La Ricerca

Iconografia ed Iconologia Il concetto di rappresentazione nella storia sociale dell’arte.

Adriano Girolamo Papagni Giulia La Paglia Luca Galli

“Iconografia ed iconologia, il concetto di rappresentazione nella storia sociale dell’arte.”

“Complicare è facile, semplificare è difficile. Per complicare basta aggiungere, tutto quello che si vuole: colori, forme, azioni, decorazioni, personaggi, ambienti pieni di cose.

Tutti sono capaci di complicare. Pochi sono capaci di semplificare.”

Bruno Munari.

Storia Sociale dell’arte “Effetto Greenaway” Laurea Magistrale in Design del Prodotto e dell’Evento Università degli Studi di Genova

Prof.ssa Martina Massarente

Luca Galli Giulia La Paglia Adriano Girolamo Papagni

A.A.2021-2022

Indice

1

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Introduzione

9

Iconografia ed iconologia

2.1

Definizione

12

2.2

Le ere iconologiche

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3

Timeline

3.1

I primordi

20

3.2

Il Crystal Palace Jones e la colorazione delle icone

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3.3

Il Simbolismo

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3.4

I cicli Musivi narrativi

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3.5

Bruno Munari e il Visual Design

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4

Sintesi visiva

4.1

Il linguaggio pittografico

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4.2

L’importanza dei Giochi Olimpici

58

5

Conclusione

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Bibliografia e sitografia

82

Indice delle Immagini

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1. Introduzione

1 Introduzione

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Lo studio della rappresentazione iconografica e la sua semplificazione del segno come ponte comunicativo tra storia e contemporaneità.

Cosa significano esattamente iconografia ed iconologia, e chi si è occupato di definire le discipline? L’obbiettivo di questo saggio è studiare questi concetti ed osservare come si legano alla storia sociale dell’arte, andando ad approfondire i principali esponenti che hanno studiato il tema.

Questa ricerca vuole affrontare l’intrinseco rapporto tra icona e società. A partire dai tempi più antichi, l’uomo comunicava con i propri simili attraverso segni grafici, illustrati sia all’interno di grotte, sia nelle foreste per comunicare pericoli o messaggi che potessero essere comunemente comprensibili. La necessità sociologica di raggiungere una raffigurazione sempre più contrastante e nettamente distintiva deriva dai supporti che hanno condizionato la nostra visione. Storicamente, l’istruzione e la capacità di leggere non erano proprie alla popolazione, perciò l’immagine aveva un fine di lettura molto importante, rendendo più facile e diretta la comunicazione attraverso storie e manifesti. L’arrivo della scrittura, delle lingue e delle scuole cambiarono il segno grafico, mutandolo in qualcosa di nuovo e sempre più diretto.

Quando si osservano delle raffigurazioni si devono analizzare i personaggi, il contesto nel quale sono collocati e l’azione che stanno compiendo. Da qui si può notare se

[1] “less is more”, La filosifia del meno è di più, www.cedigros.com

determinati attributi si ripetono e se, per esempio, un determinato soggetto viene presentato sempre con le stesse caratteristiche, o se vi è la ripetizione di simboli o colori. Leggendo tra le righe si può indagare il significato delle immagini, e cercare di identificare gli elementi delle opere d’arte e le fonti da cui essi derivano.

Nella società contemporanea, l’icona raggiunge dei massimali visivi nella estremissima semplificazione del segno, rimandando al “less is more” [1] di Ludwig Mies van der Rohe. Proseguendo nella contemporaneità, la società si è civilizzata ed urbanizzata, conoscendo la positività e negatività dell’iconografia. La necessità di semplificare sempre di più un’immagine deriva dal fatto che il consumo di quest’ultima ha reso la sua validità soggettiva al tempo. Le icone moderne sono distinte in pochissimi secondi, mentre per leggere un’antica rappresentazione potrebbero essere necessarie anche intere giornate. La metamorfosi di questa tecnica è dovuta al progredire delle tecnologie e dei supporti: una figurazione attraverso l’utilizzo del vetro richiede uno sforzo superiore rispetto a illuminare dei pixel, ma entrambi hanno il fine di magnetizzare l’attenzione attorno ad un tema fondamentale.

Le icone hanno sempre identificato la società, e sono sempre state accompagnate da altri significati che non si limitavano a semplici segni grafici. Col passare degli anni, sono mutati sia i simboli, sia la loro modalità di rappresentazione. Si vuole

1. Introduzione

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fig. 1 Logo PBS, Herb Lubalin.

evidenziare quanto spesso queste rimangano invariate, qual è la loro derivazione e storiografia, e cosa identificano nella loro interezza. Lo studio parte dalla definizione di iconografia ed iconologia, andando a definire l’etimologia delle parole per analizzare a fondo la loro essenza, origine e diffusione nel mondo. Si andrà poi ad approfondire l’evoluzione che questi due termini hanno avuto nel corso dei secoli,

studiando alcuni esempi specifici e diversi autori, per comprendere il ruolo che hanno avuto nelle diverse epoche storiche. Si parlerà infine del più moderno impiego di iconografia ed iconologia, che hanno raggiunto la massima sintesi attraverso i pittogrammi, oggi di uso talmente diffuso da fare parte della quotidianità di tutti senza che si presti troppa attenzione al loro profondo ruolo nella società.

fig. 2 The man with the golden arm, Saul Bass.

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2. Iconografia ed iconologia

2.1 Defnizione

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Definizione

Definire iconologia ed iconografia non è un atto solo enciclopedico, ma anche un’operazione che richiede molteplici fattori percettivi e indagini di interesse di entrambe le materie.

Secondo Treccani, l’iconografia indica il complesso delle rappresentazioni figurate che riproducono l’aspetto d’un personaggio; quando questi sia realmente esistito, con i suoi caratteri fisici e fisionomici.

Essa, nel suo significato più semplice, è formata dai ritratti. [2] L’iconologia è invece il termine usato in relazione a trattati o raccolte di emblemi o immagini simboliche e allegoriche usate dagli artisti. La definizione è stata ripresa nella moderna storiografia artistica per indicare lo studio, strutturato sistematicamente, del significato delle immagini e, quindi, il metodo d’interpretazione integrale di un’opera d’arte che muove dal suo contenuto, verificato (se non svelato) mediante ricerche che mirano a ritrovarne le ragioni contestuali, anche nell’ambito della storia delle idee religiose, filosofiche, politiche, sociali. [3] È noto come siano due rette il cui parallelismo non è così ovvio, bensì alterno; infatti, si possono notare sia punti di discrepanza, sia di piena somiglianza. L’iconografia tipifig. 3 Il Capriccio, Cesare Ripa.

[2] Iconologia, Treccani. www.treccani.it [3] Iconologia, Treccani. www.treccani.it

2. Iconografia ed iconologia

camente viene definita come una disciplina antica che riguarda l’analisi dei caratteri tipici delle raffigurazioni, rendendone un pieno concetto simbolico utile all’interpretazione di chi non riesce necessariamente ad avere un secondo piano di lettura di questi. L’iconologia fa parte invece di un processo più moderno, dove attraverso delle analisi si deduce e traduce la relazione profonda che queste rappresentazioni hanno con gli stessi concetti e spesso come non riflettano il rapporto linguistico da cui nascono.

Si tratta quindi di simbologia e di interpretazione, che da parecchio tempo hanno interrogato nella rappresentazione figurativa gli artisti di ogni epoca. È possibile anche sostenere come iconologia quello che dicono le opere d’arte. Questa branca della storia dell’arte nasce da una riflessione più complicata sulle immagini, cercando quando possibile di dare una visione critica.

I tipi di legami analitici che queste due materie presentano sono dovuti principalmente dal contesto storico in cui si trovano e indagano su differenti fonti: nel caso dell’iconografia si tende a identificare come fonte un certo tipo di scenario soggettivo degli artisti. Si sviluppa perciò una rappresentazione che conduce a una maggiore vocabolarizzazione del proprio io e della rappresentazione; come creare del copyright su delle fotografie di uno stesso soggetto solo interpretato da fotografi con diverse macchine e punti di vista.

Il concetto iconografico sente quindi, ol-

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tre ad un flusso critico dell’artista, anche l’influenza societaria per cui, vivendo in determinati periodi storici, ci si trovi immersi in contesti geografici. Il pensiero, le abitudini di vita e le stesse istruzioni venivano contagiate dalle scuole di pensiero: chiesa, stato e famiglie reali. Il concetto iconologico vede quindi un capovolgersi della prospettiva, ovvero la piena indagine della somiglianza delle immagini, che relative ad uno stesso soggetto conducono ad un certo tipo di iconologia, che è comune per l’idea di concetto e si sviluppa secondo certi segni artistici. Il vero nesso rappresentativo è strettamente legato alla mera rappresentazione concettuale e non alla variante iconografica di un artista.

La semplificazione dalle iconografie ai simbolismi ha condotto l’immagine ad un consumo diretto e più congruo agli aspetti sistemici delle società moderne, che hanno utilizzato la rappresentazione concettuale come sostitutiva del linguaggio.

Nell’era moderna, che viene definita snackable (dai contenuti facilmente masticatili), le icone permettono di avere maggiore fluidità d’informazione e in questo l’era simbolica ha completamente spaccato i legami con la semantica, costruendo così un unico ponte visuale in cui, anche i concetti verbali, si rifanno ad una pura rappresentazione immaginifica.

fig. 4 Negativo de la “Iconografia Rateriana”.

15 Definizione

2. Iconografia ed iconologia

2.2 Le ere iconografiche

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Il modello proposto da E. Panofsky si articola in tre livelli di crescente complessità: pre-iconografico, iconografico e iconologico, che lui stesso illustra con l’esempio dell’uomo che saluta toccandosi il cappello.

Al primo livello si situano un significato “naturale” e uno “emotivo”, per cui tutti riconoscono il gesto stesso del togliersi il cappello.

Al secondo livello si situa un significato convenzionale, per cui diventano necessarie anche conoscenze culturali (come quelle necessarie per capire che quell’uomo “sta salutando” [4]).

Al terzo livello si situa il significato intrinseco (il contenuto), costituito dal mondo dei “valori simbolici”, in cui si potrà comprendere perché l’uomo per salutare abbia deciso di toccarsi il cappello (invece di agitare una mano, fare un inchino, usare solo un segno verbale).

E. Panofsky studiò insieme a A. Warburg, che approfondì i suoi studi iconologici a diretto contatto con le immagini, raccogliendo tutto in una grande enciclopedica visiva e verbale che permetteva di indagare direttamente la stratificazione dell’arte.

Si pensi quindi che i tre siano dei passaggi ben distinti, che in realtà non rappresentino una sostanziale differenza, ma un reale

[4] Storia della critica d’arte: l’iconologia di Erwin Panofsky, Federico Giannini. www.finestresullarte.info

Le ere iconografiche

2. Iconografia ed iconologia

cambio di prospettiva e di interpretazione, dovuto dalla scolarizzazione del pensiero e dalla sempre più presente analisi dei concetti storico critici presenti nella società.

Un interessante elemento della metodologia di E. Panofsky è l’esperienza, identificata come oggettiva e soggettiva: più si soggettivista l’esperienza, più sono necessari dei parametri che E. Panofsky definisce “correttivi”, e che plasticizzano l’esperienza.

Quello che in un secondo momento emerge da questo modello decade sotto il concetto di ritmo, ovvero di costanza e di coerenza relative alle esperienze attuate dall’uomo, che lo conducono ad avere con sempre più frequenza un contatto.

La ripetizione delle esperienze rende meno didattica l’interpretazione dei concetti: ne consegue dunque una sempre più

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conscia elaborazione oggettiva e generalizzazione degli elementi, affinché vi sia una sempre più veloce, diretta e istantanea interpretazione dei concetti. L’idea che si vuole cercare di raggiungere è di rendere sempre più evidente il rapporto tra immagine e interpretazione della stessa, massimizzando l’aspetto intuitivo che occorre quando l’osservatore posa lo sguardo sulla figura.

A livello iconografico, è interessante porre attenzione sul rapporto tra il testo letterario e la rappresentazione, la quale viene accuratamente dinamizzata per non cadere nell’ovvio.

Nascono così i veri e propri GIF , che animano il percorso di percezione e conducono gli spettatori ad avere con le immagini un rapporto differente e mai uguale.

fig. 5 The queen’s stepwell, Patan, Gujarat, India.

19 Le ere iconografiche

3. Timeline

3.1 I primordi

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In questo capitolo si analizzeranno la nascita del segno grafico e i suoi primissimi impatti sulla comunicazione sociale.

Il Primo Case Study vede protagonista uno dei massimi esponenti della filosofia antica: Aristotele e il suo libro della Historia Annimables, che grazie a uno dei suoi più antichi studi ha di conseguenza stimolato tutte le epoche, che hanno rilasciato in questo testo la loro interpretazione grafica e visuale.

Questo volume ha subito svariate variazioni grafiche, condizionate in egual misura dagli artisti dell’epoca e dalla correte artistica che guidava il filone stilistico ed artistico dell’epoca.

La propensione a visualizzare sempre di più i concetti ha portato ad un continuo studio della rappresentazione.

La Historia Annimables è un tentativo di applicare la filosofia al mondo naturale.

Aristotele stesso spiega di star indagando i fatti esistenti degli animali (in greco oti “che cosa”), per poi proseguire a stabilire le loro cause (in greco dioti “il perché”).

L’opera rappresenta il primo trattato di zoologia della produzione aristotelica, ed è anche considerata la prima in cui la materia ha assunto un assetto scientifico. Le pagine della Historia Annimables conten-

[5] Historia Animalium in Aristotele di Giorgia fian Desio, www.museoalessandroroccavilla.it

I Primordi

gono osservazioni e riflessioni sull’intero regno animale, che hanno influenzato opere monumentali come quelle di Plinio, i bestiari medievali, e ha continuato ad essere una fonte primaria di conoscenza fino al cinquecento.

Aristotele individua le differenze tra gli individui e i gruppi: questi ultimi vengono stabiliti quando tutti i membri hanno lo stesso insieme di caratteristiche distinte (per esempio quando tutti gli uccelli hanno le piume e le ali).

Inoltre, il ragionamento può essere effettuato in maniera bidirezionale [5] : ad esempio, se qualcosa è un uccello, allora ha piume e ali, e se qualcosa ha piume e ali allora è un uccello.

La Logica filosofica aristotelica ha posto tanti illustratori su un vero dilemma: rappresentare i concetti intrinsechi del libro illustrare una copia reale dell’animale descritto, in quanto entrambe le definizioni richiamano ad una stessa entità.

Le versioni più significative della Historia Animables di Aristotele sono quelle che rispettano la didattica e l’intento divulgativo della sua “filosofia-scienza“, e che quindi ne vedono una rappresentazione schematica e molto scolastica, diretta agli occhi degli esperti ed esplicativa agli occhi

3. Timeline

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fig. 6 Historia Animalium, Aristotele. 343 a.C.

degli inesperti.

Questo tipo di situazione si può riconoscere anche nella Historia Animalium di Corrad Gessner, che non viene nominato o ricordato spesso nel contesto del panorama elvetico, ma che fu uno dei più importanti scienziati dell’antico 1500 a svolgere questo tipo di studi.

I quattro volumi in latino della Historiae Animalium (“Storia degli animali”) hanno riscontrato un impatto su intere generazio-

ni di zoologi. Nonostante ciò, lo scienziato svizzero di Zurigo (città in cui lavorò come medico e professore) rimane poco conosciuto in patria.

Malgrado sia cresciuto in una famiglia povera, Conrad Gessner (1516-1565) fu subito riconosciuto per il suo straordinario talento: tra coloro che lo sostennero in modo decisivo ricordiamo in particolare il famoso riformatore zurighese Huldrych Zwingli.

Nel XVI secolo la zoologia si trovava an-

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cora ai suoi albori, ma la scoperta di nuovi animali in Sud America la rendeva una disciplina estremamente intrigante. Fu in questo contesto che C. Gessner intraprese il lavoro della sua vita: la Historiae Animalium, il cui scopo era presentare tutti gli animali allora noti. Nei quattro volumi dell’opera, pubblicati tra il 1551 e il 1558, sono descritti oltre 1’000 animali, incluse le creature leggendarie. [6] Il balzo temporale che intercorre tra questi due volumi permette di riflettere come l’uomo abbia sempre avuto bisogno di partire da una parte di studi e di concetti che andavano affinati ed assodati per poi passare al passaggio della rappresentazione.

Il Razionalismo intrinseco in questo tipo di processo, che tipicamente implica l’intrusione di un processo artistico che di razionalista ha molto poco, ha permesso di ragionare sullo stesso estro creativo delle illustrazioni.

In aggiunta a questo tipo di rappresentazioni, si è congiunta la necessità di dare un senso filologico e narrativo a ciò che viene rappresentato, in quanto c’è un razionalismo che tende a semplificare e schematizzare il segno. Anche lo storytelling assume importanza, affinché l’illustrazione non sia fine a se stessa.

Il concetto espresso si evolve ulteriormente con l’avvento del less is more, nel quale gli animali vengono presi in considerazione in quanto esseri vivi, non cadaveri in studio. In questa visione, gli animali vengono dinamizzati nelle loro pose, come

[6] Il “Leonardo da Vinci” dimenticato della Svizzera www.swissinfo.ch [7] “Semiotica e iconologia. Nuovi temi per un vecchio confronto”, Tarcisio Lancioni.

[8] Codici Maya, Wikipedia. www. wikipedia.org/wiki/Codici_maya

I Primordi

se volessero divincolarsi di fronte alla fotocamera, muovendosi e protendendosi all’azione, facendo qualcosa che è tipico della loro naturalezza di esseri viventi.

Il lessico, già all’apparenza di ardua comprensione, è reso ancora più ostico da una percezione di “irrilevanza” della proposta teorica, che a sua volta non è conosciuta (forse a causa dell’auto-riflessività della disciplina, a sua volta alimentata dalla difficoltà linguistica). [7] I codici Maya sono libri pieghevoli della civiltà precolombiana, scritti in geroglifici su una stoffa realizzata con la corteccia interna di specifici alberi, tra cui il fico selvatico o l’amate ( ficus glabrata). La carta, nota generalmente col termine nahuatl amatl, fu chiamata dai Maya huun. Questi libri sono il prodotto di scribi professionisti che lavorarono sotto la protezione di divinità quali il Dio della Raccolta del Mais e la Scimmia Urlatrice. [8] I codici Maya sono nati moltissimi anni fa in una società quasi preistorica, priva di tecnologie e di strutture societarie. Questo è sicuramente il motivo per il quale la simbologia rappresentata era parecchio esoterica, e, soprattutto nella maggior parte dei casi, riferita al divino.

I codici Maya hanno avuto diverse generazioni: una europea, che risale a Parigi e Madrid, e una messicana, che si colloca nell’America latina e che vede protagonista una cultura totalmente diversa.

Un motivo di forte interesse in questo codice è lo studio delle divinità e degli astri.

3. Timeline

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fig. 7 Codex Grolier, frammento

Questo tipo di rappresentazioni vede rappresentati degli individui con un segno grafico molto definito, privo ancora di riempimenti. Le principali azioni sono dettate dalla loro quotidianità: principalmente gesta religiose ed esoteriche. Motivo di rappresentazione e di notevole interesse è anche il fatto che si è voluto registrare il tempo passato ed il tempo futuro; incrociati con gli astri e i desideri e le predizioni delle veneri, i Maya incominciano a disegnare il tempo conteggiandolo e dandogli regolarità. Nasce così una delle prime rappresentazioni del tempo, ovvero il calen-

[9] Il libro dei simboli, ARAS , Taschen 2011.

[10] I simboli Maya www.simbolisignificato.it

dario dei Maya.

Questi tipi di immagini hanno generato un’insieme di elementi che comunicativamente aiutavano le popolazioni a mettersi in contatto con il cielo, che era così vasto e lontano che solo gli uccelli e le montagne riuscivano a toccarlo. [9] Per oltre 3.000 anni i loro simboli sono stati a lungo una fonte di mistero e di meraviglia. I Maya erano una delle poche antiche civiltà che crearono il proprio sistema di scrittura.

I loro geroglifici furono un’invenzione originale per questo popolo nativo del

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I Primordi

centro America, e la maggior parte delle altre civiltà li presero in prestito da sistemi pre-esistenti di scrittura. [10] Essi potevano essere usati singolarmente per illustrare una parola, o pochi di essi potevano avere significati molto estesi, come succede per i

kanji Giapponesi e Cinesi.

La scrittura, differentemente dalla rappresentazione, è soltanto una tra le molte forme di simbolismo convenzionale, di cui è necessario imparare i segni se ne si vogliono comprendere i significati.

fig 8. Codex Grolier il calendario.

3. Timeline

3.2 Il Crystal Palace, Jones e la colorazione delle icone

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La Grande Esposizione delle Opere dell’Industria di Tutte le Nazioni di Londra venne concepita da Henry Cole (18081882), un funzionario pubblico inglese che visitò l’Esposizione di Parigi del 1849, evento che fu dedicato all’innovazione della tecnologia francese.

H. Cole progettò, per il regno di Inghilterra, un modello sistematico su scala internazionale; a quest’idea riuscì a far partecipare diversi personaggi illustri dell’aristocrazia inglese tra cui l’allora marito della regina, il re Alberto.

Il gruppo si riunì la prima volta l’11 gennaio 1850 con l’obiettivo di inaugurare la manifestazione il 1 maggio del 1851: il bando di progetto prevedeva un’idea facile da mettere in opera e nel minor tempo possibile.

Joseph Paxton, un botanico e costruttore di serre, propose la sua idea che si basava su questa imponente struttura in ferro e vetro, come se fosse una grande serra.

Arrivati a questo punto della narrazione, ci si chiede che rapporto c’è tra l’iconografia e una struttura come il Crystal Palace. Innanzitutto, si parla della prima metà del XIX secolo, periodo in cui le innovazioni tecnologiche di ferro e ghisa (e non solo) portano nelle città nuovi edifici

Il Crystal Palace, Jones e la colorazione delle icone

e costruzioni mai viste prima. In Inghilterra, in particolare, si vedono schierate due fazioni diverse: chi vede nella rappresentazione organica e artigianale la forma più pura del prodotto (Red house e scuola di W. Morris), e chi invece guarda al futuro attraverso la macchina e la tecnica (Joseph Paxton, Henry Cole Owen Jones).

Dunque, il Crystal Palace segna quasi una vittoria per questi uomini che puntavano tutto sulle nuove tecnologie e sulle produzioni serializzate, tant’è vero che l’edifico stesso viene prodotto totalmente in serie componibile.

Il contributo essenziale che venne dato alla buona riuscita di questo importante evento fu la sua decorazione interna e l’allestimento.

L’architetto e designer Owen Jones, che anni prima aveva sviluppato diversi studi riguardo i pattern e i colori, ideò una primissima strategia orientativa interna molto simile a quella degli attuali centri commerciali.

Il Crystal Palace doveva contenere un’enorme quantità di prodotti e nazioni con i propri rispettivi usi e costumi, risulta difficile pensare ad una scatola piena senza alcun segnale di orientamento.

Dunque, l’idea di O. Jones fu quella di di-

3. Timeline

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fig. 9 The Crystal Palace.

videre delle macro-aree con colorazioni di vetro differenti, assieme ai pilastri portanti che invece determinavano i confini tra un espositore e l’altro.

Da qui l’idea di creare e presentare ogni simbolo attraverso colori vibranti e molto vivi, così da poter orientare più facilmente il visitatore.

Si può di certo dire che questo fu un vero e proprio punto di partenza riguardo la segnaletica dei grandi eventi: si parla per la prima volta di una manifestazione internazionale, alla quale parteciparono attivamente (in quanto espositori) diverse comu-

nità mondiali.

La segnaletica fu essenziale affinché qualsiasi utente, di qualsiasi luogo e cultura, fosse stato in grado di orientarsi nel grande edificio di vetro. A giudicare dalla buon’uscita dell’evento, gli studi di O. Jones furono pionieristici rispetto agli attuali centri commerciali e alle loro segnaletiche di orientamento.

Da questo aspetto, dunque, si evince quanto essenziale sia il colore rispetto alla rappresentazione: è grazie a questa caratteristica che l’icona assume un diverso tipo di importanza, a seconda che il colore

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Il Crystal Palace, Jones e la colorazione delle icone

fig. 10 Interior of the Crystal Palace, by William Simpson, 1851.

3. Timeline

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fig. 11 Studio di decorazione, Owen Jones.

sia più o meno chiaro, più o meno saturato, o ancora se vi è un contrasto tra i due.

La decorazione e l’allestimento interno furono sovraintese da Owen Jones (18091874), architetto, designer e influente teorico che, sulla base degli studi sul pattern e il colore per il Crystal Palace, pubblicò poi il celebre volume The Grammar of Ornament (1856). [11] Per gli interni utilizzava solo i colori primari: blu, rosso e giallo. Questi sono stati applicati in proporzioni accuratamente prescritte per distinguere tra le colonne di ferro, creando profondità e prospettiva all’interno dell’edificio.

Il design ha generato molte critiche e di-

[11] L’architettura moderna dal 1900, William j.curtis, phaidon 2006 [12] Owen Jones e la grammatica delle decorazioni www.vam.ac.uk/articles/owen-jones [13] L’ uso delle immagini Ernest H. Gombrich. Milano, 1999.

battiti, eppure O. Jones non ha mai perso la fiducia nella sua visione.

L’edificio alla fine ha aperto con grande successo: sei milioni di persone (corrispondenti a tre volte la popolazione di Londra in quel momento) hanno visitato il colossale palazzo di ferro e vetro. O. Jones ha aiutato a selezionare gli oggetti della Grande Esposizione da includere nelle collezioni didattiche della School of Design.

Ha utilizzato questi “migliori esempi” per sviluppare i principi chiave per il programma di insegnamento della scuola, che sostenessero nozioni di proporzione, armonia, utilità e fitness e che incoraggiasse roun approccio unificato alla progettazio-

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Il Crystal Palace, Jones e la colorazione delle icone

ne, sia per gli edifici sia per gli oggetti. [12] Focalizzandosi su questa figura, si può indagare su come tutto il suo studio si sia concentrato sulla trasposizione di una cultura antica come quella egizia all’era ottocentesca. Studierà profondamente i decori realizzati in oriente portandoli addirittura nell’universo moderno europeo rendendoli quasi dei simboli e delle icone che dal passato continuano a vivere.

L’indagine proposta da O. Jones è anche interessante perché presenta questi motivi geometrici e del tutto studiati in chiave moderna, ma che esaltano la loro radice storica e risultano totalmente disconnesse diseguali. Citando E. H. Gombrich: “e se fossero l’arte e gli artisti a definire ciò che chiamiamo lo spirito di un’epoca?

Lo stile è la manifestazione di un’era.” [13] Bisogna inoltre ricordare che il XIX secolo in Inghilterra fu molto importante, in quanto il Paese usciva da una rivoluzione

industriale ed era prossimo a tante innovazioni, perciò si apprestava a conoscere nuove personalità e correnti artistiche. È il periodo di W. Blake, W. Turner e J. Constable, che fanno da tramite tra un periodo romantico ed uno più simbolista. La transitorietà di queste due correnti artistiche ha fatto sì che figure come O. Jones emergessero e spiccassero.

Sul piano rappresentativo il designer si distingue dai precedenti pittori, in quanto caratterizza la sua rappresentazione molto più segnica e semplificata. Si concentra sull’usare pochi segni ma molto importanti ed identificativi per ciò che andrebbe rappresentato.

Quando l’edificio fu trasferito a Sydenham, nel sud di Londra, un anno dopo, O. Jones, nel suo nuovo ruolo di Direttore congiunto della decorazione del Crystal Palace, progettò le corti egiziane, greche, romane e dell’ Alhambra.

fig. 12 Allestimento Egitto al Crystal Palace, Owen Jones.

3. Timeline

fig. 13 Tempesta di neve, battello a vapore al largo di Harbour’s Mouth, William Turner, 1842.

O.Jones ha cercato uno stile moderno senza questo bagaglio culturale. L’intento di identificare i principi comuni dietro i migliori esempi di ornamento storico ha formulato un linguaggio di design adatto al mondo moderno, che poteva essere applicato ugualmente a carte da parati, tessuti, mobili, metallo e interni.

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fig. 14 Newton, William Blake, 1805.

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I Primordi

fig. 15 Salisbury Cathedral, Jhon Constable, 1805.

3. Timeline

3.3 Il Simbolismo

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Intorno agli ultimi anni del XIX secolo, in Francia cominciò a svilupparsi un nuovo tipo di sensibilità che si insinuò in tutte le forme di espressione artistica.

Il Simbolismo si fece sempre più forte, ancor prima dell’articolo pubblicato sulla rivista “Le Figarò” di Jean Moréas dal titolo “Le Symbolisme”. Il tipo di raffigurazione definito in questo manifesto vede nella rappresentazione onirica e soggettiva i punti fondamentali dai quali attingere. Per esempio, Charles Baudelaire ne fu uno dei massimi esponenti, in quanto il poeta non doveva più rappresentare la realtà attraverso le parole. Ciò che appariva a tutti, bensì, doveva spingersi oltre i confini della realtà tangibile e andare ad esplorare gli elementi non visibili.

Prima di definire i maggiori rappresentati della pittura simbolista, osservando così le opere più importanti, bisogna specificare che questo tipo di arte non è da confondere con il Surrealismo, dove la rappresentazione artistica è legata alla creazione di un mondo a sé stante, per l’appunto surreale.

L’arte simbolista si pone in contrapposizione con l’Impressionismo di quegli anni, i quali artisti volevano rappresentare en plain air la realtà tangibile, cercando in qualche modo di emulare l’attività di una

Il Simbolismo

macchina fotografica, in grado di catturare un’immagine in pochi minuti.

Il Simbolismo, attinge invece al mondo onirico, ma anche mitologico, religioso e simbolico, provando a “oggettivizzare il soggettivo piuttosto che soggettivizzare l’oggettivo” come definì lo scrittore francese Gustav Khan l’arte simbolista.

Il pittore post-impressionista francese Paul Gauguin distinse le caratteristiche principali del Simbolismo in arte. Per prima cosa, bisognava che le forme dipinte esprimessero idee e simboli. Il linguaggio utilizzato doveva poi possedere una necessaria sintesi formale e rappresentativa, per favorire un’immediata comprensione del simbolo rappresentato. L’operazione artistica doveva quindi esprimere il soggetto dipinto come segno dell’interpretazione dell’artista. Infine, l’opera d’arte aveva il compito di suscitare una risposta emotiva.

Dunque, attraverso la propria sensibilità, lo sforzo dei pittori simbolisti fu quello di creare una condivisione collettiva, nonostante la presenza di elementi ricavati da un mondo irreale, ma di comune conoscenza. Alla stregua di tale indirizzo ideologico si delineava la rappresentazione pittorica di qualcosa ai limiti del reale, pur restando una forma d’arte di oggettiva interpretazione.

3. Timeline

La pittura simbolista è da intendere come una produzione colta dove pittura, poesia e musica lavorarono in coesione alla produzione e stesura di opere con riferimenti al mondo dei simboli. Ciò che la poesia non adempiva con le parole, la pittura lo comunicava attraverso le immagini. La simbologia fu in grado di esaltare un’espressività comune, non solo al mondo del XIX secolo, ma anche alla sensibilità del nostro tempo.

Tra i precursori della pittura simbolista ritroviamo Gustave Moreau, del quale si vede uno dei suoi più interessanti dipinti, ossia “Cleopatra”. Il dipinto è interamente ripassato in acquerello, con un disegno a matita su carta. L’opera rappresenta l’ultima regina d’Egitto, in una forma decadente caratterizzata da uno scenario appena accennato, con solo alcuni riferimenti alle piramidi e ad un paesaggio tipicamente africano. Il simbolo raffigurato da G. Moreau è quello della femme fatal, una donna dalle forme sensuali ed erotiche che osserva da lontano il suo regno, ormai in declino per il probabile arrivo dell’Impero romano.

Gli artisti simbolisti, infatti, furono molto legati, tra gli altri temi, alla simbologia della femme fatal, ossia di una donna sempre più desiderata dagli uomini, ma anche indipendente e potente. La rappresentazione di G. Moreau risulta emblematica, in quanto si traduce in una serie di riferimenti a un simbolo di bellezza a metà tra l’oriente e l’occidente. Il mento pronunciato, le forme sinuose e la chioma folta e scura si riferiscono ad un tipo di donna orientale, mentre il

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Il Simbolismo

colore della pelle è tipico di una donna occidentale. L’artista, inoltre, non si riferisce ad un evento realmente accaduto, anzi, la suddivisione in due “scene” tra soggetto in primo piano e paesaggio vuole proiettare il lettore dell’opera in mondo simbolico, dove la rappresentazione non è di una Cleopatra ormai all’epilogo dei suoi anni da regnante, bensì della donna in quanto regina, dominatrice e femme fatal. L’ornamentazione del suo corpo con questi gioielli che le fanno da vestito, invece, definiscono ancor di più il potere che essa possiede.

Tuttavia, bisogna fermarsi un momento a guardare e osservare l’opera sotto diversi punti di vista: in prima analisi, il dipinto rappresenta nel suo senso letterale una donna che osserva un paesaggio alle sue spalle.

La protagonista è seduta su un trono, questo elemento visivo permette di comprendere che a quest’ultima è attribuita una carica politica importante, ovvero il ruolo di regina o principessa. La corona e i gioielli che possiede ci fanno invece affermare che stiamo guardando una regina, ma come si fa a definire questa donna femme fatal ? Il titolo dell’opera sicuramente aiuta lo spettatore, poiché Cleopatra in termini storici è l’ultima regina d’Egitto e colei che ha resistito fino alla fine all’avanzare dell’esercito romano. Vi è però un altro dato da tenere sott’occhio: la rappresentazione simbolica della donna in questa esatta posizione, con il suo sguardo incurante della moltitudine degli osservatori che la vedrà nuda, e che fa capire che essa possiede una grande

fig. 16 Cleopatra, Gustave Moreau

38 3. Timeline

fig. 17 dettaglio de Cleopatra, Gustave Moreau

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Il Simbolismo

fig. 18 dettaglio de Cleopatra, Gustave Moreau

forza e dominanza, tale da non considerare il suo stato e da incutere una sorta di cordiale rispetto nei suoi confronti. In realtà, quest’interpretazione è coerente con il pensiero moderno, derivante dalla cultura globalizzata e da un excursus storico europeo che permette di poter afferrare il concetto di femme fatal. Tuttavia, le simbologie

[14] Simbolismo ed iconografia www.delphipages.live

di quest’opera sono di comune accordo se questa viene vista da osservatori occidentali, in quanto la cultura contemporanea ci permette di interpretare nel modo corretto ciò che l’artista simbolista intendeva affermare. [14]

3. Timeline

3.4 I cicli musivi narrativi

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Intorno ai primi anni ’20 il partito fascista di Benito Mussolini cominciò a prendere sempre più consensi in tutta Italia.

Figlio di diversi pensieri e filosofie nazionaliste e socialiste, portò nella Nazione un estremo cambiamento con diverse opere architettoniche di valore pubblico.

Importanti edifici di potenti e possenti dimensioni facevano da portavoce al Fascismo e alla potenza dell’uomo. L’architettura non fu l’unica ad essere utile per rappresentare questo nuovo ordine: sbocciarono anche altre forme d’arte volte a valorizzare e rinforzare il regime, l’uomo e la sua storia. Nacquero i famosi cicli narrativi che decoravano diverse pareti pubbliche: le tecniche più utilizzate erano quelle dell’affresco e del mosaico, che si riferivano entrambe ai grandi regni medioevali, l’Impero Romano e quello Ellenico.

Uno dei cicli più importanti, nonché icona dell’arte di quei tempi, si trova a Roma alla stazione di Ostienese. L’opera fu progettata da Angelo Canevari, artista specializzato nel aero-pittura, ossia la rappresentazione di veicoli arei che sfrecciano nei cieli. Essa mostra una serie di avvenimenti di guerra, bombardamenti e vittorie, volti a sottolineare la potenza degli aerei e il coraggio dell’uomo in epoca fascista. L’ispi-

[15] L’ uso delle immagini Ernest H. Gombrich.

Milano, 1999.

I cicli musivi narrativi

razione è prevalentemente dannunziana.

In quel periodo furono molto importanti anche gli studi di Leonardo Da Vinci sulla possibilità dell’uomo di dominare i cieli. E. H. Gombrich scrisse ne “L’uso delle immagini studi sulla funzione sociale dell’arte e sulla comunicazione visiva” che Leonardo da Vinci non sarebbe stato felice nel sapere che una pavimentazione fu utilizzata per diversi tipi di rappresentazione e comunicazione. Andando a rivedere meglio ciò che il pittore ci dice nel suo “Trattato della pittura”, è possibile comprendere come per l’artista fiorentino l’affresco debba rispettare l’architettura e porsi il principio che E. H. Gombrich riassume con “uno spazio, una scena, un’azione”. [15] In realtà, il principio leonardesco poneva gli artisti su un livello di comunicazione grafica più alta rispetto alle opere precedenti, i quali dovevano realizzare una sola scena in un unico spazio, pur rispettando le richieste della committenza che spesso volevano inserire più eventi in una sola parete.

Ciò che realizzarono gli artisti in epoca fascista trascendeva, per così dire, quelli che erano i principi “da rispettare” per un’opera a muro. Spesso, infatti, si assiste ad opere che riempiono in toto le pareti

3. Timeline

con differenti avvenimenti non comunicanti tra loro.

Perché questo richiamo a forme d’arte elleniche? In che modo qui “il fine giustifica i mezzi”? L’architettura di epoca Fascista si costituì come principale portavoce della nuova era, fatta di forme geometriche, semplici e imponenti che intendevano infondere sensazioni di forza e dominanza.

Tra tutti, l’esempio che si vuole riportare è il palazzo della civiltà italiana nel quartiere dell’EUR a Roma: non si parla più di una singola architettura, ma di un quartiere intero che convoglia tutte le sue forze comunicative proprio con questo palazzo.

Qui ci si trova quasi ammaliati da quest’architettura cubica disegnata da forme geometriche perfette e regolari.

Se da una parte l’architettura romana fascista poneva questi edifici spogli di decorazioni, sottolineando un nuovo rigore da rispettare e seguire anche nella vita di tutti i gironi; l’effetto e il potere dei cicli narrativi avevano ben altro compito.

Essi, infatti, dovevano richiamare l’atten-

[16] I Cicli Musivi Narrativi www.ravennaedintorni.it/casapremium/ storia-territorio/cicli-musivi-narrativi-epoca-fascista/

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zione dei giovani italiani a valori come la guerra, le armi, l’orgoglio nazionale, la forza della aeronautica, e la potenza del nuovo uomo.

Dunque, ai rappresentati del fascismo non interessava affatto l’idea di dover rappresentare una singola scena che fosse facile da intendere per qualsiasi persona.

Il fine ultimo di questi cicli musivi di grandi navi e aerei caduti era quello di rappresentare la forza di certi eventi leggendari, un po’ ripresi dalla storia e inventati, per potersi insinuare nella mente di tutti gli italiani. [16] Tuttavia, non bisogna dimenticare che il movimento fascista italiano fu accompagnato anche da importanti letterati, i quali furono i portavoce principali per tutti i diversi campi di studio. Quello che le icone e i cicli musivi rappresentavano non furono altro che ulteriori rinforzi di miti e leggende già raccontate da tutta la politica italiana dell’epoca, e servirono a fortificare le parole con immagini allegoriche.

fig. 19 Idettaglio de I cicli musivi narrativi, Forlì.

43 I cicli musivi narrativi

44 3. Timeline

fig. 20 dettaglio de I cicli musivi narrativi, Forlì.

fig.21 dettaglio de I cicli musivi narrativi, Forlì.

45 I cicli musivi narrativi

3. Timeline

3.5 Bruno Munari e il Visual Design

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Nel 1967, Bruno Munari fu invitato a tenere circa cinquanta lezioni sulla Comunicazione Visiva: questo evento fu l’occasione adatta per collaudare tutta una serie di pensieri e ragionamenti fatti da lui stesso circa l’insegnamento. Egli, infatti, ragionò dapprima sui classici metodi, limitati a presentare, senza sviscerarne i significati, opere d’arte e affreschi di culture passate, presentando e limitandosi ad affermare ciò che è bello o brutto.

B. Munari, invece, fu tra i primi a concentrarsi su uno studio più approfondito riguardo la comunicazione visiva, cercando di capire che cosa fosse giusto o sbagliato fare. Per esempio, la prima lezione del corso prevedeva un laboratorio sulla personalità di ogni studente, il quale doveva in qualche modo presentare sé stesso attraverso un collage. B. Munari riflette non solo sulle singole personalità e, quindi, sulle differenze tra gli studenti, ma anche su che cosa è, in verità, la comunicazione visiva. [17] La seconda parte della lezione consisteva nella presentazione delle singole opere a tutto il gruppo classe, i quali dovevano captare i messaggi che i propri colleghi volevano evidenziare con le loro opere.

B. Munari analizza anche i comportamenti dei singoli studenti, un po’ come se fos-

[17] Design e comunicazione visiva Bruno Munari, La terza, 2017

Bruno Munari e il Visual Design

sero i clienti di una qualche mostra o pub.

Notò che per molti di loro c’era qualcosa di oggettivamente giusto o sbagliato e che in alcuni casi il messaggio che si voleva comunicare fosse più chiaro rispetto agli altri.

Da qui una prima analisi sul segno grafico e su quanto immagini composte tra loro diano un significato più o meno chiaro, confuso, specifico: citando B. Munari “occorre che l’immagine usata sia leggibile a tutti e per tutti nello stesso modo altrimenti non c’è comunicazione visiva, anzi non c’è affatto nulla di detto: c’è una confusione percettiva”.

Con questa frase illuminante si capisce il suo punto di vista riguardo il segno grafico, che in qualche modo non deve puntare a parlare ad un pubblico ristretto e, quindi, ad una piccola cerchia di intenditori.

Deve invece definire una sorta di verbo, che viene inteso allo stesso modo da chiunque lo osservi, sia se costui conosce il design grafico in tutti i suoi aspetti, sia che non lo conosca.

Un’altra lezione molto interessante è l’esercizio riguardo i materiali; una parte del corso puntava a far affinare la conoscenza dei materiali e delle strutture, in modo che ogni studente avesse un portfolio di materiali da poter utilizzare nelle progettazioni.

3. Timeline

Comunque, l’esercizio proposto prevedeva l’analisi dei differenti materiali attraverso la trasformazione in segno grafico: ogni studente aveva un foglio di carta, attraverso il quale doveva richiamare una visione materica. Dunque, chiunque avesse il disegno di un pattern ed una texture specifica era riuscito a rappresentare un qualcosa.

L’esempio qui portato sovviene d’ispirazione per questa trattazione: l’esercizio grafico, infatti, può essere sintetizzato nella sua forma più pura come l’associazione di tanti punti uniti tra loro che insieme danno vita a un qualcosa. La sintesi più pura di un’icona o di un altro qualsiasi elemento grafico è il punto, il quale dà origine a qualsiasi cosa, ma che solo attraverso l’unione dei tanti, la loro posizione specifica in un piano bidimensionale dà vita ad un determinato elemento. [18] Ma come si dà vita a qualcosa? Se è vero che il segno è la traduzione di tanti punti, qual è il suo significato intrinseco? Queste domande vengono e possono solo essere definite attraverso la sensibilità del singolo, nel senso che una tale opera in un tale periodo storico, può essere fatta soltanto da quell’individuo stesso, che probabilmente non sarà mai più in grado di replicarlo. E, allora, questa definizione di segno come viene in aiuto alla seguente trattazione riguardo la sua iconografia? Il simbolo è delimitato da linee, punti e forme elementari. B. Munari, con i suoi diversi studi riguardo la comunicazione visiva,

[18] Storia del Design Grafico, Daniele Baroni, Maurizio Vitta, Longanesi, 2003.

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riflette sui suoi significati e possibili caratteri riproducibili. Non c’è mai un’unica visione riguardo un’icona o un simbolo che esso stesso può cambiare nella forma a seconda di quale periodo storico si stia attraversando.

Tuttavia, si intercettano nella visione delle icone e dei suoi segni più elementari forme basilari che compongono l’icona, a prescindere del periodo storico in cui ci si trova. B. Munari afferma quanto segue: “Supporti per la comunicazione visiva sono quindi il segno, il colore, la luce, il movimento che vanno usati in rapporto a chi dovrà ricevere il messaggio. Si dovrà quindi, di volta in volta, secondo il tipo di informazione che si vuole trasmettere, studiare quale supporto è più adatto a trasmetterla nel modo più completo.”.

Dunque, B. Munari pone segno, colore, luce e anche movimento come elementi basilari per la creazione di un segno grafico qualunque. Definisce e precisa, inoltre, che non esiste una pratica tecnica effettiva rispetto alla creazione di una possibile icona, bensì la creazione di un’immagine è in stretta relazione con il popolo a cui appartiene la sua cultura e il modo in cui può essere inteso. Dunque persino le icone che vengono considerate “nuove”, “scioccanti” oppure “provocatorie” sono adatte a quel determinato tipo di popolazione e periodo storico, proprio perché, in qualche modo, suscitano una sensazione, evidente a tutti con un significato latente comprensibile.

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Bruno Munari e il Visual Design

fig. 22 Le forchette di Munari, Bruno Munari 1958.

4. Sintesi visiva

4.1 Il linguaggio pittografico

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Negli ultimi anni l’iconografia ha raggiunto l’apice della semplificazione attraverso i pittogrammi. Questi segni si sono evoluti costantemente nel corso dei secoli, fino ad arrivare alla loro attuale forma di massima sintesi, in grado di comunicare globalmente grazie a un linguaggio efficace. Per comprendere questo concetto è però necessario fare una distinzione tra pittogramma, ideogramma e logogramma, andando ad analizzarne i cenni storici.

Un pittogramma, o pictogramma, è un simbolo che rappresenta un concetto grazie alla sua somiglianza con un oggetto fisico.

La pittografia è di conseguenza una forma di scrittura in cui il segno grafico rappresenta il soggetto visto e non il suono usato per identificarlo.

Si parla invece di ideogramma quando si utilizza un simbolo per riferirsi non a un segmento fonologico, né a un oggetto fisico, bensì a un’idea. Questo termine è comunemente usato per descrivere i sistemi di scrittura logografica, come i geroglifici egizi e i caratteri cinesi. Tuttavia, un logo-

Il linguaggio pittografico

gramma, o logografo, è un singolo grafema che rappresenta una parola o un morfema (la più piccola unità di analisi della morfologia che abbia un significato e che, attraverso combinazioni diverse, forma le parole).

Esempi di logogrammi sono i numeri arabi (0, 1, 2, 3, ecc.) oppure i segni @, $, ai quali ogni lingua associa un suono diverso, pur mantenendo inalterato il loro significato.

Tutto ciò è in netto contrasto con i sistemi di scrittura esclusivamente fonografica, in cui il simbolo (lettera) rappresenta un suono, come nell’alfabeto latino.

Talvolta pittogrammi e ideogrammi vengono rappresentati insieme, come accade nella segnaletica in cui è presente il cerchio rosso che significa “non consentito”, con all’interno l’oggetto che rappresenta l’azione vietata. Altre volte, invece, è lo stesso pittogramma ad assumere il ruolo di ideogramma. Per esempio, l’icona che rappresenta il significato dell’idea è rappresentata da una lampadina. Di fatto si tratta della raffigurazione di un oggetto, ma trasmette il messaggio dell’idea, un concetto.

4. Sintesi visiva

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I segni pittorici sono cambiati significativamente nel corso della storia. Comunicare attraverso un’illustrazione sintetica è lo scopo ultimo dei pittogrammi, ma, come accennato nei capitoli precedenti, sono molti i popoli che fin dall’antichità utilizzavano i segni pittorici come metodo di scrittura.

Fra i primi sistemi di scrittura attraversi i segni, vi è quella cinese. Testimonianze archeologiche mostrano che questo linguaggio ha origini molto antiche, in quanto le sue

prime tracce risalgono a circa 8000 anni fa.

La scrittura cinese appare come un sistema pienamente sviluppato nella seconda parte della dinastia Shang (XIV-XI secolo a.C.). Ai suoi esordi era di natura pittografica e ideografica. Si comunicava quindi attraverso disegni che rappresentavano sia oggetti fisici, sia concetti astratti. Questi si sono voluti nel tempo, diventando sempre più stilizzati e allontanandosi dalla loro forma originale, fino ad arrivare ai kanji attuali.

fig. 23 Esempi dell’evoluzione di alcuni Kanji.

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Il linguaggio pittografico

Più di 5000 fa, i Sumeri inventarono uno dei primi sistemi di scrittura al mondo: quella cuneiforme. Lo fecero perché avevano bisogno di un mezzo per contabilizzare la ricezione e la distribuzione delle risorse.

Il sistema contabile da loro sviluppato comprendeva sia un metodo di registrazione della lingua per iscritto, sia un metodo di autenticazione e autorizzazione di registrazioni e transazioni, sigillandole con sigilli personali o ufficiali. Utilizzavano segni per rappresentare numeri, cose, parole e suoni.

Tutti i segni erano originariamente pittogrammi, cioè piccole immagini schematiche di cose o azioni, ma potevano essere usati anche per rappresentare i suoni delle parole di queste. Per esempio, un’immagine

dell’acqua potrebbe essere usata per significare “acqua”, o potrebbe rappresentare il suono della parola “acqua”, che era “A” nella lingua sumera parlata all’epoca.

I geroglifici egizi erano invece un sistema di scrittura che consisteva in una combinazione di elementi logografici, alfabetici e ideografici. Questi segni erano tutti più o meno figurativi: rappresentavano elementi reali o immaginari, a volte semplificati, ma nella maggior parte dei casi perfettamente riconoscibili. Lo stesso carattere poteva infatti essere interpretato in modo diverso, a seconda del contesto: come fonogramma (lettura fonetica), come ideogramma, o come determinativo (lettura semantica).

fig. 24 Geroglifici.

fig. 25 Scrittura Cuneiforme.

4. Sintesi visiva

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Le raffigurazioni pittografiche hanno perciò origini molto antiche e non solo vengono utilizzate ancora oggi, ma si sono trasformate assumendo diversi significati.

Per esempio, nel XII secolo nacque come un nuovo tipo di segno pittorico lo stemma, che veniva inizialmente inciso sugli elmi e armature dei cavalieri in epoca Medievale, per poi evolversi nel simbolo di famiglia.

Con l’invenzione della stampa a caratteri mobili, introdotta in Europa Johannes Gutenberg nel 1453, comparvero invece nuovi segni ornamentali che venivano inseriti nelle pagine di libri.

Questi consistevano principalmente in motivi floreali, ma col si sono evoluti fino a diventare veri e propri pittogrammi che indicavano temi come le festività, la religione, le stagioni e gli animali.

A seguito della rivoluzione industriale e della globalizzazione, si ha comunicato ad avere necessità di un mezzo di comunicazione universale adatto a tutte le persone, a prescindere dalla loro lingua o cultura. Questo desiderio ha assunto un ruolo fondamentale a cavallo tra il XIX e il XX secolo, a seguito della diffusione delle automobili e della costruzione di reti stradali sempre più fitte.

Fu così che a Parigi, nel 1909, venne concordato l’utilizzo di quattro pittogrammi ideati appositamente per la segnaletica stradale. Inizialmente questo linguaggio venne adottato in Austria, Belgio, Bulgaria, Francia, Germania, Italia, Monaco, Spagna e Regno Unito, ma nel 1927 venne ampliato e riconosciuto dal comitato per il traffico della Società delle Nazioni. [19]

fig. 26 Icone di ostacoli, Annere D. .

[19] Reappreciating: Otto Neurath Isotype, VanPatter. Humantific

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Il linguaggio pittografico

Nel 1936, Otto Neurath, Rudolf Carnap e Charles W. Morris svilupparono l’International System of Typographic Picture Education, detto Isotype. Il progetto consisteva non solo nell’ideazione di diagrammi e grafici internazionali standardizzati, ma anche in testi e illustrazioni utilizzati in pubblico. Sebbene questo sistema sia oggi molto diffuso, all’epoca fu il primo passo verso lo studio e l’uso scientifico e internazionale dei pittogrammi.

fig. 28 Icone in Isotype .

fig. 27 Icona sotype .

4. Sintesi visiva

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fig. 29 Icone in Isotype .

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Il fondatore di Isotype, scienziato sociale e filosofo scientifico, Otto Neurath, in particolare, era profondamente interessato a contribuire alla creazione di un mondo migliore e più unificato [“Words Divide, Pictures Unite”]. O. Neurath considerava il cambiamento della società come una responsabilità di ogni uomo e donna. O. Neurath e il suo team hanno concepito Isotype come un linguaggio inclusivo. Hanno riconosciuto che nelle situazioni in cui si cerca un vasto pubblico, sono necessarie più delle parole. Applicando l’approccio Isotype alla società del Regno Unito, la serie di libri The New Democracy intorno agli anni ‘40 si è concentrata sul rendere chiare e coinvolgenti varie dimensioni complesse della società britannica dopo la guerra. In particolare, nel libro Women and Work della serie l’attenzione si è concentrata sullo stato di occupazione e disoccupazione.

Qui appare il famoso simbolo del lavoratore disoccupato da Isotype, creato da Gerd Arntz. Leggendo le intenzioni dichiarate in questo libro si possono vedere i primi semi del moderno movimento Social SenseMaking dalla prospettiva Isotype. Dall’introduzione: “La democrazia sopravviverà e tornerà ad essere una forza dinamica solo se può trasformare con coraggio quelle tecniche e scoperte [progressi scientifici] per i propri scopi, usandole per porre fine alla disoccupazione, all’insicurezza e alla miseria, e per aprire nuove frontiere della

Il linguaggio pittografico

vita umana e della libertà... Questo è un compito che non può essere lasciato allo statista e all’esperto. È responsabilità individuale di ogni cittadino... ma il cittadino può partecipare attivamente a quella comunità solo se è adeguatamente informato sulle scelte e sulle possibilità dinanzi ad essa. Contribuire a questo corpo di opinioni informate come base dell’azione sociale, è lo scopo di questa serie” [20] . Non solo il corpo monumentale del lavoro dell’Isotype Institute rappresenta un design informativo significativo e bello, ma continua a ricordare che la visualizzazione dei dati è un potente carburante per il cambiamento che può essere utilizzato in più contesti.

Molte aziende impegnate oggi nella visualizzazione dei dati, inclusa Humantific, continuano a stare sulle spalle di Isotype per costruire nel futuro. Alcuni sembrano capire il fattore di inclusione più di altri.

In Humantific si ha, sin dalla fondazione, ampliato notevolmente la nozione sottostante di inclusione, applicandola alla costruzione della cultura organizzativa, alla progettazione del processo di innovazione e dell’ambiente, alle considerazioni sui valori e sul comportamento, ecc. Oggi si osserva ogni aspetto dell’abilitazione del progresso nelle organizzazioni attraverso la lente di inclusione, i cui semi erano parte integrante dell’approccio Isotype di O. Neurath.

4. Sintesi visiva

4.2 L’importanza dei Giochi Olimpici

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L’importanza dei Giochi Olimpici

Le Olimpiadi hanno avuto un ruolo fondamentale nell’evoluzione dei pittogrammi. Una prima svolta avvenne nell’edizione del 1964, a Tokyo, dove vennero utilizzate immagini astratte e geometriche per comunicare le informazioni ai visitatori. Questo sistema di tipografia, colori e simboli è stato sviluppato da Masaru Katsumie nella direzione artistica e firmato dal designer Yoshiro Yamashita. L’ovvia sfida, evidente

fin dall’inizio, fu quella di creare una lingua universale, dato che il Giappone è un paese asiatico con sistemi di scrittura completamente diversi dal sistema occidentale.

M. Katsumie ha lavorato con l’obiettivo di tradurre tutti gli sport in modo inequivocabile attraverso un sistema di simboli pittografici, i cui tratti si sono anche ispirati alla scrittura orientale. [20]

fig. 30 Pittogrammi Olimpionici 1964, Tokyo 1964 .

[20] Pictografia Olímpica: história e estilo gráfico, Academia Olímpica de Portugal, Rosa Carlos 2010.

4. Sintesi visiva

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Per i Giochi Olimpici del 1968, a Città del Messico, i designer Manuel Villazón e Mathias Goeritz hanno definito un concetto diverso da quello giapponese: invece di illustrare gli atleti in azione, hanno deciso di rappresentare lo sport attraverso gli oggetti utilizzati. Graficamente, i pittogrammi erano meno universali di quelli di Tokyo: lo sti-

le doveva incontrare la cultura messicana e riguardare gli altri pezzi grafici definiti per l’evento. Tuttavia, in seguito ci si è resi conto che gli oggetti non erano sufficienti per illustrare tutte le modalità. Da qui, la rappresentazione degli atleti e la stessa azione sportiva divennero un elemento fondamentale nell’identificazione degli sport.

fig. 31 Pittogrammi Olimpionici 1968, Mexico City 1968 .

L’importanza dei Giochi Olimpici

Per quanto riguarda i Giochi Olimpici del 1972 a Monaco di Baviera, il designer tedesco Otl Aicher ha presentato un sistema di pittogrammi emerso come una standardizzazione completa del linguaggio visivo. Il sistema era orientato in modo molto lineare e regolato, rendendolo un chiaro esempio di fredda geometria. O. Aicher, attraverso l’ottimizzazione delle forme grafiche, ha creato una serie di simboli pittografici dalla combinazione di cerchi e quadrati. Queste forme, combinate e sovrapposte ad uno Scheletro Lineare, hanno dato origine alla rappresentazione di tutti gli sport olimpici,

presenti nell’edizione del 1972. I simboli rappresentavano un’azione caratterizzante lo sport d’azione e la pratica dello sport.

Questo tipo di rappresentazione era già stato sperimentato dagli inglesi e dal giapponese M. Katsumie, ma mai in modo così chiaro ed esplicito.

I pittogrammi hanno dato origine a un nuovo approccio alla progettazione, da utilizzare in un contesto universale, come stazioni, aeroporti, esposizioni e fiere internazionali ed eventi sportivi olimpici e multinazionali.

fig. 32 Pittogramma Olimpiadi di calcio 1972, Monaco 1972 .

4. Sintesi visiva

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In occasione delle Olimpiadi di Mosca 1980 sono stati ripresi i simboli di Otl Aicher, ma vennero sviluppati con un aspetto visivo più “divertente” e meno rigido dal punto di vista della costruzione concettuale e formale. Ciascuno dei pittogrammi

consisteva in un quadrato con angoli arrotondati dove si sovrapponeva la silhouette bianca degli atleti. Queste figure sono in armonia con lo sfondo, in quanto l’assenza di una “cornice” le rende più dinamiche e coerenti.

fig. 33 Pittogrammi Olimpionici 1980, Mosca 1980 .

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L’importanza dei Giochi Olimpici

Quattro anni dopo, ai Giochi Olimpici del 1984 a Los Angeles, si hanno di nuovo creato pittogrammi influenzati dai simboli di Otl Aicher. Gli arti del corpo umano sono stati progettati per fornire una visione più vicina alla realtà, in cui le gambe e le braccia sono più sottili alle estremità e arrotondate nelle zone del bacino e delle spalle.

L’obiettivo era mitigare l’astrattismo di O. Aicher attraverso la variazione dei dettagli, dando particolare enfasi alla comprensione della figura umana in quanto tale.

Il Comitato Olimpico degli Stati Uniti ha deciso per la prima volta di stabilire delle regole nella definizione del sistema da utilizzare: i pittogrammi dovevano essere riconosciuti da tutte le nazioni, e relazionarsi tra loro attraverso un trattamento formale uniforme e coerente, esaltando la somi-

glianza tra le forme che sfruttano la linea e la macchia. Dovevano inoltre soddisfare i requisiti minimi di leggibilità, in quanto avevano l’obbligo di essere altamente visibili e facilmente riproducibili su qualsiasi scala. L’obiettivo era renderli il più flessibili possibile, in modo da sfruttare il loro utilizzo in tutti i supporti creati a tale scopo. Era necessario che fossero distinguibili e che evitassero mode, stili grafici e di presentare un aspetto molto commerciale. Infine, dovevano essere accattivanti se usati con gli altri elementi grafici delle Olimpiadi. Tuttavia, tutte queste premesse furono inutili: la famiglia pittografica di Los Angeles è stata rapidamente associata a quella di Otl Aicher, diventando l’ennesimo adattamento del sistema utilizzato a Monaco.

fig. 34 Pittogrammi Olimpionici 1984, Los Angeles 1984 .

4. Sintesi visiva

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Nel 1988 era atteso con impazienza il sistema pittografico dei Giochi Olimpici di Seul.

Questo si è distinto dai giochi precedenti perché la composizione era divisa in un tronco, braccia, gambe e una testa. Le parti di collegamento per braccia e gambe sono state realizzate in modo molto semplice e chiaro, ma assomigliavano ancora al corpo umano. [21]

fig. 35 Pittogrammi Olimpionici 1988, Seoul 1988 .

[21] The History of the Olympic Games icons www. iconutopia.com

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L’importanza dei Giochi Olimpici

Dunque dal 1972 non ci sono stati cambiamenti drastici nei pittogrammi per le Olimpiadi. Tuttavia, ai Giochi di Barcellona del 1992 si possono vedere alcune trasformazioni significative. Josep María Trias abbandonò i principi geometrici delle icone precedenti e presentò linee disegnate più liberamente. Il designer ha anche semplificato il corpo umano lasciandolo ai tre elementi principali: testa, mani e gambe.

Diversi autori affermano che lo spagnolo ha utilizzato la stessa griglia di costruzione di Otl Aicher per arrivare al risultato fina-

le, ma ciò che lo spagnolo ha utilizzato è stato lo “scheletro” proposto dai simboli del 1972. La linea adottata da Josep María Trías aveva caratteristiche più spontanee, libere e creative, perché le linee che formavano i pittogrammi non erano legate a una regola matematica rigida ed evirante. La griglia di costruzione, il righello e la matita furono sostituiti da eleganti linee a pennello realizzate spontaneamente, dimostrando che le pennellate europee non somigliavano in alcun modo ai tratti cinesi o giapponesi, maestri nell’uso di questo tipo di strumenti.

fig. 36 Pittogrammi Olimpionici 1992, Barcellona 1992 .

4. Sintesi visiva

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A partire dai Giochi Olimpici del 1996, la griglia matematica di Otl Aicher venne definitivamente abolita. Da qui, il concetto che sostiene la forma dei pittogrammi venne rivisitato nella cultura locale e negli elementi e oggetti tradizionali di una regione, normalmente quella in cui si svolgono i Giochi Olimpici, il che rafforza l’uso di concetti culturali e locali.

Atlanta ‘96 è stato l’anno che ha riaffermato un nuovo modo di pensare la pittografia universale: l’inserimento di elementi culturali nel disegno dell’Olimpico pittogramma. È stata scelta la cultura greca come approc-

cio concettuale per illustrare i pittogrammi olimpici: una scommessa su un approccio più particolare e locale a scapito di forme puriste, funzionali e rigide, che è stato un nuovo modo di avvicinare la manifestazione ai suoi visitatori. I pittogrammi sono stati progettati per copiare le proporzioni ideali che dovrebbe avere l’uomo, idealizzate dal popolo greco nell’antichità classica. Il livello di iconicità era, tuttavia, troppo alto rispetto ai suoi predecessori. Le forme grafiche tendevano a perdere il loro impatto sul loro reale obiettivo, quello di comunicare, informare e guidare i visitatori.

fig. 37 Pittogrammi Olimpionici 1996, Atlanta 1996.

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L’importanza dei Giochi Olimpici

Paul Saunders, il designer responsabile della creazione della famiglia pittografica per le Olimpiadi di Sydney del 2000, ha utilizzato ancora una volta le caratteristiche locali e culturali della regione. La tradizione australiana era rappresentata attraverso il boomerang, un oggetto aborigeno.

I suoi pittogrammi hanno molto in comune con quelli creati per l’anno 1992: sono stati rappresentati solo attraverso tre elementi, gli stessi che scelse Josep María Trías, ma

invece di una costruzione più libera in stile P. Picasso come quella creata dallo spagnolo, il team australiano ha utilizzato solo tre o quattro tipi di forme che rappresentavano il boomerang per tutti i pittogrammi. Per non perdere la forma espressiva dell’oggetto in questione, la rappresentazione degli sport era poco flessibile, e alcune figure sembrava come se stessero ballando l’una con l’altra.

fig. 38 Pittogrammi Olimpionici 2000, Sideny 2000 .

4. Sintesi visiva

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Atene è stata la città scelta per ospitare le prime Olimpiadi del XXI secolo, nel 2004.

I pittogrammi sono stati utilizzati nella cultura ceramica greca, dove spiccano tre grandi influenze: la semplicità della figura umana (riconoscibili per la loro geometria marcatamente astratta), i vasi in ceramica e l’espressione artistica. Quest’ultima deriva dalle figure nere rappresentate sui vasi, dove le forme nere rappresentano il corpo umano, segnato solo da una tenue linea bianca che distingue ciò che è oltre

il corpo, ossia lo sport che rappresenta. Il pittogramma era inserito all’interno di una cornice che ricordava un pezzo di ceramica frammentata, simile alla forma di un vaso dell’antica Grecia. Nonostante l’ispirazione artistica ed evidentemente culturale, i pittogrammi del 2004 si sono rivelati forme molto precise che assolvevano alla loro funzione principale: identificare gli sport e, in questo caso, i movimenti atletici legati alla pratica delle modalità olimpiche.

fig. 39 Pittogrammi Olimpionici 2004, Atene 2004.

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L’importanza dei Giochi Olimpici

Quattro anni dopo, la città di Pechino ospita i primi Giochi Olimpici della sua storia. La risorsa concettuale adottata per la progettazione del sistema pittografico è stata l’età del bronzo in Cina (1700 a.C.), tuttavia presentavano alcuni problemi di decodifica. Alcune delle forme erano troppo astratte, e il visitatore spendeva più tempo ed energia intellettuale per comprendere il significato di ogni simbolo grafico.

Fino ad allora, la realizzazione di sistemi pittografici era guidata in modo opposto a quello definito da Otl Aicher nel 1972. Se in precedenza la creazione di pittogrammi di linguaggio funzionale e universale era co-

struita in funzione del non uso di stimoli o luoghi particolari, gli elementi più rilevanti nella creazione e definizione delle forme pittografiche sono diventati la “cultura locale” o la “tradizione storica”, come osservato nei Giochi dal 1992 al 2008.

Min Wang e il suo team di Square Two, hanno definito che il patrimonio culturale della regione dovrebbe essere il fattore più importante nella creazione dei pittogrammi, tuttavia questi sono diventati troppo astratti, il che compromette il livello di soddisfazione e il comfort del visitatore di questi Giochi Olimpici. [22]

fig. 40 Pittogrammi Olimpionici 2008, Pechino 2008 .

[22] Pictografia Olímpica: história e estilo gráfico, Academia Olímpica de Portugal, Rosa Carlos 2010.

4. Sintesi visiva

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Nel 2012, per i Giochi Olimpici di Londra, sono stati sviluppati due sistemi pittografici da usare contemporaneamente. Uno dei due doveva guidare i visitatori e identificare gli sport olimpici, mentre i pittogrammi dell’altro sistema sono stati chiamati “Pittogrammi Dinamici” e venivano utilizzati nei mezzi di comunicazione e pubblicità. Que-

sti segni, dinamici o meno, comunicano in modo molto più chiaro rispetto a quelli dei precedenti Giochi Olimpici. Sono semplici e di comunicazione veloce e concisa, e sono chiaramente influenzati dalla grafica adottata dalle linee della metropolitana di Londra.

fig. 41 Pittogrammi Olimpionici 2012, Londra 2012.

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L’importanza dei Giochi Olimpici

I Giochi Olimpici di Rio de Janeiro del 2016 sono rappresentati con un sistema di icone dinamico e mutevole, basato sulla tipografia del logo dei Giochi di Rio. Le forme di ciottoli supportano i disegni e cambiano la loro forma in base alla silhouette dell’atleta.

fig. 42 Pittogrammi Olimpionici 2016, Rio 2016 .

4. Sintesi visiva

fig. 43 Storia dei Pittogrammi Olimpionici.

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L’importanza dei Giochi Olimpici

4. Sintesi visiva

Nell’edizione dei Giochi Olimpici di Tokyo 2020, tenutasi nel 2021 a causa della pandemia denominata Covid-19, i pittogrammi sono stati ideati dal designer giapponese Masaaki Hiromura. Questi incarnano l’unicità e l’atletismo di ogni sport ed evidenziano il dinamismo degli atleti.

Sono stati progettati in linea con il tema di Tokyo 2020: “Innovation from Harmony”, traendo ispirazione dai Giochi Olimpici di Tokyo 1964. Per un totale di 50 pittogrammi, il progetto ha richiesto quasi due anni

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per essere completato.

Questi segni sono stati presentati durante la cerimonia inaugurale attraverso uno show, nel quale gli attori inscenavano le azioni rappresentate nei pittogrammi mettendosi in posa.

M. Hiromura ha dichiarato: “Ho cercato di esprimere la bellezza dinamica degli atleti attraverso questi pittogrammi, rispettando l’eredità lasciata dai pionieri dell’industria del design giapponese nei loro progetti per i Giochi di Tokyo 1964.” [23]

fig. 44 Frame da “Breathtaking Pictogram Performance at Tokyo 2020 Opening Ceremony” .

[23] - 500 giorni a Tokyo 2020, svelati i pittogrammi dell’Olimpiade giapponese www.tokyo2020.coni.it

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L’importanza dei Giochi Olimpici

fig. 45 Pittogrammi Olimpionici di Tokio ‘64 vs Tokio 2020.

5. Conclusione

5. Conclusione

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Si chiude questa grossa parentesi sull’idea segnica che, attraversa questo insieme di periodi storici, si concentra sulla concettualizzazione e puntualizzazione di alcuni argomenti e sulla sua riuscita grafica.

Facendo qualche passo indietro nel tempo e andando a vedere in maniera dettagliata ciò che ciascun periodo ha da offrire alla storia dell’iconografia, si può notare che non c’è mai stata l’esigenza di chiedersi se quell’oggetto sarebbe stato “iconico” o meno. Si fa di nuovo riferimento a E. H. Gombrich [24] e, in particolare, al capitolo del suo libro riguardante le opere e le icone che gli artisti neoclassici presentarono al popolo francese durante la Rivoluzione francese: quest’ultimi utilizzarono delle forme e dei rimandi che più volte si hanno osservato nel passato e si sono presentate per esprimere il medesimo concetto. Un esempio interessante che il critico pone è quello dell’occhio di luce, che spesso viene condensato in uno scettro che viene portato dalla “donna della ragione”. Quest’occhio, che nelle banconote americane si vede sovrastare una piramide, ha origini egizie: esso, infatti, veniva spesso associato alla figura della divinità Osiride, Dio del sole. La trasposizione dell’occhio vicino alla Ragione è semplice da comprendere:

[24] L’ uso delle immagini Ernest H. Gombrich.

Milano, 1999.

esso rappresenta infatti la luce assoluta della verità.

In realtà la spiegazione di questo simbolo assume forme diverse a seconda del contesto in cui si trova, ma ciò che si evidenzia è che questo concetto di simboli crea un’icona di rimandi a significati di luce e di apertura. Dunque, passando da Aristotele fino ad arrivare agli studi di B. Munari, si può dire che molti richiami di immagini e rappresentazioni derivano spesso e volentieri da richiami anteriori, messaggi che esistono già e che ognuno riesce ad interpretare.

Con questo, si riesce però a capire solo un aspetto della lettura di un’icona, o più in generale di un segno grafico. Se da una parte si riesce a comprendere che un dato segno grafico allude ad un determinato concetto e/o richiamo, dall’altra ci si chiede perché nel corso dei tempi la sensibilità degli artisti cambi, variandone così le rappresentazioni. Perché non è bastato uno schema da riproporre in maniera continua e comune a tutti gli uomini di qualsiasi tempo? Come mai, nel caso dell’icona e degli stemmi si è andati, al contrario, ad una riduzione dei segni grafici? Nella trattazione si cerca di evidenziare delle fasi e dei periodi storici in cui si è arrivati ad un passaggio successivo, momenti nei quali

5. Conclusione

si è sentita l’esigenza di creare qualcosa adatto non solo all’uomo occidentale, ma comune a tutti gli individui. Tornando un attimo al Crystal Palace, infatti, la scelta di O. Jones di utilizzare il colore e segni grafici di estrema semplicità non fu dettata da un diletto professionale dell’architetto, ma da un’esigenza. Perché O. Jones avrebbe dovuto creare qualcosa che solo gli inglesi colti, sarebbero stati in grado di capire?

Avrebbe fallito nel suo intento e di quello che il Crystal Palace tentava di mettere in atto, una presentazione delle più grandi potenze mondiali dei propri prodotti, in favore di un mercato sempre più ricco e veloce, dati i nuovi sistemi di trasporto per le merci.

Tutt’altra intenzione avevano, invece, i cicli narrativi di epoca fascista, il quale richiamo non era volutamente diretto allo scopo. Per rappresentare un aereo in volo, gli artisti dell’epoca non utilizzarono metafore o allegorie attraverso i segni, la loro composizione era di natura oggettiva e chiara. Forse l’unico richiamo di epoca fascista a valori come il volo e la potenza in aria era dettato dall’utilizzo dell’aquila come animale rappresentativo. Spesso questo animale veniva utilizzato nelle parate fasciste ed indicava alla folla il potere di B. Mussolini e del popolo fascista. Tuttavia, le lotte rappresentate in questi cicli narrativi non avevano alcun riferimento a battaglie realmente accadute, o per lo meno non volevano indicare nessun evento preciso della storia, ma solo richiamar-

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ne i valori intrinsechi di onore e forza.

Dunque, si potrebbe sottintendere un passo indietro per gli affreschi e i mosaici fascisti, rispetto ad un movimento moderno che, al contrario, prediligeva figure semplici e richiami allegorici? Si ricorda che qualsiasi avvenimento della storia rimanda a qualcosa che è già accaduto in passato e che l’uomo moderno non può essere sé stesso senza guardarsi indietro. In seconda battuta, emerge il fatto che in questo caso il mezzo fu estremamente adatto allo scopo: un’intera nazione iniziò a credere negli ideali di una politica tutt’altro che positiva e moderata. Sta di fatto che le rappresentazioni fasciste aiutarono l’uomo del tempo a sentirsi più forte e sicuro dei propri mezzi. Dunque in questo caso non si fa un passo indietro, anche perché i mosaici, sebbene simili a quelli di epoca romana, non furono delle copie dal vero, ma innovative e adatte all’uomo di quell’epoca. È giusto fare nota anche della sintesi visiva che ha portato all’attuale scrittura cinese. Come è possibile osservare bene dagli esempi, prima che si arrivasse alla moderna scrittura cinese, i simboli non erano altro che rappresentazioni, seppur semplificate, di oggetti reali. La cosa forse più entusiasmante di questa scrittura è che in realtà anche gli egizi dall’altra parte del globo utilizzarono simboli per riferirsi a suoni, i quali spesso non indicavano ciò che sembrano. Ci si riferisce, per esempio, all’occhio, il quale, in epoca egizia,

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non indicava semplicemente l’organo di un essere umano, bensì il sole, colui che permetteva all’occhio di vedere le forme (forse da questo l’utilizzo di questo espediente per rappresentare il sole). In Cina il meccanismo di riduzione e trasformazione in scrittura del segno è sicuramente di tipo riduttivo: da una piccola rappresentazione del sole, per esempio, si arriva ad un segno grafico che, per chi non conosce la lingua, risulta difficile comprendere.

In conclusione, l’intrinseco rapporto tra icona e società ha visto, nel corso dei secoli, diversi tipi di rappresentazioni e rimandi. La differenza tra ognuna di loro sta proprio nel fatto di essere stata creata in quel preciso momento da quel preciso artista, per quell’esatto committente. È chiaramente più semplice osservare come il linguaggio dell’arte sia cambiato, passando da un bene di lusso rispetto ai giorni nostri dove, invece, l’arte assume il valore di una forma d’espressione del più intimo sé stesso, di protesta nei confronti della società o di un dato evento. La trasformazione delle icone, invece, anche rispetto ai loghi dei più grandi brand attualmente esistenti sul mercato, è di più difficile lettura: spesso i linguaggi iconografici venivano avvolti da sottili rappresentazioni di grandi opere pittoriche, dove spesso non era facile intenderle. Fu un compito arduo quello di sviscerare le più grandi tele fino ai loro simboli più profondi e meno visibili, anche se, come dice E. H. Gombrich, la rappresentazione di “attributi” nelle opere permette

[25] Andrew Stenton Wall-E Disney, 2008.

[26] L’ uso delle immagini Ernest H. Gombrich.

Milano, 1999.

Cocnlusione

di distinguere i personaggi appartenenti a un mito, oppure alle sacre scritture. La società moderna si colloca in un’era smart, ed ora più che mai nelle attuali esperienze digitali si necessita di incontrare la semplificazione di un concetto mentale e letterario in un focus visivo. Sociologicamente, nelle società antiche il fatto di comunicare con le immagini denotava all’interno della popolazione una certa ignoranza, che poteva essere interpretata come una mancanza di istruzione o mancanza di volontà di interpretare dei concetti, a volte come forma di anticonformismo, altre come frattura sociale tra diversi tipi di ceti.

Un po’ fantasticamente Disney in Wall-E [25] proietta lo spettatore in un futuro non così lontano, in cui l’uomo ha dovuto affrontare un tale processo di semplificazione che il suo stesso antropomorfismo si è connesso alla non esigenza di evolversi e di compiere determinate azioni, poiché semplificate da un unico gesto o da un insieme di tecnologie sostitutive nella propria vita.

Il gap comunicativo si trova quindi spingendo verso questa direzione?

[26] E. H. Gombrich si posiziona in queste parole “non siamo in grado di concepire nulla se non con immagini.

Senza di esse , non possiamo formulare un’analisi astratta, un ragionamento metafisico e solo con e attraverso le immagini che possiamo usare la nostra memoria.

Conviene averlo ben presente al momento della adozione del calendario. […] tenendo conto del domino delle immagini sulla in-

5. Conclusione

telligenza umana abbiamo perfino cercato di sfruttare gli elementi imitativi inerenti al linguaggio per creare queste parole”. [27] Nelle sue riflessioni è profondamente futuristico e soprattutto porta a riconoscere come ci si stia muovendo in un futuro per cui ne si conosce il destino e la definizione, ma per cui non si riesce a distaccarsi o deviare in un percorso sicuramente di natura migliore. È anche interessante pensare come sia cambiata la percezione dell’icona tra la storia e la modernità, ed il fatto che questa si sia, per fortuna, distaccata da un’ottica completamente cattolica per diventare quotidianità e dunque evolversi in concetti moderni e di comunicazione.

La sintesi segnica di queste icone ha portato anche in un’era tapable, dove l’icona si sostituisce ad un’intera azione figitale e che si muove trasversalmente tra un mondo digitale ed uno fisico. In quest’ultimo le icone sono diventate dei bottoni presso il quale si ha l’opportunità di cliccare, mentre nel primo si sono sostitute a quei percorsi quotidiani semplificando in un solo gesto e passaggio molto più netto e diretto, e senza che richieda una completa interazione con l’utente.

Qual è l’evoluzione dell’icona? Avendo studiato la sua varianza nel tempo ci si può concentrare su come questo rappresenti ancora un’incognita storica, difficile da leggere con una visione lineare del segno grafico. Inoltre, una stessa icona messa in moto per un certo numero di istanti crea un movimento continuo illusorio, dato dal-

[27] L’ uso delle immagini Ernest H. Gombrich. Milano, 1999.

[28] Atari Pong , Arcade Magnavox Odissey, 1972.

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la sua stessa variazione in posizioni differenti. Dunque, si noti che anche essa può assumere mutazioni in un lasso di tempo estremamente breve, con diversi significati a causa del suo spostamento. Trasferisce tutta la sua unicità in un universo che concentra movimento, tempo e semplificazione. L’esperienza Metaverso è ancora qualcosa di molto lontano, però sicuramente aver generato delle interazioni tra un quadratino e due lineette [28] hanno generato gioco e competizione. La gamification dell’icona che si muove ne fa percepire un aspetto completamente nuovo e diverso, che viene denotato dalla modifica del tempo e del movimento che l’icona compie.

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Bibligorafia e sitografia

Bibliografia e sitografia

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Monografie •

Baroni D. e Vitta M., Storia del design grafico, Longanesi, Milano 2003.

•

Curtis W., L’architettura moderna dal 1900, Phaidon, 2006

•

Gombrich E.H., L’uso delle immagini. Studi sulla funzione sociale dell’arte e sulla comunicazione visiva, Phaidon, 2011.

•

Munari B., Design e Comunicazione Visiva, Ed. Laterza, 1993.

•

Ronneberg A., Il libro dei simboli. Riflessioni sulle immagini archetipiche, Taschen, 2011.

•

Rosa C., Pictografia Olímpica: história e estilo gráfico, Academia Olímpica de Portugal, 2010.

•

Williams G., Women and Work, Nicholson and Watson, Londra 1945.

•

Wittkower R. e M., Nati sotto Saturno. La figura dell’artista dall’Antichità alla Rivoluzione francese, Einaudi, 2016.

•

Contributi in riviste o periodici

•

Fabbri P., Il rinoceronte dà un ottimo latte, Fellini-Amarcord. Rivista di studi felliniani, Fondazione Fellini Editore, Rimini, 2006.

•

Lancioni, T., Semiotica e iconologia. Nuovi temi per un vecchio confronto, E/C, 25.

•

Levi E. I tarocchi nel secolo dei Lumi, Quaderni di Minerva 1, 2018, pp. 87-96.

•

Martini E. I “Tarocchi del Mantegna”: una “nuova” lettura di un percorso di Cinquanta Porte, Journal Name: Interpres. Rivista di Studi Quattrocenteschi, XXXIII, 2015, pp. 44-73.

•

Moser s. Crystal Palace colourful controversial virtual world before computers, Università di Southampton, 4 ottobre 2012.

Sitografia e filmografia •

Augustin Tschinkel and the Isotype Art http://www.midcenturia.com/2011/09/augustin-tschinkel-isotype-art.html

•

Breathtaking Pictogram Performance at Tokyo 2020 Opening Ceremony https://www.youtube.com/watch?v=I9uVg-feZoM

•

Crystal Palace Nascono le architetture di vetro e di metallo https://www.guidafinestra.it/londra-1851crystal-palace-nascono-le-architetture-di-vetro-e-metallo

•

Evolution of Chinese Character https://www.reddit.com/r/etymology/comments/da2cs3/evolution_of_chinese_characters

•

Iconografia https://www.treccani.it/enciclopedia/iconografia_%28Enciclopedia-dei-ragazzi%29

•

I Ritratti del Mondo. Personificazioni dell’ecumene in età moderna http://dspace.unive.it/bitstream/handle/10579/12883/956165-1197603.pdf?sequence=2

•

Owen Jones And the Grammar of Ornament. https://www.vam.ac.uk/articles/owen-jones-and-the-grammar-of-ornament

•

The history of the Olympic Games https://iconutopia.com/the-history-of-the-olympic-games-icons

Indce delle immagini

Indice delle immagini

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fig. 1 Logo PBS, Herb Lubalin.

pag. 10

fig. 2 The man with the golden arm, Saul Bass.

pag. 11

fig. 3 Il Capriccio, Cesare Ripa.

pag. 13

fig. 4 Negativo de la “Iconografia Rateriana”.

pag. 14

fig. 5 The queen’s stepwell, Patan, Gujarat, India.

pag. 19

fig. 6 Historia Animalium, Aristotele. 343 a.C.

pag. 22

fig. 7 Codex Grolier, frammento.

pag. 24

fig 8. Codex Grolier il calendario.

pag. 25

fig. 9 The Crystal Palace.

pag. 28

fig. 10 Interior of the Crystal Palace, by William Simpson, 1851.

pag. 29

fig. 11 Studio di decorazione, Owen Jones.

pag. 30

fig. 12 Allestimento Egitto al Crystal Palace, Owen Jones.

pag. 31

fig. 13 Tempesta di neve, battello a vapore al largo di Harbour’s

pag. 32

Mouth, William Turner, 1842. fig. 14 Newton, William Blake, 1805.

pag. 32

fig. 15 Salisbury Cathedral, Jhon Constable, 1805.

pag. 33

fig. 16 Cleopatra, Gustave Moreau

pag. 36-37

fig. 17 dettaglio de Cleopatra, Gustave Moreau

pag. 39

fig. 18 dettaglio de Cleopatra, Gustave Moreau

pag. 43

fig. 19 dettaglio de I cicli musivi narrativi, Forlì.

pag. 44

fig. 20 dettaglio de I cicli musivi narrativi, Forlì.

pag. 45

fig. 21 dettaglio de I cicli musivi narrativi, Forlì.

pag. 46

fig. 22 Le forchette di Munari, Bruno Munari 1958.

pag.49

fig. 23 Esempi dell’evoluzione di alcuni Kanji.

pag. 52

Indce delle immagini

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fig. 24 Geroglifici.

pag. 53

fig. 25 Scrittura Cuneiforme.

pag. 54

fig. 26 Icone di ostacoli, Annere D. .

pag. 55

fig. 27 Icona sotype .

pag. 55

fig. 28 Icone in Isotype .

pag. 55

fig. 29 Icone in Isotype .

pag. 56

fig. 30 Pittogrammi Olimpionici 1964, Tokyo 1964 .

pag. 59

fig. 31 Pittogrammi Olimpionici 1968, Mexico City 1968 .

pag. 60

fig. 32 Pittogramma Olimpiadi di calcio 1972, Monaco 1972 .

pag. 61

fig. 33 Pittogrammi Olimpionici 1980, Mosca 1980 .

pag. 62

fig. 34 Pittogrammi Olimpionici 1984, Los Angeles 1984 .

pag. 63

fig. 35 Pittogrammi Olimpionici 1988, Seoul 1988 .

pag. 64

fig. 36 Pittogrammi Olimpionici 1992, Barcellons 1992 .

pag. 65

fig. 37 Pittogrammi Olimpionici 1996, Atlanta 1996.

pag. 66

fig. 38 Pittogrammi Olimpionici 2000, Sideny 2000 .

pag. 67

fig. 39 Pittogrammi Olimpionici 2004, Atene 2004.

pag. 68

fig. 40 Pittogrammi Olimpionici 2008, Pechino 2008 .

pag. 69

fig. 41 Pittogrammi Olimpionici 2012, Londra 2012.

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fig. 42 Pittogrammi Olimpionici 2016, Rio 2016 .

pag. 71

fig. 43 Storia dei Pittogrammi Olimpionici.

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fig. 44 Frame da “Breathtaking Pictogram Performance at

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Tokyo 2020 Opening Ceremony” . fig. 45 Pittogrammi Olimpionici di Tokio ‘64 vs Tokio 2020.

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