l'Artugna 154 - Dicembre 2021

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ANNO L / DICEMBRE 2021 / NUMERO 154 PERIODICO DELLA COMUNITÀ DI DARDAGO / BUDOIA / SANTA LUCIA


L’EDI TO RIALE di Roberto Zambon

Attraverso gli di don Davide Gambato

Cinquant’anni! Con questo numero si completa il 50° anno di attività del nostro periodico. 154 numeri, circa 6000 pagine che «parlano» di noi, della nostra storia, della nostra vita, della nostra terra: di noi di Dardago, di Budoia e di Santa Lucia, ma anche dei nostri compaesani che abitano in altre località italiane o all’estero. 50 anni: una vita! Leggendo la lista dei battezzati, riportati sui primi numeri de l’Artugna, troviamo i nomi di uomini e donne che ora sono padri e madri non più giovanissimi! 50 anni a cavallo tra il XX e il XXI secolo: un periodo di grandi mutamenti, un periodo di progresso economico e tecnologico, non sempre accompagnato da una pari crescita dei valori morali e spirituali. Anzi, questi ultimi sono spesso considerati secondari rispetto a quelli economici. Le belle chiese che i nostri avi hanno costruito con grandi sacrifici, per noi sono perfino troppo grandi e capienti. 50 anni fa le nostre parrocchie avevano, ciascuna, il loro parroco e – qualche anno prima – anche il cappellano: a Dardago, don Giovanni Perin, padre de l’Artugna, a Budoia don Alfredo Pasut e a Santa Lucia don Nillo Carniel. Anche alla fine del ’900, ogni parrocchia aveva il suo parroco: don Franco Zanus a Dardago, don Aldo Gasparotto a Santa Lucia, don Italico a Budoia e, per un periodo, anche a Dardago. Successivamente, don Adel Nasr fu nominato parroco delle tre parrocchie fino al 2010 quando fu sostituito da don Maurizio Busetti. Dal settembre 2020, per un anno, le tre parrocchie sono state affidate a don Vito Pegolo in veste di Amministratore Parrocchiale. Ora è arrivato il nuovo parroco, don Davide Gambato che, aiutato da alcuni confratelli, ha la responsabilità di tutte le sette parrocchie dei comuni di Budoia e di Polcenigo. Quanti cambiamenti in questi 50 anni!

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È quanto mai attuale l’invito del Signore: «Pregate dunque il Signore della messe, perché mandi operai nella sua messe» – Mt 9,32-38

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l’Artugna continua la sua attività. Grazie ai collaboratori, grazie all’Amministrazione comunale per il contributo economico e, soprattutto, grazie ai lettori che ci sostengono e che ci spronano a continuare il nostro lavoro.

Buon Natale! Vorrei salutarvi così, semplicemente. Senza giudizi, senza lezioni a chicchessia, senza prediche. In questo mio primo Natale assieme a voi mi piacerebbe guardare negli occhi ciascuno di voi che state leggendo queste righe, sia che ci conosciamo già, almeno un poco, sia che non ci siamo ancora mai visti. Mi piacerebbe dirvi che quel piccolo Bambino che contempliamo ogni anno come il nostro Dio è la fonte della pace, della nostra speranza cristiana, dell’amore che tutti noi cerchiamo. In questi giorni che ci preparano a vivere la natività del Bambin Gesù mi sono soffermato in una frase di Papa Francesco: «Abbiamo sempre bisogno di contemplare il mistero della Misericordia. È fonte di gioia, di serenità e di pace. È condizione della nostra salvezza. Misericordia: è la parola che rivela il mistero della SS. Trinità. Misericordia: è l’atto ultimo e supremo con il quale Dio ci viene incontro». È con queste parole, così ricche di significato che attendo questo Natale. Sono convinto che la misericordia possa rappresentare il nostro contributo per un mondo più umano e fraterno, più giusto e pacifico da edificare insieme a tutti gli uomini e le donne di buona volontà. Essa, infatti, non è uno sforzo tra i tanti che ci impegniamo a vivere nel nostro percorso umano e cristiano, ma è la sintesi della fede cristiana, è il nome impronunciabile di Dio, fuoco che non si consuma e generosità infinita e perdono. Siamo chiamati ad essere misericordiosi perché per primi siamo stati perdonati. Per acconsentire all’invito del santo Padre, credo che in particolare, l’alveo dentro il quale dobbiamo far scorrere la proposta pastorale per le nostre comunità sia la liturgia, perché nell’incontro con il mistero di Cristo troviamo la forza dell’amo-


LA LETTERA DEL PLEVÀN

occhi di un bambino ogni cosa diventa possibile

re e della testimonianza. Nel contempo, se la comunità è il luogo in cui veniamo generati e rigenerati nella fede, allora il nostro impego si rivolgerà anche a fecondare di misericordia gli ambiti fondamentali delle nostre comunità cristiane: la dimensione caritativa e fraterna, la sensibilizzazione sociale e culturale. Si tratta di indicazioni che chiedono il discernimento comunitario svolto nell’umiltà e nella consapevolezza della propria fragilità, evitando la pretesa di possedere la risposta a tutti i problemi. Così pure ogni proposta è aperta ad accogliere il contributo di tutti, in modo particolare di coloro che sono impegnati per la costruzione di un mondo migliore. Penso che accogliere l’invito di Papa Francesco a lasciarsi «interpellare dal volto misericordioso di Dio» sia il modo più bello per vivere questo nostro Natale. In fondo la celebrazione della Natività, come scrive san Leone Magno, è «la nascita della vita». Essa rimanda alla nostra nascita in famiglia, come pure alla nascita di un mondo migliore. Ogni nascita è sempre un inizio di vita,

aperta pazientemente al futuro: diventare uomini e donne capaci di misericordia, essere responsabilmente promotori di pace e di fraternità, di giustizia e di libertà. Nello stesso tempo il vangelo del Natale ci rivela Dio in uscita: il Figlio di Dio da ricco si fece povero e venne ad abitare in mezzo a noi per condividere le nostre debolezze. Lo spirito natalizio ci chiede di essere cristiani in uscita: incontrare Gesù nelle persone, in particolare in quelle ferite, stanche, abbandonate nella periferia umana, lontana o in casa nostra. Uscire è guardare con stupore il sorriso di un bambino e lasciarci interrogare dalla sua semplicità e attesa. È avvertire la presenza del Signore nella famiglia dove, pur nelle difficoltà e ristrettezze, c’è posto per l’accoglienza reciproca, l’ascolto, il perdono, l’ospitalità.

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www.parrocchie-artugna.blogspot.com

Buon Natale DICEMBRE 2021 / 154

La statua del Bambin Gesù, che i dardaghesi ogni Natale vedono deposta ai piedi dell’altare.

È incontrare il Signore nei malati, nelle persone sole, negli emarginati per condividere un tratto di strada e portare la carezza di una visita e di una mano solidale. È vedere nei piccoli e grandi, umiliati da miseria e povertà, il bambino nato in una stalla, perché ad essi sono negati dignità e diritto di essere uomini e donne. È avvicinarsi a chi è fermo ai bordi della strada per dire, come Gesù al paralitico, «alzati e cammina». È anche indignarci dinanzi all’indifferenza, all’egoismo, per unirci alla schiera delle persone oneste e generose che operano per una società più solidale e fraterna. Nessun cristiano può rimanere ai margini della lotta per la dignità e la giustizia. In quel bambino, adagiato nella mangiatoia, brilla una certezza: Dio non è lontano, né estraneo alla nostra storia. Egli è l’Emmanuele, il Dio con noi. Gesù, nato da Maria, viene dall’alto: è il Figlio di Dio. Con la sua venuta si congiungono cielo e terra. La notte lascia il posto al giorno. La paura diventa speranza. Malattia e dolore sono illuminati dalla presenza del Signore. La morte si apre alla nuova esistenza senza sofferenza e senza tramonto. Con questi sentimenti, auguro a tutti, in particolare agli ammalati e anziani, a chi ha perso il lavoro o in cerca di occupazione, a quanti sono umiliati da difficoltà economiche, a coloro che hanno conosciuto la fatica del loro matrimonio, che il Sole del Natale splenda più intenso e luminoso.

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LA RUOTA DELLA VITA NASCITE Benvenuti! Abbiamo suonato le campane per l’arrivo di... Sebastian Savaglia di Luigi e di Marika Di Benedetto – Dardago Livia Tabaro di Marco e di Laura Ianna – Pordenone Filippo Antonio Quaia di Federico e di Elena Basso – Santa Lucia Lorenzo Mioni Van Dyck di Gjmmy e di Marika Mioni – Dardago [battezzato a Roma nella Parrocchia Gran Madre di Dio il 27.11.2021]

MATRIMONI Felicitazioni a... Nozze di diamante Mario Rossi e Angela Lachin – Santa Lucia 55° di matrimonio Marisa Soldà e Giancarlo Marchesini – Santa Lucia Nozze d’oro

IMPORTANTE Per ragioni legate alla normativa sulla privacy, non è più possibile avere dagli uffici comunali i dati relativi al movimento demografico del comune (nati, morti, matrimoni). Pertanto, i nominativi che appaiono su questa rubrica sono solo quelli che ci sono stati comunicati dagli interessati o da loro parenti, oppure di cui siamo venuti a conoscenza pubblicamente. Naturalmente l’elenco sarà incompleto. Ci scusiamo con i lettori.

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Chi desidera usufruire di questa rubrica è invitato a comunicare i dati almeno venti giorni prima dell’uscita del periodico.

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Angela Carlon e Mario Zambon – Dardago Melita Bastianello Thisa e Vittorio Janna Tavàn – Dardago Sandra Sanson e Bruno Vago – Budoia Tecla Soldà e Lino Doimo – Santa Lucia Orietta Zambon Rosit e Paolo Burigana – Budoia Lina Bortolussi e Ezio Burelli – Dardago Aida Zamperla e Giacomo Cosmo – Dardago

LAUREE, DIPLOMI Complimenti! Diploma di maturità Chiara Michelazzi – Liceo classico – Milano – Dardago Laurea Marco Pujatti – Laurea Magistrale in Management presso The National University of Singapore – Budoia Filippo Bocus – Laurea Magistrale in Ingegneria Gestionale – Milano – Dardago Lorenzo Lucchese – Laurea Magistrale in Matematica – Londra – Dardago Sara Pujatti – Laurea triennale in Comunicazione e Società (110 e lode) – Università degli Studi di Milano – Budoia Alessia Manenti – Laurea in Scienze Politiche - Relazioni internazionali - Diritti umani presso l’Università di Padova – Budoia

DEFUNTI Riposano nella pace di Cristo. Condoglianze ai famigliari di... Raffaele Zambon Pinal di anni 91 – Sacile Anna Maria Strasorier ved. Angelin di anni 89 – Budoia Adriano Vispino di anni 75 – Budoia Rizzieri Zambon Marin di anni 76 – Inghilterra Gianpietro Lachin di anni 89 – Santa Lucia Luigia Gina Carlon ved. Puppin di anni 80 – Budoia Elvira Ciliberto ved. Zambon di anni 92 – Dardago Rita Celant ved. Mazzocut di anni 88 – Aviano Lidia Bastianello ved. Zambon di anni 96 – Dardago Maria Luisa Paties Montagner di anni 67 – Aviano Pietro Fort di anni 86 – Scozia – Santa Lucia Dino Valdevit di anni 65 – Rorai Grande (Pordenone) Gianni Rigo Moreal di anni 78 – Pordenone Giovanna Zambon ved. Gaspardo di anni 80 – Dardago Luigia Basaldella ved. Carlon di anni 100 – Budoia Antonio Basso di anni 81 – Rougiers (Var) – Francia Antonio Fort di anni 91 – Santa Lucia Luigi Gigi Bocus di anni 83 – Gorizia – Dardago Luigi Tonus di anni 62 – Santa Lucia Ada Zambon di anni 92 – Dardago Rebecca Ragogna di anni 54 – Dardago


L’ARTUGNA PERIODICO DELLA COMUNITÀ DI DARDAGO BUDOIA / SANTA LUCIA DARDAGO

BUDOIA

SANTA LUCIA

IN QUESTO NU MERO

154 ⁄ ANNO L / DICEMBRE 2021

www

www.issuu.com/artugna

@ direzione.artugna@gmail.com

2 Editoriale di Roberto Zambon 3 Attraverso gli occhi di un bambino ogni cosa diventa possibile di don Davide Gambato 4 La ruota della vita

facebook.com/ArtugnaPeriodico

6 Un nuovo sacerdote per le nostre comunità Benvenuto don Davide di Roberto Cauz

Direzione, Redazione, Amministrazione Via della Chiesa, 1 · 33070 Dardago [Pn] Conto Corrente Postale 11716594 IBAN IT54Y0533665090000030011728 dall’estero aggiungere il codice BIC/SWIFT BPPNIT2P037 Direttore responsabile Roberto Zambon · cell. 348.8293208 Per la redazione Vittorina Carlon Impaginazione Vittorio Janna Contributi fotografici Archivio de l’Artugna, A.S.D. Atletica Aviano, Paolo Burigana, Anna Maria Del Maschio, Vittorio Janna, Mario Povoledo, Francesca Romana Zambon Hanno collaborato Luigi Basso, Guido Benedetto, Francesca Janna, Mario Povoledo Stampa Sincromia · Roveredo in Piano/Pn

Accolto il nuovo Parroco di Mario Povoledo

9 L’albero di Natale è un simbolo cristiano? di Fulvia Mellina 11 Buon compleanno a l’Artugna Era il 1985... di Alessandro Fadelli

29 L’arte di Renato sui nostri sentieri Un obiettivo della mia carriera di Renato Zambon Il Crocifisso alla fontana Tarabìn... di Roberto Zambon ...il Crocifisso sul colle del Ciastelat di Euridice Del Maschio

32 Coppa Dono & Giovane Artugna di Riccardo Zambon 33 La Natura non sgarra di Euridice Del Maschio 34 Miracui de ’na volta di Fernando Del Maschio 35 Nadhal... el Presepio in trincea di Vittorio Janna 36 ’n te la vetrina

Una buona idea di Sante Ugo Ianna

37 Lasciano un grande vuoto...

50° de l’Artugna e... del nostro matrimonio di Franca Danùt e Mario ‘il foresto’

40 La Cronaca

l’Artugna e il suo variopinto popolo di Luca Modolo Nozze d’oro! Chi le festeggia? ...l’Artugna di Rosalia Bocus

14 Un cammino silenzioso

42 L’inno alla vita 46 La Recensione 47 Auguri Accompagnano le offerte · Il bilancio

Antonio 2020-2022 di Un pellegrino sui passi di Antonio Passo dopo passo. La devozione per Antonio di Vittorina Carlon

16 4 novembre 2021 di Roberto Zambon 18 Racconto di città di Alessandro Fontana 22 Sogni di Silvano Scarpat Quattordici bambini incontro a Gesù di Michela Fort

Autorizzazione del Tribunale di Pordenone n. 89 del 13 aprile 1973 Spedizione in abbonamento postale. Art. 2, comma 20, lettera C, legge n. 662/96. Filiale di Pordenone. Tutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione di qualsiasi parte del periodico, foto incluse, senza il consenso scritto della redazione, degli autori e dei proprietari del materiale iconografico.

24 In fondo ad un cassetto di Pietro Ianna 26 Casa Insieme, un co-housing a Santa Lucia di Paolo Cimarosti 27 Andrea, il nostro campione europeo, si racconta di Andrea Moretton

IN COPERTINA Deserto Erg Chebbi, Marocco. Suggestiva immagine che fa rivivere il percorso dei Magi. Gaspare, Melchiorre e Baldassarre portano oro, incenso e mirra, ma il loro vero dono sta nel viaggio, nei pericoli che dovettero affrontare, mossi solo da un sogno che desse senso autentico alle loro esistenze. [ foto di Carla Pizzol]

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Il giorno della nostra Cresima di Marco Zambon

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NELLE NOSTRE COMUNITÀ

Nativo di San Donà di Piave, don Davide studia presso il Seminario Diocesano di Pordenone e viene ordinato sacerdote da mons. Sennen Corrà il 22 aprile 2001. È stato parroco di Maniago Libero, Barcis, Andreis e Fiume Veneto. Da settembre 2021 guida le nostre parrocchie.

un nuovo Sacerdote per le nostre comunità benvenuto don Davide

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di Roberto Cauz

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Domenica 19 settembre, presso la chiesa di Sant’Andrea Apostolo di Budoia le tre comunità parrocchiali di Dardago, Budoia e Santa Lucia hanno dato il loro sincero ed affettuoso saluto di benvenuto al nuovo parroco, don Davide Gambato. Il saluto si è esteso a tutti i componenti della comunità del ‘Seguito di Gesù’, di cui don Davide fa parte, che lo seguiranno anche in questa nuova avventura, nello spirito che li unisce di collaborazione degli uni con gli altri. Per il ruolo che ricopro nel Consiglio Pastorale riunito, ho avuto l’onore, insieme al sindaco, di accoglierlo a nome di tutti, ricordandogli che, come avrà modo di verificare lui stesso, anche le nostre

tre comunità parrocchiali, (ormai da tempo guidate da un unico parroco e visto il cambiamento epocale della chiesa e di tutto il movimento cattolico), hanno fatto di necessità virtù e collaborano le une con le altre, pur mantenendo ciascuna le proprie peculiarità. La prima volta che l’avevo incontrato, aveva avuto modo di sottolineare una cosa ovvia, cioè che essendo parroco di ben sette parrocchie non avrebbe potuto, di certo, celebrare la messa ogni domenica in tutte quante, ma ha altresì sottolineato che per lui l’importante è conoscere tutte le pecorelle del gregge e per fare questo, anche fuori dalla chiesa, intesa come luogo, gli rimangono


protettori – Sant'Andrea, Santa Maria, San Giuseppe e Santa Lucia – sappiano sostenerci nella fede, nella speranza e nella carità, aiutarci a vivere in comunione con Dio e con gli altri, sentendosi, gior-

foto www.artugna.it

loroso applauso dei ringraziamenti per l'impegno che ha profuso, a don Vito che, dopo le dimissioni di don Maurizio, (che ricordiamo in quel di Collevalenza), ha accettato di traghettarci, come amministra-

foto www.artugna.it Alcuni momenti della solenne cerimonia d’ingresso di don Davide.

tore parrocchiale, in una situazione non facile (resa ancor più complicata dalla pandemia), che però ha saputo gestire con umiltà, semplicità e competenza. Grazie quindi al nostro Vescovo Giuseppe che con l’aiuto del Signore, ci ha affidati al nostro nuovo Pastore. A don Davide e a tutti i suoi collaboratori il nostro auspicio affinché, con il sostegno dei nostri

no dopo giorno, parte delle nostre comunità. Alle fine della cerimonia religiosa, accompagnata dalle voci dei cantori di tutte e tre le parrocchie, un brindisi presso l’oratorio, organizzato grazie alla collaborazione del gruppo A.N.A. di Budoia e della Pro Loco, ha concluso in bellezza una mattinata sobria e di festa.

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tutti gli altri giorni della settimana. Credo che questo sia un bel punto di partenza, affinché noi tutti possiamo continuare e rendere più vivo ed intenso, il nostro cammino di fede. Tutti noi abbiamo bisogno di qualcuno che ci parli di Dio e soprattutto i nostri ragazzi hanno bisogno di testimoni credibili, fedeli e sinceri. Durante la sua omelia don Davide, esprimendo la sua gratitudine a tutti coloro che lo hanno accompagnato in questi anni di sacerdozio e ringraziando per l’accoglienza, la generosità e la vicinanza dimostrata già dai primi giorni da parte delle nostre comunità, ha sottolineato che questo «nuovo inizio» è una sfida che il Signore ci invita a raccogliere e ha voluto evidenziare, traendo spunto dalla liturgia domenicale, alcuni «punti fermi» nel nostro cammino di Chiesa: [«Conversarva con loro»] La fede nasce dall’ascolto ed è da qui che bisogna ripartire: attraverso l’ascolto della Parola di Dio impariamo ad ascoltarci tra noi. [«Partirono senza indugio»] I due discepoli del Vangelo non camminavano soli, ma insieme e sentirono il bisogno di tornare di corsa a Gerusalemme per dire agli altri che avevano incontrato il Risorto. Avevano intuito che la fede va vissuta in comunità, all’interno di relazioni fraterne, percependo come ricchezza le differenze e le diversità degli uomini; siamo consapevoli di trovarci in un momento ecclesiale impegnativo, ma anche carico di possibilià: difficile, ma promettente. [«Resta con noi»] La carità e l’attenzione nei confronti dei più piccoli e dei più bisognosi nell’epoca dell’«emergenza educativa», nonché dei malati e dei sofferenti, deve rappresentare il nostro obiettivo del pellegrinaggio verso il Padre. Tutti infine hanno rivolto un ca-

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NELLE NOSTRE COMUNITÀ

accolto il nuovo Parroco

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di Mario Povoledo

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Fra le riforme della nostra Diocesi, troviamo in primo piano le Unità Pastorali con al centro la collaborazione e il lavoro in sinergia fra Parrocchie, pur nel rispetto delle particolari identità locali. Le Comunità dei Comuni di Budoia e Polcenigo hanno accolto con gioia e disponibilità il nuovo Parroco con due distinti incontri e celebrazioni, tenutesi a San Giovanni di Polcenigo, sabato 11 settembre e a Budoia, domenica 19 settembre. Il Vicario Generale mons. Orioldo Marson ha presentato don Davide e i sacerdoti della Comunità «Il Seguito di Gesù» durante la Santa Messa celebrata nel campo sportivo parrocchiale per le parrocchie di Polcenigo, Coltura, Mezzomonte e San Giovanni. Presente il Sindaco dott. Mario Della Toffola.

Nella Parrocchiale intitolata all’Apostolo Andrea, si è tenuta la celebrazione comunitaria per le parrocchie di Budoia, Dardago e Santa Lucia, alla presenza del Delegato Vescovile don Ruggero Mazzega e del Sindaco dott. Ivo Angelin, con la partecipazione di don Vito Pegolo, già Amministratore Parrocchiale. Durante le due omelie, don Davide si è presentato ai suoi nuovi parrocchiani, commentando il testo evangelico dell’incontro di Gesù sulla via di Emmaus, con due discepoli increduli e titubanti per i fatti accaduti a Gerusalemme nei giorni precedenti e dopo la Risurrezione. Lo spunto all’omelia lo ha tratto proprio da questo incontro, attraverso il quale la fede di ciascuno di noi, messa a volte a dura prova, può trovare terreno fertile,

per far fruttificare il buon seme. Don Davide si è detto felice di poter iniziare questa nuova esperienza nelle sette comunità a lui affidate dal Vescovo, per un cammino di collaborazione e corresponsabilità fra pastore e fedeli. I delegati vescovili hanno augurato al nuovo pastore di sentirsi tale, con l’odore delle pecore, disponibile sempre non solo con i fedeli, ma con tutte le persone che incontrerà sulle strade e nelle case. I Sindaci, a loro volta, hanno auspicato una fervida collaborazione fra parrocchie e comunità civile, pur mantenendo i diversi ruoli. «Siete una bella squadra» hanno entrambi affermato i due primi cittadini e si sono detti certi di lavorare assieme per il bene comune delle nostre comunità, che vanno dall’Artugna alla Livenza, già un tempo territorio unico dal punto di vista sia religioso che civile. Già nei brindisi che si sono succeduti al termine delle celebrazioni, don Davide con i confratelli hanno avuto un primo caloroso contatto con i presenti, soprattutto con i piccoli e gli anziani, cui si deve dare la giusta attenzione in un momento difficile come quello vissuto in questi due anni causa la pandemia ancora in agguato. A don Davide, auguriamo un cammino fecondo e una solida guida spirituale. Da parte nostra cercheremo di collaborare con specchiata fedeltà e seguire gli insegnamenti, alla luce del cammino sinodale che le nostre chiese sono chiamate a fare in comunione con Papa Francesco e i nostri Vescovi.


INTERVISTA A DON VITO PEGOLO

l’albero di Natale è un simbolo cristiano? Riportiamo un’intervista rivolta a don Vito che non trovò spazio nel numero natalizio 2020.

di Fulvia Mellina

Primo gennaio 2020, Barcellona, entro con mio marito nella splendida Basilica di Santa Maria del Mar per partecipare alla celebrazione della Santa Messa e mi colpisce, al di là della bellezza del puro stile gotico catalano, la presenza ai piedi dell’altar maggiore di due splendidi alberi di Natale finemente addobbati con decori bianchi e luci scintillanti e ai loro piedi, il Bambino Gesù nella culla tra paglia e fieno. Allestimento maestoso, semplice e composto, che mi fa riflettere. Mi piacerebbe allestirlo all’interno della nostra bella chiesa ma è liturgicamente corretto? Pongo il mio dubbio a don Vito nelle nostre consuete riunioni del sabato mattina, dedicate al servizio per la Chiesa ed in vista dell’allestimento natalizio. La risposta di don Vito non si fa attendere...

Ma cosa simboleggia per i cristiani? L’albero di per sé, sia per il mondo pagano che per il mondo cristiano, rappresenta il rinnovarsi della vita e per i cristiani rappresenta Cristo e la sua immortalità. L’abete inoltre è un albero sempreverde: ci riconduce dunque a Gesù, l’autentico «albero della vita», simbolo di pace e speranza. L’albero è un modo per identificare una famiglia cristiana; un’immagine del Bambino Gesù o della Natività posti al di sotto, accanto o sopra di esso, contribuiscono a far risaltare il carattere religioso di questo simbolo ecologico della Natività, introdotto come segno «laico» delle feste natalizie.

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L’albero di Natale è un simbolo cristiano? «La tradizione dell’albero di Natale non ha origini cristiane, ma nel tempo, piano piano, si è inserita nelle feste religiose medievali entrando poi ufficialmente nelle case».

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Su ciò sono intervenuti sia Papa Benedetto XVI che Papa Giovanni Paolo II: «Significativo simbolo del Natale di Cristo, perché con la sue foglie sempre verdi richiama la vita che non muore» «la forma svettante, il suo verde e le luci sui suoi rami sono simboli di vita», che «rimandano al mistero della Notte Santa». [Papa Benedetto XVI]

«Accanto al presepe, come in questa Piazza San Pietro, troviamo il tradizionale albero di Natale che «...è un’usanza anch’essa antica, che esalta il valore della vita perché nella stagione invernale, l’abete sempre verde diviene segno della vita che non muore». [Papa Giovanni Paolo II]

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E a seguire Papa Francesco, durante la pandemia: «L’albero di Natale e il presepe sono segni di speranza». Dopo l’Angelus, il 6 dicembre 2020, si rivolge ai fedeli presenti in Piazza San Pietro a alle persone a casa: «Come vedete, nella Piazza è stato innalzato l’albero di Natale e il presepe è in allestimento. In questi

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giorni, anche in tante case vengono preparati questi due segni natalizi, per la gioia dei bambini e dei grandi. Sono segni di speranza, specialmente in questo tempo difficile. Facciamo in modo di non fermarci al segno, ma di andare al significato, cioè a Gesù, all’amore di Dio che Lui ci ha rivelato, andare alla bontà infinita che ha fatto risplendere sul mondo. Non c’è pandemia, non c’è crisi che possa spegnere questa Luce». [Papa Francesco]

Dopo pareri così autorevoli vi assicuro che benedirò anche i vostri alberi di Natale in Chiesa! *** Grazie don Vito, allora si procede con l’albero di Natale, anzi due. Decorazioni già pronte da tempo... preparate oltre 10 anni fa dai bambini dell’oratorio con l’aiuto di due mamme dalle mani d’oro. Gingilli bianchi di carta ritagliati con pazienza e cuori bianchi e rossi. Aggiungiamo luci, rami di tasso, piccole stelle di Natale e, ai piedi dell’albero, il Bambino Gesù nella culla. E sul sagrato della Chiesa, un presepe progettato e costruito con cura dai volontari a cui fa da sfondo un albero di Natale che, illuminato nella notte, si staglia sulla facciata della Chiesa. Il risultato finale ha aperto il cuore a tante persone, rallegrate e vicine nel segno del Natale.


L’ANNO DEL CINQUANTESIMO

Per i 50 anni di fondazione de l’Artugna, continuiamo a ricevere con profondo piacere manifestazioni augurali, riflessioni, considerazioni, opinioni dai nostri lettori.

Buon compleanno a l’Artugna

di Alessandro Fadelli

Ricordo bene la prima volta che scrissi qualcosa per l’Artugna. Era l’inizio del 1985, io avevo appena 24 anni e insegnavo dal settembre del 1983 nella scuola elementare di Budoia. Avevo già letto diversi numeri della rivista ed ero rimasto colpito dalla sua elevatissima qualità, sia come contenuti che come grafica: un fatto che pareva quasi incredibile per il periodico di una piccola comunità paesana. La collega Vittorina Carlon e anche il compianto maestro Umberto Sanson, che avevo conosciuto facendo il supplente a Budoia qualche anno prima, mi avevano sollecitato a scrivere un articolo storico per l’Artugna. Mi era capitato fra le mani proprio in quei giorni un testo edito nel lontano 1869, nel quale si riportava, tra altre cose, qualche interessante informazione sulle scuole budoiesi dell’epoca. Ne tirai fuori un articoletto (Curiosità sulla scuola d’altri tempi) che, rivisto oggi, mi pare abbastanza ingenuo, anche se fatto con passione. Portai i fogli, battuti a macchina con la «mitica» Olivetti portatile, a Vittorina, mentre era a scuola a Vigonovo, passandoglieli

quasi clandestinamente attraverso la recinzione dell’edificio scolastico durante una ricreazione. L’articolo uscì poi nel numero 46 dell’aprile 1985, e confesso che quando lo vidi stampato rimasi emozionato, anche se occupava una sola pagina, la 14: era la prima volta che si pubblicava un mio scritto. Mi occupavo seriamente già da qualche anno di storia locale, con varie ricerche archivistiche e bibliografiche, ma stentavo a pubblicare qualcosa, essendo molto giovane e un po’ intimorito dalla grande competenza di una schiera di bravissimi studiosi di storia locale che allora «spadroneggiava» nel Pordenonese con lavori davvero approfonditi e innovativi, che mi facevano sentire inadeguato, per non dire ignorante. Essere riuscito finalmente a pubblicare qualcosa mi incoraggiò a continuare e a proporre con minor timidezza le mie ricerche in altri ambiti. E così, l’Artugna è stata per me una sorta di trampolino di lancio, una prova (più per me stesso che per gli altri...) che potevo anch’io fornire un contributo, ancorché modesto, alla storiografia del Friuli Occidentale.

Da quell’articolo sono passati ben trentasei anni, durante i quali l’Artugna ha avuto la bontà di ospitare parecchi altri miei articoli (ne ho perso sinceramente il conto, ma credo più di trenta…), che spero abbiano destato l’interesse di qualche lettore e contribuito a definire meglio alcuni aspetti dell’affascinante storia di Budoia. E da allora, tre volte all’anno, l’Artugna ha continuato a entrare in casa mia, portandomi storie piccole e grandi, ricordi, testimonianze, racconti, poesie e vecchie foto di un paese (anzi, di tre paesi!) che amo moltissimo, restando sempre curata, ricca, equilibrata, lontana mille miglia dal «dilettantismo volontaristico» che rende pesanti e talora illeggibili molti bollettini parrocchiali o comunali. Una «signora rivista», letta, consultata e «invidiata» in tanti luoghi, che continua – deve continuare! – ad accompagnare i giorni, i mesi e gli anni di una comunità profondamente diversa da quella che cinquant’anni fa la vide sorgere, ma sempre vitale e accogliente. Ad multos annos, l’Artugna, e grazie di cuore per il tuo impagabile servizio!

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era il 1985...

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L’ANNO DEL CINQUANTESIMO di Sante Ugo Ianna

una buona idea

Qualcuno ha fatto rilegare i vari numeri del periodico l’Artugna, personalmente preferisco tenerli sciolti e spesso sfoglio i più vecchi per riandare, complici le fotografie, al tempo che è inesorabilmente trascorso ma, effetto personale, psicologicamente mi ringiovanisce. Spesso guardo il primo numero e faccio il parallelo con i neonati che sono piccoli, indifesi, bisognosi di cure ed attenzioni, poi costoro diventano grandi e palesano le loro doti, i loro pregi e certamente qualche difetto... ebbene l’Artugna non ha fatto eccezione, è cresciuta in modo esponenziale e, non fosse altro, in questi cinquanta anni di vita è stata una attenta testimone degli ovvi cambiamenti avvenuti nelle nostre comunità. Ritengo che l’idea di cinquanta anni fa non è invecchiata anzi è stata

una ‘buona idea’ che ha resistito al tempo e della quale dobbiamo modestamente vantarci.

di Franca Danùt e Mario ‘il foresto’

50° de l’Artugna e... del nostro matrimonio! Il periodico è sempre stato per noi uno strumento per sentirci partecipi della comunità anche quando la nostra presenza si riduceva a qualche settimana all’anno; contribuendo comunque a rinvigorire e rafforzare le nostre radici. Anche ora che possiamo essere più presenti gli articoli della rivista ci aiutano a conoscere ed approfondire la storia di chi ci ha preceduto cre-

ando un ponte tra il passato e il presente perché il futuro non abbia a perdere le radici. Un grazie particolare a chi con pazienza ed entusiasmo si è prodigato perché il periodico fosse sempre stimolante e puntuale nel riportare momenti significativi della vita comunitaria con un occhio al passato e uno al presente evolvendosi anche nella grafica.

l’Artugna e il suo variopinto popolo

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di Luca Modolo

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Dardago e il suo «fiume», poiché parlare di torrente risulta riduttivo per un elemento così forte, caratterizzante un intero territorio. Così ho sempre visto l’Artugna, un fiume che attraversa il paesaggio, che ne unisce i lembi, che accompagna il viandante prendendolo per mano. L’Artugna e il suo variopinto popolo. Così si può definire la gente che abita la sponda del fiume, quella tavolozza di emozioni, pensieri e parole che si ritrova all’interno dell’omonimo periodico. Non poteva chiamarsi diversamente. I miei ricordi di lettura vanno al mezzo del cammin della sua vita, a circa 25 anni fa, quando, ormai in vista del traguardo di persona adulta, mi sedevo accanto alla stufa, nella

cucina di mia nonna Dele, a leggere. Ogni pagina una sorpresa, ogni pagina un’emozione. Echi da un passato di fatica e stenti, ma anche di condivisione e felicità. Racconti di famiglie e tradizioni, di emigrati e opere. E poi cronache di attualità, eventi e manifestazioni. Celebrazioni di nascite, matrimoni e lauree, nelle quali scoprire i soprannomi antichi e i cognomi di qualche foresto. Questo il gran merito de l’Artugna, un periodico di comunità, che unisce passato, presente e futuro, un fiume che nasce dalla montagna degli avi e, passando per il paese, sfocia nella pianura del domani.


Dall’uscita del primo numero sono ormai trascorsi 50 anni, ovvero mezzo secolo. E vi par poco? Questo giornalino (e dico ‘giornalino’ non per sminuirlo, anzi per attribuirgli ancor più un valore affettivo come quello che i bambini danno a questo termine) ha accompagnato la vita di tanti dardaghesi. Fin dai primi numeri è stato un apprezzato punto di riferimento per tutti. Tutt’ora a Pasqua, Ferragosto e Natale dopo la Messa, tante persone sul sagrato della Pieve si attorniano al banchetto per comprare il nuovo numero de l’Artugna e i non residenti a Dardago, che l’acquistano, si premurano di dire: «te racomande, canceleme, no steit a mandamela a ciasa, sarave un spreco»... I contenuti de l’Artugna sono stati molto, molto vari, ma sempre sulla stessa linea: ricostruire e non dimenticare le nostre radici, camminare insieme seguendo le profonde e rapide trasformazioni di questo mezzo secolo, i fatti di cronaca che potevano accomunare tutti, gli aggiorna-

menti sulle iniziative dei vari paesani, l’impegno e le attività che potevano distinguerli, il tutto sempre correlato da fotografie, testimonianze, espressioni dialettali... E non dimentichiamo tutti gli alberi genealogici e i vari inserti, non ultimo e minuziosissimo sulla Grande Guerra che ha visto partecipe la nostra gente, tanto per citarne uno... E che dire delle copertine? Immagini significative che non colpiscono solo esteticamente, o che anticipano parte del contenuto, ma anche immagini con qualche scorcio dei nostri luoghi. E allora ecco che riescono a colpire gli occhi ed il cuore, specie di chi non vive là. È doveroso sottolineare l’intuito prima e poi l’impegno, la caparbietà, la tenacia del voler mantenere l’Artugna sempre viva e attuale, con novità che seguissero il passo e i cambiamenti dei gusti e degli interessi in questi anni così fluidi. Chi sono gli artefici di tutto ciò? Vittorina Carlon, Vittorio Janna e Roberto Zambon. Hanno saputo di volta in volta av-

valersi di collaboratori che o per molto tempo o sporadicamente o anche solo per un articolo hanno partecipato con contributi interessanti e ben inseriti nel contesto del momento. È merito di tutti loro se l’Artugna continua ad essere puntualmente pubblicata. Viene ancora spedita in tutto il mondo e attesa con ansia anche se ora c’è la possibilità di vederla in anticipo grazie ad internet. Ovunque noi siamo. Ma prima non era così. Infatti quando eravamo vicini alla data di uscita di un numero, mio zio Renato dagli USA continuava a chiedermi «alora... ela vignudha fora l’Artugna? La tarda a rivà... I me l’avarà mandadha?»... Ciò che a mio parere è molto ammirevole è l’aver saputo mantenere vivo l’interesse verso l’Artugna in questi 50 anni di continua e rapida trasformazione della realtà. Durante questo lungo cammino non saranno certo mancate le difficoltà oggettive, le critiche negative, i momenti di delusione e il conseguente desiderio di ‘mollare’ tutto. Invece no, eccola ancora qua! Tenaci come sempre i nostri autori hanno continuato a produrre e a tenere viva questa ‘creatura’. In questo mezzo secolo si è succeduto più di un cambio generazionale, ma evidentemente la ‘passione’ per l’Artugna è stata via via tramandata a chi sarebbe venuto dopo. La continuità di questa pubblicazione deve essere motivo di soddisfazione per voi autori e per i vostri collaboratori. Tutto il vostro lavoro è ripagato dalla «voglia di leggerla ancora». E con ciò rinnovo i miei complimenti e i miei ringraziamenti e vi incito a continuare e a trasmettere questa passione a tutti i paesani e non, vicini o lontani.

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Nozze d’oro! di Rosalia Bocus Chi le festeggia? ...l’Artugna

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un cammino silenzioso ANTONIO 2020-2022 Per conoscere natura e destino dell’uomo 800 anni fa un giovane agostiniano diventato poi francescano risalì l’Italia dalla Sicilia, dove vi approdò nel 1220 dopo la fallita missione in Marocco, fino a giungere nel Nord Italia e Sud della Francia. Un cammino a piedi durato circa una decina di anni (morirà a Camposampiero/Pd nel 1231 a 36 anni) fatto di preghiera e incontri, che, quest’anno, è stato riproposto ripercorrendo un breve tratto da Gemona, in Friuli, a Padova. Un’occasione per scoprire questa grande figura che ancora oggi richiama a sé gente di ogni provenienza, stato e condizione. Chiunque, in ogni momento della vita, può percorrere queste tappe: come 800 anni fa, ancora oggi Antonio ascolta il cuore dell’uomo che cammina portando le sue sofferenze e ferite, perché anche lui ha attraversato «il mare in tempesta» e i fallimenti per poi conoscere la vera natura e destino dell’uomo.

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UN PELLEGRINO SUI PASSI DI ANTONIO

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PASSO DOPO PASSO. La devozione per Antonio di Vittorina Carlon «A piedi, in silenzio». Nicoletta Masetto, giornalista redattrice del Messaggero di Sant’Antonio, titola così l’articolo sul percorso lungo le cinque tappe friulane del ‘Cammino di sant’Antonio’ sui passi del Santo, dal Friuli al Veneto fino a Padova attraverso luoghi ricchi di bellezze naturali, di storia, di fede e di devozione plurisecolari, a ottocento anni dalla venuta di Antonio in Italia da Lisbona e dall’inizio della vocazione francescana nella città patavina. Correda l’articolo una suggestiva immagine di Dardago: si tratta della nicchia nella facciata della casa degli Ianna Pol, in via Rui de Col, animata dalla statua del Taumaturgo che accoglie il viandante dalla salita di via Parmesan. Uno dei tantissimi segni di devozione popolare di cui i nostri paesi, la pedemontana e l’intero Friuli occidentale sono ricchi come rilevato dal censimento effettuato negli anni Ottanta del secolo scorso.1 Il Cammino, contrassegnato dal giglio bianco, è transitato anche nel nostro territorio, ma non ci siamo accorti, siamo rimasti sordi all’importante e singolare richiamo e mute sono rimaste le campane. Peccato! Solamente qualcuno…. Abbiamo perso un’occasione unica: seguire il passaggio di una reliquia del Santo, un frammento

del Suo corpo costudito nello zaino di uno degli organizzatori, per diffondere la santità nei luoghi percorsi, gli stessi visitati da Antonio nel 1227. Da allora quante chiese, quanti segni sacri, quante statue a lui dedicate vennero erette! Da testimonianze si è trattato di un peregrinare silenzioso, raccolto, impercettibile, lento (lentezza come valore) che ha permesso ad ognuno di rimpossessarsi dei propri luoghi, dei propri tempi, dunque della propria esistenza, dei propri sogni ormai difficili da cogliere nell’epoca della velocità, del rumore vuoto ed assordante del quotidiano; un peregrinare che ha rappresentato una condizione favorevole di crescita personale e spirituale per tutti i partecipanti, pellegrini credenti e non credenti, che desideravano coglierla. Inaugurato in giugno, l’itinerario ha collegato Gemona a Padova, con una media di venticinque chilometri a tappa. Tra ottobre e novembre, dal territorio gemonese, attraverso Osoppo, si è giunti a Majano, nel Hospitale ‘pellegrino’ di San Giovanni del dodicesimo secolo, la più antica stazione del nord-est con funzione di assistenza sulla Via d’Allemagna (Romea Strata), proseguendo, quindi, per San Daniele, Ragogna, Pinzano fino a


Ministro provinciale l’intera provincia lombarda alla cui giurisdizione appartenevano le terre friulane. Oltre ai documenti che attestano la sua presenza, fino a fine del secolo scorso nel territorio di Castelnovo del Friuli, la tradizione orale rievocava momenti del suo passaggio per la Mossenta, in direzione di Gemona, con la dedizione di un umile segno devozio-

nale nei pressi di Paludea, lungo il Cosa, e con la narrazione de Il primo miracolo di sant’Antonio. Trascorsi decenni dalla ricerca etnografica, rievochiamo con gioia la profonda e partecipata devozione delle persone intervistate che con il loro narrare, emotivo e coinvolgente, rendevano vivo fino allora lo straordinario evento.

Al prim miracul de Sant’Antoni Una volta Sant’Antoni al è zut su par chi de la mont di Mossenta. Prima de rivà a Glemona al à cjatat un cjar cjamat di cànes e lui, tan strac ch’al era, ch’al era discolc’, al à domandat un passagju a chistu cjarador. E lui a ‘i à det: «No pos, parcé ài un muart là sot». «Eh, ben, e muart ch’al sèipi!» ‘l à dit Sant’Antoni. Co ‘l è rivat a Glemona chel ch’al era platat, ch’al era un ‘fuorilegge’, al era muart. Il carrettiere addolorato voltò il carro e ritornò sui suoi passi, finché incontrò il frate, gli chiese perdono e lo supplicò di scordare l’offesa. Il sant’Antonio senza portargli rancore con un segno di croce ridiede la vita al fuorilegge.2

Con l’attuale Cammino continueranno a vivere anche le devozioni e le tradizioni delle nostre genti per un Santo universale. NOTE 1. In parte pubblicato in: Renato e Elvia Appi, Magda e Vittorina Carlon, Adriana e Dani Pagnucco, C’era una volta la pietà popolare. Segni religiosi e preghiere del Friuli Occidentale, Pordenone-Udine, 1992. 2. Elvia e Renato Appi, Magda e Vittorina Carlon, Pietà nell’Arte popolare. Castelnovo del Friuli, Castelnovo del Friuli 1990.

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Sequals. La terza tappa ha calcato i territori di Arba, Maniago per raggiungere Montereale Valcellina e da lì, superando Aviano, dopo la sosta al CRO, e Budoia, arrivare a Polcenigo, accolti con gioia dalle suore francescane elisabettine nella chiesa dell’ex convento di San Giacomo, il più antico di presenza francescana della diocesi di Concordia-Pordenone e il secondo dell’intero Friuli. Il percorso friulano si è concluso, quindi, con la tappa sacilese dalla cui cittadina il Cammino è proseguito verso il Veneto per altre sei tappe, fino alla città del Santo. Perché l’avvio da Gemona? Nel centro friulano esiste il più antico santuario al mondo dedicato ad Antonio risalente allo stesso anno della sua morte (1231) e consacrato nel 1248. All’interno conserva la cella del Santo e i resti dell’edificio del Duecento voluto proprio dal Taumaturgo in onore della Beata Vergine delle Grazie, ma dedicato a lui dopo la sua morte. La ragione dei continui spostamenti del Santo da un convento all’altro e tra la gente, per la predicazione contro gli eretici, fu dettata dal fatto che, dall’anno 1227 al 1230, egli governò in qualità di

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Momenti toccanti della cerimonia.

1921 2021

4 novembre 2021

ricordati i 100 anni del Monumento ai Caduti di Dardago di Roberto Zambon

La festa del 4 novembre viene ricordata da anni presso i monumenti dei singoli paesi. Quest’anno, a Dardago, la festa è stata ancora più solenne. Oltre a ricordare la fine della Prima Guerra mondiale e i cento anni del trasporto della salma del Milite Ignoto da Aquileia fino all’Altare della Patria a Roma, il nostro paese ha celebrato i cento anni del monumento ai Caduti. Gli alunni, più grandicelli, delle elementari si sono esibiti con un buon repertorio tra gli applausi del pubblico: oltre l’Inno Nazionale e la Canzone del Piave hanno preparato la famosa «La Guerra di Piero» di Fabrizio De Andrè che mette in evidenza gli orrori della guerra. La presenza e la esibizione dei bambini ha commosso i presenti: commozione che non ha risparmiato il nostro Sindaco durante il suo intervento. Al termine della cerimonia ufficiale le autorità ed il pubblico hanno potuto apprezzare il rinfresco preparato dagli alpini nel cortile delle scuole.

N el numero precedente (153 – agosto 2021), abbiamo ampiamente ricordato i 100 anni del Monumento ai Caduti posto nella piazza di Dardago. Ora presentiamo la cronaca degli eccezionali avvenimenti di quei giorni trovati in un manoscritto custodito nell’archivio dell’antica Pieve.

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don Romano Zambon,

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Don Romano Zambon, dardaghese, storico pievano di Dardago, era solito riportare nel Registro delle Sante Messe anche gli eventi importanti per la vita del paese. Ecco la trascrizione completa di quanto si trova relativamente alla quarta domenica del mese di Ottobre 1921.


foto www.artugna.it

23 Ottobre 1921. Inaugurazione del Monumento pro caduti. Alle 10 messa solenne pro caduti da Requiem, cantata in organo, assistito dai MM.RR. Don Paolo Fabris e Don Giovanni Signora, presenziando don Pietro Corona, don Antonio Tubello e predicando don Vittorio Sala, un Capitano del Presidio di Sacile, l’assessore Vettor Casimiro, il Sig. Zambon Ettore, il Sig. Maestro Pavan e la Confraternita del Santissimo. Dopo la Santa Messa ebbe luogo la benedizione del monumento. Festa civile. Alle ore 3 pom. furono presenti l’Onor. Cristofori, un Capitano, l’Amministrazione Comunale, i suddetti e una folla di popolo enorme. Indi in canonica il vermout d’onore. Tutto riuscì splendidamente. 1

Deo Gratias ac Deiparae

NOTA 1. Grazie a Dio e alla Madre di Dio.

un testimone d’eccezione Nello stesso Registro, qualche giorno dopo, il 4 Novembre 1921, troviamo un’altra notizia relativa alle celebrazioni per i Caduti della Grande Guerra. NOTA

Messa solenne a Budoia per il Soldato Ignoto.2 Folla enorme.

2. Il 4 Novembre 1921, la salma di un Caduto non riconosciuto fu tumulata al Vittoriano di Roma dopo essere partita dalla Basilica di Aquileia. Onorando il Milite Ignoto si intendeva onorare le migliaia di Caduti sui vari fronti della Grande Guerra a cui non si era potuto dare un nome. DICEMBRE 2021 / 154

4 Novembre 1921.

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NARRATIVA

Proseguiamo con la pubblicazione di un nuovo entusiasmante racconto di Alessandro, amico de l’Artugna

racconto di città

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di Alessandro Fontana (Sor Dalsena)

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Il padre l’aveva preparato già da alcuni mesi e oggi il momento del suo primo giorno di scuola era giunto. Guido uscì in strada dalla casa di viale Bontempelli felice del contatto con la mano di papà. Era già ora di grande traffico ma la sua emozione non gli faceva avvertire altro che il calore di quella mano che lo trasportava come se fosse su un aliante. Il grande edificio scolastico si trovava nella traversa a poche centinaia di metri, in via Carducci e all’angolo tra le due strade il genitore si mise una mano in tasca e porse una moneta a una mendicante, una persona ritta in piedi con il capo coperto che Guido non aveva mai notato nelle loro passeggiate. Sentì due o tre parole della donna ma non capì che dicesse. Vide solo il suo sguardo che gli sorrideva, come se gli parlasse. Anche lui le sorrise. Dopo il primo giorno, quel gesto e quegli sguardi si ripeterono per quasi due mesi, sempre uguali, ogni giorno di scuola. La mendicante si trovava immancabilmente in quel punto, ora su una strada ora sull’altra dietro l’angolo, secondo di dove soffiasse il

vento, per proteggersi. Ormai l’inverno si annunciava sempre più presente ogni giorno. Guido la incontrava soltanto il mattino. Invece, quando lasciava l’edificio e ritornava a casa lei non c’era mai, e lui lanciava a quell’angolo uno sguardo sorpreso e deluso. Una breve occhiata tra il frastuono di mille scolari. Talvolta era la vicina di casa che lo accompagnava a scuola quando suo padre doveva uscire presto. In quelle circostanze, al momento della buonanotte, lui gli metteva sul comodino sempre due o tre monete da donare alla donna all’angolo. «Mi raccomando» chiudeva con una carezza. In cambio lei gli regalava sorrisi e Guido si affezionava sempre più alla sua presenza. Quando divenne tredicenne il padre si risposò e capitava che si dimenticasse di dargli le monete ma lui, raccattandole in casa dove poteva o prelevandole dai suoi piccoli risparmi, non fece mai mancare alla mendicante i suoi spiccioli, ogni giorno di scuola. Anche quando lei non era presente al suo solito posto per qual-

che piccolo malanno o lui trascorreva le vacanze con papà, Guido ne teneva conto e al suo ritorno le dava le monete anche per ognuno dei giorni di mancanza. Non era però mai avvenuto che lei fosse rimasta assente più di due giorni di seguito. Una mattina che era ormai al liceo, la mendicante lo fermò con un gesto della mano prima che lui potesse offrirle quei soldi. Ora lei non restava più in piedi all’angolo ma era seduta su una sedia e per la prima volta gli parlò. La voce era gradevole, forse soltanto un po’ rauca, e parlava piano, con la calma impacciata di chi non comunica spesso con il prossimo. Quel modo però accentuava il contrasto con il suo abbigliamento di povera, non insudiciato ma certamente anonimo. «Io mi chiamo Mirella, e tu?» Era rimasto sbalordito dalla novità, dopo tanti anni di sorrisi e di silenzio e farfugliò: «Io sono Guido». Lei aveva ritirato la mano, solo adesso. «Lo so, ho sentito tante volte come ti chiamavano: sempre Guido, mai Guidino, anche quando avevi sei anni, e questo mi piace-


Disegno dell’autore.

«E perché due motivi?» Lei si appoggiò con un lungo respiro allo schienale della sedia che cominciava a sgangherarsi e, ritirandosi le mani sotto una larga sciarpa di stoffa nera, rispose: «Perché mi hai detto il tuo nome e perché mi hai chiamato signora». Passarono ancora degli anni. Il padre non c’era più e Guido non riusciva a passare per l’angolo di Mirella ogni mattina ma ne teneva il conto, come sempre, e appena poteva le dava monete anche per i giorni che non l’aveva incontrata. Come sempre in passato. Oggi era una di quelle giornate. Per la prima volta fu lui a parlar-

le: «Signora Mirella, domani partirò e starò via un anno. Un lavoro all’estero». Lei non sorrise. «Ti aspetterò, Guido, ti aspetterò. Sarò qui quando tornerai». E guardò da un’altra parte. All’anno lui tornò e di mattina fece quasi di corsa il tratto di via Bontempelli fino all’angolo con via Carducci. Lei era lì e gli rivolse gli occhi marrone illuminati dal più ampio sorriso che lui potesse aspettarsi. Lei gli tese le mani e lui le strinse: la guardò così da vicino che mai prima. Era ancora più ingrigita e al suo fianco c’era un’altra mendicante, più giovane: sembrava che l’aiutasse. Si parlarono come se quest’altra non ci fosse. Lui non le diede monete ma una grossa banconota. Qualche giorno dopo Mirella con un sorriso affaticato gli mise in mano una busta chiusa che lui tastò avvertendovi la presenza di diversi fogli. Era sigillata con la colla. Lei supplicò: «Ti prego di non aprirla adesso. Non ti chiedo di prometterlo perché già so che lo farai. Dovrai aprirla soltanto se non mi vedessi per tre giorni di seguito». Trascorse ancora poco più di un anno. L’inverno stava mollando la presa sulla città e Mirella non si vide per tre giorni. Guido domandò all’altra mendicante se ne avesse notizie ma questa non sapeva perfino dove abitasse. Il quarto giorno d’assenza tornò di corsa a casa e si risolse ad aprire la busta. C’erano alcune lettere, ognuna piegata in due e numerate sul retro dall’uno al tre. Capì che dovesse leggere dalla prima e la spiegò. La grafia era piccola, nitida e un po’ incerta: gli tornarono in mente i suoi occhi. Diceva: «Carissimo Guido, se adesso stai leggendo la lettera numero

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va. Il tuo è un nome bello, dà serenità. Non deve essere alterato». Mentre lei parlava, in lui cessava lo stupore: stando così a lungo vicino inquadrò una bellezza ormai ingrigita ma non del tutto sciupata e gli occhi, i suoi occhi marrone gli sorridevano come altri mai gli avevano sorriso. «Anche il tuo nome, signora Mirella, è bello. Mi fa pensare più a una bambina…» e imbarazzato portò la mano alla tasca. «No, oggi no». Lo aveva fermato con insospettata determinazione e mormorò: «Ti devo già ringraziare per due motivi; tre motivi sarebbero troppi. Toglierebbero significato alla parola ‘grazie’».

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racconto di città

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uno, sappi che io sono già tornata al Creatore. Vorrei che tu venissi a casa mia. So che lo farai. Si trova in via Zandomeneghi, al ventitré. Sali al terzo piano e troverai una chiave sul pianerottolo, nascosta sotto la ringhiera. È praticamente invisibile ma se passi la mano tra il ferro e il pavimento, la troverai. Sii attento altrimenti può cadere nelle scale. Quando sarai in casa non lasciare la porta aperta e solo in quel momento leggerai la seconda lettera. Grazie». Lesse la mappa della città e trovò quella via. Si fece portare da un taxi che in pochi minuti lo condusse al numero ventitré. Il palazzo doveva essere stato costruito negli anni trenta, si disse, un palazzo di benestanti: «che ci faceva qui Mirella?» si domandò. Salì silenziosamente le scale: la chiave si trovava come indicato nella lettera. Lunga, rotonda e piena di denti: aprì una pesante porta blindata. Entrò e richiuse senza fare rumore. Non c’era riscaldamento e le finestre erano semi-aperte. Ne entrava poca luce. La stanza era sorprendentemente grande e arredata bene: al soffitto due lampadari grandi che nella penombra gli parvero di Murano. Vide gli interruttori e li accese: le pareti si schiarirono, presero vita assieme a diversi quadri e qualche specchio. Un grande tappeto attutiva i suoi movimenti. Nessun rumore tranne il sottofondo della città che entrava dalle finestre. Nella parete più lontana della sala due porte: la sinistra era aperta e, avvicinandosi, ne proveniva uno strano e continuo ronzio. Superò la sorpresa dei primi momenti e si ricordò di dover leggere la seconda lettera: l’aprì. «Carissimo Guido, adesso sei in casa. Entra per la porta aperta

sul fondo. Nel corridoio vedrai sei aperture: sono la cucina con il ripostiglio, il grande tinello, un bagno, lo studio e una prima stanza da letto. Entra nello studio, siediti e apri la terza lettera. Poi entrerai nella sesta porta». Era molto agitato ma la curiosità lo pressava ancor di più. La cucina era grande: un tavolo rettangolare al centro, un piano di marmo bianco. Una porticina dava accesso, pensò, al ripostiglio. Poi ancora sedie e due armadi a vetri, carichi di stoviglie. Sembrava proprio che non mancasse nulla e si apriva nel tinello con un passa-vivande e una porta. L’aprì lentamente, con attenzione, ed entrò. Due finestre semi-aperte e ancora poca luce. Azionò l’interruttore e tutto s’illuminò. Da un lato un divano appena liso, un poggiapiedi e due poltrone fronteggiavano un televisore posto su una insolitamente lunga madia assieme ad alcuni vasi. Un grande tavolo al centro e un’altra madia sulla parete di fronte anche questa sormontata da diversi vasi: riconobbe opaline e Sevres. Sulle madie due grandi quadri di natura morta e fiori. Fu sorpreso nel costatare ovunque l’assenza di fotografie e di ritratti. Ebbe l’impressione che tutto quell’arredamento non avesse un passato. Il ronzio era diventato ora più sensibile. Uscì dal tinello, accese la luce nel corridoio e vide tre porte chiuse. Davano nel bagno, nello studio e in una stanza da letto. Entrò. Questa sembrava preparata, pronta per qualcuno; perfino le lenzuola e la coperta del letto a due piazze erano sistemati, aperti a mezzo, come se aspettassero ospiti ancora attesi, forse mai arrivati. Richiuse ed entrò nello studio.

A sinistra, dietro una grande scrivania con un lume a campana, una biblioteca alta fino al soffitto, lunga quanto l’intera parete: conteneva un numero impressionante di libri. Sembrava che nessuno li avesse mai letti, ma neanche un granello di polvere li ricopriva. In un angolo dello scrittoio c’era un telefono, un blocco per appunti e le pagine bianche della città. «Ma come aveva fatto a realizzare tutto questo e perché?» si chiese e allungò d’istinto una mano sollevando la cornetta del telefono: la linea era funzionante. Riagganciò. Poi, sempre più stupito, andò alla scrivania, si sedette e aprì la terza lettera. Era più lunga delle altre e il ronzio era alto adesso. «Carissimo Guido, siamo arrivati alla fine e sono felice che tu sia qui. Mancano soltanto un altro bagno e la mia stanza da letto. Sarai rimasto sorpreso da questa vecchia mendicante che per quasi tutta la vita si è preparata e ha vissuto solo per questo momento. E adesso non c’è più perché non poteva e non doveva essere presente qui, oggi. Quarant’anni fa già mendicavo ma ero giovane e bella, molto bella. Un pomeriggio un signore si avvicinò, mi dette alcune monete e mi domandò con infinita gentilezza se volessi stare con lui quella sera. Molti me lo avevano già chiesto ma solo quell’uomo e la sua tristezza mi convinsero. Era molto distinto, alto e ben vestito. I suoi occhi erano buoni: io ho sempre guardato le persone negli occhi, le capivo con uno sguardo. Faceva parte della mia capacità di elemosinare. Allora non vivevo qui ma in una catapecchia: una stanza e un bagnetto giusto per lavarsi, con l’acqua fredda. Ma ero bella e quando non mendicavo mi


ido u G r e p

mo entro un’ora sarebbe tornato a casa. Gli lasciai un biglietto: «Questo è nostro figlio. Lo abbiamo concepito quella sera che mi volesti qui, un anno e mezzo fa. Non è bene che resti con me, con una mendicante. Questo bimbo merita una vita migliore. Io non l’ho battezzato. Fallo tu e, se vuoi, chiamalo Guido; mi piacerebbe molto. Non mi cercare. Ora stesso parto per l’Austria e poi in Ungheria». Gli scrissi questa bugia. Sono invece stata vicina a entrambi. Non mi sono mai fatta riconoscere. Solo una volta ho temuto, solo una sensazione, che m’avesse individuato. Ti ho seguito sempre perché io sono anzi ero tua madre e sono felice di avere fatto per te il meglio che potevo. Adesso puoi entrare nella mia stanza e perdonami se quest’ultimo passo ti potrà dispiacere o sconcertare ma solo tu devi trovarmi perché è per te che ho vissuto da quel giorno del biglietto. Quando sarai dentro, apri il cassetto del comodino di sinistra e poi lo sportello sottostante». Guido si precipitò nel bagno, accese la luce e si guardò allo specchio. Avvicinò la faccia al vetro: i suoi occhi erano marrone come quelli di Mirella. Gli si velarono e con l’acqua del rubinetto lavò via le lacrime. Uscì e si avvicinò alla porta da cui proveniva quel ronzio: l’aprì che già tremava. La stanza era molto grande e un alto letto a due piazze occupava la parete, di fronte a due finestre semiaperte. Vide poi quattro grandi ventilatori anch’essi addossati alla parete: ronzavano e assieme soffiavano verso l’esterno. Il letto era sfatto ma non vide nessuno. «Perché quei ventilatori

accesi?» si domandò. Si avvicinò di più e per prima cosa vide il coperchio aperto di una bara. Capì quasi subito e si mosse, tenendosi le mani per frenare il tremito, verso la finestra e l’altro lato del letto. Si ritrovò nella corrente d’aria dei ventilatori. Nella bara aperta c’era Mirella, distesa e composta, le mani in grembo. Si diresse alle finestre e le aprì. Respirò profondamente, guardò la gente che camminava e un tram che nella curva strideva sulle rotaie. Le auto ferme al semaforo si mossero tutte assieme come spinte da una invisibile mano. Dopo un paio di minuti il tremito lo abbandonò e si rigirò verso Mirella. Si avvicinò e richiuse lentamente il coperchio della bara. Spense i ventilatori e si avvicinò al comodino. Aprì il cassetto e trovò una busta bianca indirizzata a: ‘Mio figlio Guido.’ C’era anche una carta d’identità intestata a Mirella Raimo. Aprì la busta: la lettera scritta con la solita grafia indicava lo studio di un notaio dove lei aveva depositato il testamento. Lo avvertiva che tutto quello che lasciava era suo. Poi Guido aprì lo sportello: pacchetti ordinati di banconote stipavano quel vano assieme a qualcos’altro che luccicava. Uscì dalla stanza inebetito ed entrò nello studio. Si accasciò sulla sedia e rimase con lo sguardo fisso davanti a sé. Dopo diverso tempo si trascinò davanti l’elenco telefonico. Lo consultò lentamente e chiamò l’agenzia più vicina. DICEMBRE 2021 / 154

piaceva profumarmi. Andai da lui. Mi disse che era rimasto vedovo da poco. Parlammo. Mi piacque molto stare con lui e mi trattò delicatamente. Quando al mattino presto andai via risolsi di non tornare più dove mi aveva trovata a elemosinare. Dopo quattro o cinque settimane mi accorsi di essere incinta e allora presi un’altra decisione: avrei tenuto quel figlio. Nessuno poteva impedirmelo. Sapevo chi fosse il padre e dove vivesse. Però sapevo anche che la mia vita, l’unica che sapevo vivere, non era adatta a quella creatura: non volevo fosse condannata a fare la mia stessa esistenza. Così quando nacque lo tenni con me fino allo svezzamento. Poi, una sera, lo avvolsi bene in una grande coperta e lo portai addormentato davanti alla porta di suo padre. Sapevo che al massi-

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sogni

PARTE TERZA

Questa epidemia ha messo a tacere i ragazzi, li ha fatti rientrare in casa, barricati ognuno nella propria camera, o in aule a banchi e corridoi separati. Ha spento la profezia, l’utopia, i colori con cui si dipingevano il viso come il popolo degli indiani delle praterie e delle colline per la più tenera e pacifica delle guerre. Occorre, dopo l’epidemia, ripartire dalla terra. Questa può sanare le ferite, le divisioni. È l’unica che abbiamo: gran parte delle sue risorse ancora non sono conosciute; ed è bellissima. La notte in cui gli astronauti sono scesi sulla

di Silvano Scarpat

l’ Enciclica di Papa Francesco, luna la prima volta, cinquant’anni fa, non so quale cantante o attrice, interpretando il pensiero di molti disse: «La luna è brutta, la terra è meravigliosa». La luna è bella da lontano, la terra è bella qui, ora, erba per erba, fosso per fosso, stagione per stagione. Anche i sassi sono belli, ognuno diverso dall’altro: Francesco li raccoglie, li tiene nelle mani, li raggruppa per famiglie. Ognuno ha il suo colore – come i pappagallini, che fuggono, ritornano, muoiono, strillano e fanno compagnia – e le sue proprietà, per calmare o riscaldare il cuore. In natu-

ra c’è tutto quello che serve per la nostra salute: Dio ci ha dato le medicine dalla terra/l’uomo assennato non le disprezza (libro del Siracide 38,4). «L’eresia pericolosa non è dimenticare il Cielo – scriveva Paul Claudel, un grande credente – quella è un’eresia banale che non ha futuro. L’eresia pericolosa è aver dimenticato la terra». I ragazzi che hanno fatto la Cresima ad ottobre hanno capito bene il messaggio e hanno regalato a me, catechista, una serie di prodotti naturali: un segnalibro coloratissimo, proveniente da una

Quattordici bambini incontro a Gesù

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di Michela Fort catechista

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Domenica 26 settembre, per quattordici bambini delle nostre tre parrocchie è arrivato il momento tanto atteso: la Prima Comunione. Hanno ricevuto il Sacramento: Matteo Agostini, Mattia Bocus, Anna Brotto, Nicolò Canzian, Edoardo Colussi, Luca Dalto, Giovanni Di Fusco, Karin Fioranzato, Valerio Magris, Francesca Manieri, Margherita Tonus, Davide Zambon, Matteo Zambon, Valentina Zoni. La cerimonia è stata presieduta dal nuovo parroco don Davide, affiancato da don Vito, nella chiesa di Sant’Andrea Apostolo a Budoia. Nonostante le difficoltà del periodo, la possibilità di poter festeggiare tutti insieme con genitori, parenti ed amici ha reso questa cerimonia una grande festa molto sentita e partecipata, il tutto allietato dal coro.


Laudato si’, sulla cura della casa comune recupero di boschi autoctoni e l’abbellimento di paesaggi con opere di risanamento ambientale o progetti edilizi di grande valore estetico, progressi nella produzione di energia non inquinante, nel miglioramento dei trasporti pubblici. Queste azioni confermano che l’essere umano è ancora capace di intervenire positivamente, essendo stato creato per amare (58). In circostanze inedite, in cui era difficile anche vedersi, ci ha tenuti

insieme nel preparare e celebrare l’evento della Cresima, il cammino del Cuore: «l’essenziale è invisibile agli occhi». Lo spirito anima e suscita nuovi cammini (239). Il mondo cerca Chi lo ha creato (244). Occorre ripartire da qui, in una ricerca incessante, instancabile, notte e giorno, dalla fede e dal cuore: queste due strade convergono, ci fanno stare insieme e ritrovare, ci consentono insieme di sognare.

foto www.artugna.it

cooperativa del Guatemala; di una cooperativa del Bangladesh, che produce cesti, terrecotte, maglioni di lana, mi hanno regalato un quaderno di juta perché continui a scrivere e un grande copricuscino in cotone ricamato, perché continui a sognare. Sono tutti prodotti dell’Altromercato, perché impariamo a vivere, produrre e spendere meglio. Scrive il Papa nell’Enciclica ‘Laudato si’: in alcuni paesi ci sono esempi positivi di risultati nel migliorare l’ambiente, come il risanamento di alcuni fiumi che sono stati inquinati per tanti decenni, il

Il giorno della nostra Cresima Domenica 24 ottobre, nella chiesa di Dardago, noi sette ragazzi delle tre parrocchie, abbiamo ricevuto il dono della Santa Cresima. Quella domenica eravamo emozionatissimi perché coscienti che lo Spirito Santo sarebbe presto disceso su di noi, ma grazie a un breve momento di ritiro assieme a don Roberto Tondato, delegato vescovile, abbiamo saputo gestire al meglio le nostre emozioni. Negli anni precedenti abbiamo svolto un lungo percorso di preparazione assieme al catechista Silvano, del quale terremo nei nostri cuori i suoi insegnamenti per superare i momenti di difficoltà, e i bellissimi pomeriggi che ci ha fatto trascorrere in compagnia. Ringraziamo particolarmente Silvano, per l’organizzazione della meravigliosa gita al monastero di Poffabro, dove abbiamo trovato pace e tranquillità, e gli auguriamo di accompagnare ancora tanti altri ragazzi come ha fatto con noi.

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di Marco Zambon

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in fondo ad un cassetto In fondo ad un cassetto della mia vecchia libreria ho rinvenuto un lavoro fatto negli anni ’60 assieme al parroco di allora don Alberto Semeia: alcune pagine di un vecchio manoscritto di don Andrea Cardazzo, dal 1838 cappellano e poi parroco dal 1844, trascritte in modo leggibile.

PARTE PRIMA

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di Pietro Ianna

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Al tempo dei fatti che andremo a narrare, parroco di Dardago era don Giacomo Gozzi 1 di Aviano, proveniente da Portogruaro, ove con lode aveva sostenuto la cattedra di filosofia per 12 anni: uomo dotto, di profonda cultura e di animo aperto e caritatevole. A quei tempi la parrocchiale era in Dardago, quindi il parroco di Dardago era anche parroco di Budoia e Santa Lucia le quali erano cappellanie ed avevano un loro cappellano, come anche Dardago ne aveva uno. Nella chiesa parrocchiale di Dardago venivano celebrate tutte le solennità, le messe domenicali e anche i funerali dei tre paesi in quanto il cimitero era unico attorno alla chiesa stessa. La tensione tra Dardago e Budoia era altissima in quanto Budoia mirava alla separazione, diventare curazia e avere una certa indipendenza. Ogni motivo era buono per una rissa. L’occasione fu data dall’editto napoleonico che imponeva di portare i cimiteri fuori dal centro abitato. Don Gozzi commise il suo pri-

mo errore in quanto, pur avendo ottenuto dal commissario di Sacile il permesso di ampliare il cimitero di Dardago dietro il coro e di fare alcuni lavori di recinzione, non riuscì a portarli a termine a causa del colera. Il commissario che allora era un certo Bazzi, uomo venale, poco religioso e facile da comperare con delle buone forme di cacio – su soffiata del cappellano di Santa Lucia che voleva vendicarsi contro il parroco per la mancata sua nomina a cappellano di Budoia – fece proporre la costruzione di un nuovo cimitero. Per volontà di solo alcuni consiglieri comunali, il parroco non fu ammesso alla seduta e la decisione fu quella di costruire un cimitero a Budoia. Prima di procedere, la delegazione mandamentale volle che il cimitero di Dardago fosse visitato da una commissione sanitaria e fosse sentito anche il parere del parroco. La commissione, composta dal commissario, dal parroco, dai deputati comunali (assessori), da tre sanitari, dal medico

distrettuale e dall’agente comunale, fece visita al cimitero della chiesa e – con il voto contrario del parroco – conclamarono non poter autorizzare l’ingrandimento non essendoci le distanze dall’abitato previste dalla legge. Don Gozzi si oppose a questa sentenza, sia per le poche case vicine e sia perché aveva ottenuto dal commissario l’ordine a continuare le tumulazioni, ma la decisione fu quella di costruire un nuovo cimitero. Il parroco li portò a visitare il luogo da lui scelto per fare il nuovo cimitero (che è quello attuale di Dardago) ma anche questo venne dichiarato troppo vicino all’abitato. Sì recarono quindi a Budoia a visitare il luogo scelto per costruire il loro cimitero. La popolazione era contraria perché era fuori mano; temevano di non avere dai parenti un requiem post mortem. Inoltre il luogo ghiaioso non era adatto alla decomposizione dei corpi. Ciò nonostante il commissario inoltrò alla delegazione la richiesta di approvazione, ottenendo una risposta positiva.


miglie di Dardago, manifestò loro il progetto che aveva in mente e ottenuta unanime approvazione innalzò una supplica all’autorità competente per ottenere il permesso. Passò qualche tempo, ma alla fine ebbe l’autorizzazione, nei giorni stessi in cui veniva collaudato quello di Budoia. Grande l’ira degli irriducibili di Budoia che vedevano sfumare un’occasione tanto attesa per la separazione dalla parrocchia di Dardago! Si scagliarono contro il commissario obbligandolo a chiedere subito al Vescovo di autorizzare il vicario foraneo (non il parroco!) a benedire il nuovo cimitero. La benedizione avvenne il 17 marzo 1840. I fanatici di Budoia (così li definisce don Cardazzo) non demordevano in quanto volevano in qualche modo vendicarsi e obbligarono il commissario ad ordinare al parroco di non più tumulare nel

REQUIA ETERNALE A D. GIACOMO DE FORT OTTIMO DESIDERATISSIMO CAPPELLANO DI QUASI 10 LUSTRI NELLA PARROCCHIA DI DARDAGO. PASSATO AL NUMERO DEI PIÙ NELLA ETÀ DI 76 ANNI IL GIORNO 19 GIUGNO 1852 CON EDIFICANTE RASSEGNAZIONE, FRA L’UNIVERSALE E DIROTTO COMPIANTO L’INCONSOLABILE FAMIGLIA SUPPLICAVA * Lapide cimiteriale di don Giacomo De Fort, Dardago, Sagrato parrocchiale.

vecchio cimitero ma di portare i defunti dardaghesi nel nuovo cimitero di Budoia. Il commissario Bazzi inviò al parroco una lettera in cui ordinava al parroco di «chiudere il vecchio cimitero in modo che ne sia impedito l’ingresso tanto a uomini quanto a bestie». Inoltre avvisava che «la più minima omissione le verrà imputata per grave trasgressione politica e sanitaria». Don Gozzi, profondamente colpito e avvilito rispose al commissario che si meravigliava per tale divieto, poiché trovandosi la chiesa nel mezzo del cimitero, negare l’accesso al cimitero significava impedire anche l’accesso alla chiesa. Invitava pertanto la superiore autorità a prendere provvedimenti nei confronti di questo atto e che, per evitare l’insorgere di inevitabili dissapori tra frazioni, fosse concesso di continuare la tumulazione in quello vecchio. Questa presa di posizione di don Gozzi portò al trasferimento, dopo un anno, del commissario a Tricesimo e subito dopo al pensionamento. La creazione di due cimiteri suscitava molte reazioni tra la popolazione. I budoiesi dicevano: «Il parroco ci vuole divisi da morti e noi ci divideremo anche da vivi». Ci furono proposte di non versare le questue, negare l’elemosina settimanale per le anime del purgatorio né frumento, segale e granturco. Don Gozzi, tenace qual era, tirò dritto per la sua strada e, oltre ad aver salvaguardato i diritti della parrocchiale di Dardago, liberò i suoi successori e i dardaghesi dall’incomodo di fare un chilometro per tumulare e visitare i propri defunti. [continua] NOTE 1. Don Giacomo Gozzi fu pievano di Dardago dal 1810 al 1841.

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Fatta la stima del valore dei fondi interessati e approvata la spesa, vennero esperiti gli avvisi d’asta. Il parroco però non stette inerme o ozioso: scrisse un rapporto alla delegazione denunciando senza riguardo la peculiarità del commissario e l’animosità della commissione chiedendo un’altra commissione imparziale e la fece presentare dal conte Beltrame che era membro della delegazione stessa. Il conte Beltrame, uomo religiosissimo, era stato suo discepolo e quindi a lui molto affezionato. La risposta fu positiva e nel mese di maggio del 1838 ebbe luogo una nuova visita. La commissione si portò dunque a visitare i due luoghi e mentre in quello di Budoia già a trenta centimetri c’era ghiaia pura, in quello di Dardago si arrivò fino alla regolarità della fossa senza trovar ghiaia. Quello di Dardago fu giudicato il migliore ma la spesa, secondo loro, era maggiore in quanto si dovevano fare sessanta metri di strada ed un tombino sopra il rugo (el rui de col) con una spesa di austriache lire 500. Don Gozzi ammutolì e sottoscrisse il verbale. Alla sera don Cardazzo si recò in canonica e il pievano, afflitto, gli raccontò i fatti. Don Cardazzo fece presente al parroco che condurre i cadaveri da Dardago al nuovo cimitero di Budoia implicava un percorso lungo la strada comunale e quindi andava contro a quelle che erano le direttive sanitarie e che si rendeva necessario pensare ad un nuovo percorso lungo una strada campestre che necessitava di un profondo riatto il cui costo superava le austriache lire 2000. Suggeriva di assumersi lui la spesa delle 500 lire austriache certo che quelli di Dardago avrebbero lavorato gratuitamente. Intanto si diede inizio ai lavori per il cimitero di Budoia. Il parroco chiamò in canonica i rappresentanti delle principali fa-

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CASA INSIEME

un co-housing a Santa Lucia

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di Paolo Cimarosti _Medico e Assessore al Welfare

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Sabato 16 ottobre 2021, alla presenza dei sindaci e loro rappresentanti dell’Ambito del Livenza, della Direzione dell’Ambito stesso, della Presidente della Coop Itaca, del Parroco Don Davide, del Direttore della Fondazione Friuli, dei nostri Medici di Medicina Generale, nonché delle Associazioni del nostro comune è stato finalmente inaugurato il co-housing. Sottolineo «finalmente inaugurato» perché il ritardo è imputabile alla pandemia Covid-19 che ha stravolto per quasi due anni la nostra vita, mentre per l’inaugurazione va sicuramente ringraziato per il 90% il vaccino ed il conseguente Green-pass che ha permesso la partecipazione di una cinquantina di persone e, per il 10%, la splendida giornata di sole. Che cos’è questo co-housing? Sinceramente la parola non mi piace, preferisco le parole italiane: VIVERE INSIEME, VIVERE SOSTENIBILE, CONDIVIDERE SPAZI E SERVIZI. Praticamente si tratta di una casa con due stanze da letto con bagno, ciascuna con 2 posti letto, una cucina e una sala comune, una lavanderia, una cameretta per l’assistente familiare, ampio spazio verde all’esterno, destinata a persone in età adulta o anziana che, per motivi di salute o per compromissione di aspetti sociali o riguardanti l’autonomia personale decidono di vivere insieme. Le finalità generali hanno come ambizioso obiettivo di far vivere assieme quattro persone, combattendo la solitudine, ma, anche coinvolgendole nella gestione della quotidianità, penso al progetto di orto con erbe officinali (salvia e rosmarino in primis) da predisporre sul retro, ma, anche decidere cosa cucinare e chi incontrare. Ovviamente questa decisione di vivere assieme deve passare attraverso un grande cambiamento culturale che presuppone il passaggio dal vivere da soli (solitudine) al vivere in compagnia (integrazione); ma

anche la casa dovrà interagire e vivere con la nostra comunità e viceversa, stiamo adoperandoci in tal senso per attivare momenti di incontro e di attività che vedranno la casa come luogo di ritrovo di tutti coloro che vorranno partecipare. Alla fine dello scorso anno scolastico, Katia ed Azzurra, mediatrici di Comunità della Coop Itaca, hanno coinvolto i ragazzi e gli insegnanti della nostra scuola primaria attraverso un concorso per dare il nome ed un logo a questo progetto di vita: ha vinto CASA INSIEME che, in estrema sintesi, rende l’idea di come si vivrà in questa casa. E questo sarà il nome della casa. Casa Insieme sarà gestita per il primo anno dall’Associazione «Nuovi Vicini» a cui subentrerà una Associazione costituita da familiari dei residenti, Amministratori di sostegno e cittadini. Come in ogni casa, i conti sono importanti, posso quindi anticipare che la spesa che verrà sostenuta da ogni ospite sarà molto inferiore di quella sostenuta per una eventuale casa di riposo ma con una qualità di vita e di relazioni nettamente superiori. Da segnalare che in questi giorni partirà anche il recupero dell’ex latteria di Santa Lucia dove, al primo piano è previsto un nuovo co-housing per giovani, mentre al piano terra resterà la sala comunitaria. Si prevede in futuro un incontro di generazioni, visto che le due strutture co-abitano nello stesso cortile. Infine, come considerazione personale, visto che molti studi considerano la massiccia astensione al voto come il risultato di scarsa attenzione per il sociale, mi aspetto che le iniziative sociali in corso portino ad un maggior coinvolgimento dei nostri concittadini nella vita politica della Comunità e ad un aumento della percentuale di votanti.


Allenati come se non avessi mai vinto, gareggia come se non avessi mai perso.

Andrea, il nostro campione europeo, si racconta Quando eravamo in fase di chiusura, in redazione è arrivata la notizia che, ad Andrea, è stato assegnato il «Best Master Award 2020-2021» come miglior atleta europeo nel settore «OFF ROAD», la corsa fuoristrada. Complimenti vivissimi!

Sono solito dividere gli atleti che corrono in due categorie: ritmici e aritmici. Un po’ come il battito cardiaco. La base del pulsare è regolare e ci permette di vivere, muoverci, respirare, osservare. Poi capita qualcosa e un ritmo fino a poco prima regolare, improvvisamente si altera facendoci sobbalzare, arrossire, agitare, impaurire o ridere a crepapelle. Questo succede nella corsa in natura, il trail running, uno sport in cui nulla è regolare. Dal modo di correre che si deve adattare alle infinite pieghe della natura, alla tempesta di emozioni che ti pervade durante il viaggio interiore che si sta effettuando.

Le distanze sono superflue (si spazia dai pochi km alle centinaia), quello che conta è arrivare e condividere l’esperienza vissuta. La superficie della mia pista di atletica non è fatta di materiale plastico che ti restituisce la giusta forza per la falcata successiva. La mia superficie è fatta di pietre, a volte con i bordi arrotondati e piacevoli, altre volte aguzze che sembrano punirti per aver osato calpestarle; fango scivoloso che ad ogni curva cerca di buttarti fuori; terra polverosa che ti invade le narici impegnate nello sforzo di accelerare; foglie di mille colori che ti ipnotizzano per la loro bellezza ma nascondono trabocchet-

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di Andrea Moretton

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ti ad ogni passo; alberi maestosi con cui giocare a fare dribbling; salite ripide che ti sfidano a raggiungere la cima per guardare giù e dire: ce l’ho fatta! Discese mozzafiato in cui fare a gara con il vento.

Il mio campo d’allenamento è la Val de Croda. Quante volte ho sfidato l’acqua del Ruial fino ad arrivare alla cascata Perer, percorso il sentiero della memoria per raggiungere fontana

Andrea durante il percorso e l’arrivo trionfante ai Campionati Europei in Val Tramontina.

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Sopra. Andrea con i suoi amatissimi figli in Val de Croda.

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Tarabin e sorseggiare l’acqua della montagna, risalito il torrente Artugna saltando da una pietra all’altra, disceso la Venezia delle Nevi raggiungendo velocità impensabili, respirato a pieni polmoni la brezza dal Col Cornier guardando la valle sottostante. È un po’ come sentirsi parte di un luogo a cui si deve qualcosa per tutto ciò che si ha ricevuto. Un equilibrio da portare avanti per continuare ad esistere entrambi. Proprio grazie a questa armonia tra ambiente e persona continuo ad allenarmi nelle condizioni ottimali. Tutto questo mi ha permesso di presentarmi nel migliore dei modi all’appuntamento più importante dell’anno per me, i Campionati Europei Master di Trail running che quest’anno si sono svolti in Italia, nella splendida cornice della Val Tramontina. E se sono riuscito a laurearmi Campione Europeo lo devo anche alla Val de Croda perché, durante la competizione, ad ogni falcata, ad ogni salto, ad ogni cambio di ritmo il mio pensiero era lì, tra quelle rocce, tra quei luoghi che mi hanno permesso di alzare le braccia al cielo.


l’arte di Renato sui nostri sentieri Collocate nel territorio, le sculture di Renato Zambon Tarabìn creano ‘vetrine’ particolari che decorano e arricchiscono il paesaggio. Un intreccio virtuoso tra arte e creato: un intenso stimolo alle riflessioni dell’anima.

UN OBIETTIVO DELLA MIA CARRIERA La realizzazione de «il Crocifisso della fontana Tarabìn» ha da sempre costituito un obiettivo nella mia carriera di scultore del legno. Con quest’opera ho inteso portare una testimonianza in memoria del vissuto dei miei antenati, che assieme a diverse famiglie contadine, trascorrevano le estati in montagna a tagliare erba per il loro bestiame e gli inverni a tagliare legna per riscaldarsi. Una vita dura, aspra, fatta di fatiche enormi per poter sfamare la famiglia. In un momento storico così difficile, un dopoguerra fatto di povertà e privazioni, i miei occhi di bambino intuivano chiaramente le difficoltà quotidiane affrontate dai miei cari. Ora, con l’aiuto dei miei cugini Luciano e Corrado Tarabìn

e l’ausilio di Pierino Basaldella, il crocifisso è finalmente al suo posto, un simbolo in memoria di tutti, per non dimenticare le nostre radici. Desidero ringraziare inoltre il «Comitato del Ruial de San Tomè» che con le sue forze volontarie ha fatto in modo che un’altra mia opera venisse posizionata, sempre a Dardago, sulla cima del colle Ciastelàt. Posizione bellissima dove da giovane andavo spesso ad ammirare dall’alto il mio paese, la chiesa, il campanile e da dove cercavo di individuare la mia casa. Ora si realizza un sogno nel vedere il mio crocifisso con le nostre montagne alle spalle, e davanti il paese con tutto ciò che ammiravo in gioventù.

RENATO ZAMBON TARABÌN

I tre cugini Tarabìn e, seduto, l’amico Pierino Basaldella.

il Crocifisso alla fontana Tarabìn... R enato Zambon Tarabìn è un artista infaticabile: il suo occhio esperto individua, senza errore, i tronchi o i ceppi idonei per scolpire statue capaci di attirare l’attenzione e l’ammirazione. Abbiamo già ricordato più volte i premi vinti da Renato in varie

Mostre, a Roma e in molte altre località. Anche nella nostra chiesa possiamo ammirare alcune sue opere. Recentemente Renato ha voluto donare un suo Crocifisso per arricchire la nuova fontana Tarabìn,1 lungo la ciclabile Venezia delle Ne-

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di Roberto Zambon

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Alcuni dei partecipanti alla Santa Messa presso la fontana Tarabìn.

vi, creata da Luciano Tarabìn e da Pierino Basaldella per valorizzare il luogo in cui ora sgorga l’acqua della sorgente originale. In pochi giorni il progetto si è realizzato. Durante la Santa Messa di sabato 21 agosto, celebrata da don Vito Pegolo e da Padre Luigino Da Ros, il Crocifisso è stato benedetto e – tre giorni dopo – Luciano, Corrado Tarabìn e Pierino Basaldella hanno provveduto a fissarlo accanto alla fontana.

Su proposta di Padre Luigino, qui per un periodo di riposo dopo aver lasciato il suo decennale impegno presso la parrocchia dell’Immacolata di Aosta, si è deciso di solennizzare questo evento con una Santa Messa presso la fontana. Così, il 25 agosto, numerosi fedeli solo saliti fino al nuovo Crocifisso: la maggior parte in macchina (ovviamente con un apposito permesso) salendo da Dardago o scendendo dal Sauc lungo la Ve-

nezia delle Nevi. Un gruppetto, tra cui Padre Luigino, è salito a piedi lungo un sentiero che parte dallo Chalet Belvedere. La celebrazione della Santa Messa e la benedizione del nuovo Crocifisso – oltre alla attenta partecipazione dei fedeli fin qui saliti – hanno attirato l’attenzione dei ciclisti in transito, alcuni dei quali si sono fermati per un veloce segno della croce. Un rinfresco, offerto dall’autore, ha chiuso in modo familiare la cerimonia che ha lascerà un bel ricordo tra i partecipanti.

NOTE 1. L’antica sorgente Tarabìn, si trovava alcune centinaia di metri sopra il sito attuale. Era chiamata così dal soprannome della famiglia Zambon Tarabìn proprietaria dei prati. I lavori per la costruzione della strada (anni ’60) causarono lo spostamento del percorso sotterraneo dell’acqua.

...il Crocifisso sul colle del Ciastelàt di Euridice Del Maschio

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E fu così che un giorno, mentre

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stavamo parlando del più e del meno, anzi diciamo pure del più, qualcuno se ne uscì col verbo ‘trentinizzarsi’. Di cosa si parlava? Di ambiente e di territorio e in ciò il Trentino è senza alcun dubbio un modello da imitare. E noi del Comitato del Ruial de San Tomè di ambiente ci occupiamo e ci adoperiamo per dare valore ai luoghi, alle tradizioni e alle innovazioni come nel caso della coltivazione dello zafferano a Dardago. Un’occasione importante l’avevamo già in mano ed era il bellissimo Cristo Crocifisso che il nostro amico Renato ci aveva donato e

che dovevamo installare in un posto significativo per Dardago. Renato, scultore del legno come tanti artisti trentini. Forse fu proprio in quel giorno che al mio amico Vittorio vennero in mente le edicole votive che si

incontrano nelle vie e sui sentieri della Val di Fiemme e della Val di Fassa. Fatto sta che incominciò a progettare un’edicola in legno, dalla classica forma a losanga con tettuccio sagomato per fornire la giusta protezione dalle intem-


perie all’ormai «nostro» Cristo. Sulla carta era proprio un bell’esempio di ‘trentinizzazione’. Originali i paletti sullo schienale e il frontale, ma qualcosa non andava, il Cristo sembrava imprigionato, costretto in uno spazio troppo delimitato. Bisognava trovare un’altra soluzione. Il Cristo doveva certamente avere una protezione e doveva soprattutto essere ben ancorato, ma al tempo stesso, lasciato libero di rivelarsi in tutta la sua tragicità. E Vittorio di nuovo al lavoro a cercare idee e... dal legno passò al metallo. Ma quale? Bello il rame, ma troppo costoso per noi. L’alluminio, leggero. Allora il ferro, anzi l’acciaio. Sì, il cortèn! Tinta su tinta, varie sfumature di marrone: color ruggine la trave di sostegno, color noce la croce, color nocciola il Cristo. Cristo e croce a ypsilon: un tutt’uno uscito dallo stesso tronco di castagno a suon di scalpello, una particolarità geniale dell’artista. Perciò niente croce latina! E così idea dopo idea, tenuto conto del luogo, delle folate di vento che a quanto pare diventeranno sempre più violente, dei consigli

Da sinistra. Claudio, Vittorio e Angelo ‘piantano’ la grande trave di acciaio. Ennio salda i punti di fissaggio sotto lo sguardo attento di Vittorio e Renato. Ennio, Vittorio e Gigi posizionano la copertura mentre Marco li ‘guida’ per il giusto appiombo.

del fabbro, siamo arrivati all’opera completata. E abbiamo fatto anche le prove per vedere «l’effetto che fa». Veramente soddisfatti! Adesso non resta che portarlo lassù dove tira il vento e posizionarlo saldamente. Lassù sul Cjastelàt, il luogo più panoramico alle spalle di Dardago scelto già più di cent’anni fa dai nostri antenati per chiedere protezione, per propiziarsi il nuovo secolo, il XX. Infatti proprio lì decisero di innalzare una grande Croce. Ora questo luogo è pronto ad accogliere un’altra Croce e chiun-

que passerà da quelle parti avrà un motivo in più per salire sul Cjastelàt: ammirare un’opera d’arte e, chi vorrà, pregare. Come sempre indispensabili sono stati i volontari del Comitato. In questo caso hanno disboscato dove necessario, hanno scavato e livellato il terreno, hanno scelto i sassi ‘giusti’ nell’Artugna per la pavimentazione, hanno misurato, calcolato, portato l’acqua per fare la malta, cementato... le foto raccontano. Quindi giunti alla fine di questa «impresa», confidiamo nella comprensione dei contemporanei e lasciamo ai posteri l’ardua sentenza.


Coppa Dono & Giovane Artugna

LE ASSOCIA ZIONI

campioni dentro e fuori dal campo di Riccardo Zambon Consigliere AFDS – Sezione di Budoia-Dardago-Santa Lucia

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Boom di adesioni, una vera e propria esplosione di iscrizioni alla nostra Sezione, quella che è avvenuta a seguito dell’iniziativa promossa dal Gruppo Giovani AFDS di Pordenone chiamata «Coppa Dono». Siamo ormai a metà della 1ª Edizione della competizione, iniziata il 1° agosto 2021 e rivolta alle associazioni sportive locali ed ai loro simpatizzanti con lo scopo di avvicinare nuovi giovani donatori al mondo della donazione. Per la nostra Sezione AFDS Budoia-Dardago-Santa Lucia è scesa in campo, con slancio ed entusiasmo, l’Associazione Sportiva Dilettantistica «Giovane Artugna» con l’innesto di una trentina di nuovi donatori! Decisamente una boccata d’ossigeno per la nostra pic-

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cola Sezione che conta poco più di un centinaio di donatori attivi. Il regolamento è molto semplice: ogni donazione effettuata vale un punto e, se a farla è una donatrice, si ha diritto ad un punto extra. La squadra che, al termine della competizione fissata per il 31 maggio 2022, totalizzerà più donazioni, riceverà un premio di mille euro sotto forma di contributo per l’acquisto di attrezzature sportive (per esempio nuove mute da gioco, palloni ecc.). Oltre ai nuovi donatori, pure i soci donatori attivi sono stati iscritti e concorrono alla totalizzazione del punteggio finale, quindi continuiamo ad andare a donare, e chissà che ciò non possa condurre la «Giovane Artugna» alla vittoria!

Per quanto riguarda la vita associativa, anche quest’anno travagliato sta volgendo al termine; l’incidenza pandemica che s’è fatta sentire fortemente nel corso del 2020, non è completamente scomparsa in questo 2021, ma se nel 2020 l’allontanamento dai centri trasfusionali era legato alla paura di contrarre il virus, il 2021 è stato segnato da un rallentamento dovuto perlopiù al periodo di sospensione obbligatorio a seguito della somministrazione del vaccino, un male necessario che dev’essere inteso però come l’ultimo sforzo volto ad uscire da questa brutta situazione. Il 2021 è stato comunque anche un anno di ricche soddisfazioni per la nostra piccola Sezione, in


particolare sono stati assegnati, durante il Congresso Provinciale che s’è svolto domenica 3 ottobre a Sacile, i seguenti riconoscimenti: 2 Pellicano d’Argento (65 donazioni ♂ e 50 donazioni ♀) e 1 Distintivo d’Oro (50 donazioni ♂). Fresca di questi giorni è inoltre la notizia che abbiamo raggiunto brillantemente il traguardo di donazioni annuali prefissato ad inizio anno dalla Sede Provinciale: 108!

Congratulazioni, donatori, obiettivo raggiunto! Bravi! Ricordando a tutti che la donazione di sangue è un gesto volontario, responsabile ed anonimo, invitiamo chiunque sia interessato ad approfondire gli aspetti della donazione, ad avvicinarsi per la prima volta ad essa o a riprendere a donare dopo tanto tempo, a contattarci tramite i nostri canali. Buone feste!

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a pranzo con lo zafferano...

la Natura non sgarra di Euridice Del Maschio

Atmosfera tranquilla e cibo squisito alla quinta edizione di «Dardago fior di zafferano».

ma quei posti sono stati tutti occupati su prenotazione. A sedere c’erano persone sorridenti che ci hanno ringraziato per aver passato un bel momento grazie all’atmosfera tranquilla e al cibo squisito. Due i menu tutto zafferano (risotto, salsiccia in saor e dolce oppure risotto, frico e dolce) proposti dallo chef Manlio Signora, una garanzia in cucina.

Insomma una giornata appagante sotto tutti i punti di vista, che ci ha insegnato che saper guardare oltre il pragmatismo dei numeri dona grande soddisfazione. Un doveroso grazie a tutti coloro che hanno contribuito a renderla tale. Con queste premesse il prossimo anno sarà fantastico!

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Possiamo tradire la Natura? Anche volessimo farlo, sarebbe impossibile: la Natura ha le sue leggi. La Natura non sgarra. Anche quest’anno il campo di zafferano si è vestito di tantissimi fiori lilla con i loro tre stimmi rosso fuoco pronti per essere sfiorati, essiccati, polverizzati ed aggiunti alle più svariate pietanze per conferire colore e sapore inconfondibili. Il Comitato del Ruial de San Tomè, che ha raccolto l’eredità della Cooperativa Cial de Mulin, non poteva che assecondare il volere della Natura e raccogliere quel ben di Dio che da qualche anno ha reso ‘famoso’ Dardago e il suo territorio assieme alla Canaletta del ruial. Certamente non è stato facile arrivare al sì per la festa. Riunioni su riunioni: la facciamo, non la facciamo, c’è il Covid, c’è l’obbligo del Green Pass e il mercatino? Saremo solo noi, la gente non verrà. Si è detto un po’ di tutto, ma la voglia di mandare un messaggio positivo ha vinto. È vero che non è stata una vera e propria festa, del resto sulla locandina avevamo scritto «A pranzo con lo zafferano... posti limitati»,

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ADHÉS VE CONTE SERIE DI RACCONTI E ANEDDOTI IN PARLATA LOCALE, ACCADUTI NEI NOSTRI PAESI

Continua la pubblicazione dei racconti in parlata budoiese

miracui de ’na volta

di Fernando Del Maschio

Chel che ve conte sta volta no pretende che lo credhessadhe, ma ve lo dise come che l’ài sentut dai me veci.

U n on de Dardac (o de Budhuoia, se la vin contadha a Dardac) el veva robat in glesia e nessun saveva chi che ’l era. Quan che ’l é rivat a la fin, ’l à mandat a clamà el plevan (o el curato, contadha a Dardac) e ’l à confessat el so gran pecadho. Ma el plevan i à dit che nol podheva asolvelo thentha el permesso del Vescovo e cossi i tociava dhì a Porto. Tra dhì e tornà co la careta e la mussa i voleva 'na dhornadha plena. Par fortuna ’l é rivat in temp prima ch’el more e ’l à podhut dai l'asoluthion. Pena che i ’l à segnat, se à vert de colpo i portiei de la tiedha e el ciar e le carete ’l é vignudhe fora in tel cortif. La dhent i à pensat: «El diaol ’l é s’ciampat, inrabiat parchè ’l à perdhut ’n anema».

buta in te la vasca plena de aga: «Bevi, Tone, profita». La matina prest la prima femena che la va a la pompa la veith el sacrilegio e la clama suito el so on e altres de la contradha. Doi omis i tenta de tirà fora el Sant ma no i é boins nencia da movelo. In quatro: instess. Un el vin fora coi bò, el lea el Sant co le ciadhene e i bò i tira: gnente da fa. Intant un el veva clamat el curato. ’L é bastat 'na benedhithion e un on misol ’l à tirat fora el Sant. Però l'aga i lo veva ruinat. In chela, passa un de La Mont e i conta el fato e lui: «Se par caso voleit cambià el Sant, dene a noi chel vecio che lo meton in te la Val de Bernoth». Forse ’l é anciamò là.

F in qualche diese ains fa dongia la Panerata se podheva vedhe i smurath de doe fornas. I me contava che le era stadhe fate da la coperativa de lavoro de Budhuoia metudha su da Tita Scussat, capo dei socialisti e «degna persona» come ch' el diseva me pora barba Piero (democristian!). (La lateria ’l é nassudha par opera soa e, ancia se ’l era socialista, el laorava scuasi a gratis par la glesia. El bel trono de la Madhona, ruinat dai caruoi, i l’à fat lui). Quan che i à impiat le fornas par fà cialthina, invethe de clamà el Curato par 'na benedhithion, i le à benedhidhe col spiumante. Dopo un po’ de dhis de fuoc in te le fornas, sas i era e sas i é restath. Comento de la dhent: «El Signor i li à castigath». E ancia chela coperativa, come altre a Budhuoia, ’l é duradha poc.

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I n te la crosera de Besut, dongia

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el capitel de Sant'Antone, ’l era 'na vasca e la pompa. ’Na nuot doi imbriaghi i se à fermat denant el Sant e i à scominthiat a dise: «Pora Tone sempre serat in tel capitel! Chissà quanta seit che te varà. Noi von beut bastantha. Ades te fon beve ancia ti». I ciapa el Sant e i lo

NOTA DELL’AUTORE

Come più volte scritto i miei racconti non pretendono di essere la verità storica. Nel primo poi ho dato la doppia versione per non essere accusato di campanilismo, ancora presente in alcuni anziani e, per fortuna, argomento ormai folkloristico nelle giovani generazioni.


Storie, pacassàde, scherthi de Dardaĉ de ’na volta...

Da un racconto di Natale scritto da don Giovanni Perin.

di Guido Benedetto

Libera interpretazione e traduzione in parlata dardaghese

Nadhal! ’l Presepio...

in trincea

N eveava da doi dis su la trincea e, chel lonc fossal scavàt su la riva de chela mont, el pareva la strada de la Via Crucis; sol che invethe de ciatà ugni tant la stathion pa’ preà, te ciatave ’na gran bocola plena de bonbe a man, cassete de palotole pa i fusii, tenaie, rodhui de reticolati e artes de guera. Sul mieth de la bocola, ’na sfesa largia como un deit, pa’ podhé fai la varda ai todeschi. Drento la trincea, incrudholidhi dal freit, soldadhi plens de pura. Poiath ai murs, dovins e manco dovins, bagnath fin su l’oss, co le s’ciarpe in blant ’n tel pocio, parchè a son de baleghi, la neif l’era deventadha sol che aga. Nissun dormeva, nissun parlava, ma duth co’ ’l fusil in man, i spetava... El fossal de la trincea, al deva ’na volta de ca e ’na volta de là ma senpro de riva in su in ver la mont; la metraglia todesca no la dava mai pase e, cuan che la taseva, se sentiva el fis’cio de le palotole de i

nasse ’n presepio. Un soldat da ’n per de crode, ’l sgrafa via un fià de lisp, ’n altro ’l rincura doe bele piere, che le pareva propio i murs de ’l Stale Sant e cualchedun al pensa de sistemài el cuert co’ doi tocs de radhis e un fià de paia ‘robadha’ ai mui. E po’, no se sa comòt, da ’na scarsela de un tascapan, vin fora un nino Bambin Gesù de lenc. Ma pa’ conpletà la Santa Famea, ’n te ’n posto cussì, no se podheva sperà de ciatà altro. Un bel pensier! Cuan che un fante... un poc in là co’ i ains, al se fai avanti e da sote el gaban el tira fora ’na bela pagnoca, la so rathion de pan, tignudha in banda pal dì de Nadhal. Ma... a fa che, de chel pan? Dopo ’vela verta in doi e thentha tant parlà, el scominthia a giavai duta la molena, fin a l’ultima fregola e, giudhandose co ’na nica de neif, ’l scominthia a inpastala. A pian a pian da chela molena, o meio, da chele mans che le ‘sa-

fusii. Chel dì, vedhilia de Nadhal, se no bastava, ancia i canons i aveva fat trimà, no sol che la mont, ma ancia i cuors e le aneme de duta chela pora dhent. A pian a pian la dornadha se inscuriss, deventa scur, negre de not, ma de cuala not: la Not de Nadhal! Ma che Nadhal elo un Nadhal cussì? Nencia un ninin de Messa, ne na ciantàdha, ne parenti o amighi e nencia l’ombria... de un madho. Epur el Signor no ’l lassa nissun, el nassarà stanot ancia ’n te un posto cussì, el torna anciamò a salvàne duth. Avon da fidasse de Lui. Pur in mieth a tant pericol el pensier no ’l restava fermo sol che unlì, la ment la svolava, la coreva... fin a ciasa da la famea, da la mare, da la femena, da i canais... Comot starali? Che farali adhèss. Parché dut sto mal?... e ancia sta not? Tante domande thentha ciatà risposte. Como par miracòl, ’n te na bocola de chel fossal, scominthia a

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Disegno

di Vittorio Janna

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veva’ de esperientha, vin fora le figure de la Madhona e de san Bepi e a la fin, co chel che i restava, ancia un nino mus, un nino bo e ’na gnela. E se pur fora misura, i deva bin istess. Da ’n stanthiut, riva ’n caporàl, co’ un mòcol de ciandela! ’Na pithola flama, ’na pithola lus, ma ’n te chela Not... la bastava! Par di ’n su in mont, i passava in tains indenant co’ i mui, co’ i gabans duth bagnath da la neif e i bonbardins che gotholava e passava ancia chiei che i deva a da ’l canbio de guaita. Duth i ociava chel sbit de presepio e la lus de chela flamuta. I palsava un fià e i feva i voi incantath como canais.

Ma no sol che i soldath, ancia i ufficiai e ancia... ’n general co’ i so omis. Un on bin rincuràt, che ’l meteva sudithion sol che a vardhalo e che l’aveva ’n espression como de un, che no ’l rinunthiava mai a nient. Ancia lui ’l se ferma, el varda a lonc e a la fin el dis: – Chi elo stat? Nissun flatava... se sentiva sol che ’l ‘rumor’ de la neif che la vigneva do. El general ’l se gira, vardhant intor lui. Ancia i so ufficiai i spetava. Duti i vardhava chel presepio e duti i aveva ’n ti voi ’n espression de maravea, como omis inmatonith senpro drio a pensà a robe tant lontane.

– Meteit un on, dì e not, a fai la varda! E dopo avè portat la man al bombardin, pa ’l so saludho, al se inciamina fin a scomparì, inglotit da ’l scur de la not. La neif adhess la vigneva do pì fissa, ma nissun s’inacordheva. Taseva la metraglia, taseva i canons. Ancia le stele, da ’l thièl le vardhava la lus de chel mocol, che adhess, la feva anciamò pì lusor. ’N te chel presepiut malrincuràt, ma pareciat co l’anema e co ’l cuor, par miracol el Signor ’l era tornàt a nasse pa’ portane la so pase.

’N TE LA VETRINA Una gita in montagna nel 1956

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Le mete più ‘gettonate’ dai giovani di allora sulle nostre montagne erano Piancavallo, Casera Val de Friz, Busa del Glath, Bosco del Cansiglio. La foto ritrae una compagnia di dardaghesi e non, sull’allora pianoro di Piancavallo. Un ambiente diverso, senza la presenza di alberghi, case, negozi. L’attuale stazione sciistica era ancora ‘lontana’.

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Piancavallo. Da sinistra in alto: Walter Zambon Palathin, Luigina Zambon Pinàl, Annamaria Perotta (veneziana), Laura Zambon, Franco Bastianello Thisa, Sandro Ricoveri (veneziano), (?), Primo Busetti Caporàl, Graziella Zambon Pinàl, Franca Ricoveri (veneziana), (?), (?), Giuditta Cecchelin Scatiròt, (?), Gianni Zambon Maressiàl, (?), (?).


L’ARTUGNA PORGE LE PIÙ SENTITE CONDOGLIANZE AI FAMIGLIARI

LASCIANO UN GRANDE VUOTO

Gigi Bocus Ci ha lasciati Gigi Bocus, classe 1938. Una famiglia, la sua, da molti anni legata al settore alberghiero. Già il padre Ermenegildo, nato nel 1906, aveva lasciato Dardago e l’Italia per fare il cameriere. Anche il fratello Stani, nostro affezionato lettore, opera nel settore gestendo un hotel alle Bahamas. La bravura di Gigi lo portò a lavorare negli alberghi più famosi del continente frequentati da reali, aristocratici e personaggi da prima pagina. Tornato in Italia, con la sorella Anna, ha gestito molti locali di Gorizia. È deceduto il 18 novembre ed il funerale si è svolto mercoledì 1° dicembre, giorno del suo ottantatreesimo compleanno.

Uliana Celant Si dice che hanno vissuto a lungo, è vero, che dobbiamo essere preparati a questo evento, è tutto vero eppure rimane sempre un vuoto, con la mamma viene

a mancare un punto di riferimento importante. E con lei piano piano ci stanno lasciando le persone della sua generazione, ci verrà a mancare un patrimonio di esperienze, di storia vissuta in prima persona, di coloro che hanno preparato le basi per la società nella quale viviamo oggi. Eppure ULIANA è stata una donna alla quale non sono state risparmiate le difficoltà. Le vicissitudini della vita hanno messo a dura prova la mia mamma: ha iniziato a lavorare a 11 anni (ora si parlerebbe di sfruttamento minorile), poi il periodo della guerra, con la povertà e le corse nei rifugi per ripararsi dai bombardamenti sempre con la paura di «fare la fine del topo». Nonostante i grandi sacrifici, le perdite subite, con il suo temperamento forte non si è mai arresa. Ricomincia con grande forza di volontà ogni volta. Con il mio papà forma e cresce a Milano la sua famiglia e svolge con intelligenza e perspicacia il ruolo di moglie, madre e poi di nonna. Di carattere socievole ha mantenuto la capacità di ridere e di sorridere davanti alle foto di Luca, il suo pronipotino. Ha vissuto con passione e con la sua grande vitalità ci ha insegnato a ricominciare. «Veniva dalla terra». E questa cultura legata alla vita dei campi se l’è portata con sé: epici sono ormai i suoi orti ed i suoi fiori dei quali conosceva tutti i nomi scientifici, l’albero, i fiori, la terra avevano per lei una sorta di sacralità, rappresentavano la natura che si rinnova, la natura non come qualcosa da sfruttare ma come ambiente in cui vivere meglio. Ci ha insegnato così l’attenzione e il rispetto dell’ambiente. E riconosco come adatte a lei le parole di Mario Rigoni Stern che in una intervista diceva… «ma ricordatevi che fare il contadino per bene è più intellettuale che non fare il cassiere di banca. Perché un contadino deve sapere di meteorologia, di chimica, persino di astronomia». Infatti negli anni mia mamma, ha coltivato un vivo interesse verso la conoscenza di cose nuove con la lettura di libri e giornali e fino a quando ha potuto, ha frequentato la biblioteca del paese: i suoi libri preferiti erano quelli che parlavano di alberi, montagne e di gente che non ha avuto una vita facile, un po’ come lei. Leggeva appena poteva, interessata

agli argomenti più svariati, che le permettevano di tenersi sempre aggiornata... e così, col suo esempio ci ha trasmesso il piacere della lettura. Mamma presente, amorevole ma anche severa, ci ha fatto vivere i suoi valori quali l’onestà, il senso di responsabilità sul lavoro e il rispetto degli altri. Infine, e permettetemi un momento di leggerezza, ho avuto una mamma bellissima. È stato un privilegio per noi figli aver avuto questo riferimento e ciò rende ancora più difficile dirle addio. LAURA, MARIO, GIOVANNI

Pietro Fort Cocol Pietro Fort Cocol di Santa Lucia, deceduto in Scozia il 16 settembre 2021.

Caro zio, il mio pensiero va a quando ci sentivamo per telefono e concludevi la telefonata dicendomi: saluta tutti quelli che conosco. Ora sono tutti quelli che conosci: amici e parenti, che salutano te. Riposa in pace insieme alla tua amata moglie Mary, alla tua mamma Maddalena, che non hai conosciuto, al tuo papà Toni e a tutti i tuoi cari che ti hanno preceduto. Sono sicura che continuerai a vegliare sulla tua amata famiglia come hai sempre fatto. Ciao zio. I TUOI NIPOTI

Un particolare ringraziamento da parte della famiglia va alla redazione de l’Artugna che per molti anni, gli ha portato non solo notizie ma anche tanti ricordi dei nostri tre paesi, in particolare di Santa Lucia.

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Lidia Bastianello Come fa un’assenza essere così presente? È davvero un mistero! Mamma sei stata eccezionale! Una campionessa di bontà e altruismo con la tua energia positiva. Anche la tua vita si è conclusa in modo dignitoso, camminando con le tue gambe, vigile fino alla fine, ci hai regalato, nei soli due giorni di ricovero in ospedale, scambi di affettuosità che rimarranno indimenticabili.

Una vera fortuna essere rimasti orfani all’età di 70 anni e oltre, in pratica quasi tutta la vita con te. E siamo sicuri che continuerai a starci vicino, proteggendoci da lassù insieme al papà. Ora abbiamo due angeli! Con immenso amore IDA E MARINO

ipoti. chiesa dai pron Il saluto letto in

«Mi chisti li cognosse duti» «Mi chisti li cognosse duti» dice mamma, osservando una foto dei suoi tempi sull’ultimo giornalino di ferragosto. Assidua lettrice del periodico l’Artugna, non ne ha perso uno dalla sua prima uscita.

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Li raccoglieva in ordine numerico per poi farli rilegare, ottenendo dei preziosi volumi.

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«El capitel de Chile» Capitello di Sant’Antonio di Padova fatto edificare da Achille, marito di Lidia, nell’Anno Santo 1950, restaurato da poco (inizio settembre).


a Lidia!

Maria Luisa Paties Montagner Ci ha lasciati proprio il primo novembre, giorno di tutti i Santi. Un anniversario che celebreremo, ogni anno, insieme a tanta gente e così continueremo a starti vicino con affetto come lo siamo stati in tutti questi anni, in cui, soprattutto ultimamente, hai dovuto affrontare con pazienza dure prove e sofferenza. MARINO, PAOLO E NIPOTINI

Cara mamma, ...da te ho imparato la dignità nella sofferenza ma anche l’amore oltre ogni ostacolo. Sono contento, negli ultimi istanti, di averti potuto regalare una carezza e strapparti un sorriso facendoti vedere anche i tuoi nipotini. Dire ciao, arrivederci a chi si ama non è facile, ancor di più se il saluto è stato così veloce. Non ci hai lasciato molto tempo per abbracciarti forte forte, anche se in questi casi il tempo non basta mai. Una volta però varcata quella porta si crea un legame ancora più forte, un legame che va oltre il concetto di corpo e tempo... Ciao mamma, PAOLO

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Brava donna, gentile, educata e di buon cuore. * Una brava persona, silenziosa e discreta. * Aveva sempre piacere di dare una mano, chiedeva sempre se poteva essere di aiuto per dipingere e lavorare a maglia (colli, sciarpe e completini per i bimbi dei nostri colleghi). * Era sempre disponibile a fare lavori di riparazione del vestiario per tutti noi: aggiustava calze, calzini e maglioni. * Ogni sera nella sua camera, prima di addormentarsi, parlava al telefono con la sua famiglia e ci salutavamo tutti: salutavamo Toni per la buonanotte. Poi Lidia continuava a parlare e si addormentava con il telefono in mano. * Donna devota: parlava spesso del capitello di Dardago dedicato a Sant’Antonio di Padova con in mano il giglio bianco. Per lei era importante il suo ricordo in quanto è stato fatto edificare dal marito e poi rinfrescato recentemente. * Quando usciva il giornalino l’Artugna lo teneva sempre sul suo girello e lo faceva vedere a tutti, condividendo l’opinione e i suoi ricordi sulla sua terra d’origine e sulle informazioni che giungevano. * Aveva sempre una bella parola per tutti. * Ci manca molto, ha lasciato un grande vuoto e la porteremo sempre nel nostro cuore.

L’ARTUGNA PORGE LE PIÙ SENTITE CONDOGLIANZE AI FAMIGLIARI

Le animatrici Sonia e Alessia, dopo il Santo Rosario recitato per mamma, hanno raccolto e trascritto le frasi espresse su di lei dagli ospiti suoi compagni.

LASCIANO UN GRANDE VUOTO

Ricordi degli ospiti della Casa di Soggiorno per Anziani di Aviano

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LA CRONACA DELLA COMUNITÀ DI DARDAGO / BUDOIA / SANTA LUCIA

E son 80!

Anche gli ottantenni dei nostri paesi hanno voluto festeggiare il traguardo raggiunto con qualche ora passata insieme con consorti ed amici. Nella foto, fornitaci da Renato Zambon Biso ecco i festeggiati, qualche amico ed alcuni consorti: Gianni Ermacora Burela, Gianni Ponte, Daniele Franceschi, Eugenio Besa, Paolo Bocus Frith, Wilma Bocus, Renato Zambon Biso, Nadia Cecchini Trantheot, Luigina Zambon Thampela, Rosina Zambon Luthol, Mirella Zambon, Santina Carlon, Gioconda Carlon, Guido Busetti e Armando Martin.

La Sacra Famiglia, dalla bancarella del mercato alla teca Eucaristica del Viatico.

La Sacra Famea

Chissà quale sarà stata la sua storia? Da una sconosciuta casa ad una bancarella di un mercatino di strada a Torino: sembrava chiamare chi le potesse dare nuovamente luce e attenzione. Il venditore, con mia grande sorpresa nel dirmi che sarebbe stata in buone mani, me l’ha praticamente regalata. Mi ha seguito in viaggio verso Roma, per poi risalire al Nord, arrivare a Santa Lucia ed essere consegnata alle sapienti cure di Maria

Assunta Gambarini che l’ha restaurata con impegno, gratuità e professionalità. La Sacra Famiglia, con l’indispensabile aiuto di Rita Marson e una bella base in legno che Gianni Zambon Rosit le ha appositamente approntato, ha trovato alla fine dimora nella centenaria teca eucaristica del Viatico (inizio Novecento) anch’essa restaurata già da qualche anno. Grazie a tutti questi cuori e queste mani ora l’immagine ci aiuta a pregare con le parole di papa Franceso: «Gesù, Maria e Giuseppe, in voi contempliamo lo splendore del vero amore, a voi, fiduciosi, ci affidiamo. Santa Famiglia di Nazaret, rendi anche le nostre famiglie luoghi di comunione e cenacoli di preghiera, autentiche scuole di Vangelo e piccole Chiese domestiche. Santa Famiglia di Nazaret, mai più ci siano nelle famiglie episodi di violenza, di chiusura e di divisione; che chiunque sia stato ferito o scandalizzato venga prontamente confortato e guarito. Santa Famiglia di Nazaret, fa’ che tutti ci rendiamo consapevoli del carattere sacro e inviolabile della famiglia, della sua bellezza nel progetto di Dio. Gesù, Maria e Giuseppe, ascoltateci e accogliete la nostra supplica». FABRIZIO FUCILE

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W el 1946

IDA BUSETTI

1951 in festa ancia co ’l Covid Non potevamo lasciar passare il 2021 senza festeggiare i nostri 70 anni! Grazie ai soliti coscritti che si im-

pegnano per l’organizzazione, ci siamo ritrovati in tanti anche in tempo di Covid. Ovviamente abbiamo tralasciato le idee degli anni passati (Venezia, Lago di Iseo, Carso, ecc...) e abbiamo festeggiato in zona. Prima la Messa di ringraziamento celebrata da don Vito Pegolo nella chiesa di Budoia e poi tutti a Nave, ovviamente muniti del Green Pass, per festeggiare il traguardo gustando un ottimo menù in un piccolo ristorante. Grazie agli organizzatori e arrivederci alla prossima!

A scola pa’ inparà el Cao Muss? Dodici insegnanti americane, coordinate da Christine Fischer, desiderose di ‘far amicizia’ con la nostra cucina regionale, si danno appuntamento giovedì 10 novembre 2021 presso le ex scuole elementari di Dardago per prender parte al «Primo corso di Cucina Friulana». L’incontro, promosso dal Comitato Ruial de San Tomè, ha come chef d’eccezione Manlio Signora. Lo chef Manlio non solo presenta il «Cao Muss», piatto pedemontano, ma spazia anche nel variegato mondo culinario regionale. Le specialità gastronomiche quali materia di studio sono: cao muss con polenta bianca; cjarsons alle mele e pitina; crespelle alla zucca e patate; filetto di maiale al bacon con castagne e aceto balsamico; frico con patate e cipolla; cremoso di ricotta di malga con gocce di cioccolato e marmellata d’arance. Gli assaggi sono accompagnati con vini locali. «Ho colto molta soddisfazione – ha detto Manlio – e la cucina delle scuole, bella e spaziosa, si presta molto bene per ospitare altri corsi in futuro». Un sentito ringraziamento al Comune di Budoia e alla Parrocchia di Dardago.

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Già dal lontano 1986 i coscritti del’46 si ritrovano ogni 5 anni. Anche quest’anno, visto che i traguardi diventano sempre più importanti, abbiamo festeggiato. Il nostro coetaneo don Luigino Da Ros ha celebrato una solenne Messa nella Pieve di Dardago, ricordando anche i coscritti scomparsi che purtroppo sono già dieci. Dopo la cerimonia l’incontro è continuato a Santa Lucia presso l’agriturismo «Al 57». Su invito di don Luigino, abbiamo deciso di ritrovarci il prossimo anno, anche perché ricorrerà il 50esimo del suo sacerdozio.

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L’ INNO ALLA VITA AUGURI DALLA REDAZIONE!

I amighi de l’Artugna

Erano tanti anni che non si vedeva tanta gente a San Martino per la tradizionale Messa. Grazie anche alla temperatura che – quasi ad avvalorare il detto «istadela de San Martin» – era ben superiore ai giorni precedenti, circa un centinaio di persone sono arrivate da Dardago, da Budoia e da Santa Lucia. La maggior parte ha partecipato alla Santa Messa dal prato grazie anche agli altoparlanti predisposti per l’occasione che hanno permesso di seguire la celebrazione di don Davide. Al termine, i fedeli e il nuovo parroco hanno potuto gustare le castagne e i dolci predisposti dai soliti volontari.

Marco Pujatti, dopo aver completato la Laurea Triennale in Ingegneria Gestionale al Politecnico di Milano, ha conseguito la laurea Magistrale in Management presso The National University of Singapore con il massimo dei voti, il 31 gennaio 2021.

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foto www.artugna.it

Congratulazioni per i dieci compleanni budoiesi! Da un decennio, Guan Ziping e Guan Jundong del bar da Renè accolgono i clienti con un sorriso solare unito ad una delicata gentilezza, insieme ai loro figli e alle dipendenti, e nello stesso modo siamo stati accolti noi de l’Artugna, fin da allora. Ritenendosi parte della comunità, si sono subito resi disponibili a collaborare, compiendo un meritevole servizio gratuito con la diffusione del nostro periodico. Li ringraziamo cordialmente e ci auguriamo di continuare ancora... in amicizia.

Tanta dhent a San Martin

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Nicolò Terruzzi riceve il Sacramento della Cresima sabato 9 gennaio 2021, accompagnato dal padrino Marco, nella Basilica Santa Maria di Lourdes a Milano. Papà Paolo, mamma Valentina Janna Tavàn e le persone a lui care si uniscono nella preghiera: «Signore, aiutaci a proseguire le nostre esperienze con i doni che oggi lo Spirito Santo ci propone per non vivere soli, ma come in una comunità».


Santa Lucia, 24 settembre 2021. Vivissimi complimenti a Marisa Soldà e Giancarlo Marchesini che con gioia hanno festeggiato il loro 55° anniversario di matrimonio. Un cammino di vita iniziato insieme... quel lontano 24 settembre. Congratulazioni!

Angela Carlon e Mario Zambon [ 21 agosto 1971-2021]. In questi 50 anni di matrimonio, il nostro amore ci ha fatto capire che insieme si riesce a superare qualsiasi cosa.

Sandra Sanson e Bruno Vago: sposi d’oro. Domenica 3 ottobre 2021 hanno ricordato il 50° anniversario di matrimonio al Santuario Madonna del Monte di Marsure, circondati dai figli, nipoti, amici e da tutti i loro cari. Gli sposi hanno poi continuato la festa presso «l’Antica Locanda Fullini Zaia» a Polcenigo.

Cinquant’anni insieme! Venerdì 20 agosto 2021 Melita Bastianello e Vittorio Janna hanno condiviso con le persone care l’importante traguardo di vita. Sono ritornati nella chiesa di Santa Maria Maggiore di Dardago per la Santa Messa, celebrata da don Vito Pegolo, durante la quale hanno rinnovato le promesse. Melita e Vittorio ringraziano tutti coloro che hanno reso speciale e gioioso il loro anniversario.

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Il 9 ottobre, Tecla Soldà e Lino Doimo hanno festeggiato, nella chiesa di Santa Lucia, i 50 anni del loro matrimonio (9 ottobre 1971). Tanti auguri anche da parte della Redazione.

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L’ INNO ALLA VITA AUGURI DALLA REDAZIONE!

1921-2021... trecento

anni in tre

Complimenti, Gigia!

Alberta Noemi Panizzut Donisio.

Quest’anno, la prima centenaria a raggiungere il traguardo del secolo è la Gigia (Luigia Basaldella Carlon), il 21 settembre. Originaria di Villotta di Aviano, dal nucleo di case di fronte alla chiesa giunge a Budoia, alla fine della seconda guerra mondiale, sposa di Luigi Carlon della Fameia granda.

e... Berta filava!

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La nonna insieme a figlia, nipoti e pronipoti. Da sinistra: Filippo, Ornella, Emma, Barbara, Gianna, Riccardo e Mattia.

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È una donna serena e ottimista, forte e coraggiosa nelle gravi avversità della vita, sostenuta dalla fede che non le è mai venuta meno. Da 75 anni è custode del capitello attiguo alla sua casa che lo abbellisce con fiori, piante e linde tovagliette per l’altare, mentre la ‘sua’ Madonna del Rosario le è sempre accanto. Grande festa per lei all’ombra del porticato della sua casa tra palloncini e tre grandi cifre dorate, anche se fino a qualche settimana prima dell’evento ella appariva dubbiosa sui ‘grandi’ festeggiamenti, ma la figlia Ornella riesce a convincerla. Molti parenti, amici, concittadini e autorità – rappresentate dal sindaco, Ivo Angelin, e dal parroco, don Davide Gambato – condividono il lieto e straordinario evento in un clima di famigliarità. La Gigia, seppur emozionata, è felice e come sempre partecipa alle conversazioni, attorniata dalla figlia e dal genero Emilio, che dallo scorso anno le fanno compagnia vivendo insieme, dalle nipoti con i loro mariti e con i quattro pronipoti di cui ella ricorda perfettamente la ricorrenza dei compleanni, ovviamente presente con l’immancabile regalo. VITTORINA

Il 15 ottobre la nostra «Berta» ha compiuto 100 anni, un traguardo importante e raro per la maggioranza delle persone. Trascorre da sempre la sua vita in modo semplice e riservato, ma con un’attenzione e una curiosità per le vicende che accadono oltre le mura domestiche che denotano un’intelligenza spiccata. Pierluigi dice: «Nel 1962 dal Friuli ci siamo trasferiti a Genova. Mamma desiderava andare in una grande città, che presentava molti vantaggi, tra cui quello di potermi dare un’istruzione adeguata, che arrivasse fino alla laurea. Ma voleva anche, con il suo carattere riservato ma molto volitivo, stare in compagnia del marito e del figlio. Quando papà lavorava a Genova stavamo tutti assieme e lei era contenta anche perché era ed è tutt’ora innamorata della Liguria». Fino a poco tempo fa ho parlato molto con lei, abitudine che avevo fin da bambina, nel suo tinello, dove era sempre dedita a cucire. Tramandava vicende, forme dialettali e aneddoti legati a Budoia, riportati anche in articoli per l’Artugna. I ricordi legati alle persone, non solo di famiglia, sono sempre molto lucidi: addirittura le partenze e le date del ritorno degli arruolati per la seconda guerra mondiale. Ultimamente non si esprime chiaramente, questo rappresenta un dolore per me e per i suoi familiari, perché sentiamo che la sua enciclopedia non può più essere consultata. Ha una cultura vastissima. Il suo sapere proviene dai libri, dai giornali, e soprattutto dai racconti del marito Umberto, ufficiale della Marina Militare e progettista di lavori portuali per la Ditta Impregilo, che allestiva cantieri ovunque nel mondo. Lo sentiva solo con Italcable, e attendeva con trepidazione le lettere ricche di particolarità locali. Niente le è sconosciuto nella locazione delle città e delle terre, anche lontane. Quando le raccontavo dei miei viaggi, mi anticipava con le curiosità e la storia di popoli anche lontanissimi,


GABRIELLA PANIZZUT

La Teresuta attorniata da figlie, generi, nipoti, pronipoti e cognata.

I sette pronipoti ‘coccolano’ la nonna-bis.

Bel traguardo, Teresuta! Per 2 sei la mamma, per 6 la nonna, o nonna Terry, o nonnina come ti chiamo io, e poi ce ne sono altri 7 per i quali sei addirittura la nonna-bis. Una vera famiglia matriarcale la nostra, con tante storie, racconti e avventure che partono da te. 100 anni sono tanti, tanta vita sotto al Crep! E tanti i ricordi dei nostri giorni insieme. Belli i nostri pranzi della domenica con il coniglio e le patatine, che quando vedo una casseruola di alluminio ti sorrido sempre, anche da lontano. Bella anche la nostra complicità nelle serate al mare, quando tornavo sempre troppo tardi ma rimaneva un segreto tra di noi. Mitiche le tue scorribande in giro per il paese con il Garelli blu, che Valentino Rossi in confronto è un pivello. E belli anche i tuoi racconti variopinti sui tempi della guerra quando da piccoli dormivamo con te, ci facevano un po’ paura ma ci hanno aiutato a vedere il mondo con occhi diversi. Grazie per esserci sempre stata. E grazie anche per tutte le preghiere a Santa Rita la notte prima degli esami… Buon compleanno nonnina!!! MANUELA MANES

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e mi suggeriva nomi che io non ricordavo già più. Custodisce i regali di Umberto, fonti di riflessione e arricchimento per il suo mondo interiore. Pensare è l’ideale per chi cuce, e Berta la maggior parte del suo tempo l’ha trascorsa così, con meticolosità e passione. Pierluigi ricorda: «Mamma cuciva sempre con una grande maestria. Orli dei pantaloni miei e di papà perfetti, accorciava le maniche di camicie che, secondo lei, erano troppo lunghe perfezionandole. Con l’aiuto dei cartamodelli, ma anche ad occhio, tagliava le stoffe e si faceva le gonne, aggiustava giacche e cappotti. Una zia dall’Argentina portò delle pelli di cincillà, e lei le cucì insieme realizzando uno scialle di pelliccia. Comprava le stoffe in un negozio storico di merceria e tessuti, dalla signora Gardella o da Croff, con personale gentilissimo che mamma adorava, e anche vestiti già pronti ma solo se di ottima qualità». Il suo ultimo lavoro, di grande valore, è il restauro dei paramenti sacri della Chiesa di Budoia. Mario Povoledo, attento curatore, custode premuroso degli arredi, l’ha aiutata a trovare i filati più rari in mercerie venete: per lei il dettaglio è sempre stato molto importante. Ha riportato a splendore tessuti ormai deteriorati, che dovrebbero essere adeguatamente esposti ed apprezzati dalla comunità. Ha partecipato in passato anche a viaggi organizzati dalla Pro Loco di Budoia e si è commossa nel vedere luoghi e opere d’arte che aveva solo immaginato e ad un certo momento si erano concretizzati davanti ai suoi occhi. Pierluigi è il suo orgoglio, le loro lunghe chiacchierate, oltre che amorevoli, erano costruttive e istruttive per lei, che conosce concetti dell’Ingegneria non alla portata di tutti, e per lui perché oggi custodisce la sua saggezza. Va fiera di Rosanna, la nuora, e dei tre amati nipoti, Alberto, Alessandro e Annamaria, bravi e studiosi. Berta si è dedicata alla famiglia e al cucito, ma non è, come dice lei, dei tempi in cui «Berta filava», è una donna che ha saputo vivere pienamente i suoi, finora, cento anni.

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LA RECENSIONE

Abbiamo ricevuto da Mirko Campini – figlio di Maria Augusta Zambon Pinal Bavan – la lettera che qui pubblichiamo. Mirko, da anni, opera nel campo del volontariato. Attualmente è impegnato come Educatore professionale presso l’Associazione Amici di Laura di Usmate Velate (MB).

Moryan che ballava sui sassi Cari amici de l’Artugna, vi ringrazio di cuore per l’opportunità di condividere anche quest’anno un progetto a cui tengo molto, che riguarda la mia attività letteraria e come sempre anche i suoi risvolti legati alla beneficienza. Proprio in questi giorni ho pubblicato il mio ultimo racconto breve intitolato «Moryan che ballava sui sassi». È la storia di un padre che torna in Italia dopo tanti anni per ritrovare Moryan, la figlia che per inseguire la passione del ballo e della musica aveva abbandonato improvvisamente la famiglia senza più dare traccia di sé. Poi un incontro che diventa amicizia profonda e la bellezza di un lago che diventa come uno specchio magico capace di togliere a entrambi ogni maschera, portando alla luce una domanda che cambierà tutto: esiste uno spazio dove l’amore di un padre e di una madre e il desiderio anche irrazionale di libertà di una figlia possono coesistere? Le risposte erano nascoste proprio in quella distanza che non doveva più essere dolore o rimorso, ma solo aria e profumo di libertà. E bastava fermarsi ed ascoltare le emozioni dei ricordi più belli, tra gli ulivi e le stelle, mentre

a teatro uno spettacolo stava per cominciare: Moryan che ballava sui sassi. Il racconto ha ricevuto il riconoscimento come Finalista della Edizione 2021 del Premio Letterario Scritture di Lago categoria inediti. Un particolare ringraziamento al bravissimo artista Dunio Piccolin per le illustrazioni e che già conoscete per il Graffito realizzato a Dardago nel 2020. Tutto il ricavato di questo racconto verrà utilizzato per sostenere l’associazione ODV Amici di Laura di Usmate Velate (MB), con cui collaboro come Educatore professionale che promuove progetti per lo sviluppo del tempo libero e l’autonomia di persone in condizione di dis-abilità. Per ricevere il racconto e/o per informazioni Mirko Campini · tel. 329 7466905 mirkocampini66@gmail.com oppure rivolgersi a Roberto Zambon, Direttore de l’Artugna. Un caro saluto a tutti voi! MIRKO CAMPINI

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La chiesa di Santa Maria Maggiore e gli oratori di Dardago

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Grazie ad una meritevole iniziativa della Deputazione di Storia Patria per il Friuli diretta dal prof. Giuseppe Bergamini, la nostra comunità si è arricchita di una guida della storia della parrocchia di Dardago, inserita nella collana «Monumenti storici del Friuli» con il numero 94. Molte le fotografie che illustrano le opere d’arte della chiesa e degli oratori, la gran parte realizzate dal fotografo Paolo Burigana di Budoia; altre provenienti dall’archivio del nostro periodico. L’opuscolo, con copertina di Vittorio Janna, è composto di 56 pagine con un interessante testo, sintesi di decenni di ricerca. Ringraziamo in modo particolare la Deputazione di Storia Patria che ha donato 1000 copie dell’opera alla chiesa parrocchiale di Dardago. LA REDAZIONE

La guida è a disposizione nella chiesa parrocchiale.


Don Maurizio ci ricorda «Nella gioia della venuta del Bambino Gesù auguro a tutti i parrocchiani, amici e lettori di Budoia, Dardago e Santa Lucia e al parroco don Davide, a don Vito i più sentiti e calorosi auguri di un lieto e santo Natale. Ci porti la serenità e la pace del cuore, la salute e la cessazione di questa pandemia per poter tornare a vivere e a costruire rapporti di fratellanza ed amore». E questo augurio si estenda a tutto il 2022. DON MAURIZIO, IL VECIO PLEVAN

Auguri

BUON NATALE E FELICE 2022

ACCOMPAGNANO LE OFFERTE

IL BILANCIO NUMERO 153 Situazione economica del periodico l’Artugna

Pordenone, dicembre 2021

entrate

I migliori auguri sinceri di Buon Natale e lieto Anno Nuovo per tutta la gentile redazione. SILVANA ZAMBON

Trieste, dicembre 2021

Auguri per il 2022 e rallegramenti per il cinquantesimo anniversario. MARIA ANGELIN

Costo per la realizzazione Preconfezionamento e spedizioni

uscite 3.705,00 350,00

Entrate dal 21.07.2021 al 20.11.2021

3.035,00

Contributo Amministrazione Comunale per anno 2021

1.000,00

Totale

4.035,00

4.055,00


Dante e Umberto Martina Nella ricorrenza del settimo centenario della morte di Dante, vi proponiamo in esclusiva il volto austero del padre della Lingua italiana, ritratto dall’artista di casa nostra, Umberto Martina. Si tratta di una delle suggestive immagini di uomini illustri dipinta ad olio dal Maestro nell’Aula Magna della Scuola Elementare di San Vito al Tagliamento, negli anni 1914-1915. L’intera opera, composta di una carrellata di volti incorniciati uniti da una raffigurazione decorativa di animali mitologici, corre sotto il soffitto lungo l’intero perimetro dell’aula, su una fascia di tela delimitata da linee bianche, nere e seppia. [ Vittorina Carlon] ❖ Si ringraziano per la collaborazione il dott. Pier Giorgio Sclippa, assessore all’Istruzione della precedente amministrazione della Città di San Vito al Tagliamento, e il fotografo Renato Bianchini. [ foto di Renato Bianchini]

2021 ANNO DANTESCO

Dantedì 25 marzo, giornata dedicata al padre della Lingua Italiana


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