L'idea - Il tuo amico di carta

Page 1

ANNO XXXV - FEBBRAIO 2019 REGISTRAZIONE TRIBUNALE DI BARI N. 765 DEL 11/10/1984 - PERIODICITÀ MENSILE - POSTE ITALIANE S.P.A. - SPED. IN A.P. - D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004) ART. 1, COMMA 1, CNS BA

IL TUO AMICO DI CARTA



3 L’IDEA

EDITORIALE

Turismo in Puglia Non può che crescere MICHELE LORUSSO

In copertina Chiesa di Santa Maria dell’Isola - Conversano Particolare del Cenotafio di Giulio Antonio Acquaviva d’Aragona e di Caterina Del Balzo Orsini Anno XXXV Febbraio 2019 Registrazione Tribunale di Bari n. 765 del 11/10/1984 Direttore Responsabile Michele Lorusso Collaborazione di Archivio Diocesano Conversano Società di Storia Patria per la Puglia Sezione Sudest Barese Paolo Perfido Vito L’Abbate Cosimo Cardone Antonio Fanizzi Vision snc Andrea Pattaro Lucrezia Pellico Editore Mediabuilding Srl - Conversano Direzione, redazione e amministrazione 70014 Conversano (BA) Via Polignano, 5 Tel. 080.4090217 Fax. 080.4958424 info@lideaonline.it Foto Archivio Diocesano Conversano Rocco De Benedictis Vincenzo Divittorio Mimmo Guglielmi Michele Lorusso Paolo Perfido Mariagrazia Proietto Stampa CSR - Roma

www.lideaonline.it

L

a Borsa Internazionale del Turismo, che ogni anno a febbraio si tiene a Milano, è una di quelle rassegne fieristiche che attrae operatori turistici da tutto il mondo. Arrivano nel capoluogo lombardo per vendere o comprare pacchetti turistici, per avviare o consolidare relazioni che possono, nel tempo, favorire il business del mercato delle vacanze. Naturalmente oltre agli operatori del settore, in BIT arrivano pubblici amministratori, sindaci, assessori e funzionari di piccole comunità da ogni latitudine dello Stivale che, salvo rare eccezioni, passano due o tre giorni nel quartiere fieristico senza un obiettivo preciso. Eppure basterebbe che partecipassero ai diversi convegni organizzati in Fiera Milano City per acquisire nuove idee da calibrare sui propri territori. Ma al di là della partecipazione dei visitatori “pubblici”, l’interesse per la BIT è così forte che dalla Puglia richiama nella capitale economica italiana numerosi operatori turistici. Grandi e piccoli. Arrivano a Milano per “vendere” i castelli, le cattedrali, il paesaggio, le tante e meravigliose chiese di stile romanico e barocco, le grotte di Castellana, i trulli di Alberobello, la Valle d’Itria, i dolmen del nord barese, Castel del Monte con la sua esclusiva forma ottagonale, il mare meraviglioso, la penisola salentina, i borghi antichi. L’elenco delle nostre attrattive turistiche è interminabile.

Grande attenzione da parte degli operatori vi è anche per il segmento del turismo religioso. Si pensi alle tantissime feste patronali: San Nicola a Bari, Sant’Oronzo a Lecce, San Cataldo a Taranto, la Madonna della Fonte a Conversano, l’Addolorata a Mola, che richiama nel paese natio numerosi emigranti dagli Stati Uniti. E ancora la festa di San Trifone con i suoi spettacoli pirotecnici. I riti e le tradizioni legate alle feste religiose, quali la Focara di Novoli, uno dei più grandi falò a livello italiano. Ma anche i riti della Settimana Santa, che in Puglia si celebrano ovunque: la Processione dei Misteri a Taranto, i Canti della Passione in griko della Grecìa Salentina, la processione della Desolata a Canosa di Puglia, la processione dei Crociferi. Non mancano poi le manifestazioni folkloristiche: il concertone della Notte della Taranta di Melpignano, che richiama appassionati anche dall’estero, e il Carnevale di Putignano, con i suoi carri allegorici, che risale al 1394 e inizia il 26 dicembre. Il Carnevale più lungo d’Europa. Questo patrimonio viene valorizzato dall’attività di promozione portato avanti dall’Assessorato dell’Industria Turistica e Culturale Regione Puglia e dell’Assessorato alle politiche agricole. Oltre all’impegno e alla professionalità acquisita dagli operatori. Con queste premesse i flussi turistici in Puglia non possono che crescere

In foto: gli assessori regionali Loredana Capone e Leonardo Di Gioia, sfogliano il nostro periodico con il fotoreporter Mimmo Guglielmi e con il nostro direttore Michele Lorusso, durante una precedente edizione della BIT.


4 L’IDEA

A destra Un momento dello spettacolo Hell in the Cave Altre informazioni e approfondimenti utili sul sito www.grottedicastellana.it e sui canali social di Grotte di Castellana @castellanacaves. Hashtag ufficiale #grottedicastellana

01

STALATTITI

Le grotte di Castellana Un complesso di cavità sotterranee di origine carsica formatosi 90 milioni di anni fa

D

all’80esimo anniversario della scoperta di uno degli attrattori turistici più importanti di Puglia, celebrato nel 2018 anche con la visita del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, all’80esimo anniversario della scoperta della Grotta Bianca, la più splendente e probabilmente la più bella delle grotte turistiche italiane. Continua il periodo dei festeggiamenti per le grotte di Castellana (sito turistico al centro della Puglia, facilmente raggiungibile da tutte le più importanti città della regione, snodo verso le località balneari che si affacciano sull’Adriatico, ma anche verso i borghi imbiancati della Valle d’Itria). Caverne e corridoi, abissi e canyon, stalattiti, stalagmiti e concrezioni dai nomi fantastici, di forme e colori sorprendenti.

Le grotte di Castellana, complesso di cavità sotterranee di origine carsica, sono tra gli attrattori turistici più importanti di Puglia. Uno scenario in grado di meravigliare la vista con spazi e prospettive unici al mondo e di affascinare lo spirito con fenomeni che l’occhio non coglie, ma il cuore sì. Un mondo sotterraneo formatosi 90 milioni di anni fa, rivelato all’uomo nel 1938, capace ad ogni visita di svelare nuove sensazioni ed emozioni senza tempo. Al centro della Puglia, nel cuore della Valle d’Itria con i suoi trulli, a pochi chilometri dal mare: le grotte di Castellana, straordinario esempio di una regione che affascina e accoglie. Oltre 17 milioni di turisti da tutto il mondo per la bellezza delle grotte di Castellana. Visite guidate su un percorso di 3 km, escursioni notturne per vivere le emozioni dei primi esploratori, spettacoli unici. Dalla Grave alla Grotta Bianca, per bambini e adulti. In Puglia, tutto l’anno. Il 2019 delle grotte di Castellana si annuncia all’insegna delle novità. Dopo aver presentato il nuovo logo e la nuova immagine, la Grotte di Castellana srl, società che gestisce il complesso carsico pugliese, ha recentemente presentato anche le linee guida per il prossimo biennio. A dettarle il presidente di Grotte di Castellana srl, Victor Casulli, che lancia le nuove


5 L’IDEA


6 L’IDEA

FOTO MARIAGRAZIA PROIETTO

02 GROTTA MONUMENTI

HELL IN THE CAVE

Il più grande spettacolo aereo sottorraneo del mondo, a 70 metri di profondità

03

SPELEOLOGI IN GROTTA

proposte sulla base di una panoramica sull’attività svolta nel 2018 con il risultato “di aver superato per numero di visitatori il 2017, anno record per le grotte di Castellana, e di aver raggiunto il miglior numero di sempre dal 1986 ad oggi, numero che si attesta tra le 350mila e le 400mila unità se si aggiungono anche i numerosi appuntamenti ed eventi organizzati sia all’interno del sito carsico che nell’area esterna”. Ai numeri positivi si aggiunge anche il traguardo dei 17 milioni di visitatori (dal 1938 ad oggi) tagliato proprio ad ottobre 2018. “L’attività svolta - ha anticipato il presidente Casulli, a capo del CdA composto dal vice presidente Francesco Manghisi e dalla consigliera Maria Lacasella - ci consente di poter guardare al 2019 nell’ottica di perseguire gli obiettivi di destagionalizzazione e soprattutto di migliorare i servizi ai visitatori. Il progetto Grotte 100% Accessibili presentato a dicembre scorso sarà una delle prerogative per eliminare ogni barriera di accesso alla bellezza delle grotte di Castellana. Svilupperemo nuove proposte anche per determinate fasce di visitatori, partendo per esempio dai turisti accompagnati dai loro amici a


7 L’IDEA

IL CALENDARIO DEGLI SPETTACOLI

Sabato 16 febbraio, sabato 16 marzo, sabato 13 aprile, mercoledì 24 aprile, martedì 30 aprile, sabato 11 maggio e sabato 25 maggio. A queste repliche si aggiungono ben otto pomeridiane riservate alle scolaresche nell’ambito del Piano Scuola&Formazione di Hell in the Cave

quattro zampe, e proseguiremo nell’individuazione di nuove forme di visita, progettualità che rendano la presenza all’interno delle grotte di Castellana una vera e propria esperienza sensoriale ed emotiva”. La Grotte di Castellana srl, nell’ambito del progetto regionale Crossing Arts, ha inoltre definito il calendario della prima parte del 2019 di Hell in the Cave - versi danzanti nell’aere fosco, il più grande spettacolo aereo sotterraneo del mondo, in scena da oltre sette anni nelle Grotte di Castellana. Ispirato ai gironi danteschi della Divina Commedia, Hell in the Cave è l’inferno visto dal centro della terra, a 70 metri di profondità, fra concrezioni carsiche disegnate dalla natura in 90 milioni di anni. Uno scenario suggestivo fa da cornice ed è al contempo protagonista dello spettacolo, fra anime dannate e demoni ma anche celestiali figure candide guidate dalla incantevole Beatrice. Il cast di ballerini e attori rende unica l’esperienza di Hell in the Cave che da sempre colleziona numeri da primato. Hell in the Cave si conferma così il più grande spettacolo stanziale di Puglia

04

GRAVE

05

GROTTA BIANCA


8 L’IDEA

Una fanova appena accesa in Largo Porta Grande dove giungono i residenti e tanti amanti del folklore provenienti dai paesi limitrofi

01

UN FALÒ NEL CENTRO STORICO

Le fanove per la Madonna Vengono accese a Castellana Grotte l’11 gennaio in onore di Maria SS. della Vetrana

I

l fuoco da sempre nella storia dell’uomo ha avuto tanti significati e dopo i primordiali bisogni legati al calore e alla luce che emana, nei secoli è diventato sempre più simbolo di purificazione, di gioia e di energia vitale. Il culto del Dio fuoco, nato dapprima come rito pagano si è trasformato a poco poco in rito religioso. Nella nostra Puglia tante sono le città dove si realizzano falò e pire di legno, nei quali il fuoco arde festoso nel buio per scacciare tristi presagi e come ringraziamento per Santi e Madonne Patrone. Famosi sono i falò pugliesi in onore di Sant’Antonio Abate, San Giu-

MINO CARDONE

seppe, San Marco e Santa Lucia. A Castellana Grotte invece da oltre tre secoli i falò, o meglio le “fanove”, così come sono chiamate dai castellanesi, vengono accesi la sera dell’11 gennaio in onore della Madonna della Vetrana, che prodigiosamente nel 1691 preservò la città da una pericolosa epidemia di peste che aveva colpito tutto il circondario. I falò, nella città famosa per le sue grotte, sono oggi segni evidenti di festa, di esultanza popolare, di riconoscenza, che ricordano ogni anno l’intercessione miracolosa della patrona che è venerata nello storico Convento dei frati Minori, innalzato all’indomani del prodigo fuori dalla città, sulla via che porta ad Alberobello. Le “fanove” più colossali sono realizzate da gruppi di giovani che hanno preso a cuore le antiche tradizioni cittadine tramandate dai lori genitori e nonni. Questi ragazzi pieni di contagioso entusiasmo fanno a gara fra di loro per innalzare il falò più grande, in onore della Madonna, senza mai rinunciare all’arte e l’abilità che i vecchi fanovisti gli hanno trasmesso.


9 L’IDEA


10 L’IDEA

La sera dell’11 gennaio i falò sono circa un centinaio. Mentre bruciano tonnellate di legna, si intonano canti mariani 02 PADRE PIO PRONTO A DAR FUOCO ALLA FANOVA

Tradizionalmente i più grandiosi vengono realizzati solitamente nella piazzetta della Chiesa Matrice e in Largo Porta Grande, anche se ultimamente i più belli e maestosi vengono realizzati anche nelle zone più periferiche e di campagna. Da citare però sono anche tutti gli altri innumerevoli fuochi e fuocherelli, magari realizzati con minor quantità di legna, ma non con minore amore, devozione e spirito di accoglienza.

03

IL SINDACO FRANCESCO DE RUVO E MICHELE GUGLIELMI, PRESIDENTE COMITATO FESTE PATRONALI, DURANTE LA PROCESSIONE DELLA MADONNA

La sera dell’11 gennaio, i falò sono circa un centinaio e si bruciano tonnellate di legna sotto lo sguardo attonito dei castellanesi e di chi arriva in massa dai paesi limitrofi. Tutti, nel freddo intenso invernale, si stringono attorno alle altissime fiamme uniti nella gioia e nella festa. Nella notte oscura, il tradizionale canto mariano “Tu sei del popolo, letizia e pace” e le mille faville che serpeggiano verso l’alto, hanno il compito di rinnovare al cielo la gratitudine alla Madonna. Come in ogni festa popolare, non manca la parte gastronomica. È difficile non lasciarsi tentare dagli assaggi di taralli, ceci e fave abbrustoliti, olive, focaccine, pizze, frittelle, bruschette, carne, pesce e da un bicchiere di generoso primitivo. Il tutto è offerto con prodigalità da chi ha allestito la “fanova”. Il giorno dopo, il 12 gennaio, a sera la statua della Madonna della Vetrana, dal Convento, accompagnata da una interminabile teoria di ceri, viene portata con una solenne processione in città e rimane alcuni giorni in Chiesa Madre alla venerazione riconoscente dei fedeli


Le sculture di Aurelio Persio MINO CARDONE

Le opere dello scultore materano sono collocate nella Chiesa Matrice di Castellana Grotte

C

astellana è conosciuta in tutto il mondo per le sue famose Grotte e il suo meraviglioso mondo sotterraneo, ma anche la città, con il suo centro storico, le sue viuzze e le sue caratteristiche chiese e palazzi, è ricca di bellezze artistiche che meritano di essere ammirate. Una chicca che la città presenta sono le sculture dell’artista materano Aurelio Persio che si conservano nella chiesa matrice di San Leone Magno.

Nell’anno in cui Matera è celebrata in tutta il mondo quale Capitale Europea della Cultura possiamo quindi considerare il Persio l’artista che lega culturalmente la città delle grotte con il capoluogo lucano. Aurelio Persio nato nel 1518 a Montescaglioso da Matteo e da Angelella, dopo qualche anno con la sua famiglia si trasferì Matera. Si trattava di una famiglia artisti, infatti come lui scultori erano anche i fratelli Francesco e il più famoso Altobello, così come in seguito i loro figli.


12 L’IDEA

STATUA SAN PAOLO AURELIO PERSIO CHIESA MADRE

02

01

STATUA GESÙ AURELIO PERSIO CHIESA MADRE

Morì nella città di Castellana nel 1593 dove da diversi anni si era trasferito e dove si era spostato in seconde nozze con la castellanese Innocenza De Matteis dalla quale ebbe una decina di figli. La produzione artistica dello scultore, attraverso la quale si rivela la sua raffinata perizia, si rinviene in molti luoghi sacri pugliesi e lucani. Un recente studio portato avanti dallo studioso castellanese Giacomo Lanzilotta, sostiene che il Persio operò anche a Palermo ospite del fratello Francesco. A Palermo lavorò nella bottega dell’importante scultore siciliano Antonello Gagini e successivamente del figlio Antonino, collaborando alla realizzazione di opere che si conservano nella Cattedrale e nella chiesa di Sant’Antonio Abate a Palermo. Dopo la parentesi siciliana, sempre il Lanzilotta presume che sia stato un quinquennio a Roma dove non è escluso che ebbe contatti con il grande Michelangelo. Una stampa del settecento dichiara il Persio discepolo di Michelangelo, affermazione che lo storico castellanese Marco Lanera reputò una notizia azzardata. Ma poco tempo dopo una studiosa lucana, Anna Grelle Iusco, parlava di probabili contatti fra le maestranze della cattedrale materana, dove l’artista lavorava col fratello maggiore Altobello e alcune scuole scultoree romane facenti capo a Michelangelo. Agli inizi della seconda metà del 1500 Aurelio Persio ritorna a Matera, dove ritrova il fratello Altobello, artista ormai affermato e a capo di una prolifica bottega che deteneva una sorta di monopolio della produzione scultorea in Basilicata ed una larga diffusione nelle vicine province ne Pugliesi. In quegli anni realizza il gruppo di figure che ornano la facciata della cattedrale di Matera, la Madonna del Carmine nella Chiesa di San Domenico a Corato, la Madonna col Bambino della Chiesa del Cimitero di Pomarico, il San Pietro e il San Paolo nella chiesa di San Domenico a Taranto e il Sepolcro di Belisario nella Chiesa matrice di Campi Salentina. L’arrivo a Castellana con ogni probabilità è legato alla sua vecchia conoscenza con lo scultore Sannazzaro Panza


13 L’IDEA

Nella chiesa di San Leone Magno innalzò un polittico di cui è rimasta la Madonna col bambino

STATUA SAN PIETRO AURELIO PERSIO CHIESA MADRE

03

da Alessano, coautore insieme al fratello Altobello del “Presepe” della Cattedrale di Matera. Lo scultore salentino dal 1543 era residente a Castellana perché il capitolo di San Leone Magno gli aveva commissionato una serie di lavori in pietra. A lui fu commissionato anche il monumentale polittico in pietra per l’altare maggiore che non realizzò perché in avanti con l’età, e suggerì ai canonici castellanesi di rivolgersi al più giovane collega materano Altobello, che sua volta affido l’incarico al fratello Aurelio. Nella chiesa di San Leone Magno a Castellana innalzò una spettacolare ancona posta in fondo al presbiterio che verso la fine dell’ottocento venne purtroppo smembrata risultando superstite solo la scultura della “Madonna col bambino”. Alcune statue di quel polittico furono posizionate in alcune nicchie sulla facciata esterna laterale della chiesa, mentre le altre sono quasi tutte all’interno. Si tratta di un San Paolo con barba fluente, un San Pietro con barba e capelli ricciuti, il busto di Cristo Passo, datato 1551, dal volto rassegnato e con le braccia incrociate e gli angeli ceroferarii, tutte rinvenibili all’interno della quarta arcata destra. Un polittico dall’alto valore artistico che è intenzione dell’attuale arciprete don Vito Castiglione Minischetti restaurare e riportare agli antichi splendori. Per concludere possiamo dire che Aurelio Persio, così come i fratelli che continuarono il loro lavoro a Matera, lo si può ritenere uno dei maggiori esponenti della scuola rinascimentale pugliese e lucana del ‘500 e fra i più noti scultori del tempo che intagliavano le proprie opere unicamente nella dura pietra locale. Nelle sue opere mostra una mano molto felice e una impostazione classica, tipica di quel periodo. Le statue hanno compostezza, un bilanciato equilibrio nel movimento dei volumi e in alcuni particolari, come nel volto della Madonna dell’altare maggiore o in quello di San Paolo, che sembrano tradurre nella scultura la morbidezza dei dipinti

STATUA MADONNA COL BAMBINO AURELIO PERSIO CHIESA MADRE

04



15 L’IDEA

01

TORRE COSTIERA IN LOCALITÀ SAN VITO IN TERRITORIO DI POLIGNANO

Torri e castelli PAOLO PERFIDO

Le sentinelle della storia

M

olte torri e castelli punteggiano il territorio. La loro età è varia: va da presenze risalenti ad epoca normanno sveva fino al sistema delle torri di avvistamento che si sviluppa lungo le coste a partire dal XVI secolo. Oggi molte torri svettano isolate nel territorio o sono inserite in contesti urbani perché sono parte integrante di castelli e di cinte di mura. L’elenco di queste architetture sarebbe molto lungo anche volendosi soffermare al solo am-

bito territoriale del sud-est barese. Torri costiere, masserie fortificate, villaggi e casali medievali ormai abbandonati da secoli, cinte di mura urbane, castelli sono visibili a decine nel nostro territorio. In alcuni casi sono ridotti a ruderi, in altri mantengono pressochè intatta la loro immagine originaria. Molti di essi sono facilmente accessibili e visitabili, altri invece restano chiusi alla fruizione per diverse ragioni. In questo breve articolo si vuole proporre un itinerario che non vuole


16 L’IDEA


17 L’IDEA

02

TORRE INCINA SU UNA INSENATURA COSTIERA IN TERRITORIO DI MONOPOLI


18 L’IDEA

Paolo Finoglio, ciclo della Gerusalemme Liberata: Rinaldo abbandona l’isola incantata, 1640-1643 (particolare) Conversano, Pinacoteca

03 MASSERIA LA COMPRA IN TERRITORIO DI POLIGNANO

assolutamente avere un carattere di esaustività, ma possa permettere, a chi ha un qualche interesse per l’argomento, di visitare alcuni esempi facilmente raggiungibili e fruibili. L’itinerario non segue un percorso cronologico ma tipologico, vale a dire si visiteranno alcune strutture che per forma e funzione presentano caratteristiche peculiari ben riconoscibili. Partendo dalla costa saliremo verso l’interno per raggiungere torri e castelli che un tempo presidiavano il territorio e che sono stati testimoni di tante vicende storiche e umane avvenute dietro le loro austere mura. Il primo esempio, che sarà anche il nostro punto di partenza, è la cinquecentesca torre costiera di San Vito che sorge a poche centinaia di metri dall’omonima abbazia benedettina sul litorale tra Mola e Polignano. È una delle tante torri che punteggiano la costa di quello che fu il Regno di Napoli e che un tempo sorgevano isolate e ben visibili. Queste mute sentinelle di pietra erano sorte per allertare prontamente con fuochi e segnalazioni di fumo le terre e le città minacciate dalle frequenti scorrerie piratesche e dalle minacce ottomane, mai del tutto cessate anche dopo la grande sconfitta della flotta turca a Lepanto del 1571. La torre di San Vito presenta la caratteristica forma quadrangolare con le pareti leggermente scarpate, caditoie nella parte superiore e ingresso in quota accessibile grazie a una scala retrattile o a un ponte levatoio. Questa tipologia di torri è solitamente costituita da un unico ambiente al primo piano, voltato a botte, da cui si accedeva al terrazzo attraverso una scala lignea, mentre il piano terra conteneva una cisterna di raccolta delle acque piovane. L’edificio non è visitabile, ma la sua forza evocativa risiede nella posizione al limite del bagnasciuga saldamente ancorata al banco roccioso. Tutt’intorno la scogliera è punteggiata da antiche cave per l’estrazione della calcarenite che correntemente, anche se impropriamente dal punto di vista geologico, viene chiamata tufo. Non è da escludere che anche il materiale con cui è realizzata la stessa torre possa essere stato cavato direttamente in loco. Proseguendo verso sud, dopo aver superato l’imponente abbazia con il suo porticciolo, a meno di un chilometro, appare sulla destra la sagoma della seicentesca masseria fortificata “La Compra”. Si tratta di una fabbrica tozza nelle proporzioni, che si staglia isolata nei campi. Alcune basse fabbriche recenti vi si addossano senza pregiudicarne però la visione per chi arriva da San Vito. I quattro prospetti austeri mostrano aperture poste in alto difese da caditoie aggettanti disposte lungo il parapetto del terrazzo. Il piano terra e il primo piano sono separati da un evidente cordolo che gira tutt’intorno all’edificio. I quattro spigoli della fabbrica sono evidenziati da contrafforti appena sporgenti che danno ulteriore forza a tutto l’impianto. Le pareti del piano terra comprese tra i contrafforti sono leggermente a scarpa fino al cordolo

marcapiano a sottolineare l’immagine di una piccola fortezza piuttosto che di un edificio residenziale legato ad attività agricole. Anche l’interno non è privo di interesse con ambienti ampi coperti da volte a botte e a crocera. Purtroppo l’abbandono e l’incuria rendono problematico e sconsigliabile l’accesso all’edificio che, anche in questo caso, sarà opportuno fruire solo dall’esterno. Ciò non diminuisce comunque l’interesse che susciterà nel visitatore attento. Proseguendo verso sud, dopo aver superato Polignano, una breve deviazione a sinistra prima di arrivare a Monopoli ci conduce a ridosso di una profonda cala sulle cui pareti scoscese è visibile Torre Incina. Non sfuggirà la corrispondenza formale con la torre di San Vito. Infatti, si tratta di un altro esempio di quella lunga teoria di vedette fatte realizzare dal vicerè del Regno di Napoli Pedro Álvarez de Toledo a partire dal 1532 e proseguite da Pedro Afan de Ribera nel 1563. A questo punto lasce-


19 L’IDEA

TORRE DI CASTIGLIONE IN TERRITORIO DI CONVERSANO

04

05 TORRE COSTIERA IN LOCALITÀ SAN VITO IN TERRITORIO DI POLIGNANO

remo la costa monopolitana per puntare verso l’interno in direzione di Conversano imboccando la panoramica Strada Provinciale 114. Dopo qualche chilometro percorso tra ulivi secolari, scorgeremo a destra, oltre un alto muro di cinta, il profilo slanciato della torre della Masseria due Torri, coronata in alto da un parapetto aggettante su una fitta serie di mensole in pietra. La masseria, di proprietà privata, riprende una tipologia molto diffusa in queste zone caratterizzata, appunto, dalla presenza di un’alta torre destinata alla residenza, ben munita di elementi di difesa, e affiancata in basso da ambienti dedicati alle attività produttive. Il tutto racchiuso da un muro di cinta. Queste strutture produttive fortificate risalgono in buona parte al XVII secolo, come dimostra anche un dettaglio presente in una tela del ciclo della Gerusalemme liberata di Paolo Finoglio esposto nella Pinacoteca del Castello di Conversano. Nella campagna rappresentata sul fondale della tela

06 INCASSO PER L’ALLOGGIAMENTO DEL PONTE LEVATOIO DELLA TORRE DI CASTIGLIONE IN TERRITORIO DI CONVERSANO

in cui si raffigura Rinaldo che abbandona l’isola incantata, è ben visibile un edificio che ricalca le caratteristiche appena descritte. Giunti a Conversano, prima di recarci al Castello faremo una deviazione verso Putignao imboccando la provinciale 101 dove, seguendo la segnaletica, potremo giungere al sito di Castiglione. L’area archeologica, accessibile liberamente, conserva alcuni resti del villaggio angioino sorto su un insediamento di età arcaico- classica (secoli VII-IV a.C.). Dopo l’abbandono da parte degli abitanti, verso la metà del XVI secolo viene edificata, ad opera degli aragonesi, una torre di vedetta che va ad inglobare la struttura della porta di accesso al villaggio. La torre, che in origine presentava alla sommità un parapetto a sbalzo su mensole aggettanti ancora in parte visibili, conserva l’incasso del ponte levatoio con bolzone contrappesato che poggiava, quando veniva abbassato, su un battiponte di cui rimangono i resti a livello archeologico. Dalla sommità del-


20 L’IDEA

07 MASSERIA DUE TORRI IN TERRITORIO DI MONOPOLI

09 TORRE CILINDRICA DEL CASTELLO DI CONVERSANO

08 SCORCIO DELLA TORRE MAESTRA DEL CASTELLO DI CONVERSANO

la torre lo sguardo spazia su un’ampia porzione di territorio fino al mare. Guardando in direzione nord-ovest si scorge la città di Conversano, dove sono ben visibili la sagoma della torre maestra del Castello e i campanili di San Benedetto e delle altre chiese della città. Il Castello di Conversano ha subìto nel corso dei secoli molteplici trasformazioni e ampliamenti. Sono ben riconoscibili quattro torri, tutte con tipologie diverse. La già citata torre maestra dalla sagoma massiccia, fondata sui resti dell’antica cinta muraria della città peuceta, è al suo interno divisa in due livelli con volte a botte ad ogiva, collegati da una stretta scala in pietra ricavata entro lo spessore murario.9 Simile nella struttura, anche se di dimensioni minori, è la torre di sud-est che incombe sulla rinascimentale torre poligonale. Quest’ultima è un mirabile esempio di architettura militare del periodo cosidetto di transizione, la cui realizzazione, alla fine del XV secolo ad opera di Andrea Matteo Acquaviva d’Aragona, è resa necessaria dall’avvento della polvere da sparo. Infine una quarta torre chiude ad ovest il prospetto settentrionale del Castello: è la torre cilindrica attribuita anch’essa agli Acquaviva come testimoniato dallo stemma posto in alto, anche se una diversa trama delle mu-


21 L’IDEA

Spaccato assonometrico della torre di Canneto in Adelfia (Rilievo e restituzione grafica arch. M. A. Catella, ing. A. Tanzi, 2018)

rature potrebbe far pensare piuttosto ad una soprelevazione quattrocentesca di una struttura preesistente di età angioina. Dopo aver visitato il castello di Conversano con le sue torri, il polo museale e la pinacoteca con il ciclo della Gerusalemme liberata di Paolo Finoglio, sarà piacevole fare ancora una passeggiata alla scoperta delle diverse torri ancora presenti lungo il circuito delle mura per poi proseguire in direzione di Rutigliano. Il cerntro, distante una decina di chilometri è famoso per la tradizione dei coloratissimi fischietti in terracotta. Racchiude all’interno del nucleo medievale un’alta torre a testimonianza di quanto rimane dell’antico castello. Questo era composto in origine da quattro torri, due maggiori e due minori, che fra Sette e Ottocento vennero fatte mozzare dal Capitolo della Basilica di San Nicola di Bari, che dal 1304 era diventato feudatario della città. La torre sorge al in posizione un po’ decentrata verso est ed è interessante notare il tessuto medievale che si avvita intorno ad essa con una serie di strade disposte in maniera concentrica che gli fanno da corona. Dopo aver visitato la torre e aver fatto un giro tra le viuzze del centro storico, potremo proseguire il nostro tour avviandoci verso l’ultima tappa: Adelfia. Anche qui troveremo una torre che viene detta normanna, ma è più probabile che, come per

STEMMI NOBILIARI SU UNA DELLE CADITOIE DELLA TORRE DI CANNETO IN ADELFIA

10


22 L’IDEA

Due torri superstiti del Castello di Rutigliano in una foto d’epoca

Rutigliano, ci si trovi di fronte ad una struttura più recente senza che ciò escluda, comunque, una originaria fondazione risalente al XII secolo. Di recente, la torre è stata aperta al pubblico e il visitatore, prima di accedere all’interno della struttura, trova una saletta dove alcuni pannelli illustrano le vicende della torre e del territorio. Il breve percorso seguito finora non ha pretese

11

VEDUTA ZENITALE DEL CENTRO STORICO DI RUTIGLIANO CON LA TORRE MEDIEVALE

di esaustività, ma vuole solo indicare un possibile modo di “leggere il territorio” attraverso un itinerario tematico che ci aiuti a capire come queste strutture fossero parte integrante del paesaggio. Sicuramente in origine erano molto più visibili prima di essere fagocitate da una cementificazione che in molti casi non ha saputo tener conto della storia dei luoghi e del valore di testimonianza offerto da quelle architetture: sentinelle attente, pronte a segnalare i pericoli che per secoli hanno minacciato queste terre. Oggi visitiamo queste opere con disincanto e, spesso, senza neanche prestarvi molta attenzione. Invece bisogna ripensare all’insicurezza e alle paure che hanno attanagliato i nostri avi, sempre esposti al rischio di incursioni e minacce. Bisogna anche riuscire ad immaginare la vita che si svolgeva al loro interno, la quotidianità di quegli uomini a cui veniva demandata la sicurezza di tutti. Conoscere la storia ci aiuta a leggere i segni che questa ci ha lasciato e a capire l’importanza di ogni singolo “monumento”, che, al contempo, è anche un essenziale “documento”: monēre e docēre, ricordare e insegnare, questo è il significato etimologico di questi due sostantivi. La perdita anche di un solo elemento rende parziale la lettura dell’insieme come se ad un libro venisse strappata una pagina. Il valore di un territorio è dato dalla sua capacità di palesare e trasmettere la sua storia, ma è compito dei cittadini conoscerla, proteggerla e, soprattutto, tramandarla


23 L’IDEA

Guido Di Renzo e Giuseppe Casciaro

Mostra a cura di Giacomo Lanzilotta dall’11 maggio al 1 dicembre Pinacoteca Metropolitana di Bari

L’

iniziativa fa seguito alla importante donazione rilevata dalla Pinacoteca di Bari lo scorso 2016, di 172 opere del pittore Guido Di Renzo (Chieti 1886-Napoli 1953 o post), abruzzese di origine e napoletano per adozione e formazione artistica. Amico e allievo nel capoluogo partenopeo del salentino Giuseppe Casciaro, Di Renzo prese parte attiva alle principali rassegne artistiche del panorama nazionale nella prima metà del Novecento, riscuotendo in parecchie occasioni importanti riconoscimenti (tra questi, l’acquisto di suoi lavori da parte

del re Vittorio Emanuele III e del Comune di Napoli). La mostra metterà a confronto le opere del maestro Casciaro con l’allievo e in seguito fraterno amico Di Renzo, assieme a una scelta antologia dei rappresentanti della comunità artistica del Vomero – dai pittori Vincenzo Ciardo, Carlo Striccoli, Luca Postiglione, Giuseppe Aprea, Francesco Galante e molti altri, agli scultori Tello Torelli, Filippo Cifariello – attraverso la ricostruzione evocativa di quei contesti espositivi affermatisi nella vita culturale napoletana della prima metà del Novecento


24 L’IDEA

A destra e nelle pagine a seguire: Affreschi sulla parete della navata destra. Entro riquadri contenenti edicole ad arco trilobato o ribassato, le figure si presentano come icone in posizione frontale. Fanno pensare ad un polittico tardo-gotico, con tono alquanto aulico che richiama rapporti con l’ambiente culturale e col cantiere pittorico di S. Caterina di Galatina

01

MADONNA IN TRONO COL BAMBINO (sec. XV)

La contea pugliese degli Acquaviva d’Aragona Tra storia, leggende e opere d’arte nell’età rinascimentale

L

eggenda e storia partono da campi diversi e muovono racconti antitetici e contrastanti. L’una guidata dalla fantasia e incline a creare una fascinazione che commuova, sorprenda, accresca sentimenti di gioia o al contrario di spavento. L’altra fondata sul documento, materiale o scritto, e caratterizzata non solo dalla ricostruzione puntigliosa degli avvenimenti, ma più ancora dalla costante e necessaria analisi critica dello “storico”. Eppure, non raramente storia e leggenda si intrecciano, addirittura si compenetrano o si integrano. Fatti leggendari in una certa misura sono all’origine del racconto che riguarda al-

VITO L’ABBATE

cuni personaggi realmente vissuti nel Regno di Napoli nei secoli XV e XVI, e alcune opere, soprattutto di natura artistica, scaturite dalle vicende storiche della vita di quei personaggi motivano la nascita di altre leggende. Parlo di alcuni grandi signori feudali del Mezzogiorno, tra i principali esponenti della aristocrazia di Puglia, sui quali si è spesso soffermata la ricerca storica ma non ha smesso di circolare il fantasioso racconto popolare diventato “tradizione”: mi riferisco agli Acquaviva di Atri in Abruzzo, giunti in Puglia nel 1456 e, di lì a poco, insigniti dal re Ferdinando dell’onore di aggiungere al nome del loro casato quello d’Aragona. Gli Acquaviva d’Aragona, dunque, che sulla scena del Mezzogiorno aragonese e poi spagnolo hanno svolto ruoli di primissimo piano negli affari di politica come in quelli del mondo ecclesiastico, operando da principi guerrieri e da amministratori, riscuotendo riconoscimenti e meriti, onori e balzelli. Infatti, al titolo d’origine di duchi di Atri aggiunsero quelli di conti di Conversano in Terra di Bari, duchi di Nardò nell’O-


25 L’IDEA


26 L’IDEA

02 VERGINE IN TRONO COL BAMBINO (sec. XV)

trantino, oltre che marchesi di Bitonto e poi di Casamassima, Acquaviva e di Gioia del Colle, e signori di altre terre aggiunte grazie ad una politica matrimoniale che li portava a legarsi – e spesso anche a scontrarsi – con numerose altre case aristocratiche del Regno. Non meno importante le opere che hanno sostenuto con le loro risorse economiche, che hanno promosso con la loro committenza e proposto al pubblico dei loro “Stati”, nell’ambiente culturale che va dall’età del Rinascimento meridionale all’e-

poca barocca. Solo l’eversione della feudalità e la soppressione dell’ancient régime posero fine nel 1806 a questa lunga storia, chiusa anche in Puglia dagli eventi rivoluzionari dell’era napoleonica. Storia, si diceva, e di notevole rilievo, che coinvolgeva le popolazioni e le comunità religiose e che in parte si può leggere nelle arti visive, nate per iniziativa di alcuni protagonisti che qui si richiamano e conservate fino ai nostri giorni. Partiamo dal conte Giulio Antonio che arriva in Puglia nel 1456 e da cavaliere che


27 L’IDEA

03 TRINITÀ, SAN GIACOMO APOSTOLO (sec. XV)

guida schiere di armati a sostegno del suocero, il principe di Taranto, contro il re aragonese di Napoli, passa, dopo la sconfitta e la morte del principe (1463), nello schieramento filo-aragonese e si guadagna i favori della corte fino a meritarsi l’onore del nome “d’Aragona” (viene insignito nel 1479, con diploma del re Ferdinando, del nome d’Aragona per sé e per i suoi discendenti). Quei rapporti tra la contea conversanese e la capitale del Regno sono intessuti anche di relazioni familiari e culturali, giacchè

nella visione umanistica del princeps il mestiere delle armi e la pratica della politica non escludono la consuetudine delle lettere e l’amore per le opere classiche. Così i figli dell’Acquaviva, Andrea Matteo e Belisario, vengono educati a Napoli nell’Accademia del Pontano e ne ricavano quell’amore per il mondo classico che li porta a ricercare le opere degli “antichi” e a tradurle e farne realizzare eleganti trascrizioni con preziose miniature per la propria biblioteca. Ma le leggende? Ce ne sono, tante, e ne ricordo alcu-


28 L’IDEA


29 L’IDEA

La presenza delle figure inginocchiate in prossimità delle immagini sacre fa supporre che si tratti di committenti, forse lo stesso conte Acquaviva e i suoi familiari

04

ALTARE DELLA VERGINE DELL’ISOLA (sec. XV)

Nella pagina a sinistra: L’edicola centrale in pietra intagliata e dipinta (entro il 1479) faceva parte dell’altare centrale della chiesa, a cui erano riferite le sculture di Giulio Antonio Acquaviva rivestito di armatura e di Caterina Orsini Del Balzo, inginocchiati ai lati dell’altare. In origine, esso conteneva l’icona trecentesca su legno della Madonna con bambino, oggi in collezione privata

ne. A Conversano, circa a metà del XV secolo, una fanciulla vede in sogno una figura luminosa: è la Vergine che l’invita a recarsi in un terreno poco distante dall’abitato, dove ci sarebbe stato un luogo di culto nascosto, ormai dimenticato da secoli. La fanciulla comunica questa sua visione a chi la conosce e un macellaio, dandole credito, si reca con lei sul posto indicatogli e con un suo lungo coltello prova a rimuovere terreno e pietrame in un affossamento nascosto da cespugli. Non ne ricava nulla,

anzi spezza la lama del suo coltello nel tentativo di scavo. Però, quando ritorna in paese e indispettito racconta il suo inutile tentativo, improvvisamente si accorge che il coltello è di nuovo integro. Il fatto ha del miracoloso, la notizia si sparge in fretta e in tanti si recano allora sul posto per una ricerca più accurata: con loro è anche il vescovo di Conversano. Questa volta la ricerca ha un esito felice: si scopre un accesso nascosto che porta ad un ambiente sotterraneo. È un’antica cripta, in cui si rinviene un’immagine scolpita della Vergine Maria. Al giubilo popolare fa seguito un accorrere continuo di gente devota, non solo attratta dal racconto del miracoloso rinvenimento, ma spesso gratificata dalla grazia di guarigioni propiziate dallo stillicidio che (miracolo a dirsi!) si produce attraverso le pareti rocciose della caverna. La località in cui fu rinvenuta quella chiesuola ipogea è la contrada di S. Maria dell’Isola, a circa un chilometro dall’abitato conversanese. Chi racconta questa storia – e la storiografia “locale” accoglie tante storie e tradizioni popolari – colloca questo episodio intorno al 1440.


30 L’IDEA

CHIOSTRO PICCOLO

con ambulacro coperto da crociere ogivali e arcate sorrette da colonne binate. I capitelli, a semplici foglie angolari, accentuano il carattere tardomedievale della struttura (sec. XV)

05

VERGINE IN TRONO COL BAMBINO TRA SANTI (sec. XV)

Passiamo ora sull’altro versante, quello della storia documentata. Nel 1456 il potentissimo principe di Taranto Giovanni Antonio Del Balzo Orsini, che tra i suoi vastissimi possedimenti comprende anche Conversano, dà in sposa la figlia Caterina al nobile Giulio Antonio Acquaviva di Atri e assegna in dote la contea di Conversano (con Castellana, Noci, Turi e altre terre e casali). Cosa fa il nuovo conte in Conversano? Due importanti interventi soprattutto, uno di natura militare (il rafforzamento della cinta difensiva della città), l’altro di interesse politico e sociale: guadagnarsi il favore popolare e introdurre nella località l’Ordine dei francescani Osservanti. Per questo, unendosi alla devozione popolare, sostiene nel 1462 l’edificazione di una chiesa sulla grotta della Vergine dell’Isola (che ne diventa una specie di cripta) e si occupa del suo decoro interno. Accanto all’edificio religioso accoglie i francescani in un attiguo convento e affida loro il culto nella chiesa di S. Maria dell’Isola. Di più, fa in modo di ottenere dal principe di Taranto l’autorizzazione a volgere proprio in adiacenza a quel convento una fiera annuale, con i conseguenti vantaggi economici per l’istituto religioso e per la città. Per oltre un decennio dovette protrarsi l’impegno dell’Acquaviva in favore di questa chiesa, dove furono chiamati artigiani e maestri


31 L’IDEA

d’arte per realizzare altari, dipinti, arredo liturgico. La documentazione storica e gli stemmi del casato rappresentati su quelle opere attestano la committenza di Giulio Antonio e della moglie. Uno scultore soprattutto fu chiamato per realizzare il programma, certo concordato con i frati francescani, Nuzzo Barba di Galatina. E con lui anche pittori e decoratori che nel cantiere della splendida chiesa di S. Caterina in Galatina svolgevano il completamento dell’apparato pittorico, che agli studiosi d’arte ha rivelato contatti e confronti con l’area napoletana e con quella più generalmente adriatica. Ecco alcune opere fatte eseguire da Nuzzo Barba e dalle maestranze artistiche chiamate da Giulio Antonio: l’altare centrale dedicato alla Vergine e gli affreschi applicati sui muri delle cappelle laterali. Il conte Giulio Antonio e il suocero Del Balzo Orsini condivisero obiettivi politici e una dichiarata ostilità nei confronti del re Ferdinando, ma la situazione fu a loro sfavorevole. Dopo una sconfitta militare e la morte di Del Balzo di Taranto che pare sia stato soppresso col veleno, a Giulio Antonio che si occupava anche del ducato di Atri e dal re attendeva il riconoscimento del ducato di Teramo parve saggio affiancarsi alla corona aragonese e appoggiarne le imprese militari

Affresco situato sulla parete del coro (seconda metà del XV secolo). Il linguaggio descrittivo è semplice e immediato, quasi di tono popolare


32 L’IDEA

06

ALTARE IN PIETRA DELLA VERGINE DELL’ISOLA. PARTICOLARI CON GLI STEMMI ACQUAVIVA E DEL BALZO ORSINI (entro il 1481)


33 L’IDEA


34 L’IDEA

CATERINA E GIULIO ANTONIO

Statue in pietra dipinta raffiguranti i Conti in atteggiamento di preghiera, in origine collocate ai lati dell’altare della Vergine dell’Isola

in Italia; e infatti seguì l’esercito aragonese nelle sue guerre in Toscana, distinguendosi anche come cavaliere coraggioso e abile. Lo stesso Giulio Antonio, consapevole della lunga eredità culturale della corte orsiniana di Taranto e dell’area salentina e, d’altra parte, a contatto con l’ambiente umanistico della Napoli aragonese, si preoccupò di dare ai suoi figli Andrea Matteo e Belisario una formazione intellettuale e letteraria moderna, pur nell’ottica di un primario impegno politico e militare a cui essi erano destinati. A Napoli, dunque, i giovani Acquaviva sotto la guida e in amichevoli rapporti con personaggi quali il Pontano, il Summonte, il Galateo acquisirono salde basi letterarie e filosofiche, vasta erudizione e ampie conoscenze di opere classiche sia latine che greche. Opere che leggevano nel testo originale e tradussero dal greco, impegnando notevoli risorse per favorire l’edizione di stampe (Plutarco, Aristotele, Plinio) che costituirono la celebre biblioteca napoletana in particolare di Andrea Matteo, i cui volumi e codici miniati poi si sarebbero dispersi in numerose biblioteche in Italia, oltre che a Vienna, Parigi e Londra. E in Andrea Matteo specialmente si rifletteva l’ideale figura di principe di stampo prettamente umanistico che agli interessi letterari univa una moderna e spregiudicata visione del


35 L’IDEA

PULPITO IN PIETRA

sorretto da una mensola a cui si addossa un angelo (nella pagina a fianco), presenta due figurine che reggono il grande scudo araldico degli Acquaviva d’Aragona. Opera elegante e ricca di dettaglio decorativo di Nuzzo Barba, databile tra 1481 e 1524

ruolo della aristocrazia baronale (egli fu duca di Atri, conte di Conversano, marchese di Bitonto), a cui si riferivano le tradizionali Virtù non più considerate in chiave moralistica, ma relazionate agli obiettivi politici e giustificate dalle esigenze di governo. Ma torniamo alla leggerezza della leggenda, questa volta riferita al cavaliere Giulio Antonio e alla sua eroica morte. Il “cavaliere” si pone a capo di un esercito cristiano e si precipita ad Otranto, città costiera occupata dai turchi che avevano fatto strage di tutti gli abitanti che non avevano voluto rinnegare la loro fede (i famosi 800 Martiri di Otranto, i cui resti scheletrici fanno ancora oggi spettacolo nella nota cappella di quella città). In quello scontro che ha i colori e i sentimenti di una “crociata”, dopo tanti episodi di grande valore, Giulio Antonio cade in una vile imboscata degli infedeli e viene ucciso. Ucciso ma non vinto, perché la battaglia continuerà e si concluderà con la sconfitta dei turchi, ma soprattutto perché il conte Giulio Antonio verrà sottratto alla malvagità del nemico. Racconta infatti la leggenda che il conte, circondato dai nemici contro i quali combattè valorosamente, quasi a tradimento viene colpito e (orribile a dirsi!) da un colpo di scimitarra gli viene staccata la testa dal corpo: il suo fedele

07 MEDAGLIA DI ANDREA MATTEO III ACQUAVIVA D’ARAGONA

Figlio del conte Giulio Antonio, commissionò allo scultore Nuzzo Barba di Galatina le opere presenti nella chiesa dell’Isola


36 L’IDEA

CHIOSTRO GRANDE Edificato nel 1482 per volontà e col sostegno del conte Andrea Matteo, come si legge in una iscrizione e viene confermato dagli stemmi dipinti nella prima lunetta. Le scene pittoriche risalenti al XVII secolo rappresentano fatti biblici (Storie di Giuseppe l’Ebreo) e santi e pontefici dell’Ordine francescano

Nelle pagine a seguire: CENOTAFIO DI GIULIO ANTONIO ACQUAVIVA D’ARAGONA E DI CATERINA DEL BALZO ORSINI

in pietra dipinta (1523-24), opera firmata da Nuzzo Barba di Galatina (Nutius Barba de Sancto Petro Galatinensi me struxit, è inciso sulla cornice del primo ordine) su committenza del figlio, il duca Andrea Matteo III. È l’opera più nota della chiesa dell’Isola, eretta in ricordo della eroica morte del conte Giulio Antonio ad Otranto nel 1481. L’imponente struttura è suddivisa in tre ordini: nel primo sono

collocate le quattro Virtù cardinali (Fortezza, Giustizia, Prudenza, Temperanza) quasi in funzione di cariatidi, e al centro campeggia l’epigrafe commemorativa; nel secondo sono raffigurati sul letto di morte Giulio Antonio e Caterina vestiti con il saio francescano, rivolti verso lo spettatore e presentati entro uno spazio racchiuso da un tendaggio sollevato da angeli; nel terzo sono inserite entro alte nicchie le statue della

Carità e della Fede, tra cui siede in trono una maestosa Vergine col Bambino. In alto il monumento viene chiuso al centro da una lunetta in cui sono due angeli che esibiscono gli stemmi Acquaviva e Orsini Del Balzo, sormontata da un Crocifisso e fiancheggiata da sculture di santi e profeti. L’opera scultorea, che certo vide impegnati Nuzzo Barba a conclusione della sua esperienza artistica e altri suoi collaboratori,

mostra influenze diverse sia per l’impostazione architettonica, che riprende motivi da monumenti funebri dei sovrani napoletani presenti nelle chiese di Napoli, sia per singoli elementi scultorei (di gusto ancora tardo-gotico, ma anche di carattere classico) che fanno intravvedere il legame della scultura pugliese tra XV e XVI secolo da un lato con Napoli e dall’altro con l’area adriatica e la sponda dalmata


37 L’IDEA


38 L’IDEA


39 L’IDEA


40 L’IDEA

CENOTAFIO DI GIULIO ANTONIO ACQUAVIVA D’ARAGONA E DI CATERINA DEL BALZO ORSINI

Giulio Antonio e Caterina vestiti con il saio francescano

08 PARTICOLARI DIPINTI

destriero, Baccato era il suo nome, a quel punto portò il cavaliere che ancora brandiva le sue armi fuori dal campo di battaglia. Così Giulio Antonio, ritto sul cavallo, privo della sua testa, fu portato fino alla città di Sternatia (era tra i feudi del conte nel Salento) o, secondo un’altra versione del racconto, addirittura fino a Conversano dove verrà sepolto nella chiesa di S. Maria dell’Isola. Magnifica leggenda popolare, forse anche alimentata dalla tradizione letteraria che, amplificata dalla riconoscente devozione di amici letterati nei confronti dei figli del conte, ne celebrò le gesta e insieme l’alto valore quasi simbolico dell’impresa otrantina. L’immagine del conte Acquaviva che, pur decapitato, continuava a cavalcare viene equiparata a quella dell’otrantino Primaldo che, dopo che gli fu mozzata la testa, rimase ritto in piedi finchè anche gli altri 800 prigionieri furono tutti martirizzati dai turchi. Anche la figura del conte, quindi,

assumeva la veste dell’eroe-martire per la fede. Torniamo ora alla storia e all’episodio militare di Otranto. Nel 1480, dopo l’occupazione della città pugliese da parte dei turchi, l’esercito aragonese guidato da Alfonso, figlio del re di Napoli, cinse Otranto con un assedio e riprese nel 1481 la città, pur non risolvendo la grave minaccia turca lungo le coste adriatiche: solo la battaglia navale di Lepanto 90 anni dopo avrebbe allontanato con la vittoria degli alleati cristiani quel costante pericolo dalla penisola italiana e dai paesi del Mediterraneo occidentale . Il conte Giulio Antonio Acquaviva partecipò insieme ad altri baroni all’impresa di Otranto con una sua schiera di soldati, ma ebbe la ventura di cadere in un agguato di turchi usciti dalla città per una sortita; e, dicono le cronache contemporanee, i nemici secondo la loro usanza tagliarono la testa al nobile comandante ucciso e ne fecero vanto nel loro campo. Non sappiamo se e quando fu restituito alla famiglia. Ebbene,


41 L’IDEA

09 PARTICOLARI DIPINTI

10 LE VIRTÙ CARDINALI

nella chiesa conversanese di S. Maria dell’Isola che il conte Giulio Antonio aveva voluto erigere sull’antica cripta, il figlio Andrea Matteo fece realizzare un nuovo grande chiostro (1481) e per onorare il padre e il suo valore di guerriero al servizio della fede programmò di erigere un sepolcro monumentale affidato alla mano dello scultore Nuzzo Barba, che in quella chiesa aveva già lavorato proprio su committenza del primo conte. Non fu opera immediata, anche perché Andrea Matteo giocava ruoli politici su ampia scala tra Abruzzo, Puglia e Napoli e nella oscillante politica baronale nel Mezzogiorno egli si schierava sul fronte anti-aragonese. La sua partecipazione alla “congiura dei baroni” (1485-86) compromise la conservazione dei suoi feudi e solo dopo la condanna dei rivoltosi riuscì ad ottenere, grazie alle sue relazioni politiche e famigliari (Andrea Matteo aveva sposato una Todeschini-Piccolomini, nipote del papa Pio II), il perdono regio e il ristabilimento

11 PARTICOLARE DELLA VERGINE

delle sue prerogative. Quelle vicende politiche complesse e a volte contraddittorie dovettero apparire, agli occhi dei sudditi e della opinione comune, non facilmente spiegabili. E poi c’era in Conversano e in altri feudi dell’Acquaviva un forte e antico legame con l’Ordine francescano degli Osservanti, che passava tramite i conventi francescani fondati dal conte Giulio Antonio e che agevolavano i rapporti del feudatario col pubblico. Proprio in questi conventi la tradizione, in parte leggendaria, vede Andrea Matteo rifugiarsi per non essere catturato al tempo della congiura. E a proposito di leggende, val la pena raccontare anche questa. Il conte Andrea Matteo, dopo essere stato scoperto tra i congiurati del 1485, trova rifugio nel convento di S. Maria dell’Isola (poteva essere fuggito di notte dal suo castello attraverso il cunicolo sotterraneo che lo univa al convento: distava solo un chilometro!). Lì viene consolato da un frate in odore di santità, il futuro beato


12 CHIESA DI S. MARIA DELL’ISOLA (Interno)

La chiesa era all’origine quasi una cappella privata degli Acquaviva d’Aragona, che si uniformò tra XVI e XVII secolo al programma architettonico e decorativo voluto dall’Ordine francescano, accogliendo altari e opere suggerite dalla comunità monastica

13 ALTARE DI S. FRANCESCO

Nella pagina a fianco: Altare in legno intagliato, dipinto e indorato (datato 1665), con statua lignea di S. Francesco nella nicchia centrale. È l’altare principale della chiesa seicentesca, imponente struttura della tipica produzione pugliese, probabilmente realizzato in ambente francescano

Giacomo da Bitetto, che gli preannuncia il perdono del re di Napoli. In attesa delle novità da Napoli, il conte trascorre nel convento giornate serene e rimane ammirato dalla vita di umiltà e dalla commovente semplicità del fraticello. Un giorno, entrando nella cucina del convento assiste persino al miracolo della cottura delle fave con le lacrime del frate, caduto in estasi durante la sua intensa preghiera. E il perdono del re Ferrante, come sappiamo, puntualmente arrivò. Ma in questo caso la leggenda davvero s’intreccia con la storia, perché il legame tra l’Acquaviva e i francescani è reale e il Beato Giacomo fu anche nel convento dell’Isola di Conversano, come fu soprattutto nel convento di Bitetto anch’esso legato al nostro conte. Questo convento, che conserva il corpo del Beato e a lui è stato intitolato, nel chiostro decorato con Storie della vita del Beato Giacomo mostra due dipinti in cui compare il conte Andrea Matteo: inginocchiato dinanzi al frate che gli preannuncia la buona notizia del perdono del re, e dinanzi al Beato che si leva in estasi mentre le fave si cuociono col condimento delle sue lacrime. Che Andrea Matteo sia stato in quel convento non si esclude, anche perché un’altra leggenda lo vuole autore di un tratto viario fatto costruire in una sola notte tra il convento

e Bitetto. Né ha grande importanza che la morte del frate sia in realtà avvenuta nel 1485, quindi qualche anno prima delle vicende storiche che riguardarono il signore di cui parliamo. La città di Conversano, partecipe con il suo conte ai drammatici fatti di guerra che spagnoli, francesi e veneziani portarono anche in questi territori pugliesi dopo la discesa del re di Francia Carlo VIII nel Regno, vide Andrea Matteo sconfitto dagli spagnoli e portato prigioniero a Napoli (1503); tentò un’inutile resistenza e subì i gravissimi danni di un assedio e del conseguente saccheggio; sopportò le scorrerie di squadre veneziane che occupavano le vicine città costiere; fu travagliata da un’epidemia di peste nel 1528 al tempo della “guerra di Lautrec”. Insomma, furono anni difficili, mentre Andrea Matteo che aveva trasferito i titoli feudali ai suoi figli e nipoti si dedicava finalmente ai suoi interessi letterari e poteva far realizzare quel monumento funebre al padre Giulio Antonio nella chiesa di S. Maria dell’Isola (1524), che ancora oggi “illustra” e rinverdisce la memoria del conte che combattendo contro i turchi apud Hydruntum fortiter dimicans occubuit e delle sue gloriose imprese al servizio del Regno meridionale e della cristianità

Sulla chiesa e le opere d’arte in essa contenute si rinvia a: C. Gelao - I. La Selva, La chiesa e il monastero di S. Maria dell’Isola a Conversano, Conversano 1983. P. Belli D’Elia, Principi e mendicanti. Una questione d’immagine; C. Gelao, Monumenti funerari cinquecenteschi legati alla committenza Acquaviva d’Aragona; R. Lorusso Romito, Gli affreschi della chiesa di S. Maria dell’Isola a Conversano: alcune considerazioni sulla pittura del Quattrocento in Puglia, in: Territorio e feudalità nel Mezzogiorno rinascimentale. Il ruolo degli Acquaviva tra XV e XVI secolo, a cura di C. Lavarra, II t., Galatina 1996.


43 L’IDEA


44 L’IDEA

01

IL CASTELLO MARCHIONE

È munito di quattro torri cilindriche agli angoli, collegate tra loro. Fu modificato dopo il 1646. Il toponimo di “Castello di Marchione” deriva da “macchione”, ossia dal fatto che esso si trovava in un grande bosco (macchia), esteso per duemila “tomoli” (ettari 1200), destinato alla caccia e al pascolo

Il Castello di Marchione Un “luogo di delizie”

N

el territorio di Conversano si trova uno straordinario edificio noto come castello di Marchione, munito di quattro torri cilindriche agli angoli, collegate tra loro e poi modificato dopo il 1646. In genere gli edifici costruiti nei secoli passati nella campagna pugliese, le famose “masserie”, munite di efficaci sistemi di difesa, associavano alla funzione produttiva, seguita dal proprietario, il quale vi si trasferiva nei mesi estivi, anche quella di “divertimento”: la caccia. Tutte avevano il loro boschetto (nel nostro dialetto, significativamente: “giocolo”) nel quale si cacciava con il fucile o si “parava”, ossia di sistemavano le trappole per catturare i volatili, ritenuti leccornie e perciò preparati per essere conservati e consumati in particolari occasioni. Il toponimo di “Castello di Marchione” deriva da “macchione”, ossia dal fatto che esso si trovava in un grande bosco (macchia), esteso per duemila “tomoli” (ettari 1200), destinato alla caccia ed al pascolo, del quale rimangono scarse testimonian-

ANTONIO FANIZZI

ze. Esso era attiguo al bosco della “masseria di San Pietro”, esteso per oltre settecento “tomoli”, pure di proprietà dei conti di Conversano ed anche con il bosco di Panicelli, circostante l’omonima masseria, in agro di Rutigliano, cittadina infeudata alla basilica di San Nicola di Bari, per periodi limitati concesso in affitto alla famiglia Carafa duchi di Noia, ora Noicattaro. Gli sconfinamenti operati dai signori e dai loro “bravi”, determinava controversie spesso finite nel sangue, derivate dal bracconaggio, attività alle quali partecipavano anche gli abitanti della confinante cittadina di Putignano. La notizia più antica finora nota relativa al castello risale al 1588 ed esso testimonia il rapporto che legava la città e la campagna e l’utilizzo del bosco, luogo dove si esercitava la caccia, sport preferito dagli antichi signori. Nel castello di Marchione, sul soffitto del salone centrale si trova uno stemma che consente di datare la ricostruzione dell’edificio: si tratta dello stemma Acquaviva d’Aragona, Filomarino e di Capua.


45 L’IDEA


46 L’IDEA

02 IL PRINCIPE FABIO TOMACELLI FILOMARINO DI BOIANO ACQUAVIVA D’ARAGONA A destra IL CASTELLO ALL’INIZIO DEL ‘900

Un “luogo di delizie” nella Murgia barese, che era fino a metà dell’Ottocento al centro di un vasto bosco

03 STEMMA ACQUAVIVA D’ARAGONA FILOMARINO DI CAPUA

Le armi del conte Giangirolamo II sono inquartate con lo stemma di sua moglie Isabella Filomarino e di Maria di Capua, moglie del loro primogenito, Cosimo duca di Noci. Giangirolamo II nacque da Giulio I e da Caterina Acquaviva d’Aragona, ultima dei duchi di Nardò, nel 1603 e morì il 14 maggio 1665 in Barcellona, in una sosta, dopo essere stato liberato dalla prigionia in Spagna. Egli intendeva andare a visitare Parigi e perciò si faceva portare in portantina, ma giunto a Barcellona si ammalò e morì. Isabella Filomarino, figlia del principe Tommaso e di Beatrice Guevara dei duchi di Bovino, nacque nel 1600 e sposò nel 1621 Giangirolamo II, mentre il loro primogenito, Cosimo, sposò nel 1646 Maria di Capua dei principi di Riccia, gran conti di Altavilla, figlia di Fabrizio e di Margherita Ruffo, nata, come Cosimo nel 1626. Anche Cosimo morì nel 1665, come suo padre, a seguito del duello combattuto in Ostuni con Petraccone V Caracciolo, duca di Martina, il 19 luglio 1665. Lo stemma è così blasonato: Filomarino, “[scudo] di verde, a tre bande di rosso profilate d’argento”, di Capua “[scudo] d’oro, alla banda d’argento, accostata da una gemella, di nero”. A ribadire, tuttavia, la supremazia di Casa


47 L’IDEA

04 SALONE CENTRALE DEL CASTELLO

Lo stemma dipinto sul soffitto del salone centrale consente di datare la ricostruzione del castello a dopo il 1646 Acquaviva d’Aragona di Conversano, impersonata in quel momento da Giangirolamo II, al punto d’onore, è lo stemma originario degli Acquaviva: “[scudo] d’oro, al leone rampante, azzurro. Sappiamo che il matrimonio di Cosimo, duca di Noci e Maria avvenne nel 1646 e pertanto il castello ricostruito in quel periodo, utilizzando la costruzione precedente, utilizzando le quattro torri cilindriche angolari collegate tra loro, abbassate e utilizzate come terrazzi. La costruzione dell’edificio, per la quale finora l’unica testimonianza documentaria è un contratto stipulato il 16 luglio 1721, tra l’”erario” del conte Giulio Antonio III, il notaio Angelo Paolo Punizzo e quattro “mastri” baresi e relativo alla costruzione del cortile e di due rimesse. Pertanto la costruzione risale alla prima metà del XVII secolo e non a Luigi Vanvitelli o a Luigi Ruffo, come molti continuano senza fondamento a ripetere. L’edificio conversanese ha una singolare caratteristica architettonica, è simile a quella dei palazzi veneziani, i quali hanno tutti un salone centrale, “portego”, sul quale si affacciano le altre stanze dell’edificio. E’ noto il legame secolare tra la Signoria veneta e la famiglia Acquaviva d’Aragona: nel castello di Con-

05 IL CASTELLO DI MARCHIONE NEGLI ANNI 30


48 L’IDEA


49 L’IDEA


50 L’IDEA

All’interno del castello sono conservati ritratti e cimeli degli Acquaviva d’Aragona, dei Filomarino, dei Capece Tomacelli e degli Enriquez 06 A destra ALBERO GENEALOGICO DELLA FAMIGLIA ERRIQUEZ, DUCHI DI CUTROFIANO E SQUINZANO ESTINTISI NEI FILOMARINO

07 CAPPELLA DEL CASTELLO

versano era conservato un quadro di Giovanni Cariani raffigurante un’Allegoria di Venezia (cm. 120x204), venduto nel 1985. Significativo è un curioso “Contrasto”, del 1635, tra le città di Venezia e di Napoli: “Napoli, il tuo valor è senza pari:/Acquaviva, ch’è il dei tuoi splendori/Carazzoli, Caraffi al mondo cari, degni di mille palme e mille allori/Capeci, Costanzi illustrie chiari/ del bel Sebeto tuoi cigni canori! Ma s’hai di nobilitate il pregio e il fiore/Forse ch’a te io son inferiore?” Del secolo precedente è il legame del duca d’Atri e conte di Conversano Giangirolamo I Acquaviva d’Aragona, messo in luce da Corrado Marciani (Il duca d’Atri Giangirolano Acquaviva e il suo amore per Venezia, in “Archivio Veneto”, 1972, pp. 12-23, ripubblicato in “Scritti di storia” vol. II, Lanciano 1974). Due figli del duca furono al servizio della Signoria veneta: Giovanni Antonio, “colonnello nelle armate di Venezia contro il Turco” e il vescovo di Caiazzo, Ottavio, generale dell’armata veneziana, morto tra il 18 e 23 giugno 1617. Per gli “eccessi” commessi nel 1671 da Giulio II

Acquaviva d’Aragona, poi conte di Conversano dal 1681 al 1691, nelle controversie con i componenti della famiglia dei duchi Carafa di Noia, peraltro loro cugini, egli fuggì a Venezia, dove lo raggiunse un sicario che avrebbe dovuto assassinarlo. Avvertita della faccenda la contessa Isabella Filomarino, nonna di Giulio, mandò a sua volta un sicario ad assassinare l’abate, il corpo del quale fu lì mummificato, poi appeso per oltre un secolo nell’armeria del castello di Conversano e fatto bruciare solo a fine Settecento. Nel 1697 un altro “eccesso” si verificò in Conversano: dal monastero di San Benedetto fuggì Dorotea Acquaviva d’Aragona, insieme a Rodolfo Carafa di Noia, i quali si imbarcarono nel porticciolo di San Vito di Polignano e raggiunsero Venezia, per vivere la loro storia d’amore, terminata appena due anni dopo! Il castello di Marchione rappresentò per la famiglia Acquaviva d’Aragona, insieme al “Boschetto”, originariamente luogo destinato alla caccia dei daini e nel quale è ancora presente un capolavoro di ingegneria idraulica: una grande vasca,


51 L’IDEA

08 PRESUNTO RITRATTO DI GIANGIROLAMO II ACQUAVIVA D’ARAGONA

alimentata da acqua piovana, per consentire l’abbeverata degli animali e tanto profonda da permettere giri in barca, un altro dei “luoghi di delizie”! Col dimorare in tali “luoghi” “si migliora il costume, si rettifica il cuore, si conserva in ottimo stato la salute”, scrisse il canonico Nicola Petino, di Castellaneta, nella sua opera Il nobile creduto contadino da’ suoi compatriotti per la continuata dimora in campagna illuminato dal filosofo (Napoli, Migliaccio, MDCCXCVI), nella quale egli evidenziava fra l’altro che alcuni animali erano erroneamente ritenuti nocivi: “tolt’i bruchi, le locuste e gli altri animalucci, cessarebbe nel mondo l’esistenza degli uccelli e il palato finirebbe di gustare il sospirabile tordo, l’esquisita beccaccia, ed altri”. Altra opere del genere sono quelle di Agostino Gallo, Le vinti giornate dell’agricoltura et de’ piaceri della villa, edita nel 1591, 1593, 1596, 1615, 1674 e 1757, quella di Nicodemo Martellini, Il passatempo del nobile in villa, descritto dal dottor Nicodemo Martellini, e distinto in tre parti. Nella prima si leggono alcune avvertenze

generali intorno all’agricoltura. Con il modo di conoscere gl’aspetti della luna. Nella seconda si notano i tempi propri per far seminar, e piantare. Con il modo di far buoni vini. Nella terza si vede un catalogo d’alcune herbe, e piante, che amano governo particolare. Con il modo d’incalmar ogni frutto, del 1708 e ancora Giuseppe De Lama, I piaceri della villa, 1795. Purtroppo nel corso dell’Ottocento, con il trasferimento della famiglia comitale a Napoli, il castello divenne una sorta di masseria, come si vede anche in una vecchia foto, con in primo piano un monumentale bue. Il magnifico edificio, tuttavia, è rinato a nuova vita dagli anni ’30 del 1900, grazie all’impegno di donna Giulia Acquaviva d’Aragona Tomacelli Filomarino (15.10.1887-28.11.1967), di suo figlio Fabio, principe di Boiano (6.8.1920-1.3.2003), e degli eredi di quest’ultimo, impegnati nel proseguire, con ammirevole impegno, l’opera di valorizzazione dell’importante testimonianza architettonica commissionata a metà Seicento da Casa Acquaviva d’Aragona

09 RITRATTO DI ISABELLA FILOMARINO ACQUAVIVA D’ARAGONA

Per volontà della principessa donna Giulia Acquaviva d’Aragona e di suo figlio Fabio, principe di Boiano, il castello dagli anni ’30 del Novecento è tornato a nuova vita



53 L’IDEA

Conversano, crocevia del turismo MICHELE LORUSSO

La sua posizione geografica consente di raggiungere mete turistiche importanti

C

onversano, città d’arte, è di per sé una meta turistica da non mancare. Posta su una collina a 219 metri sul livello del mare, dista solo 30 chilometri da Bari e otto dal mare. La vicinanza alla costa la rende meta ideale per il turismo balneare e in particolare per i vacanzieri che la mattina vogliono godersi il mare e la sera il clima collinare.

La città di Conversano brilla per il suo notevole patrimonio artistico, architettonico e culturale e ambientale. Tutto da visitare e da apprezzare. A cominciare dalla chiesa di Santa Maria dell’Isola, annessa all’omonimo convento fondato nel XV secolo da Giulio Antonio Acquaviva. Il tempio contiene il grandioso sepolcro di Giulio Antonio D’Aragona, fatto di pietra in stile rinascimentale, dipinto e dorato. Un altro gioiello


54 L’IDEA

01 I TRULLI DI ALBEROBELLO A destra IL SOFFITTO DELLA CHIESA DI SAN COSMA A CONVERSANO

Nel raggio di pochi km dalla Città dei Conti si può raggiungere facilmente buona parte della Puglia

02 CHIESA DI SANTA CATERINA

architettonico è rappresento dalla chiesa di Santa Caterina, con pianta a forma di quadrifoglio con cupola centrale, risalente al XII secolo. Vi è poi il Castello, di origine normanna, con diverse torri, una cilindrica, una ottagonale e tre torrioni quadrati. All’interno dell’antico maniero ha sede la Pinacoteca comunale che ospita, tra l’altro, le pregevoli tele della Gerusalemme Liberata realizzato da Paolo Fenoglio. Poco distante dal Castello si trova la Basilica Cattedrale, di stile romanico, la cui costruzione è iniziata tra l’XI e il XII secolo. A pochi metri dalla Cattedrale troviamo anche il monastero dei San Benedetto. Le badesse di questo monastero esercitarono per diversi secoli una vera e propria attività giurisdizionale ed ecclesiastica sul popolo e sul clero con poteri pari a quelli del vescovo. Nel 1809, con decreto di Gioacchino Murat, furono aboliti tali privilegi e passati al vescovo di Conversano. Una parte del monastero ospita il Museo civico. All’interno dell’edificio conventuale vi è la chiesa di San Benedetto, che merita di essere vistata. Un’altra importante chiesa da visitare è quella di San Cosma, con il suo ricco interno barocco fatto di stucchi, dipinti, affreschi e altari di pregevole fattura. Conversano è anche una meta importante per il turismo naturalistico: sul suo terri-


55 L’IDEA

03 UNA TELA DELLA GERUSALEMME LIBERATA DI PAOLO FINOGLIO: RINALDO E ARMIDA NEL GIARDINO INCANTATO

Da non perdere la visita alla Pinacoteca del Castello che contiene le tele della Gerusalemme Liberata del Finoglio torio, infatti, è stato istituito il parco regionale dei Laghi di Conversano e della Gravina di Monsignore, al cui interno ci sono alcune doline che con le piogge diventano laghi. In queste depressioni naturali si trovano antiche cisterne, risalenti, probabilmente, all’ epoca preromana, che venivano utilizzate come riserva di acqua per l’agricoltura. Ma al di là del suo patrimonio naturalistico, architettonico, paesaggistico e culturale, Conversano è un’importante meta turistica per la sua posizione geografica strategica: si trova infatti alle porte del comprensorio dei Trulli e delle Grotte. Dista solo 10 chilometri dalle Grotte di Castellana e da Polignano a Mare, legata al nome di Domenico Modugno; 15 da Putignano, famosa per il suo Carnevale, Monopoli e Mola di Bari, con il suo Castello Angioino, la Cattedrale, il porto e il mercato ittico; 30 dai Trulli di Alberobello, 40 da Locorotondo, famosa per i suoi vini; 50 da Martina Franca, che domina la Valle d’Itria; 57 da Ostuni, la Città Bianca; 60 da Altamura, nota per la sua Cattedrale; 64 da Matera, Capitale Europea della Cultura 2019; 85 da Trani, con la sua stupenda Cattedrale sul mare; 90 da Castel del Monte e da Brindisi. Insomma la Città Conversano è un crocevia importante per i turisti che, fermandosi più giorni nella Città dei Conti, possono visitare una gran parte della meravigliosa Puglia

04 LECCE, CHIESA DI SANTA CROCE


56 L’IDEA

01

A destra SALA CONFERENZE CON VISTA MARE, XXI PREMIO PINO PASCALI, BACHI DA SETOLA

Nel marzo del ’68, durante una mostra, Pascali espone dei “bachi da setola”, di lunghezza variabile, policromi, ottenuti allacciando insieme tanti spazzoloni di nylon

Il Museo Pascali

Nasce a Polignano a Mare a seguito di un importate lascito, da parte della famiglia, di opere appartenute all’artista ANGELICA GUGLIELMI

S

e si vuol rivivere l’Italia degli anni Cinquanta, in tutte le sue sfaccettature, basta attentamente osservare gli scatti fotografici dello scultore, pittore, performer, scenografo, costumista, pubblicitario: Pino Pascali. Una figura eccentrica e poliedrica, capace di contaminare con la sua creatività forme primarie e al tempo stesso mitiche della cultura, un artista che ha fatto della sua stessa vita un’opera d’arte con quell’inesauribile vitalità che lo contraddistingue. Ha scritto Nietzsche: “tutti gli storici ci raccontano di cose mai esistite, se non in quanto immaginate e narrate”. Ed è giusto, ed è bello immaginare e narrare la vita di Pascali come realmente fu, ma soprattutto come ci appare a cinquant’anni dalla sua morte. Pino (Giuseppe) Pascali nacque a Bari il 19 ottobre 1935 da genitori di Polignano a Mare: il padre Franco prestava servizio presso la questura di Bari, mentre la madre, Lucia Pomodoro era casalinga. Morto per un tragico inciden-

te l’11 settembre 1968, a soli 33 anni Pino Pascali contava già fondamentali recensioni critiche e personali. Nel 1998, a seguito di un importante lascito di opere e cimeli appartenuti all’artista da parte della famiglia, nasce il Museo Pino Pascali. Per l’occasione fu organizzata un’importante mostra retrospettiva dell’artista e, da allora, è incessante l’attività espositiva e di eventi del Museo. In particolare, nel 2010 il Museo si trasforma in Fondazione Pino Pascali, compartecipata dalla regione Puglia e dal Comune di Polignano a Mare (Ba), con statuto e regolamento interno. L’attuale sede (inaugurata il primo giugno 2012) è collocata nell’ex mattatoio comunale restaurato, sito a strapiombo sul mare, quasi un omaggio alla casa sul mare che Pascali tanto desiderava. La Fondazione è strutturata in modo da lavorare per contenitori al fine di offrire una visione dell’arte quanto più eclettica e in linea con le principali ricerche linguistiche d’avanguardia del momento.


57 L’IDEA


58 L’IDEA

Oltre alle opere di Pascali, sono esposte creazioni di artisti pugliesi dell’ultimo trentennio oltre alle opere vincitrici del Premio intitolato all’artista polignanese

03 PINO PASCALI, BACHI DA SETOLA

Oltre ad un consistente nucleo di opere dello stesso Pascali, la Fondazione espone le opere di alcuni degli artisti pugliesi più significativi dell’ultimo trentennio oltre alle opere degli artisti vincitori dell’importante Premio intitolato all’artista pugliese. La collezione permanente e le mostre temporanee restituiscono al pubblico un’offerta culturale in linea con gli standard museali più apprezzati al mondo, tanto da veder assegnato, nel 2013, il Primo Premio come Miglio Fondazione d’Arte Contemporanea d’Italia. Converrà ricordare come sul finire del 2018 il Museo si è arricchito di un’importante opera dell’artista: si tratta dei celebri Bachi da setola provenienti dalla raccolta di Fabio Sargentini. Scopo della Fondazione è la promozione della figura di Pino Pascali e la promozione e la valorizzazione dell’arte moderna e contemporanea in tutte le sue forme ed espressioni, nonché la esposizione, conservazione, manutenzione e valorizzazione dei beni culturali ricevuti o acquistati a qualsiasi titolo, rendendoli noti e fruibili ai fini


59 L’IDEA

di studio, ricerca e di educazione, nonché quello di assicurare continuità, sostenendo e potenziando anche con il reperimento di adeguate risorse e strumenti finanziari, la manifestazione denominata “Premio Pino Pascali”. In particolare, la Fondazione si propone di istituire, finanziare e gestire una struttura polifunzionale e multimediale per le arti visive, che partendo dalla figura dello scultore pugliese, valorizzando l’arte contemporanea e moderna in tutte le sue forme, mira ad inserirsi nel dibattito internazionale sull’arte contemporanea e moderna, attraverso la ricerca, la sperimentazione, la promozione e diffusione di nuovi linguaggi multimediali spaziando dalle arti visive alla fotografia, al video, alla performance, alle installazioni ambientali e spettacolari. Il Museo “Pino Pascali”, pertanto, racchiude in sé una storia tutta italiana, una storia mediata e rappresentata dallo sguardo dell’artista che apre molteplici scorci e punti di vista sull’arte contemporanea ai suoi visitatori


60 L’IDEA

Nel 1900 la masseria fortificata divenne di proprietà della famiglia Boccardi. Per oltre 70 anni è stata un’azienda agricola trasformata poi in residenza estiva della famiglia. È stata restaurata nel 1996 valorizzando i pregevoli loggiati, gli eleganti saloni, la pittoresca scuderia, il laghetto e la grotta naturale per essere adibito a prestigiosa sala ricevimenti

La storia di Villa Menelao Comincia alla fine del XVIII secolo nelle campagne di Turi

N

ella rigogliosa campagna di Turi ha inizio nel 1770 la costruzione di una masseria fortificata che tra il 1810 e il 1840 sarà acquistata dal generale buonapartista Domenico Menelao, insieme all’intero parco circostante di 20 ettari. Divenuta nel 1900 proprietà della famiglia Boccardi, la masseria è stata un’operosa azienda agricola per oltre 70 anni, per poi trasformarsi nella residenza estiva della famiglia. Nel 1996 ha avuto inizio il restauro, valorizzando i pregevoli loggiati, gli eleganti saloni, la pittoresca scuderia, il laghetto e la grotta naturale per essere adibito a prestigiosa sala ricevimenti. Nel 1999 si realizza il parco antistante la villa con annesso parcheggio per 150 auto. Nel 2001 visto le innumerevoli richieste di ricevimenti numerosi, viene ampliata la scuderia con capienza di 300 posti per tutti gli ospiti previsti. Nel 2003 si amplia anche l’angolo bar e si ristruttura la Sala Buffet per realizzare serenamente all’interno, in caso di clima inclemente, i buffet di antipasti e di frutta e dolci inoltre sempre quest’anno si impianta la unità operativa della pasticceria con creazione del marchio “I Maestri Pasticceri”. Nel 2004 si procede con l’ampliamento di 6.000 mq di parco, dove realizzare il buffet di antipasti e di

frutta e dolci, intorno alla piscina, e alla cascata con possibilità di posti a sedere per tutti gli ospiti. Nel 2010 viene realizzata la Grande Corte con porticato coperto che accoglie 350 posti seduti e chiosco centrale per realizzare buffet all’esterno completo di cucine a vista. Nel 2011 di fronte alla suggestiva facciata della chiesa Santa Chiara, tra le mura incantate del centro storico, erge un palazzotto che viene ristrutturato e nasce così “Menelao a Santa Chiara” dove a far da padrone, è il vero e imprescindibile legame dell’antico e del moderno, il vecchio e il nuovo, profumi di tradizione e innovazione possono essere percepiti dalla genuinità dei prodotti locali e d’oltremare. Inserito nel 2012 nella guida Michelin e in tutte le più importanti guide nazionali. Nel 2013 L’Antica Scuderia viene rinnovata nella pavimentazione riportando alla luce le antiche chianche. Nel 2015 si realizza il grande progetto di “Menelao alle Cummerse” per soddisfare le richieste di ricevimenti di lusso, secondo un nuovo concetto di marketing territoriale. Il Borgo delle Cummerse di Villa Menelao si erge all’interno di un’area naturalistica con 200 ulivi secolari che da una parte la delimitano e che al arricchiscono all’interno delle venti Cummerse esistenti, dove poter realizzare eventi di altissimo pregio


61 L’IDEA


62 L’IDEA

STRUTTURE RICETTIVE

WWW.CIAOHOTEL.IT

CiaoHotel, un residence nel cuore della Puglia “Ciao” come lo stile cortese e informale che contraddistingue coloro che gestiscono l’hotel-residence nel cuore del Sud Est barese. Uno staff giovane e preparato, data l’esperienza decennale, sa accogliere l’ospite che visita il territorio per lavoro, per incontri istituzionali oppure per scoprire le meraviglie di una terra dalla vocazione turistica in forte espansione, la Puglia. Conversano è la città in cui nasce Ciao Hotel Residence, sul crocevia tra i Trulli di Alberobello, le Grotte di Castellana e la scogliera “dipinta di blu” di Polignano. Dista 30 chilometri dal capoluogo barese e vanta una posizione agevolata per raggiungere la splendida Valle d’Itria e il magico Salento (a sud) e l’imponente Murgia (a nord). Il residence garantisce una vacanza pratica e ideale, grazie a suite confortevoli che ospitano anche 5 persone, a

un arredamento sobrio e spazioso e alle facilities come il collegamento wifi gratuito e la TV satellitare. L’angolo cottura consente di vivere l’esperienza di soggiorno a guisa di un’autentica dimensione domestica. La colazione è uno dei fiori all’occhiello della struttura, data l’ampia scelta che viene proposta all’ospite. Sempre pronto a esaudire ogni richiesta, lo staff è a disposizione per transfer e visite guidate nei territori limitrofi, così ricchi di attrazioni, storia ed eventi culturali. Molto apprezzati i corsi di cucina tradizionale organizzati dal personale di Ciao Hotel Residence in collaborazione con importanti attività di ristorazione locale. Un’esperienza di ospitalità a 360 gradi che non manca di risultare anche conveniente sotto il profilo del costo. La struttura si trova a Conversano in via Paolo Manosperta, 4. Telefono +39 080 4951290 - www.ciaohotel.it




Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.