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CAPITOLO 1

Le origini


CAPITOLO 1

Le origini

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nno di svolta il 1996. L’Italia passa nelle mani di Romano Prodi. Fidel Castro entra per la prima volta in Vaticano, Kofi Annan diventa segretario generale dell’Onu, mentre Bill Clinton si assicura un secondo mandato alla Casa Bianca. Nasce la pecora Dolly, aprendo l’era della clonazione. I Take That invece si sciolgono, creando nel mondo sentimenti contrapposti: disperazione e sollievo. La Juventus vince la sua ultima (per ora) Champions League, mentre ai Giochi Olimpici di Atlanta Michael Johnson spiattella, nei 200, un 19’32” destinato a fare storia e oscurato, in seguito, solo dal marziano Usain Bolt. Nella pallacanestro italiana monta la folle corsa di BasketCity, con Virtus e Fortitudo destinate, sulla carta, a un decennio di tirannia. Ma il 28 maggio 1996 ad alzare il trofeo dello scudetto è l’Olimpia Milano. A sorpresa. Contro ogni pronostico. A sette anni dall’ultimo titolo, quello della mitica finale con Livorno. È la Milano targata Stefanel, segnata dal travaso triestino, con l’inimitabile Boscia Tanjevic in panchina, il dioscuro Bodiroga in campo e lo stile guerriero di Nando Gentile che di quella squadra è anima e corpo. Schegge di passato. Frammenti di memoria che galleggiano come tappi di sughero sulla superficie di un lago. Stabilendo incredibili analogie col presente. La Milano che arriva in finale ha una montagna da scalare: è la Fortitudo di Carlton Myers e Sasha Djordjevic, anima milanese parcheggiata alla corte dell’emiro Seragnoli. Enzo Esposito, fratello di Nando, ma pure ex fortitudino, sentenzia: “Finisce 3-1 per il mio ex club”. Vero, in parte. Finirà proprio 3-1, ma per Milano. Quattro sfide quasi tutte vidimate dal timbro indelebile di Nando Gentile. Bologna tiene il fattore campo in gara-1, poi, al Forum, prende la prima scoppola. Nando chiude con 19 punti, 4 rimbalzi e 3 assist. La Gazzetta dello Sport gli stampa un 8 in pagella: “Grande difesa su Myers. Ha dominato il primo tempo, ha ripreso in mano la squadra nel secondo”. Per caso, vi ricorda qualcuno? Tanjevic, al solo nome di Nando, quasi si mangia il sigaro: “Quello che mi entusiasma di lui è la modestia. Non fa il principe tiratore anche se potrebbe farlo”. Il capolavoro che vale mezzo scudetto arriva in gara-3 a Casalecchio di Reno. Il canestro di Bodiroga a due secondi dalla fine, flash eterno del venticinquesimo titolo, nasce da una palla recuperata da Nando Gentile che dà la stura all’ultimo possesso. Per la Gazzetta è da 7: “L’uomo che fa la differenza con la testa e una grande maturità”. Poi, eccolo, il fati-

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ALESSANDRO GENTILE

dico 28 maggio 1996. Gioia, lacrime e trionfo. Milano fa 25. Anche la Rosea s’inchina davanti allo spirito di Nando: “Merita un 8: non sbaglia mai le partite che contano. È il simbolo di questa vittoria”. Parole che torneranno. Quasi profetiche. È il secondo scudetto vinto al Forum dalla famiglia Gentile, dopo quello ancor più incredibile con Caserta. Quel giorno ad abbracciare l’inarrivabile papà c’è un bambino che non ha ancora compiuto quattro anni. MAMMA GENTILE… Arriverà un terzo scudetto nella bacheca dei Gentile. Sempre al Forum. Ma stavolta Nando se lo gusterà dalla tribuna. In campo andrà quel bambino di quattro anni che, nel frattempo, si è fatto uomo. Come? È il momento di fare un balzo lungo 18 anni.

ALE E NANDO

Gentile, nel basket italiano, è un cognome ingombrante. Anche volendo, cotanta blasonata discendenza, in un mondo che straripa di cliché, non te la puoi scrollare di dosso. Ale ci ha provato: “Io mi sono sempre sentito Alessandro Gentile e non il figlio di Nando”. Ma, sin da quando il suo talento cominciò a sbocciare dalle parti di Maddaloni, il passaparola è montato tumultuoso: “Sai, dicono che il figlio di Nando sia un talento vero”. Stessa musica per chi lo ha visto dal vivo, ancora imberbe, alle finali nazionali: “Però, come gioca il figlio di Nando!”. Solamente ora il figlio di Nando, con uno scudetto in tasca e una chiamata dall’Nba sulle spalle, comincia a diventare “solo” Alessandro. E non per mancanza di personalità. Anche perché buon sangue non mente: Ale, da questo punto di vista, è sulla buona strada per scavalcare il padre. Semplicemente è il destino inderogabile e un po’ insidioso dei rampolli, imprigionati loro malgrado dall’ineludibile fardello dell’eterno confronto. Ma qui scatta una delle tante peculiarità di casa Gentile, con l’asse padre-figlio che diventa energia vitale, sfida generazionale, e non soffocante paradigma patriarcale. Una diversità, se vogliamo, anche lessicale. Alessandro non lo chiama papà, ma Nando, a rimarcarne la poliedricità: padre, consigliere, amico, un porto sicuro. In poche parole: una guida. Con cui scatta anche un potente flusso simbiotico. Basta riascoltare le parole di Alessandro, fresco vincitore dello scudetto, la notte di gara-7. Sala stampa di Assago: il capitano dell’EA7, con Livio Proli da una parte e il trofeo dello scudetto dall’altra, celebrando se stesso, incensa anche suo padre. Riflessioni brevi, profonde, a tratti commoventi, che svelano il robusto cordone che unisce padre

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CAPITOLO 1 e figlio: “Ho reso Nando felice. Tra noi c’è un rapporto molto particolare. Lui gioca in me, siamo un’unica persona. Durante le partite ci guardiamo, ci lanciamo delle occhiate. Mi dà sicurezza e a lui va la mia prima dedica. È una persona speciale. Mi segue da sempre e nei momenti difficili ho una grande certezza: Nando”. Trasfigurazioni quasi trascendentali, che non preludono però a un rapporto zuccherato o buonista. Ale e Nando sono due cape toste dall’indole fiera e a volte anche riottosa (specie il figlio). L’anedottica familiare sui loro epici litigi è inesauribile. Su tutti spicca quella che, in casa Gentile, è ricordata come la storia della lavagnetta (peraltro ripetuta più volte…). Alessandro ha 13 anni e gioca nella Artus Maddaloni che, nel campionato BAM, punta alle finali nazionali. In panchina, ovviamente, c’è Nando impegnato anche lui a gestire quel figlio super talentuoso, ma emotivamente scostante. In una gara di qualificazione per le finali, comincia un battibecco padre-figlio perché in campo Alessandro cammina, sintomo mai estirpato del tutto di un malessere sportivo. Nando lo rimbrotta con sarcasmo. - Ehi tu, solo quando inventeranno il parquet mobile, diventerai un grande giocatore. Ale incassa imbronciato ma non cambia certo atteggiamento, anzi… A quel punto Nando chiama time-out e, mentre il figlio torna in panchina con faccia scioperante il padre coach gli tira la lavagnetta in testa che cade e si rompe, mandando su tutte le furie la protettiva consorte, a cui scatta istinto materno e pianta al marito un muso che non finisce più. Un padre comprensivo dunque, ma anche severo. Comunque la stella polare di Alessandro come lui stesso ha ammesso la notte dello scudetto. Un rapporto vivo, dialettico: carburante necessario per Alessandro. Anche se poi, quando Nando vuole tagliare corto ripete il suo mantra secco, inappellabile (fino a poco tempo fa…) e funzionale pure a forgiare la natura competitiva e tenace del figlio. - Ora taci. Perché tu, dimmi, che cosa hai vinto? Alessandro se lo è sentito ripetere molte volte ed è forse tatuato nel suo inconscio. Ciò spiega, più di ogni altro particolare, quel pathos, non riproducibile e inimitabile, che Alessandro riesce a mettere in campo e che lo rende unico. Il dover combattere sin da bambino etichette, luoghi comuni e parallelismi forzati, non ha sfibrato quell’empatia padre-figlio già visibile sui muri della stanzetta del giovane Ale dove campeggiano due poster: quello di Nando e quello di Dejan Bodiroga, altro grande mito adolescenziale di Gentile Junior.

DELUSIONI

Le delusioni sportive patite da Alessandro Gentile sono tutte racchiuse in cinque lettere: Siena. Nelle finale scudetto 2012 finisce 4-1 per la Mens

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ALESSANDRO GENTILE «Hanno imparato a convivere, annusando soprattutto i pregi l’uno dell’altro e ora anche a stimarsi»

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CAPITOLO 1 Sana, due anni fa l’eliminazione nei quarti di finale playoff con il crollo in gara-7, tanto per ricordare quelle che hanno fatto più clamore. Sconfitte sanguinose, diventate spesso umilianti disfatte, per la tendenza altrui a cannibalizzare l’avversario. “Figuracce” le definirà Alessandro la sera del trionfo tricolore. “Non si fermavano mai” ricorderà poi Livio Proli la notte del trionfo. Aria rancida, polemiche, piccoli sgarbi, ma soprattutto, col senno di poi, una profonda differenza nell’interpretazione del rispetto delle regole. Il dualismo Milano-Siena, che ha segnato i primi anni da professionista di alto livello di Alessandro, viveva sull’impulso respingente di due mondi impenetrabili tra di loro. Se è poi vero che ciò che non ti uccide ti fortifica, a Siena il giovane capitano dell’Olimpia deve la sua corazza quasi indistruttibile. Quell’abito mentale, raro in un ragazzo di 21 anni, ricamato pure su cocenti delusioni che l’hanno piegato ma non spezzato. Siena peraltro gli ha sempre riservato un trattamento “speciale”, ma anche Alessandro ci ha messo del suo a rinfocolare la rivalità, incapace, per indole, a vivere la lotta nelle retrovie. Giocandosi non solo punti per la classifica ma pure di sutura. Come quel 6 marzo 2012, quando Alessandro abbandona il PalaEstra con la testa rotta. Scontro fortuito con Shaun Stonerook: vistoso taglio sopra la tempia, l’uscita dal campo in un clima irrespirabile, la corsa in ospedale durante la quale Ale non fa una piega per poi scoppiare in un pianto irrefrenabile tra le braccia di mamma Maria Vittoria. Salvo poi smorzare i toni dopo settimane di polemiche. - Tutto ok, solo 7 punti. Più di quanti ne abbia fatti in campo. Scritto su twitter. Lo stesso strumento usato qualche settimana prima, in maniera un po’ maldestra, e che gli vale una giornata di squalifica. Semifinale di Coppa Italia: Siena fa fuori per l’ennesima volta Milano, in un finale convulso, figlio anche di una confusionaria gestione arbitrale. Alessandro, alle prime armi sui social network, s’imbatte su un fotomontaggio di un gruppo di tifosi che lo seguono: compaiono i tre arbitri con la maglia di Siena. Ale ritwitta con su scritto: “Non per fare polemiche, ma mi fa sorridere”. Scoppia un vespaio. Alessandro cancella tutto a mezzanotte, ma ormai la giostra è partita e non si può fermare. Seguono giorni di tensione e polemiche, fino alla squalifica. E allo scontro fortuito ma doloroso con il capitano della Mens Sana. Anche se poi, quando gli schieramenti sono pronti a rullare i tamburi di guerra, è proprio Alessandro il primo a stemperare i toni. Ma c’è un altro episodio, inedito, che investe la senesità e che riguarda Luca Banchi. Qui urge una premessa. Sul rapporto tra Gentile e Banchi, il cortile della nostra pallacanestro ha sviluppato una florida letteratura. Si è marciato molto sulle incomprensioni tra i due, che ci sono comunque state, sfiorando a volte anche il punto di non ritorno. Ma è proprio il rapporto

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ALESSANDRO GENTILE Banchi-Gentile a dare la misura del livello di pressione e aspettative che hanno accompagnato la stagione dello scudetto. Le scintille sono divampate, da entrambe le parti, non per interesse personale ma per il timore di non riuscire a debellare un’ossessione. Per quel tarlo che inconsciamente, ad ogni sconfitta o passo indietro, portava a pensare che sarebbe finita come sempre pure nella stagione in cui, davanti a una Siena veramente ridimensionata, non si poteva proprio sbagliare. E non lo hanno fatto, centrando l’obiettivo di riportare il tricolore a Milano dopo una lunga carestia. Hanno imparato a convivere, annusando soprattutto i pregi l’uno dell’altro e ora anche a stimarsi. Ma quello che Banchi riceve da Gentile non è proprio il benvenuto ideale… Dopo l’ennesima delusione nei quarti di finale playoff 2013 con Siena che sfonda al Forum in gara-7 e poi si prende quello scudetto che pareva destinato all’Olimpia, il club torna a fare la spesa alla Mens Sana, incassando il rifiuto di Daniel Hackett ma portando a Milano Moss, Kangur, il preparatore atletico Giustino Danesi e, appunto Luca Banchi, lo stratega dell’ottavo scudetto biancoverde. I media lanciano subito la provocazione parlando di “Siena-2”. Un travaso considerato blasfemo e non la naturale e comprensibile aspirazione di accaparrarsi i migliori. Anche il capitano dell’Olimpia la vive in modo combattuto e alla prima riunione con il coach, lo staff tecnico e la società, rimane fedele a se stesso dicendo a tutti quello che pensa. E mandando il termometro a – 40. Il neo allenatore, Alessandro lo “accoglie” più o meno così: - Un po’ mi stai sulle palle, ma non perché sei Luca Banchi ma perché vieni da Siena. L’ideale per cominciare un rapporto col piede giusto... Ma se Gentile ha un pregio è quello della trasparenza e di dire sempre le cose in faccia. Nella stanza, intanto, cala il gelo. Alessandro però ne inventa un’altra per manifestare il suo disagio: in palestra, non si sa come, spunta una felpa della Mens Sana che il capitano indossa in occhiali neri. Il travestimento è pronto. La foto arriva a mamma Maria Vittoria con su scritto: “Ecco la nostra nuova maglia per l’Eurolega…”.

GARA-5 PISTOIA

Avrà anche l’aria burbera ma l’ingiustizia più grande che gli si può fare è non considerarlo un uomo squadra. Uno che fa gruppo. Alessandro è l’anima dell’Olimpia in campo e fuori e l’ultima parte della cavalcata scudetto è lì a dimostrarlo. I playoff di campionato cominciano, tanto per cambiare, in un’atmosfera tutt’altro che distesa. La mancata Final Four di Eurolega, consegnata al Maccabi Tel Aviv vaporizzando il vantaggio del fattore campo, riattizza an-

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CAPITOLO 1 tiche insicurezze nonostante il dominio incontrastato in Italia, nella seconda parte di stagione regolare. Hackett, Samules, Langford, Jerrells, Melli e, naturalmente, Gentile: tutti escono provati e scarichi dall’avventura europea, tant’è che persino Pistoia, qualificatasi alla post season all’ultimo secondo, diventa un problema. Milano ricade in uno dei suoi soliti vizi: complicarsi la vita. E così salitelle impegnative diventano addirittura gran premi della montagna. I quarti si giocano al meglio del cinque partite e quello che doveva essere un 3-0 secco, in realtà va a gara-5. Pistoia batte sul proprio campo per due volte Milano, che non perdeva da 21 partite. Sono partite da playoff: dure, scorbutiche, polemiche. Così l’Olimpia si ritrova a dover chiudere in casa una serie oltremodo complicata e con tutta la pressione addosso. Ma, soprattutto, senza Alessandro Gentile. Il capitano cade nella rete del nervosismo e della provocazione, e si fa espellere in gara-4 insieme al pistoiese Washington. Alessandro però è recidivo (già espulso a Brindisi alla prima giornata) e quindi viene squalificato. Appresa la notizia scoppia in lacrime e non ci dorme la notte, angosciato dall’eventualità di una eliminazione che avrebbe del clamoroso. I nervi sono a fior di pelle, la tensione consuma il capitano dell’Olimpia che si sente come un leone in gabbia, affranto dall’impossibilità di essere d’aiuto proprio nella partita del dentro o fuori. Nando, che certi stati d’animo deve conoscerli bene, coglie al volo i tormenti del figlio e gli dà il consiglio giusto. - Vuoi essere d’aiuto alla squadra? Stai addosso ad Hackett, motivalo, lui può essere la chiave della partita. Per due giorni Alessandro vive in simbiosi con Daniel. Gli fa d’autista (Hackett non ha la patente), lo coccola e lo frusta al tempo stesso. Milano ha bisogno di rivedere il vero Daniel per mettersi al riparo da soprese. I due vivono la vigilia sublimando le loro paure e, quando Alessandro scarica Hackett davanti al Forum, gli lancia l’ultima provocazione che fa scattare la scintilla. - Vedrai, stasera Wanamaker te ne fa 30. In realtà ne imbuca solo 14, mentre Hackett con 20 punti e una regìa degna del suo nome, porta Milano fuori dalle secche. La sera, al ristorante, incrociando Nando, Hackett gli confessa: “È andata bene, però tuo figlio è un gran rompicoglioni…”. Ma un capitano serve anche a quello.

GARA-5 GARA-6 FINAL SCUDETTO

Le quarantotto ore che collegano gara-5 a gara-6 della finale scudetto pesano come dieci anni di vita. Descrivere a parole lo stato d’angoscia che attaglia tutto l’ambiente milanese è quasi impossibile. Perchè l’incubo di sempre è di nuovo lì, davanti agli occhi di tutti, pronto a materializzarsi: vedere ancora una volta Siena che festeggia. Stavolta sarebbe davve-

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ALESSANDRO GENTILE

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CAPITOLO 1 ro troppo. Intollerabile perdere uno scudetto, l’ennesimo contro la Mens Sana, e stavolta pure scialacquando il 2-0 iniziale, firmato d’imperio annichilendo l’avversario. Anche se quel che piu atterrisce è non è l vittoria altrui ma la prospettiva di dover ingoiare un nuovo fallimento, questa volta ingiustificabile. Siena infatti trova insospettabili risorse per risalire. In casa, in una bolgia inverosimile, piazza due colpi che valgono il pareggio. E, il 23 giugno, la Mensa Sana sbanca il Forum di Assago conquistandosi il match-point scudetto in casa propria. Hunter domina sotto canestro, Carter impazza con le triple, l’Mps mostra un sistema di gioco superiore, rispetto a Milano completamente paralizzata da una pressione insostenibile. “Anche stavolta finisce male” ammettono a denti stretti pure i più ottimisti. Ci credono in pochi, pochissimi. Ma tra questi, fortunatamente per l’Olimpia, c’è Alessandro Gentile. A ricaricare l’ambiente ci pensa un ragazzo di 21 anni. Mostrando una durezza mentale e psicologica stupefacente. Persino Nando Gentile, il re degli ottimisti, quello che non molla mai, è preso dallo sconforto. La sera della disfatta di gara-5, al solito di ristornate da Ciro, tappa fissa della famiglia Gentile, confida a Riccardo Sbezzi: “Io e Maria Vittoria a Siena, per gara-6, non ci veniamo. Stavolta è finita”. Imperversa un’atmosfera patibolare, di scoramento totale. Serve una scossa per rimettersi in piedi. E quella solo Alessandro la può dare. Quando entra nel locale, insieme alla fidanzata Isabelle, squadra subito tutti e con un sorriso la butta lì: - Ma che facce avete? - Ale, noi a Siena a prendere degli insulti non ci veniamo. Lo ribadiscono tutti in coro, ma Alessandro punta il dito e non vuol sentire ragioni. - No, voi a Siena venite. Vi voglio tutti a bordo campo, dietro la nostra panchina. Perché noi andiamo là e vinciamo. L’ho già detto pure a Proli, Portaluppi e Banchi. È nel momento più tetro che Alessandro decide di giocarsi tutto. Esponendosi senza freni davanti a società, staff tecnico e squadra. Caricandosi sulle spalle ogni peso in un ambiente che vive il giorno prima di gara-6 sull’orlo di una crisi di nervi. Livio Proli convoca Hackett e Gentile.

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