L'isola che non c'è

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L’isola che non c’è...

“seconda stella a destra e poi dritto fino al mattino”



L’isola che non c’è...

“seconda stella a destra e poi dritto fino al mattino”

pittura scultura fotografia musica letteratura in sicilia


Nativi della Sicilia Elenco dei siciliani di ogni tempo e luogo che si sono distinti in diversi modi e nei diversi settori:

Registi: Roberto Andò Frank Capra Beppe Cino Daniele CiprÏ Salvo Cuccia Vittorio De Seta Daniele Gangemi Aurelio Grimaldi Franco Indovina Donatella Maiorca Franco Maresco Angelo Ruta Aldo Sarullo Pasquale Scimeca Giuseppe Tornatore Turi Vasile Marco Amenta Vincenzo Pirrotta Vittorio Sindoni

Pittura: Carla Accardi Antonino Alberti Girolamo Alibrandi Giacinto Calandrucci Guido Colli


Pina Calì Silvestre Cuffaro Alessandro D’Anna Vito D’Anna Salvo d’Antonio Antonello da Messina Giovannello da Itala Antonio di Saliba Ettore De Maria Bergler Salvatore Fiume Antonino Gandolfo Filippo Giannetto Piero Guccione Renato Guttuso Tommaso Laureti Filippo Liardo Francesco Lojacono Giuseppe Migneco Antonio di Saliba Francesco Saverio Mosca Pietro Novelli Giacinto Platania Michele Rapisardi Giuseppe Rapisardi Pippo Rizzo Giacomo Santoro Pasquale Sarullo Agostino Scilla Giuseppe Sciuti Olivio Sozzi Raffaele Stramondo Filippo Tancredi Lino Tardia Fedele Tirrito Giovanni Tuccari

Pietro Paolo Vasta Andrea Vizzini

Scultura:

Filippo Bentivegna Rinaldo Bonanno Carmelo Cammarata Benedetto Civiletti Silvestre Cuffaro Pietro Consagra Antonello Gagini Tommaso Geraci Emilio Greco Mimì Maria Lazzaro Francesco Messina Innocenzo da Petralia Umile da Petralia Mario Rutelli Giacomo Serpotta Procopio Serpotta Antonio Ugo Gaetano Zumbo

Fotografia: Letizia Battaglia Giuseppe Bruno, maestro di Wilhelm von Gloeden Giovanni Crupi Gaetano D’Agata Ferdinando Scianna Enzo Sellerio Francesco Virlinzi

Scrittori: Luigi Pirandello Simonetta Agnello Hornby Goliarda Sapienza Sebastiano Addamo Giuseppe Alongi Giuseppe Antonio Borgese Giovanni Aurispa Tommaso Aversa Giuseppe Bonaviri Vitaliano Brancati Gesualdo Bufalino Pietrangelo Buttafuoco Giacomo Cacciatore Domenico Cacopardo Andrea Camilleri Luigi Capuana Lara Cardella Matteo Collura Enzo Consoli Vincenzo Consolo Santi Correnti Maria Rosa Cutrufelli Stefano D’Arrigo Ugo Fleres Federico De Roberto Piergiorgio Di Cara Laura Di Falco Archestrato di Gela Silvana Grasso Valentina Gebbia Beniamino Joppolo Stefano Lanuzza Francesco Lanza

Andrea Lo Forte Randi Eliodoro Lombardi Dacia Maraini Nino Martoglio Francesco Saverio Mosca Luigi Natoli Maria Occhipinti Enrico Onufrio Alfredo Ormando Melissa Panarello Vincenzo Patanè Ercole Patti Francesco Paolo Perez Santo Piazzese Giacomo Pilati Luigi Pirandello Giuseppe Pitrè Giuseppe Trischitta Raffaele Poidomani Vincenzo Rabito Pier Maria Rosso di San Secondo Leonardo Sciascia Giuseppe Tomasi di Lampedusa Girolamo Ragusa Moleti Gino Raya Sebastiano Catalano Lorenzo Vigo-Fazio Saverio Fiducia Federico Pipitone Angelo Vecchio Giovanni Verga Elio Vittorini



ELENCO ARTISTI Pittori e scultori Carla Accardi (Trapani 1924) Piero Guccione (Scicli (RG) 1935 Salvatore Fiume ( Comiso (RG) 1915- Milano 1997) Mimmo Germanà (Catania 1944-Milano 1992) Renato Guttuso (Bagheria (PA) 1911- Roma 1987) Emilio Isgrò (Barcellona Pozzo di Gotto (MS) 1937) Elio Marcheggiani (Siracusa 1929) Giuseppe Migneco (Messina 1908 – Milano 1997) Pino Pinelli (Catania 1938) Salvo (Salvatore Mangione) (Leonforte (EN) 1947) Antonio Sanfilippo (Partanna (TP) 1923- Roma 1980) Turi Simeti (Alcamo (TP) 1929) Francesco Trombadori (Siracusa 1886 – Roma 1961) Emilio Greco (Catania 1913 – Roma 1995) Francesco Messina (Linguaglossa (CT) 1900 – Milano 1995) Pietro Consagra (Mazara del Vallo (TP) 1920 – Milano 2005) Carmelo Cappello (Ragusa 1912 – Milano 1996) Giuseppe Modica (Mazara del Vallo (TP) 1953)

fotografi Letizia Battaglia (Palermo 1935) Ferdinando Scianna (Bagheria (PA) 1943) Davide Bramante (Siracusa 1970) compositori Vincenzo Bellini Franco Battiato registi Giuseppe Tornatore Frank Capra scrittori Leonardo Sciascia Francesco Adorno Luigi Pirandello Giovanni Verga G.Tomasi di Lampedusa Andrea Camilleri Salvatore Quasimodo


Carla Accardi (Trapani 1924) Carla Accardi è un’artista italiana, che con la sua pittura ha contribuito dal 1947 all’affermazione dell’astrattismo in Italia.

Artista tra le più originali dell’arte del secondo dopoguerra italiano. Dopo il diploma al Liceo Ximenes, si trasferisce a Palermo per gli studi all’Accademia di Belle Arti, conclusi nel 1947. Dal 1946 è a Roma dove frequenta l’Osteria Fratelli Menghi, noto punto di ritrovo per pittori, registi, sceneggiatori, scrittori e poeti tra gli anni ‘40 e ‘70, e con Attardi, Consagra, Dorazio, Guerrini, Concetto Maugeri, Perilli,

Sanfilippo, sposato nel 1949, e Turcato, fonda il Gruppo Forma 1 di ispirazione marxista. Fino al 1949 espone alle mostre del gruppo, nel 1950 tiene la sua prima mostra personale alla Libreria Age d’Or di Roma. L’anno successivo è alla Libreria Salto di Milano, luogo di ritrovo degli artisti del MAC. A Parigi conosce Magnelli Nel 1954, affronta problematiche di riduzione cromatica e segnica documentate dalla personale del 1955 alla Galleria San Marco di Roma. Nello stesso anno partecipa invitata da Michel Tapié alla rassegna internazionale Individualità d’oggi (Galleria Spazio, Roma; Galerie Rive Droite, Parigi). La ricerca di Carla Accardi procede nella direzione dell’automatismo segnico fino all’inizio degli anni Sessanta. Nel 1965 abbandona le tempere a favore di vernici colorate e fluorescenti che applica su supporti plastici trasparen-

ti, uscendo dalla dimensione del quadro e coinvolgendo lo spazio, con un atteggiamento che sarà importante per gli artisti dell’Arte povera. Negli anni Settanta torna agli schemi geometrici reiterati su grandi tele chiamate Lenzuoli che saranno presentati alla Galleria Editalia di Roma nel 1974. Le esperienze degli anni Settanta continueranno ad essere approfondite in una serie di installazioni fino al recupero di una dimensione più tradizionale negli anni Ottanta. Tra le pioniere del femminismo in Italia, fa parte con Carla Lonzi del gruppo “Rivolta Femminile”. Nel 1996 è nominata membro dell’Accademia di Brera e nel 1997, fa parte della Commissione per la Biennale di Venezia nel ruolo di consigliere.



G.Tomasi di Lampedusa



Piero Guccione (Scicli (RG) 1935) Ha studiato all’Istituto d’Arte di Catania e all’Accademia di Belle Arti di Roma, dove si e trasferito nell’ottobre del 1954. Dal 1958 al 1969 ha partecipato alle missioni paleontologiche nel Sahara libico, con l’équipe dell’archeologo Fabrizio Mori, per il rilevamento di pitture rupestri. Nel 1961, su richiesta dell’American Federation of Art, ha organizzato una mostra di tali pitture alla Columbia University di New York, successivamente ospitata nelle maggiori università americane. La sua prima mostra personale ha avuto luogo a Roma, alla Galleria Elmo, nel 1960. Dal 1962 al 1964 ha fatto parte del gruppo “Il pro e il contro”, con i pittori Attardi, Calabria, Farulli, Guerreschi, Gianquinto e Vespignani e i critici d’arte Antonio Del Guercio, Dario Micacchi e Morosini. Tale gruppo ha rappresentato un punto di riferimento per la pittura realista di quegli anni. Dal 1966 al 1969 è stato assistente di Renato Guttuso alla cattedra di pittura dell’Accademia di Belle Arti di Roma. Ha insegnato all’Accademia di Belle Arti e al I Liceo Artistico di Roma. Nel 1979 ha tenuto la cattedra di pittura all’Accademia di Belle Arti di Catania. Nello stesso anno, con Sonia Alvarez, è tornato a vivere in Sicilia, in una campagna (Quartarella), tra Scicli e Modica. Nota è la sua assidua presenza nella borgata di Sampieri, dalle cui marine ha tratto sublime ispirazione. Ha partecipato a importanti esposizioni

pubbliche, nazionali e internazionali. Nel 1985 è stato invitato dal Metropolitan Museum of Art di New York / The Mezzanine Gallery, per un’antologica di grafica. Sue opere grafiche figurano nella collezione permanente del Museo. Ha partecipato alla X e alla XII edizione della Quadriennale di Roma (1972 e 1992). È stato invitato a diverse edizioni della Biennale di Venezia (1966, 1972, 1978, 1982, 1988); la Biennale del 1988 gli ha dedicato una sala personale nel Padiglione Italiano. La sua prima antologica è stata presentata nel 1971 dal Comune di Ferrara al Centro Arte Visive del Palazzo dei Diamanti; un’altra, molto più ampia, si è svolta alla Galleria d’Arte Moderna del Comune di Conegliano (Treviso) nel 1989. Nel 1992 una retrospettiva con il titolo “Variazioni” è stata patrocinata dalla Provincia Regionale al Palazzo dei Leoni di Messina. Nel 1993 il Comune di Viareggio ha presentato a Palazzo Paolina “Omaggio al Maestro”, un’antologica sul tema Il mare, in seno alle manifestazioni per il 64º Premio Letterario. Guccione ha partecipato inoltre a numerose mostre nelle gallerie italiane ed estere. Nel 2006 presso la fondazione Bufalino si è svolta la mostra “Bufalino e Guccione”, una mostra in ricordo del decennale della scomparsa dello scrittore legato a lui da una vecchia amicizia. In alcuni scritti di Bufalino si parla infatti della pittura di Guccione.



Ferdinando Scianna (Bagheria (PA) 1943)

Si iscrive alla Facolta di Lettere e Filosofia presso l’Università di Palermo, dove seguirà diversi corsi senza tuttavia portare a termine gli studi. Nel 1963 Leonardo Sciascia visita quasi per caso la sua prima mostra fotografica, che ha per tema le feste popola-

ri, presso il circolo culturale di Bagheria. Quando s’incontrano di persona, nasce immediatamente un’amicizia che sarà fondamentale per la carriera di Scianna. Sciascia partecipa infatti con prefazione e testi alla stesura del suo primo libro, Feste religiose in Sicilia, che gli fa vincere il premio Nadar nel 1966. Si trasferisce a Milano nel 1967 ed entro un anno inizia a collaborare come fotoreporter e inviato speciale con l’Europeo, diventandone in seguito il corrispondente da Parigi. Nel 1977 pubblica in Francia Les Siciliens (Denoel), con testi di Domenique Fernandez e Leonardo Sciascia, e in Italia La villa dei mostri (introduzione di Leonardo Sciascia). A Parigi scrive perLe Monde Diplomatique e La Quinzaine Littéraire e soprattutto conosce Henri Cartier-Bresson, le cui opere lo avevano influenzato fin dalla gioventù. Il grande fotografo lo introdurrà nel 1982 come primo italiano nella prestigiosa agenzia Magnum, di cui diventerà socio a tutti gli effetti nel 1989. Nel 1984 collabora con Bresson e André Pieyre de Mandiargues per Henri Cartier-Bresson: portraits (Collins). Nel frattempo stringe amicizia e collabora con vari scrittori di successo, tra i quali Manuel Vázquez Montalbán (che qualche anno più tardi scrive l’introduzione di Le forme del caos, 1989).) Negli anni ottanta lavora anche nell’alta moda e in pubblicità, affermandosi come uno dei fotografi più richiesti.

Fornisce un contributo essenziale al successo delle campagne di Dolce e Gabbana della seconda metà degli anni Ottanta. Nel 1995 ritorna ad affrontare i temi religiosi, pubblicando Viaggio a Lourdes, e nel 1999 vengono pubblicati i ritratti del famoso scrittore argentino Jorge Luis Borges. Il 2003 vede l’uscita del libro Quelli di Bagheria (facente parte di un progetto più ampio che include un documentario e varie mostre), ricostruzione dell’ambientazione e delle atmosfere della sua giovinezza attraverso una ricerca nella memoria individuale e collettiva. Nel dicembre 2006 viene presentato il calendario 2007 del Parco dei Nebrodi, con dodici scatti dell’attrice messinese Maria Grazia Cucinotta. Con il concittadino Giuseppe Tornatore, in occasione del suo nuovo film Baarìa, pubblica nel 2009 il libro fotografico Baaria Bagheria



Salvatore Fiume ( Comiso (RG) 1915- Milano 1997)

Salvatore Fiume nacque a Comiso, in Sicilia, il 23 ottobre 1915. A sedici anni, grazie al suo talento ed alla sua passione per l’arte, vinse una borsa di studio per frequentare il Regio Istituto d’Arte del Libro di Urbino, dove apprese le tecniche della stampa, dall’incisione alla litografia. Terminati gli studi nel 1936, si trasferì a Milano, dove entrò in contatto con intellettuali ed artisti della levatura di Salvatore Quasimodo, Dino Buzzati e Raffaele Carrieri. A ventitré anni, nel 1938, Fiume si trasferì ad Ivrea, dove divenne art director di una rivista culturale voluta e seguita da Adriano Olivetti, Tecnica e organizzazione; in questi anni realizzò la sua prima opera letteraria di successo, il romanzo Viva Gioconda!, pubblicata a Milano nel 1943 dall’editore Bianchi-Giovini. Volendo dedicarsi soprattutto alla pittura, sebbene l’ambiente letterario che frequentava fosse stimolante, nel 1946 lasciò Ivrea per stabilirsi a Canzo, non lontano da Como, in una filanda ottocentesca dove iniziò il suo intenso e poliedrico percorso di ricerca oltre che nella pittura, anche nella scultura e nell’architettura. Nello stesso anno, a Milano, presentò una serie di disegni a tempera e a china al poeta e critico d’arte Raffaele Carrieri ed al pittore e scrittore Alberto Savinio, fratello dell’ormai affermato pittore metafisico Giorgio de Chirico, che ne rimasero entusiasti. Le prime commissioni importanti (19491962) La sua prima esposizione ufficiale, che

comprendeva le opere Isole di statue e Città di statue e che gli permise di suscitare molto interesse presso la critica e di prendere contatti con istituzioni artistiche e culturali a livello mondiale, si tenne nel 1949 alla Galleria Borromini di Milano; qui fu acquistata un’opera del pittore sia dal direttore del Museum of Modern Art di New York, Alfred H. Barr Jr., per esporla nel proprio museo, sia dalla collezione Jucker di Milano. L’anno successivo, nel 1950, fu invitato dalla Biennale di Venezia ad esporre il trittico Isola di statue, il che gli fruttò una pagina sulla rivista americana Life. Nello stesso anno fu invitato dall’architetto Gio Ponti a realizzare una grande opera di 48×3 metri che sarà collocata nel salone di prima classe dell’Andrea Doria, il famoso ed elegante transatlantico affondato nel 1956 al largo di Nantucket, nel Massachusetts. La grande tela, dal titolo Le leggende d’Italia, rappresentava un’immaginaria città rinascimentale ricca di capolavori italiani del Quattrocento e Cinquecento. Già dal 1949 stava lavorando ad un ciclo di dieci grandi dipinti, commissionato dall’industriale Bruno Buitoni Sr, dal titolo Le avventure, le sventure e le glorie dell’antica Perugia, che terminò nel 1952; da queste opere si intuisce l’interesse di Fiume per la pittura rinascimentale, in particolare di Piero della Francesca e di Paolo Uccello. Nel 1953 gli furono commissionate dalle riviste newyorkesi Life e Time delle opere rappresentanti una storia immaginaria di

Manhattan e della baia di New York, rielaborate dal pittore come isole di statue. I viaggi attraverso il mondo (1962-1997) Iniziò quindi per il pittore una fase di contatti, viaggi ed esposizioni per tutto il mondo. Tali viaggi ebbero per Fiume un’importanza notevole nella raccolta di impressioni, suoni, forme e colori di culture antiche e moderne, che accrebbero la sua personalità artistica fornendogli materiale per l’espandersi di un immaginario globale, ma sempre disciplinato dalla preponderante lezione della classicità mediterranea. Nel 1962 una mostra itinerante di cento quadri di Fiume toccò diversi musei della Germania, tra i quali quelli di Colonia e Ratisbona. Nel 1973, insieme all’amico fotografo Walter Mori, Fiume si recò nella valle di Babile, in Etiopia, dove dipinse alcune sue ‘isole’ su un gruppo di rocce, usando vernici marine anticorrosione. Un modello di una sezione di queste rocce a grandezza naturale fu realizzato da Fiume per la grande antologica del 1974 al Palazzo Reale di Milano; tale modello riempiva quasi interamente la grande sala delle Cariatidi. Alla stessa mostra fu presentata per la prima volta la Gioconda Africana, ora custodita nei Musei Vaticani. Nel 1975 il comune calabrese di Fiumefreddo Bruzio accettò la proposta di Salvatore Fiume di rivitalizzare gratuitamente il centro storico con alcune sue opere. Il pittore dipinse, quindi,


tra il 1975 ed il 1976, alcune pareti interne ed esterne dell’antico castello semidiroccato, e, nel 1977, la cupola della cappella di San Rocco. Negli anni novanta collocò una scultura di bronzo in ognuna delle due piazze panoramiche di Fiumefreddo. Seguirono diverse mostre: nel 1985 quella a Castel Sant’Angelo a Roma; nel 1987 la mostra De Architectura Pingendi allo Sporting d’Hiver di Monte Carlo inaugurato dal principe Ranieri di Monaco; nel 1991 alla Mostra internazionale di architettura a Milano, al Palazzo delle Esposizioni; nel 1992 a Villa Medici, sede dell’Accademia di Francia a Roma. Nel 1993 Fiume visitò i luoghi in cui aveva vissuto Gauguin in Polinesia; donò anche un suo dipinto al Mu-

seo Gauguin di Tahiti in omaggio al grande maestro francese. Salvatore Fiume morì a Milano il 3 giugno 1997. Sue opere sono conservate in alcuni dei più importanti musei del mondo, tra i quali i Musei Vaticani, l’Ermitage di San Pietroburgo, il Museum of Modern Art di New York, il Museo Puškin di Mosca e la Galleria d’arte moderna di Milano.


Andrea Camilleri E’ nato a Porto Empedocle (Agrigento) il 6 settembre 1925. Ha sin da giovanissimo la passione per il palcoscenico ed inizia a lavorare come regista teatrale nel 1942. Da allora ha messo in scena oltre cento titoli, molti dei quali di Pirandello, da “Così è (se vi pare)” nel 1958 a “Ma non è una cosa seria” nel ‘64, fino a “Il gioco delle parti” nel 1980. E’ stato il primo a portare in Italia il teatro dell’assurdo di Beckett (“Finale di partita”, nel 1958, al teatro dei Satiri a Roma e poi nella versione televisiva interpretata da Adolfo Celi e Renato Rascel) e di Adamov (“Come siamo stati”, nel 1957), ha rappresentato testi di Ionesco (“Il nuovo inquilino” nel 1959, “Le sedie” nel 1976), ha rappresentato i poemi di Majakovskij nello spettacolo “Il trucco e l’anima” (1986). E’ stato autore, sceneggiatore e regista di programmi culturali per la radio e la TV; ha inoltre prodotto diversi programmi televisivi, tra cui un ciclo dedicato dalla Rai al teatro di Eduardo e le famose serie poliziesche del commissario Maigret e del tenente Sheridan. Ha insegnato, in vari periodi, al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma ed all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico”. I suoi primi racconti sono stati editi da riviste e quotidiani, quali “L’Italia Socialista” e “L’Ora” di Palermo. La sua opera narrativa d’esordio, “Il corso delle cose”, è del 1967-68, ma ha visto la luce solo dieci anni più

tardi presso l’editore Lalli. Nell’80 è apparso, per i tipi della Garzanti, “Un filo di fumo”. Seguono, per Sellerio: “La strage dimenticata” (1984), “La stagione della caccia” (1992), “La bolla di componenda” (1993), “La forma dell’acqua” (1994, che segna l’esordio del commissario Montalbano), “Il birraio di Preston” (1995, generalmente riconosciuto come il suo capolavoro), “La concessione del telefono” (1999). Ancora con Sellerio ha pubblicato gli altri romanzi del ciclo Montalbano, mentre per Mondadori sono usciti i racconti di “Un anno con Montalbano” (1998), “Gli arancini di Montalbano” (1999) e “La paura di Montalbano” (2002), oltre a quel “La scomparsa di Patò “(2000) che riprende il filone dei libri “storici”. Dopo un successo che non ha precedenti (sei milioni e mezzo di copie vendute soltanto in Italia, 120 traduzioni in tutte le lingue), continuano le inchieste del commissario Montalbano con “Storie di Montalbano” (2002). Il volume, che fa parte della prestigiosa collana dei “Meridiani”, raccoglie tutti i romanzi ed una selezione di racconti, ov’è protagonista assoluto il celebre poliziotto creato dalla fantasia di Andrea Camilleri. Nel 2003 esce per Sellerio la genesi de “Il giro di boa”, nel quale Camilleri presenta un commissario Montalbano più deciso a dare un “cambio di rotta” alla propria vita. Nel 2004 esce “La pri-

ma indagine di Montalbano” e il secondo dei due “Meridiani” “Romanzi storici e civili” dedicati all’opera di Andrea Camilleri. Il volume (curato dal critico Salvatore Silvano Nigro, che firma pure l’ottima introduzione) raccoglie i nove romanzi d’ispirazione storica e civile dell’autore, ambientati in Sicilia in un periodo - con l’eccezione de “La presa di Macallé”, che si svolge in epoca fascista - compreso tra la fine del Seicento e l’Ottocento.



Frank Capra (Bisacquino, 18 maggio 1897 – La Quinta, 3 settembre 1991)

Frank Russell Capra, nato Francesco Rosario Capra, è stato un regista, sceneggiatore e produttore cinematografico italiano, naturalizzato statunitense. È stato uno dei registi più importanti dell’epoca d’oro di Hollywood, fra gli anni trenta e gli anni quaranta, autore di alcuni film memorabili, commedie e apologhi morali, caratterizzati da un ottimismo utopistico, consolatorio, ma non banale, capaci di divertire ed insieme commuovere il pubblico. Esempio perfetto del self made man, umile emigrante diventato celebrità internazionale, «un’ispirazione per chi crede nel Sogno americano» (John Ford), è stato il massimo cantore


dell’american way of life, ma anche un vero e proprio “mythmaker”, perché con il suo cinema non ha solo interpretato e rappresentato lo spirito dei tempi, ma ha anche contribuito in maniera determinante a produrre e plasmare una mitologia sociale, un immaginario collettivo popolare: in questo senso, l’artista del Novecento a lui più vicino è Walt Disney. Fra le sue inimitabili commedie, si ricordano in particolare l’”on the road” Accadde una notte (It Happened One Night) (1934), la “trilogia sociale” È arrivata la felicità (Mr. Deeds Goes to Town) (1936), Mr. Smith va a Washington (Mr. Smith Goes to Washington) (1939), Arriva John Doe (Meet John Doe) (1941) e la «favola natalizia per eccellenza» La vita è meravigliosa (It’s a Wonderful Life) (1946).


Mimmo Germanà

(Catania 1944-Milano 1992)

Mimmo Germanà nasce a Catania nel 1944. Inizia la sua carriera da autodidatta lasciandosi influenzare dal clima post-concettuale. Il 1979 è un anno importante per Germanà, perché riesce a tirare le somme dei dieci anni di esperienze giovanili. Si può dire che opera una sorta di ricognizione sperimentando contemporaneamente diversi approcci alla pittura: l’astratto minimale, la composizione di più tele e le figure. Dagli anni ’80 comincia un nuovo percorso pittorico nel movimento Transvanguardia al quale aderiscono anche Chia, Cucchi, Clemente, Paladino e De Maria. Nel 1980 partecipa alla Biennale di Venezia, grazie all’invito del noto critico Achille Bonito Oliva. La Transvanguardia è un movimento italiano caratterizzato da un ritorno alla manualità, alla gioia dei colori, che pone particolare enfasi sul genius loci, per valorizzare le radici popolari dell’artista. Le opere di Germanà spiccano perché riesce a rappresentare i colori e gli odori del mediterraneo. Germanà è un artista molto affermato sia in Italia che all’estero, è presente in vari musei europei e americani. Muore a Busto Arsizio nel 1992.



Renato Guttuso (Bagheria (PA) 1911- Roma 1987)

Da Bagheria, 1912, a Roma, 1987. In questo arco di tempo si svolge la parabola esistenziale e artistica di Renato Guttuso. Nasce a Bagheria, in Sicilia, nel 1912 (lo stesso anno di Aligi Sassu). La sua esistenza vira da un’ipotetica laurea in legge alla carriera di pittore. Dai primi quadri raffiguranti i suoi contadini siciliani e compaesani, sino al celebre “Fuga dall’Etna” del 1937, o all’altrettanto celebre Vuccirria, il mercato popolare di Palermo. Già da ora, il pittore insegue un’esecuzione

prettamente figurativa a cui fanno da corposo contraltare contenutistico temi ancorati al mondo contadino, rurale, popolare: temi sociali o soggetti dichiaratamente politici. Poi giunge a Roma e forma un gruppo con i pittori Birolli, Fontana e Persico. Scoppia la seconda guerra mondiale e l’artista dipinge una serie di quadri dal titolo “Gott mit Uns”, “Dio è con noi”, motto inciso sulle fibbie dei soldati tedeschi. La sue verve di polemista affiora di prepotenza. Guttuso non tra-

dirà mai la sua personale “campagna di idee”, che raggiungerà l’acme con “I funerali di Togliatti”, opera manifesto dell’antifascismo. Nel dopoguerra segue stilisticamente il primo periodo di Pablo Picasso, quello

cosiddetto “Blu”. Nel 1946 fonda con Birolli, Vedova, Morlotti, Turcato il Fronte Nuovo delle Arti. Nel 1968 esegue quadri che riflettono la situazione europea e francese. Si reca a Parigi dove ritrae i giovani


nelle prime marce di protesta in quello che diverrà nel tempo il leggendario “maggio francese”. Dal 1969 vive stabilmente a Roma, nella leggendaria via Margutta, la strada dei pittori, con la sua compagna Marta Marzotto, la splendida contessa ex mondina e modella. E’ il periodo – per così dire intimo dell’artista. Inizia ora infatti una serie di quadri prettamente autobiografici, tra i quali spicca forse uno dei

suoi capolavori, “Strega Malinconica”, del 1982. Guttuso è un pittore che nonostante viva in un lasso di tempo fitto di mutamenti, sociali e culturali, e nonostante li viva tutti da assoluto protagonista, non cambia il proprio stile figurativo. Rimane in fondo sempre il pittore illuminato dalla sua rigogliosa e stellante Sicilia. La sua umanità è dipinta sempre con un tortuoso plasticismo. Nella forma

umana, nervosa e tesa, ma sempre riconoscibile, e che lui concentra nella tela, c’è già tutto il dolore del mondo.


Davide Bramante (Siracusa 1970)

Nasce a Siracusa nel 1970, dopo l’Istituto d’Arte si laurea a Torino all’Accademia Albertina di Belle Arti. Quindi si trasferisce negli USA, vincitore di due borse di studio (unico artista italiano dal 1969) presso la prestigiosa Franklin Fournace Foundation e partecipa ad una mostra collettiva al MoMA di New York. Dopo un breve soggiorno a Londra, rientra definitivamente a Siracusa nel 2000. E’ riconosciuto a livello internazionale per aver esposto in Cina, Corea del Sud, Stati Uniti, Spagna. Oggetto di ammirazione sono le sue photos di grosso formato dedicate alle metropoli del mondo e realizzate con un’originalissima e personale tecnica fotografica risultato di esposizioni multiple, non digitali, realizzate in fase di ripresa. Ha sperimentato i linguaggi video - realizzando con il Gruppo ANDA video istallazioni interattive e oltre 20 opere esposte in Italia e all’estero - istallazioni materiche e istallazioni ambientali.



Emilio Isgrò

(Barcellona Pozzo di Gotto (MS) 1937)

Nato a Barcellona Pozzo di Gotto (ME) nel 1937, si trasferisce a Milano nel 1956. Fin dagli esordi accompagna la produzione artistica con l’attività di scrittore e poeta. Pubblica in quell’anno la raccolta poetica Fiere del Sud per le Edizioni Arturo Schwarz. Nel 1964 realizza le prime Cancellature, enciclopedie e libri completamente cancellati, con i quali contribuisce alla nascita e agli sviluppi della Poesia Visiva e dell’Arte Concettuale. Nel 1966, in occasione della mostra alla Galleria Il Traghetto di Venezia, pubblica Dichiarazione 1, in cui precisa la sua personalissima concezione di poesia come “arte generale del segno”. Nel 1972 è invitato alla XXXVI Biennale d’Arte di Venezia, a cui parteciperà anche nel 1978, nel 1986 e nel 1993. Nel 1977 riceve il primo premio alla XIV Biennale d’Arte di San Paolo del Brasile. Nel 1979 alla Rotonda della Besana di Milano presenta Chopin, partitura per 15 pianoforti. Nel triennio 1983-1985 dà l’avvio con la trilogia L’Orestea di Gibellina ai grandi spettacoli della Valle del Belice. Nell’Anno Europeo della Musica (1985) il Teatro alla Scala gli commissiona l’installazione multimediale La veglia di Bach, allestita nella Chiesa di San Carpoforo a Milano. Nel 1990 elabora un nuovo testo teorico dal titolo Teoria della cancellatura per la personale alla Galleria Fonte d’Abisso di Milano. Nel 1992 partecipa alla collettiva The artist and the book in twentiethcentury Italy organizzata dal MoMA di New York e nel 1994 a I libri d’artista italiani del Novecento alla Collezione

Peggy Guggenheim di Venezia. Nel 1996 Mondadori stampa Oratorio dei ladri. Nel 1998 dona al suo paese natale il gigantesco Seme d’arancia, simbolo di rinascita sociale ed economica dei paesi mediterranei. Nel 2001 inaugura l’antologica Emilio Isgrò 1964-2000 nel complesso di Santa Maria dello Spasimo a Palermo. Nel 2002 espone alla Galleria Civica di Arte Contemporanea di Trento e l’anno seguente al Mart di Trento e Rovereto. Nel 2008 il Centro per l’Arte Contemporanea “Luigi Pecci” di Prato ospita l’importante retrospettiva Dichiaro di essere Emilio Isgrò. Attualmente è in corso la personale Fratelli d’Italia presso il Palazzo delle Stelline a Milano.



Giuseppe Tornatore

Nato a Bagheria il 27 maggio del 1956, Giuseppe Tornatore mostra il suo interesse per la settima arte fin da giovanissimo. A soli 16 anni inizia ad occuparsi di regia, mettendo in scena Pirandello ed Eduardo e lavorando dietro la cinepresa anche per matrimoni e filmetti ricordo. Entra poi in Rai come documentarista. Il debutto nel cinema avviene nel 1986 con “Il Camorrista”, racconto del mondo della malavita napoletana, che gli farà vincere il Nastro d’Argento come Miglior Regista esordiente. Sarà l’incontro con il produttore Franco Cristalli a dare una svolta al suo lavoro. È il 1988 quando “Nuovo cinema Paradiso” (1988) esce quasi tra l’indifferenza generale: i critici sostengono che si tratti di un buon lavoro, ma non un capolavoro e il pubblico lo ignora, ma

al Festival di Cannes il film riceve il Premio della Giuria e nel 1990 l’Oscar come miglior film straniero. Pubblico e critica scoprono la storia del piccolo Totò, del suo amore per il cinema e della vita in un paesino di provincia nel dopoguerra. Per Tornatore è un successo mondiale. Nel successivo “Stanno tutti bene” (1990) il regista dirige Marcello Mastroianni in una delle sue ultime interpretazioni, un padre siciliano in viaggio in Italia alla ricerca dei figli. Nel 1994 Tornatore presenterà un nuovo film a Cannes “Una pura formalità”, in cui troviamo Sergio Rubini accanto a due star d’eccezione, Roman Polanski (nel ruolo di attore) e Gérard Depardieu. L’anno successivo si dedica nuovamente ai documentari e racconta la sua Sicilia in “Lo schermo a tre punte”. Il 1995 è anche l’anno de “L’uomo delle stelle”, un ritorno al dopoguerra, che nonostante la bella prova di Sergio Castellitto e la vittoria del David di Donatello e del Nastro d’Argento, non sarà molto apprezzato dal pubblico. Nei seguenti tre anni il regista sarà impegnato con il best-seller di Alessandro Baricco “Novecento”, da cui trarrà “La leggenda del pianista sull’oceano” (1998). Il kolossal racconta la storia del piccolo cresciuto nelle sale macchine del piroscafo in cui è stato abbandonato e la scoperta della sua eccezionale bravura al pianoforte. Interpretato da Tim Roth, con il sottofondo della colonna sonora di Ennio Morricone, il lungometraggio non ottiene il succes-

so sperato. La Sicilia è nuovamente presente in “Maléna” (2000), con protagonista una sensuale Monica Bellucci che turba i sogni di un adolescente. Passeranno sei anni prima di avere un nuovo lavoro di Tornatore. È infatti il 2006 quando gira “La Sconosciuta”, che vincerà tre David di Donatello e verrà scelto per rappresentare l’Italia nella selezione degli Oscar 2008, ma sarà escluso dalla rosa dei candidati alla statuetta. Nel 2009 esce l’attesa pellicola intitolata “Baarìa” (2008), nome fenicio della sua città natale, Bagheria. Un progetto corale con un cast imponente fra attori professionisti e non. Troviamo Enrico Lo Verso, Monica Bellucci, Raoul Bova, Lina Sastri, i fratelli Beppe e Rosario Fiorello, Gabriele Lavia e 20.000 comparse. Per le riprese Tornatore ha portato la troupe in Tunisia dove è stato più facile ricostruireivicoli della sua città, i palazzi, la chiesa, per una storia d’amore lunga 30 anni, che è anche un affresco sulle generazioni dagli anni ’30 ai ’70. Tornatore ci racconta quella che ha definito “una commedia all’italiana”, ancora una volta piccole storie di passione sullo sfondo di decenni di storia d’Italia, con la speranza che il film “faccia sorridere e riflettere su temi non sempre comici”. La pellicola, uscita il 25 settembre 2009, ha aperto la 66^ edizione della Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia nella competizione ufficiale. Il film inoltre è stato scelto per rappresentare l’Italia agli Oscar.



Elio Marcheggiani

(Siracusa 1929)

Fecondo e poliedrico artista, sperimentatore irriverente di tecniche, materiali e linguaggi, Elio Marchegiani è da circa mezzo secolo una delle figure più eccentriche e trasversali nel panorama dell’Arte italiana. Nell’utilizzo della provocazione, nel rapportare operaambiente-gioco, l’artista vuole rendere partecipe lo spettatore dell’opera, fare di questa un luogo delle relazioni, un’idea immagine; l’opera d’arte vista come un congegno dell’intelletto che spinge ad andare oltre: questo è l’assunto che guida la sua ricerca. Si trasferisce con la famiglia a Livorno, dove da autodidatta inizia a muovere i primi passi nella pittura. Inizia così la frequentazione con un certo ambiente artistico della città, ma è soprattutto l’incontro con Mario Nigro, J.Mario Berti e Ferdinando Chevrier che gli fa decidere la strada da percorrere. Insie-

me organizzano mostre e incontri culturali, ma è la conoscenza con Gianni Bertini che gli suggerisce di lasciare la provincia per l’avventura artistica a Milano, Roma e Bologna. Esordisce intorno alla metà degli anni ’50 con una produzione prossima all’informale che da subito mostra una forte carica ironico-trasgressiva. La prima maturazione avviene negli anni Sessanta, nel clima del New Dada, del Nouevau Réalisme e della Pop Art, che conduce l’artista alla realizzazione delle prime opere oggettuali. L’attenzione a Giacomo Balla, Marcel Duchamp e Lucio Fontana ed ai legami fra scienza e immagini costituiscono la base di tutto il suo futuro lavoro. Trasferitosi a Roma, approfondisce il rapporto luce-forma-colore; qui, dalla frequentazione con matematici e scienziati, trae nuovi spunti

di approfondimento che lo portano al concetto di tecnologia come poesia, dove la materia sarà totalmente strumentalizzata all’Idea. La serie delle “Gomme”, eseguite tra il ‘71 e il ‘73, precede il periodo in cui si dedica alle “Grammature di colore” e alle ricerche sui supporti (intonaco, lavagna, pelle, pergamena). Pensate come una riflessione sulla pittura da una angolazione concettuale, le “grammature” – su intonaco o su lavagna – distillano, in una sequenza di aste verticali replicabili in milioni di combinazioni numeriche, i colori propri della grande tradizione italiana dell’affresco, in particolare quella di Piero della Francesca e di Masaccio. A partire dagli anni Ottanta il lavoro di assemblaggio di objet trouvè recupera una sua nuova centralità nel percorso di Marchegiani: maschere antigas, scarabei, farfalle imbalsama-

te, diventano di volta in volta parti di un discorso che ha per tema una critica feroce del potere, delle sue forme e dei linguaggi. Marchegiani ha al suo attivo oltre settanta personali, tra cui ricordiamo Lussemburgo ‘65, Ferrara e Modena ‘77, Alessandria ‘78, e numerosissime collettive; è stato invitato alle Biennali di Venezia del ‘68, ‘72 e ‘86. Nel 1998 il Comune di Livorno, nello spazio del Museo Fattori gli dedica un’ampia antologica che comprende le opere più significative dei diversi periodi della sua ricerca artistica. Designato come Art Director della nuova Scuola di “Restauro e tutela degli oggetti d’arte e di cultura contemporanea” del Comune di Morro D’Alba nelle Marche, è stato inoltre docente della cattedra di Pittura presso “l’Accademia di Belle Arti” di Urbino, da lui diretta dal 1983 al 1988.



Vincenzo Bellini

Nacque a Catania in Piazza San Francesco, 3 il 3 novembre 1801. Studiò musica prima nel capoluogo etneo, poi a partire dal 1819, grazie ad una borsa di studio offerta dal comune di Catania, si trasferì a Napoli per perfezionarsi al conservatorio di San Pietro a Majella. Qui tra i suoi maestri ebbe Nicola Antonio Zingarelli, che lo indirizzò verso lo studio dei classici e il gusto per la melodia piana ed espressiva, senza artifici e abbellimenti, secondo i dettami della scuola musicale napoletana. Tra i banchi del conservatorio ebbe come condiscepoli Saverio Mercadante ed il musicista patriota Piero Maroncelli, ma soprattutto conobbe il calabrese Francesco Florimo, la cui fedele amicizia lo accompagnerà per tutta la vita e dopo la morte, allorché Florimo diventerà bibliotecario del

conservatorio di Napoli e sarà tra i primi biografi dell’amico prematuramente scomparso. In questo periodo Bellini compose musica sacra, alcune sinfonie d’opera e alcune arie per voce e orchestra, tra cui la celebre Dolente immagine, oggi nota solo nelle successive rielaborazioni per voce e pianoforte. Nel 1825 presentò al teatrino del conservatorio la sua prima opera, Adelson e Salvini, come lavoro finale del corso di composizione. L’anno dopo colse il primo grande successo con Bianca e Fernando, andata in scena al teatro San Carlo di Napoli col titolo ritoccato in Bianca e Gernando per non mancare di rispetto al principe Ferdinando di Borbone. L’anno seguente il celebre Domenico Barbaja commissionò a Bellini un’opera da rappresentare al Teatro alla Scala di Milano. Partendo da Napoli, il giovane compositore lasciò alle spalle l’infelice passione per Maddalena Fumaroli, la ragazza che non aveva potuto sposare per l’opposizione del padre di lei, contrario al matrimonio con un musicista. Monumento a Bellini in piazza Stesicoro, a Catania, città natale del compositore Sia Il pirata (1827) che La straniera (1829) ottennero alla Scala un clamoroso successo: la stampa milanese riconosceva in Bellini l’unico operista italiano in grado di contrapporre a Gioachino Rossini uno stile personale, basato su una maggiore aderenza

della musica al dramma e sul primato del canto espressivo rispetto al canto fiorito. Meno fortuna ebbe nel 1829 Zaira, rappresentata a Parma. Lo stile di Bellini mal si adattava ai gusti del pubblico di provincia, più tradizionalista. Delle cinque opere successive, le più riuscite sono non a caso quelle scritte per il pubblico di Milano (La sonnambula, e Norma, entrambe andate in scena nel 1831) e Parigi (I puritani - 1835). In questo periodo compose anche due opere per il Teatro La Fenice di Venezia: I Capuleti e i Montecchi (1830), per i quali adattò parte della musica scritta per Zaira, e la sfortunata Beatrice di Tenda (1833). La svolta decisiva nella carriera e nell’arte del musicista catanese coincise con la sua partenza dall’Italia alla volta di Parigi. Qui Bellini entrò in contatto con alcuni dei più grandi compositori d’Europa, tra cui Fryderyk Chopin, e il suo linguaggio musicale si arricchì di colori e soluzioni nuove, pur conservando intatta l’ispirazione melodica di sempre. Oltre ai Puritani, scritti in italiano per il Théâtre-Italien, a Parigi Bellini compose numerose romanze da camera di grande interesse, alcune delle quali in francese, dimostrandosi pronto a comporre un’opera in francese per il Teatro dell’Opéra di Parigi. Ma la sua carriera e la sua vita furono stroncate a meno di 34 anni da un’infezione intestinale probabilmente contratta all’inizio del 1830. La tomba di Bellini nel duomo di Ca-

tania La lapide che ricorda il soggiorno di Bellini a Moltrasio, sul Lago di Como. Bellini fu sepolto nel cimitero Père Lachaise, dove rimase per oltre 40 anni, vicino a Chopin e a Cherubini. Nel 1876 la salma fu traslata nel Duomo di Catania. Nelle varie tappe che segnarono il ritorno in Patria, il feretro del compositore venne accolto ovunque con calore e commozione. Giunto infine nella sua città natale, vennero celebrati le solenni esequie a cui parteciparono migliaia di catanesi, alcuni parenti del compositore (tra cui due fratelli ancora in vita) oltre ad una folta rappresentanza di autorità civili, militari e religiose. La tomba fu realizzata dallo scultore Giovanni Battista Tassara, mentre il monumento cittadino fu opera di Giulio Monteverde. Heinrich Heine lo descrive così[1]: “Egli aveva una figura alta e slanciata e moveva graziosamente e in modo, starei per dire, civettuolo. Viso regolare, piuttosto lungo, d’un rosa pallido; capelli biondi, quasi dorati, pettinati a riccioli radi; fronte alta, molto alta e nobile; naso diritto; occhi azzurri, pallidi; bocca ben proporzionata; mento rotondo. I suoi lineamenti avevano un che di vago, di privo di carattere, di latteo, e in codesto viso di latte affiorava a tratti, agrodolce, un’espressione di dolore”. Secondo Heine, Bellini parlava francese molto male, anzi: “orribilmente, da cane dannato, rischiando di provocare la fine del mondo”[2].



Giuseppe Migneco

(Messina 1908 – Milano 1997)

Nato a Messina nel 1908 (qualche mese prima del celebre terremoto che rase al suolo la città isolana), dopo aver fatto gli studi classici nella città natale, si trasferisce nel 1931 a Milano dove comincia a studiare medicina. Lì si guadagna da vivere e inizia l’ingresso nel mondo dell’arte disegnando bozzetti per il “Corriere dei piccoli” e facendo il ritoccatore per l’editore Rizzoli. In questo periodo comincia l’attività pittorica realizzando dipinti dai contenuti autobiografici. Nel 1934 avviene la svolta. Entra in contatto con Aligi Sassu, Renato Birolli, Raffaele De Grada dai quali resta incantato. Nel 1937 è tra i fondatori del movimento di “Corrente” che raggruppa artisti provenienti da diversi orizzonti culturali, con il comune intento di aprirsi alla cultura moderna europea, rifiutando l’isolamento culturale imposto dalla politica fascista. In “Corrente” affluiscono, nel tempo, artisti con visioni dell’arte molto diverse, uniti inizialmente per respingere canoni pittorici ormai superati, che prenderanno poi strade diverse, come Badodi, Birolli, Broggini, Cassinari, Cherchi, Gauli, Guttuso, Manzù, Morlotti, Paganin, Sassu, Valenti, e Vedova. Nel dopoguerra Migneco affina il suo gusto per il “realismo sociale” subendo l’influsso dei pittori murari messicani. Un suo ammiratore lo definì “intagliatore di legno che scolpisce

col pennello”. Negli anni Cinquanta la fama, ormai consolidata, consacra Giuseppe Migneco fra i maestri dell’arte italiana contemporanea, espone nelle più prestigiose gallerie nazionali ed estere: Goteborg, Boston, Parigi, Stoccarda, New York, Amsterdam, Amburgo e Zurigo. Nel 1958 partecipa alla XXIX Biennale d’arte di Venezia. I suoi colori sempre forti e vivaci che ricordano la sua Sicilia dai tratti violenti e netti, i volti duri e coraggiosi rendono le sue tele espressione della lotta esistenziale, nel continuo e profondo confronto con l’umanità e con gli eventi che la assediano, nella coscienza e nella speranza di libertà e di memoria, al di là dell’assurda solitudine dell’esistenza. Migneco si spegne a Milano il 28 febbraio del 1997.



Luigi Pirandello

Luigi Pirandello nacque nel 1867 a Girgenti da una famiglia agiata. Studiò al liceo classico di Palermo, poi si iscrisse alla facoltà di Lettere. Di qui passò nel 1887 all’università di Roma, poi a quella di Bonn dove conseguì la laurea. Al suo ritorno, volendo dedicarsi alla letteratura, si stabilì a Roma dove cominciò a collaborare con poesie e scritti critici a riviste come la “Nuova Antologia” e il “Marzocco”. Nel 1894 sposò Antonietta Portulano, dalla quale avrà tre figli. Nel ‘97 gli venne conferita, presso l’Istituto Superiore di Magistero, la cattedra di stilistica e poi di letteratura italiana, che terrà fino al 1925. Seguì, a partire dal 1903, un

periodo difficile per lo scrittore, a causa della rovina dell’azienda paterna e con essa del patrimonio suo e della moglie. Intanto pubblica poesie, saggi, romanzi e novelle, ma la fama gli arriva come autore drammatico. A partire dal 1922 organizza una raccolta completa delle sue novelle sotto il titolo “Novelle per un anno”, che allude al progetto, rimasto incompiuto (con un totale di 218 novelle), di scrivere una novella per ogni giorno dell’anno. Nel ‘25 Pirandello lascia l’insegnamento per dirigere il Teatro d’arte di Roma e fondare una sua compagnia. Nel ‘34 gli fu conferito il Nobel per la letteratura. Morì a Roma nel 1936.

« Io son figlio del Caos; e non allegoricamente, ma in giusta realtà, perché son nato in una nostra campagna, che trovasi presso ad un intricato bosco denominato, in forma dialettale, Càvusu dagli abitanti di Girgenti, corruzione dialettale del genuino e antico vocabolo greco “Kaos”. » (Luigi Pirandello)


Pirandello e l’arte. Pirandello amava dipingere. Ad Anticoli Corrado, dove si recava spesso, diventava irreperibile per chiunque: esisteva solo la pittura. «Più d’uno cercava uno scrittore, sì, un Pirandello scrittore. Io ero intento a dipingere. Dapprima non ho risposto. Ho finto di niente. Ma ce n’era uno di quelli che vogliono andare risolutamente fino in fondo alle cose. Mi si è avvicinato: e ancora a chiedermi se ero io, che non poteva sbagliarsi… Alla fine ho detto per tagliar corto ch’ero un pittore e che non conoscevo alcun Pirandello scrittore» Al di là di quest’episodio umoristico, confessato ad un amico, la visione dell’arte aveva una grande importanza per la sua scrittura. Nell’arte è immanente il

contrasto tra vita e forma, perché pur volendo l’artista raggiungere l’assoluto non può fissare la vita se non in una forma, che in quanto tale rimane fredda forma che non vive, perché la vita è flusso inarrestabile. Già nella novella La vita nuda questo contrasto era emerso nella scultura-simbolo di una donna nuda bellissima – la protagonista- che deve sposare la morte, uno scheletro panneggiato, a rappresentare la vita sempre viva e trionfante sulla la morte che vorrebbe ghermirla. Nella commedia Diana e la Tuda, che Pirandello attinge a piene mani dalla novella La vita nuda, viene portato all’esasperazione il sogno di una perfetta bellezza dell’arte dello scultore Sirio e il sogno di un’assoluta pienezza della vita del suo maestro Giuncano, entrambi irrealizzabili.


Letizia Battaglia (Palermo 1935) Inizia la sua carriera di giornalista nel 1969 lavorando per il giornale palermitano L’Ora. Nel 1970 si trasferisce a Milano dove incomincia a fotografare collaborando con varie testate. Nel 1974 ritorna a Palermo e crea, con Franco Zecchin, l’agenzia “Informazione fotografica”, frequentata da Josef Koudelka e Ferdinando Scianna. Qui si formano i fotografi Luciano del

Castillo, Ernesto Bazan, Fabio Sgroi, nonché la figlia Shobha. Nel 1974 si trova a documentare l’inizio degli anni di piombo della sua città, scattando foto dei delitti di mafia per comunicare alle coscienze la misura di quelle atrocità. Suoi sono gli scatti all’hotel Zagarella che ritraevano gli esattori mafiosi Salvo insieme ad Andreotti e che furono acquisiti agli atti per il processo. Diviene una fotografa di fama internazionale. Ma Letizia Battaglia non è solo “la fotografa della mafia”. Le sue foto, spesso in un vivido e nitido bianco e nero, si prefiggono di raccontare soprattutto Palermo nella sua miseria e nel suo splendore, i suoi morti di mafia ma anche le sue tradizioni, gli sguardi di bambini e donne (la Battaglia predilige i soggetti femminili), i quartieri, le strade, le feste e i lutti, la vita quotidiana e i volti del potere di una città contraddittoria. Letizia Battaglia è stata la prima donna europea a ricevere nel 1985, ex aequo con l’americana Donna Ferrato, il Premio Eugene Smith, a New York, riconoscimento internazionale istituito per ricordare il fotografo di Life. Un

altro premio, il Mother Johnson Achievement for Life, le è stato tributato nel 1999. Ha esposto in Italia, nei Paesi dell’Est, Francia (Centre Pompidou, Parigi), Gran Bretagna, America, Brasile, Svizzera, Canada. Il suo impegno

sociale e la sua passione per gli ideali di libertà e giustizia sono descritti nella monografia delle edizioni Motta: Passione, giustizia e libertà (lo stesso titolo di una sua mostra recente). Nel 2008 appare in un cameo nel film di Wim Wenders Palermo Shooting.



Pino Pinelli

(Catania 1938)

Pino Pinelli nasce a Catania nel 1938, dove avviene la sua prima formazione artistica, attraverso studi specifici, e dove ottiene i primi riconoscimenti del suo operare e ricercare. Giovanissimo si trasferisce a Milano – sono i primi anni ‘ 60 – che in quel periodo è particolarmente ricca di fermenti culturali e dove il dibattito artistico dominato dalla presenza di Fontana, Manzoni, Castellani, Bonalumi, Dadamaino, Colombo… è molto stimolante per un giovane, che dalla iniziale attrazione emotiva per i colori e le forme dovrà compiere una scelta consapevole e definire un proprio progetto di vita e un percorso di lavoro. Tutto ciò che fino al quel momento aveva avuto, per lui, le caratteristiche di un atto sperimentale attraverso il fare pittorico, diventa una riflessione cosciente su come intervenire per modificare il dato iniziale e accostarsi all’essenza della pittura. In questa fase di riflessione e di ricerca, in cui tenta di creare un nesso fra tradizione e innovazione, tutta la sua attenzione è rivolta alla superficie, al “vibrato”, allo “stato ansioso” della pittura, per cercare una profondità e attraversarla. Appartengono a questo periodo la serie delle Topologie (Alterazione del rettangolo, 1971; Punti molli, Alterazione del segmento, 1972) e la serie dei Monocromi, 1973 – 1975, la cui superficie, inizialmente delimitata da una sottile linea di con-

fine esplicita o intuitiva, appare mossa da una inquietudine, da un movimento percettivo che sembra quasi il respiro della pittura. Queste esperienze, in cui l’artista si esprime con tele di grandi dimensioni, lo collocano a buon diritto nella corrente che Filiberto Menna denominò “Pittura Analitica”; ma nel 1975, investito da una crisi che metteva in discussione il suo ruolo di artista europeo, che si sentiva schiacciato dal peso della storia, da ciò che c’era stato nel passato in Europa e particolarmente in Italia, è indotto a cercare un nuovo senso della pittura, a pensare la pittura piuttosto che farla. La riduzione della dimensione dell’opera diventa citazione del concetto stesso di pittura. Nel 1975, invitato da Giorgio Cortenova a Rimini, alla mostra “Empirica” Pinelli compie il primo strappo dal monocromo e con la presentazione di una piccola opera, dove alla tela ha sostituito la pelle di daino, si allontana dall’idea di quadro e di superficie dipinta, individuando un nuovo campo di indagine. Scrive Giovanni Maria Accame nel volume monografico “Pino Pinelli, continuità e disseminazione” (Lubrina editore, Bergamo 1991, pag.16): “Su queste pelli di daino naufraga, per Pinelli, la concezione di una pittura che riconosce come propria sede l’area delimitata del quadro. Si apre al contrario la prospettiva di una pittura

in perenne migrazione, nell’interminabile spazialità fenomenica. Un’uscita dal quadro che non è negazione della pittura, ma una sua differente concezione. Diversamente inseguita ed essa stessa inseguitrice di uno spazio sempre assorbente e mai compiuto, la pittura si contrae per espandersi sembra negarsi ma per potersi ancor più affermare.” Da questo punto nodale prende il via la stagione della “Disseminazione” dove la pittura, ridotta a frammenti si colloca, quasi mimando il gesto del seminatore, sulla parete in una sintesi tra spazio e pittura che forma un “unicum”. I frammenti sempre monocromi

subiranno nel tempo delle variazioni, passando da forme modulari rigorose (1976) ad altre che sembrano gonfiarsi per una sorta di dilatazione energetica (1984) fino alle “scaglie”, caratterizzate dalla leggerezza come fossero la pelle della pittura (1986) e alle successive che hanno riacquistato una maggiore consistenza corporea. In una conversazione del 1993, sollecitato da alcune domande dello stesso Accame, l’artista dichiara: “La disseminazione-scansione diventa disseminazione-invasione, che si esibisce in tutta la sua timbricità sonora, nella sua seduzione tattile, nel rimando da un elemento all’altro, nella conti-


nuità e infinità dello spazio. … Questa assenza del limite mi dà una spinta creativa straordinaria, mi consente di esprimere la mia totalità di uomo e di pittore, che si porta dentro l’esperienza della luce, del colore, delle arsure, delle scabrosità della sua identità mediterranea. Nel dipingere la mia pittura si autogenera, la pennellata si solidifica, si dà un corpo, amplia dall’interno le possibilità del dipingere. … Faccio pittura plasmando con le mie mani la materia e il colore, creando con gesto pittorico il suo corpo solido, facendo in modo che la pittura si autosignifichi. Dei suoi canoni costitutivi ho abbandonato alcuni elementi rassicuranti, la tela e il telaio; ho mantenuto invece il legame con lo spazio non circoscritto, illimitato, con la forma e il colore. Tento un viaggio verso lo spazio infinito, conservando il concetto della pittura e ampliantone i confini e le competenze”.


Salvatore Quasimodo Nato a Modica nel 1901 da Gaetano e Clotilde Ragusa, Salvatore Quasimodo, conseguito il diploma di geometra nel 1919, lascia la Sicilia alla volta di Roma, dove vive, more uxorio, con Bice Donetti, di circa otto anni più anziana di lui. Sposata nel 1926 la Donetti, nel 1929 – su invito del cognato Elio Vittorini (marito della sorella Rosa) – si sposta a Firenze, dove, tra gli altri, conosce Eugenio Montale. L’anno seguente esce Acque e terre il suo primo volume di liriche, subito accolto favorevolmente da pubblico e critica. Vennero, poi (non se ne citano che alcuni) Oboe sommerso (1932); Erato e Apollion (1936); la raccolta mondadoriana Ed è subito sera (1942); Giorno dopo giorno (1947); La terra impareggiabile (1958) e Dare e avere (1966). Nel 1931, lasciata Firenze, il poeta è a Imperia, dove conosce Amelia Spezialetti, una donna già sposata e di due anni più anziana di lui. Dalla loro relazione, nel 1935, nasce Orietta Quasimodo. Nello stesso anno, Quasimodo intreccia una burrascosa relazione con Sibilla Aleramo, di ben venticinque anni più anziana di lui. Troncato il legame con la nota scrittrice, nel 1936 Quasimodo incontra la danzatrice Maria Cumani, di sette anni più giovane di lui: è la scoperta dell’amore autentico, coronato – tre

anni più tardi – dalla nascita del figlio Alessandro e – scomparsa nel 1946 la Donetti – dal matrimonio, celebrato nel 1948. Ma, si sarà capito, Quasimodo era incapace di fedeltà coniugale e il poeta e la sua musa scelsero di vivere divisi. L’ultima donna del Premio Nobel per la Letteratura 1959 è stata la poetessa Curzia Ferrari. Nel 1968, colpito da un ictus ad Amalfi, Quasimodo viene trasportato a Napoli dove muore.



Salvo (Salvatore Mangione) (Leonforte (EN) 1947)

Salvo (Salvatore Mangione) nasce a Leonforte in provincia di Enna il 22 maggio 1947. Trascorre l’infanzia in Sicilia e nel 1956 si trasferisce con la famiglia a Torino dove manifesta un precoce interesse per l’arte; a soli sedici anni partecipa con un disegno da Leonardo, raffigurante una testa di vecchio, alla 121° Esposizione della Società Promotrice di Belle Arti. Il 1973 è l’anno della svolta, segnato da un ritorno alla pittura con il recupero delle tecniche tradizionali che pure era già presentito in alcuni Autoritratti. Dal 1976 elabora una serie di paesaggi dallo schema semplificato, con colori squillanti, cavalieri tra rovine architettoniche e visioni di colonne classiche che si reggono a fatica, viste in vari momenti del giorno, dall’alba al tramonto. Tra il 1982 e il 1983 la sua notorietà si consolida anche a livello europeo, con ampie retrospettive organizzate a Gand, Lucerna e Lione. Da allora l’attività espositiva prosegue regolarmente in Italia, a Milano, Genova e Roma, e all’estero, a New York, Stoccarda, Monaco e Colonia, riscuotendo ovunque un notevole successo.



Franco Battiato Francesco “Franco” Battiato (Riposto, 23 marzo 1945) è un musicista, cantautore e regista italiano. Figura tra le più importanti, influenti e innovative di tutto il panorama cantautorale italiano, si è da sempre confrontato con molteplici stili musicali, combinandoli tra loro in un approccio spesso eclettico e originale: si va dagli inizi romantici degli anni sessanta, alla musica sperimentale dei settanta, passando per l’avanguardia colta, la musica etnica, il rock progressivo e la musica leggera, attraversando finanche la musica elettronica e l’opera lirica. Ha sempre conseguito un grande successo di pubblico e di critica, avvalendosi sovente di collaboratori d’eccezione come il violinista Giusto Pio e il filosofo Manlio Sgalambro (coautore di molti suoi brani). Non solo la musica, ma anche i testi riflettono i suoi molteplici interessi, tra i quali l’esoterismo, la filosofia, la mistica sufi e la meditazione orientale. Il 6 novembre 2012 è stato annunciato il suo ingresso nella giunta regionale siciliana come assessore al Turismo e allo Spettacolo. L’artista ha però precisato che la sua sarà una delega esclusivamente alla Cultura, definendosi ironicamente “Assessore alle meccaniche celesti” e rinunciando a qualunque compenso.



Antonio Sanfilippo

(Partanna (TP) 1923- Roma 1980)

Nato nel 1923 a Partanna (TP), Sicilia. Gli esordi del maestro siciliano lo portano ad avvicinarsi al Neocubismo, linguaggio che allora “dominava” la scena. Ma nel 1947, assieme ad Accardi [che sposa nel 1949], Attardi, Consagra, Dorazio, Maugeri, Turcato, fonda il gruppo “Forma 1”, movimento tra i più impegnati sul fronte dell’arte astratta in Italia, il quale si oppone con vigore agli assiomi del realismo e del populismo artistico, che caratterizzavano la produzione artistica di quegli anni. La prima mostra del gruppo, tenutasi nel 1948 nella sede dell’Art Club di via Margutta, susciterà aspre critiche [Guttuso, Trombadori, Lucchese], ma anche entusiastiche adesioni [Fontana, Perilli, Mastroianni]. Con il 1950 l’artista individua la propria strada che lo porterà, dal concretismo di matrice cubista e costruttivista, a definire quello che è stato chiamato il “segno” di Sanfilippo. E’ dal biennio ’53-’54 infatti che la nozione di segno diventa cruciale: “Mi servo quasi esclusivamente di segni grafici posti sulla superficie con molta immediatezza e rapidità e tali da formare un insieme non arbitrario o casuale ma conseguente ad un determinato ra-

gionamento formale. La forma viene così determinata dal complesso variamente raggruppato dei segni che nei miei quadri hanno una grande variazione”. Altrettanto importante, nel suo ricercare, è il concetto di spazio, uno spazio “da riempire, da popolare, da infittire: con un horror vacui che è prima di tutto amore per la forma originaria”. Questo concetto è strettamente correlato alla differenza - fondamentale nel pittore siciliano - tra informale e astrattismo. Antonio Sanfilippo fu un “maestro dell’Astrattismo europeo”, più che dell’informale, perché una forma [“nuvola, galassia, o corpo celeste”] definibile e definita, è presente nelle sue opere, seppur forse intesa come spazio invaso dal segno-colore. Muore a Roma in un incidente stradale il 31 gennaio del 1980.



Turi Simeti

(Alcamo (TP) 1929)

Turi Simeti nasce ad Alcamo, in provincia di Trapani nel 1929. Si trasferisce a Roma nel 1958, dove avvia i primi contatti con il mondo dell’arte, e conosce tra gli altri l’artista Alberto Burri di cui frequenta lo studio. Da queste sollecitazioni deriva all’inizio degli anni Sessanta, una prima produzione di opere polimateriche. In questi stessi anni, Simeti soggiorna inoltre per lunghi periodi a Londra, Parigi e Basilea. Nei primi anni Sessanta, in sostanziale sintonia con coeve esperienze in ambito internazionale motivate da una comune volontà di azzeramento della tradizione e dei codici precostituiti dell’espressione artistica, il linguaggio di Turi Simeti si definisce attraverso l’acquisizione della monocromia e del rilievo come uniche forme compositive e si struttura principalmente intorno a un elemento geometrico, l’ellisse, che diventerà la cifra del suo lavoro artistico. Vive e lavora a Milano



Leonardo Sciascia Leonardo Sciascia nasce a Recalmuto, nell’entroterra agrigentino, l’8 gennaio 1921. La madre viene da una famiglia di artigiani, il padre è impiegato in una delle miniere di zolfo della zona. Nel 1935 si trasferisce a Caltanissetta con la famiglia e si iscrive all’Istituto Magistrale “IX Maggio”, nel quale insegna Vitaliano Brancati. Lo scrittore diventa per Sciascia un modello, mentre all’incontro con il giovane insegnante Giuseppe Granata (futuro senatore del PCI) Sciascia riconosce la scoperta degli illuministi e della letteratura americana. E’ del 1952 la pubblicazione del “primo lemma di Leonardo Sciascia” (Scalia): si tratta di Favole della dittatura, ventisette testi brevi di prosa assai studiata. Sempre nel 1952, esce la raccolta di poesie La Sicilia, il suo cuore, illustrata con disegni dello scultore catanese Emilio Greco. Sciascia vince nel 1953 il premio Pirandello per un suo importante intervento critico sull’autore di Girgenti (Pirandello e il pirandellismo). Dal 1954 si trova alla direzione di «Galleria» e di «I quaderni di Galleria», riviste antologiche dedicate alla letteratura ed agli studi etnologici. Frequenta in quegli anni la Caltanissetta di Luigi Monaco e del suo omonimo Salvatore Sciascia, ricavandone forti stimoli che si traducono in frequenti collaborazioni con diversi giornali e riviste letterarie. Nel 1956 esce il primo

libro di rilievo Le parrocchie di Ragalpetra, a cui seguono nell’autunno del ’58 i tre racconti della raccolta Gli zii di Sicilia: La zia d’America, Il quarantotto e La morte di Stalin. Del 1961 è invece Il giorno della civetta, il romanzo sulla mafia che porterà a Sciascia la maggior parte della sua celebrità. Oltre a Il consiglio d’Egitto (1963), gli anni Sessanta vedranno nascere alcuni dei romanzi più sentiti dallo stesso autore, dedicati proprio alle ricerche storiche sulla cultura siciliana: A ciascuno il suo (1966), un libro bene accolto dagli intellettuali e da cui Elio Petri ha tratto un film nel 1967; e Morte dell’Inquisitore (1967), che prende spunto dalla figura dell’eretico siciliano Fra Diego La Matina. Il 1970 è l’anno dell’uscita de La corda pazza, una raccolta di saggi su cose siciliane nella quale l’autore chiarisce la propria idea di “sicilitudine” e dimostra una rara sensibilità artistica espressa per mezzo di sottili capacità saggistiche. Il 1971 è l’anno de Il contesto, libro destinato a destare una serie di polemiche, più politiche che estetiche, alle quali Sciascia si rifiuta di partecipare ritirando la candidatura del romanzo al premio Campiello. Tuttavia si fa sempre più forte la propensione ad includere la denuncia sociale nella narrazione di episodi veri di cronaca nera: gli Atti relativi alla morte di Raymond Roussel (1971), I pugnalatori (1976) e L’affaire Moro (1978) ne sono un esempio. Nel 1974, nel clima del referendum sul divorzio e della sconfitta politica

dei cattolici, nasce Todo modo, un libro che parla “di cattolici che fanno politica” (Sciascia) e che viene naturalmente stroncato dalle gerarchie ecclesiastiche. Nel 1977 esce Candido. Ovvero, un sogno fatto in Sicilia. Dalla collaborazione con la casa editrice Sellerio di Palermo origina una collana chiamata “La memoria”, che si apre con un suo libro, Dalle parte degli infedeli (1979), e che con le sue Cronachette festeggia nel 1985 la centesima pubblicazione. Carichi di dolenti inflessioni autobiografiche sono i brevi racconti gialli Porte aperte (1987), Il cavaliere e la morte (1988) e Una storia semplice (in libreria il giorno stesso della sua morte), in cui si scorgono tracce di una ricerca narrativa all’altezza della difficile e confusa situazione italiana di quegli anni. Pochi mesi prima di morire pubblica Alfabeto pirandelliano, A futura memoria (pubblicato postumo), e Fatti diversi di storia letteraria e civile edito da Sellerio. Opere nelle quali si ritrovano le principali tematiche della produzione sciasciana, dalla “sicilitudine” a quell’impegno civile che lo aveva caratterizzato lungo tutta la sua vita intellettuale, di cui rimane una testimonianza anche nelle numerose interviste rilasciate durante tre decenni della storia nazionale italiana. Sciascia muore a Palermo il 20 novembre 1989.


Sciascia e la pittura. Il rapporto con la pittura è fondamentale in Leonardo Sciascia. Diciamo che il suo vedere, il ricordare passa dalle immagini, prima che dal pensare e dallo scrivere. E non solo. La pittura gli fornisce argomenti decisivi, come possiamo dedurre dal romanzo Il cavaliere e la morte, nel quale peraltro si unisce la sua vicenda personale, quasi per premonizione. In Todo modo il protagonista è un pittore anonimo e l’antagonista, Don Gaetano, è l’esemplificazione del male e del Demonio, desunta da una rappre-

sentazione pittorica che gli aveva fornito l’ispirazione: il quadro del manierista Rutilio Manetti (1571-1639), La tentazione di Sant’Antonio. Una rappresentazione simbolica, con il Santo che legge, mentre il diavolo che porta un paio di occhiali lo sta inducendo all’inganno dell’intelletto: tentazione deleteria quella del sapere. L’inganno dell’intelletto è quello di rimuovere l’angoscia esistenziale, cercando di ingannare la memoria a non vedere l’abisso che chiama l’abisso, in cui si è cacciata l’umanità.


Francesco Trombadori

(Siracusa 1886 – Roma 1961)

Dopo essersi trasferito a Roma segue i corsi della locale Accademia di Belle Arti e della scuola di nudo. Nel 1911 tiene la sua prima mostra personale a Siracusa nel foyer del Teatro Comunale. Seguendo l’ambiente culturale della capitale esprime una pittura legata per lo più al divisionismo. Nel 1915 parte per la prima guerra mondiale dove rimarrà ferito, al termine torna a Roma dove esegue una serie di ritratti innovativi chiamati fotodinamica. Nel 1926 partecipa alla Prima Mostra di Novecento a Milano come unico siciliano. In questo periodo dedica il suo tempo allo studio della pittura antica. Negli anni 30 espone i suoi quadri anche all’estero (Buenos Aires, Stoccolma, Oslo e persino alla Exhibition of Contemporary Italian Painting a Baltimora. Durante l’ultimo periodo della seconda guerra mondiale Trombadori viene arrestato dalla banda Koch e interrogato per strappargli notizie del figlio Antonello ricercato dalle SS. Negli anni 50 farà saltuariamente poi ritorno in Sicilia. Muore a Roma, nel proprio studio, nel 1961. A Roma nella zona di Villa Borghese, presso Villa Strohl Fern (attualmente di proprietà dello stato francese e sede del Lycée Chateaubriand di Roma ) è visitabile lo studio che il pittore, come altri artisti, aveva allestito in questa ampio spazio verde.



Emilio Greco

(Catania 1913 – Roma 1995)

Emilio Greco nasce a Catania l’11 ottobre 1913. Già in età scolare Greco mostra la sua passione per il disegno, saranno tuttavia le modeste condizioni materiali della famiglia a spingerlo verso la scultura. Nel 1947, dopo gli anni della guerra, Greco ottiene uno studio a Villa Massimo, dove risiedeva già un gruppo di artisti, tra i quali Leoncillo, Guttuso e Mazzacurati. Qui prepara la mostra per la Galleria del Secolo del 1948, con prefazione di Fortunato Bellonz: nel catalogo spiccano la Pattinatrice e il Lottatore. Nello stesso anno partecipa alla mostra sulle olimpiadi tenuta a Londra al Victoria and Albert Museum, ed è presente con il Lottatore alla mostra dello sport alla Tate Gallery. Nel 1949 Greco (con la Testa d’uomo e il Cantante), partecipa alla grande mostra Arte italiana del ventesimo secolo

curata da Alfred Barr nel Museum of Modern Art di New York. Nello stesso arco di tempo la Tate Gallery di Londra acquista la sua Donna seduta. Nel 1956, con la Grande Bagnante N.1, Greco vince il Gran Premio della Scultura alla XXVIII Biennale di Venezia. Nello stesso anno è inaugurato a Collodi il Monumento a Pinocchio. Tra il 1960 e il 1961 realizza bassorilievi per la chiesa di San Giovanni Battista di Michelacci, a Firenze. Del ’61 è una mostra importante al Musée Rodin di Parigi. Nel 1962, Greco verrà incaricato di scolpire le porte del duomo d’Orvieto, alle quali lavorerà nei tre anni successivi. Dopo accese polemiche sull’opportunità di sovrapporre un’opera contemporanea alla facciata gotica del Duomo, le porte vengono definitivamente incardinate nell’agosto del 1970. Intanto, il 28 giugno del 1967 Paolo VI aveva inaugurato in S. Pietro a Roma il monumento a Giovanni XXIII. Con la mostra antologica, Greco è al Palazzo dei Diamanti di Ferrara nel 1971. la stessa mostra verrà trasferita a Tokio, al Modern Fine Arts Museum di Kobe, poi a Yamaguchi e Hiroshima. Sempre in Giappone lo scultore inaugura nel 1973 un’esposizione permanente, il Greco Garden, nell’Hakone Open Air Museum. Tra il 1979 e il 1980, Greco è in Unione Sovietica, al Museo dell’Ermitage di Leningrado e al Museo Puskin di Mosca.


Gli anni ’80 vedono lo scultore protagonista di una serie di grandi antologiche: dal Palazzo Papale di Orvieto al Castello Ursino di Catania, a Roma, Castel Sant’Angelo nel 1983, e infine a Firenze, Palazzo Pitti, nel 1988. Il Museo Emilio Greco di Orvieto che raccoglie le testimonianze più importanti del suo lavoro, si inaugura nel 1990, quello di Catania, accanto al Museo Bellini, nel 1994. E’ poi nota la sua costante attività poetica: tra gli altri titoli ricordiamo Poesie (Ed. Fiumara, Milano 1951); L’oro antico delle vigne (Ed. Carte Segrete, Roma 1978); Appunti di una vita (Ed. Sellerio, Palermo 1980); Dell’antica voce (Ed. Rusconi, Milano 1985). Greco muore a Roma il 4 Aprile 1995 e riposa a Sabaudia, nel cimitero cittadino, scelto come ultima dimora.


Francesco Adorno

Francesco Adorno (Siracusa, 9 aprile 1921 – Firenze, 19 settembre 2010) ha insegnato Storia della filosofia, Storia della filosofia medioevale e Storia della filosofia antica alle università di Firenze, Bari e Bologna. Adorno ha sempre vissuto a Firenze dove si era laureato in filosofia nel 1944. Storico della filosofia antica, figura tra le più autorevoli del pensiero storicofilosofico italiano, Francesco Adorno è autore di libri sui quali hanno studiato generazioni di giovani liceali e univer-

sitari. Fino al luglio 2009, quando le sue condizioni di salute lo costrinsero a rassegnare le dimissioni, è stato presidente dell’Accademia Toscana di Scienze e Lettere ‘La Colombaria’ e membro dell’Unione Accademica Nazionale. Tra le opere più note ‘Introduzione a Socrate’ del 1970; ‘I Sofisti e Socrate’ del 1952; ‘Studi sul pensiero greco’ (1966); ‘Introduzione a Platone’; ‘La cultura filosofica ellenistica’, in ‘Storia e civilta’ dei greci’; ‘Il pensiero politico di Platone’ del 1990. Francesco Adorno ha contribuito alla traduzione delle opere di Platone (Utet e Laterza) e ha curato l’edizione critica di alcuni testi umanistici fiorentini. Ha promosso e coordinato l’edizione di un Corpus dei Papiri filosofici greci e latini in dieci volumi e la pubblicazione di carteggi e scritti inediti di pensatori e letterati che hanno operato in Toscana tra l’800 e il ‘900. Gli interessi di Adorno sono stati rivolti, in primo luogo, ad una ricostruzione filologicamente rigorosa di alcuni periodi e di alcune figure del pensiero antico: la formazione della scuola ionica, Socrate, Platone, le scuole ellenistiche, Epicuro, Seneca, eccetera, influenzato dallo storicismo crociano, Adorno ha concepito la filosofia come riflessione storico-critica mai separata dalla vita. Facendo propria la lezione del metodo marxista e della più recente filosofia del linguaggio, ha realizzato una lettura attenta dei testi classici capace di farli vivere e parlare nel loro contesto politico e culturale.



Francesco Messina

(Linguaglossa (CT) 1900 – Milano 1995)

Francesco Messina nasce a Linguaglossa in provincia di Catania in una famiglia molto povera. Cresciuto a Genova dove ha studiato e vissuto fino all’età di trentadue anni, si trasferì da qui a Milano. È considerato dalla critica tra i più grandi scultori figurativi del Novecento, insieme a Giacomo Manzù, Arturo Martini, Marino Marini, Felice Mina. È l’autore di alcuni dei maggiori monumenti del Novecento italiano: Santa Caterina da Siena, collocata sul lungotevere di Castel Sant’Angelo (che raffigura la cantante ed attrice Maria Sole, utilizzata da Messina come modella[1]); la Via Crucis di San Giovanni Rotondo; il Cavallo morente della RAI; il Monumento a Pio XII nella Basilica di S. Pietro. Le sue opere figurano nei più prestigiosi musei del mondo: Berna, Zurigo, Goteborg, Oslo, Monaco di Baviera, Parigi, Barcellona, Berlino, San Paolo del Brasile, Buenos Aires, Venezia, Mosca, San Pietroburgo, Vienna, Washington, Tokio. Tra le opere più celebri dello scultore siciliano c’è il “Cavallo morente” esposto all’ingresso della sede principale della Rai, in viale Mazzini 14 a Roma. L’opera in bronzo misura 4,60 metri di altezza e 5,50 di lunghezza, pesa 25 quintali (compresa la base). L’opera fu commissionata all’artista nel 1964 dall’allora Direttore Generale Bernardi e fu condotto a termine in due anni. Il 5 novembre 1966 fu collocata nell’attuale sede.



Pietro Consagra

(Mazara del Vallo (TP) 1920 – Milano 2005) Compiuti gli studi all’Accademia di belle arti di Palermo, nel 1944 si trasferì a Roma, dove aderì all’astrattismo partecipando al gruppo Forma Uno (1947), che rivendicava «la libertà di essere ad un tempo marxisti e formalisti», cioè astrattisti e frequentò l’Osteria Fratelli Menghi, noto punto di ritrovo per pittori, registi, sceneggiatori, scrittori e poeti tra gli anni ‘40 e ‘70. A Roma lavorò nello studio di Mazzacurati e in quello di Guttuso, dove conobbe Piero Dorazio, Ugo Attardi, Carla Accardi, Antonio Sanfilippo, Achille Perilli, Mino Guerrini, e Turcato[1]. Fu proprio assieme a questi artisti che Consagra preparò nel marzo del 1947 il manifesto del gruppo astrattista “Gruppo Forma 1”, in cui veniva teorizzata la lezione dell’astrattismo, appresa grazie ad un viaggio parigino organizzato dalla gioventù comunista. Così l’artista sintetizzava la sua personale poetica: « Esprimere il ritmo drammatico della vita di oggi con elementi plastici che dovrebbero essere la sintesi formale delle azioni dell’uomo a contatto con gli ingranaggi di questa società, dove è necessaria volontà, forza, ottimismo, semplicità, chiarezza » La scultura del Consagra si propone come una scultura di idee intese, secondo suo dichiarato programma, ad «esprimere il ritmo drammatico della vita di oggi con elementi plastici che dovrebbero essere la sintesi formale

delle azioni dell’uomo a contatto con gli ingranaggi di questa società dove è necessaria volontà, forza, ottimismo, semplicità, chiarezza». Partito da una ricerca sui materiali, in seguito ha realizzato rilievi scultorei quasi bidimensionali (“Piccolo colloquio romano”, 1957, bronzo, Parigi, Museo Nazionale d’Arte Moderna), nei quali tende ad annullare lo spessore sino a giungere alle lamine sottili della grande “Città frontale”, una proposta urbanistica polemicamente utopica cui ha dedicato anche l’omonimo “pamphlet” (1969) e che lo ha portato ad inserire nello spazio reale le costruzioni monumentali del Meeting a Gibellina e dell’arco sull’autostrada. Nel 1969 conosce la critica d’arte Carla Lonzi con la quale va a convivere a Milano nel 1970. Nel 1978 fu tra i promotori di un importante documento sulla salvaguardia dei centri storici che prese il nome di Carta di Matera. Il Comune, per i suoi meriti, gli conferì la Cittadinanza onoraria. Per la ricostruzione di Gibellina nel Belice realizza nel 1981 una grande stella, alta 24 metri, in acciaio inox: la Porta del Belice. Fra le sue ultime grandi opere, nel 1998, esegue una scultura in marmo, dedicata a Giano, alta più di cinque metri, situata a Largo Santa Susanna a Roma. Insignito della medaglia d’oro come Benemerito della Cultura e dell’Arte dal presidente Carlo Azeglio Ciampi,

oltre che scultore, Consagra fu scrittore e critico, collaboratore di molte pubblicazioni d’arte, scrisse La necessità della scultura (1952), La città frontale e Vita mia (1980), opera autobiografica, e fu personalità di rilievo nel mondo culturale di un periodo storico di determinante importanza per l’arte italiana, negli anni quaranta, che videro la nascita dell’astrattismo. Pietro Consagra è morto sabato 16 luglio 2005 a Milano, città nella quale da dieci anni si era stabilito definitivamente, all’età di 85 anni, ed è stato seppellito per sua espressa volontà nel cimitero di Gibellina.



Carmelo Cappello

(Ragusa 1912 – Milano 1996)

Ancora minorenne, nel 1925 lavora come intagliatore presso un costruttore di carretti siciliani. Frequenta la Scuola d’arte di Comiso nel 1928. l’anno successivo è a Roma dove lavora nello studio di Ettore Colla. Nel 1930 si trasferisce a Milano dove frequenta i corsi serali alla Scuola superiore d’Arte applicata all’Industria del Castello Sforzesco. Grazie a una borsa di studio può seguire i corsi di Marino Marini all’ISIA di Monza. Nel 1937 debutta come scultore e l’anno successivo tiene la sua prima Personale alla Galleria Bragaglia di Roma. Nel 1941 consolida l’amicizia con Giò Ponti, con cui manterrà una lunga collaborazione.

Prende parte a varie edizioni della Biennale di Venezia (anni 1940, 1948, 1950, 1952, 1954, 1958), della Quadriennale di Roma (anni 1939, 1943, 1947, 1955, 1965, 1973, 1986) e della Triennale di Milano (anni 1951, 1954, 1957). Nel 1959 è invitato a Documenta 2 di Kassel. Nel 1977 partecipa alla Cooperarte, insieme agli artisti Carla Accardi, Getulio Alviani, Gianni Colombo, Antonio D’Agostino, Emilio Isgrò, Carlo Nangeroni, Mario Nigro, Luca Patella, Achille Perilli, Concetto Pozzati, Mimmo Rotella, Giulio Turcato e Nanda Vigo. La Coopertarte era una cooperativa di artisti “che cercava di esplorare nuove forme di rapporto e di confronto con il pubblico”. La prima mostra di questa esperienza si tenne al Centro Allende La Spezia il 26 febbraio 1977. La Cooperarte ha edito una cartella di 14 grafiche numerate da 1 a 100. Dopo una sua prima fase figurativa è attratto dalla scultura di Moore; passa dal Costruttivismo russo di Tatlin all’attenzione allo spazio suggerito da Brancusi, Pevsner e Gabo: da queste matrici culturali scaturisce il suo personale linguaggio rivolto alla declinazione di ritmi lineari e volumetrici. Componenti costanti delle sue strutture sono la curva, legata nel cerchio oppure marcata nell’ ellissi, in un rigoroso equilibrio dei rapporti bidimensionali. A Ragusa, nel 1994, inaugura la Raccolta Cappello con le opere donate alla sua città natale.



Giovanni Verga Giovanni Verga nacque il 2 settembre del 1840 a Catania. Il padre, Giovanni Battista, era di Vizzini, dove la famiglia Verga aveva delle proprietà, e discendeva dal ramo cadetto di una famiglia alla quale appartenevano i baroni di Fontanablanca; la madre si chiamava Caterina Mauro e apparteneva ad una famiglia borghese di Catania. Il piccolo Giovanni fu registrato all’anagrafe di Catania, tuttavia alcuni sostengono che sia nato in contrada Tiepidi, nel territorio di Licodia Eubea nei pressi di Vizzini, dove la famiglia si trovava per evitare l’epidemia di peste che affliggeva Catania. Verga ricevette una buona istruzione: compiuti gli studi primari e medi si iscrisse alla scuola di Antonino Abbate, scrittore, fervente patriota e repubblicano, dal quale assorbì il gusto letterario romantico ed il Patriottismo. Abbate faceva leggere ai suoi allievi le opere di Dante, Petrarca, Ludovico Ariosto, Torquato Tasso, Vincenzo Monti, Manzoni e pagine dell’Estetica di Hegel; inoltre proponeva anche il romanzo storico-patriottico I tre dell’assedio di Torino (scritto nel 1847) del poeta catanese Domenico Castorina, che era lontano parente di Verga La formazione del Verga narratore avvenne sulle pagine di Castorina e su “Il Progresso e la Morte dell’Abbate” e a soli quindici anni, tra il 1856 ed il 1857, Verga scrisse il suo primo romanzo d’ispirazione risorgimentale “Amore e

patria” rimasto inedito. I suoi studi superiori non furono regolari. Iscrittosi nel 1858 alla Facoltà di legge all’Università di Catania, non terminò i corsi, preferendo dedicarsi all’attività letteraria e al giornalismo politico. Con il denaro datogli dal padre per concludere gli studi, il giovane pubblicò a sue spese il romanzo “I carbonari della montagna” (1861- 1862), un romanzo storico che si ispira alle imprese della Carboneria calabrese contro il dispotismo napoleonico di Murat. Con l’arrivo di Garibaldi a Catania veniva istituita la Guardia Nazionale e il Verga si arruolava prestando servizio per circa quattro anni, ma non avendo inclinazioni per la disciplina militare se ne liberò con un versamento di 3100 lire (equivalenti a circa 12700 euro attuali) alla Tesoreria Provinciale. Nel 1863 pubblicò a puntate sulle appendici della rivista fiorentina “La nuova Europa” il suo terzo romanzo, “Sulle lagune”, nel periodo in cui, ottenuta ormai l’Italia l’indipendenza, Venezia è ancora sotto la potenza austriaca. La formazione del Verga narratore avvenne sulle pagine di Castorina e su “Il Progresso e la Morte dell’Abbate” e a soli quindici anni, tra il 1856 ed il 1857, Verga scrisse il suo primo romanzo d’ispirazione risorgimentale “Amore e patria” rimasto inedito. I suoi studi superiori non furono regolari. Iscrittosi nel 1858 alla Facoltà di legge all’Università di Catania, non terminò i corsi, preferendo dedicarsi

all’attività letteraria e al giornalismo politico. Con il denaro datogli dal padre per concludere gli studi, il giovane pubblicò a sue spese il romanzo “I carbonari della montagna” (1861- 1862), un romanzo storico che si ispira alle imprese della Carboneria calabrese contro il dispotismo napoleonico di Murat. Con l’arrivo di Garibaldi a Catania veniva istituita la Guardia Nazionale e il Verga si arruolava prestando servizio per circa quattro anni, ma non avendo inclinazioni per la disciplina militare se ne liberò con un versamento di 3100 lire (equivalenti a circa 12700 euro attuali) alla Tesoreria Provinciale. Nel 1863 pubblicò a puntate sulle appendici della rivista fiorentina “La nuova Europa” il suo terzo romanzo, “Sulle lagune”, nel periodo in cui, ottenuta ormai l’Italia l’indipendenza, Venezia è ancora sotto la potenza austriaca. Il romanzo narra la vicenda sentimentale di un ufficiale austriaco con una giovane veneziana in uno stile severo e privo di retorica. L’attività letteraria del Verga, dopo le prime opere giovanili e senza rilievo, può essere divisa in due fasi: una prima dove egli studiò l’alta società e gli ambienti artistici, unendo residui romantici e modi scapigliati con la tendenza generica a una letteratura “vera” e “sociale” e una seconda che può propriamente essere definita quella verista. La sua opera più conosciuta e rosso mal pelo



Giuseppe Modica

(Mazara del Vallo (TP) 1953)

Giuseppe Modica nasce a Mazara del Vallo (Trapani) nel 1953. Studia alla Facoltà di Architettura e all’Accademia di Belle Arti di Firenze; nel 1987 si trasferisce a Roma, dove attualmente vive e lavora. Nel 2004 gli vengono dedicate due retrospettive: “Riflessione come metafora della pittura. Opere 1989-2003” al Complesso del Vittoriano e “Piero ed altri enigmi” al Museo Civico d’Arte Moderna e Contemporanea di Arezzo. Nel 2005 la Provincia di Palermo organizza, nel Loggiato San Bartolomeo, la retrospettiva “L’enigma del tempo e l’alchimia della luce” e nel 2007, con il patrocinio della Regione Sicilia, viene realizzata la retrospettiva “La realtà dell’illusione” al Convento del Carmine (Galleria Civica) di Marsala. Del 2008 è “Roma e la città riflessa” a Palazzo di Venezia a Roma, con il patrocinio del Senato della Repubblica, dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Roma e della Fondazione Leonardo Sciascia.




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