti ho visto. — Calcifer se n'è andato. Ho dovuto rompere il vostro contratto. Howl sembrò un po' triste, ma disse: — Tutti e due speravamo che l'avresti fatto. Nessuno di noi voleva finire come la Strega e la signorina Angorian. Come definiresti il colore dei tuoi capelli? Fulvo, forse? — Direi che sono del colore dell'oro rosso — gli rispose Sophie. In Howl non c'erano stati cambiamenti evidenti, ma ora che aveva riavuto il suo cuore, gli occhi del Mago sembravano più profondi, erano... erano degli occhi e non due freddi pezzi di vetro. Sophie non poté fare a meno di stuzzicarlo: — Soprattutto il colore dei miei capelli è naturale, non come quello di certa gente... — Non ho mai capito perché si dia tanto valore alle cose naturali — ribatté Howl con il solito tono canzonatorio. No, era veramente cambiato poco. Se Sophie avesse avuto voglia di fare attenzione a quello che le succedeva attorno, avrebbe potuto vedere che, a quel punto, il Principe Justin e il mago Suliman si stavano stringendo la mano e si davano pacche sonore sulle spalle.


— Farò meglio a tornare dal mio reale fratello — disse poi il Principe, mentre si dirigeva verso Fanny, che era la persona meglio vestita della compagnia. Le fece un profondo inchino, dicendole: — Ho il piacere di salutare la signora di questa casa? — Ecco... in realtà no, non sono io — rispose cortesemente Fanny, cercando di nascondere la scopa, che teneva ancora in mano, dietro la schiena. — La signora di questa casa è Sophie. — O comunque lo sarà presto — soggiunse la signora Fairfax con un sorriso benevolo. Intanto Howl e Sophie continuavano un dialogo tutto loro, che non lasciava spazio a nessuno dei presenti. — Mi sono domandato tante volte se non saresti mai più tornata a essere la bella ragazza che incontrai alla festa del Calendimaggio. Perché, poi, quel giorno avevi tanta paura? Se l'attenzione di Sophie non fosse stata tutta per Howl, si sarebbe accorta che il Mago Suliman era completamente preso dalla sua sorellina. Ora che era tornato se stesso, era chiaro quanto fosse forte di carattere e altrettanto cocciuto quanto lo era Lettie. La ragazza sembrava nervosa, mentre Suliman le stava vicino e si chinava su di lei per dirle: — Probabilmente erano i ricordi del Principe quelli che avevo di voi, non i miei. — Ora comunque va tutto bene. È stato un errore — gli rispose la ragazza con un'aria che cercava di essere spavalda. — No, non è stato un errore! — protestò Suliman. — Mi permetterete di prendervi almeno come allieva? A queste parole il viso di Lettie s'imporporò e la ragazza non trovò nulla da ridire. Quello, in ogni caso, era un problema di Lettie, Sophie aveva i suoi problemi da affrontare, visto che Howl le stava dicendo: — Penso che dovremo vivere felicemente d'ora in poi —. E


Sophie capì che lo pensava davvero. Anche se sapeva bene che vivere felicemente con Howl voleva dire avere una vita piuttosto intensa, avventurosa, più di quanto lei si sarebbe mai sognata, Sophie era ben decisa a tentare. — Credo che si potrebbe dire che hai i capelli del colore dell'uva passa... — aggiunse Howl sovrappensiero. — So che mi sfrutterai — fu il commento di Sophie. — E allora tu mi taglierai tutti i vestiti per darmi una lezione. Se Howl e Sophie non fossero stati così presi da loro stessi, si sarebbero accorti che il Principe Justin, il Mago Suliman e la signora Fairfax stavano cercando di attirare l'attenzione di Howl, e che Fanny, Martha e Lettie stavano tirando Sophie per le maniche, mentre Michael si era attaccato alla giacca del suo capo. — E stato il miglior uso di poteri magici che io abbia mai visto — cercava di dire a Howl la signora Fairfax. — Io non avrei saputo cosa fare con quella creatura. Come dico spesso... — Sophie, ho bisogno di un tuo consiglio —. La voce di Lettie cercava di attirare invano l'attenzione della sorella. — Mago Howl, devo chiedervi scusa per aver cercato di mordervi così spesso — tentava di scusarsi il Mago Suliaman. — Normalmente non mi sarei mai sognato di usare i denti contro un collega. — Sophie, penso che questo gentiluomo sia un principe — andava dicendo Fanny. — Signore, credo di dovervi ringraziare per avermi salvato dalla Strega delle Terre Desolate — cercava di dire a Howl il Principe Justin. — Sophie, l'incantesimo è sparito! Mi senti? — le urlava Martha. — Sei tornata giovane! Ma Sophie e Howl si tenevano per mano, continuando a


sorridersi, incapaci di fermarsi. — Non seccarmi, Sophie. L'ho fatto solo per denaro — le stava dicendo Howl con il suo sorriso canzonatorio sulle labbra. — Bugiardo! — rispose di Sophie. Ma la sua voce era più dolce del solito. — Ho detto — urlava intanto Michael — ho detto che Calcifer è tornato! Questa fu l'unica frase capace di attirare l'attenzione di quei due. Si girarono entrambi per guardare verso la grata del focolare, dove una faccia familiare di un bel blu intenso mandava fiamme fra i ceppi di legna. — Non avevi bisogno di farlo, Calcifer — gli disse Howl. — Be', adesso che sono libero di andare e venire, non ha più molta importanza... poi, sta piovendo là fuori, a Market Chipping. NOTE A proposito della Maledizione di Howl... La lirica di John Donne, massimo esponente della poesia metafisica inglese del Seicento, usata nel testo come maledizione della Strega delle Terre Desolate, si intitola Song. Per mantenere sia la rima sia i doppi sensi, in funzione dell'interpretazione che ne danno i personaggi nel racconto, è stata leggermente adattata dall'originale di Diana Wynne Jones che in realtà recita: Versi a pag. 97: Go and catch a falling star, / Get with child a mandrake root, / Tell me where all past years are, / Or who cleft the devil's foot. / Teach me to hear the mermaids singing, / Or to keep off envy's stinging /Andfind / What wind / Serves to advance an honest


mind. /Decide what this is about / Write a second verse yourself Versi a pag. 123: If thou beest born to strange sights, / Things invisible to see, /Ride ten thousand days and nights / Till age snow white hairs on thee. / Thou, when thou returnest, wilt tell me / All strange wonders that befelt thee, /And swear /No where /Lives a woman true, and fair. / If thou... Da notare che gli ultimi due versi di pag. 97, Decide what this is about / Write a second verse yourself sono un'aggiunta dell'autrice. Diamo qui la traduzione dei versi di Donne tratta da John Donne, Liriche sacre e profane, a cura di G. Melchiori, Mondatori, 1983. 'Va' ad afferrare una stella cadente, / impregna una radice di mandragola, / dimmi ove son tutti gli anni passati, / o chi fendette il piede del diavolo, / insegnami a udire il canto delle Sirene, / o a evitare la trafittura d'invidia, / e trova / qual vento / occorra per far progredire un animo onesto. / Decidi di cosa si tratta / scrivi tu stesso una seconda strofa.' 'Se tu sei nato a strane visioni, / a veder cose invisibili, / cavalca giorni e notti diecimila, / finchĂŠ vecchiezza nevichi su te bianchi crini. / Tu, al tuo ritorno, mi racconterai / tutti i portenti strani che ti accaddero, / e giurerai / che in nessun luogo / vive donna fedele e bella. / Se tu...' l' Autrice Diana Wynne Jones, classe 1934, vive a Bristol con il marito, professore universitario di lingua inglese. Hanno tre figli. Inizia a scrivere da bambina, per rimediare alla carenza di libri di cui il padre faceva soffrire lei e le sue sorelle. I personaggi dei suoi


romanzi sono tutti proiezioni dei protagonisti della sua infanzia, e in ognuno dei suoi libri, anche nei più fantastici, sono presenti episodi della sua vita. È autrice di più di trenta romanzi, che hanno riscosso grande successo in tutto il mondo. Tra quelli apparsi in Italia ricordiamo Vita stregata (1992), I maghi di Caprona (1993), Le vite perdute di Christopher Chant (1994), Strega di classe (2003) e La congiura di Merlino (2004) tutti pubblicati da Salani. L'indirizzo internet del suo sito personale è www.dianawynnejones.com


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