Kainòn n2

Magazine ufficiale del Liceo "F. Fiorentino" n°2

A.S. 2021/2022

kainòn

N°2 Un magazine con cui vi racconteremo di noi, dei nostri studi e delle nostre passioni

L'Editoriale

di Nicolantonio Cutuli Con entusiasmo e tanti buoni propositi e desideri, abbiamo iniziato un nuovo anno scolastico, all’insegna della partecipazione, dell’incontro, della socializzazione, delle attività curriculari ed extracurriculari.

Seppur con le dovute attenzioni e nel rispetto delle norme rivolte al contenimento della pandemia, già dai primi giorni, grazie alla passione e alla competenza dei docenti, alle collaborazioni esterne, all’impegno di tutti, abbiamo lavorato per ampliare l’offerta formativa della nostra scuola e per rispondere alle specifiche inclinazioni e ai personali interessi di ogni allievo, ma soprattutto per consentire a tutti di vivere la scuola in presenza, favorire l’interazione sociale e superare i possibili disagi che la pandemia ha prodotto. La scuola come abbiamo avuto modo di constatare è fondamentale per la socialità, qui si stimolano la conoscenza e l’arricchimento che derivano non solo dalla cultura trasmessa, ma anche dalle relazioni vissute, dalla diversità tra le persone, perché insieme si impara, si matura, si cresce.

Abbiamo realizzato nuovi percorsi didattici (tanto per citarne qualcuno: la rassegna “Fiorentino d’Autore”, la mostra “Le forme del paesaggio” con i disegni originali del 1823 di Edward Cheney; la partecipazione e premiazione con 1º e 2º posto al concorso diocesano «I poveri li avete sempre con voi»; la rassegna “Libriamoci” con un intenso programma di letture; le attività teatrali; le attività sportive; le numerose creative attività di Arte-Ficio) e tanti altri sono in cantiere, nella continuità degli insegnamenti e nella coerenza dei principi educativi, per promuovere l’identità ed il senso di appartenenza, stimolare la motivazione, valorizzare i rapporti interpersonali, creare un ambiente socialmente coinvolgente, ritrovare la serenità e vivere le relazioni, riattivando anche gli strumenti di partecipazione effettivi a disposizione degli studenti (come le assemblee di classe e d’istituto).

Sono molto felice per questa nostra considerevole ripartenza e per quanto siamo riusciti a realizzare, per i successi ottenuti dai nostri alunni e dalla scuola e per quanto ancora abbiamo da fare. Ringrazio tutti per la collaborazione e l’impegno con cui ciascuno sta lavorando.

Le pagine del nostro giornalino Kainòn che seguono, sapranno raccontarci le passioni, le emozioni, i pensieri e le esperienze vissute dai protagonisti della scuola: i ragazzi e le ragazze che hanno trasformato entusiasmo e passione in articoli, immagini, racconti, foto e tanta voglia di mettersi in gioco, con questa esperienza che ha la pretesa di divenire un bel laboratorio di crescita e acquisizione di nuove competenze per una scuola che vuole “crescere, raccontarsi e camminare insieme”.

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PSICHE-SOMA “Il Mondo Onirico”

di Jacopo Giuseppe Saturno

Il sogno ha sempre esercitato un enorme fascino sull’essere umano: da sempre l’umanità non ha potuto fare a meno di chiedersi quale fosse l’origine di queste immagini bellissime o spa-

ventose, piacevoli o tormentate, che talvolta la nostra mente vive mentre il corpo dorme.

La lunga storia dell’interpretazione del sogno, come fenomeno, inizia nell’antica Grecia.

Se avessimo chiesto a Socrate delucidazioni riguardo ai sogni ci avrebbe probabilmente raccontato di quando nel sonno una bellissima donna gli comparve per annunciargli la morte imminente. Il tema del sogno premonitore era, infatti, molto sentito nella cultura greca, rendendo l’onirico un punto d’incontro tra il mondo dei morti e quello dei vivi, non a caso il "sonno" era considerato fratello della morte.

Ad interrogarsi sulla natura onirica non furono solo saggi occidentali: perfino la storia di Siddharta Gautama, noto ai posteri come Buddha, che significa appunto "Risvegliato", è costellata di sogni premonitori che - si legge - accompagnarono il suo viaggio verso l’illuminazione per poi spingere centinaia di milioni di persone a seguire il suo esempio.

Tuttavia, se le culture antiche intendevano i sogni come manifestazioni del mondo ultraterre-

no, la nostra civiltà moderna, invece, forse anche nutrita di una buona dose di materialismo, ha prima liquidato il sogno come "illusione futile" e "vuota fantasia" (Kant e Cartesio) e poi ha cercato di interpretarlo usando la scienza. Tra le varie scienze proprio la psicologia si è rivelata il mezzo più efficace per risolvere il grande mistero dell’attività onirica. A partire dallo stesso Sigmund Freud, molti psicologi hanno operato al confine tra scienza e filosofia per esplorare in profondità l’animo umano (non a caso "psiche" significa anche "spirito").

Da espressione di una dimensione dell’essere più alta e a volte di difficile comprensione, i sogni sono così diventati una rappresentazione del nostro subconscio, della parte più remota della nostra anima, un mezzo che la nostra mente usa per comunicarci i desideri e le paure che spesso non sappiamo neanche di avere. Il sogno, insomma, è un momento di introspezione e di scoperta di sé, che ci porta...anzi ci obbliga, a confrontarci col nostro subconscio, con la parte più recondita del nostro animo.

Sognare è un’attività che coinvolge l’individuo su tutti i livelli (eccetto quello propriamente fisico), e risulta pertanto un tema troppo affascinante per suscitare l’interesse solo di una manica di scienziati e filosofi. I sogni spaventosi o emozionanti sono stati, infatti, al centro di un gran numero di opere d’arte nel corso dei seco-

li ma la più famosa è indubbiamente “Il sogno della ragione genera mostri” di Francisco Goya, nella quale l’artista ci mostra i pericoli a cui la nostra psiche è esposta nel sonno: quando la parte razionale dorme, allora gli incubi e le paure vengono a galla per tormentarci.

I sogni, tuttavia, non devono essere per forza spiacevoli: è il caso, per esempio, della “Sonnambula” di Bellini, in cui la legge della ragione è sospesa e rimane spazio solo per l’emozione e la sensualità.

Insomma...desideri, idee e sentimenti trovano la loro più pura rappresentazione nel mondo onirico, che travalica la semplice fantasia e arriva a confondersi, almeno ai nostri occhi, con la realtà. E del resto proprio la concezione del sogno come realtà ha arricchito le opere di uno dei più importanti scrittori del secolo scorso: Franz Kafka.

Nelle sue opere il mondo fisico e quello onirico

si fondono indissolubilmente, per invitare il lettore ad insistere sugli aspetti più impenetrabili e oscuri della vita e dello spirito. L’autore crea mondi che non potrebbero esistere al di fuori del sogno, in cui la realtà si annulla svelando come veramente autentico, proprio ciò che è più irrazionale e inaspettato.

Il sogno e la sua vera natura restano in sostanza un mistero anche se l’essere umano si è spinto al massimo nel tentativo di interpretarlo, provando a spiegarlo nei modi più disparati e attingendo in egual misura alla religione, alla filosofia e alla scienza. Ed è un dato di fatto l’importante ruolo che col tempo ha assunto nell’arte e nella letteratura, quasi come una tacita ammissione da parte dell’umanità della propria incapacità di trovare, anche in un’epoca governata dalla tecnologia, una spiegazione razionale. In ultima analisi...forse è proprio questa la sua ragion d’essere: ricordarci che l’ignoto e l’inspiegabile continuano ad esistere, nonostante a noi oggi piaccia pensare di poter sapere tutto semplicemente con una ricerca sul motore google.

INTERVISTA A...

Antonio Barillà

di Caterina Carnevale, Alessia Casella, Mariateresa Suppa

Antonio Barillà, calabrese di Lamezia Terme, classe 1965, prima firma della Juventus per La Stampa.

Diplomato al Liceo Classico “F Fiorentino” e laureato in Giurisprudenza, ha lavorato per Tuttosport e per il Corriere dello Sport-Stadio. Ha seguito tre Mondiali, un Europeo e quattro finali di Champions League, avendo la fortuna di raccontare la notte magica di Berlino 2006.

testate “schierate” suggerisca tagli non oggettivi. Sono eccezioni, però. Il giornalismo è imparzialità, servizio, rispetto per il lettore, divisione netta tra commento e cronaca. E spesso, nella giungla web, a “montare” non sono professionisti.”

Tornando alla sua formazione, sappiamo che ha frequentato il nostro liceo, si ricorda il motivo dell'iscrizione?

“Avevo una grande passione per le materie umanistiche e rappresentava appieno la mia inclinazione. Infatti il classico aveva e ha un'ottima idoneità.”

Tip! IL GIORNALISTA ANTONIO BARILLÀ SI RACCONTA:

“Consiglio ai ragazzi di guardare lontano”

Com'era il liceo all'epoca?

Buongiorno, innanzitutto in cosa consiste il suo lavoro?

“Buongiorno, io sono un giornalista presso il quotidiano “La Stampa” ed in particolare mi occupo di giornalismo sportivo. Sono un inviato per la Juventus e gestisco il coordinamento redazionale.”

Qual è stato il momento in cui ha capito di voler intraprendere la carriera del giornalista?

“Proprio negli anni del liceo. Collaboravo con alcune radio private e mentre i miei amici si divertivano con la musica, io amavo raccontare la cronaca del territorio.

Credo mi abbiano influenzato molto i libri di Luca Goldoni, inviato del Corriere della Sera e osservatore di costume.”

Quale consiglio darebbe ad un ragazzo che oggi vuole intraprendere il medesimo percorso?

“Consiglio di studiare, frequentare corsi di preparazione che garantiscano serietà, di fare esperienza anche in piccole testate. Soprattutto, di non abbattersi davanti alle difficoltà. La crisi dell’editoria non offre certezze e alimenta il precariato. È giusto, quindi, riflettere sulle reali pros-

pettive di lavoro senza lasciarsi condizionare dal fascino antico di un mestiere in estinzione, o comunque in radicale trasformazione: sono pochissimi, ormai, i giornalisti che hanno la fortuna di girare il mondo per testimoniare eventi, trasferire emozioni attraverso la scrittura o la voce. Se il sogno è radicato, però, mai abbandonarlo. Vale per qualsiasi mestiere.”

C'è una persona che considera come un “maestro” nella sua carriera?

“Ho lavorato con direttori molto bravi, da Minà a Iacobelli, da Anselmi a Molinari a Giannini, ma ricordo con particolare gratitudine il primo, Alfio Tofanelli, meno noto ma prezioso per la mia formazione. Al di là dei vertici, credo si impari quotidianamente da ogni collega: anche dai giovani, custodi di segreti web e social che sfuggono talvolta alla mia generazione.

Qual è il ricordo più bello della sua carriera?

“Il ricordo più bello è la notte berlinese del 2006, quando ho avuto la fortuna di raccontare la finale del Mondiale di Calcio vinto dall’Italia: entrando allo stadio ho ripensato ai miei primi passi, alla prima partita raccontata. Era una sfida tra dilettanti, Corigliano Schiavonea-Sambiase.”

Oggi molti giornalisti preferiscono “montare” la notizia piuttosto che raccontare la verità, cosa ne pensa?

“Penso che la ricerca del like e dei contatti web alimenti il sensazionalismo e che il proliferare di

“Era una scuola di prima generazione, infatti, avevo frequentato IV-V ginnasio al San Domenico e dal primo liceo avevo cambiato sede.

Ricordo che l’edificio era ancora in costruzione, l'ambiente era simpatico dal momento che l'idea di “puzza sotto il naso” veniva spazzata da una preparazione alta e da ottimi rapporti. I professori erano rigidi e paterni e con i compagni custodisco ancora oggi legami leali ed importanti.”

Cosa si è portato a livello emotivo ed umano del liceo?

“Il ricordo più bello è l'esempio dei docenti, che si comportavano non solo da insegnanti ma anche da genitori severi. Inoltre, come dicevo in precedenza, conservo amicizie molto forti nate proprio tra i banchi di scuola.”

La formazione classica l'ha aiutata all’università ed è ancora utile nella sua vita?

“Molto, al liceo impari degli aspetti che ristudi all'università in modo approfondito e, soprattutto, acquisisci un corretto metodo di studio.

Io ho frequentato la facoltà di Giurisprudenza all'Università di Pisa e la mia formazione pregressa mi ha aiutato per ragionare e studiare. È vero che le lingue straniere servono, ma si possono sempre imparare anche con corsi esterni alla scuola, invece il greco e il latino no.

Ricordate che non sono “lingue morte” e studiandole avrete sempre qualcosa in più: ragionare è importantissimo.”

Ha dei consigli per i nostri giovani lettori?

“Consiglio di saper guardare lontano ed inseguire i propri sogni. Ricordatevi che il sacrificio che oggi fate non è mai fine a se stesso, ma è per il futuro, per tutto ciò che vorrete diventare.”

Per concludere, ci racconta un aneddoto che, secondo lei, rappresenta al meglio gli anni trascorsi nel nostro Istituto?

“Io ho moltissimi aneddoti, ma uno in particolare è diventato un piccolo rimpianto. Ci portarono a Siracusa per vedere la rappresentazione di alcune tragedie greche nell’antico teatro. A 17 anni non riuscii ad apprezzarle e pensai a divertirmi con gli amici (com’è anche giusto a quell’età). Crescendo sarei voluto ritornare ma non ho trovato il tempo, però se mai dovesse capitare ripenserò sicuramente a quei momenti speciali” È stato un vero piacere parlare con lei, grazie.

“Grazie a voi.”

LA NOSTRA VOCE SU...

“La nostra scuola”

di Antonio Conte, Paola D’Amico, Camilla Latelli, Federica Vaccaro

“Donne, ieri e oggi”

di Marco Benincasa

lento possono essere una prigione per una donna che lo teme, le parole di una donna coraggiosa possono battere non solo quelle dell’uomo ma anche quelle degli altri uomini grazie alla testimonianza.

Nella società di oggi si assiste alla sempre più preponderante tendenza ad analizzare la realtà generalizzandola: anche il nostro liceo, il classico-artistico “F. Fiorentino”, spesso è stato vittima di stereotipi, come quello di essere ancorato all’antico, nonostante abbia sempre cercato di rinnovarsi, per essere al passo con i tempi.

Si studiano solo il latino e il greco? Tante persone credono che gli studenti del liceo classico non abbiano una buona preparazione nelle materie scientifiche, perché troppo impegnati a studiare le materie –cosiddette"morte", il latino e il greco. Ma non è così: la logica, alla base delle discipline scientifiche, si ritrova identica nello studio delle lingue antiche. Inoltre, dal latino derivano tantissime delle lingue parlate oggi: l’italiano, lo spagnolo, il francese ed il portoghese. Più che lingue morte sono lingue vive, perché le riportiamo in vita nella nostra quotidianità! Non siete mai stati in ospedale? Lì moltissimi termini derivano etimologicamente dal greco e dal latino: pediatria, oncologia, dermatologia… e sono solo alcune! Queste lingue contribuiscono alla crescita culturale degli individui, facendo scaturire curiosità di ogni genere: guardandoci attorno, ci rendiamo conto che ogni cosa che ci circonda è specchio di questo enorme bagaglio culturale, che abbiamo ereditato.

Studiare al liceo classico impedisce di avere tempo libero da dedicare ai propri hobby? Non è così, basta solo acquisire la capacità di organizzazione: sapersi dare degli orari da rispettare, mettere in ordine i propri impegni in base al tempo, dare spazio alle proprie necessità.

Tutto ciò è essenziale per la crescita sociale e culturale di noi studenti. E anche le relazioni interpersonali sono importanti e vanno coltivate con cura. E poi… i Romani amavano affermare Mens sana in corpore sano: come potremmo noi dare loro torto? Lo sport è importante per ogni essere umano, soprattutto per coloro che svolgono attività didattiche impegnative. Seguire corsi extra scolastici, uscire con gli amici e conoscere nuova gente, arricchisce la formazione di noi ragazzi, perché solo

dopo queste attività siamo in grado di concentrarci di più sullo studio, acquisendo l’elasticità mentale atta ad assorbire tutte le nuove informazioni, conoscenze che incontreremo nel nostro cammino e a creare il ricco bagaglio derivante dalle nostre esperienze.

Perché le materie classiche aprono la mente? Anche se non tutti se ne accorgono, quando gli studenti hanno davanti a sé una versione di latino o di greco, devono prestare attenzione tanto al particolare (le singole parole, i complementi, i costrutti di sintassi) quanto all’insieme (il senso generale del testo): l’apparente calma dell’attesa ed il controllo dell’ansia, l’attitudine a rivedere criticamente le idee, ma anche a comprendere il significato profondo dei termini, a porsi problemi e a ricercare soluzioni, ad esaminare ciò che è visibile, a cogliere ciò che possa mancare nel quadro. Ecco tutti i sentimenti che si alternano nelle azioni che portano al completamento di una traduzione.

Ma come si vestono al Liceo Artistico? Così come il liceo classico, anche il liceo artistico è bersagliato da stereotipi: uno di questi riguarda proprio l’abbigliamento, lo stile, che è il modo in cui ognuno di noi esprime la propria personalità. Ma perché? Non si può essere se stessi senza temere né etichette né pregiudizi? Certo che sì e i nostri compagni del liceo artistico lo fanno, ognuno con il proprio stile: a volte è uno stile caratterizzato dal nero punk, altre volte è ricco di colori, perché gli artisti sono liberi di esprimersi con ogni tinta, con ogni oggetto che desiderino, bracciale, collana o maglietta che sia. L’aspetto esteriore è solo un “involucro”, un “contenitore”, che può dire tutto o nulla dell’interiorità delle persone.

Siamo sempre in tempo per capirlo.

La scelta del liceo classico-artistico potrà forse sembrare controcorrente: ma essa risulta, invece, una scelta davvero moderna e adatta ad orientarsi in un mondo così complesso e frettoloso, in cui non smarrirsi è una sfida quanto mai attuale.

Dante paragonava la donna a un angelo: il passaggio di costei era considerato un miracolo e il suo saluto era reputato salutifero, cioè purificatore. Infatti, per Dante, la donna faceva da tramite fra l’uomo e Dio: nei primi canti del Paradiso il poeta dice di vedere il sole, allegoria di Dio, attraverso gli occhi di Beatrice, capace di guardare questo sole come neanche un’aquila farebbe. Quindi per gli stilnovisti la donna era un essere quasi divino, paragonabile a un angelo.

Parallelamente allo Stilnovismo nel 1200 si sviluppa un altro genere poetico che ne ribalta i canoni, quello della poesia comico-realistica: la donna era oggetto di scherno ed era annoverata da Cecco Angiolieri, assieme al bere e al gioco, fra le cose che lo rendevano felice. Al termine della poesia, S’i fossi foco arderei ’l mondo, lo stesso autore diceva che avrebbe preferito tenersi le donne giovani e belle, lasciando le vecchie e brutte agli altri!

Ma c’è ancora bisogno oggi di definire la donna? Non possiamo solo affermare che la donna, così come l’uomo, è un essere umano, senza considerarla come un essere inferiore o superiore all’uomo stesso, senza che nessuno pensi di trattarla come un oggetto?

La violenza sulle donne, tematica alla quale è dedicata la giornata del 25 novembre, è segno di debolezza e scarsa razionalità da parte degli uomini: un uomo violento –non dimentichiamolo- è pur sempre un uomo consapevole di ciò che fa e la donna è una vittima della sua ossessione o della sua gelosia. Le donne devono farsi coraggio e chiedere aiuto se subiscono violenza verbale o fisica. Se le parole di un uomo vio-

Com’è possibile che nel 2021 non tutte le donne possano fare ciò che vogliono e che alcune dipendano dai loro mariti? Ciò avviene sia in Occidente che in Oriente. In Italia, per esempio, i dati sulle violenze domestiche nell’ultimo anno hanno avuto un’impennata rispetto al passato e anche il numero dei femminicidi nel 2021 (ad oggi) è più alto dello stesso periodo del 2020; in Afghanistan –per andare in Oriente- le donne non hanno alcuna libertà: non possono entrare in politica né insegnare e sono costrette ad indossare un velo che le celi al mondo e a se stesse. Ma una donna non è un essere privo di libero arbitrio, ma la protagonista della propria vita: è lei che deve scrivere il suo destino e tutti dobbiamo solo far sì che la penna con cui scrive, scriva in modo continuato e non a tratti.

Ci sono donne che hanno fatto la storia: Cleopatra, Marie Curie, Rita Levi Montalcini, Giovanna D'Arco, Madre Teresa, Margaret Thatcher, Malala Yousafzai, Anna Bolena. Altre sono meno note: per esempio, Ipazia (che nel IV secolo d.C., 1200 anni prima di Keplero, aveva capito che l’orbita della Terra era ellittica), Rosalind Franklin (grazie ai suoi studi si scoprì che il dna aveva la forma di una doppia elica), Amelia Earhart (che stabilì il record mondiale di altitudine in aeroplano e fu la seconda persona a sorvolare l’Atlantico).

Insomma, le donne da sempre hanno avuto un ruolo importante nella storia, ma molte volte non è stato considerato; altre volte, invece, le donne non hanno potuto raggiungere risultati di portata storica, perché non è stata data loro la possibilità di studiare.

Oggi si tenta di raggiungere la parificazione effettiva nei diritti tra uomini e donne, ma nonostante questo, i dati sulle violenze perpetrate contro le donne sono in brusca ascesa. Speriamo che si raggiunga presto questo traguardo ovunque nel mondo.

LA NOSTRA VOCE SU...

“I poveri tra noi” di Stella Roperto

“Gli invisibili” di Alina Costantino

Dalla partecipazione al Concorso: “I poveri li avete sempre con voi”, promosso dalla Caritas Diocesana di Lamezia Terme insieme all’Ufficio Scuola diocesano, in occasione della V Giornata Mondiale dei Poveri (14 Novembre 2021), sono scaturiti dalla creatività e soprattutto dall’attenzione verso la problematica della povertà, esposta in forme e stili diversi, tanti bei lavori, di cui i nostri due sono stati premiati.

Niente come Salvezza se non usiamo la bellezza della carità e della solidarietà.

Niente come Umanità se non usiamo

"I POVERI TRA NOI" Stella Roperto

di un’umanità indifferente.

“GLI INVISIBILI” Alina Costantino 2° Classificata

gli abbracci della pietà.

Passano sulla scena del mondo Liberiamo i nostri animi

“Tutti siamo bravi ad essere indiffe-

in punta di piedi

dal freddo della compassione,

per non turbare gli occhi

dalla fiamma

renti. Ma pochi sanno aiutare. I pochi

di chi non vuol guardare

della condivisione

che aiutano fanno di tutto per rendere

Scendono nel cuore

e i cuori di chi

nasce il calore

della terra

non vuol ascoltare.

della comunione.

felice il prossimo.

con occhi spenti e sofferenti

Il treno della povertà

Un gesto d’amore e

Il disegno rappresenta la mano di chi

incavati ed ignari;

corre veloce

di vicinanza

aiuta il prossimo, in questo caso, un

naufragano negli abissi

e, ad ogni fermata,

può salvare un mondo ingiusto

bambino fragile come il vetro che la

dei nostri mari

aggiunge una croce.

e senza più speranza.

con corpi

Fermiamo questa corsa

Può riempire di stelle

mano sta tenendo. Ad essa è affidato

laceri e magri

rapidamente

la notte di chi è bisognoso

per cercare un tozzo di pane

disperatamente

di una carezza

ovunque li porti la fame.

o, al termine del viaggio,

sulla propria pelle.

Vanno di gente in gente

non sarà rimasto più niente.

Può offrire il pane della vita

con lo sguardo piangente

Niente come Amore

a questa umanità smarrita.

seduti all’ombra

se non usiamo il cuore.

1° Classificata

il compito di prendersene cura e soprattutto assicurargli un futuro”

ARTE-FICIO

“Lavorare con arte III”

Il Liceo classico artistico F. Fiorentino con il progetto “Inside” in mostra a Pizzo davanti al presidente Mattarella.

“Un progetto ma anche una testimonianza importante, quella di una scuola che durante il periodo difficilissimo del lockdown, non solo non si è fermata, ma ha continuato ad essere viva e creativa. Il progetto “INSIDE” con le sue opere artistiche lo conferma. Ed è bello e ci riempie di orgoglio il fatto che tutto ciò sia stato anche apprezzato e valorizzato dal Ministero dell’Istruzione, tant’è che il nostro progetto è stato selezionato tra tutti quelli inviati dalla Consulta Studentesca Regionale". Il dirigente scolastico Nicolantonio Cutuli nel fare gli auguri di buon inizio di anno scolastico a tutti gli studenti del Fiorentino, ai docenti, al personale della scuola, alle famiglie, ha espresso "soddisfazione e orgoglio per come hanno lavorato gli alunni, per i sacrifici e la voglia di fare dei docenti che li hanno affiancati senza mai abbandonarli, soprattutto nel perio-do più difficile della pandemia".

Nella giornata di inaugurazione del nuovo anno scolastico alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e del Ministro Patrizio Bianchi, il Liceo Fiorentino ha portato le sedie artistiche create dagli studenti. Esperienza indimentica-bile quella della studentessa Valentina Maria Francesca Falvo (accompagnata dalle docenti Giuliana De Fazio e Antonella Rotundo) che ha parlato a nome dell'istituto lametino davanti al presidente Sergio Mattarella ed ha spiegato il senso di questi oggetti che sono anche simbolo antico di una scuola mai cosi rimpianta. "Le nostre sedie fanno parte di una mostra in digitale che oltre alle motivazioni specifiche rientrano in un progetto proposto alle consulte studentesche reinterpretando i gironi danteschi rappresentati in una sorta di condominio. In particolare, le sedie qui presenti sono il prodotto del pro-getto che prende il nome Inside, letteralmente tradotto Dentro. Questo progetto ha offerto la possibilità di adattarsi alla situazione attuale che ci siamo ritrovati a vivere, permettendo quindi di creare un piccolo laboratorio artistico all'interno della propria abitazione, portando un pezzetto della scuola a casa. Si tratta di sedie dismesse che sono state reinventate in chiave artistica, donando a loro una nuova vita, con materiali che ogni individuo aveva a disposizione. Non potendo

quindi avere il contatto diretto con i docenti nei laboratori della scuola, la condivisione di questo progetto avveniva attraverso le cellette degli incontri online".

Sul significato stesso del progetto e sulla sua nascita, le docenti Rotundo e De Fazio ricordano che è "nato dalle necessità di creare occasioni e gesti che aiutino ad interpretare il tempo speciale che stiamo vivendo".

Dunque, "costituisce una piccola riflessione su questo periodo con il linguaggio dell’arte, un linguaggio che ci fa cogliere, oltre le parole, il senso profondo di ciò che ci circonda , e ci aiuta ad essere comunque vivi e creativi. E se la scuola è stata distante , un dismesso pezzetto di scuola è stato portato a casa per essere reinventato. Ogni DENTRO - il proprio spazio domestico - è diventato laboratorio artistico da poter condividere soltanto attraverso le consuete finestrelle degli incontri online". Da parte del DS Cutuli vanno, inoltre, i ringraziamenti al collega Francesco Vinci, Dirigente Scolastico dell’Istituto Tecnico Nautico di Pizzo per l’ospitalità ricevuta e per la dottoressa Franca Falduto che si è occupata della presentazione al Ministero di tutti i progetti e delle opere delle scuole della nostra regione.

VIAGGIO NEL CINEMA “Il cinema, una finestra dentro e fuori di noi” di Antonio Durante

L’Afide e la Formica è il film girato da Mario Vitale a Lamezia Terme, sua città d’origine, con attori noti come Giuseppe Fiorello e Valentina Lodovini.

correndo si scappa”, nel suo caso scappare probabilmente dall’oppressione della madre, che la fa sentire un’estranea, che le fa avere dubbi sulle sue origini, marocchine o calabresi, come lei stessa afferma nel film, e che le impone tanti divieti, su cose che per i suoi coetanei risultano scontate, come per esempio: andare alle feste o partecipare alla corsa scolastica. Alla fine vedremo che la madre, in seguito alla notizia che il marito non sarebbe mai tornato da lei, concede a Fatima di correre.

Il film ha come protagonista Michele, professore di educazione fisica in una scuola superiore, con una vita tormentata e triste a causa dell’uccisione del figlio, probabilmente durante una gara, almeno così si intuisce, poiché nel film non viene specificato ma, si riesce comunque a percepire tramite l’incubo ricorrente di Michele.

Vitale lascia intendere anche che, fu lui stesso a convincere il figlio a partecipare alla gara, motivo per il quale la ormai ex compagna, madre di suo figlio, gli attribuisce tutta la colpa e si separa da lui. Fatima, l’altra protagonista, è una ragazza calabrese nata da genitori marocchini; con una madre musulmana “all’antica” che aspetta il ritorno del marito, scappato con un’altra donna.

Michele, verso la fine dell’anno, propone ai suoi studenti, dai quali non è molto stimato, la partecipazione ad una gara, al quale lui è molto legato (poiché è proprio in quella corsa che suo figlio venne ucciso), e riesce a convincere Fatima a partecipare. Lei vede nella corsa “un modo per scappare, perché

Il film si struttura sulla narrazione degli allenamenti di Fatima che, sia per lei che per Michele, significano molto e segnano un sorta di periodo di rinascita: Michele finalmente affronta l’uccisione del figlio ed in un certo senso anche il suo assassino. Fatima si “alleggerisce” di un peso, quello di sentirsi "diversa" rispetto ai suoi coetanei, cosa che si intuisce nel momento in cui si toglie velo, pantaloni e felpa, rimanendo in tenuta da gara: pantaloncini e top attillati, quindi “scoperta”, uno dei motivi per il quale la madre avrebbe voluto vietarle la partecipazione alla corsa. Nonostante le lotte e gli sforzi, Fatima arriverà purtroppo seconda alla gara, rimanendo delusa.

Il film si concentra molto su problematiche attuali come quella dell’integrazione, che riesce ad ottenere Fatima grazie all’aiuto del suo professore, e anche come autocomprensione, cioè capacità di affrontare, i propri scheletri nell’armadio, come fa Michele grazie alla sua studentessa. Dopo la visione del film rimangono senz’ombra di dubbio delle frasi incise nella mente dello spettatore: “Correre vuol dire anche scappare” pronunciata da Michele; “L’afide e la formica traggono beneficio l’una dall’altra, come in una simbiosi” detta prima da Ettore a Fatima che poi la esibisce anche al suo professore, a supporto del fatto che loro due stavano traendo beneficio l’una dall’altro ed “E’ sulla salita della Bella che ti giochi tutto” detta da Michele a Fatima durante uno dei suoi primi allenamenti.

Quest’ultima è una frase che a noi lametini potrebbe far ridere, ma che personalmente trovo molto bella, perché racchiude la dedica che Mario Vitale ha fatto alla sua e nostra città.

Grazie alla visione di uno spettacolo teatrale di Saverio Tavano, che Mario ha pensato di unire ad un suo vecchio cortometraggio su una ragazza musulmana, è nato questo meraviglioso e significativo film, che in fin dei conti parla anche dell’incontro di due culture: quella calabrese, di Michele, e quella neo-calabrese, di Fatima. Un altro dettaglio che salta all’occhio è il dialetto calabrese “sporco” degli attori, che dà, quel non so che, in più al film. Ad oggi il film ha tenuto un grande successo di pubblico e diversi riconoscimenti dalla critica.

Durante le riprese del film (Lamezia Terme, Giugno 2021)

NON SOLO LATINO E GRECO “L’Oriente latino: siamo anche giapponesi!”

della classe 3a A Classico

Il gioco del mondo “L’incredibile viaggio delle piante” Classe 4B (a cura della Prof.ssa R. Pauli). 16 novembre ore 10.00 “Il gioco dei mondi: attrazione fatale” Classe 3B, (a cura del prof. Massimiliano Marino e della prof.ssa Anna Chierchia) mercoledì 17 novembre ore 11.00 “Passeggiate filosofiche, Cartesio: il mondo è davvero come ci appare?” Classe 4B, (a cura della prof.ssa Laura Provenzano) mercoledì 17 novembre ore 09.00 “Una storia fuori dal comune: Lamezia-Italia”. Classi: 5A, 5B (a cura delle proff. Maria Chieffallo e

Quest’anno per il progetto “Libriamoci” abbiamo avuto l’occasione di accostare Occidente ed Oriente sul solco della classicità: tra le altre cose abbiamo declinato a tre, come si fa per un comune aggettivo della prima o seconda classe, i numeri in latino, greco e giapponese, pensate un pò! In tutto questo, seguendo le indicazioni del nostro professore, abbiamo non solo riscritto i nostri nomi personali di battesimo nel sistema di scrittura del katakana:

ma anche ad haikizzare componimenti poetici (5+7+5) di gusto nipponico nello stile virgiliano: Iucunda pluvia / in remoto hiberno/ cadebat lente (La dolce pioggia / nel lontano inverno / cadeva piano); In meo corde /lux vitae ardet / et fulget tuos oculos (Nel mio cuore / la luce vitale arde / ed illumina gli occhi); Studium dulce / inter tenebras vitae / animam fovet (L’amore dolce/ nel buio della vita/ scalda l’anima). Quest’incontro, in videolezione con tutte le prime parallele dell’Istituto, mediato dalla professoressa Maria Chieffallo, referente di questo progetto, è stato teso a dimostrare la flessibilità della lingua nella sua ricezione lessicale: «difatti», come ci ha spiegato il prof.

Francesco Polopoli, «nel dire sushi, karate, sudoku, manga, kimono, tsunami siamo un po' tutti giapponesi». A noi studenti è stato offerto in dono un prodotto artistico di Simona Trunzo: l’artista, autrice di Fumina, coniuga la dizione scritta delle narrazioni con la bellezza iconica-visiva dei fumetti o manga. Speriamo in un seguito per l’attenzione che ne è derivata: un to be continued, insomma, o a dirla in giapponese, con un tzuzuku* che è il segno che spesso abbiamo ritrovato a chiusura dei nostri cartoon preferiti.

Laura Provenzano con Gianni Speranza). Sabato 20 novembre ore 11.00.

“La vitalità dell’ecosistema greco: i miti delle ninfe” Classe 1AQ e 2AQ, (a cura delle proff. Lycia Mascaro e Ida Panza) Sabato 20 novembre ore 09.00 “L’Italia ai tempi del Coronavirus” Classi 4B, 3AQ, 4°, 5B (a cura dei proff. Rita Pauli; Teresa Colacino e Paolo Failla con il prof. Salvatore Chirumbolo ) Venerdì 19 novembre ore 10.00

Il gioco dei sé

“Anche ad essere si impara: Il Cavaliere inesistente di Italo Calvino ”. Classe 3A (a cura della prof.ssa Maria Chieffallo). Lunedì 15 novembre ore 09.00 “The Catcher in the Rye J. D. Salinger” Classe 4AQ, ( a cura del prof. Giuseppe Villella) Mercoledì 17 novembre ore 12.00 “Conoscersi e conoscere attraverso i libri: la Dareide di Ippolita Luzzo” Classe 4A, ( a cura della prof.ssa Maria Chieffallo con Ippolita Luzzo) giovedì 18 novembre ore 09.00.

“L’inquietudine dell’altro: ospitalità e pensiero mediterraneo” Classe 5C, ( a cura del prof. Raffaele Gaetano con Romeo Bufalo) giovedì 18 novembre ore 12.00. “ ΓΝΩΘΙ ΣΑΥΤΟΝ nel cammino dell’Aldilà” Letture da Orazio e Dante Classe 4B, ( a cura della prof.ssa Rosaria Colangelo) mercoledì 17 novembre ore 12.00.

Giochi diVersi

“Disegniamo la poesia: i calligrammi di Guillaume Apollinaire ”. Classe 2A Artistico, (a cura della prof.ssa Candida Mendicino). Martedì 16 novembre ore 09.00 “L’Oriente latino: la coniugazione classica degli haiku” Classe 3A, ( a cura del prof. Francesco Polopoli) mercoledì 17 novembre ore 08.00 “Lost in Translation: John Lennon, Roger McCough, Andrew Nichols” Classe 3AQ, ( a cura del

*

prof. Giuseppe Villella) Mercoledì 17 novembre ore 09.00 “La poesia alternativa del Duecento: rovesciamento di schemi e convenzioni. Letture tratte da Cecco Angiolieri e Folgore da San Gimignano” Classi 3B e 3C, ( a cura delle proff. Maria Cristina Cittadino e Anna Chierchia) Giovedì 18 novembre ore 10.00 “Il labirinto dei suoni: come aiutare la memoria e come tormentarla” Classe 2AQ, ( a cura della prof.ssa Lycia Mascaro) Sabato 27 novembre ore 10.00

DIALETTANDO

“I Canti popolari nella devozione lametina”

di Lorenzo Colistra

/ ca li bisuagni mia vua li sapiti./ Supra st’ataru c’è na gran Signora,/ Rigina di lu Carminu si chjiama. / A chi nci cerca grazi ija nci nduna, / chi ha lu cori fhiritu nci lu sana. / Ed iu Madonna mia ti ndi cerc’una,/ st’alma cuntent’e llu cori mu t’ama.

Interessanti sono due canti a San Francesco e Sant’Antonio, identici nella stesura, che narrano i rispettivi miracoli dei Santi, in una sorta di piacevole derby agiografico.

È risaputo che il territorio lametino presenti innumerevoli luoghi di culto nonché centri di grande devozione e mete di pellegrinaggio, anche al di fuori della Città (ricordiamo i Santuari mariani di Conflenti e Dipodi).

Quando parliamo di devozione, soprattutto di devozione popolare, è impossibile non far cenno ai canti e agli inni intonati -in gruppo o da solisti- come preghiere ai Santi e alla Madonna. Questi canti, che, in riferimento alla città di Lamezia Terme, sono più ricorrenti nell’ex Comune di Sambiase, vengono tramandati oralmente dagli anziani e si possono definire il più grande esempio di pietà popolare. Si cantano durante le feste patronali in chiesa o durante la processione.

Suddetti testi sono composti da una melodia semplice, spesso con rima baciata o alternata, mentre le parole esprimono richieste di grazia, lodi oppure narrano vite o eventi. Meno frequenti ma comunque presenti sono i rosari in dialetto. A Nicastro si riscontrano pochi testi cantati in vernacolo. Il Santo che ne “custodisce” di più è Sant’Antonio di Padova, patrono dell’ex Comune nonché protettore della città insieme a San Francesco di Paola: Sant’Antoni biallu biallu / si’ bbistutu di monachìallu,/ si’ bbistutu ccu tuttu lu cori, / fammi ’a gràzzia, Sant’Antoni! / Sant’Antoni miu abbucàtu, / curuna d’oru ca tìanu allu latu, / vi l’ha fatta la Matri di Diu, / fammi ’a grazia, Sant’Antoni miu!

A Sambiase troviamo canti in onore di San Francesco di Paola, canti della tradizione carmelitana e mariana in generale, e alcune strofe per Santa Lucia, San Rocco e altri: Sa’Hranciscu di Paula, tu chi pua / e ddùnami riparu alli mia guai /e prega, prega lu Maestru tua /ca li bisuagni mia tu già li sai. / Sa’Hranciscu mia dilettu / viniti alla mia casa ca v’aspettu,/ viniti alla mia casa e trattiniti

E Sa’Hranciscu nuastru protettori, scocca di rosi e funtana d’amori.

Li belli grazi tua viagnu a bbidìri, lu mari chi vulisti attravirzàri, ’a fhonti chi fhacisti scaturiri e li macigni fhacisti firmari.

Chist’è la virità, unn’è bugia, O Sa’Hranciscu, prega a Diu ppi mia.

O Sant’Antoni nobbuli e gintìali, scocca di rosi e funtana d’amori.

Li boni grazi tua viagnu a bbidìri, l’ostia chi fhacisti cunsacrari; fhacisti cumbirtìri li ’mpidili e li cavalli fhacisti ’ncrinari.

Chist’è la virità, unn’è bugia, vo Sant’Antoni prega a Diu ppi mia.

PILLOLE DI CLASSICI “Il Grande Fratello ci guarda”

di Ludovica Lucia

George Orwell scrive il suo romanzo distopico, 1984 (Nineteen Eighty-Four) nel 1948. La somiglianza delle date non è casuale: l’autore inverte le ultime due cifre perché proietta in un futuro (per lui) non troppo lontano le inquietudini che le guerre mondiali, l’Olocausto e l’atomica avevano fin troppo chiaramente evocato.

Il totalitarismo imperante, la falsificazione della memoria storica, la corruzione del linguaggio e la perdita dell’identità individuale sono solo alcune delle paura orwelliane diventate realtà nel suo romanzo (e non solo). Nel 1984 il mondo è diviso in tre superpotenze (Oceania, Eurasia ed Estasia) in perenne guerra. In Oceania (dove è ambientata la vicenda) tutto viene governato dai principi del Socing (partito socialista inglese) e dal Grande Fratello, leader indiscusso che nessuno ha mai visto dal vivo, che conosce ogni cosa. I cittadini vengono continuamente spiati da teleschermi installati nelle loro case e dal rigido controllo della psicopolizia, pronta ad intervenire nei casi sospetti di psicoreato (deviazionismo). Anche la lingua deve essere epurata

il più possibile e ridotta seguendo i dettami del bipensiero, il meccanismo mentale che consente di ritenere vero qualunque concetto e il suo opposto a seconda della volontà del Partito (indimenticabile lo slogan la pace è guerra, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza). Lo scopo della neolingua (la lingua inventata dai membri del Socing) è quello rendere lo psicoreato letteralmente impossibile, perché non ci saranno parole con cui poterlo esprimere. Obiettivo finale del Partito, dunque, non è solo quello di estendere un controllo fisico sui cittadini ma, soprattutto, quello di manovrarli mentalmente tramite brainwashing (lavaggio del cervello). Allo stesso modo il popolo smette di desiderare la libertà, perché questo termine e tutto ciò che esso implica è diventato un concetto estraneo, completamente alieno. In un mondo in cui i figli denunciano i padri, in cui l’amore è vietato se non a fini riproduttivi e in cui ogni elemento è permeato dall’asfissiante propaganda, Winston Smith, l’ultimo eroe, realizza che la libertà si limita ai pochi ultimi centimetri che gli appartengono, quelli nella sua scatola cranica. Contravvenendo alle rigidissime regole del Socing che vietano la scrittura a mano (pratica che rischierebbe di stimolare una creatività anarchica) tenta disperatamente di resistere come essere umano tenendo un diario…

Orwell, considerato un intellettuale anarchico e uno scrittore ‘scomodo’, ha dimostrato di avere uno straordinario intuito premonitore. Sì, perché il Grande Fratello esiste ancora oggi. Non mi ri-

ferisco tanto a quel format promosso in tv in cui decine di telecamere spiano personaggi pseudo-famosi per far divertire e/o scandalizzare il pubblico in un gioco trash alimentato da pigrizia intellettuale e curiosità malsana; il Grande Fratello lo viviamo sulla nostra pelle ogni giorno. Fermiamoci per un momento a pensare alla tecnologia onnipervasiva, all’accettazione (forzata) dei famosi cookies quando si aprono gli articoli online che promettono (o minacciano?) di registrare le nostre ricerche e di accedere a videocamere e microfoni. Eppure non si ha un’alternativa che non ci faccia restare indietro, perché non si può denigrare la tecnologia, ne siamo circondati. Riflettiamo sulla quotidiana eliminazione di parole “desuete”, sull’analfabetismo di ritorno o sul fatto che molti non hanno più le competenze per comprendere ciò che leg-

gono. Pensiamo, ancora, alla smania di aggiungere alla lingua italiana vocaboli che non le appartengono, acquisiti soprattutto dall’inglese, perché -almeno apparentemente- dire meeting è meglio che dire “riunione”. Un vero e proprio Grande Fratello, infine, esiste in alcuni Stati moderni (la Cina, la Russia o soprattutto la Corea del Nord) nei quali la libertà è un concetto molto diverso da quello occidentale e lo psicoreato sembra diventare un’agghiacciante realtà. Per dirla con Winston (e con Orwell): Al futuro o al passato, a un tempo in cui il pensiero sia libero, gli uomini siano gli uni diversi dagli altri e non vivano in solitudine... a un tempo in cui la verità esista e non sia possibile disfare ciò che è stato fatto: dall’età dell’uniformità, dall’età della solitudine, dall’età del Grande Fratello, dall’età del bipensiero... Salve!

Fumetto di Sara Matarazzo

Fumetto di Sara Matarazzo

POESIA E MUSICA

“Screams, howls and loneliness” di Giulia Pagano

"I poeti lo scrivono, i musicisti lo cantano, e i pittori lo dipingono..."

La solitudine è da sempre un tema ricorrente nelle opere di molti artisti. L’avanzare del tempo non ha fatto altro che catturare e congelare gli uomini in una bolla di malinconia, la prigionia non è facile da sopportare per i poeti, gli artisti da sempre hanno un approccio alle situazioni diverso dagli altri tanto da portare loro alla creazione di opere uniche, intrise di riflessione, passione e disperazione.

I poeti lo scrivono, i musicisti lo cantano e i pittori lo dipingono, tutte queste opere nascono dal disagio di uomini prigionieri della società moderna, circondati da automi che non hanno avuto la forza di comprendere ciò che gli accadeva attorno. Loro sono uomini che si guardano intorno con le mani tra i capelli piangendo e disperandosi come bambini che hanno perso la madre in mezzo alla folla, la viscerale paura di essere soli, totalmente e inesorabilmente circondati da nebbia fitta e grigia, soffocati dall’eco delle proprie parole, affogando nel silenzio e straziati dal rimpianto. Cesare Pavese è ad esempio uno dei poeti della nuova generazione che soffre di più questo senso di abbandono come lo si nota in questa poesia senza titolo pubblicata in una raccolta post mortem.

Lontano, nella notte, oltre la morte sopra una stella azzurra tra esistenze meravigliose ancora quest’anima convulsa nelle sue insoffribili vergogne

esasperanti senza scampo, per tutto l’universo dove dovrò passare e il pensiero che infine, nella luce suprema soffrirò ancora il tormento di non aver urlato che tanto era inutile.

O forse questa vita è la sola concessa e allora mi esaspera, mi taglia il respiro, il pensiero di non aver urlato, per la mia anima vile, confuso a tutti i poveri impotenti che marciscono sulla terra.

(Cesare Pavese, 7 marzo 1928) Pavese parla di tutti quegli uomini comuni, crudelmente abbandonati e soli nell'abisso della terra, dimenticati e lasciati a marcire, Dio non li vede laggiù, nulla può salvarli, nemmeno la morte. La morte infatti non è intesa come la fine di tutte le sofferenze terrene bensì la continuazione del tormento che si prolungherà per l’eternità con l’aggiunta del rimpianto di non averci provato abbastanza, di non avere urlato per cercare di rompere quella maledizione che li aveva imprigionati.

Immediatamente si ricorda, però, che è inutile tentare, nulla li può liberare, nulla può interrompere il lento deterioramento di quegli uomini così come nulla può fermare una rosa dall’appassire. Un destino ineluttabile a cui nessuno sfuggirà. In seguito ritorna il rammarico, il pensiero del fatto che probabilmente questa vita è la sola opportunità che ci viene

data e forse è uno spreco non aver urlato a pieni polmoni, forse se avesse urlato un po’ più forte ce l’avrebbe fatta? Questo non ci è dato saperlo. Pavese è un uomo tra tanti, che riconosce e che condivide il triste fato di coloro che gli stanno intorno e con questa poesia li celebra, dando loro una voce per urlare il disagio che forse non hanno mai realmente percepito, ma in cui sono stati intrappolati.

Spesso parecchi uomini vivono con i paraocchi, scegliendo di non badare o realmente non accorgendosi di non star raggiungendo la felicità, mentendo a loro stessi e al mondo fingendo che tutto vada per il meglio; ignorando il vuoto nel petto, la mancanza di qualcosa.

La nuova generazione di artisti è vittima della solitudine, basti pensare ai Beatles che, nell’estate più allegra e colorata del secolo, pubblicano il singolo Eleanor Rigby esordendo con “Look at all the lonely people… ” ovvero guarda tutte quelle persone sole; loro si pongono su un piano superiore alla realtà terrena. osservando il tutto dall’alto. “... Father McKenzie / Writing the words of a sermon that no one will hear / No one comes near / Look at him working / Darning his socks in the night when there's nobody there / What does he care?...” in questa strofa padre McKenzie scrive un sermone che nessuno ascolterà, puoi guardarlo lavorare, non sai che rammenda i suoi calzini la notte da solo, chissà perché gli interessa?

Ancora pura solitudine, un prete che predica al vento così come la povera Eleanor che prima raccoglieva il riso nella chiesa dove era appena finito un matrimonio e ora… “...

Eleanor Rigby / Died in the church and was buried along with her name / Nobody came - Father McKenzie / Wiping the dirt from his hands as he walks from the grave / No one was saved…” muore da sola, proprio nella chiesa in cui fantasticava sul suo impossibile matrimonio. Venne sepolta e il suo nome morì con lei, nessuno venne al suo funerale; l’attenzione torna sul prete, si pulisce le mani dalla terra della tomba, due umani soli che condividono la stessa triste fine. “...Sounds of laughter shades of life are ringing / Through my open ears inciting and inviting me / Limit-

less undying love which shines around me like a million suns / It calls me on and on across the universe…” qui invece c’è speranza, Across the Universe è infatti pace, oasi nel deserto di disgrazia e abbandono, ci sono suoni di risa e ombre di vita che squillano come un tintinnio nelle orecchie di chi sa ascoltare, incitano ed invitano; un amore immortale e infinito brilla nuovo come un milione di soli che ci avvolgono e ci chiamano lungo l’universo. Durante tutta questa canzone si ripete “Jai guru deva” ovvero grazie maestro, l’estasi è sacra, non è un’allucinazione dettata dalla droga bensì dipende dalla prospettiva da cui, grazie alla spiritualità, l’uomo guarda sé stesso nel mondo. Secondo Arthur Janov questo innaturale senso di abbandono e solitudine è sintomo di nevrosi causata da traumi infantili, questo medico ideò la terapia del “Primal Scream”: il primo urlo facente riferimento al fatto che nasciamo piangendo. Questa terapia puntava a rivivere e rievocare i traumi infantili con una mentalità adulta in modo da distaccarsene e dimenticarsene. Per un periodo John Lennon si sottopose a questa terapia pubblicando contemporaneamente canzoni come Mother, My Mummy’s Dead e Well Well Well poi interruppe il ciclo di sedute però senza mai smentirne l’efficacia. Questa terapia fu presto dimenticata da tutti ma chissà se un giorno potrà eliminare i disagi dell’umanità, chissà se un giorno tutto questo finirà, Tomorror Never Knows, maybe someone’ll be saved...

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