l'Artugna 145 - Natale 2018

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Anno XLVII · Dicembre 2018 · Numero 145 Periodico della Comunità di Dardago · Budoia · Santa Lucia


Dove nasce Gesù se si chiudono In questi giorni più volte si sono susseguiti articoli sulla stampa e nei vari siti cattolici e non per lamentare che nel nostro Occidente ex cristiano si stanno chiudendo molte chiese per mancanza di sacerdoti, di presenze di fedeli e di sostegno economico. La grande preoccupazione è che, in diversi casi, esse vengono vendute e, purtroppo, destinate ad usi impropri che nulla hanno a che fare con la destinazione precedente di luoghi di preghiera. In questa preoccupazione si è inserita anche la voce del Papa che ha chiesto che, se proprio devono essere alienate, vengano utilizzate per servizi sociali in aiuto ai più poveri. In questi giorni nelle nostre chiese sono stati allestiti i presepi, semplici e poveri o grandi ed elaborati, alcuni cercano di ricostruire l’ambiente evangelico con la grotta, i pastori, le pecore, i magi, il bue e l’asinello, il palazzo di Erode. Altri ricostruiscono l’ambiente dove si vive oggi, la piazza del paese, luoghi noti o meno della agitata vita quotidiana moderna. In tutti, comunque, la presenza dei tre protagonisti: Gesù, Maria e Giuseppe. È da loro che è nato tutto. Anche nei presepi elaborati e contemporanei c’è un posto anche per loro. Umile, povero, separato dalle grandi strade della storia, ma sempre presente.

All’inizio della Messa della notte di Natale, il presepio si accende, il Bambino è posto nella mangiatoia. Viene onorato col profumo dell’incenso. Tu sei Dio, tu sei il Signore, noi abbiamo bisogno di Te. Dopo 2000 anni, noi abbiamo bisogno di te. Dove nascerai quando le chiese chiuderanno e sarai sfrattato anche da lì. Per te non c’è più posto. 2

Come quel giorno a Betlemme quando i tuoi genitori cercavano un riparo per la notte e non lo trovarono. Molta gente si era riversata nella piccola borgata di Betlemme per il censimento e il caravanserraglio (albergo) era pieno di gente e Maria, nella sua condizione non trovava un posto con la necessaria riservatezza per poter partorire. Ma il piano di Dio non si


la lettera del Plevàn di don Maurizio Busetti

le chiese?

...e Pace in terra agli uomini che Egli ama.

Tintoretto, Jacopo Robusti (detto il), Adorazione dei pastori, 1564-1587, Scuola Grande di San Rocco, Venezia.

ferma per questi intoppi umani. La famigliola trova un posto adatto, anche se non affascinante, per la situazione. E il Verbo di Dio fatto uomo, Colui che ha creato l’universo, adorato dagli angeli, nasce in una grotta, in mezzo ad animali che si riscaldavano dalla fredda notte e venne deposto, come culla, in una mangiatoia da stalla. Lontano dai grandi avveni-

menti storici e dai palazzi del potere. Discosto anche da quella gente comune che attendeva un liberatore, ma era troppo occupata a farsi gli affari propri. Gli unici chiamati a far festa per la nascita: un gruppo di pastori che vegliavano le loro greggi di notte. L’ultima classe della società. Disprezzati per la loro ignoranza e scarsità di igiene, non potevano nemmeno partecipare alle liturgie solenni della loro religione per la non purità rituale. Gesù nasce in mezzo a loro. Forse che ancora oggi il Signore, stanco della scarsa fedeltà ai valori della fede e dai tanti che si dicono cattolici, ma preferiscono la peregrinazione festiva ai centri commerciali più che alla partecipazione alla liturgia eucaristica domenicale, ha

ancora una volta deciso di tornare a nascere non nelle nostre splendide, luminose e calde chiese, basiliche e cattedrali ma nei luoghi umili e dimessi che raccolgono i nuovi pastori poveri, abbandonati e disprezzati. Accogliamo il messaggio del Signore con i migliori auguri di un lieto e Santo Natale.

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www.parrocchie-artugna.blogspot.it

case to un questionario nelle In questi giorni è arriva uazione sit lla su hie per un’indagine delle nostre tre Parrocc storale Pa preparazione alla Visita delle nostre comunità in nnaio lla nostra Forania tra ge che il Vescovo terrà ne e febbraio del 2020. ato e composto Il questionario è stato ide Interparrocchiale. dal Consiglio Pastorale re naturalmente e può esse La risposta è anonima la modalità gennaio 2019 secondo consegnata entro il 13 ga di rispondere. descritta nel foglio. Si pre pastorale. mmare l’impostazione È importante per progra


[ la ruota della vita ]

NASCITE Benvenuti! Abbiamo suonato le campane per l’arrivo di... Ettore Chemello Ianna di Filippo e di Malina Ianna – Belluno Alice Bordignon di Marco e di Elisabetta Zambon – Dardago

MATRIMONI Felicitazioni a... Edoardo Perco e Raffaella Del Maschio – Gorizia – Budoia

LAUREE, DIPLOMI Complimenti! Laurea Silvia Signora – Laurea in Giurisprudenza – Budoia Pietro Bocus – Laura in Lettere Classiche – Dardago

DEFUNTI Riposano nella pace di Cristo. Condoglianze ai famigliari di… Davide Del Maschio di anni 37 – Palse Primo Tommasi di anni 94 – Budoia Luisa Carlon di anni 91 – Budoia Gino Dedor di anni 74 – Budoia Valentino Dotta di anni 95 – Santa Lucia Alfiero Scarpat di anni 60 – Santa Lucia Claudio Puppin di anni 73 – Dardago Rosanna Bedin di anni 74 – Santa Lucia Matilde Lachin di anni 98 – Santa Lucia Carlo Busnelli di anni 75 – Dardago Vincenza Carlon di anni 95 – Dardago Lucio Carlon di anni 95 – Budoia Ferruccio Cardazzo di anni 86 – Budoia Pietro Zambon di anni 80 – Budoia Irma Bianchi Zambon di anni 80 – Milano Giancarlo Zambon di anni 87 – Roma Arturo Egidio Zambon anni 79 – Milano Sergio Carlon Cech di anni 85 – Budoia Santina Ianna di anni 87 – Milano Roberto Bussolotto di anni 8 – Pontevigodarzere (Pd) Angela Zambon di anni 84 – Bruxelles (Belgio) IMPORTANTE Per ragioni legate alla normativa sulla privacy, non è più possibile avere dagli uffici comunali i dati relativi al movimento demografico del comune (nati, morti, matrimoni). Pertanto, i nominativi che appaiono su questa rubrica sono solo quelli che ci sono stati comunicati dagli interessati o da loro parenti, oppure di cui siamo venuti a conoscenza pubblicamente. Naturalmente l’elenco sarà incompleto. Ci scusiamo con i lettori. Chi desidera usufruire di questa rubrica è invitato a comunicare i dati almeno venti giorni prima dell’uscita del periodico.


sommario

In copertina. Una suggestiva immagine notturna del Mulin de Bronte. [foto di Paolo Burigana] Il Presepe evoca nell’animo dei bambini come in quello degli adulti una sensazione di particolare suggestione. Piccoli o grandi, di gesso o di legno, più o meno strutturati sono come piccoli paesi in miniatura. La creatività popolare ha circondato la Capanna con tante «figure» che rappresentano la nostra quotidianità. Pastori e pecore, taglialegna, agricoltori, animali da cortile, botteghe artigiane, luci, case, strade, corsi d’acqua e l’immancabile figura del mulino con la ruota, che da sempre accende la fantasia dei bambini. Guardando il Mulin de Bronte, in una notte stellata, immediata è la similitudine. La trasposizione alla nostra Pedemontana viene spontanea. Le mille e mille luci delle chiese, delle case e delle osterie, le montagne, le colline, le strade, i borghi con le loro famiglie concorrono a creare un unico grande Presepe vivente!

2 La lettera del Plevàn di don Maurizio Busetti 4 La ruota della vita 6 Cent’anni dalla fine della Grande Guerra a cura della Redazione

icembre 2 ·d

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anno XLVII

Vittorio Janna

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9 Famiglia Bocus Frith, viaggio in uno storico documento di Roberto Zambon 14 Cooperazione nello spazio alpino di Roberto De Marchi 16 Archivio a cielo aperto a cura di Vittorina Carlon 21 Checo Cussol a Venèthia di Mauro Zambon Thuciàt 23 Sorprese veneziane di Rita e Roberto 24 «Venezia delle Nevi» Chi smette di sognare è finito! di Vittorio Janna Tavàn La nuova pista ciclabile di Roberto Zambon 26 A Dardac... Artugna Challenge 2018 di Stefania Zambon 28 Cao muss, perché no? di Euridice Del Maschio 30 Un nof lampadario in glesia a Santa Luthia di Leontina Busetti 31 Reddi Fort Salute, festa per la pensione di Valerio Zambon 32 Negli anni più belli, i giorni più tristi di Roberto Zambon 33 L’agna Cencia Pasquala e so fia Giona di Fernando Del Maschio 34 I tass di Flavio Zambon Tarabìn Modola 36 Davide Del Maschio, un breve ricordo di Fernando Del Maschio

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37 Lasciano un grande vuoto... 39 ’n te la vetrina 40 Al vertice dell’Unicef regionale a cura della Redazione 40 Cronaca 44 Inno alla vita 45 I ne à scrit... ...dai conti correnti 46 Recensione, Bilancio 47 Programma religioso

ed inoltre... Cent’anni dalla Grande Guerra Inserto n. 12 a cura di Vittorina Carlon, Vittorio Janna e Roberto Zambon


un invito a ricordare e a riflettere

cent’anni dalla sabato 3 novembre

Anche le nostre comunità hanno voluto ricordare l’anniversario dei 100 anni dalla fine della Grande Guerra. Un ricordo che vuol indurre ad una profonda riflessione su tutto ciò che ha significato quell’inutile strage. Una guerra che ha portato la desolazione in Italia e nel mondo provocando milioni di morti, caduti, di feriti e di mutilati militari e civili. La collaborazione tra l’Amministrazione comunale e le Associazioni ha dato vita ad una serie di eventi nella prima metà del mese di novembre.

I monumenti ai Caduti di Dardago, Budoia e Santa Lucia.

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Il Gruppo Alpini di Budoia ha deposto fiori e acceso un lume ai monumenti ai Caduti di Santa Lucia e di Budoia.

A Dardago, la stessa cerimonia si è svolta alle ore 19,00, dopo la Santa Messa. Sono seguiti il saluto del Sindaco e la lettura del messaggio del Presidente Nazionale A.N.A., Sebastiano Favaro. Per l’occasione, gli Alpini di Budoia hanno provveduto alla posa di


fine della Grande Guerra una lapide in marmo riportante l’iscrizione dell’originale, in sasso, ormai illeggibile anche dopo un recente restauro. La lapide è stata realizzata e donata dall’alpino Stefano Zambon. Successivamente, i presenti si sono portati presso il cortile della scuola per un momento conviviale. Quest’anno, la cerimonia è stata organizzata in contemporanea in tutta Italia per dimostrare la coesione dell’Associazione e l’unicità degli intenti. I bambini delle elementari «protagonisti» della cerimonia di lunedì 5 novembre. A sinistra. La nuova lapide con l’iscrizione a ricordo di tutti i caduti e dispersi.

lunedì 5 novembre Alle ore 11 l’Amministrazione Comunale ha celebrato la festa dell’Unità d’Italia e la Giornata delle Forze Armate. Ormai da qualche anno l’Amministrazione ha deciso di celebrare questa importante ricorren-

za in un giorno feriale per permettere ai bambini della scuola elementare di Budoia di parteciparvi attivamente e, grazie alle insegnanti, essere anche protagonisti di questa festa. Dopo la deposizione di una corona presso il Monumento ai Ca-

duti, causa la pioggia insistente, la cerimonia si è svolta nella palestra delle scuole dove il sindaco Roberto De Marchi ha tenuto il discorso ufficiale sull’importanza del ricordo e della riflessione sugli eventi di cento anni fa. I bambini delle elementari hanno chiuso la cerimonia, tra molti applausi, cantando l’Inno di Mameli, la Leggenda del Piave e il canto alpino «Era una notte che pioveva».

giovedì 8 novembre Presso la chiesa di Santa Lucia, si è tenuta una santa Messa di commemorazione per i Caduti di tutte le guerre. Al termine del rito, i partecipanti si sono portati presso il monumento per ricordare i morti i guerra auspicando un futuro di pace.

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un invito a ricordare e a riflettere

cent’anni dalla fine della Grande Guerra venerdì 9 novembre Nel teatro di Dardago, alle ore 20,30, organizzata dal periodico l’Artugna, si è tenuta una conferenza del m.o Alessandro Fadelli dal titolo «L’ultimo anno della Grande Guerra». Il relatore, avvalendosi anche di numerose e suggestive immagini, ha intrattenuto il numeroso pubblico sulle principali

tappe della guerra, approfondendo quelle dell’ultimo anno, da Caporetto all’Armistizio. Le numerose domande del pubblico al m.o Fadelli, al termine della presentazione, testimoniano del grande interesse per gli argomenti trattati. Successivamente, il direttore del periodico l’Artugna, ha brevemente presentato l’iniziativa, partita tre anni fa, consistente nella pubblicazione per ogni numero del periodico di un inserto di 8 pagine per ricordare la Grande Guerra trattando degli eventi bellici a li-

Un pubblico numeroso e attento ha partecipato alla conferenza di Alessandro Fadelli sull’ultimo anno della Grande Guerra.

Un Requiem per i Caduti di tutte le guerre: auspicando un futuro di pace.

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vello nazionale ma anche, e soprattutto, dei fatti legati direttamente alla nostra zona ed ai nostri paesi. Gli inserti sono inseriti ne l’Artugna in modo da poterli agevolmente staccare e conservare. Tutto ciò è stato reso possibile grazie al lavoro di ricerca della redazione e al materiale pervenuto dai lettori. La pubblicazione degli inserti proseguirà fino al prossimo numero (Pasqua 2019). La redazione sta preparando una apposita copertina per poter rilegare e conservare i 13 inserti (104 pagine).

sabato 10 dicembre La chiesa di Budoia è teatro di un evento musicale di rilievo. Una particolare e originale esecuzione del Requiem di W.A. Mozart diretta da Fabrizio Fucile. Il coro era formato dall’Elastico e da alcuni componenti dell’Ensamble vocale Convivum Villae; i solisti erano il soprano Stefania Merluzzi, l’alto Monica Falconio, il tenore Roberto Cozzarin e il basso Gaetan Nasato Tagnè. L’originalità di questo Requiem è stata l’eccezionale prestazione del duo fisarmonicistico Chiacchiaretta-Gemelli, artisti dalla straordinaria carriera concertistica. Con la sola forza delle loro fisarmoniche i due musicisti riescono a sostituire l’orchestra e ad accompagnare con il loro suono, tipico di reminiscenza organistica, i quattro solisti e l’intero coro. Gli interminabili applausi del numeroso pubblico sono il più sincero ringraziamento per aver portato a Budoia questo Requiem.


DA UN ATTO NOTARILE

famiglia Bocus Frith Viaggio in uno storico documento Definire «storico» un atto di divisione datato 1914 è un po’ azzardato, anche se il documento ha ormai più di cent’anni; ma per molti motivi quello che stiamo per analizzare è certamente particolare ed interessante.

di Roberto Zambon L’atto riguarda una delle famiglie di Dardago più numerose, i Frith,1 e si rivela alquanto complesso poiché i beni non erano stati divisi da quasi 200 anni! Infatti l’avo dei comparenti, Giuseppe Bocus, nato nel 1743, morì senza testamento e, pertanto, i suoi beni andavano suddivisi tra i suoi numerosi successori giunti ormai alla quarta generazione. Il notaio incaricato di redigere l’atto fu il dott. G.B. Paolo Bertoldi, di Barcis, iscritto al Consiglio Notarile di Udine; mentre la stesura del progetto divisionale del patrimonio – o, per usare la terminologia presente nel documento, della «sostanza stabile e mobile» – fu eseguita dal geometra Francesco Zozzolotto 2 di Aviano. L’atto fu stipulato sabato 17 gennaio 1914 a Dardago, «in un locale dell’esercizio del Sig. Zambon Angelo (fu Osvaldo) al civico n. 151».3 Il locale potrebbe essere in-

Giovanni (1881) con Angelica Zambon Pala (1881) genitori di Maria, Irene, Valentino, Adele, Luigi e Fausto. Angelica aveva sposato Giovanni dopo essere rimasta vedova di Valentino, fratello del nuovo marito.

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dividuato nell’osteria dei Colus nella parte alta dell’attuale via San Tomè, poco prima dell’incrocio con via Tarabin. In tal caso, Zambon Angelo Colus fu Osvaldo aveva 62 anni.4 Bisogna considerare, però, che il Libro Anagrafe di Dardago - relativo alla fine dell’800 - precisa che Angelo, a differenza degli altri figli di Osvaldo, abitava all’inizio di Via per Budoia (l’attuale Via Brait); ciò farebbe supporre che ivi si trovasse anche la sua osteria. Il geometra Zozzolotto e Angelo Zambon furono nominati anche testimoni. Per stendere il progetto divisionale, il geometra ritenne opportuno realizzare l’albero genealogico della famiglia, partendo dal «capostipite» Bocus Giuseppe, nato nel 1743. Giuseppe, sposato con Cardazzo Angela, morì senza aver fatto testamento e i suoi averi rimasero, in comunione dei beni, ai tre figli, Angelo (1778), Pietro (1786)


Albero genealogico realizzato dal geometra Francesco Zozzolotto

ed Antonio (1784). (Nell’albero non appaiono altri quattro figli maschi poiché morti in giovane età). «Onde facilitare la spiegazione di come vennero suddivise le quote, e degli aventi diritto nella sostanza stabile e mobile si produce della famiglia il presente albero genealogico» cosi, il geometra spiega la presenza dell’albero che, nel documento, precede l’inventario. Seguendo l’albero predisposto dal geometra Zozzolotto e integrandolo con ricerche archivistiche e testimonianze, si scopre che questo atto interessa tutti i rami dei Frith dardaghesi: – Dal ramo di Angelo, gli eredi del XX secolo sono Valentino, Luigi e Fausto (via Rivetta). – Dal ramo di Pietro, i Frith di via Brait (Osvaldo, Guerrino, Luciano..) e quelli di via Castello (Adamo, Albino e sorelle). – Dal ramo di Antonio-Angelo, i Frith di via Parmesan «Piol» (Pietro, Severino, Rossanda, Luigi...). – Dal ramo di Antonio-Vincenzo, i Frith di via Rivetta bassa (Antenore, Guido, Mario, Romano...). L’inventario ha per oggetto i beni immobili, di proprietà dei

Frith, situati nei Comuni censuari di Budoia (terreni e fabbricati) e di Aviano (solo terreni). I terreni sono divisi in circa 80 numeri di mappale e per ognuno ne è indicato l’utilizzo (aratorio, orto, prato, montagna, pascolo, bosco...). Il documento è interessante anche per i tanti toponimi che contiene. Eccone alcuni: Artugna e Ortugna, Bassa de lama, Braida, Brait, Buse de Villotta, Campagna, Cunisel, Florin, Grave,

Ligont, Magredi, Masiere, Pramaior, Risina, Riva de Lama, Rive, San Martin, Sottocroda, Stradela, Thengle, Torat, Val de Croda, Volpere. I fabbricati sono costituiti dalle case (e dalle immancabili stalle). Sono quattro le case presenti nell’inventario: – tre in via Rivetta (mappali 851 a/b/c) individuate dal numero civico 113 – che vengono destinate: – agli eredi di Valentino (mappali 851 b/c – ramo 1 dell’albero);

Ciase vecie dei Frith al «numero civico 113» nell'attuale via Rivetta. Da qui hanno origine tutte le famiglie Bocus Frith.

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– agli eredi di Antonio fu Vincenzo (mappale 851 a – ramo 4 dell’albero); – una in via Brait, 157 (detta via di Budoia) col mappale 7261 destinata agli eredi di Gio Maria (ramo 2 dell’albero). Nelle vicinanze delle case, alcuni appezzamenti di terreno erano sempre destinati a orto. Per capire la complessità della divisione basta pensare che, alla fine dell’800, la famiglia che abitava nella casa di via Rivetta era composta da ben 31 persone (alcune ormai lontane parenti tra loro).5 In questo documento di divisione non si fa cenno delle altre case storiche dei Frith e cioè di quelle in via Castello e di via Parmesan. Oltre all’inventario dei beni immobili, qualche mese prima – nell’aprile del 1913 – era stato redatto l’elenco dei beni mobili, per ogni casa, a cura della Cancelleria della Procura di Sacile. Tra i testimoni erano presenti i dardaghesi Basso Lorenzo fu Antonio6 e Vettor Giuseppe fu Paolo. La sua lettura ci fa immergere nella povera vita quotidiana dei nostri nonni.

Modalità di divisione Il patrimonio oggetto della divisione ammontava a 27.000 Lire (24.775 tra terreni e fabbricati e 2.225 di beni mobili). Il geometra, nella premessa del progetto divisionale, dopo aver ricordato che il capostipite Antonio (1784) morì senza testamento, così continuava: «quindi succedettero in parti uguali i figli Angelo, Pietro e Antonio avi dei condividenti odierni. Di più questi fecero poscia degli acquisti cumulativamente; e detti beni furono pure compresi nel presente atto, e suddivisi in parti uguali». A complicare il lavoro del geometra ci sono anche due situazioni particolari che emergono dalle righe dell’atto: 1 – «Interviene in quest’atto anche Bocus Paolo fu Giovanni che pur essendo intestato in parte della sostanza a dividersi è già stato tacitato della sua quota con atto divisionale precedente; tuttavia gli si assegnano dei mappali ommessi nell’atto surriferito, da lui possessi, col pieno consenso delle parti».8

Alcuni esempi dei beni inventariati con il loro valore stimato Una panca per focolaio Una catena ed un «Cavedale» Una caldaia grande di rame Una caldaia di rame Due secchie di rame Una «panera» Un tino Una botte di castagno ettol. 360 Tre cesti di vimini Un piccolo tino Una bilancia di rame Un palo di ferro Un carro a quattro ruote Un tavolo da lavoro Una vacca con mantello alta m. 1,30 Un paio di buoi da lavoro con mantello m. 1,40 Cinque galline Un abbeveratoio in pietra Un «ciaridel» e «varsor» Due casse di legno abete

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del valore di Lire » » » » » » » » » » » » » » » » » » »

57 7 24 10 10 15 12 10 0,90 1 2 5 180 10 130 700 10 15 25 10

Paolo (1875), figlio di Giovanni (1818), nel cortile delle case di via Castello acquistate dai Marin. Questo cortile era una vera e propria enclave dei figli di Giovanni Frith sul lato sinistro della via, abitato interamente dai Marin.

2 – «Alla loro volta poi gli eredi di Bocus Antonio fu Giuseppe sciolsero anche loro la comunione dei beni; colla differenza che ai figli di fu Angelo q. Antonio spetta un terzo della quota del nonno, cioè 1/9 dell’asse comune, e ai figli del fu Antonio del fu Vincenzo q. Antonio spettano due terzi della quota, cioè 2/9 dell’asse comune». Alla luce di cui sopra: – agli eredi di Angelo spettava 1/3 del patrimonio (9.000 Lire); – agli eredi di Pietro spettava 1/3 del patrimonio (9.000 Lire, tutti agli eredi di G.Maria, niente a Paolo fu Giovanni); – agli eredi di Antonio spettava 1/3 del patrimonio (di cui 1/3 – 3.000 Lire – agli eredi di Angelo e 2/3 – 6.000 Lire – agli eredi di Vincenzo). Per poter ottenere tale risultato «il geometra incaricato dopo aver eseguito i relativi sopra luoghi, sui beni oggi a dividersi, e alla loro identificazione, colla scorta della mappa dei due Comuni Censuari, controllata la superficie, assegnò a ciascuno il valore che potrebbero avere


nel comune commercio e ne determinò il loro valore complessivo. Coll’aiuto poscia di indicatori e degli stessi interessati procedette alla formazione delle quote ed alla loro assegnazione, avuto speciale riguardo a quella delle minori Bocus Caterina ed Ida fu Valentino.9 La presenza di due minori tra gli eredi comportò la necessità di asseverazione dell’atto con giuramento del geometra presso la Pretura di Aviano (11/12/1913). Tutta la documentazione dovette essere sottoposta all’approvazione del Reale Tribunale di Pordenone col decreto del 30/12/1913. Anni ’60: i cugini Roberto, Marco, Angelica, Bruna e Jean Pierre con la zia Nives e la Ofelia sulla careta nel cortile dei Frith di via Rivetta.

Alcune curiosità... ... quelli che non sapevano firmare Gli eredi interessati a questo atto erano una trentina. Di questi, sei dichiararono «di non firmare perché illetterati» – per usare la frase del notaio. Si trattava di due uomini e quattro donne, tutti nati intorno al 1850. Ai nostri giorni ciò farebbe scalpore ma, in quegli anni, le scuole elementari dei piccoli centri erano riservate solo ai maschi e non tutti le frequentavano.10 In ogni caso è facile immaginare che anche chi a scuola c’era andato – di fronte a un documento di 50 pagine, zeppo di nomi, numeri e paroloni, e sotto lo sguardo di un notaio e di un geometra – di sicuro si sentiva preso, come il Renzo di manzoniana memoria, da quella suggezione che i poverelli illetterati provano in vicinanza d’un signore e d’un dotto.

«All’esordio del discorso tenuto in pulpito dal M.R. Manfè, quasi tutto il popolo uscì di chiesa per ispegnere l’incendio sviluppatosi nel fienile della casa del fratelli Vincenzo, Angelo e Sebastiano Friz. Spavento indescrivibile in tutti. Si proseguì la S. Messa a voce bassa». Forse, anche a causa di questo

grave episodio si pensò di costruire altre case nella parte bassa di via Rivetta.

La lettura di questo documento ci dà la possibilità di soffermarci su

Dalla chiesa, centro del paese, con il numero 1 partiva la numerazione progressiva delle case.

La Ciasa mata de Cial de Molin con il numero 190 della vecchia numerazione progressiva.

... la numerazione civica progressiva

... al foc, al foc! Il 21 novembre a Dardago si celebra la «Madonna della Salute». Nel 1915, quel giorno era una domenica e la messa solenne era concelebrata da don Romano Zambon, pievano, e dal curato di Budoia. Nel suo diario il pievano riporta che

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I fratelli Marco, Bruna e Angelica con il cugino Roberto sul marciapiede della casa di via Rivetta.

come era formata, all’inizio del XX secolo, la numerazione civica. Per tre volte nel documento vien fatto riferimento al numero civico di un’abitazione: 1. Per l’ubicazione dell’esercizio dove è stato redatto l’atto: «al civico N. 151»; 2. Nell’inventario del beni mobili: «della casa in via Rivetta… distinta col numero civico 113»; 3. Nello stesso inventario: «in una casa in via di Budoia11 distinta col numero civico 157». Molto probabilmente si tratta del retaggio della numerazione progressiva introdotta dal governo austriaco e derivante dalla cosiddetta Numerazione Teresiana avviata per le grandi città dall’imperatrice Maria Teresa d’Austria e realizzata dal suo successore Giuseppe II. Nelle città, prima di tale riforma, era un problema trovare una determinata casa o abitazione. Gli indirizzi erano approssimativi e facevano riferimento a chiese o a palazzi conosciuti: es. Prima di arrivare alla piazza grande, la penultima porta a dritta venendo dal piano. La numerazione progressiva e univoca si riferiva all’intero abitato, assegnando un numero ad ogni

abitazione, partendo dal centro e proseguendo a cerchi concentrici verso la periferia. Il sistema si rivelò funzionante fino a quando, dopo la metà dell’800, lo sviluppo delle città e dei

paesi resero necessario un aggiornamento della numerazione e il sistema si rivelò troppo macchinoso. Si passò quindi, verso la fine dell’800 all’attuale metodo di numerazione per via. Il sistema progressivo «teresiano» è ancora in uso a Venezia (nei Sestieri) e in alcuni comuni della provincia di Trieste dove la numerazione riguarda l’intera borgata o frazione (es. Duino Aurisina). Si può ipotizzare che, nei nostri paesi, la numerazione partisse dalla chiesa (quella di Dardago ha ancora ben evidente il n. 1), e proseguisse verso le abitazioni più lontane.

Ringraziamenti Un sincero grazie a Marco Bocus Frith (1957) per avermi messo a disposizione il documento e per avermi aiutato a navigare tra i numerosi rami della genealogia dei Bocus Frith.

NOTE 1. Nel documento viene più volte riportato con la grafia Friz. Per assecondare la comune pronuncia, si ritiene più corretto scrivere Frith evidenziandone il suono interdentale. 2. Il geom. Francesco Zozzolotto, figlio del sindaco di Aviano, Marco, era un libero professionista. Direttore dell’ufficio tecnico del suo Comune, nel 1915 sarà nominato direttore dei lavori pro disoccupati. Nel 1917 sarà richiamato quale ufficiale dell’esercito. Nel dopoguerra fu progettista di molte opere per la ricostruzione. 3. Vedi nota a fine articolo. 4. Altri compaesani, a quel tempo viventi, che portavano lo stesso nome erano Angelo Tarabin di 35 anni, Angelo Pinal di 55 anni e altri due con più di 70 anni. Ecco un caso in cui sarebbero serviti i «soprannomi». 5. Archivio Parrocchiale di Dardago: Libro Anagrafe di Dardago, pag. 81. 6. Nato il 10 gennaio 1862, padre di Paolo Basso (1903). 7. A puro titolo di curiosità, alcune tabelle di conversione, stimano che una lira del 1914

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corrispondesse a poco meno di 6000 lire del 2001, cioè circa 3 euro attuali. 8. Evidentemente, Paolo fu Giovanni, con un atto precedente, aveva ottenuto la proprietà della sua parte di beni. Le informazioni presenti in questo documento non ci dicono se la casa di via Castello, abitata da Paolo e dai suoi eredi, rientrava tra i beni già divisi oppure sia acquisita da Paolo o dal padre, Giovanni. Quest’ultima ipotesi è la più verosimile. I venditori dovrebbero essere stati gli Zambon «Marin» che erano i proprietari di molte case del lato sinistro della via, scendendo dalla piazza. 9. Valentino fu Angelo morì prima della «divisione». A rappresentare le due figlie fu la mamma Angelica Zambon Pala di GioBatta. Qualche tempo dopo, come spesso accadeva, Angelica sposò Giovanni, fratello del defunto marito. 10. Ermanno Contelli, E arrivarono le tavolette nere, l’Artugna, XVII (1988), 53. 11. Si intende l’attuale via Brait, la via che da Dardago porta a Budoia.


AD INNSBRUCK CONFERENZA «ALPACA» Allianz in den Alpen Alliance dans les Alpes Alleanza nelle Alpi Povezanost v Alpah

cooperazione nello spazio alpino per affrontare il cambiamento climatico di Roberto De Marchi

Il 7 e 8 novembre 2018 si è svolta ad Innsbruck la conferenza per il lancio del «Partenariato Alpino per Azioni Locali sul Clima – ALPACA», organizzata da CIPRA (Commissione internazionale per la protezione delle Alpi), dall’associazione della rete di Comuni alpini denominata «Alleanza nelle Alpi» di cui Budoia ne fa parte dalla sua fondazione nel 1997, e dall’associazione «Città alpina dell’anno». La conferenza è stata finanziata dall’Iniziativa europea per la protezione del clima EUKI per conto del Ministero federale tedesco per l’ambiente, la protezione della natura e la sicurezza nucleare. Per gli attori a livello locale provenienti dall’intera regione alpina ha rappresentato un’opportunità unica per impegnarsi insieme per

una migliore protezione del clima ed il necessario adattamento ai cambiamenti climatici. Le Alpi sono un territorio estremamente vulnerabile al cambiamento climatico; in quest’area vivono circa 14 milioni di persone, 30.000 specie animali e 13.000 specie vegetali. Nelle Alpi il cambiamento climatico si verifica più rapidamente che altrove: dalla fine del XIX secolo le temperature sono salite di quasi 2 °C, circa il doppio rispetto alla media registrata nell’emisfero settentrionale. Nell’area alpina le conseguenze del cambiamento climatico sono numerose e non si fermano ai confini amministrativi. Nel 2006, le Parti contraenti della Convenzione delle Alpi han14

no adottato la Dichiarazione sui cambiamenti climatici per rafforzare la loro collaborazione su questi temi. Nel 2017 è stato costituito il Comitato consultivo sul clima alpino, per integrare le principali attività riguardanti il cambiamento climatico portate avanti nell’ambito della Convenzione delle Alpi. Nei secoli gli abitanti delle Alpi hanno maturato una grande esperienza nel sapere vivere in condizioni difficili. Il nostro territorio è ricco di risorse naturali, che se gestite attentamente possono contribuire al raggiungimento di un equilibrio sostenibile. Le misure relative alla mitigazione e all’adattamento al cambiamento climatico producono numerosi vantaggi per la salute, l’ambiente e l’economia.


Gli obiettivi climatici sono sempre concepiti in un’ottica globale – ma è a livello locale che le visioni si trasformano in realtà. La partecipazione attiva permetterà di dare maggior forza ed accelerare la protezione del clima e l’adattamento ai cambiamenti climatici nelle Alpi. Il 24 giugno 2017, in occasione dell’Assemblea annuale dei soci di Alleanza nelle Alpi tenutasi a Budoia, è stata formalizzata la «Carta di Budoia» nell’ambito di una collaborazione con il Ministero dell’Ambiente italiano e il Segretariato Permanente della Convenzione delle Alpi, al fine di trasformare le Alpi in un territorio esemplare nel settore della prevenzione e dell’adattamento ai cambiamenti climatici. Gli eventi atmosferici di questo autunno, che hanno particolarmente interessato le Alpi orientali italiane, sono una dimostrazione dei pericoli che affronteremo, e che ci sono stati anticipati in occasione della conferenza «Cambiamenti climatici in FVG: quali sfide future?» tenutasi a Budoia a settembre durante la «Festa dei funghi e dell’ambiente».

come coltura «innovativa» per il nostro territorio in quanto non è legata ad una tradizione locale ma con la capacità di esprimere un’opportunità per valorizzare il paesaggio ed i terreni magri e con poca acqua; un buon metodo per rendere produttivi dei suoli senza sprecare risorse o utilizzare prodotti derivanti dall’industria chimica. Lo zafferano, oltre a rappresentare una nuova coltura per affrontare i lunghi periodi di siccità derivanti dal cambiamento climatico, rappresenta anche una modalità per tematizzare il territorio, ed è quanto avviene a Dardago grazie alla festa «Dardago fior di zafferano»; questi contenuti han-

no trovato un forte interesse da parte dei partecipanti all’incontro di Innsbruck. Il secondo giorno della conferenza, i partecipanti hanno discusso in diversi gruppi di lavoro le possibilità di attuazione e hanno elaborato i primi passi per azioni congiunte sul clima. In particolare, sono stati trattati tre argomenti: – Come possono i comuni attuare congiuntamente soluzioni pratiche per il settore energetico? – Come comunicare meglio (con i comuni) le questioni relative all’energia e alla protezione del clima? – Come si può ottenere l’adat-

*** Con la piattaforma «Alpaca» le città, i comuni e le organizzazioni di rete si impegnano insieme per promuovere la protezione del clima a livello locale. Lavorano insieme per lo sviluppo di strumenti di attuazione e partenariati e rafforzano lo scambio di esperienze tra i diversi attori del clima nelle Alpi. L’idea di un partenariato per il clima è stata lanciata dalla Convenzione delle Alpi e adottata dalle parti contraenti alla Conferenza Alpina del 2016. Nel primo giorno della conferenza di Innsbruck ho partecipato alla tavola rotonda sulle storie di successo locale e regionali dallo spazio alpino, occasione in cui ho presentato l’esperienza della coltivazione dello zafferano di Dardago,

Una visione dei nostri tre paesi. Le fasi della produzione dello zafferano.

tamento ai cambiamenti climatici a livello locale? È giunto il momento che i comuni e le reti che fanno parte di ALPACA si scambino idee, cooperino, trovino ispirazione, sfruttino le sinergie e lavorino insieme su obiettivi e soluzioni ambiziose per la protezione del clima. Abbiamo iniziato un percorso importante e nell’interesse delle comunità mi auguro caratterizzi sempre più l’agenda politica di chi amministra i territori. 15


Progetto di valorizzazione del patrimonio archivistico per conoscerci e farci conoscere

Continua il progetto «Archivio a cielo aperto» con l’installazione di nuovi pannelli concretizzati dall’Amministrazione Comunale su ideazione e realizzazione della Redazione del periodico (cfr. n.i 133, 139, 142). Si tratta di pannelli sui cognomi ‘storici’ di ciascun paese, da inserire nel ‘percorso antroponimico-toponomastico (AT)’, che verranno installati nelle piazze dei tre centri abitati. I testi sono curati da Fabrizio Fucile per Santa Lucia, Vittorina Carlon per Budoia e Vittorina Carlon, Roberto Zambon e Vittorio Janna per Dardago. Un quarto pannello, relativo al ‘percorso storico’ da installare accanto alla stazione a Santa Lucia, riporta la storia della linea ferroviaria, il cui testo è curato da Mario Bolzan. Anche in questa occasione le sintesi in parlata sono di Fernando Del Maschio per il capoluogo, Fabrizio Fucile per Santa Lucia e Flavio Zambon per Dardago; quelle in inglese di Mario Bolzan. Sono stati prodotti, finora, complessivamente cinque pannelli per Dardago e Budoia, sei per Santa Lucia. Ci auguriamo di proseguire il progetto, arricchendolo con altri documenti.

archivio a cielo aperto a cura di Vittorina Carlon

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I cognomi storici di Budoia

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I cognomi storici di Dardago

a cura di Vittorina Carlon Traduzione in parlata budoiese di Fernando Del Maschio

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I cognomi storici di Santa Lucia

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Stazione ferroviaria di Santa Lucia

I cognomi storici di Budoia

I primi cognomi di Budoia, documentati nell’archivio dardacense, risalgono ai secoli XV–XVI. La maggior parte di essi è tuttora in uso, con varianti linguistiche adeguate ai tempi storici, altri sono estinti o in via di estinzione. Nei primi anni del Quattrocento si attestarono i Bravin (1408) e i Sanson (1416); si susseguirono, quindi, i Tres(-so/-si), che assegnarono il nome all’odierna via Casale, gli Ianna, i Panizzut, i Loser; inoltre, i Carnizza, questi ultimi denominarono la loro strada, 16

l’attuale via Cardazzo, gli Scussat, che si stabilirono nell’odierna via Pozzi cui diedero il loro cognome, e i Del Maschio, il cui insediamento determinò il toponimo esistente a tutt’oggi. E ancora i Dedor, Varnier, Rossi, Cozzo, Franzosso, Pellegrini… Nel Cinquecento, a questi si affiancarono Angelin e Carlon, che con i loro cognomi denominarono l’attuale via Lunga inferiore, i Del Bianco, che assegnarono il loro nome alla via, il cui toponimo è tuttora esistente; i Del Zotto, Pup-


pin e Steffinlongo il cui cognome, con variante Stefani, è ancora presente, e, inoltre, i Cardazzo Schiavon che intitolarono l’attuale via Panizzut. E i Biscontin, Signora, Burigana, Quain/-o, Piva, Gaia, Riet… Nei secoli successivi s’insediarono nuovi nuclei: nella seconda metà del Settecento, gli Zambon da Dardago, i Diana, giunti da Enemonzo, i Mezzarob(b)a da Mezzomonte, e i Santin che si stabilirono nelle case dei Tres,... Singole persone e famiglie, provenienti da luoghi diversi (Trentino, Vicentino, Bergamasca, Bellunese, Cadore, Carnia,…), formarono una comunità attiva. Il loro luogo di aggregazione era la piazzetta di Sant’Andrea, in cui si radunava la vicinia. Già dalla seconda metà del XVII secolo, per superare l’aumento demografico e l’elevata frequenza di omonimie soprattutto dei cognomi più frequenti, si diffusero i soprannomi. Ne sono stati censiti centotrenta circa a livello orale e altri da fonti documentarie.

Citazione del cognome Del Maschio. 30 novembre 1507: terrenum Petri Maschli de Budoia. (pergamena 16).

Attestazione del cognome Sanson. 22 dicembre 1475: confinantem a mane cum tereno Angeli Sansoni (pergamena 35).

Citazione del cognome Scussat. 27 febbraio 1452: [Daniel quondam Peligrini del] Schussa de Budoya.(pergamena 25).

*** I noms de le famee de Budhuoia I noms de le famee de Budhuoia che se ciata par prins in te le ciarte de la Pleif de Dardac i è del 1400 e 1500. La pi part i è doprath anciamò adess, un puoci i è sparith e cualche d’un el fenerà prest. In tel 1400 se ciata par prins i Bravin e i Sanson; dopo puoc i Tres, che i à dat el nom a la so strada (adess via del Ciasal), Janna, Panithut, Loser, Carnitha (vecio nom de la via Cardath), i Scussat (vecio nom de via Poth), i Del Maschio (drio le ciase de Besut i prath i se clama Mascle). Prima che fenis el 1400 vin fora ancia i Dedor, Varnier e Pellegrini. In tel 1500 se ciata i Angelin e i Carlon (i à dat el vecio nom de la Contrada Longia), i Del Zotto, Puppin, Steffinlongo (via Stefani), Biscontin, Burigana.

Attestazione del cognome Carlon. 3 marzo 1528: Mateus filius Tonini Carloni de Budoia (pergamena 44).

In tel 1700 i è vignuth da fora i Diana, i Mesaroba e i Santin. In tel 1600, par no fa confusion coi noms, i à scuminthiat a doprà i soranoms. ’Na volta e par thenteners de ains i capifamea i se ciatava par parlà de i afari del paes su la plathuta de Sant’Andrea denant de la glesia. Bibliografia Archivio Storico della Pieve di Santa Maria Maggiore di Dardago. C. Zoldan, La pieve di Dardago tra XIII e XVI secolo. Le pergamene dell’archivio, Dardago 2008.

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La chiave di volta di un arco.


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I cognomi storici di Dardago

a cura di Vittorina Carlon, Roberto Zambon e Vittorio Janna Traduzione in parlata dardaghese di Flavio Zambon Tarabìn Modola I cognomi dardaghesi fecero la loro comparsa tra il XIII e XVI secolo e li rinveniamo documentati nell’archivio dell’antica pieve di Dardago. Çambonus è il cognome più datato (1299), appartenente al notaio operante nella pieve; si tramuterà in Iohannes Bonus-Zambon, il più diffuso a Dardago. Con tale cognome furono presenti ben 2804 individui, tra il 1660 e il 1960. I cognomi Cecchelin (Francesco detto Cichilino del fu Davide) e Pellegrino (Domenico Pellegrino) sono documentati la prima volta rispettivamente nella pergamena n. 6 del 27 dicembre 1372 e nella pergamena n. 7 del 27 maggio 1380. Nei primissimi anni del Quattrocento si attestano i Parmesan, i Bocusso, gli Janna, i Pellegrini, Bonello,... A questi, nel Cinquecento, si affiancarono i Busetti, Cargnel, Rigo, Vettor, gli Antonelli,... Nel Seicento appaiono nuovi nuclei parentali quali i Bastianello, Fullin, Del Maschio... e nel Settecento i Basso, Santin, gli Alfier... Singole persone e famiglie, provenienti da luoghi diversi (Carnia, Bellunese, Alpago...), formarono una comunità attiva che fece crescere il paese. Il loro punto di aggregazione era la piazza, luogo in cui si radunava la vicinia. Già dalla seconda metà del XVII secolo per superare l’elevata frequenza di omonimie, soprattutto dei cognomi più frequenti, si diffusero i soprannomi, in aggiunta o addirittura in alternativa al cognome stesso. Ne sono stati censiti un centinaio circa a livello orale e molti altri da documenti. Sono incisi nella pavimentazione della piazza. I primitivi insediamenti dei clan influenzarono pure la toponomastica

stradale, in uso per secoli fino alla fine della dominazione asburgica. Alcuni cognomi vennero sostituiti dai soprannomi, in particolare quelli tra i più diffusi, gli Zambon e i Bocus: i Vettor e i Pinali (Zambon) denominarono l’attuale via San Tomè, i Dolfini (Bocus) l’odierno vicolo Busetti, gli Stort (Zambon) e Zambon l’odierna via Tarabin, i Lussoli (Zambon) la via Rivetta... *** I cognoms de Dardac I cognoms dardaghesi se a tacàt a vedeli tra al miledos˛ento e al mile-

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Prima attestazione del nome Çambonus che darà vita al cognome Zambon. 16 aprile 1299: Ego Çambonus, imperiali autoritate notarius (pergamena n° 1).

thincuethento e i trovòn documentath ’ntel archivio de ’l vecia pleif de Dardaĉ. Çambonus ’l è el cognom pì vecio (1299), ’l era de un nodàr che el feva a so mestier ‘nte la pleif; el se tramudharà in Iohannes Bonus – Zambon (S˛anbon), chel che i ne de pì a Dardaĉ.


’Nte i documenth dal Cuatrothento al Siethento trovòn altre cognoms: Cecchelin, Parmesan, Bocusso, Janna, Pellegrini, e dopo Busetti, Cargnel, Rigo, Vettor, Antonelli..., e dopo anciamò Bastianello, Fullin, Del Maschio... Basso, Santin, Alfier... A la fin de ’l Siethento se à tacàt a doprà i soranoms pa no confonde i noms de la dhent che i veva al cognom conpaign. I è scrith ’nte’ la piera sul codolàt de la platha. Na volta, therte strade de ’l paeis le era clamadhe co ’l cognom o ’l soranom de le famee che le steva là: Vettor e Pinali, Dolfini, Stort e S˛anbon, Lussoli... A sinistra. Mappa dei soprannomi di Dardago, disegnata da Giovanni Battista Bastianello nel 1902.

Bibliografia Archivio Storico della Pieve di Santa Maria Maggiore di Dardago. C. Zoldan, La pieve di Dardago tra XIII e XVI secolo. Le pergamene dell’archivio, Dardago 2008.

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I cognomi storici di Santa Lucia

a cura di Fabrizio Fucile Traduzione in parlata locale dello stesso autore Il più antico cognome attestato a Santa Lucia è quello dei Fort, presente nella pergamena n° 3 della pieve di Dardago del 1354. Proprio loro si insediarono lungo l’asse che scende da Budoia («strada dei Fort», oggi via Besa-Fort, popolarmente riva de Besa) e si adoperarono per l’erezione dell’altarol del Crist. Verso la pianura, i Lachin-Comin realizzarono la platha e l’altarol de Tomè; sulla strada che scende dal colle si stabilirono i Gislon («Strada dei Gisloni», popolarmente el Ghet). Più discosti a est, e più recenti, si svilupparono i nuclei dei Busetti (lungo el Ruial) e dei Soldà e Rizzo nell’area verso Cial de Vila che ancor oggi risulta ben distinta dal resto dell’abitato. Attorno alla raccolta d’acqua della Salera trovò posto il minuscolo agglomerato urbano degli Andrean (Barthan).

La piazza dei Lachin rimase per secoli il centro di aggregazione sociale e amministrativa, dove, nelle strette vicinanze, era stato anche scavato il pozzo ad uso della comunità. La vicinia (riunione dei capifamiglia) dell’ottobre 1772 ci offre un panorama dei nuclei parentali dell’epoca ancora oggi presenti in paese: 6 Fort; 5 Lachin e 5 Soldà; 3 Gislon; 2 Busetti; 1 solo capofamiglia per i Pusiol, i Rizzo, i Comin e i Celant. In quest’epoca sono già attestati e documentati i rami Blason, Bodaman, Bof, Copatha, Dhomarion, Dinos, Marcolin, Moro, Polat, Tomè e Ustin. All’inizio del secolo XVIII nella grande corte dei Mandolin, soprannome di un clan dei Fort, si insediarono i Besa, ultimi arrivati (per questo quasi tutti i loro rami sono senza soprannome) e in bre-

Prima attestazione del nome Fort che diverrà cognome. 9 dicembre 1354: Franciscus quondam Forti de Sancta Lucia (pergamena n° 3).

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ve principali protagonisti del panorama sociale, commerciale e culturale di Santa Lucia. *** I cognoms de Santa Luthia Una delle ciarte pì vecie de la glesia de Dardac la ne dà cont che i Fort i era tra i primi paesans. Ancia i Lachin no i à da esse vignuth tant dopo e a contà pulido al è le doe fameje pì grande del paeis.

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Anciamò uncuoi se pol capì come che i se ’veva implantat: i Fort do pa’ la riva de Besa, i Lachin intor ’l poth e ’l capitel de Tomè, i Gislon sote la riva de messa, i Busetti in banda ’l Rujal e i SoldàRisso verso Cial de Vila. Do de la Salera i Andrean Barthan i à fat su le prime ciase. I Besa, ultimi rivadi, i à comprat tanta roba de i Fort e i è deventadi i «siori» de Santa Luthia.

Bibliografia Archivio Storico della Pieve di Santa Maria Maggiore di Dardago. C. Zoldan, La pieve di Dardago tra XIII e XVI secolo. Le pergamene dell’archivio, Dardago 2008.

Stazione ferroviaria di Santa Lucia

a cura di Mario Bolzan Traduzione in parlata locale di Fabrizio Fucile

La stazione ferroviaria di BudoiaPolcenigo è stata costruita negli anni 20 del XX secolo. Alla sua costruzione parteciparono scalpellini, muratori e manovali del luogo (foto 1). La stazione è stata inaugurata il 28 ottobre 1930 quando venne aperto il tratto ferroviario che collegava la stazione di Sacile con quella di Pinzano (foto 2) Il progetto della ferrovia fu essenzialmente militare, cui si aggiungeva la necessità, nei critici anni post-bellici, di offrire lavoro alla grande massa di disoccupati di queste terre. Essa fu iniziata grazie al duro lavoro di molti ex emigranti nelle terre austriache e tedesche, rimasti disoccupati nell’estate del 1914 dopo lo scoppio del primo conflitto mondiale, e continuata poi

da altri impossibilitati a emigrare nel primo dopoguerra. La linea fu usata dal 1930 in poi, fino agli anni 1960-1970, da tantissime persone che partivano per raggiungere un lavoro lontano da casa. Per questo, fu assunta a livello popolare la definizione di «ferrovia degli emigranti». La linea è stata utilizzata anche dagli studenti dei nostri paesi e quelli che dall’Alto Friuli raggiungevano le scuole superiori di Sacile. La stazione ferroviaria di Santa Lucia di Budoia, grazie al suo fascino un po’ fuori dal tempo, nel 1996 divenne set cinematografico di alcune brevi scene dell’importante film internazionale «In Love and War», firmato dal noto cineasta inglese Richard Attenborough e centrato sull’esperienza di Ernest 20

Hemingway, tra Veneto e Friuli, durante la prima guerra mondiale. *** La stathion de Santa Luthia La stathion de Santa Luthia i l’à fata su dopo la prima guera e i à lavorat in tanti muradors e scalpelins de i nostre paeis. Propio pa la guera l’ è stat bisoin de ’na ferovia che l’à dat da lavorà a chiei emigranti tornadi indrio da le Germanie dopo el Quatordese e pì tardi, dopo el Disdoto, a duth chiei che no i aveva da vive. El toc da Sathil a Pinthan i l’à inaugurat el 28 de otobre del Trenta. Dopo la seconda guera l’ è deventada la ferovia de altri emigranti, chiei che i partiva da ciasa par di a lavorà fora par Venethia o pì lontan anciamò.


Chista storia cà che conte adéss – vèra e no inventada – la é rivada infìn unchì parché me nóno Nani Tavàn i l’à contada a me barba Àndol e po’ lui a mi.

Checo Cussol a Venèthia

di Mauro Zambon Thuciàt

Se tràta de cuan che ’na volta al era plén de dhént su pa le mont e finida la dhornàda, co’ l’era la sera dopo théna, su ’nti Thesóns al pora Checo Cussol al tirava fora ’l só violìn e ’l tacàva a sonà. Checo l’aveva chéla passiòn là, da sonà ’l violìn, e l’era cussì bravo che chei ch’i se ciatàva in altre lócs intór via la Val Granda i lo sentéva a sonà e i se godéva a scoltàlo. I se diséva: «Senti Checo Cussol che ’l sóna ’l violìn, senti che benón che ’l sóna, l’é pròpio bravo!». Dal Ciavalìr infìn ’te Le Coste e ’nti Thèrthins, a ’na thèrta ora la dhént la savéva beldhà che da unlì a póc Checo l’avaràve tacàt a sonà; chéla volta

là nó l’era méa i aràdi che i sonàva dut al dì conpàin de adéss, eh! Ma la storia nó l’é chista; la storia l’é che Checo a un bel momento a l’à volut giavàsse la pavana da dhì a fà un giro a Venéthia. Al’era un bel toc che l’aveva in mént sta roba cà, difàti l’aveva sentùt tant a dise e contà e a contà ’nciamò de ’sta Venéthia, de la só storia, de l’arte e de dut cuant al resto. Fin che l’é rivat al dì che al’à ciapàt su e l’é partìt. Cuan che l’é stat su la platha de San Marco – varda ’l ciampanìle, varda la glésia, varda i ciavài, varda ’l Palàth Ducal, varda i mori che i bat le ore, su e dhó, avanti e indrìo – a un therto punto 21

al sént la musica sóte i pòrtins de la platha: al’era i sonadórs ch’i sonava fora de un de chéi cafè de lusso, che duth cuàins cognossón. Incuriosìt, Checo al ciapa e al va unlì dónge par scoltà miei la musica. Dopo un póc che l’é unlì che ’l scólta, ai fai de moto co la man al maestro che ’l comandava i sonadórs. Al maestro i lo varda e po’ al tira drét có la sonada fin in ultima e po’ dopo, prima da tacà a sonà anciamò, i lo clama in là e i domanda chè ché ’l voléva. Checo alòra i à dita che ’l violin che i aveva ’nte l’orchestra al’era bon, che se sentéva che l’era bon, ma che però non l’era sonàt


pulido. Al maestro alòra i lo varda, i lo scuàra da in alt fin in bas, al véith in che stati che l’era – barghessàte de frustagno e ’na giachetàta, ancia chèla de frustagno – e ’l capìss che l’é un contadin, un da su pa’ le mont, rivàt chissà da unlà e pròpio par chisto motivo al pensa che Checo al séa drio a scherthà. Alòra Checo i dis al maestro: «Avarave vóia da fà ’na sonada para veàltre». Al maestro alòra i lo varda pulido, al pensa un póc ma nó’l sa chè

che l’aveva pi in pratica e dut s’un colpo la dhént la taca a tàse: duth cuàins thìto par scoltà Checo e l’orchestra che i lo ’conpagnava! Al sonàva cussì benon che in therti momenti al violin al era come la vós umana e ogni tant i lo feva ancia sgnagolà come un giàt, robe da nó crede. Finìt al toc, la dhént l’à tacàt a bate le mans e la féva fadìa a desméte. Alòra, pì de cualchedùn a l’à tacàt a disi a Checo: «Sóna anciamò calcossa, nó te lassón dhi via cussì». Alòra Checo al’à fat anciamò dóe sonàde, una miéi de chel’altra, infin che ’l maestro e ch’i altre sonadórs i à fat i conplimenti. Pì de cualchedùn dopo al’à volut a savé chi che ’l fóss e da unlà che ’l vignéss. Checo alòra i à dita che l’era da Dardàc, in comùn de Budoia. La é finida che duth cuàins i é restàth conténth e che co un pèr de lór Checo ’l’è parfìn deventàt amigo.

responde. «Diséme veàltre che che voléit sonà e mi ve vigne drio», al continua Checo... Alòra ’l maestro, insieme co’ ch’i altre de l’orchestra i dis da sonà lui chè ché ’l voleva e che lór i l’avaràve aconpagnàt. E cussì Checo al ciapa in man al violin, i lo varda pulido, i lo contròla, intànt la dhént intór via la se feva de marevéa de la situathión, co’ sto maltharpìt che ’l pretendeva da sonà… A un therto punto Checo al taca a sonà, al taca co’ una de chèle

Il ramo della famiglia Del Maschio Cussol Tommaso Del Maschio Giacomo Francesco 1734

○○ Cattarina Zambon Giacomo 1767

○○ Giuliana Cecchelin Francesco 1808

○○ Lucia Vettor Angelo Osvaldo 1841

○○ Anna Zanus Fortes

Fiorina

Antonio

Santa

Maria

Francesco

1866

1876

Giacomo 1886

○○ Genoveffa Gobbo

○○ Laura Rosa Vettor

Luigi

Maria

Armando Angelo Raffaele

Laura

Flora

1906

1908

1915

1917

1921

○○ Adelaide Bocus

Euridice

Giacomo

1946

1947

○○ Cinzia Del Col

Elena

Francesco

1985

1988


sorprese veneziane

I NOSTRI EMIGRANTI

di Rita e Roberto E già l’una del pomeriggio. La visita alla Scuola Grande di San Rocco è durata più del previsto: ma ne è valsa la pena. Finora non avevamo avuto occasione di visitare la Confraternita del protettore degli appestati; ma un manifesto che annuncia le manifestazioni per i 500 anni dalla nascita del Tintoretto ci ha invogliato a visitare la Scuola che vanta decine di capolavori del grande pittore rinascimentale veneziano. Una guida molto preparata e gentile ci ha illustrato le principali opere del Tintoretto che qui lavorò per circa 20 anni trasformando il palazzo in un’opera d’arte. È ora di pranzo e, in campo San Polo, quattro o cinque ristoranti sono aperti. Ne scegliamo uno. Nonostante sia già ottobre, la maggior parte dei tavoli all’esterno sono occupati. Entriamo nella sala interna e ci accomodiamo ad un tavolino in un angolo, vicino ad una scrivania utilizzata dal personale del ristorante. Subito la nostra attenzione è attirata da una rivista, messa lì, assieme ad altri documenti.

Rizzieri Zambon Sclofa. A destra. Pietro Zambon con la mamma Giuseppina.

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È l’ultimo numero de l’Artugna! Potete immaginare la nostra sorpresa! Ovviamente, la prima cosa che facciamo è di chiedere informazioni e cosa scopriamo? Per puro caso siamo entrati nel ristorante di una famiglia di origini dardaghesi, abbonata al nostro periodico. I nostri interlocutori, Piero e mamma Giuseppina, si dimostrano molto contenti di questa coincidenza. Tra una portata e l’altra ci spiegano le origini dardaghesi del loro papà Rizzieri Zambon Sclofa che, insieme alla moglie Giuseppina, ha avviato l’attività del Ristobar di Campo San Polo il primo febbraio del 1970. Rizzieri era nato nel 1935 da Pietro e da Ermenegilda Zambon Marin. Come moltissimi giovani della nostra pedemontana, anche lui colse le opportunità di lavoro che offriva la città lagunare. Numerosi bar, ristoranti, alberghi, negozi – alcuni anche famosi – si sono avvalsi della loro bravura. Molti hanno avviato una loro attività, raggiungendo spesso soddisfazioni e notorietà. Rizzieri morì il 10 febbraio 2017. Attualmente, il ristorante è gestito da Piero, dal fratello Antonio e dalla mamma. Parlandoci di lui, i famigliari sottolineano che è stato un esempio di vita. Era molto orgoglioso delle sue origini e della sua terra e per questo hanno voluto portarne le spoglie nella sua Dardago. Veramente! A Venezia le sorprese non finiscono mai.


‘Venezia delle Nevi’ Il mondo è nelle mani di coloro che hanno il coraggio di sognare e di correre il rischio di vivere i propri sogni. PAULO COELHO

CHI SMETTE DI SOGNARE È FINITO! di Vittorio Janna Tavàn Tutti conoscono la sua storia e quale «sogno» ha rappresentato la strada che da Dardago conduce al Sauc e al Ciamp e come da oltre mezzo secolo sia rimasta dimenticata e abbandonata. Ora per quel «sogno» sono iniziati i lavori per un suo riutilizzo. Quasi ogni settimana, con dovizia di particolari, la stampa quotidiana locale nuovamente ci racconta la storia di come nacque la «Società Venezia delle Nevi» e le vicende dei suoi principali interpreti: quelle di un conte belga, di una contessa, di un nostro concittadino e quelle di tanti altri abitanti del nostro Comune. Erano gli Anni ’60, gli anni cosiddetti del «boom economico», un tempo favorevole per investire in Italia. Così anche la nostra comunità conobbe una stagione di grandi lavori. Accordi, sopraluoghi, misurazioni, rilievi e progetti precedettero l’apertura dell’impegnativo cantiere per dar vita ad una nuova strada. Una strada «nuova», pensata e disegnata con una pendenza costante, non un qualcosa di adattato su un vecchio percorso.

In quel periodo, pensando al futuro sviluppo turistico, più di un genitore iniziò a considerare che, anche per il proprio figlio, fosse giunto il tempo di poter appendere al famoso chiodo la valigia di emigrante. In quella stagione si viveva un’atmosfera che non si avvertiva da anni;

e persino l’aria sembrava essere diversa, più limpida e serena. Poter salire con una vettura sino al Sauc e al Ciamp stava divenendo una realtà, una conquista. Si respirava un’aria di libertà nei confronti di un fato che per secoli aveva costretto gli abitanti e i loro armenti a ‘guadagnare’ quei pen-

Dardago, Val de Croda. Anni ’60. Apertura del primo tratto della strada. A sinistra Gerardo Vettor con la sua NSU Prinz mentre osserva i nuovi lavori.

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dii, con fatica, passo dopo passo. Dopo l’autunno del 1967 – termine dei lavori della strada – arrivò l’inverno. Nessuno avrebbe previsto che, in primavera, con lo scioglimento dell’ultima neve si sarebbe pure sciolta anche la società italo-belga. Ma non tutto era perduto. Restarono in eredità alla comunità, anche se non perfettamente definiti, una strada, un capitale, una risorsa. Bastava sognare e saper guardare oltre! Ci fu chi non si perdette d’animo, continuò a percorrerla con automezzi di tipo «fuori strada» e nel tempo in Sauc ci fu chi aprì un locale pubblico, tipo baita, «la Baracca del Sauc». La strada c’era, non franava, nessuno l’avrebbe «rubata», rimaneva al servizio di chi con un po’ d’entusiasmo e un po’ di spirito d’avventura desiderava percorrerla… …e ci fu chi, anche solo per spirito d’avventura, per il piacere della compagnia, elesse quel percorso a pura evasione. Ricordo con piacere un gruppo di giovani di Budoia e Polcenigo, allora poco più che ventenni, i cui nomi mi sono rimasti ancor familiari: Gigi, Santino, Laura, Ugo, Vittorina, Teresa, Dice, Giacomo, Cristina… che a bordo di mitiche Fiat 500 e di una ancor più mitica Fiat Topolino rossa, inconsapevolmente ed allegramente, scrivevano una piccola pagina di storia con i loro sogni.

LA NUOVA PISTA CICLABILE di Roberto Zambon

In quest’ultimo periodo è tornata alla ribalta la «strada della Venezia delle Nevi», quella cioè che doveva portare i turisti da Dardago verso la zona del Ciamp nelle montagne dardaghesi. Il nostro periodico ha trattato molte volte di questo argomento, e in modo particolare, nei numeri «agostani» del 1984 e 2014. Nel 1984 la redazione volle ricordare Alfredo Ianna Simon e la moglie Angela Basso che, venti anni prima, nel 1964, da veri «pionieri», avevano intravvisto la possibilità di sfruttare le nostre montagne dal punto di vista turistico, anche in previsione della costru-

Il locale cominciò subito ad essere frequentato da comitive che organizzavano banchetti e cene. L’anno successivo lo «Chalet Belvedere» – così era stato chiamato il locale – diventò dimora e punto d’appoggio per gli operai e i responsabili delle vari imprese impegnate nei lavori, oltre ad ospitare saltuariamente il conte, la sua Madame Perçeval e l’immancabile Piero Panizzut (Piero Rosso). Si dovette costruire una sala da pranzo più capiente. Molti dardaghesi, quasi tutti con esperienza in vari ristoranti, venivano impegnati come personale fisso o a chiamata. Il locale, il 18 set-

*** Ancor oggi guardo la montagna e noto i segni lasciati dalla strada. Mi sembrano come rughe che ornano la fronte di un vecchio saggio. Quel profilo mi è talmente familiare che i miei sensi quasi non colgono più le caratteristiche della sua bellezza. Ahimé, la sua visione mi è divenuta consuetudine, ripetitiva, quasi scontata. Ad un tratto la mente, come in una ripresa cinematografica, comincia a «staccarsi» ed inizia a vagare: fuori dal tempo e dallo spazio. Sto sognando ad occhi aperti! Mi passano dinanzi immagini, volti giovanili, voci, suoni, canti, risate, profumi, sapori, colori, un turbinio di pensieri che vanno a sostituire quell’«apparente» grigiore. Sognare è meraviglioso, perché è come vivere più vite.

Un tratto della strada «Venezia delle Nevi» ‘riaperta’ ma non ancora terminata.

zione della strada verso il Ciamp ed il Sauc dove il conte belga Daniel D’Ursel intendeva realizzare una località turistica «chic» chiamata la Venezia delle Nevi. Come riportato nell’articolo del 2014, in quell’anno diverse squadre di geometri e tecnici erano al lavoro nelle zone del Ciamp, del Sauc e della Val de Frith per effettuare i rilievi topografici delle aree interessate alle varie infrastrutture necessarie per il progetto del Conte. Alfredo ed Angela avevano avuto una buona idea. 25

tembre 1967, ospitò il banchetto per i 150 invitati all’inaugurazione della strada. Il sogno di Alfredo e Angela si era avverato e, tuttora, lo Chalet, rimodernato ed ingrandito, continua la sua attività. Non è andata così per il conte D’Ursel. Qualche tempo dopo l’inaugurazione, la nuova strada franò in più parti a causa delle particolari caratteristiche geologiche della montagna, forse non ben considerate dai progettisti.


versanti e la pavimentazione con una mescola di ghiaie e cemento alle imprese Asfalti Piovese e CO.MA.C. Le opere interessano circa 10 chilometri e un dislivello di 800 metri. I lavori sono a buon punto e dovrebbero essere portati a termine la prossima primavera dopo la sosta invernale. Dal sogno infranto del conte Daniel D’Ursel alla più modesta, ma concreta, idea di una pista ciclabile. Un’idea positiva, se non altro, perché permette di recuperare i lavori, abbandonati 60 anni fa, che

Nel grande cantiere stradale della «Venezia delle Nevi» le ruspe hanno ripreso l’attività.

deciso di utilizzare il tracciato della «Venezia delle Nevi» per creare un percorso ciclabile collegato al già esistente «Piancavallo – Crosetta». Al termine dei lavori si avrà a disposizione un anello ciclabile formato da due percorsi concatenati che consentiranno una traversata di notevole interesse paesaggistico, naturalistico e agrituristico. La nuova ciclabile potrà costituire un importante tassello per lo sviluppo del turismo sostenibile della pedemontana pordenonese. A tale scopo, l’Ente ha affidato i lavori per la sistemazione del tracciato, i disboscamenti necessari, la regimentazione delle acque di superficie, la messa in sicurezza dei

erano diventati una devastazione delle nostre montagne. Confidando che la nuova pista ciclabile sarà oggetto della doverosa e continua manutenzione e considerando la crescente passione della gente per la bicicletta e le escursioni tra la natura, sicuramente questi interventi contribuiranno ad attrarre visitatori e a far conoscere le caratteristiche e le bellezze dei nostri paesi e del nostro habitat. Che siano anche una opportunità – per qualche «pioniere» come Alfredo ed Angela – di ridare a Dardago un pubblico esercizio per l’ospitalità alberghiera e per la ristorazione? 26

a Dardac... Artugna Challenge 2018

L’ambiziosa opera, molto impegnativa pure dal punto di vista finanziario, si avviò verso il fallimento anche a causa della mancata acquisizione dei 285 lotti edificabili. Praticamente la strada non venne mai interamente utilizzata: diventò un relitto stradale e poi una pista forestale chiusa al traffico a partire da un centinaio di metri sopra lo Chalet. Questo per ben cinquant’anni. Nei mesi corsi, Promoturismo FVG, l’Ente regionale che ha il compito di sviluppare il sistema turistico del Friuli Venezia Giulia, ha


di Stefania Zambon Il 9 settembre 2018 si è tenuta a Dardago l’Artugna Challenge 2018 che quest’anno è stata Criterium Internazionale di MTB. L’evento, organizzato sotto l’egida della Sgancio Rapido, società ciclistica con sede nel nostro comune, ha potuto contare anche sulla collaborazione di numerose associazioni, sponsor e soprattutto del Comune di Budoia. Il territorio idoneo e suggestivo per gli amanti delle «ruote grasse» e il meteo particolarmente favorevole sono stati un connubio perfetto per una manifestazione con un programma ricco e studiato in ogni dettaglio. La macchina organizzativa ha funzionato alla perfezione e non ci sono stati intoppi di alcun genere. La popolazione ha partecipato con entusiasmo alla manifestazione e ha pazientemente «sopportato» alcuni disagi dovuti alla chiusura al traffico del centro cittadino. I numerosi messaggi, giunti alla Sgancio per complimentarsi per la riuscita della gara, premiano uno sforzo lungo oltre un anno. Per quanto concerne il risultato sportivo, numerosissimi sono stati gli iscritti, segnando un nuovo record per il genere di gara. Si sono presentati ai nastri di partenza atleti provenienti da 12 regioni d’Italia e 6 nazioni estere e questo ha costituito una vetrina eccezionale per i nostri paesi. I vincitori nelle tredici categorie che hanno apposto il loro nome nel palmares della manifestazione sono stati nomi importanti, con addirittura due campioni europei Master in carica. Al di là della nutrita partecipazione, il suggello sul successo della manifestazione è stato dato non solo dagli atleti stessi, che si sono professati estasiati dal tracciato e dalla natura che li ha circondati, ma anche dal numerosissimo pubblico presente. Oltre ai presenti, va sicuramente ricordato che tutta la manifestazione è stata seguita in diretta nazionale sul digitale terrestre. Sgancio Rapido rinnoverà il proprio impegno con due manifestazioni anche nel 2019: Artugna Challenge tornerà quindi declinata in due versioni, quella estiva e quella invernale.

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Una leccornia di un tempo passato che diventa oggi il «piatto tipico» della festa Dardago fior di zafferano. Una leccornia gialla allora... con l’uovo, gialla ora... con lo zafferano.

cao muss, perché no? di Euridice Del Maschio Risotto, frico, torta: tutto allo zafferano, buonissimi ma… Siamo già alla quarta edizione e la festa si chiama Dardago fior di zafferano! Dovremmo ampliare l’offerta gastronomica e soprattutto proporre un piatto nostro, un piatto proprio dardaghese. Il piatto ci sarebbe, è tanto che a qualcuno frulla in testa: cao muss co’ la polenta! «Scusa, che cos’è?» dice qualcuno sotto gli anta. «Una cosa buonissima che mangiavo da bambino» risponde qualcun altro molto sopra gli anta. E il 14 ottobre 2018, cao muss fu! Una leccornia del tempo passato che è diventata il «piatto tipico»

della nostra festa Dardago fior di zafferano. Piatto rustico per via del salame, piatto di recupero per via del latte o quasi una frittata per via dell’uovo, ma ingentilito dalla panna, un piatto quasi raffinato. Si racconta che in montagna, dove pascolavano mucche e pecore, fossero stati i malgari ad accompagnare per primi l’immancabile polenta con qualche fetta di salame cotto nella panna. Un piatto da re! Ma perché cao e perché muss? L’amico Vittorio ha cercato e ha trovato! Sulla parola cao, abbiamo riferimenti certi trovati nel «Vocabolario veneziano e padovano» di Gasparo Patriarchi del 1775. 28


Cao = capo E tra i vari significati: cao d’agio = capo d’aglio; cao della vite = tralcio della vite; cao de late = fior di latte, la panna che affiora, che sta sopra. Sul termine muss, non avendo certezze, facciamo appello alla fantasia. Muss = asino. Animale pigro, lento ma paziente per indole. Ci piace così paragonarlo al latte che messo in una terrina la sera,

riposa tutta la notte e lentamente con pazienza la mattina ci dona la panna da scremare, pronta per il cao muss. Ecco adesso i giovani sanno che cos’è e i meno giovani, aperto il baule dei ricordi, hanno ognuno il loro ricordo. Questo il mio! Come in una sequenza cinematografica, mi appare nitida una bambina di 9-10 anni, un vestitino a quadretti col carré, le s’ciampinele negre de veludo e in

man, una gamela col mane. Sta attraversando la crosera de la Rossa, va verso via Rivetta e giù per la discesa fino ad un portone col suo bell’arco di pietra. Lo varca e percorre un lungo cortile fino in fondo, poi scompare dietro… Pochi minuti ed è già di ritorno co la gamela plena de cao de le gnéle de Gigi. A casa l’aspettano per fare il cao muss con l’uovo, non c’era zafferano allora!

Cao muss e... ’na nica de zafferano Panna con salame e... un pizzico di zafferano 8 fette di salame fresco dello spessore di circa mezzo centimetro 2 quartini di panna da cucina una dozzina di pistilli di zafferano di Dardago sale e pepe q.b.

[per 4 persone]

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Far rosolare a fuoco molto dolce le fette di salame per circa 5 minuti. Eliminare il grasso rilasciato dal salame cotto. Aggiungere quindi la panna, stemperare dolcemente e far amalgamare il salame con la panna a fuoco basso. Polverizzare bene i pistilli di zafferano (avvolgendoli in un pezzo di carta forno piegata e sbriciolandoli con un cucchiaio o il fondo di un bicchiere) e discioglierli in 1 cucchiaio di latte unendolo poi alla panna. Aggiustare di sale e pepe e cuocere ancora finché la panna non si rapprende un poco. Servire il «cao muss» accompagnato con polenta bianca.


un nof lampadario in glesia a Santa Luthia di Leontina Busetti Nell’ultima settimana di settembre nella chiesa di Santa Lucia è stato installato un elegante lampadario a tre piani con ventuno punti luce in vetro di Murano. È stato un dono fatto dal signor Marco Zardinoni, titolare della Fucina del Vetro a Murano. Già due anni fa Marco, marito di Arianna Fort Pevere (giusto per spiegare il legame con Santa Lucia), aveva fatto e donato le sedici lampade per la chiesetta al Colle: quelle che c’erano, erano state collocate durante il restauro, ma erano quasi

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tutte diverse tra loro (’na scarpa e un thocol) e perlopiù fatte a stampo. Ora sono in vetro soffiato e lavorato a mano secondo le antiche tecniche del vetro di Murano. Forse la gratitudine e l’entusiasmo avvertiti, hanno spinto Marco a voler ornare la chiesa parrocchiale, che è semplice e sobria, ma pur sempre desiderosa di arricchimento e di un tocco di rinnovamento. Il risultato è entusiasmante e un tripudio di luci, nel momento solenne delle celebrazioni, fa volgere in su gli occhi di tutti i fedeli presenti.


Reddi e famiglia.

Reddi Fort Salute festa per la pensione di Valerio Zambon Il nostro concittadino dardaghese Reddi Fort, classe 1958, radiotecnico diplomato nonché stimato corista della parrocchiale, a tutti noto per la sua disponibilità ad aiutare i compaesani a risolvere le piccole rogne tecniche quotidiane, dopo 40 anni di lavoro dipendente alla «De Pala», è andato in pensione. Si è colta l’occasione per festeggiare l’evento in una serata conviviale nel ristorante «Le Masiere», a cui hanno partecipato i colleghi di lavoro con le relative famiglie, unitamente ai titolari della nota azienda di valvole per riscaldamento De Pala s.r.l., ora a Roveredo in Piano, ma le cui origini sono squisitamente dardaghesi, anzi vaticane. Reddi, accompagnato dalla moglie, signora Oriella, e dai figli Diego e Mauro, è stato omaggiato dagli amici d’azienda con un simpatico «papiro» di tipo goIl festeggiato Reddi e gli amici di lavoro. Sopra, il papiro caricaturale.

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liardico con evidenziate le sue performances da supermetalmeccanico. L’azienda «De Pala», nella persona del suo presidente Valerio ing. Zambon, ha colto l’occasione per ringraziare il valido collaboratore Reddi per il lungo lavoro svolto assieme, dal 1978 al 2018, con un «Attestato di Merito» alla sua poliedrica competenza tecnica, spesa per lo sviluppo di nuovi prodotti che stanno avendo successo in Italia e in tutta Europa. Reddi continuerà come consulente esterno della De Pala per aiutare l’inserimento di chi ne dovrà raccogliere l’oneroso testimone aziendale. L’allegra serata, scandita dalle portate di un pregevole menù ben annaffiato dal prosecco delle Masiere, si è chiusa con la classica torta augurale di buona, lunga e serena anzianità della terza età «in salute».


TESTIMONIANZE

negli anni più belli, i giorni più tristi di Roberto Zambon

D urante la seconda guerra mondiale, la 22° Divisione

Dopo la fuga del re ed il disfacimento del nostro eserdi Fanteria era chiamata «Cacciatori delle Alpi». Tale cito – seguiti all’annuncio dell’armistizio dell’8 settemappellativo venne scelto in onore della brigata di volonbre 1943 – i Tedeschi catturarono, in Italia e sui fronti di tari, che partecipò, agli ordini di Giuseppe Garibaldi, alguerra all’estero, circa 650 mila soldati italiani che erala seconda guerra di indipendenza italiana (1859). no praticamente allo sbando. Nel 1941 la divisione fu inviata in Albania per contraPer Renzo, il 10 settembre 1943, incominciò la deporstare l’avanzata dell’esertazione verso Stablack, cito greco. nella Prussia Orientale1, dove arrivarono dopo 3 Partecipò a numerose e giorni. Renzo Padovese sanguinose battaglie, ocdiventò la matricola 29345 cupando varie importanti dello Stalag 1-A, un camposizioni come Mali Spapo di concentramento per darit e Bregu Gliulei. militari e sottufficiali. Nella 3ª Compagnia dei «Solo il ricordo delle per«Cacciatori delle Alpi» sone e cose care, e la operava anche il Sergente speranza nel domani, ci Maggiore Renzo Padovediede la forza di resistere, se di Concordia Sagittadi vivere. ria, padre della nostra Prigioniero. Negli anni più concittadina Lucia che ci belli, i giorni più tristi.» ha fornito la documentaQueste due righe illustrazione: per le operazioni no perfettamente il suo sul fronte Greco fu prestato d’animo e quello di miato con una Medaglia molti suoi commilitoni fatti di Bronzo al valor militare prigionieri. Non sapevano «coll’annesso soprassolnulla del loro destino, podo di Lire trecento». tevano solo aggrapparsi La motivazione che si legalla speranza. ge nell’attestato dell’onoNel gennaio 1945, l’Armarificenza, firmato dal MiniAutoritratto di Renzo Padovese. ta Rossa avanzava ormai stro della Difesa Pacciardi quasi senza resistenza verso ovest. nel giugno del 1951, è la seguente: «Comandante di Renzo scrive sui suoi appunti che il 23 gennaio, un squadra, nel corso di un attacco contro munite posimartedì, i prigionieri vennero incolonnati dai tedeschi zioni nemiche, benché gravemente ferito, persisteva per seguirne la ritirata verso Lötzen (l’attuale Giz̈ycko, nella sua azione di comando. Mentre veniva sostituito, città della Polonia nord orientale). Lui e un gruppo di si rammaricava di dover abbandonare il reparto e, al una decina di Italiani riuscirono a fuggire ed a nasconposto di medicazione, rifiutava il ricovero in luogo di dersi in una stalla. Il 29 gennaio vennero «liberati» dai cura insistendo per essere rinviato in linea. Quota 803 Russi e portati a Gumbinnen ai confini della Lituania Bregu Gliulei (fronte greco), 17 febbraio 1941». dove trovarono qualche centinaio di Italiani. Nei due anni successivi, 1942 e 1943, la divisione opeIl 14 ottobre, Renzo poté far ritorno al «caro nido» tra i rò tra Montenegro, Croazia e Slovenia dove fu impesuoi cari. gnata in diverse operazioni contro le locali formazioni partigiane. NOTE Durante il periodo militare, Renzo scrisse degli appun1. Stablack, nei pressi di Königsberg, città capoluogo della Prussia ti, elencandone i fatti più significativi. Orientale ora chiamata Kaliningrad (Exclave russa sul mar Baltico, tra Abbiamo potuto consultarne poche pagine dalle quali Polonia e Lituania). L’enorme campo di concentramento di Stablack si deduce che nel 1943 fu fatto prigioniero o – più prearrivò a contenere fino a 70.000 prigionieri. cisamente – internato militare, dai tedeschi. 32


[racconto]

Una serie di racconti e aneddoti in parlata locale, accaduti nei nostri paesi.

Continua la pubblicazione dei racconti in parlata budoiese

l’agna Cencia Pasquala e so fia Giona di Fernando Del Maschio

Qualche lettore giovane (ammesso che ce ne siano!) avrà osservato che nei dialoghi uso a volte un linguaggio diverso dal budoiese. Lo faccio per essere il più realista possibile. Infatti quanto ero giovane e prima ancora a Budoia era fiorente il trilinguismo, ovvero normalmente si parlava il nostro vernacolo; con le persone di riguardo o foresti, se erano del nord est, si parlava la coinè veneta; l’italiano si usava solo con meridionali (allora pochi) e a scuola. Personalmente ho conosciuto delle donne, anziane con poca o nessuna istruzione, mai mosse dal paese, che quando erano costrette a parlare in italiano usavano i verbi all’infinito perchè non sapevano coniugarli! Agli uomini andava meglio avendo quanto meno fatto il militare.

L’agna Cencia Pasquala l’era suor de me nono e la steva in tei cortif ’na che ades sta l’Antonieta milanese. L’era tant de glesia, anciamò pi de l’agna Giacoma Bravina. Via pal dì, là par chi ciamps o in tel’ort o a ciasa la feva dhut un patanostrà: el rosare intiero (150 avemarie), le thento rechie pai morth e altre devothions, dhut pastrociat sù in «latin», parchè ’na volta i pensava che el Padreterno el parlass in latin (no ston fasse pi de tanta maravea, anciamò adess i mussulmans i pensa che Allah el parle in arabo). L’agna Cencia, sicome l’era restada vedova bastantha prest, la veva un po’ de pura a dormì misola, cussì me pora mare (so netha), ’na canaiuta de sie-sete ains, la dheva a fai compagnia. La pithola l’era ancia contenta da sta co so agna, parchè de chela strada la thenava la sera e la feva marenda la matina e el magnà l’era sempre bondante. A ciasa soa invethe, co sete bocie che magnava e co de pi orfins de mare, l’era pi le sere che i dheva a dormì co fan de chele che i era sathi. L’agna Cencia no l’era ’na gran coga, ma menestra (in plen 33

plat!) de paste e patate conthadha col pest o fortaia co ’na part de salat o un toc de gial in umido o radicia co le frithe e ’na bela part de formai o altre e polenta bondante no manciava mai. El brut l’era de nuot. La vecia, come squasi duth chiei de la so età, la dormeva poc. L’era bona da sveiasse a un boto de nuot e «Dai Nina che dison un quart de rosare» El rosare ’na volta l’era tant pi lonc de adess e se chela pora fantolina la se pisolava la vecia i cridava parchè «No te à bastantha devothion !». ‘Na volta el nostre curato l’era dhut via par qualche dì e al so posto l’era vignut don Rodolfo Vettor, barba de Iacun nonthol e de la Neta Martina, e pi o manco de i stessi ains de l’agna Cencia. Profitant de la vecia conosentha, la va in canonica e i diss: «Don Rodolfo me falo el piasser de vignir a darme ’na benedission al biaver?» «Parchè po, Cencia?» «Parchè el se pien de sorsi» «Tote un bel giat, Cencia, che l’è meio!». La vecia l’è dudha a ciasa inrabiadha «Chel prete là l’è sempre stat un malsestat fin da dhovin. No l’à devothion!


La Giona Pasquala, fia de la Cencia e mare de Cide (clamat Paceli dai so amighi parchè el someava al Papa), no l’era ’na basabanchi come so mare ma supestithiosa fin che basta (come me pora nono!). Tra le tante ’na volta (e pi de qualche d’un ancia adess!) i credeva che se el prin de l’an te vigneva in ciasa ’na femena (ancia dhovenuta) par prima, l’an el sarave stat scalognat. Da pithol no sai par quanti ains soi dhut prima

de le sete de matina, ora de messa, a agurai el bon printhipio a la Giona che l’era anciamò sul liet. Ma mi ere propio adato, parchè ere mas’cio, prin de mare e ’nothente. La me dheva ancia bin, parchè ciapave ’na bela mancia sea da la Giona che da Gigi so on, ch’el me feva beve ancia el cafè co la graspa (i clamava cafè una missiantha de siala, forment e missela Leone). Un an veve un po’ de fievra e no ai podhut dhi e, varda

caso, a ciasa de la Giona no l’è dhut nessun. Verso sera so dhormana Nuta, che la steva in tel cortif par confin, l’à pensat: «Chissà quanti omis che i è beldà dhuth par de là. Speta che vadhe a dai un saludho». La bat la porta e pena che la Giona la veit che l’è lìena: «Elo dhornadha da dhi là par le ciase de la dhent ’na femenata uncuoi? Vargognete, che te ne à portat la scalogna par dhuta l’an!» E no i à pi parlat par no sai quant temp.

Storie, pacassàde, schèrthi, de Dardaĉ de ’na volta...

[racconto] i tass di Flavio Zambon Tarabìn Modola

Chi che pì dòvin de sigùr nô ’l sa come che ’l era fora pa’ Ciassivàl fin a ’na trentena de àni fa. Ciassivàl, par chi che nô i lo sa ’l è chela s˛ona ’na che se trova el thimitero, o ància clamàt al «Cianp de Frith», parchè i terens là tacàt i è de chela famea, ma sote e verso i cianpestrins i parons de chei locs i è de i Marins. Adess ’nte chei locs vedèit altre che prath e bars, ma fin a nô tant tenp fa là i Marins, Nato, Chile e altre, i aveva vit, cianps de blava e ància cualche ortesel, al terèn nô ’l è tant gras, ’l è plen da sass come dapardùt cà a Dardaĉ ma se la staiòn la deva via bin, cioè se ploveva d’istàt, i podeva fa ’n bon racolto.

’N te ’stì ultimi àni,chei poci contadins che ’l è restàt, i se lamenta parchè i sô cianps de blava i vin distruti da i cinghiai, difati ’l è ’n poci de àni che de’ste bestie avòn i boscs e ància la tavela plens,(tra l’altre i cinghiai nô ’l è selvagina nostra, pa’ vive i vol boscs pì grains de chei nostre, ma purtropo cualche brao cathador ’l à pensàt de semenain culchedhùn e adess i ne un grun) ma se i fa denuncia a la provincia, i contadins, i ciapa cualche franco 34

de risarcimento. Vuialtre disareit ma che cèntrelo chisto co’ i cianps de i Marins in Ciassivàl? Al centra e come che ’l centra! Se adess avon i cinghiai che fa dani a le blave, tains àni fa ’l era i tass che i deva ’nte i cianps de blava a fa net, ’nte ’na not, difati i tass i vigneva fora da le sô tane de not, i era boni de fa, se magare i aveva ància fàn, un bel dàn ’n te un cianp de blava. Ma i dani che feva i tass, ’na volta, nô i li paiava nessun e alora i parons de


i cianps i se indegnava pa’ ciapà, co’ tramais, o fa s’cianpà ste bestie danose. Ma vignòn a la nostra storia, ve ài fat sta premessa de i cinghiai e de i tass, par rivà a dive che te la fin dei àni vinti de ’l secolo passat via in Ciassival ’l pora Andoleto Marin, che sarave stat ’l pare de Chile e ’l nono de Marino, ’l meteva senpre un bel cianp de blava, ma ogni àn ’l era costreto a fa calcossa contro ’sti tass, che de not i vigneva dhò da i coi e i deva, cuan che le panole de la blava le tacava a fa al garnèl, a magnàila. ’L era diversi metodi pa’ fali s’cianpa, therte volte bastava fa rumòr batendo de i bandons, o ància bastava dhì su e dhò pa’ i rivai e parlà forte, ma un metodo sigur ’l era chel de fa una-doe poiate e brusà dentro al foĉ coràn, la sputha che ’l coràn ’l feva nô i plaseva a ’stè bestie e i le feva s’scianpà. Riva che un dì de plena istàt de chei àni là, Andoleto parlando, fora de le porte, co’ Paol Tavan i dis che chela sera ’l sarave dut a fa s’cianpà i tass parchè i era drio a magnai la blava; ma intant chel parlava cuatro-thincue canaiath, fra chisti ància Chile,sô fiol, i aveva sentut dut. Che pensèli da fa alora ’sti dovenath? I se met dacordo da dhì, cuan che sarà not fonda, a fai un bel schertho a Andoleto e a la Gigia sô fèmena. Passa le ore, la dhent la feva fadia a ciapà siòn parchè ’l era cialt, vin le diese, le undese, e Andoleto e la Gigia, bel belo i se invia co’ un manole de sorgial, cualche toĉ de coràn e i fuminanti, verso Ciassival. Ma drio de lor cuaci, cuaci, se à inviat ància chei canais che i aveva deciso de dhì a fali danà. Andoleto e sô femena i riva tel cianp e suito i inpia doe poiate e i taca a brusà coran, dal foĉ se leva un funĉ da s’ciafoiase ma ància ’na sputha da dhì in fastide, Andoleto ’l era content parchè cussì, ’l pensava, che i tass se

i era tel cianp i sarave s’cianpath e se i era drio vigne dhà da i coi i sarave tornadi indrio. Ma nô ’l aveva fat i conth co’ chei dovins, sti cà a doi a doi, i era in sie, i era duth drento ’nte la blava e i veva tacàt a move le gianbe de ’l sartuĉ, ància a screvale, e a fa ’n fracàs de ’l demonio, su ’l prin momento Andoleto ’l era restàt a bocia verta parchè nô’l capeva come mai, nonostante al fun e la sputha i tass i fes cussì rumor e i magnasselo la blava, parchè lui ’l credeva che chel che ’l senteva fos i tass a falo. Alora i diseva a la Gigia «Foĉ, coràn, pì foĉ, pì coràn. Ma cuanti i ’n elo Maria Vergine cà ’l è duth i tass de Dardaĉ, svelta Gigia, thia, bati i bandons, fa foĉ». Insoma nô’l saveva pì che fa, ’l coreva avanti e indrio pa’ i rivai al thiava al rideva e ància al plandeva. La Gigia la thercava de calmalo, e intant la se rebaltava parchè le cotole i la ingianberava. E intant i fantath i feva pì rumor che i podeva, anthi i feva ància cualche sest, i imitava adiritura ’l verso de ’l porthit e de i bò, i coreva drento ’l cianp de blava come le saete e fora Andoleto al se scalmanava tant che a un therto momento ’l se à stravoldut ’nte l’erba e erelo pa’ la paura, pa’ la rabia o l’emothion, che nò ’l se levava pì in piè. Alora la Gigia, tel scur, vedendo al sô òn in chele condithions la tacàt a thià che ’l moreva, i canais alora i à ciapàt pura e de svincia i è duth fora da ’l cianp de blava e tel scur i e duth, ognun, a ciasa sôa. Chile naturalmente ’l è tornat a ciasa e ’l è dut a dormì o a fa fenta de dormì, intant via a Ciassival al tenporal ’l era finìt, Andoleto al diseva «Eli duth via, Maria Santissima che pura, chisà come che i ha ridoto la blava, Gigia vignaròn doman a vede adess dòn a ciasa che nô in poi pì». I era rivath in via Castelo che ’l era miedhanot passada ma ’l era anciamò cualchedhun sentat fora ’nte i paraciars, pa’ via de ’l cialt

nô i podeva dormì, e alora Andoleto ’l à contàt la sô aventura e chi che scoltava i se era inpèressionath, ància parchè Andoleto nò ’l era òn da contà bale. Rivath a ciasa, brontolant e sacramentant, Andoleto e la Gigia e aveva sveiat ància i sô fioi e ància a lor, i aveva contàt chel che i aveva sucedùt. Chile che naturalmente al saveva dut, ’l à fat fenta de meravease e ància al consolava sô pare e ’l se à vardàt bìn da dise calcossa, cussì come ’l dì dopo chei altre dovins, parchè se i avess parlat i le avarave ciapade pa’ avè spavit cussì tant sia Andoleto che la Gigia. Dut ’l è finìt là, e ’l dì dopo, co’ ’l ciaro, la prima roba che ’l à fat Andoleto ’l è stat chela de dhì a vede al sô cianp de blava, e, co’ sô gran meravea ’l à vedùt, sì cualche gianba de blava rota, ma al pensava de avè avùt pì dani: tant che ì à vignùt un dubio che dut chel rumor dut chel casin i se lo fos insumiat. Dut content ’l è tornat a ciàsa, disent un pater ave gloria, rasigurànt la Gigia su ’l bon stato de ’l sartuĉ. Dopo tains àni sti canais, deventadi grains, i à avut al coraio de disi a Andoleto che chela volta nô ’l era stat i tass a fai ciapà pura, ma i era stadi lor, Andoleto sul momento ’l se à fat pensieroso e dopo fesent ’na bela ridada i li à invidath duth a beve un tai, a la sô salute, là de Vecina.


Davide Del Maschio un breve ricordo «Biondo era e bello e di gentile aspetto». Questo verso del sommo poeta mi viene in mente quando penso a Davide Del Maschio (Mos’cion). Ci è mancato da poco all’età di 37 anni, improvvisamente, lasciando nel più profondo dolore l’amata moglie Daniela, il figlioletto adorato Simone, i genitori, il fratello, i suoceri e tutti parenti e amici. Davide aveva trascorso un’infanzia serena nella fattoria della famiglia. Con l’adolescenza sono cominciati i guai. A 15 anni fu colpito da una grave malattia, ma grazie alle precise e solerti cure del nostro CRO superò brillantemente la prova. Quando ormai era guarito, a 17 anni un incidente stradale lo mise di nuovo in pericolo di vita. Anche questa volta ce la fece senza danni. Continuò gli studi presso l’Istituto Agrario di Conegliano dove conseguì la laurea in Viticoltura ed Enologia con una tesi su un vino tradizionale della zona del Piave di recente valorizzato: il raboso. Ebbi la fortuna di assistere alla discussione della tesi e ai festeggiamenti

scherzosi dei suoi compagni. Lo vestirono da principe azzurro e con quella sua aria angelica stava proprio bene. Non stentò certo a trovare lavoro nella sua professione presso una rinomata cantina dove era benvoluto per le sue capacità e laboriosità. Dopo non molto si sposò ed ebbe la grande gioia della nascita di Simone, bel-

lo come lui. La vita trascorreva serena fra lavoro e doveri della famiglia. Le poche volte che ci incontravamo Davide era sempre sorridente e mi chiamava da lontano se non mi accorgevo di lui. Ma forse in Cielo c’era bisogno di un altro angelo… e Davide non è più con noi! Ma non è morto! Rivive nel suo adorato Simone. FERNANDO DEL MASCHIO

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treremo più lungo le strade di Dardago il tuo ricordo resterà immutato nel cuore di chi ti ha amato, stimato, ben voluto e con te ha condiviso l’infanzia, la scuola, l’adolescenza… la vita. I COSCRITTI DEL 1945

Arturo Egidio Zambon Arturo Egidio Zambon, nato a Milano il 10 novembre 1938 da Francesco Zambon (Checco Tarabin) e Amelia Basso, laureato in ingegneria elettronica e delle assicurazioni – ha lavorato per aziende importanti come Impregilo e Ansaldo spesso anche all’estero – e sposato con Angela Bestetti di Milano con cui ha avuto cinque figli e sette nipoti, dopo una vita piena, con grande serenità e mitezza è salito al Cielo il 12 settembre scorso a Milano.

Così ha voluto salutarlo il figlio Giovanni al termine del funerale: «Non posso non ringraziarti, papà, per quello che ci hai lasciato. Per primo, la cosa più importante: la nostra grande e bella famiglia. Ci hai educato al valore della famiglia, cosa rara di questi giorni. Poi l’amore e la passione per il lavoro, a partire dai compiti delle elementari che ci aiutavi a svolgere, fino ai consigli sul lavoro che sicuramente hanno contribuito ad essere quello che sono io e tutti noi, fratelli e nipoti. Poi la passione per la bellezza della

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natura e in particolare della montagna, segno indelebile che ci portiamo dentro e che ci fa apprezzare il bello ovunque. In ultimo, grazie per la semplicità che hai avuto nell’accettare la malattia e quello che ti stava accedendo, tu ingegnere, a volte anche burbero, sembravi un bimbo che si affida con tenerezza e fiducia. Adesso, allora, non possiamo che chiederti di aiutarci ad essere anche noi un po’ così come sei stato tu in tutta la tua vita e soprattutto negli ultimi giorni». MARIAGRAZIA

l’Artugna porge le più sentite condoglianze ai famigliari

Ciao, Claudio! La notizia della tua scomparsa ha lasciato tutta la Comunità profondamente addolorata. Te ne sei andato in silenzio, come per non volerci disturbare, e noi… in silenzio vogliamo ricordarti. Ci mancherai. Ci mancherà il tuo buon umore, il tuo ottimismo, la tua battuta sempre pronta, la tua serenità. Hai amato il tuo lavoro con il quale ti sei fatto apprezzare come persona attenta e scrupolosa. Hai amato i boschi e le montagne. Anche se ora non ci incon-

Lasciano un grande vuoto...

Claudio Puppin


Sergio Carlon Cech Emigrato in Svizzera alla fine degli anni Settanta con Budoia sempre nel cuore, Sergio Carlon Cech ci ha lasciato il 17 settembre 2018. Lo ricordano i parenti e gli amici.

Vincenza Carlon Cara nonna, improvvisamente ci hai lasciati a pochi giorni del tuo novantaseiesimo compleanno che ci stavamo preparando a festeggiare. In una fredda mattina di novembre, sei stata colpita da un malore che tre giorni dopo avrebbe chiuso per sempre la tua vita terrena. Nessuno lo avrebbe immaginato, anzi eravamo tutti convinti che saresti arrivata a soffiare le 100 candeline con la forza e la lucidità che è sempre stata un tuo segno distintivo, nonostante il tuo aspetto minuto e la tua apparente fragilità. Ma le cose sono andate diversamente. Non hai sofferto e per questo la tua è stata definita da molti la morte dei giusti. Te ne sei andata in punta di piedi senza disturbare, così com’era il tuo stile di vita, amorevolmente assistita dai tuoi cari. Sei sempre stata attiva, presente, autonoma, vigile e curata nella persona fino all’ultimo momento. La tua vita è stata la vita delle mamme e delle nonne di un’epoca passata, un’epoca carica di sacrifici, di fatiche, di dolori e passioni, segnata dalla guerra e da tutti i dolori conseguenti. Ma anche un’epoca di valori, di ideali, di speranze, di rispetto degli altri e delle istituzioni, di un grande senso della famiglia con l’obiettivo di mantenerne l’armonia, l’unità e l’integrità. Hai provato il dolore e le paure legate all’atrocità della guerra, con il nonno Angelo al fronte e due fratelli dispersi in Russia che hai atteso invano con i tuoi genitori, tuo fratello e le tue sorelle.

Nonostante il passare degli anni questa è sempre stata una ferita aperta, ma non hai mai esitato a raccontarci di quel periodo quando te lo chiedevamo e si percepiva come le emozioni fossero ancora ben vive dentro di te, come se fossero successe di recente. Ti sei sposata giovane e subito dopo la guerra sei diventata una delle tante mogli che avevano i lori mariti in giro per il mondo in cerca di fortuna per aiutare le loro famiglie. Tu, per tua scelta, sei rimasta con i tuoi due figli a Dardago, nella tua Terra, per stare vicino ai tuoi genitori e continuare a gestire assieme alla nonna Mariuta la piccola azienda agricola. Avevi una fede incrollabile che ti ha visto attiva nelle vita della Parrocchia e del Coro e frequentare la Chiesa fino all’ultima domenica, quando con il tuo passo spedito sei andata alla celebrazione della festa della Madonna della 38

Salute lì, nel tuo solito banco vicino alla Madonna. Per noi nipoti avevi un’attenzione e un amore grandissimo, chiedevi sempre di noi, quando ci vedevi li tuo volto si illuminava, ma non mancavi mai di farci il terzo grado, volevi sapere tutto, volevi sempre essere informata e una osservazione o raccomandazione non mancavano mai. Ma la tua grande gioia erano i tuoi tre pronipoti che tu chiamavi «i me canais». Il tuo amore era da loro ampiamente ricambiato e la prima persona ad essere salutata eri sempre tu. Ti davano un bacio e tu ricambiavi sempre con gioia. Nonna , grazie del tuo esempio di vita, dei tuoi insegnamenti , ma grazie soprattutto del bene che ci hai voluto. Ora sei lì accanto al nonno che tanto hai amato. Riposa in pace, nella pace dei buoni e dei giusti... non ti dimenticheremo. I TUOI NIPOTI E PRONIPOTI


’n te la vetrina

UN ACCORATO APPELLO AI LETTORI Se desiderate far pubblicare foto a voi care ed interessanti per le nostre comunità e per i lettori, la redazione de l’Artugna chiede la vostra collaborazione. Accompagnate le foto con una didascalia corredata di nomi, cognomi e soprannomi delle persone ritratte. Se poi conoscete anche l’anno, il luogo e l’occasione tanto meglio. Così facendo aiuterete a svolgere nella maniera più corretta il servizio sociale che il giornale desidera perseguire. In mancanza di tali informazioni la redazione non riterrà possibile la pubblicazione delle foto.

Dardago. Una famiglia stava per nascere. Scattata in uno studio veneziano, nel giugno del 1907, la foto ritrae gli allora fidanzati Anna Parmesan Danùt (30 dicembre 1884) e Sante Janna Tavàn (3 luglio 1883). Don Romano Zambon li unirà in matrimonio l’anno successivo, il 18 gennaio del 1908.

Dardago, anno scolastico 1959-1960, classi 4a e 5a elementare. Accosciati da sinistra: Alfredo Lachin Stort, Valentino Zambon Ite e Maurizio Grassi. Prima fila da sinistra: Elsa Carlon Salute-Scopio, Narcisa Janna Tavan, Gabriella Donadel, Valeria Bocùs Frith, Bruna Bocùs Frith e maestro Vincenzo Besa. Seconda fila da sinistra: maestro Umberto Sanson, Mario Zambon Vialmin, Flavio Zambon Tarabin-Modola, Irma Zambon Pinal, Nadia Dall’Arche, Dina Zambon Pinal. Terza fila da sinistra: Enrico Zambon Sclofa, Giuseppe Zambon Tarabin, Antonino Zambon Thuciat (de Theco), Marco (Renzo) Tarabin-Tunio, Roberto Zambon Momoleti, Santina Zambon Luthol, Angela Zambon Pinal, Daniela Bocùs De la Rossa, Cecilia Busetti Caporal, Liliana Bocùs Frith, ed Elide Rigo Moreal. Quarta fila da sinistra: Franco Zambon Momoleti, seminascosto Roger Dall’Arche, Gianni Zambon Rosìt, Loredana Bocùs Frith, Marisa Pian, Beatrice Janna Cianpaner, Teresa Zambon Biso e Fioralba Vettor Cariola. Quinta fila: Luigi Zambon Marin e Paolo Zambon Pala. (foto di Gabriella Donadel Mugnèc e testo di Flavio Zambon Tarabìn Modola)

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CRONACA

al vertice dell’Unicef regionale Da molti decenni impegnata nell’Unicef prima come volontaria e poi segretaria provinciale, da alcuni mesi la nostra concittadina, Lauretta Carlon, guida il Comitato regionale dell’associazione. Distintasi per le sue capacità di promozione dei diritti per l’infanzia e dell’adolescenza, Lauretta, in veste di segretaria del Comitato provinciale, partecipò alcuni anni fa alla commissione per la verifica dei progetti dell’Unicef di lotta alla mortalità materna ed infantile e di prevenzione delle gravidanze precoci, in Sierra Leone, insieme a rappresentanti nazionali.

Cronaca Dhon a teatre Fa piacere che il teatro di Dardago venga utilizzato: incontri, riunioni, conferenze, scuola di musica e spettacoli teatrali usufruiscono della struttura creata un secolo fa dai nostri vecchi e «ricreata» nel 2004 dalla amministrazione comunale dopo il crollo del tetto di due anni prima. Recentemente, il Piccolo Teatro Città di Sacile – per l’anteprima della Stagione 2018-19 – ha presentato lo spettacolo teatrale «Novecento: la leggenda del pianista sull’oceano» tratto dal monologo teatrale Novecento di Alessandro Baricco che ispirò anche il famoso film di Giuseppe Tornatore.

Lauretta, in Sierra Leone, la prima a sinistra (foto sopra) e al centro (foto sotto).

La neo presidente avrà il compito di coordinare interessanti iniziative nei quattro Comitati provinciali relative ai progetti «Città amici dei bambini, Ospedali amici dei bambini, Sport amici dei bambini, Scuole amici dei bambini». Congratulazioni e buon lavoro per il tuo impegnativo incarico, Lauretta!

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Nei mesi autunnali e invernali, la sala ospita la rassegna «Tutti i colori del teatro» organizzata da «Odeia». In novembre il famoso duo «I Papu» hanno presentato «Mirabilia: il viaggio del Beato Odorico 1318-2018» e in dicembre il quartetto «Manouche Glacès» ha tenuto un concerto. Prossimamente potremo assistere a «La bambina di carta» di Flavio Marigluiani (19 gennaio), «Ho sognato la Piaff» di Elisa Santarossa (1 febbraio) e «Spazio-Teatro-Danza» (24 febbraio).


Maggiori informazioni: Odeia (0434 1697047/ info@odeia.org) – Prevendita biglietti: Merceria Marilù – Budoia.

San Martin Anche se con un po’ di trepidazione per il tempo incerto, è stata mantenuta la tradizione della Messa pomeridiana nella chiesetta di San Martin. Quest’anno l’11 novembre cadeva di domenica e sarebbe stato un «peccato» doverci rinunciare. Molti i fedeli arrivati dai nostri paesi e bravi anche i bambini del catechismo che hanno allietato la Messa con i loro canti. Non abbiamo neanche rinunciato alla castagnata che, per non sfidare troppo «Giove pluvio», era stata preparata nelle scuole di Dardago. Grazie ai numerosi collaboratori.

Alcune fasi dei giochi popolari del Dardagosto 2018.

Giochi semplici, coinvolgenti che restano nella memoria dei bambini e che fanno passare un paio d’ore spensierate anche a chi bambino non lo è più. Molti, infatti, i genitori presenti che, da piccoli, hanno partecipato ai giochi!

Risi, frico e cao muss I giochi del Dardagosto Una tradizione ormai consolidata dei festeggiamenti del Dardagosto sono i giochi popolari per i bambini. Una tradizione che, nelle veste attuale, risale agli anni ’80. Si svolgono nel cortile delle ex scuole elementari di Dardago nel pomeriggio del 15 agosto. Molti i bambini, accompagnati da genitori e nonni, che partecipano entusiasti alle gare. Corsa con i sacchi, con la pallina di ping pong, il riempi bottiglie, la mela nel mastello, l’anguria sono le gare che li vedono coinvolti. Al termine, una bella forma di formaggio è il premio per chi, tra gli spettatori, ne indovina il peso. Fino a qualche anno fa c’erano anche la rottura delle pignatte, la chioccia, la corsa con le tavolette e tante altre. Tornando più indietro con il tempo, negli anni ’60, i pomeriggi della «sagra» erano caratterizzati dalla cuccagna, dalla corsa con gli asini, dal tiro alla fune….

Nel pomeriggio di sabato 13 ottobre alla presenza del sindaco Roberto De Marchi, rappresentanti dell’Amministrazione Comunale e Volontari del Ruial è inaugurata presso l’edificio delle ex scuole elementari la «cucina sociale». Tutto è pronto per domenica 14 quando il paese ospita la 4a manifestazione Dardago fior di zafferano

e riceve le centinaia di persone provenienti da diverse parti del Friuli e del vicino Veneto. Sin dalle prime ore del mattino la piazza del paese è un brulichio di persone intente a montare i banchi di vendita su cui disporre i propri prodotti agroalimentari. Le navette iniziano i primi viaggi, dalla «Riva de Capelàn» agli zafferaneti della Cooperativa Cial de Mulin, dove alcuni tecnici spiegano il ciclo biologico del crocus. A metà mattina in Teatro si apre il 3° Convegno di studio. I convenuti ricevono dai relatori notizie tecnico-storiche sullo zafferano. In attesa del pranzo c’è invece chi ha preferito salire lungo il percorso del Ruial sino alla chiesetta di San Tomè aperta per l’occasione. Alle 12.30 la cucina è presa d’as-

La nostra stathion in pithol

Interessante la mostra di modellismo di treni e di stazioni ferroviarie, curata da Claudio Sottile, in occasione della «Festa dei funghi e dell’ambiente». L’esposizione è stata visitata da centinaia e centinaia di persone. Nella foto la riproduzione della nostra stazione ferroviaria, da un anno nuovamente funzionante.


salto. Lo stand enogastronomico sforna portate a base di zafferano. Oltre al risotto e al mega frico allo zafferano è proposto con successo, il nostro piatto tipico il «cao muss» rivisitato in «giallo». Nel pomeriggio il quartetto d’archi «Acanthus» di Castelfranco Veneto allieta i presenti con musiche di Vivaldi, Mozart e ballate irlandesi. La giornata piano piano volge a sera. Alcuni ospiti sostano ancora per gli ultimi acquisti al mercatino prima della chiusura. Dardago ringrazia tutti: gli ospiti, il Comitato del Ruial, la Cooperativa Cial de Mulin, le varie Associazioni che hanno aiutato e tutti coloro che a vario titolo hanno prestato la loro opera per la riuscita dell’evento. Al termine dei lavori, fatte le somme e detratte le spese, il Consiglio Direttivo del Comitato del Ruial ha deciso che il 50% dell’attivo, pari a 1.050 euro, sarà accantonato e reso disponibile per l’acquisto di materiali (vetrine, espositori ed altro) necessari a realizzare il progetto della Mostra permanente d’Arte Sacra della parrocchia di Dardago.

80 anni ben portati

Domenica 19 agosto, i coscritti del comune di Budoia della classe 1938 hanno festeggiato il raggiungimento degli 80 anni. Eccoli in posa e soddisfatti, dopo la Santa Messa di ringraziamento, celebrata dal parroco don Maurizio nella chiesa di Budoia.

Coscritti del ’48

«E sto an... ne fon 70». Questo l’invito ufficiale dell’amico Andrea, instancabile organizzatore, per ritrovarci anche quest’anno a festeggiare questo traguardo. C’è chi arriva da Dardago, Budoia, Santa Lucia, chi da Milano e chi da Londra e così magicamente il gruppo si ricompatta. La sera del giorno di sant’Ambrogio, da «Berta» in località Villotte di San Quirino, tra ricordi, risate, portate, brindisi augurali le ore trascorrono veloci in allegra compagnia. A tutti un «Arrivederci al prossimo anno».

Colletta Alimentare In tutta Italia, sabato 24 novembre, la ventiduesima Giornata Nazionale della Colletta Alimentare ha proposto nuovamente un gesto corale di responsabilità. Organizzata dalla Fondazione Banco Alimenta-

Coscritti del ’49

Un momento della giornata dedicata alla solidarietà verso i nostri fratelli più bisognosi.

Già da nove anni il gruppo dei nati nel 1949 si riunisce nel mese di dicembre per festeggiare il compleanno e ricordare i coscritti scomparsi. Quest’anno, dopo la cerimonia religiosa, l’incontro conviviale è avvenuto in Val de Croda, al «Belvedere». Un ringraziamento va agli organizzatori, Gianni e Franco.

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re Onlus in circa 13.000 supermercati, centocinquantamila volontari hanno raccolto diverse tonnellate di prodotti equivalenti a 16,7 milioni di pasti. Anche i nostri paesi fanno contribuito a questo risultato: presso il supermercato Visotto di Budoia, i volontari, coordinati dal gruppo Alpini di Budoia, hanno raccolto 16,2 quintali di derrate alimentari. Grazie a tutti i donatori e al personale addetto.

«Come eravamo» A seguito del buon successo riscontrato dalla mostra dell’anno scorso di opere di pittori locali, l’Associazione «Riva de Messa» ha organizzato quest’anno, sempre presso le ex scuole elementari di

Nel ricordo di Claudio Scimone La storia recente del Concorso internazionale Piano FVG si intreccia artisticamente e umanamente a un grandissimo della musica mondiale come il Maestro Claudio Scimone, storico fondatore de «I Solisti Veneti», scomparso di recente. La nostra comune passione ci ha molto uniti sul piano artistico: oltre ai suoi preziosi consigli e al costante confronto sui giovani talenti del pianismo mondiale, quello che più mi ha onorato è stata la sua sincera amicizia. Un sodalizio che ha generato grandi eventi, come la memorabile produzione del 2017 al Teatro Zancanaro di Sacile: un concerto di risonanza internazionale, rimasto nella storia musicale del nostro territorio. Sara Zeneli, giovane e straordinaria allieva di Salvatore Accardo presso l’Accademia internazionale Stauffer di Cremona, Dmitry Shishkin, fenomeno del pianismo mondiale, già vincitore di Piano FVG e Gabriele Cassone alla Tromba si esibirono con «I Solisti Veneti» in un concerto che il Maestro Scimone definì «un’esecuzione perfetta». Grazie Maestro. DAVIDE FREGONA

Santa Lucia, una mostra fotografica che ripercorre il passato del paese di Santa Lucia attraverso una storia per immagini intitolata «Come eravamo». I temi sono vari e spaziano dalla storia, alle famiglie, ai soprannomi, ai mestieri, alle guerre del ’900, all’emigrazione, alla scuola ed altri. La mostra vuole essere un momento di unione e di aggregazione. È un’occasione interessante per rivedere tutto ciò che è stata la storia del paese negli ultimi 100 anni e per riflettere sui cambiamenti avvenuti nel nostro territorio. La mostra rimarrà aperta dal 15 dicembre 2018 al 6 gennaio 2019.

Al termine del Concerto per due pianoforti e orchestra in Mi bemolle maggiore K 365 di W. A. Mozart eseguito da «I Solisti Veneti». Da sinistra, i pianisti Lorenzo Cossi e Renata Benvegnù, il maestro Claudio Scimone e Davide Fregona.

Scaie d’epoca romana Come già annunciato lo scorso numero, a settembre si sono svolti gli scavi archeologici in località Ronthadel, condotti dalla Sovraintendenza regionale rappresentata dall’archeologo dott. Gianfranco Valle, con la collaborazione del GR.A.PO, Gruppo Archeologico di Polcenigo. Nell’area interessata sono state tracciate alcune trincee di scavo per verificare l’ipotesi della presenza di una villa rustica romana. Da una conversazione con il responsabile e gli altri addetti si ha la conferma della veridicità dell’ipotesi con il rinvenimento di resti anche murari. Ci auguriamo di poter ospitare nelle nostre pagine un articolo dell’archeologo responsabile, con la collaborazione del prof. Mario Cosmo e del dott. Luigi Vatta del GR.A.PO.

bon termine e bon principio DOMENICA 6 GENNAIO 2019_ORE 17.00 Chiesa Parrocchiale di Santa Lucia

Insieme Vocale Elastico Concerto per soli coro, organo, clarinetto e tromba Brani di R. Hazon, F. Mendelssohn, G. Rossini, R. Shaw, G. Verdi e dalla letteratura natalizia

I N G R E S S O

MARIO BOLZAN

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L I B E R O

7a edizione


Auguri dalla Redazione!

inno alla vita

Il 22 luglio ci siamo riuniti con i nostri cari per festeggiare il 50° anniversario di matrimonio. Abbiamo voluto dedicare un pensiero a l’Artugna che, da sempre, ci parla di luoghi a noi cari e tiene vivo il legame con il nostro paese. ROSELLA DEDOR E SANDRO FONTANA

Con grande gioia mamma Martina Zambon e papà Marco Zuzzi, annunciano la nascita del loro piccolo Filippo avvenuta il 31 gennaio scorso. La famiglia Zambon Marin, di Pietro, ringrazia l’affezionata rivista per aver onorato questo lieto evento! Nella foto, Filippo nel giorno del suo Battesimo.

Alice è fiera di presentarvi il suo fratellino Thomas, nato a Grasse il 21 settembre 2018. Con la mamma Michela Carlon e il papà Riccardo Fabbris vivono in Francia.

Felicitazioni ed auguri agli sposi Raffaella Del Maschio ed Edoardo Perco, che hanno celebrato il loro matrimonio il 15 settembre 2018, nella Chiesa di San Floriano e Maria Ausiliatrice in San Floriano Del Collio (Go).

Il 7 settembre 2018, presso la chiesa Santo Spirito in Sassia a Roma, Davide Fabbro e Roberta Todaro si sono uniti in matrimonio, circondati dall’affetto di genitori, parenti ed amici, in una splendida cornice romana. Auguriamo a questa nuova coppia di sposi un futuro meraviglioso e pieno d’amore. LAURA E MONICA

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I ne à scrit...

Alla Redazione, invio per abbonamento al periodico l’Artugna. Cari saluti a tutti. CARLA DEL MASCHIO

Alla Redazione, per abbonamento alla rivista. Cari saluti. ANGELINA DEL MASCHIO

Roma, 29 ottobre 2018

Spettabile Artugna, a settembre,in vacanza a Vienna mi sono trovata a percorrere una via del centro della città dedicata al Beato Padre Marco d’Aviano il nostro conterraneo frate cappuccino che nel 1883 riuscì a creare un’alleanza tra alcuni stati europei al fine di fermare l’avanzata ottomana ormai giunta alle porte di Vienna. È stata una piacevole sorpresa che mi ha fatto provare un sentimento di orgoglio anche pensando che senza di lui forse l’Europa avrebbe avuto un fosco destino. Il giorno successivo ho sostato in un bar per bere un cappuccino ricordando che Padre Marco è ritenuto l’inventore della famosa bevanda che delizia la colazione di molti di noi. Volevo condividere con Voi questa mia piacevole scoperta.

direzione.artugna@gmail.com

novembre 1631 e venne battezzato, lo stesso giorno, nella parrocchiale di Aviano. Qualche anno più tardi, il giovane Carlo Domenico, ricevette il Sacramento della Cresima: suo padrino fu Fiorentino Fiorentini, avianese, pievano di Dardago dal 1628 al 1673.

Munsingen Berna, 25 ottobre 2018

Un cordiale ringraziamento alle sorelle Carla e Angelina Del Maschio che apprezzano l’Artugna e la sostengono generosamente. Un abbraccio da tutti noi.

l’Artugna · Via della Chiesa, 1 33070 Dardago (Pn)

Gentile Emanuela, grazie per averci inviato la foto scattata in «Marco d’Aviano Gasse» a Vienna. Il Beato Padre Marco è molto venerato dagli Austriaci e la sua tomba è meta di continue visite. Si narra che l’imperatore Leopoldo I fosse al suo capezzale quando egli morì il 13 maggio 1699. Con solenni funerali fu sepolto nella cripta dei Cappuccini di Vienna, dove riposano anche gli imperatori asburgici e i loro famigliari. La cripta si trova a 100 metri dal luogo in cui è stata scattata la fotografia. Padre Marco (al secolo Carlo Domenico Cristofori) nacque a Somprado, un borgo di Aviano, il 17

*** Un piccolo fatto accaduto ad Aviano testimonia la venerazione degli Austriaci per il Beato. Nel 1918 le nostre terre erano sotto il giogo dell’occupazione austriaca. Il giovane Imperatore Carlo I d’Asburgo, figlio di Francesco Giuseppe, di passaggio per le nostre terre in una delle sue visite alle truppe, il 2 febbraio volle recarsi nella chiesa di Aviano per pregare presso il battistero dove fu battezzato il piccolo destinato a segnare la storia dell’Austria e dell’Europa.

Traunstein (Germania), 15 novembre 2018

Grazie per l’Artugna che riceviamo con piacere. FAMIGLIA REFFO FORT

Un ringraziamento a voi per la generosa offerta.

[...dai conti correnti ] Questo è il mio contributo per l’Artugna. Saluti a tutti! ENRICO SPINA – CANADA

In memoria della mamma Irma Bianchi Zambon. CRISTINA ZAMBON – CUSAGO (MI)

Per l’Artugna: continuiamo a leggerla volentieri. FRANCA BARATELLA – TORINO

EMANUELA FORT

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[ recensione]

MIRKO CAMPINI Mirko Campini è nato a Milano. È legato a Dardago per le origini dardaghesi della mamma Maria Augusta e di entrambi i nonni materni, Eugenio Zambon Pinal e Luigia Bocus Frith. Ha lavorato nei servizi pubblici dell’ambito Socio Sanitario. Attualmente è educatore professionale della A.S.S.T di Vimercate presso il Centro diurno disabili «Terra di Mezzo di Usmate», coordinatore progetti per il tempo libero dell’Associazione «Noi Per Loro di Lissone» e del progetto «Ancora Vita» per le persone in stato vegetativo della RSA Cerruti di Capriate. Il ricavato delle vendite di questo libro, che raccoglie due racconti, sarà destinato alle famiglie dei ragazzi del Centro diurno disabili «Terra di Mezzo» di Usmate, allo scopo di sostenere attività e progetti finalizzati al miglioramento della loro qualità di vita.

Non lo so io lo chiamo amore Un viaggio nei luoghi spesso dimenticati della quotidiana sofferenza. Una narrazione di giornate realmente vissute da chi per lavoro e per passione si trova ad affrontare il dramma di una condizione di disabilità arrivata fin da subito, oppure durante il corso della vita. Tre giorni, tre esperienze nel dolore. La signora con l’Alzheimer, i ragazzi con disturbi dello spettro autistico, le persone ricoverate in stato vegetativo. L’amore come filo invisibile che unisce ogni esperienza e che riesce a mettere in luce i dettagli più nascosti, valorizzandoli.

Auguri Buon Natale e felice 2019

Avevo un appuntamento con il pallonetto La passione per il calcio, i ricordi che affiorano e diventano storia di vita. Un racconto che comincia a girare come un satellite attorno al pallone, addentrandosi nelle pieghe del gesto atletico per poi allargare la propria orbita fino ad incontrare le memorie di un bambino e del suo cortile. Sullo sfondo la Milano operosa degli anni ’60 e una famiglia nata dall’amore «migrante» di Denso e Augusta. I sogni di un bambino che si legano ai rimbalzi di una palla e le attenzioni di un papà che di nascosto li sostiene. Poi l’adolescenza, il confronto con il mondo adulto e il divertimento che lascia il posto alla paura di sbagliare. *** Per informazioni e richiesta del libro tel. 329 7466905 oppure e-mail mirkocampini66@gmail.com

bilancio Situazione economica del periodico l’Artugna Periodico n. 144

entrate

Costo per la realizzazione

uscite 3.900,00

Spedizioni e varie

278,00

Entrate dal 16.07.2018 al 01.12.2018

4.133,00

Totale

4.133,00

4.178,00

Ringraziamo l’Amministrazione Comunale per il contributo annuale di 1.000 euro.

46

Presepio realizzato dalla Carpenteria Del Maschio di Budoia, presente alla «Rassegna dei Presepi» di Polcenigo.


programma religioso

o ag rd a D

Bu

ia do

cia Lu a nt Sa

LUNEDÌ 24 DICEMBRE 2018 • Santa Messa in nocte

24.00

22.00

22.00

MARTEDÌ 25 DICEMBRE 2018 SANTO NATALE • Santa Messa solenne

11.00

11.00

10.00

MERCOLEDÌ 26 DICEMBRE 2018 SANTO STEFANO • Santa Messa • Concerto del Collis Chorus

11.00 17.00

11.00

10.00

11.00

18.00

10.00

18.00

17.00

17.00

18.00

11.00

10.00

• Vespero Benedizione acqua, sale e frutta

17.00

17.00

• Santa Messa prefestiva Benedizione acqua, sale e frutta

18.00

DOMENICA 30 DICEMBRE 2018 • Sacra Famiglia di Gesù Maria e Giuseppe LUNEDÌ 31 DICEMBRE 2018 • Santa Messa e canto del Te Deum MARTEDÌ 1° GENNAIO 2019 SANTA MADRE DI DIO GIORNATA MONDIALE DELLA PACE • Santa Messa solenne e canto del Veni Creator SABATO 5 GENNAIO 2019 VIGILIA DELL’EPIFANIA

Nelle rispettive comunità la tradizionale accensione del panevin. DOMENICA 6 GENNAIO 2019 EPIFANIA DEL SIGNORE • Santa Messa solenne

11.00

A Dardago benedizione dei bambini, arrivo dei Magi, consegna calze con dolci

*

11.00

10.00

CONFESSIONI

Dardago Budoia Santa Lucia

lunedì 24 dicembre lunedì 24 dicembre lunedì 24 dicembre

dalle 15.00 alle 16.30 dalle 16.30 alle 18.00 dalle 18.00 alle 19.00


Un’alba «nuova», «diversa» saluti questo Natale. Non cerchiamo doni materiali ma chiediamo ciò di cui abbiamo più bisogno: serenità, armonia, pace. Il Bambin Gesù nato povero tra i poveri ci trasmetta la letizia della semplicità, la fratellanza, un cuore che sappia ascoltare la moltitudine degli sfiduciati. Abbiamo bisogno di capacità di ascoltare e di comprensione.

❖ La statua del Bambin Gesù che ogni Natale i dardaghesi vedono deposta ai piedi dell’altare era bisognosa di restauro. La stessa che nella notte del 24 dicembre 2015, grazie all’amico e compaesano Luca Polesel, ci ha fatto rivivere il suggestivo rito della discesa di Gesù Bambino dalla cella campanaria verso il sagrato. Diverse particelle di colore dell’incarnato si erano staccate, il panneggio aveva perso l’originaria freschezza così pure l’aspetto generale del viso. La statua è stata affidata alle cure della nostra compaesana Maria Assunta Gambarini, alla sua sensibilità e capacità affinché con arte potesse restaurarla ridonando così nuova luce al sorriso del Bambinello. Maria Assunta non è nuova a questo tipo di collaborazione sia in parrocchia che in paese. La nostra comunità, infatti, le è riconoscente per i suoi diversi interventi. Dalla statua in legno della Madonna del Brait (2004) ora esposta in cappella a quella in gesso proveniente da Iasi in Romania (2007) collocata all’interno del cimitero di Dardago. Dalle statue del Sacro Cuore e dei santi Giuseppe, Luigi e Antonio (2015) della parrocchiale a quella di sant’Antonio in via Rui de Col (2015) nell’omonimo capitello. Una serie di restauri che arricchisce e conserva il nostro patrimonio religioso.

Maria Assunta (Mary) Gambarini è una pittrice originaria di Dardago. Inizia giovanissima, a Milano, a dipingere maturando poi nel tempo la sua formazione professionale. Nel maggio del 1978 entra a far parte del «Gruppo Artistico Mediolanum» dove ben presto si fa notare per le sue qualità espressive. Con il Gruppo milanese, nello stesso anno, partecipa alla sua prima mostra collettiva nella città di Monza. Da allora «Mary» ha esposto con successo presso: Biblioteca comunale di Milano; Rassegna Arti Figurative di Milano; Galleria di corso Vittorio Emanuele II (miniquadro) di Milano; Premio «Simpatia» di Sesto San Giovanni di Milano; Comune di Vescovato, Cremona; Galleria Esmeralda di Sant’Angelo Lodigiano, Milano; Circolo Ambrosiano «Meneghin e Cecca» di Milano; Galleria «Eustachi», Milano; Premio «naifs» di Monluè; Concorso Internazionale «Durer»; Rassegna Arti Figurative (Museo della Scienza e della Tecnica); Palazzo del Turismo, Milano.


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