a cura di Leonardo Moretti
CORPO e
IN
Adriana Amoruso Martina Bartolini Valentina Marinelli Luca Matti
6 - 28 settembre 2019
Il corpo, elemento univoco nella sua fisicità ma aperto a più ampi usi e interpretazioni. Tutti sappiamo cos’è un corpo, ma sappiamo definirlo in maniera precisa, sintetica, totale? Molti di noi ne sanno parlare a livello scientifico, altri a livello antropologico o sociologico, ma cos’è per l’artista? Cos’è il corpo? Elemento onnipresente nella nostra vita, per ovvie ragioni ed altre meno ovvie, le quali, interessano all’artista, il corpo si configura come uno strumento, prima di tutto un mezzo, forse un fine, ma sicuramente un oggetto di transito. Con esso esperiamo il mondo, la materia con la quale abitiamo il nostro spazio, con la quale lo definiamo e
lo affrontiamo. Ma perché allora è un argomento così poco inscrivibile, forse per la grande speculazione al quale è sottoposto? La nostra fisicità, il medium con il quale dialoghiamo con l’esterno, è qualcosa di sviscerato, discusso, analizzato, confrontato, messo alla prova, stimato, controllato e perfino violato, ma continua ad essere un capo saldo e un tassello fondamentale del nostro “essere presenti” e, sopratutto per l’artista, tema mai stantio. Dove finisce la sensibilità quotidiana, quella scontata, alla quale non diamo peso, e dove inizia quella ricalibrata, soppesata dall’artista? Il corpo nell’arte è una chimera enorme, è forse per questo che oggi ci fermiamo a riconsiderarlo come “altro” all’interno delle pratiche abituali? Esso si mostra e si congeda a noi come una macchina in continua evoluzione, senza soluzione di continuità. Quali sono gli strumenti extracorporei che ne scandiscono la codifica o che ne diventano parte? Gli artefatti umani possono essere considertai come potenzialità e ampliamento del corpo? Oggi viviamo spesso la perdita di distinzione tra esso e lo strumento esterno, tendiamo a incorporare, ad abbattere i confini e sfumare i significati delle pratiche. Per l’artista, spesso, i limiti
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della carne sono i limiti del sé, con essa definiamo noi stessi e gli altri. Il corpo è “disciplinato” come diceva il filosofo Michel Foucault, è educato alle pratiche sociali in maniera automatica, risponde in maniera inconscia alle situazioni senza domandarsi il perché, ma dando per scontato che “così si fa in quella circostanza”. La nostra fisicità è un elemento culturale, forse il massimo mezzo espressivo della cultura alla quale fa da schermo. Denso, non solo materialmente, è un costrutto stratificato di stimoli e sensazioni, è un interlocutore per il confronto e l’analisi sociale. Gli artisti coinvolti in questa collettiva, Adriana Amoruso, Martina Bartolini, Valentina Marinelli e Luca Matti, analizzano, ognuno a modo loro, questi aspetti, usando il corpo come mezzo per interrogarsi su di esso e sulle sue possibilità. Il corpo è un punto di domanda.
Adriana Amoruso frequenta a Firenze l’Accademia di Belle Arti dove si diploma al primo livello in Pittura nel 2015. Attualmente frequenta il II anno del Biennio di Arti Visive e Nuovi Linguaggi Espressivi. Il suo lavoro artistico è polivalente e multiforme, si muove tra il pittorico, l’installativo, il tessile e il fotografico. Tra le attività ricordiamo: “Stand Up For Africa”- Arte contemporanea per i diritti umani, a cura di Paolo Fabiani – laboratorioresidenza HYmmo Art Lab, Via Monte 1 – Pratovecchio (AR); TAI – Tuscan Art Industry, Ex-Fabbrica Anonima Calamai, Rebecca Digne CALL FOR *Workshop*”; TAI 2016 - Obiettivi su Nervi, residenza d’artista a cura di Alessandro Gallicchio, SC17 - Associazione Studio Corte 17, Prato. Nel 2017 “TAI – Tuscan Art Industry, Grand Tour - Itinerari del contemporaneo nell’ archeologia industriale”, Prato – Val di Bisenzio, workshop di pittura di paesaggio industriale con Lorenzo Banci, SC17 - Associazione Studio Corte 17, Prato. Nel 2018 “CONTEMPORANEA – Abitare il territorio tramite il contemporaneo”, Mostra d’arte contemporanea in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura di Signa, l’Accademia di Belle Arti di Firenze e il Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato a cura di Leonardo Moretti, Signa, Firenze. “TREMBLING EARTH O LA TREMULA POESIA DELLA TERRA”, mostra collettiva della residenza d’artista under 35, rileggere i musei senesi in chiave contemporanea, presso L’Antico Museo della Grancia d dell’Olio, Rapolano Terme (SI). Il progetto presentato sono due dittici della serie ‘Nobody’: termine inglese derivante dalla contrazione figurata di ‘noone’ (nooneperson), letteralmente ‘insignificantperson’ e in senso figurato ‘nessuno’, ‘signor nessuno’. É un lavoro fotografico che nasce come riflessione sul concetto di identità, che qui diviene, attraverso il taglio fotografico, linea di confine tra sé e l’altro da sé, tra il visibile e l’invisibile. L’intento di creare dei ‘ritratti’ di gente non-ritratta, di volti non svelati, di nomi non citati, ha portato alla nascita di un progetto che, in un modo o nell’altro, parla di gente, svela persone, attraverso il dialogo del corpo. In una società dominata dall’individualismo e dalla costante definizione di se stessi, la scelta dei soggetti di negarsi alla macchina fotografica mira a incuriosire e disarmare il fruitore. I corpi, che non sono oggettivamente protagonisti di nessun evento, si presentano nella loro personale esistenza sospesa.
Martina Bartolini si è laureata in Pittura nel 2015 presso l’Accademia di Firenze e di nuovo nel 2018 in Arti Visive e Nuovi Linguaggi Espressivi indirizzo Pittura. E’ finalista nel concorso Biennale “Enegan Art” 2017, e sempre nel 2017 partecipante alle performance VB83 e VB84 di Vanessa Beecroft presso “Firenze Suona Contemporanea”, tenutasi a Palazzo Strozzi e agli Uffizi, il suo lavoro si muove tra l’installazione, il video e la perfomance. Il lavoro scelto è “Disagio I, II, III”, un’opera formata da tre videoperformance posizionati verticalmente sullo stesso schermo, uno sopra l’altro, riprodotti all’unisono. Questi tre video raffigurano il corpo nudo che compie delle azioni in maniera passiva o le subisce. Nel primo video in alto, “Disagio I”, è presente la bacheca di Facebook proiettata sul corpo nudo di Martina, immobile, che subisce la proiezione e lo scorrimento veloce di immagini e scritte che prendono forme diverse mentre le “indossa”. Un continuo spam di immagini e di fatti altrui che scorrono, simulando l’assenza mentale verso l’elaborazione di tali informazioni. Non c’è solo la volontà di mettermi a nudo fisicamente in questo video ma anche quella di spostare la visione personale e solitaria della propria bacheca a portata di tutti. Chiunque può vedere i fatti di tutti ma molto spesso ciò costringe a una modifica della propria immagine e identità creando falsi profili. La costruzione del sé e la costruzione del noi comunitario si rivelano essere, con buona probabilità, due binari non necessariamente paralleli, anzi il più delle volte convergenti, dove, anche qui, l’uno tende a dominare sull’altro e viceversa. In “Disagio II”, invece, mostra un corpo nudo che però subisce pressioni altrui, sdraiata su un tavolo Martina viene schiacciata brutalmente da una ruota di bicicletta inchiostrata di nero che le lascia tracce in tutto il corpo, prima davanti e poi dietro. Come se fosse un oggetto senza sentimenti né emozioni, uno strumento d’uso, una matrice da incidere e stampare, il corpo è un elemento succube, impassibile, abbandonato in uno stato di rassegnazione e impotenza. In “Disagio III”, infine, mette in campo un’azione passiva dove cerca di tagliare il pane con il manico del coltello anziché che con la lama, la quale, viene impugnata e stretta con il palmo puntandola verso di se e lesionandosi. Questo gesto, apparentemente senza senso, è l’atto contrario di “avere il coltello dalla parte del manico”, con quest’azione intende dimostrare di non avere il comando sulla lama e su di se e, anche quando il pane casca e sfugge, lei continua a ripetere l’azione ossessivamente. Questi tre video esprimono tre disagi diversi, che si possono ritrovare sia nella società in cui viviamo, sia in maniera personale come ha fatto Martina, che li ha provati sulla propria pelle, interiorizzandoli, e facendoli uscire sotto forma di video-performance.
frame video
Valentina Marinelli è una grafica e tatuatrice professionista. Si è laureata in Pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze nel 2014. Ha partecipato nel 2016 a Tepidarium Giacomo Roster, Firenze, in collaborazione con Gulp, mostra collettiva. Dal 2016 collabora con la band fiorentina FRANCO con proiezioni e video mapping live all’interno di concerti. Nel 2017 partecipa a Villa Favard, Firenze, Festival ICCVCV e Villa Vogel, Firenze, Mostra collettiva in collaborazione con l’Associazione culturale CRIA. Nel 2018 partecipa a Soul Kitchen, Firenze. Nel suo lavoro l’interesse per i media come la fotografia e la videoarte sfociano in lavori dove il razionale e l’irrazionale spesso si incontrano. Per questa collettiva sono state selezionate due foto molto particolari dove il corpo, tramite un preciso espediente fotografico, trasmutato da errore ad elemento espressivo: il mosso, si dissolve. Su fondo bianco, pensate di grandi dimensioni, ella costruisce delle narrazioni visive giocate sulla perdita di fisicità e trasformazione. Il corpo si configura come un materiale astratto che appare soltanto per perdersi nel suo stesso movimento, il quale lo distorce in un gioco di fumo e segno, in uno spazio sovraesposto. Valentina vuole portarci in una dimensione dove questo diventa altro da se, perde la sua caratteristica principale e si presenta come un mezzo di perdita, un’anomalia per riflettere su di esso e sulla personale importanza che ha per ognuno di noi.
Luca Matti usa indifferentemente vari mezzi espressivi come la pittura, la scultura, il disegno, la videoanimazione e l’installazione, i vari linguaggi si condizionano e si contaminano tra loro, dando vita a un universo fatto di storie, suggestioni e sogni. Si occupa da lungo tempo anche di fumetto, illustrazione e grafica, collaborando con riviste e case editrici. Dal 1988 si dedica alla pittura e alla creazione di opere scultoree in camera d’aria. Il suo lavoro si concentra su tematiche legate al rapporto dell’uomo con la città, utilizzando esclusivamente due colori: il bianco e il nero. Ha esposto a livello nazionale e internazionale, tra le ultimissime personali ricordiamo: 2017 “Supermondo”, a cura di Rosanna Tempestini Frizzi, Maison Patrizia Pepe, Prato, “La città dentro”, a cura di Francesco Giannattasio e Sonia Zampini, Galleria ZetaEffe, Firenze; nel 2016 “City mood”, a cura di Eric Van Esser e Cecilia Barbieri, The Cappelleschi Gallery, Knokke, e 2016 “Luca Matti und Lucio Pozzi”, a cura di Alfred Graf, in collaborazione con Frittelli arte contemporanea, allerArtBludenz, Bludenz. Tra le più recenti collettive ricordiamo: 2018 “Spazio_Traccia”, a cura di Leonardo Moretti, SACI Gallery, Firenze, “Milleduecentosessantuno”, Galleria ZetaEffe, Firenze; nel 2017 “Arte e Tecnologia: Arte Italiana Contemporanea”, organizzazione Qiu Yi, Associazione di arte e cultura contemporanea Cina Italia, a cura di Riccardo Farinelli, Museo di Lan Wan, Qingdao, Cina, “Spettri del visibile”, Studio MDT, Prato, “Arte Genova”, stand Gattafame Art Gallery, Genova; nel 2016 “Percorsi migranti”, a cura di Lucilla Saccà con la collaborazione di Spela Zidar, Fabbrica del Vapore, Sala delle Colonne, Milano; nel 2015 “Vitamine. Tavolette energetiche” a cura di Laura Monaldi, Archivio Carlo Palli, Museo Novecento, Firenze. Il lavoro di Luca in mostra sono alcune fotografie di nuvole dove egli è intervenuto digitalmente, disegnandoci sopra, provenienti dalla serie “Nuagessinées”. Le opere in questione sono perfettamente inserite all’interno della poetica dell’artista per quanto riguarda la ricerca e la libertà del disegno come segno e forma essenziale. Le nuvole sono un infinito esercizio di fantasia, una pratica che tutti, fin da piccoli, abbiamo sperimentato. Luca ci fa riscoprire, attraverso alcuni scatti di nubi antropomorfe, la creatività più libera, un’ispirazione genuina e immediata. Giocando con un tratto disinvolto egli mette in scena un corpo “leggero”, sia fisicamente che mentalmente, il quale, nel suo essere effimero, ci pone un interrogativo sulla sua stessa materia e sul suo apparire. La capacità di cogliere storie e immagini nella rapida metamorfosi di una nuvola libera la materia e il sogno, traducendoli in forme semplici e poetiche. La linea rapida e sicura di Luca delimita i confini di questi esseri incorporei e le nubi si predispongono come “anime”, sostanza essenziale che si scopre a noi quando il corpo si fa impalpabile.
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