La Madia Travelfood n. 358 - Novembre/Dicembre 2022

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LA MADIA EDITORE www.lamadia.com ANNO XXXVIII Novembre/Dicembre 2022 - N. 358 - € 6,00 Direttore ELSA MAZZOLINI AB IL LUSSO DELLA SEMPLICITÀ Il nuovo locale di Alessandro Borghese A VENEZIA hotel Posta Marcucci La casa toscana di Michil Costa e la cucina d’amore di Matteo Antoniello A BAGNO VIGNONI La Veranda del color Fabio Cordella: il mare nel Dna A BARDOLINO Giandomenico Caprioli Giando è l’asso pigliatutto italiano A HONG KONG Audarya Quando la Sardegna non è solo Vermentino A SERDIANA Mensile Sped. In Abb. Post.Gruppo III°45%Art.2 Comma 20/B Legge 662/96Fil. ForlìTassa PagataTaxe PerçueReg . Trib. Di Forlì N.653Del 14/6/84Dir. Resp. Elsa MazzoliniLa Madia SrlVia Pacchioni, 365CesenaEuro 6,00In caso di mancato recapito restituire al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa

POSTA MARCUCCI

Editoriale

C’è crisi di Elsa Mazzolini

obiettivobenessere Alimentazione e sport la chiave per mantenere sani corpo e mente di Lorenzo Braschi

lasceltaVegana La fermentazione naturale per un’esperienza culinaria unica di Silvia Bianco

evoOlioExtraVergine L’aumento del prezzo dell’olio extravergine di oliva di Antonietta Mazzeo

OpereDolci Tarte Tatin Storia di un’icona della pasticceria nata per sbaglio di Marcella Orsi

Perché? L’Albergo Scuola Florens di Elsa Mazzolini

ilmenuengineering Ha senso appendere le bollette in vetrina? di Lorenzo Ferrari

Sicurezza alimentare L’arte nel piatto Tutelare la creatività grazie al diritto d’autore e non solo di Lucio Salzano e Michela Taioli

ProdottiEccellenti Locanda Lo Scopiccio Sono le mani della cuoca a fare la differenza

SOMMARIO GourmetFood
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20 GourmetFood GourmetFood GourmetFood 40 AB - IL LUSSO DELLA SEMPLICITÀ Il nuovo locale di Alessandro Borghese A VENEZIA A BARDOLINO 49 FABIO CORDELLA: IL MARE NEL DNA Alla Veranda del Color di Renato MalaMan
La
toscana di Michil Costa
Matteo Antoniello
Gianluca MontinaRo 54 A BAGNO VIGNONI 74 GIANDOMENICO CAPRIOLI: GIANDO È L’ASSO PIGLIATUTTO ITALIANO di caRla latini A HONG KONG
HOTEL
casa
e la cucina d’amore di
di

La

Golavagando

Cian dal 1976, il mare in collina di Renato Malaman 26

Golavagando

Al Duomo, ristorante al femminile nel cuore di Potenza di Renato Malaman

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Golavagando Quartino Nuova enoteca con cucina a Roma 30

Golavagando Il Locale a Firenze di Teresa Cremona 32

GourmetFood

Le montagne e la nonna alla Stüa dla Lâ in Trentino di Gianluca Montinaro

GourmetFood

Il Porticciolo - Hotel Cipriani a Venezia di Teresa Cremona

GourmetFood

Casa Bertini Poesia in cucina a Recanati di Gianluca Montinaro

GourmetFood

Batì, l’avventura sul mare di Sabatino Lattanzi di Gianluca Montinaro

GourmetFood Nole, una fresca cucina fra i pini di Pescara di Gianluca Montinaro

GourmetFood

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GourmetFood

L’Adelaide dell’hotel Vilòn a Roma A tavola con la principessa Borghese di Gianluca Montinaro

Il Focus di Alessandro Rossi Giacomo Tachis Il padre del rinascimento enologico italiano di Alessandro Rossi

Vinaria

Audarya Quando la Sardegna non è solo Vermentino di Alessandro Rossi

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La Gattabuia a Matera di Teresa Cremona 70

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Assaggio di Libri Regala un libro per Natale di Giorgia Zucchi 87

Vinaria

Guida agli autoctoni “minori” 6° puntata - Friuli-Venezia Giulia di Roger Sesto

Vinaria

La liberalizzazione del commercio dello champagne La festa in onore dell’incoronazione di Luigi XV in occasione del trecentesimo anniversario di Mario Federzoni

Vinaria

Sabrer o Sabler le Champagne Nella sciabolata che non ferisce, una storia affascinante di Mario Federzoni

Vinaria

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Quattro passi tra i vini della Valle di Susa Avanà, Becquét, Baratuciat di Fabrizio Salce 3
Madia Travelfood n. 358 - Novembre/Dicembre 2022

QUANDO LA SOVRANITÀ ENERGETICA?

Sembra molto lontano quel 2 dicembre 1973 in cui gli italiani si trovarono costretti a vivere la loro prima domenica a piedi a causa del divieto imposto dal governo Rumor sulla circolazione di tutti i mezzi a motore.

Lo chiamarono “austerità” e fu un periodo storico caratterizzato da una pe santissima crisi energetica e dal conseguente taglio drastico dei consumi di luce, gas e benzina, con chiusura anticipata di bar, ristoranti, negozi, e persi no di programmi televisivi.

Paradossalmente la storia si ripete e ripresenta il suo conto salato senza che noi abbiamo posto alcun rimedio, nel frattempo, alle problematiche di allora. Abbiamo sempre affidato ai partiti di turno – che mai e dico mai hanno dimo strato lungimiranza, efficienza e sollecitudine, se non per se stessi – quelle politiche ambientali, fonti rinnovabili incluse, che ci avrebbero potuto in parte tutelare dagli inevitabili rovesci che la storia ripropone.

Guardiamo al disastro della recente alluvione delle Marche, dovuto soprat tutto ad incuria, menefreghismo e a indecente burocratismo; guardiamo allo stupore inerte davanti all’endemico e prevedibile problema della siccità e per contro guardiamo pure al colabrodo della rete idrica nazionale che disperde un terzo dell’acqua immessa nelle tubature, (il 50% al sud) quantitativo che potrebbe servire al fabbisogno di ben 10 milioni di persone! Noi, ricordiamolo, siamo la nazione del crollo del ponte Morandi e delle sue 42 vittime, noi siamo quelli che pagano a dismisura una compagnia aerea nazionale con infinite sovvenzioni di Stato, ma privatizzano le manutenzioni stradali, le forniture di gas, acqua e luce esponendoci a speculazioni più as sassine delle stesse guerre.

Di fatto, siamo noi stessi a pagare i sicari delle nostre piccole esistenze, pron ti come siamo a delegare acriticamente le scelte che ci riguardano, fidandoci di promesse irrealizzabili e autorizzando, di fatto, ormai sistematiche pugna late alle nostre traballanti certezze.

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ALIMENTAZIONE E SPORT

la chiave per mantenere sani corpo e mente

Gli studi lo hanno portato ad essere un preparatore fisico di livello nazionale sia negli sport di squadra che in quelli individuali, come golf e l’ormai celebre padel. Già preparatore atletico di società del calibro di Pallaca nestro Virtus Roma (Serie A) e S.S Lazio Calcio a 5, Grilli occupa oggi anche il ruolo di dirigente e preparatore della “Totti Sporting Club Ca8” , società partecipante al massimo campionato italiano di calcio a 8. Da qualche anno a questa parte, Grilli ha affiancato l’in tensa attività in team con un percorso autonomo, dedi cato a persone e atleti interessati a migliorare la propria condizione fisica.

Il dottor Giuseppe Grilli ci racconta la sua innovativa visione del rapporto alimentazione-allenamento fisico, un credo che mette al centro il benessere della perso na a 360 gradi.

Dieta ferrea strettamente correlata all’esercizio fisico. Un binomio praticamente inscindibile che permea il credo della maggior parte degli sportivi in Italia. Un dogma quasi inflazionato che riceve consensi a de stra e a manca, ma, visto che a noi gli assiomi piace “scardinarli”, abbiamo provato ad analizzare la questio ne da un punto di vista differente. Ad aiutarci in quella che può essere definita impresa ci ha pensato il dott. Giuseppe Grilli . Romano, classe 1983, Grilli può vantare un curriculum di primissima fascia: oltre a una laurea magistrale in scienze motorie e un master come personal trainer rico nosciuto dalla Federazione Italiana Pesistica, Giuseppe possiede una specialistica anche in recupero e riabilita zione motoria e ha frequentato molteplici corsi nazionali in ambito fitness.

Anche grazie a questo lavoro “in solitaria”, Giuseppe ha sviluppato una filosofia inerente al rapporto fra esercizio fisico e alimentazione, che si discosta da quella della maggioranza dei suoi colleghi: “Nel mio staff - afferma Grilli - posso ovviamente contare sull’aiuto di nutrizioni sti e biologi, ma il messaggio che mi preme far passare è che, escluso il professionismo (ove va seguito un regi me alimentare importante e mirato), l’allenamento non dovrebbe più essere visto come uno sforzo volto a un obiettivo specifico di dimagrimento, ma utilizzato anche come strumento per poter mangiare.

Una persona o un atleta in buone condizioni di salute - senza quindi problemi patologici (per i quali consiglio un’alimentazione basata e scandita a livello medico)dovrebbe venire ad allenarsi per stare bene e per man giare di gusto, per mettersi nella condizione di potersi concedere in tutta serenità il classico stravizio in cucina.

Allenarsi con un professionista, perseguendo questo obiettivo, può portare un benessere non solo fisico, bensì anche mentale. Se nell’arco della settimana vuoi concederti due o tre “coccole” in cucina ma offri una co stante dedizione al tuo fisico, allenandoti con un trainer serio, lo puoi fare tranquillamente.

di Lorenzo
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Foto di Alessandro Lisio

Questo diverso approccio al binomio allenamento-dieta è stato recepito, compreso e sposato dai miei clienti: sicuramente un bel traguardo.”

Impossibile non toccare, con Grilli, anche il tema della situazione psicofisica post pandemia, una scure che si è abbattuta su milioni di sportivi.

“La pandemia, intesa come lockdown, ha influito forte mente nel procrastinare l’esercizio fisico. Ciò che non si

Di particolare interesse anche le richieste che differenti tipologie di clientela avanzano al dott. Grilli. “Negli ultimi anni ho notato che la ricerca di questo equilibrio mentale fra alimentazione e allenamento è molto evidente tra imprenditori e liberi professionisti. Per quel che concerne i lavoratori d’ufficio, vengono ad allenarsi per liberare la mente dalle ore in studio e per combattere il mangiare di tipo nervoso, quello che par

è fermata è invece la fame, addirittura da una situazione di forte stress come quella passata. Le scorie, sia dal punto di vista psicologico che fisico, le stiamo affron tando tutt’ora. Cosa nota è il boom di richieste di per sonal trainer post lockdown, una domanda che ha dato lavoro a persone ben poco qualificate.”

Quello di Grilli è un chiaro messaggio di salute a 360 gra di, partendo proprio dalla mente e da un sano “svago psi cologico e sociale”, aspetto spesso sottovalutato dai più. “Le linee guida classiche, per tutto ciò che è patologi co, indicano un pasto alla settimana come unico sgarro; tuttavia se una persona è in salute, le cene fuori con amici e parenti possono anche essere di più.

Se il tuo obiettivo è stare bene con te stesso e rimanere in salute, non vedo alcun tipo di problema nel mangiarsi una carbonara per cena o risvegliarsi col profumo di un croissant; il fulcro del discorso è quello di mangiare senza abusare; la giusta quantità ti permette di assag giare tutto, con pochissime restrizioni. Questa libertà a tavola regala benessere a livello men tale e invoglia ad allenarsi con ancora più motivazione.”

te dalla noia del dover stare seduti per lunghi periodi di tempo. In questi caso consiglio un regime alimen tare leggermente più ristretto, seguendo le linee guida dell’OMS e di un professionista.

Oltre l’80% dei clienti mi chiede di poter uscire, diver tirsi e mangiare abbastanza liberamente, senza troppe restrizioni. Questo è possibile se il fisico viene allenato con costanza almeno tre volte a settimana.”

Ma, secondo Grilli, come deve essere strutturato un al lenamento per essere efficace?

“Basandomi sulla mia preparazione professionistica, l’allenamento più efficace è quello che coniuga l’alta intensità con un volume ridotto di lavoro. Per una per sona normale che vuole allenarsi non servono le classi che due ore in palestra: 30-35 minuti a buoni ritmi sono sufficienti per ottenere risultati sia a corpo libero che lavorando con i pesi. Il consiglio è sempre quello di affidarsi a professionisti seri e competenti, che permettano al cliente di dare quel qualcosa in più durante ogni sessione.”

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Foto di Alessandro Lisio

DALLA COREA LA FERMENTAZIONE NATURALE PER UN’ESPERIENZA CULINARIA UNICA

Plant Based World Expo è l’unico evento “100% vegetale” degli Stati Uniti. Quest’anno si è svolto a New York l’8 ed il 9 Settembre scorsi e si ripete in versione europea il 30 Novembre e 1 Dicembre a Londra. È un grande evento commerciale progettato esclusivamente per pro fessionisti della ristorazione, rivenditori, distributori, acquirenti, broker e organizzazioni non profit. L’evento, ormai giunto alla sua terza edizione, connette e permette alle aziende di svi luppare, acquistare e distribuire con successo prodotti a base vegetale all’interno della rete di approvvigionamento globale.

La scelta di svolgere l’evento europeo nella città di Londra non è un caso. Il Regno Unito è il più grande mercato europeo per gli alimenti a base vegetale, con un valore di 470 milioni di sterline contro i 4,5 miliardi di dollari degli Stati Uniti e continua a crescere con un ritmo esponenziale.

Solo negli Stati Uniti, la categoria della “carne” vegetale vale ben più di 800 milioni di dollari. L’adozione di uno stile di vita a base vegetale sta diffondendosi in tutto il mondo, poiché sempre più persone stanno diventando consapevoli dell’importanza della propria salute, del le favorevoli implicazioni etiche ed ambientali nel consumo di più prodotti a base vegetale.

L’area espositiva del PBW ospiterà innumerevoli nomi già noti nel mondo del cibo plantbased, dalle startup ai grandi attori come Quorn, JUST, Hlthpunk e Willicroft che spaziano nel mondo delle alternative della carne, dei prodotti lattiero-caseari e alla pasticceria.

Una novità all’evento di quest’anno è il Learning Garden Theatre, che offre contenuti educativi gratuiti per l’intero settore, mentre il Culinary Theatre ospiterà sessioni gestite da chef del settore e celebrità.

Nel lungo elenco di espositori al PBW, troviamo CJBIO, azienda coreana leader nel settore green delle biotecnologie, la cui missione è quella di offrire, oltre a gusto e nutrizione, un domani sostenibile e salutare attraverso la produzione di prodotti biologici realizzati con una eccezionale tecnologia di fermentazione microbica sviluppata in 60 anni.

a cura di Silvia Bianco teStimonial di cucina vegana
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Questi prodotti biologici includono acidi nucleici, ami noacidi come lisina, triptofano e valina. L’interesse del consumatore per il proprio benessere ha favorito la crescita di alimenti a base vegetale ed il trend è aumentato con il Covid-19, con un incremento sul mercato di nuovi prodotti vegetali che coinvolge un po’ tutto il mondo dal Nord America, all’Europa e Australia e con un’accelerazione che continua tutt’oggi.

I consumatori richiedono prodotti che contengano in gredienti non di origine animale, ma con una consisten za e sapore che soddisfino standard elevati. Le aziende alimentari stanno quindi cercando modi per migliorare la funzionalità e il profilo sensoriale degli at tuali prodotti vegetali.

Qui entra in gioco CJBIO, che è ben conscia che il gusto non è l’unico fattore importante per creare un cibo deli zioso: anche l’aroma è estremamente importante al fine di ottenere un’unica e completa esperienza culinaria.

CJ TasteNrich® e FlavorNrich di CJBIO sono prodotti fer mentati e possono essere considerati ingredienti chiave e naturali che conferiscono un sapore unico ai prodotti a base vegetale.

Quando la carne viene cotta ad alte temperature so pra i 120 °C, le proteine e gli aminoacidi reagiscono e

sviluppano questo particolare aroma, che altro non è la reazione di Maillard, che avviene grazie alla L-cisteina, essenziale per questa reazione che sconvolge positiva mente le papille gustative.

FlavorNrich Master C di CJBIO è appunto L-cisteina, ma naturale, sviluppata e prodotta attraverso la sola fer mentazione microbica, escludendo l’elettrolisi normal mente utilizzata da tutti gli altri produttori di L-Cisteina. È riconosciuta come “aroma naturale”, rispettando le li nee guida e i regolamenti FDA, USDA e NOP, ma anche Vegan e NON-GMO, perfetta per applicazioni alterna tive a base di carne e prodotti lattiero-caseari a base vegetale, conferendo un non plus ultra al loro sapore.

TasteNrich è l’altra molecola sviluppata da CJBIO, ot tenuta attraverso la fermentazione di zuccheri vegetali e senza additivi artificiali: intensifica la percezione del gusto salato, umami, e la pienezza del sapore, consen tendo quindi la riduzione del sodio negli alimenti, senza compromettere l’esperienza culinaria.

Sappiamo bene che il cibo a base vegetale rappresenta un’opportunità significativa per superare molte delle sfi de alimentari più urgenti al mondo in questo momento storico e queste innovazioni permettono alle aziende di essere protagoniste nella salvaguardia dell’ambiente.

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a cura di antonietta Mazzeo tecnico ed esperto degli oli d’oliva vergini ed extravergini

L’AUMENTO DEL PREZZO DELL’OLIO EXTRAVERGINE DI OLIVA

Ecco, voce per voce, il perché dei rincari

L’attuale quadro economico e sociale italiano è negativamente dominato da estreme tensioni e incertezze, principalmente derivate dall’emergenza sanitaria, dal conflitto Russo/Ucraino e dalla difficoltà nel reperimento di alcune materie prime, dovute ad eventi climatici particolari e raccolti non soddisfacenti. Ciò ha prodotto un generalizzato aumento del prezzo dei pro dotti alimentari, su cui impattano negativamente una serie di fattori: dal prezzo del carbu rante ai costi dell’energia, fino ai rincari delle materie prime e dei materiali necessari per la produzione, la lavorazione e il confezionamento.

Il prezzo dell’olio extravergine di oliva è maggiormente influenzato sia dai piani delle catene distributive che dei costi alla produzione, ma, anche se le fluttuazioni dei prezzi all’origine erano state assorbite in parte dai produttori e in parte dai distributori, il prezzo dell’olio era già aumentato del 11% in un anno (confronto tra febbraio 2021 e febbraio 2022), ed ora sta per subire un ulteriore aumento. La corsa di inflazione, bollette, energia e materie prime non frena e continua ad essere in tensa e diffusa: cosa possiamo aspettarci dal mercato dell’olio extravergine di oliva dopo i rincari delle ultime settimane? Quanto dovrebbe costare una bottiglia di olio extravergine di oliva nel 2023?

Quando si parla di olio extravergine di oliva di qualità, non è facile far tornare i conti; il consu matore già fatica ad accettare un costo di 10 euro al litro, (prodotto in lattina dove non sono presenti i costi di bottiglia, etichetta, tappo, etc.), ma purtroppo per il futuro dovrà inevitabil mente aspettarsi costi ben più elevati .

Per aiutarci a comprendere il costo finale dell’olio extravergine di oliva e le relative previsioni di aumento, prendiamo in esame i principali elementi che lo compongono e lo influenzano:

• Il costo del gasolio agricolo è raddoppiato arrivando a 1,5 euro/litro. Con un incremento di 70-80 centesimi al litro rispetto alla campagna 2021/2022. Dato un consumo medio

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di 100 litri di gasolio ad ettaro per lavorazioni, con cimazioni, trattamenti e raccolta, possiamo stimare un rincaro di circa 75/80 euro/ettaro.

• Il costo dei concimi è passato dai circa 50-60 euro/quintale 2021, agli attuali 100-120 euro/quin tale, considerando una distribuzione di 5-6 quintali ad ettaro. La previsione è di un aumento di circa 200/250 euro/ettaro.

• I presidi fitosanitari per la difesa convenzionale sono stati oggetto di un aumento del 100%, passan do dai circa 150 euro/ettaro ai circa 300 euro/ettaro,

• Caldo e siccità hanno aggravato la situazione so prattutto per i nuovi impianti; in assenza di irrigazio ne le piante potrebbero andare in stress idrico, con conseguente perdita dei frutti per disidratazione. Si stima che costi per l’irrigazione possano passare dai circa 2.000 euro/ettaro ai circa 3.000 euro/ettaro, un aumento di circa il 50%

• Fermo restando le difficoltà di reperimento, i costi del personale preposto alla raccolta saranno sicu ramente maggiori rispetto al 2021, ma non sono an cora disponibili dati a tal proposito.

• Il caro energia aumenterà, rispetto al 2021, i costi della molitura di circa 2 euro/quintale di olive, pari a circa 100/ 150 euro per ettaro

• I costi dell’imbottigliamento, del packaging, (bottiglia, etichetta, tappo antirabbocco e cartone) e della logistica sono aumentati rispetto al 2021 di circa il 60-70%, portando il costo medio da circa 1,5 euro/bottiglia, a circa 2,5 euro/bottiglia; un aumento previsto di circa 1,0 euro/bottiglia.

Assunto che in un’annata favorevole, il raccolto stimato è di 70/80 quintali di frutti per ettaro, da cui si potrebbe ottenere il 13/14 % di olio, se per la campagna 2021 una bottiglia di olio extravergine di oliva da 0,5 litri costava, dal produttore, circa 5/6 euro, per la raccolta 2022, co sterà non meno di 8/9 euro, con un aumento stimato di circa il 40%.

Questi dati preoccupano molto, anche e soprattutto, perché i rincari che abbiamo analizzato riguardano un prodotto alimentare di base nella spesa delle famiglie. Diversi sono gli elementi e le situazioni che sicuramente hanno generato un incremento generalizzato dei costi, ma gli aumenti sono stati registrati già da tempo e gli effetti sono più incisivi rispetto a quelli che giustifiche rebbe tensioni, incertezze e conflitti.

Per queste ragioni, auspichiamo che vi sia massima vi gilanza da parte delle Autorità per evitare ingiustificati aumenti derivanti da fenomeni speculativi relativi a energia e materie prime .

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Storia di

TARTE TATIN

un’icona

della pasticceria nata per sbaglio

Un errore nel leggere una ricetta magari un po’ scarabocchiata, una dimenticanza o una distrazione dovute alla troppa fretta, un ingrediente scambiato per un altro sott’occhio, una cottura con un metodo diverso e tanti altri piccoli inconvenienti a volte possono scatenare dei drammi in cucina, ma altre volte quei piccoli o grandi errori possono dare vita a grandi capolavori della storia della gastronomia. Quante ricette famose sono nate grazie ad un errore di chef e pasticcieri? Forse la maggior parte, specialmente in pasticceria.

Sembra strano, vero? Soprattutto se consideriamo che la pasticceria è il settore della cucina che più di tutti vive di chimica e funziona solo se ci si attiene a regole e dosi piuttosto rigide. Eppure, da alcuni sbagli sono nate preparazioni cardine della pasticceria come la ganache al cioccolato, il panettone, la crêpe suzette, il brownie, i cookies, la torta caprese e la tarte tatin, solo per citarne alcune.

Se alcune di queste preparazioni sono nate da errori dovuti alla goffaggine di apprendisti pasticceri (è il caso di dire “la fortuna del principiante”), nella storia della Tarte Tatin l’errore nasce invece da una distrazione di una grandissima professionista del settore: Stephanie Tatin . Tutto avvenne a Lamotte – Beuvron in Francia alla fine dell’Ottocento, nel ristorante dell’ Hotel du Pin D’Or gestito dalle sorelle Stephanie e Caroline Tatin.

Caroline si occupava della sala e dell’accoglienza dei clienti, mentre Stephanie si dedicava alla cucina ed era una cuoca estremamente abile.

La loro torta di mele era famosissima in tutta la regione, al punto che turisti e abitanti della zona si recavano al ristorante dell’hotel quasi esclusivamente per degustare quella preliba tezza. Una domenica, in occasione dell’apertura della stagione di caccia, la sala del ristorante era talmente gremita che, per la fretta di preparare in tempo tutta la linea del menù, Stepha nie bruciò la torta di mele.

Senza perdersi d’animo prese subito un’altra tortiera e velocemente la imburrò e la cosparse di zucchero, aggiunse a raggiera le mele sbucciate e tagliate a spicchi grossi e via in forno! Ma nella fretta dimentica un passaggio fondamentale: mancava la pasta brisée che doveva racchiudere il tutto.

Ormai, però, era troppo tardi, le mele erano già caramellate a puntino e, a quel punto, l’idea geniale per recuperare il danno: prende la pasta brisée, la stende più sottile possibile, ne ri cava un disco del diametro della tortiera, lo poggia sulle mele ancora calde e rimette in forno giusto il tempo che il disco di pasta si cuocia.

a cura di Marcella Orsi Pasticciera Freelance
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A cottura ultimata, rovescia la torta sul piatto da porta ta, quasi come fosse una frittata, e così la serve ai cac ciatori, che andarono letteralmente in visibilio. Fu così che nacque la Tarte Tatin, la torta diventata ico na della pasticceria francese. Questa versione dei fatti fu tramandata dal critico ga stronomico Maurice Edmond Sailland, conosciuto dai più col nome Curnonsky, che ne codificò la ricetta in una delle sue opere e la portò a Parigi battezzandola “Tarte des mademoiselle Tatin”.

La versione di Sailland non fu condivisa dagli Chef Prosper Montagné ed Auguste Escoffier, redattori de La Grand Larousse Gastronomique, la più grande enci clopedia gastronomica di cucina francese, che ritenne ro invece che le due sorelle avessero semplicemente rielaborato un’antica ricetta della Tarte solognote, una ricetta tradizionale della zona di Sologne, di forma e procedimento simile, tramandata di generazione in ge nerazione. Il merito delle sorelle Tatin, quindi, sarebbe stato quello di renderla popolare nel loro albergo – ri storante, per poi farne leggenda.

Da Parigi la Tarte Tatin conquistò velocemente tutta la Francia, diventando famosa a livello nazionale grazie a Louis Vaudable , Chef del ristorante Maxim’s di Pari gi, ancora oggi un’istituzione per i suoi arredi in stile art nouveau e per i personaggi famosi che l’hanno fre quentato.

Anche in questo caso intorno alla Tarte Tatin nacque una storia che oscilla tra leggenda e fatti realmente ac caduti. Pare che lo stesso Vaudable avesse raccontato di essere stato a pranzo al ristorante delle sorelle Ta tin e, impressionato dalla loro torta di mele, ne avesse chiesta la ricetta alle proprietarie, ricevendo un netto rifiuto.

Vaudable, così, si inventò uno stratagemma: mandò uno dei suoi cuochi in incognito per farsi assumere come giardiniere presso il ristorante delle due sorelle e così riuscì a carpire il segreto della ricetta della Tarte Tatin. Da allora la Tarte Tatin è diventata un must del ristoran te Maxim’s e si è diffusa in tutta la Francia, ma questa leggenda è stata poi sfatata in parte: le fonti storiche

affermano, difatti, che le sorelle Tatin lasciarono l’attività nel 1906, mentre Vaudable è nato solo nel 1902 e quindi è impossibile che la storia sia vera, ma molto probabil mente inventata dallo Chef per avvolgere di fascino il dessert che propose come punta di diamante nel suo menù.

Ad ogni modo, al di là delle origini, la storia della Tarte e delle sorelle Tatin continua ancora oggi più florida che mai: l’ Hotel Restaurant Tatin esiste ancora ed è gestito dalla famiglia Caillé dal 1968 (dove ovviamente si serve la Tarte Tatin originale!) mentre la torta continua ad ispi rare chef e pasticcieri di tutto il mondo da oltre 100 anni, vedendo nascere nuove versioni della Tarte Tatin sia in chiave dolce che salata, come la Tatin di Pere, di Pesche, in versione moderna, al piatto, la Tatin di pomodori e ori gano piuttosto che di zucchine o altri ortaggi Il concetto resta sempre quello della torta rovesciata con una caramellatura in superficie.

In seguito alle tante versioni che nacquero della Tarte Tatin nel 1979 fu fondata la “Confrérie des Lichonneux de Tarte Tatin de Lamotte-Beuvron” con lo scopo di far rispettare la ricetta originale, di combattere errori e abusi e redarguire gli eretici della Tarte Tatin.

Perché la ricetta di questa torta possa dirsi rispettata deve seguire 3 regole, semplici ma ferree:

1. Il caramello deve essere realizzato con un burro francese salato e utilizzando la stessa teglia, possi bilmente di terracotta (se ne vendono di specifiche per Tarte Tatin) nella quale verrà preparata la torta e aromatizzato solo con succo di limone

2. Le mele da utilizzare devono essere succose e a pa sta soda che non si sfarina. Le qualità più adatte sono le renette gialle e rosse o renette Canada (in alternativa le Golden Delicius).

3. Infine, la pasta alla base della torta deve essere ri gorosamente pasta brisée, tirata veramente molto sottile. Al bando pasta sfoglia e pasta frolla.

E allora, ecco la ricetta della Tarte Tatin secondo la tra dizione.

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TARTE TATIN

INGREDIENTI

Per una teglia antiaderente o in terracotta da 22 cm. di diametro (circa 8 porzioni)

Per la pasta brisée g. 200 di farina 00 g. 100 di burro francese freddo g. 70 di acqua freddissima g. 2 di sale 1,2 kg mele renette o Canada

Per il caramello g. 200 di zucchero semolato g. 100 di burro francese salato morbido g. 10 di succo di limone

PROCEDIMENTO

Sbucciare le mele, tagliarle in quarti e conser varle in acqua acidulata.

Per la pasta brisée: in planetaria con la frusta K miscelare farina e burro fino ad ottenere un composto sbricioloso. Aggiungere sale e acqua e lavorare giusto il tempo che l’impasto si com patti. Avvolgerlo nella pellicola e farlo riposare in frigorifero almeno 2 ore.

Per il caramello: far sciogliere lo zucchero a fiamma media direttamente nella teglia che si userà per realizzare la torta: il caramello do vrà raggiungere un colore biondo, non di più.

A questo punto aggiungere il burro morbido e mescolare con un cucchiaio di legno fino a quando il burro sarà completamente incorpo rato e avrete ottenuto un caramello liscio e lu cido, quindi aromatizzare col succo di limone.

Scolare e asciugare bene le mele e posizionarle all’interno della teglia formando un disegno a raggiera stretta e premendole leggermente nel caramello. Far queste operazione cercando di non lasciare spazi vuoti. Infornare a 160 °C statico per circa 1 ora. Controllare la cottura

delle mele, che devono essere morbide ma compatte, quindi lasciarle raffreddare una de cina di minuti fuori dal forno. Nel frattempo alzare la temperatura del forno a 200 °C.

Stendere la pasta brisée ad uno spessore di 3 mm, ricavarne un cerchio del diametro della tortiera e posizionarlo sopra le mele in modo da sigillare i bordi della tortiera. Infornare nuovamente per circa 8-10 minuti, finché la brisée risulterà ben dorata.

Far raffreddare completamente la torta e, al momento di servirla, passare il fondo della teglia velocemente su fiamma media, in modo da sciogliere il caramello che si sarà indurito, e rovesciare velocemente su un piatto da portata.

La tradizione vuole che la Tarte Tatin sia servita semplice, senza nessuna crema o gelato ad ac compagnare, ma è pur vero che una nuvola di chantilly alla vaniglia appena zuccherata o una quenelle di gelato alla crema o al fior di latte sono un abbinamento ormai quasi d’obbligo per gusto, differenza di consistenze e contrasto di temperature che rendono la Tarte Tatin an cora più golosa.

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L’ALBERGO SCUOLA FLORENS

Un’altra occasione perduta per il turismo calabrese

A San Giovanni in Fiore , grosso comune montano nel cuore della Sila in Calabria, negli anni settanta l’ESAC, Ente di Sviluppo Agricolo della Calabria, aveva avvia to una iniziativa formativa per allora rivoluzionaria: una scuola professionale alberghiera connessa ed integra ta in una reale attività ricettiva aperta al pubblico. I docenti erano professionisti di alto livello provenienti da strutture alberghiere di primo piano (molti venivano dalla Costiera Amalfitana) che, oltre a svolgere le attività didat tiche, assicuravano anche le attività ricettive di ristorante ed albergo coinvolgendo in esse gli stessi allievi. I risultati sono stati eccezionali. La preparazione non solo teorica ma pratica, immediatamente fruibile nelle attività alber ghiere, ha dato concrete occasioni di qualificato lavoro a moltissimi giovani dei tanti centri interni dell’Altopiano Silano e della Calabria, contribuendo anche allo sviluppo turistico della regione.

Ho avuto modo, nella mia attività professionale, di cono scere quella realtà e di incontrare diversi docenti e tanti ex allievi del Florens operanti in Calabria, ma anche in seriti in prestigiose strutture in Italia ed all’estero e ne ho sempre apprezzato la grande preparazione. Con la tra sformazione dell’ESAC in un’agenzia regionale per i ser vizi in agricoltura, l’attività del Florens, dopo un periodo di alterne vicende che l’hanno visto operare solo come scuola di formazione o solo come struttura ricettiva, è definitivamente cessata . È cessata proprio quando si è riconosciuta l’alternanza scuola-lavoro come il mezzo più efficace per l’effettivo accesso al mondo del lavoro. Eppure c’era stata una reale opportunità di riavviare le attività del Florens addirittura implementandole. Mi risulta che nel 2013 si era sviluppata un’iniziativa per la realizzazione di una “Scuola di Alta Formazione per il turismo e le attività collegate” che vedeva coinvolti l’Università della Calabria, il Parco Nazionale della Sila ed addirittura l’École Hôtelière de Genève L’iniziativa prevedeva, nella fase di avvio, per la pronta operatività, l’utilizzo delle strutture del Florens di San Gio

vanni in Fiore, di proprietà della Regione Calabria e non più in attività; la formula prevista era quella del comoda to d’uso finalizzato all’attuazione della Scuola. Purtroppo la politica regionale calabrese, per motivi che sfuggono a me che sono un’osservatrice esterna, non ha inteso contribuire, con una sua partecipazione, alla realizzazio ne della Scuola di Alta Formazione, ma, addirittura, non ha nemmeno attivato la concessione in comodato delle strutture del Florens. Adesso mi riferiscono che nel Florens, dopo essere stato utilizzato come Centro Covid, sarà trasferito, dall’attuale sede, l’Istituto Professionale Alberghiero di Stato. Così il Florens diventerà una normale scuola professionale e, con tutto il rispetto per la formazione profes sionale statale, non mi sembra che possa rappresentare un valido succedaneo di una scuola che vedeva la par tecipazione attiva dell’École Hôtelière de Genève, una delle più prestigiose scuole alberghiere a livello mondiale. Oltretutto viene definitivamente a perdersi la peculiarità del Florens di coniugare la formazione professionale con la reale attività pratica in una struttura recettiva aperta al pubblico che era stata la principale ragione dei grandi risultati formativi e delle conseguenti ottime possi bilità occupazionali. Forse è l’ennesima occasione perduta per far fare un sal to di qualità all’ospitalità alberghiera della Calabria. Ma così è!

15 Perché?

HA SENSO APPENDERE LE BOLLETTE IN VETRINA?

Negli ultimi tempi molti ristoratori hanno deciso, spinti dall’iniziativa di diverse associazioni di categoria, di dar mostra ai rincari delle bollette mettendole in bella vista... in vetrina. Chi scrive si è interrogato a lungo sulla reale efficacia della soluzione e si è chiesto più volte: ma ha davvero senso aderire a questa iniziativa?

La risposta vera è che dipende .

Dipende da quali sono gli obiettivi della stessa. Se l’obiettivo è giustificare il rincaro prezzi sui listini allora no, non ha granché senso.

La ragione è sempre lei: i clienti, nel 99% dei casi, non empatizzano con le nostre o con le vostre sfortune. Né con le sfortune di una categoria intera - anche se qui, la verità, è un’altra: i rincari non riguardano soltanto la ristorazione, ma tutto il comparto produttivo italiano.

Comunque sia, i clienti empatizzano con le loro, di sfortune. E anche loro, seppur in modo molto più marginale, hanno subito e stanno subendo i rincari legati all’energia.

Questo premesso, “avvertire” tutti quanti che si alzeranno i prezzi a causa dei rincari di gas ed elettricità significa due cose:

1. Da un lato “svegliar il can che dorme”. Siamo sicuri che i clienti si sarebbero accorti di un aumento prezzi? L’esperienza mi dice che è molto probabile che no, non avrebbero nemmeno fatto caso ad un aumento di qualche euro qui e là.

2. Dall’altro lato, molto più rilevante, significa indirizzare l’attenzione e il focus del cliente sull’aumento dei prezzi, quando si dovrebbe invece cercare di focalizzarlo sull’aumento del valore percepito che abbiamo apportato a partire da ANNI.

Se invece, chi legge, riempie le fila di coloro i quali non hanno aumentato il valore percepito e sono decenni che non innovano, non investono in marketing, in produzione e innovazione,

a cura di Lorenzo Ferrari direttore Marketing di ristoratoretop
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Oppure può risultare controproducente? Forse le vetrine servono ad altro

sono fermi al palo, vivono di rendita o di sotterfugi, beh, non hanno di certo bisogno di leggere consigli di un esperto di marketing su una rivista.

Se ad un problema complesso e non del tutto sotto il nostro controllo come questo si ricerca la soluzione facile, veloce e indolore e si pensa che attaccare un foglio di carta in vetrina possa aiutare, ahimè, non c’è molto che si possa augurare o consigliare se non un ricorso al Divino o al Trascendente.

Invito chi legge ad immaginarsi queste scenette che seguono. Immaginate di andare a comprare un abito. Il sarto, prima ancora del “Buongiorno” vi dice “Questa è la bolletta dell’anno scorso, questa quella di quest’an no: insostenibile. Ho quindi alzato i prezzi.”

Come minimo un messaggio del genere vi spiazzereb be e vi lascerebbe più amaro in bocca che altro.

Immaginate anche di andare a comprare le piastrelle per rifare il bagno, un rastrello dal ferramenta oppure una marmitta per truccare lo scooter di vostro figlio, e immaginate che anche il piastrellista, il ferramenta e il meccanico, prima del buongiorno, iniziassero con il lamento delle bollette fuori controllo. Come la prendereste?

Allora a cosa serve mettere le bollette in vetrina?

A far parlare dell’iniziativa, sperando che arrivi “ai piani

alti”. Bene. Da questo punto di vista l’iniziativa è ben pensata, è efficace e infatti ai piani alti l’iniziativa è arri vata, forte e chiara (in campagna elettorale non aspet tavano altro!)

Chi scrive si domanda quindi: servirà davvero a qualco sa? Lo chiedo con l’innocenza di un bimbo, sperando che la risposta sia “sì”, ma credendo che sia “no”. Perché quello delle bollette in vetrina è un mero prete sto. Un gancio per attirare l’attenzione, per porre l’ac cento sul problema. Serve poi un piano, un progetto, una causa da avallare che segua il pretesto. Serve saper dialogare con “i piani alti”. Serve un inter locutore serio e credibile. Serve averla, la soluzione, e portarla fino in fondo.

Se la cosa si ferma lì, al cartello in vetrina, risulta sterile e persino controproducente (per le ragioni di cui sopra)

Chi legge sceglierà quindi che fare, ma se lo chiedete a me, io vi consiglio di sfruttare quel prezioso spazio in vetrina e soprattutto quella preziosissima attenzione dei vostri clienti per dire qualcosa che vi risulti molto più utile. Ad esempio? Comunicare la vostra Identità Differen ziante, parlare delle novità che avete apportato al menù, al locale o alla vostra offerta negli ultimi tempi. Saranno tempo (e spazio) molto meglio impiegati.

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a cura di avv. Lucio SaLzano SpeciaLiSta di diritto aLimentare e dott.SSa micheLa taioLi GiuriSta d’impreSa aLimentare

L’ARTE NEL PIATTO: TUTELARE LA CREATIVITÀ GRAZIE AL DIRITTO D’AUTORE E NON SOLO

La crescente presenza in rete di spettacoli televisivi, profili social ed intere rubriche dedicate alla ristorazione presenziati da chef stellati e non, ha posto in rilievo una lacuna nell’attuale or dinamento relativa alla tutela delle ricette e dell’impiattamento presentate pubblicamente.

Per via interpretativa, giurisprudenza e dottrina hanno fatto rientrare nell’alveo della tutela autoriale l’impiattamento e la ricetta se la modalità con cui è espressa, divulgata e raccontata ha una originalità che la distingue nella preparazione o nella modalità di espressione, rite nendola espressione della sensibilità artistica e della originalità dell’autore , così come previsto dalla legge 633 del 1941.

La sopracitata legge sul diritto d’autore, agli articoli 1 e 2 prevede protezione per le opere dell’ingegno di carattere creativo che appartengono alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all’architettura, al teatro ed alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la for ma di espressione, così come per le opere del disegno industriale che presentino di per sé carattere creativo e valore artistico. Non vi sono quindi espressamente citate tra queste le opere artistiche di chef e pasticceri.

Ma è largamente condiviso e accordato il diritto morale all’autore dei piatti e ricette che si acquista con la creazione dell’opera. Questo consente di rivendicarne la paternità, opporsi a deformazioni, mutilazioni e modificazioni ed ogni atto a danno dell’opera pregiudizievole per il suo onore o reputazione.

Si tratta di un diritto della personalità, inalienabile e imprescrittibile che ne consente lo sfruttamento economico esclusivo , potendo pubblicare, riprodurre e trascrivere l’opera. Questa, a differenza della procedura prevista per i marchi e brevetti (anch’essi strumenti di tutela per ricette e impiattamenti da valutare caso per caso) non necessita di alcuna registrazione ed ha una durata di settanta anni a far data dal decesso dell’autore, e sorge con la creazione dell’opera stessa.

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Notoria in materia la vicenda conclusasi con decisione della Camera di Consiglio di Milano nel 2015 in cui la parte attrice, il Maestro Gualtiero Marchesi , a di fesa dall’imitazione di un suo ex allievo del piatto “Riso, Oro e Zafferano” vinse la causa in que stione, primo piatto oggi tutelato dal diritto d’autore dalla Fondazione Marchesi.

Un piatto al quale è stato riconosciuto la validità della registrazione come marchio di forma non trattandosi di una forma imposta dalla natura del prodotto stesso e non essendo una forma neces saria ad ottenere un risultato tecnico ed altresì avente una forte capacità di stintiva grazie alla pubblicizzazione dello stesso non solo tra gli addetti del setto re, ma ampiamente conosciuto dal con sumatore medio italiano ed internazionale.

Ne è stato quindi riconosciuto il valore come opera del design (ai sensi dell’art. 2 lettera 10 della legge sul diritto d’autore) essendo dotato di creatività e di valore artistico.

Vi sono quindi degli strumenti della proprietà industria le e intellettuale che possono essere particolarmente utili per gli chef per tutelare economicamente le loro creazioni artistiche, ma è bene conoscerli prima di pub blicarli sulla rete globale.

Un primo suggerimento è quindi quello di avere ben in mente se si desidera creare un marchio o una linea di prodotti con possibili applicazioni industriali degne quindi di tutele tramite brevetti nazionali o internaziona li, oppure semplici creazioni artigianali per le quali la più ampia diffusione è l’obiettivo prescelto.

Si consiglia in ogni caso di aggiungere alle immagini del piatto e alla procedura delle ricette la copyright notice , ossia il nome dell’autore, l’anno di realizzazione e logo copyright.

Allo stesso modo, per evitare atti di concorrenza sleale per imitazione servile e appropriazione di pregi, si con siglia, laddove si utilizzino piatti e ricette di altri autori, di citarne la relativa paternità così come già avviene per tutte le altre opere d’autore.

Un ulteriore consiglio è la stipula di accordi di riserva tezza tra collaboratori e dipendenti (che durino anche oltre il rapporto contrattuale) a tutela delle ricette e del segreto industriale.

La cucina è un’arte e come tale deve essere tutelata.

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alimentare
Sicurezza

NEL PISANO

LOCANDA LO SCOPICCIO

Sono le mani della cuoca a fare la differenza

La Locanda Lo Scopiccio rappresenta una di mensione diversa di “campagna vera”, con tanti sapori dimenticati reinterpretati in chiave mo derna.

La cucina è il regno di Barbara.

Il locale è adatto a chi è desideroso di evadere dalle impostazioni di cucina più tradizionali. L’ambiente è picco lo e molto caratteristico, con una sala divisa in due da sei botti dismesse, con sopra un vec chio vomero di legno, por tacandele, vetrine in legno, una grande madia con tenente un bell’assorti mento di superalcolici. Un creativo pot-pourri di oggetti che offrono una visione decisa mente bohémien.

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Fotoservizio di Claudio Mollo

L’avventura dello Scopiccio, iniziata 7 anni fa, ha rotto fin da subito gli schemi di una cucina con tadina difficilmente penetrabile, in quella piccola provincia pisana.

Il menù della locanda è costruito in base alla stagionalità e cambia ogni due mesi. Toscanità, mescolata a pennellate di cucina giappo nese e francese, genera risultati sorprendenti. Tutto ciò che si mangia allo Scopiccio è rea lizzato in casa,compreso il pane, prodotto con farine provenienti da diversi molini toscani.

Tante aziende di nicchia del territorio contribuiscono al menù studiato attentamente per offrire piatti con un giusto rapporto qualità-prezzo. Una recente veranda climatizzata, interamente chiusa con grandi vetri, aumenta il numero dei coperti anche nel periodo invernale, mentre la buona stagione per mette di utilizzare un dehors esterno e cenare al fre sco della campagna.

Per gli Scrigni© con “Gorgonzola DOP” e cioccolato Ruby Barbara ha potuto utilizzare la propria vena creativa re alizzando 4 ricette dolci e salate, così da sottolineare la versatilità del prodotto.

Locanda Lo Scopiccio

Via delle Casine, 5 - 56035 Perignano (PI) Tel. 370 3275680

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PROCEDIMENTO

Con l’acqua e lo zucchero realizzare uno sciroppo; quando si è raffreddato, versarlo in una busta sottovuoto, aggiungere i fichi e il timo, sigillare e tenere in frigo. Mescolare la ricotta con lo zuc chero a velo e formare delle palline, farle rotolare nelle noci Pecan, tenerle da parte in frigo. Sbucciare le pere e passarle all’estrattore, aggiungendo delle gocce di succo di limone.

IMPIATTAMENTO

Adagiare alla base del piatto il gazpacho, disporvi sopra lo Scrigno, aggiungere il Rocher di ricotta e noci, decorare con i fichi tagliati a spicchi.

SCRIGNI© CON “GORGONZOLA DOP” E CIOCCOLATO RUBY
PER 4 PERSONE 4 Scrigni© con
DOP” e cioccolato Ruby 4 pere Williams g. 60 di ricotta
10
e tritate 4 fichi freschi 1 rametto di timo g. 100 di acqua g. 100 di zucchero succo di mezzo limone
INGREDIENTI
“Gorgonzola
di pecora zucchero a velo q.b.
noci Pecan tostate
DI PERE, ROCHER DI RICOTTA E NOCI PECAN,
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CON GAZPACHO
FICHI E TIMO CARAMELLATI A FREDDO

SCRIGNI© CON “GORGONZOLA DOP” E CIOCCOLATO RUBY

CON CREMA DI ZUCCA E MISO, CAROTE IN OSMOSI, UOVA DI TROTA E POMODORO ESSICCATO

INGREDIENTI

PER 4 PERSONE

g. 360 Scrigni© con “Gorgonzola DOP” e cioccolato Ruby

1 zucca Hokkaido

1 cucchiaio di Miso

8 carote piccole con il ciuffo g. 10 di uova di trota pomodoro essiccato q.b. sale q.b. aglio erbe aromatiche olio evo acqua

PROCEDIMENTO

Pulire la zucca e tagliarla a spicchi. Allestire un grande cartoccio con la zucca, le erbe aro matiche e 3 spicchi d’aglio, chiudere il tutto e cuocere in forno a 200 °C per 30 minuti. Dopo la cottura, togliere l’aglio e le erbe aromatiche, omogeneizzare la polpa di zucca con il miso e poca acqua, aggiustare di sale e tenere in caldo. Pelare e lavare le carote, lasciare il ciuffo, in base al peso aggiungere il 2% di sale, mettere tutto in busta sottovuoto con acqua a coprire. Sigillare e cuocere a vapore per 8 minuti a 100 °C. Verificare il grado di cottura: devono rimanere croccanti.

IMPIATTAMENTO

Versare la crema di zucca alla base del piatto, posizionare gli Scrigni©, togliere dalla busta e asciugare le carote, tagliarle secondo il proprio gusto, disporle sopra gli Scrigni©, alternare con le uova di trota e spol verare con i petali di pomodoro essiccato, finire il piatto con un filo di olio evo e decorare con le carote intere.

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SCRIGNI© CON “GORGONZOLA DOP” E CIOCCOLATO RUBY

COTTI IN ESTRAZIONE DI BACON, TARTARE DI ANANAS E SALSA GUACAMOLE

INGREDIENTI

PER

4 PERSONE

g. 360 di Scrigni© con “Gorgonzola DOP” e cioccolato Ruby g. 300 di bacon tagliato a fettine g. 150 di ananas g. 100 di salsa Guacamole paprika dolce affumicata q.b. acqua microfiltrata q.b.

PROCEDIMENTO

Tostare in padella molto calda le fette di bacon, raccogliere il tutto in un sacchetto da sottovuoto, pesare e aggiungere il doppio del peso di acqua microfiltrata, sigillare la busta e cuocere a vapore per 2 ore a 83 °C. Far riposare per 30 minuti, filtrare il liquido in un pentolino e fare ri durre della metà.

Pulire l’ananas, grigliarlo su piastra rovente pochi minuti, far raffred dare e tagliare a cubetti per crearne una tartare. Cuocere gli Scrigni © nell’estrazione di bacon.

IMPIATTAMENTO

Con un cucchiaio fare una virgola nel piatto con l’estrazione di bacon ristretta, adagiarvi sopra gli Scrigni©, alternando la tartare di ananas e la salsa Guacamole. Spolverare con la paprika dolce affumicata.

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SCRIGNI© CON “GORGONZOLA DOP” E CIOCCOLATO RUBY

CON MOSTO COTTO DI UVA FRAGOLA E NAMELAKA AL CIOCCOLATO

INGREDIENTI

PER 4 PERSONE

4 Scrigni© con “Gorgonzola DOP” e cioccolato Ruby g. 500 di uva fragola pulita e senza raspo g. 250 di zucchero g. 125 di cioccolato fondente al 70% g. 100 di latte intero g. 200 di panna fresca g. 5 di miele g. 5 di colla di pesce

PROCEDIMENTO

Per il mosto cotto Mescolare l’uva con lo zucchero, portare a ebollizione e fare cuocere 20 minuti circa come per una marmellata. Far raffreddare.

Per la Namelaka Tritare a coltello il cioccolato e farlo sciogliere in microonde oppure a bagno maria. Scaldare il latte con il miele e sciogliere la colla di pesce. Versare il latte sul cioccolato fuso e mescolare con il minipimer, aggiungere a filo la panna sempre mescolando. Mettere la pellicola a contatto e fare riposare per 12 ore, dopodiché inserire in sac à poche.

IMPIATTAMENTO

Con l’aiuto di un coppapasta versare alla base del piatto il mosto cotto, disporvi sopra lo Scrigno e le gocce di Namelaka, decorare con l’uva fragola.

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A SAN GIACOMO DEGLI SCHIAVONI CIAN DAL 1976 IL MARE IN COLLINA

È nella loro natura: i piccoli borghi, frammenti di un’Ita lia da riscoprire con incanto (prima che sia troppo tardi), nascondono dei tesori, spesso anche enogastronomici.

San Giacomo degli Schiavoni, comunità molisana dell’entroterra di Termoli che anticamente ospitò molti croati in fuga dai turchi (che contribuirono a ripopolare il borgo collinare distrutto dal terremoto), è gelosa cu stode di alcune rarità. Il cazzotto per esempio: assomiglia al culatello, ma ha i suoi segreti, come la stagionatura per 12 mesi sotto grasso di maiale. La macelleria di Pasquale Berchicci ne ha fatto il prodotto bandiera, come del resto la ventrici na e il fegatazzo (salsiccia fatta con interiora di maiale).

Vetrina del gusto e delle tante cose buone che si produ cono nel territorio di questo piccolo paese del Molise è il ristorante Cian dal 1976 (foto 1).

La chef patron del locale è Miriana Lanzone , (foto 3)

giovane avvocatessa che ha deciso di raccogliere l’e redità del fondatore, ovvero di papà Bruno. Il ristorante si è trasferito a San Giacomo degli Schiavoni da non molto: in origine era a Termoli. Nel giugno scorso una inattesa fiammata di popolarità con la vittoria di una puntata di un famoso programma televisivo ha aiutato a divulgare i valori culinari ereditati in famiglia: “Cian, dal 1976” si è sempre segnalato per una cucina di mare curata e di sostanza, con piatti di pesce (l’Adriatico è a una manciata di chilometri) so stenuti da una materia prima schietta e da cotture cali brate. Piatti che vanno al sodo con eleganza, capaci di smarcarsi dal “già visto”.

Da non perdere i campofiloni alla Cian, ovvero tagliolini tirati a mano saltati con scampi, cicale, granchi, gambe retti e calamari (foto 2): da soli valgono la visita al Cian. È uno spettacolo vedere arrivare le pirofile fumanti di tagliolini dopo l’ultimo colpo di padella.

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Ma valgono il viaggio i caratteristici taccozzi alla petarola (antico piatto termolese, considerato l’an tesignano del brodetto di Termoli), la panzanella, la gallinella in umido, la frittura di paranza, la spigola...

Fra i tavoli si muovono camerieri giovani (un pri vilegio di questi tempi) che danno vita anch’essi a una scena che ha del teatrale. L’ambiente è curato e impreziosito da tocchi raffinati, anche negli arredi.

CREMA DI ZUCCA CON GNOCCHETTI DI SEMOLA, GAMBERETTI AL VINO BIANCO IN CROCCANTEZZA DI PASTA KATAIFI

INGREDIENTI

Per la crema g. 500 di zucca • 2 patate medie • cipolla • porro • vino bianco • sale e olio Sbucciare e tagliare a pezzi la zucca e le patate. Soffriggerle in una pen tola a bordi alti in un po’ d’olio, cipolla e porro in parti uguali. Unire suc cessivamente la zucca e le patate, far rosolare e sfumare con vino bianco, sempre mescolando. In seguito aggiungere tanta acqua quanta ne serve a coprire le verdure. Far cuore il tutto, mescolando di tanto in tanto ag giungendo un po’ d’acqua, se occorre. A cottura ultimata regolare di sale, togliere dal fuoco, frullare e, con l’aiuto di un colino, filtrare la crema ottenuta per evitare eventuali impurità.

Per i gamberi Gamberi bianchi (2/3 a persona) • vino bianco q.b. • olio, sale e pepe q.b. Pulire i gamberi togliendo il carapace e la testa e mantenendo la coda eliminando il filo nero “intestino”. Unire tutti gli ingre dienti in padella e portare a cottura.

Una bella sosta, non c’è che dire. Anche dopo aver preso un “cazzotto” in macelleria... A San Giacomo degli Schiavoni non fa male neanche quello.

Nel piccolo borgo, che un tempo fu abitato anche dai Templari, ci sono tante belle cose da vedere, come le affascinanti case rupestri ricavate in grotte preistoriche, la torre dell’orologio della Chiesa del Rosario, la chiesa valdese di San Giacomo (costru ita un secolo fa), la fontana delle conchiglie, le sto riche porte e alcune caratteristiche abitazioni del borgo. Qui infatti è passata tanta storia, ne è prova anche qualche reminiscenza linguistica dalmata lasciata dai primi coloni croati nel XV secolo.

Ristorante Cian dal 1976 Vicolo del Tempio, 17 86030 San Giacomo degli Schiavoni (CB) Tel. 392 506 1610

Per gli gnocchetti di semola 1 pugno di farina di semola rimacinata • acqua q.b. Versare sulla spianatoia la farina aggiungendo acqua q.b., formare un panetto dalla consistenza non troppo morbida. Prelevare delle piccole quantità d’impasto, formare dei filoncini sottili dello spessore di qual che millimetro e tagliare con coltello a lama liscia dei piccoli pezzetti per formare gli gnocchetti. Cuocerli in acqua bollette, fino a che non risalgo no a galla, scolarli e condirli con un filo d’olio.

Per la pasta Kataifi pasta Kataifi, olio, sale e pepe q.b. Stendere la pasta Kataifi in teglia allo spessore di mezzo centimetro, con dire con un filo d’olio, sale e pepe. Infornare a 180 °C fino a doratura.

IMPIATTAMENTO

In un piatto fondo versare un mestolo di crema di zucca, al centro posi zionare un cucchiaio colmo di gnocchetti, adagiarvi sopra due/tre gam beretti al vino bianco, irrorarli con il loro sughetto ed infine prelevare una quantità modesta di pasta Kataifi croccante e posizionarla sui gam beretti, eventualmente con una spolverata di prezzemolo.

27 Cian dal 1976

IN BASILICATA

AL DUOMO, RISTORANTE AL FEMMINILE NEL CUORE DI POTENZA

Quattro moschettiere! Un ristorante tutto al femminile, a cominciare dalle tre titolari: Giusy Calvano , Mary Zirpoli e Rosa Solimeno , alle quali si è poi aggiunta la chef Ramona Dima . Tre amiche che covavano il sogno di aprire un ristorante e che non si sono arrese nemmeno davanti ai tempi dilatati della pandemia. Il ristorante tutto in rosa è “Al Duomo” di Potenza.

Un bel locale nel cuore storico del capoluogo della Basi licata, capace di esprimere una cucina dai tratti raffinati seppur ben annodata alla tradizione.

Il ristorante è uno scrigno con le pareti faccia a vista, che sottolineano una scelta di stile anche nelle forme esteriori: arte e pietra, bellezza e sostanza. La pasta è fatta in casa, anche quella ripiena, a testimonia re un legame forte con certe pratiche della cucina popola re lucana. Il peperone crusco è protagonista, come nel re sto di questa regione del Sud, reso friabile da una cottura che richiede perizia. Saporita come si deve la parmigiana in crosta, come pure le bombette d’agnello con pecorino di Moliterno. Fra i primi spiccano le lasagne con i fagioli del Pantano e salsiccia lucanica, nonché le trippe, preparate con patate olive e fagioli Non mancano gli strascinati, un formato di pasta tipico della zona. Gustosi anche gli schiaffoni, che sono dei pac

cheri con cime di rapa in doppia consistenza. Per chi fosse attratto dalla cucina dei pastori, è consigliata la grigliata lucana a base di agnello e di salame pezzente della montagna lucana.

Carta dei vini che gioca in casa, grazie a un vasto assor timento di Aglianico del Vulture, accanto ad altri vitigni autoctoni della Basilicata. Il servizio è familiare e attento a trasmettere i valori del locale e del territorio di apparte nenza, come è giusto che sia.

Al Duomo è un buon punto di partenza per conoscere più da vicino Potenza, il capoluogo di regione più alto d’Italia, con i suoi 819 metri, in questo seconda fra i capoluoghi di provincia soltanto a Enna.

Città che si erge sulla valle del Basento, fiorente già prima dell’arrivo dei Romani (che la distrussero e poi la ricostru irono) e che conobbe un certo sviluppo anche nel perio do dei Longobardi, è ricca di chiese (la duecentesca San Francesco e la romanica San Michele), di palazzi e di belle piazze. Brilla d’arte di buon gusto il piccolo teatro, con i suoi palchetti che lo rendono una bomboniera.

Imperdibile la visita al Museo archeologico provinciale che presenta un corredo di reperti dall’Età del Bronzo all’epo ca romana, di assoluto valore.

28 Golavagando
Al Duomo Via Andrea Serrao 85100 Potenza (PZ)
Tel. 0971 1790114

CUBI DI PARMIGIANA DI MELANZANE CROCCANTI

INGREDIENTI PER 4 PERSONE

g. 800 di melanzane g. 500 di passata di pomodoro 1 scalogno g. 250 di farina di riso g. 250 di scamorza lt. 1 di olio di arachidi olio evo q.b.

PREPARAZIONE

sale q.b. panko q.b. pangrattato q.b. parmigiano grattugiato q.b. 12 foglie di basilico 2 uova

1 peperone crusco di Senise essiccato

Pulire e tritare lo scalogno, metterlo in un tegame con 2 cuc chiai di olio evo e far rosolare, poi aggiungere la passata di pomodoro e mescolare. Regolare di sale, unire 4 foglie di basi lico e far cuocere a fuoco lento per 20 minuti. Nel frattempo tagliare a cubetti la scamorza e tenere da parte. Lavare e mondare le melanzane; affettarle per il senso della lunghezza ottenendo delle fette dello spessore di circa 5 mm, infarinarle e friggerle nell’olio di arachidi a 170 °C fino alla doratura, per poi scolarle su carta assorbente.

Versare in una pirofila di 20×30 cm un po’ di sugo e disporre le fette di melanzane con un pizzico di sale. Aggiungere un altro po’ di sugo, alcuni cubetti di scamorza, del parmigiano grattugiato e qualche foglia di basilico. Ripetere l’operazione posizionando le melanzane in senso contrario e continuare così fino ad arrivare all’ultimo strato, concludendo con salsa di pomodoro e spolverata di grana. Mettere la pirofila in for no preriscaldato a 180 °C per 40 minuti per poi farla riposare fino al completo raffreddamento.

Usando delle formine quadrate coppare la parmigiana; im mergere i cubi in una pastella di uova e farina di riso quindi passarli in un mix di panko e pangrattato. Per ultimo friggere i cubi nell’olio di arachidi fino a doratura e adagiarli sulla carta assorbente. Cuocere il peperone crusco in acqua bollen te per 1 secondo per lato. Servire il cubo di parmigiana su un letto di salsa di pomodo ro, qualche foglia di basilico e accompagnarlo con il peperone crusco.

firmato IL NATALE Loison

Sono 16 i nuovi gusti dei panettoni Loison, dal 1996, con il pregio degli aromi naturali che costituiscono un valore aggiunto. Ma sono le raffinate collezioni di Sonia Design a vestire di Natale le creazioni di Dario Loison.

La collezione 2022 vuole invitarci a sognare con il cuore dei più grandi guardando il mondo con gli occhi dei bambini: racconta spaccati di giornate invernali disegnate con un suggestivo tratteggio retrò.

LATTA XVI LIMITED EDITION

La latta quest’anno ci conduce tra pittoresche stradine innevate, arricchite da vetrine di Gift shop e pasticcerie cariche di dolci golosità. È realizzata con 3 livelli di rilievo per dare profondità sensoriale. La latta si declina in 5 gusti: il tradizionale Classico a.D. 1476 , con pregiati canditi di arance di Sicilia e cedro di Diamante; NeroSale, il goloso panettone al cioccolato e caramello salato; Mandarino Tardivo di Ciaculli, presidio Slow Food, inimitabile grazie alle fragranze aromatiche; Pistacchio Matcha , dal cuore di crema di pistacchio verde di Bronte Dop e copertura di cioccolato bianco e polvere di tè verde Matcha; Regal Cioccolato, con selezionato cioccolato cru monorigine e crema al cioccolato.

www.loison.com

A ROMA QUARTINO

La nuova enoteca con cucina di Piazza Vittorio

Un luogo dedicato alle grandi etichette italiane e fran cesi con una cucina moderna e trasversale che parte dalle eccellenze gastronomiche nazionali e internazio nali. Questo è Quartino , l’enoteca aperta dagli impren ditori Marco e Giacomo Wu a Piazza Vittorio Emanue le II a Roma, una cantina di rilievo con 2000 etichette di qualità presenti anche in mescita ed una proposta culinaria in armonia con la ricca carta dei vini.

Marco e Giacomo, proprietari anche di Astemio (sem pre a Roma, in via Cavour) e di un’altra enoteca a Milano, puntano così su una proposta ideale per gli appassionati di grandi etichette e del buon cibo, con uno spazio di 80 metri quadri più cucina, firmato dal lo studio RPM Proget di Roma, che ha reso Quartino originale con alcuni elementi unici come il pavimento di recupero in stile Liberty dei primi anni del ’900, che

grazie al legame estetico con il porticato e la piazza dona continuità storica al luogo.

Un locale studiato per essere funzionale ma anche classico ed elegante, arredato con alte scaffalature in ferro affiancate da cubi e mensole in legno di rovere, tutti dettagli che gli conferiscono un’atmosfera calda ed accogliente.

Un grande banco cocktail bar è accostato a divani, se die e poltroncine eleganti e confortevoli.

Un progetto il cui valore è ulteriormente sottolineato dai decori e delle scelte cromatiche nei toni dei beige e del bordeaux, in relazione con il mondo del vino.

La sala ha una capienza interna di 26 posti comodi e distanziati, con la disponibilità di altri 24 all’esterno nel salottino sotto i portici di questa grande piazza, ormai recuperata dal degrado degli anni recenti, oggi luogo di residenza di attori e registi, come il premio oscar

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Quartino

P.zza Vittorio Emanuele II, 103 00185 Roma (RM) Tel. 06 445 3865

I fratelli Wu, impegnati da tempo con i genitori (giunti in Italia nel lontano 1976) nell’esportazione di grandi vini in Cina e nella distribuzione all’ingrosso di pro dotti per i ristoranti cinesi in Italia, hanno colto al balzo l’opportunità per proporre una realtà che potesse conquistare gli appassionati grazie ad un’offerta di vini con pochi eguali: “La nostra cantina, situata al piano sottostante, può vantare vini italiani ed esteri, francesi in particolare (Borgogna, Bordeaux e Champagne), bottiglie di maison rinomate, ma anche di piccole re altà produttive. C’è spazio anche per i vini biologici, in costante evoluzione grazie ad un lavoro di ricerca frutto della preziosa collaborazione della sommelier Jacqueline Margaret Capuzzi ” sottolinea Marco.

La filosofia di Quartino è semplice ma efficace: rendere accessibile ogni prodotto a tutti, anche quelli di fascia alta, soprattutto grazie alla mescita di bottiglie come il Conterno Monfortino, il Sassicaia, il Tignanello e il Brunello di Montalcino Poggio di Sotto, e di champagne come il Louis Roederer, il Pol Roger, il Moet Hennessy, il Dom Perignon e il Krug, che variano ogni due settimane. Un locale “democratico” con vini per tutte le tasche, con la possibilità di avere gli stessi co sti sia che si consumino in enoteca, sia che siano da asporto.

Mauro Geria , mastro formaggiaio e degustatore, si è occupato della selezione delle materie prime, cercan do sul territorio nazionale aziende artigianali di pregio per costruire con i loro prodotti un menù semplice ma gustoso, per fare in modo che al bere bene potesse esser associata una serie di piatti che puntano su sa pori diretti.

“Proponiamo una cucina tradizionale e romana, rigo rosamente stagionale, che gioca con le materie prime, per dar vita a piatti intriganti, adatti ad abbinarsi con i vini da noi selezionati” afferma Marco.

Un menù trasversale nel quale trovano spazio non solo proposte semplici come le bruschette, ma piatti come la tartare di filetto di manzo aromatizzata con il cognac, fondo a base di acciughe e prezzemolo e capperi di Pantelleria , le fettuccine al ragù d’anatra con sbriciola ta di noci e mirtillo e i tonnarelli con guanciale e cipolla caramellata .

Da non dimenticare anche la proposta di carne (co stata di manzo, costolette di agnello) e di pesce (frit tura, polpo arrosto con purea di patate), la selezione di ostriche, i dumpling con salsa ai funghi , il bao con pulled pork e i taglieri di salumi e formaggi con una straordinaria selezione che comprende anche Patane gra, Salame dei Bradi Toscani, Cinta Senese, Prosciutto Sant’Ilario, Brisket di Angus e, tra i formaggi, il premiato Blu River dell’Oregon.

Presente anche una Drink List con otto grandi classici della miscelazione e altri cocktail realizzati personal mente da Marco, da tempo appassionato di Mixology.

Paolo Sorrentino e i colleghi Matteo Garrone e Mimmo Calopresti.
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A FIRENZE

IL LOCALE

Un palazzo nobiliare nel centro storico di Firenze. Un favoloso bancone – ponte di comando di una nave che naviga il mare del bere-bene insieme - è al centro della sala; nelle librerie che coprono intere pareti non sono al lineati libri ma bottiglie di liquori. Questa sala, un tempo corte a cielo aperto per carri e carrozze, e più di recente una falegnameria, oggi è chiusa da copertura a vetri, con le pareti decorate da un giardino verticale. L’arredamento di tutto il piano terra, composto da nu merose sale e salette, coniuga la fantasia, mobili di anti quariato insieme a oggetti di design. Niente è scontato, tutto è immaginifico, e si gioca al rimando continuo dal contemporaneo all’antan.

Palazzo Concini a metà del 1500 fu la residenza di Bar tolomeo Concini, primo segretario di Cosimo de’ Medi ci, ma la storia dell’edificio è molto più antica; al piano inferiore si susseguono 400 mq di caratteristici ambien ti: si inizia dall’epoca etrusca, si prosegue con reperti di epoca romana, quindi si arriva al 1200 quando il Palazzo diventò proprietà della famiglia Bastai Ritaffe. Nel ’500 tutto il piano inferiore fu adibito ad uso della servitù. Di tanta storia rimangono due cucine praticamente in tatte, il maestoso focolare, il forno per il pane, una sala da pranzo, il pozzo e la lavanderia con l’acquaio, uno dei più grandi d’Italia, una pietra monoblocco con un ingegnoso sistema che permetteva all’acqua piovana di cadere a scroscio come da rubinetto. Oggi questi spazi sono usati come cantina dei vini e per cene ed eventi privati. Nelle sale al piano superiore oltre al Cocktail Bar, anche il Ristorante dove è chef Simone Caponnetto (1990) fiorentino, tornato in Italia dopo un

decennio trascorso prima in Australia, poi al tristellato Waterside Inn, sulla riva del Tamigi, successivamente in Giappone come chef de partie della brigata di Yoshihi ro Narisawa, due Stelle Michelin a Tokyo. Per più di un anno con Heinz Beck, prima a La Pergola di Roma, poi a Montecarlo. in seguito al Mugaritz di San Sebastian. Cucina contemporanea la sua, dove le competenze tec niche si accompagnano alla ricerca, dove il ricordo del la tradizione si rinnova nell’invenzione di una cucina che privilegia sostenibilità, leggerezza e benessere, e dove il gusto è proposto con accostamenti insoliti che giocano con successo anche a sorprendere l’ospite.

La proposta dei vini è affidata all’head sommelier Stefa no Rizzi , veneto, per sei anni sommelier all’Enoteca Pin chiorri. Poi a Londra al Demoiselle Petit Bistro gestito da Chris & Jeff Galvin - gli unici fratelli al mondo ad aver ricevuto entrambi la stella Michelin - e a la Perrier-Jouët Champagne Terrace sul rooftop di Harrods.

Il cocktail bar, quest’anno 51° posto nella World’s 50 Best Bars, è guidato da Matteo Di Ienno , (miglior bar man 2022 per la Guida di Identità Golose) che ha adibi to una delle sale del basement del Palazzo, a suo labo ratorio dove, con il suo staff, crea distillati, estrazioni e fermentazioni. General Manager del Locale è Faramarz Poosty che si occupa della gestione e supervisione dell’intera struttura.

Per ambiente, interior design, management e cucina, Il Locale è un luogo da non perdere.

Il Locale

Via delle Seggiole, 3 - 50122 Firenze (FI) Tel. 055 9067188

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Ars aemula Naturae

L’ARTE EMULA LA NATURA

Se è vero che “l’uomo è un mondo in miniatura”, “siamo quello che mangiamo”, “felicità è trovarsi con la natura, vederla e parlarle”, appare immediato il legame strettissimo che abbiamo con essa. Nel corso della storia filosofi e poeti si sono interrogati e hanno celebrato l’effetto della Natura sull’essere umano, giungendo tutti alla stessa conclusione: la Terra ci fa bene, ci migliora e ci insegna. Venite con noi nel viaggio alla scoperta del nostro Spirito.

Concept e foto: Sergio Supino Testi : Sonia Leo

L’Autorevolezza

IN CAMPO

Lui è Donato, contadino per scelta, cofounder dell’a zienda Spirito Contadino. In queste foto è ritratto con il suo collaboratore Ionut Alin che da diversi anni vive e lavora nell’amata Puglia, terra che non ha gli donato i na tali, eppure il legame che con lei sente è forte e viscerale.

Da sempre Donato ha amato vivere a contatto con la ter ra, assisterla, ammirarla, sorprendersi. I campi che condu ce insieme a suo fratello Antonio e alla sua famiglia sono un’eredità frutto di enormi sacrifici iniziati con suo nonno che scelse di lavorare da sempre nei suoi terreni. Sin da piccolo ha trascorso molto tempo ad aiutare sua madre, an

che lei contadina, con il privilegio di poter godere di tante albe, tramonti, profumi ed emozioni. Donato controlla l’in tera filiera produttiva, scegliendo metodi di coltura com pletamente naturali che prevedono buone pratiche agricole, senza l’utilizzo di nessun tipo di sostanza chimica. è la na tura stessa che gli suggerisce la giusta misura del tempo, delle stagioni, dei ritmi. Gli basta sfiorare una pianta per capire cosa è più o meno necessario alla sua maturazione.

Un protocollo rispettoso dell’ambiente e dell’identità contadina pugliese, custodito nell’esclusivo metodo di Agricoltura Biofilica, di cui siamo orgogliosi detentori.

Con le mani nella terra e lo sguardo al futuro

Nei campi di Spirito Contadino, tra le varie verdure scomparse, si coltivano i Friarielli. Sono ortaggi che raccontano la propria storia e quella del proprio ter ritorio da oltre tremila anni. Essenze ve getali ereditate dai nonni e che con or goglio, umiltà e dedizione continuiamo a portare avanti. I Friarielli di campo sono l’ingrediente cult della tradizione gastronomica pugliese, protagonisti dei raccolti dei lunghi autunni e inverni. Fanno parte di quella rosa di sapori che ti catapulta in Puglia al solo pensie

ro, di quella clorofilla brillante che sa di Apulia nell’immaginario mondiale.

Un alimento semplice e complesso, che avvalsi di intuito e d’esperienza noi rac cogliamo nel momento migliore quando la pianta inizia a svilupparsi e l’infiore scenza ha fiori ancora chiusi. Questo è il picco di qualità del prodotto e nessun macchinario o previsione scientifica po tranno sostituire l’esperienza in campo di chi tocca, odora e saggia la sua pianta.

LE CARATTERISTICHE ORGANOLETTICHE

DEI FRIARIELLI DI CAMPO

Il clima e il terreno pugliese sono adatti alla coltivazione di questo pre zioso ortaggio dalle diverse virtù per la salute e il benessere dell’organi smo. I Friarelli di campo sono ricchi di minerali, calcio, fosforo e ferro, vitamine, A, B2 e C. Grazie alla loro composizione svolgono preziose fun zioni disintossicanti, aiutando il corpo a depurarsi dalle tossine. Vantano prezio se proprietà antiossidanti, proteggono dall’anemia e rinforzano le ossa.

Un elisir di sana vita

che secondo alcune ricerche contribui rebbe a prevenire la formazione di tu mori al seno, stomaco, prostata, esofago, pancreas e colon. Inoltre, concorrereb bero a tenere sotto controllo la pressio ne, il colesterolo e il diabete, ma anche a proteggere l’apparato cardiocircolatorio e a migliorare la circolazione sanguigna. Non a caso la Natura è maestra di vita.

Tutto a vantaggio della leggerezza: queste qualità sono concentrate infatti in sole 22 Kcal per 100 grammi di pro dotto. Caratteristica che li rende ideali protagonisti di numerose ricette tradi zionali ma anche contemporanee, adatti ai nuovi stili alimentari dei nostri tempi.

La varietà di piatti che è possibile crea re è pressochè infinita, il vantaggio per gli Chef è di avere un concentrato di salute e freschezza da offrire ai propri ospiti in svariate forme gastronomiche. Richiedi i Friarielli di Campo al tuo distributore!

SANDWICH DI SOGLIOLA di Silver succi SASICC E FRIARILL di Gianni Di Lella

IN ALTA BADIA

LE MONTAGNE E LA NONNA ALLA STÜA DLA LÂ

Che l’Alta Badia, con i suoi picchi dolomitici rosasvet tanti, sia un luogo benedetto dagli dei della buona ta vola è cosa risaputa. Un po’ meno noto è come queste voluttuose divinità siano state capaci di far incontrare, in modo formidabile, una gastronomia autoriale a usi e modi ancestrali. Con il risultato che ingredienti poveri e ricette secolari, nobilitati i primi e modernizzate le seconde, assurgono ora a emblemi di cucina gourmet . Ci si può render facilmente conto della validità di quest’assunto accomodandosi a uno dei pochissimi

tavoli della Stüa dla Lâ (stube della nonna, in lingua ladina), all’interno dell’ hotel Gran Ander , a Badia. Qui, fra avvolgenti pareti di legni antichi, il giovane proprietario e cuoco, Andrea Irsara propone una car ta (ristretta e che muta giornalmente) basata su mate rie prime prodotte in valle, manipolate o ’contamina te’ in modo inconsueto. Così, per esempio, due must della montagna, cervo e funghi porcini , si trasformano in cappelletti in brodo, mentre il graukäse diventa una panna cotta salata .

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Svettano poi i tortelli di emmer (varietà di farro antico) ripieni di formaggio del maso Chi Prà su crema di aglio orsino, aghi fermentati e bottarga di gallina per la sottile e soave affumicatura, e il trancio di ombrina su crema di piselli e menta con funghi cardoncelli e quinoa soffiata per il bella cottura del pesce e il complesso prospetto gustativo.

Ad accompagnare l’esperienza un ser vizio solerte, curato da Evelyn , moglie di Andrea, e una cantina che, seppure non vastissima e centrata perlopiù sulla produzione regionale, permette di bere bene a prezzi corretti. Il conto, assai onesto, si aggira intorno ai 75 euro.

Hotel Gran Ander

La Stüa dla Lâ

Strada Runcac, 29 - Badia (BZ) Tel. 0471 839718 www.granander.it

Trancio di ombrina su crema di piselli e menta con funghi cardoncelli e quinoa soffiata.

Tortelli di emmer (varietà di farro antico) ripieni di formaggio del maso Chi Prà su crema di aglio orsino, aghi fermentati e bottarga di gallina. Stüa dla Lâ 39

A VENEZIA

AB - IL LUSSO DELLA SEMPLICITÀ

Il nuovo locale dello chef Alessandro Borghese

Lo chef Alessandro Borghese ha aperto “AB - il lusso della semplicità” nel Sestiere di Cannaregio a Venezia, occupando con un elegante e rispettoso restyling lo storico cinquecentesco Palazzo Vandramin Calergi, lo stesso del Casinò di Venezia, con ingresso direttamente dal Canal Grande. È qui, in mezzo a tanta bellezza, che il noto personaggio televisivo ha voluto creare il suo nuovo locale, raffinato ma dall’anima rock. Uno spazio unico da vivere come Ristorante Gourmet, Bistrot e Cocktail bar con spettacolare giardino sulla Laguna.

Lo stile del locale è moderno ma allo stesso tempo perfettamente inserito nel fascinoso contesto laguna re. Grande importanza, nelle scelte architettoniche, è infatti stata data ad elementi tipici della tradizione ve neziana, mentre il design degli ambienti mantiene un “fil rouge” con l’omonimo ristorante di Milano. Nelle 5 sale ideate per offrire agli ospiti diverse espe rienze di gusto trovano spazio il ristorante gourmet , il

bistrot con banco pasticceria , il bar e la cantina dei vini , che conta oltre 300 etichette. Gli spazi sono aperti, comunicanti, curati in ogni detta glio, dalla porta scorrevole tra sala e cucina che ritrae lo chef Alessandro Borghese in modo ironico ed iconi co, ai colori luminosi scelti per le pareti ed il pavimen to, elementi che conferiscono all’ambiente un aspetto armonioso e dinamico.

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740 mq. l’area occupata, di cui 400 di stribuiti internamente e 340 nel giardino, suggestiva e non consueta area verde che rappresenta un ulteriore punto di for za nel progetto di Borghese, essendo un luogo che, traendo spunto dai tipici "cic chetti" in uso presso i bacari, ne propo ne una personale rivisitazione a base di ostriche, capesante, sautè di coquillage e crudi di mare.

Già sold out per mesi fin dal giorno dell’apertura, avvenuta nel giugno scor so, il ristorante serve 80 coperti con una trentina di addetti in sala e in cucina, tutti giovani entusiasti e motivati.

Jacopo Gubert , 25 anni, è il manager del ristorante: nato nel mondo della ristora zione, la sua famiglia gestisce ristoranti e alberghi sulle Dolomiti. Innamorato della sua professione, si trasferisce a Venezia dove lavora per Hilton e Cipriani, forte

UNA SQUADRA GIOVANE
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AB - il lusso della semplicità

anche di un master in food and beverage mana gement all’ALMA, dove si qualifica come miglior alunno del corso. Nel periodo del lockdown, de cide di trasferirsi nel nord della Scozia in uno dei migliori club privati al mondo. Con lui Sebastiano Bodi , 26 anni, resident chef: giovanissimo, si è destreggiato nei campeggi del Cavallino, poi ha perfezionato la sua tecnica nei migliori hotel di Venezia cercando di apprendere il più possibile. Capo partita al Rosa Alpina di San Cassiano, è poi tornato a Venezia come executive chef del Bistrot de Venise e, successivamente, del Riviera.

I piatti che elaborano, di concerto con Borghese, rappresentano un chiaro richiamo alla tradizione veneta, con irrinunciabili digressioni nella più ri spettosa creatività. Ne sono un esempio i calamari fritti, erbette aromatiche, ponzu veneziana e mayo nese al cumino nero; il supplì al risotto di “secole”, oyster sauce e chutney di peperone; la picanha di manzetta veneta, il suo jus e finferli scottati ...

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Le linee delle apparecchiature Elec trolux Professional ben si inseri scono nel suggestivo contesto che le ospita. Non si tratta tuttavia solo di esteti ca, ma di funzionalità ed ergonomia: la prima è il risultato di una corretta collocazione delle apparecchiature, l’ergonomia, invece, è una delle ca ratteristiche che contraddistinguono le soluzioni Electrolux Professional, come i forni e abbattitori della linea SkyLine che, per la loro fruibilità e per il design conforme ai principi ergono mici, hanno ricevuto la certificazione a 4 stelle.

La cucina si sviluppa in aree diverse, dalla zona dedicata alla preparazione e alla cottura, all’area specifica della pasticceria, fino alle zone di conser vazione e lavaggio. L’area preposta alla preparazione e alla cottura è il cuore della cucina e si sviluppa longitudinalmente. Un arco dorato (foto 1) , perfettamente recu perato dall’architettura storica della location, ci ricorda il meraviglioso e prestigioso contesto in cui siamo e divide in due parti la zona stessa.

LE ATTREZZATURE 1 2 4 3 43

LINGUINE

ALLA BUSARA DI SCAMPI

INGREDIENTI PER 4 PERSONE

g. 400 di linguine • g. 700 di scampi freschi di media taglia • g. 400 di pomodori pelati freschi • lt. 0,4 di vino bianco • g. 80 di cipolla • g. 600 di aglio • g. 40 di olio evo • g. 40 di prezzemolo • g. 5 di aglio nero • g. 10 di acqua • g. 5 di germogli di prezzemolo • sale e peperoncino q.b.

PROCEDIMENTO

Sgusciare e pulire gli scampi, conservare i carapaci per la salsa. Mettere a stufare la cipolla precedentemente tagliata a julienne con olio, aglio e prezzemolo; quando risulta imbiondita, aggiungere i carapaci degli scampi e le teste private degli occhi. Tostare il tutto e aggiungere il vino e i pomodori dopo averli frullati; cuocere per un’ora. Filtrare e aggiusta re di sale e peperoncino. A parte emulsionare l’aglio nero con l’acqua e un filo d’olio d’oliva. Mettere una pentola d’acqua salata a bollire e cuocere la pasta. Su una pentola scottare gli scampi con un filo d’olio, tenendone 4 da parte per la decorazione.

Aggiungere la salsa “busara” e far cuocere 5 minuti. Scolare le linguine al dente e mantecare.

CON GEL DI AGLIO NERO E GERMOGLI DI

PREZZEMOLO

Impiattare posizionando uno scampo scottato sopra ogni nido di pasta. Decorare con l’emulsione di aglio nero, terminare il piatto con i germo gli di prezzemolo.

POLPO GLASSATO ALLA BRACE CON SALSA AJI AMARILLO, ZUCCHINE, FAGIOLINI, ALBICOCCA E CRESCIONE

INGREDIENTI PER 1 PERSONA

g. 140 di piovra t3 ’tentacoli’ • g. 10 di salsa Aji Amarillo • g. 15 di glassa piovra • g. 15 di piattoni • g. 10 di taccole • g. 20 di albicocche secche • g. 3 di crescione d’orto • g. 5 di olio al basilico

PROCEDIMENTO

Cuocere la piovra sotto vuoto a 82 °C per 4 ore. Raffreddarla in acqua e ghiaccio. Sbiancare i piattoni e le taccole in acqua bollente salata con 30 grammi di sale, raffreddarli in acqua e ghiaccio, asciugarli bene e condirli con olio al basilico e sale. Arrostire in padella i tentacoli di piovra glassando li con il fondo di piovra e impiattare.

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Entrando dalla sala, troviamo un’isola centrale therma line swissfinish (foto 3, 7, 9 e 13) completa di induzione, free coo king top e brasiera multifunzione; seguo no i banchi refrigerati con top unico in acciaio della linea ecostore HP e un for no SkyLine Premium S 6 GN1/1 (foto 12) . Oltre l’arco d’orato troviamo ancora mol to spazio di lavoro e conservazione grazie ai tavoli ecostore HP e una linea di cottu ra modulare 900XP (foto 2, 5 e 6) comple ta di piano a induzione a 6 zone, 2 cuoci pasta da 40 lt, un frytop NitroChrome3, 2 friggitrici da 9/10 lt e un sistema com pleto cook and chill composto da 2 forni SkyLine Premium S 6GN1/1 e un abbatti tore SkyLine Chill S da 50 kg.

Un’area a parte è interamente dedicata al mondo pasticceria dove vengono creati dessert unici e raffinati.

È in questa zona che troviamo le planeta rie da banco BE8 (foto 8) e la XBM20 da pavimento, ideali per preparare ogni tipo di impasto.

A supporto della cucina c’è la zona la vaggio (foto 4) , ariosa e completa di 2 cappottine con dispositivo di risparmio energetico (ESD) e una zona di stoccag gio che include una batteria di armadi re

frigerati ecostore (foto 11) tra i migliori sul mercato per efficienza energetica.

Un’altra cosa che “c’è ma non si vede” è la connettività, che è stata una delle ri chieste espresse dalla proprietà in fase di progettazione. Le apparecchiature Elec trolux Professional sono connesse con il sistema OneConnected che consente il monitoraggio da remoto delle macchine, permettendo di avere sempre sotto con trollo i parametri di funzionamento del le stesse, ottimizzando il loro utilizzo e i consumi energetici.

“Per il locale di Venezia volevo una cuci na Rock: tecnologica, funzionale, bella da vivere ma con un occhio di riguardo al ri sparmio energetico”.

Afferma lo chef Alessandro Borghese, e continua: “Electrolux Professional è stato il partner perfetto per questo locale, con professionalità e competenza ci ha ac compagnato dal progetto fino all’installa zione”.

Alessandro Borghese

Il lusso della semplicità Cannaregio, 2040 - 30122 Venezia (VE) Tel. 041 3086070

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IL PORTICCIOLO HOTEL CIPRIANI

È sempre bello tornare al Cipriani, e ogni volta scoprire che il Genius Loci continua ad abitare qui, dove storie antiche e imprenditoria moderna hanno realizzato un mix perfetto di radiosa ospitalità.

Cipriani - A Belmond Hotel - ha riaperto nella primave ra scorsa e Riccardo Canella è il nuovo executive chef del Ristorante Oro , ma anche chef responsabile del Cip’s Club , de Il Porticciolo e del Bar Gabbiano . Riccardo Canella ha lavorato con Gualtiero Marche si, Fabrizio Molteni, Massimiliano Alajmo e con René Redzepi come sous chef dell’acclamato Noma di Co penaghen per sette anni. Giovane (1985), padovano, ri torna nella sua terra d’origine con un ricco bagaglio di esperienze internazionali, consapevole della varietà che l’ambiente lagunare offre, e con il desiderio di arricchire le sue preparazioni delle materie prime locali, fresche, insolite, a filiera cortissima. Una gamma di prodotti ricchi di qualità organolettiche e di sapori. Il suo arrivo al Cipriani è una conferma di un momento importante in una rivoluzione gastronomica in atto in Laguna e non solo.

Il ristorante Il Porticciolo , si specchia in un panorama

di acqua, di verde e di cieli chiari, in estate tavoli sulla terrazza affacciata sulla Laguna e su San Giorgio, un servizio sorridente ed impeccabile, un ambiente di as soluta tranquillità e di informale eleganza.

Dalle ostriche alla pizza, dal pescato dell’Adriatico alle verdure della Laguna, il menù è light, dedicato non solo alla clientela dell’hotel, ma anche a chi non è ospite del Cipriani e desidera viverne l’armonia.

La carta declina, oltre ai crudi, piatti semplici di tradizio ne mediterranea, alleggeriti, strutturati in pochi ingre dienti di grande qualità,con aggiunte alghe, erbe, spezie, spesso trattate per essere struttura e non condimento; i sapori virano al fresco e al mare, la qualità è eccellente, i piatti, tutti – eccetto i dolci - preparati al momento.

Il Porticciolo Belmond Hotel Cipriani Giudecca 10 - 30133 Venezia (VE) Tel. 041 240801 - www.cipriani.com

A VENEZIA
di Teresa Cremona
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FABIO CORDELLA, DAL SALENTO AL GARDA CON IL MARE NEL DNA

Alla Veranda del Color

I bei ricordi dell’infanzia lasciano il segno e alimentano i sogni. Talvolta aiutano a rivelare qualità e talenti reconditi, persino a toccare le “stelle”.

Fabio Cordella li ha ancora nel cuore quei ricci di mare dello Ionio assaggiati crudi da bambino, tra gli scogli di Castellaneta... il luogo dove nel 1895, peraltro, nacque il famoso Rodolfo Valentino. Per Cordella, salentino di Copertino, quelle giornate di vacanza al mare con papà si sono rivelate nel tempo un imprinting forte: i ricordi ora affiorano e marcano il suo pensiero in cucina. Sì, perché Fabio Cordella è uno chef. E pure bravo...

Guida la cucina del ristorante La Veranda del Color di Bardolino, sul lago di Garda, che la stella Michelin se l’è appuntata al petto nel 2016, quando a guidare la cucina c’era il maestro di Fabio, Enzo Ninivaggi Cordella è stato bravo a difenderla l’anno seguente, la stella, quando dopo due esperienze da sous chef (pri ma anche con Giuseppe D’Aquino, sempre alla Veran da del Color) s’è trovato all’improvviso alla ribalta del palcoscenico.

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di Renato Malaman

RICCIOLA MARINATA

INGREDIENTI PER 4 PERSONE

Per la ricciola

1 ricciola • tartare di canocchie • lampascioni • g. 300 di sale grosso • g. 150 di zucchero • arance, limoni, pompelmi • timo • pepe Sfilettare la ricciola e togliere le lische, metterla in un reci piente con la parte della pelle sotto e cospargere sopra la com posta di sale, zucchero, le scorze di arance, pompelmo, limoni (tenere da parte il frutto per la composizione del piatto) timo e pepe. Lasciare marinare per 6 ore.

Per il dashi ml. 500 di acqua • g. 20 di katsuobushi • g. 15 di alga Kombu • aceto di riso • soia • rosmarino Riscaldare l’acqua e aggiungere il katsuobushi, poi aggiungere l’alga kombu, far sobbollire e non bollire per 10 minuti. Una volta raffreddato, aggiungere l’aceto di riso affumicato col rosmarino in precedenza e la soia.

Per il ribes g. 100 di ribes • g. 2 di Agar-agar Portare a bollire il ribes con l’Agar-agar; una volta raffreddato il composto, frullare, setacciare e mettere in biberon.

Per il sedano rapa g. 200 di sedano rapa • ml. 200 di latte fresco • ml. 200 di panna fresca • 1 patata • sale e pepe q.b. Cuocere sottovuoto il sedano rapa pulito in precedenza, aggiungere la patata cotta, aggiustare di sale e pepe e frullare. Mettere in biberon.

COMPOSIZIONE DEL PIATTO

Tagliare 3 cubi omogenei di ricciola, posizionarli nel piatto, creare due punti di ribes e sedano rapa, il frutto degli agrumi, i lampascioni e la tartare di canocchie; irrorare con il dashi a temperatura ambiente.

SPAGHETTI ALLE CIME DI RAPA

RICCI DI MARE E PANE CROCCANTE

INGREDIENTI PER 4 PERSONE

spaghetti • cime di rapa • ricci di mare • pane • olio d’oliva • limone

Per la crema di cime di rapa Pulire le cime di rapa tenendo da parte le foglie; sbollentarle in acqua e raffreddarle subito. Nell’acqua in cui sono state sbollentate le cime di rapa, cuocere le foglie. Nella stessa acqua andranno cotti anche gli spaghetti, pertanto non va buttata. Una volta cotte le foglie, frullarle con il Bimby aiutandosi con un po’ di olio d’oliva, fino a ottenere una consistenza liscia.

Per i ricci di mare Emulsionare la polpa dei ricci con olio d’oliva, poi tenere da parte.

Per il pane croccante Tagliare il pane di semola in piccoli pezzi, riscaldare in un pentolino un po’ di olio d’oliva e far tostare il pane fino a renderlo croccante.

COMPOSIZIONE DEL PIATTO

Cuocere gli spaghetti con l’acqua usata per le cime di rapa. Scolare gli spaghetti tre minuti prima della loro cottura e tuffarli nella crema di cime di rapa ultimandone la cottura. Adagiare gli spaghetti nel piatto, completando con le punte di cime di rapa, il pane croccante e i ricci di mare, grattugiare con una microplane un po’ di scorza di limone e servire.

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CAPESANTE SCOTTATE

CON FAVE BIANCHE, CIPOLLOTTO E SALSA AL CURRY

INGREDIENTI PER 4 PERSONE

Per le capesante

8 capesante • timo • olio d’oliva • burro • basilico Scottare le capesante con olio e una noce di burro da ambo i la ti, aggiungere sale, pepe, timo e basilico e glassare.

Per la crema di fave g. 50 di cipolla • g. 50 di sedano • g. 50 di carote • g. 150 di fave bianche secche • ml. 500 di brodo vegetale • 1 foglia d’alloro • 3 foglie di basilico Mettere in una pentola un po’ di olio d’oliva e aggiungere un battuto di sedano, aroma e cipolla, far stufare e aggiungere le fave bianche precedentemente lavate sotto acqua corrente. Aggiungere il brodo, una foglia di alloro, basilico e aggiustare di sale e pepe. Una volta cotte, frullarle.

Per il cipollotto

2 cipollotti freschi • timo • olio d’oliva Mondare e lavare accuratamente il cipollotto, porlo sottovuoto con l’aggiunta di sale e olio al timo, cuocere in forno a vapore a 80 °C per 35 minuti.

Per la salsa al curry ml. 200 di latte di cocco • g. 30 di tamarindo • g. 5 di coriandolo • g. 30 di zucchero muscovado • succo di 1 lime • 1 scalogno • 1 peperoncino • 1 pezzo di lemongrass • 3 foglie di alloro • g. 1 di cumino • 1/2 radice di zenzero • g. 0,5 di cannella • g. 0,5 curcuma • chiodi di garofano • noce moscata • cardamomo

In un pentolino inserire scalogno, peperoncino, zenzero, corian dolo, lemongrass, alloro, cumino, curcuma, noce moscata, can nella e mettere sul fuoco con 1 bicchiere di acqua, fino a densità collosa. Frullare il tutto e rimettere in un pentolino; quando inizia a cambiare colore aggiungere il latte di cocco e portare a ebollizione per circa 7/8 minuti. Poi aggiungere lime, tamarin do e zucchero di muscovado; infine frullare e filtrare a etamina.

COMPOSIZIONE DEL PIATTO

Mettere al centro del piatto un cucchiaio di crema di fave, ada giarvi sopra le capesante e al fianco il cipollotto tagliato a metà e passato col cannello, e irrorare con la salsa al curry.

51 La Veranda del Color

PETTO D’ANATRA

CON CREMA DI CAPRINO, KETCHUP DI ALBICOCCA, JUS DI ANATRA E PAK CHOI

Per il petto d’anatra 2 petti di anatra • cardamomo • grasso d’oca • sale e pepe Pulire i petti d’anatra, fiammeggiare la pelle con un cannel lo, scottare in padella con un filo di olio d’oliva, sale e pepe. Poi mettere sottovuoto con grasso d’oca, cardamomo e cuo cere a 62 °C a vapore per 18 minuti.

Per la crema di caprino g. 200 di caprino affumicato • g. 30 di mascarpone • ml. 40 di panna fresca • sale e pepe Frullare il tutto e mettere in un sac à poche.

Per il ketchup d’albicocca g. 370 di albicocche denocciolate • g. 40 di aceto di vino bianco • g. 20 di aceto balsamico bianco • g. 45 di zucchero di canna • g. 10 di zenzero grattugiato • olio evo q.b. • ¼ di cipolla • 2 chiodi di garofano

Far rosolare la cipolla e aggiungere il resto degli ingredienti; cuocere il composto lentamente in modo da poterlo asciu gare dal suo liquido, poi frullare il tutto avendo l’accortezza di togliere i chiodi di garofano. Far riposare in frigo per al meno un’ora.

Per la jus di anatra scarti di anatra • scalogno • timo • rosmarino • cardamomo • fondo di manzo Mettere in una pentola un filo d’olio d’oliva, far rosolare i pezzi di anatra e lo scalogno, aggiungere il fondo, le erbe e il cardamomo. Ridurre il composto della metà.

Per i pak choi 2 pak choi Sbollentare in acqua e bicarbonato per 30 secondi, poi raf freddare in acqua e ghiaccio.

COMPOSIZIONE DEL PIATTO

Scottare i petti di anatra, glassarli con il miele e infornarli a 180 gradi per due minuti; far riposare. Tagliare a metà il petto, aggiungere il sale maldon, il capri no, i pak choi scottati in padella, il ketchup e il jus.

52 GourmetFood

È stato lì che lo chef pugliese ha rivelato il suo talento, il suo equilibro e il suo senso di responsabilità. Dimo strandosi maturo per la sfida.

Nei piani di Claudio Manetti , il proprietario del Co lor Hotel , di cui il ristorante fa parte, La Veranda era predestinata a diventare (come poi è avvenuto) il fiore all’occhiello dell’albergo, un 4 stelle lusso capace di co niugare tutti i comfort della categoria con l’arte. Anzi, con un’arte dal linguaggio scanzonato, originale, talvol ta persino irriverente. Ma bella. È quella eclettica e fuori dagli schemi dello scultore Claudio Atocaio: i suoi ’pi nocchi’ sono onirici...

La cucina d’autore di Fabio Cordella, sempre in equili brio fra suggestione e concretezza, mantiene nel Dna il seme delle origini pugliesi del cuoco, ma presenta un mosaico genetico variegato e insolito: vi ritroviamo le tradizioni venete rivisitate con il rigore e la metodicità della cucina giapponese.

Una cucina fusion assai singolare, realizzata con fonda mentali solidi e disciplina nel corretto uso delle mate rie prime che devono emergere sempre, svelarsi dietro ogni paravento estetico. Va detto che Fabio Cordella non ha mai perso la semplicità delle origini, qualità che gli viene dall’amore per le cose buone, come quei ricci di mare raccolti col papà a Castellaneta...

Lui stesso ora è papà e quei valori ereditati in famiglia

sono il suo pane quotidiano.

A far risaltare la sua opera sono gli spazi del ristorante (alla veranda centrale fra piante ornamentali, arte e ve tri, si aggiungono in stagione i tavoli del bordo piscina) e, soprattutto, l’apporto fondamentale dei collaborato ri, dal maître Franco Crocco , alla sommelier Barbara Lazzaroni (le cui esperienze da sole varrebbero un rac conto), dalla pastry chef Teresa Colangelo , al respon sabile del bar Alessandro Venturini . Una squadra che vuole essere squadra e fare rete, aperta al confronto.

Per apprezzare al meglio la cucina di Cordella basta scegliere uno fra i sei menù degustazione a tema, il cui prezzo oscilla dai 65 euro (il vegano) ai 120 (quello di mare). Oppure ci sono due pacchetti ’tailor made’ alla carta: 60 euro due portate, 80 euro tre portate. La carta dei vini è all’altezza.

Sedersi ai tavoli della Veranda del color equivale a co gliere fusioni enogastronomiche inconsuete, nel conte sto suggestivo e pacato del lago.

La Veranda del Color

Via S. Cristina, 5 37011 Bardolino (VR) Tel. +39 0456 210857 www.laverandadelcolor.it

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HOTEL POSTA MARCUCCI

La

casa toscana di Michil Costa e la cucina d’amore di Matteo

Antoniello

Dalle Dolomiti alla Val d’Orcia. Da Corvara a Bagno Vignoni. Dall’hotel La Perla (una fra le strutture più affascinanti dell’in tero arco alpino, famosa anche per il suo ristorante La Stüa de Michil) all’hotel Posta Marcucci. Ecco il percorso di Michil Costa, albergatore fra i più illuminati e lungimiranti, che, dal 2017, ha rilevato la nota, storica insegna di questa località toscana ricca di malia.

«Sa cosa mi affascina di queste terre? La bellezza. Qui si vede, si respira... Eppoi c’è un’energia unica, e tanto di autentico. È per questo che, quando i Marcucci hanno deciso di vendere, dopo qualche esitazione iniziale dovuta al grande investimento economi co, i miei famigliari si sono decisi a comprare, perché innamorati di questa realtà. Ho seguito gli insegnamenti che mi ha dato mio padre: mi diceva che per avere successo non devi pensare tanto all’obiet tivo economico, quanto all’entusiasmo che deriva da una impresa».

E l’impresa era quella di trasformare e ammodernare una struttura, nata nell’Ottocento come locanda di posta, con quasi due secoli di storia alle spalle, senza tradirne lo spirito.

A BAGNO VIGNONI
di Gianluca Montinaro
GourmetFood 54

Senza snaturarne l’avvolgente atmosfera d’accoglien za fatta di mobili antichi, luce soffuse e tanta familiare gentilezza. Un’impresa non facile ma con un esito di successo che era già scritto nelle coincidenze. L’hotel La Perla nasce nel 1956. Nello stesso anno la famiglia Marcucci costruisce il corpo centrale dell’at tuale albergo su una vigna spiantata. È poi quando prende a sgorgare acqua calda nella piscina voluta nel giardino retrostante che inizia la fortuna di questa inse gna. Da allora l’acqua termale continua a fluire, a una temperatura di 49°, disponendosi poi nelle due vasche, in mezzo al verde giardino, a 38° e a 32°. Così, traso gnatamente bagnandosi, le membra trovano ristoro. Ma pure gli occhi e la mente si appagano, d’attorno, con scorci d’incanto, in una atmosfera di sospensione. Non è solo una questione di vile corpo. Qui è lo spiri to a essere coinvolto «perché – chiosa Michil – non ci sono clienti nelle case della famiglia Costa , ma ospiti. E l’ospitalità riguarda l’anima, va oltre il semplice atto di ’ospitare’ in casa propria: è un modo di essere che diventa accoglienza, un aprirsi verso il viandante che viene da me, per me e per la mia terra: e si interessa, rispetta i luoghi, cerca lo scambio, porta condivisione e quindi diventa parte di me, oste, che lo accudisco e fac

cio del mio meglio per regalargli l’esperienza migliore. A differenza del cliente che sfrutta, usa, abusa e poi se ne va a casa, non fidelizzato e senza lasciare alcunché di sé».

Su questi temi – non di poco conto perché, in ultima analisi, riguardano il rapporto che l’uomo ha col mondo – Michil ha anche pubblicato un suo saggio (FuTurismo. Un accorato appello contro la monocultura turistica , prefazione di Massimo Cacciari, Bolzano, Raetia, 2022, pp. 172, 17.90 euro) che analizza la deleteria ’industria lizzazione’ dell’economia turistica massificata e consu mistica, proponendo per contro un nuovo concetto di cultura dell’ospitalità, basata sui valori del bene comu ne, della sostenibilità, dell’identità e dell’umanità. Ovvio che, al Posta Marcucci come nelle altre case della famiglia Costa, alla tavola venga riservata una particolare attenzione: il cibo è, infatti, una via privile giata per conoscere e conoscersi, coinvolgere e condi videre. A guidare le cucine c’è il valente Matteo Antoniello (classe 1988) che, nato a Battipaglia e cresciuto fra i fornelli della trattoria di famiglia («già a sei anni aiutavo a sbucciare le patate»), si è formato – dopo la scuola alberghiera – fra i ristoranti della Costiera Amalfitana

Hotel Posta Marcucci Via Ara Urcea, 43 53027 Bagno Vignoni San Quirico d’Orcia (SI) Tel. 0577 887112 www.postamarcucci.it www.casacosta1956.it

Hotel Posta Marcucci

RISOTTO ALLA MORTADELLA

CON LIMONE CANDITO E PISTACCHIO INGREDIENTI PER 4 PERSONE

Per la crema di mortadella g. 200 di mortadella • g. 75 di panna da cucina

Per il limone candito 3 limoni • ml. 500 di acqua • g. 500 di zucchero

PREPARAZIONE

Per il risotto g. 350 di riso Vialone nano o Carnaroli • lt. 2 di brodo di carne • g. 100 di granella di pistacchio • vino bianco q.b. • parmigiano q.b. • sale, pepe e burro q.b.

Per la crema di mortadella: mettere in un contenitore la mortadella e la panna e frullare tutto fino ad ottenere un composto liscio e omogeneo. Per i limoni canditi: lavare i limoni e forarli con una forchetta. Mettere sul fuoco una pentola, unire acqua e zucchero e far sciogliere bene. Portare a ebollizione, ag giungere i limoni e lasciarli bollire per 5 minuti, togliere dal fuoco e lasciar raffred dare. Ripetere l’operazione due volte al giorno per 3 giorni, una volta la mattina e una la sera. Il quarto giorno prendere i limoni, aprirli a metà e privarli della polpa: serve solo la buccia candita. Una volta puliti, tagliarli prima a listarelle e poi a cubettini.

Per il risotto: tostare il riso in una padella a secco, senza l’aggiunta di grassi. Appe na risulta caldo al tatto, ma non bruciato, sfumare con il vino bianco ben freddo, in modo da creare uno shock termico che aiuti il riso a mantenere la cottura. Lasciar evaporare l’alcool dopodiché iniziare la cottura con il brodo caldo, facendo attenzio ne che il livello del liquido non superi quello del riso, altrimenti risulterebbe bollito. Girare spesso con un mestolo di legno, portare a cottura e iniziare a mantecare lonta no dal fuoco unendo la crema di mortadella, il limone candito a cubetti, il burro e il parmigiano. Scaldare a fiamma bassa senza far bollire e aggiustare di sale e pepe.

Servire in un piatto da portata e guarnire con granella di pistacchio.

e i grandi alberghi di Courmayeur. «Ma la mia vera crescita è iniziata nel 2015 quando sono approdato in Alta Badia, a La Perla . C’era Nicola Laera a dirigere la brigata: è stato il mio maestro. Ha una cono scenza favolosa dei prodotti, una grande professionalità e una pro fonda umanità. Non solo mi ha in segnato, per esempio, a cucinare la selvaggina e a utilizzare le erbe spontanee, ma soprattutto mi ha trasmesso l’incondizionato amore per questo lavoro».

La filosofia di cucina che regna, qui come a La Perla , si basa su un principio: quello di ricercare nel territorio circostante produttori di materie prime che lavorino con scienza e coscienza, stabilendo con loro un rapporto diretto fondato sulla fiducia.

«Per me è assai importante la qua lità. Non riuscirei a cucinare con ingredienti di scarso valore perché io da loro mi lascio ispirare: mi devono stimolare ed emozionare. Eppoi, ci sono istinto e sentimento perché i piatti – sostiene Matteo –quando li cucini, li devi innanzitut to amare. Si pensi alla parmigiana

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PICCIONE IN DOPPIA COTTURA

CON SCORZONERA, SPINACINI E CIOCCOLATO

INGREDIENTI PER 4 PERSONE

Per i piccioni

2 piccioni g. 100 di pangrattato farina 00 q.b. • uova rosmarino e salvia sale • olio evo

Per la purea di scorzonera g. 500 di scorzonera g. 500 di latte g. 200 di panna g. 50 di cipolla g. 500 di brodo vegetale g. 60 di burro • sale e pepe

Per la crema di spinacini g. 500 di spinacini olio evo • sale • 1 spicchio d’aglio

Per la jus al cioccolato le carcasse dei 2 piccioni 1 costa di sedano 2 carote • 1 cipolla 1 cucchiaio concentrato di pomodoro 1 bicchiere di vino rosso lt. 2 di brodo vegetale cioccolato fondente

PREPARAZIONE

Per i piccioni

Disossare i piccioni, precedentemente pas sati sulla fiamma, separare il petto e le co sce. Tenere da parte le carcasse con cui si preparerà il jus di piccione. Eliminare l’osso della sovraccoscia e la pelle, raccogliere la carne verso l’osso e avvolgere bene nella pellicola come a for mare una pallina; cuocere a vapore a 68 °C per 20 minuti. Lasciar raffreddare e impanare con la farina, passare nell’uovo sbattuto e infine nel pangrattato con trito di erbe.

Il petto verrà messo sottovuoto con olio e qualche rametto di rosmarino, sigillato e cotto a 68 °C per 3 minuti, dopodiché ro solato su ambo i lati facendo attenzione a non cuocerlo troppo ma a lasciare la pelle croccante. La coscetta invece andrà fritta poco prima di servire.

Per la purea di scorzonera Lavare e pelare la scorzonera, ta gliarla a rondelle e tenerla da parte.

Pulire e tagliare a julienne una cipolla bianca. Mettere in una casseruola e stufare con olio. Appena appassita la cipolla, unire la scorzonera e lasciar rosolare.

Coprire con brodo vegetale e latte, in modo da tenere il colore della radice bianco. In un pentolino far ridurre del 50% la panna. In un altro pentolino creare il burro noc ciola.

Appena cotta la scorzonera, scolarla dal liquido e aggiungerla nella panna ridotta, lasciar cuocere per 5 minuti circa; infine aggiungere il burro nocciola. Aggiustare di sale e pepe.

Per la crema di spinacini

Far appassire velocemente in olio e aglio gli spinacini e aggiungere sale. Mettere il tutto nel bicchiere del mi xer ad immersione e frullare fino a quando il composto non sarà liscio e omogeneo, se serve aiutarsi con del brodo vegetale.

Per il jus di piccione

In una casseruola mettere cipolla, sedano e carote, lasciar rosolare e infine aggiungere le ossa del piccione ben tostate. Unire il concentrato di pomodoro e sfumare con vino rosso. Coprire con acqua fredda e lasciar cuocere per almeno 6 ore a fuoco basso. Filtrare con un colino, sgrassare ed aggiungere il cioccolato fondente.

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Hotel Posta Marcucci

NAMELAKA ALLA MELA

INGREDIENTI PER 4 PERSONE

Per la namelaka alla mela g. 150 di latte g. 175 di purea di mela g. 225 di cioccolato bianco g. 7 di glucosio g. 7 di gelatina g. 300 di panna

Per l’uvetta alla vaniglia g. 20 di uvetta g. 1 di vaniglia g. 40 di olio evo

PREPARAZIONE

Per lo streusel alla cannella g. 100 di burro g. 100 di zucchero g. 100 di farina di mandorle g. 100 di farina 00 g. 1 di sale fino g. 2 di cannella

Per i pinoli tostati g. 20 di pinoli

Per la namelaka: in un pentolino riscaldare il latte con il glu cosio. Togliere dal fuoco e unire al latte ancora caldo sia la gelatina precedentemente ammollata in acqua fredda sia il cioccolato bianco fuso. Unire la purea di mela e la panna liquida. Frullare tutto con il mixer a immersione facen do attenzione a non incorporare troppa aria. Mettere il composto in frigo per 12 ore. Montare con una plane taria e mettere in sac à poche con bocchetta liscia.

Per lo streusel: nella tazza di una planetaria ver sare il burro plastico (a metà tra quello a pomata e quello freddo). Poi unire lo zucchero, la cannella e il sale. Azionare la foglia a velocità bassa, il tempo necessario per compattare gli ingredienti. Poi aggiungere tutta insieme la farina di mandor le e la farina 00. Una volta mescolati bene tutti gli ingredienti, spegnere la macchina. Versare sul piano da lavoro e compattare breve mente con le mani. Ottenere un panetto rettango lare e avvolgere nella pellicola. Lasciare raffredda re in frigorifero per almeno 1 ora. Riprendere l’impasto e sbriciolare con una grattugia a maglie grosse su un foglio di carta forno. Cuocere in forno caldo a 170 °C per 12 minuti.

Per l’uvetta alla vaniglia: reidratare l’uvetta in acqua fredda, scolarla, asciugarla e poi unirla all’olio e alla vani glia in un contenitore.

Per i pinoli tostati: tostare i pinoli in forno preriscaldato per 8 minuti a 180 °C.

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di melanzane: per me è l’amore, tanto che quando la preparo canto melodie napoletane».

Ed è una cucina solare la sua, sì tecnica ma soprattutto emozionale: netta e pulita, piena nei profumi e nei gu sti, rotonda e di grande piacevolezza.

A sostenerla, in abbinamenti sempre misurati, ecco poi l’uso sapiente della nota vegetale e aromatica o del la frutta a guscio che, variando entrambe sui registri dell’amaricante e della croccantezza, allontanano ogni pericolo di stucchevolezza.

E così, seduti a uno dei tavoli della meravigliosa sala da pranzo panoramica, che guarda laggiù l’orrido del fiume Orcia e la rocca di Tentennano lassù fra le nuvo le, si gustano sì ricette toscane di rivisitata tradizione («perché gli ospiti, tanto di casa quanto di fuori, se le aspettano») ma pure pietanze più complesse, ove sono chiamati in causa pesce di mare e prodotti di monta gna, arricchiti il più delle volte da spunti campani. Le origini non si dimenticano «e nella mia cucina infat ti – ammette Matteo – non mancano mai il pomodoro San Marzano, la provola, il caciocavallo, la colatura di alici di Cetara ... sono prodotti straordinari, e non potrei farne a meno».

Così, per esempio, i canederli sono proposti «alla to scana», ovvero impastati con spinaci e pecorino, su riduzione di carota e burro nocciola, i bottoni di pasta fresca sono farciti di pappa al pomodoro liquida men tre i tortelli sono ripieni di genovese e accompagnati da una girandola di aromi: San Marzano fumé, ricotta

salata e basilico. Tanto gusto anche negli antipasti e nei secondi piatti: succose cappesante appena scotta te allungano la loro nota di dolce grassezza su fegatelli e amaretti, il profumato trancio di ombrina si sposa con zucchine alla scapece e pecorino di Pienza, mentre la sontuosa suprema di fagiano in crépinette trova com pimento nella rapa rossa e nelle arachidi. C’è un piatto poi che Matteo ama particolarmente: il ri sotto Vialone Nano con mortadella di Bologna, pistacchi di Bronte e limone: «Vado pazzo sia per i risotti sia per la mortadella, ho quindi pensato di creare un piatto che mettesse insieme queste mie due passioni. Un piacere per me prepararlo: ci metto tutto me stesso!». Ed è, per chi si trova a tavola, un piacere mangiarlo: il riso tirato nella giusta maniera, la mantecatura perfetta, l’aroma avvolgente, le note croccanti e acide azzeccate... Come a La Perla (che possiede una selezione di eti chette fra le più vaste del nostro Paese), anche al Posta Marcucci il vino gioca la sua parte. La carta, già di bella ampiezza, spazia dall’Italia alla Francia, con un’ovvia predominanza di bottiglie to scane: Montalcino, Montepulciano, Chianti, Bolgheri... Nessuno dei produttori più blasonati manca, e al fianco di questi trovano spazio anche realtà meno conosciute ma di sicuro valore. David Falsetti , il giovane somme lier, non manca mai, poi, di proporre anche una vasta selezione al bicchiere, spingendosi (scelta lodevole ma purtroppo assai rara in Italia) anche su vini di pregio, di lungo affinamento.

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Foto di Stefano Butturini Hotel Posta Marcucci

CASA BERTINI

Poesia in cucina a Recanati

Del ’gobbetto’ di Recanati – Giacomo Leopardi –, sempre chino sulle «sudate carte», è noto il disagio verso la cruda realtà, il suo bisogno d’infinito, la trasfigurata passione per la figlia del cocchiere di casa, «la vanità del tutto», il pessi mismo... Nozioni, apprese controvoglia sui banchi di scuola, che a tanti hanno reso ’indigesta’ la figura del conte marchi giano, appiattendola sul palco di un mondo ottocentesco da farsa, fatto solo di tormenti dell’anima e slanci patriottici. Pochi sanno, invece, che il nobiluomo – oltre a essere un grande intellettuale (uno di quelli di cui tanto i nostri giorni avrebbero bisogno) – era anche un amante dei piaceri del la tavola, segno che, tutto sommato, la vita nei suoi aspetti minuti conserva sempre e comunque una sua dimensione di positività. E sin anche di bellezza. Ebbene, nel metafisico «borgo selvaggio» che lo ha visto na scere, fra le dolci verdi colline e l’abbacinante color sabbia degli antichi mattoni di case e palazzi, ha da pochi mesi aper to un meritevole locale, giovane e spigliato tanto quanto chi lo conduce. Casa Bertini si chiama, dal nome del cuoco, e proprietario: Andrea Bertini . Trentaquattro anni e tanta passione, Bertini, recanatese doc, dopo la scuola alberghiera nella vicina Loreto e alcune esperienze in trattorie e ristoranti della zona (dove si è fatto le ossa imparando a gestire con velocità numeri importan ti), approda alle cucine dello stellato The Cesar de La Posta

GourmetFood 60
di Gianluca Montinaro

Vecchia (uno dei relais più lussuosi d’Italia, che regolarmente ospita protagonisti del jet-set) di Ladispoli, frequenta quindi la prestigiosa Alma di Colorno (giungendo secondo sugli ottanta allievi del suo anno di corso) e quindi si tra sferisce per quattro anni All’Enoteca di Canale d’Alba, alla corte di Davide Palluda. Seguono poi due anni presso Mauro Uliassi, prima della decisione di tornare a casa, sull’«ermo colle», per aprire il proprio locale.

Va da sé che con queste esperienze – la cono scenza della grand cuisine internazionale, della ricca tradizione piemontese meditata e attua lizzata da uno dei suoi interpreti più valenti e della ’cucina assoluta’ del genio di Senigallia –Bertini abbia maturato una buona consapevo lezza delle molteplici possibili declinazioni di aromi e sapori.

Il rischio – casomai – una volta al comando del proprio locale, avrebbe proprio potuto essere una certa ’confusione’ nella proposta che, at tingendo qua e là, avrebbe rischiato l’imperso nalità. Così però non è stato.

I piatti di casa Bertini seguono un grande co mandamento: il palato. Sono piatti di gusto,

CONIGLIO “MORBIDO”

IN PORCHETTA

INGREDIENTI

Per il ripieno guanciale • pancetta tesa • finocchietto selvatico • salvia e rosmarino • olive Riviera

Per il coniglio 1 coniglio intero • sedano, carota e cipolla q.b. • ghiaccio • acqua fredda • vino bianco • sale e zucchero • spago o rete da macelleria

Per la salsa carcasse di coniglio • vino bianco Verdicchio di Matelica • mirepoix • mazzetto aromatico

Olio al finocchietto olio d’oliva • finocchietto selvatico

PROCEDIMENTO

Disossare il coniglio avendo cura di non creare buchi nella carne. Tostare le carcasse in forno assieme a sedano, carota e cipolla, mettere in una marmitta con del ghiaccio, acqua fredda e vino bianco. Lasciare a fiamma bassa in estrazione per 8 ore. Filtrare il tutto e far ridurre fino alla consistenza di una glassa. Passare al tritacarne tutti gli ingredienti per il ripieno, formare dei cilindri della misura desiderata e ri porre in frigorifero.

Formare dei fazzoletti di carne con il coniglio disossato, da farcire con il ripieno, arrotolare con cura, chiudere con del lo spago o aiutandosi con una rete da macelleria. Mettere a bagno in una salamoia formata da vino bianco, 50% sale e 50% zucchero per 24 ore. Scolare bene, condizionare sotto vuoto e cuocere a 68 °C per 8 ore.

Passare all’estrattore il finocchietto selvatico, aggiungere il succo all’olio d’oliva, frullando bene. Servire il coniglio nel piatto, nappandolo con la sua glassa e accompagnandolo con delle taccole al naturale, condite con olio evo e aceto balsamico.

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Casa Bertini

PLIN IN “POTACCHIO”

INGREDIENTI

Per la pasta all’uovo g. 500 di farina g. 400 di tuorlo

Per il ripieno 1 pollo intero rosmarino aglio pomodoro olive Riviera

sale spinaci vino bianco Verdicchio di Matelica

Per il fondo carcasse di pollo vino bianco Verdicchio di Matelica rosmarino salvia sedano carota cipolla ghiaccio acqua fredda

Asparago cacio e pepe.

Gnocco, pecorino di Fossa e cicorino.

PROCEDIMENTO

Impastare uova e farina e lasciare riposare un’ora circa in frigo rifero, ben coperto.

Preparare una mirepoix di sedano, carota e cipolla e tostare leggermente su un rondeau con abbondante rosmarino e aglio. Smontare il pollo, separare cosce, petti e alette da tutto il resto. Salare le parti carnose e arrostire in lionese, sgrassare e deglas sare con vino bianco e mettere nel rondeau. Bagnare con vino bianco le deglassature, aggiungere il pomodoro, le olive e lascia re andare fino a completa cottura. Spolpare le carni dalle ossa e passarle al tritacarne assieme a tutta la salsa. Aggiungere degli spinaci per donare sofficità all’impasto.

Tostare le carcasse in forno assieme a sedano, carota e cipolla, mettere in una marmitta con del ghiaccio, acqua fredda e vino bianco. Lasciare a fiamma bassa in estrazione per 8 ore. Filtrare il tutto e far ridurre fino alla consistenza di una glassa.

Stendere la pasta all’uovo e farcire con il ripieno, messo in un apposito sac à poche; chiudere con la tipica forma a saccottino del Plin.

Cuocere la pasta in abbondante acqua bollente e salata, scolare in una padella con del fondo ristretto di pollo e una noce di bur ro. Mantecare fino ad ottenere una glassatura perfetta e servire

Lumache alle erbette e scalogno fondente.

Trota dei Sibillini, suo caviale e taccole.

GourmetFood 62

pensati e realizzati in modo pacato. Niente sopra le righe, quindi, secondo uno stile lineare che, privilegiando la carne al pesce, pare trarre forte ispirazione dal territorio marchigiano e dai suoi usi, quasi come chiamando in causa un’ideale cucina di casa, pregna di vecchie ricette e di ri cordi d’infanzia. Ma c’è di più: la contemporanei tà si affaccia, in filigrana, nell’elemento vegetale che accompagna l’ingrediente principale, e che, come contrappunto, lo vivifica. Così, per esempio, il goloso gnocco (in realtà una grande mezzaluna) con pecorino di fossa è sposato all’amaro del cicorino selvatico e il soa ve filetto di trota dei Sibillini con il suo caviale e chips della sua pelle a delle taccole dolci e cloro filliche al contempo. Non mancano poi inflessioni piemontesi: la par te croccante delle sontuose lumache in umido (altro piatto tipicamente marchigiano) con er bette e scalogni fondenti è data dalle Nocciole Tonda Gentile, il pollo in potacchio (idem come per il precedente) diventa un plin dalla sfoglia superlativa, mentre il solo apparentemente mini male asparago cacio e pepe si rivela un centrato omaggio a Palluda e a uno dei suoi ingredienti feticcio.

Di classe il servizio, curato da Matteo Ressico (anche lui scuola Palluda, Ivana, in questo caso): ventiquattro anni appena, ma capacità e genti lezza da vendere, e tanta passione che traspare da occhi e sorriso. In fase di implementazione è invece l’ancora scarna cantina, perlopiù centrata su etichette locali (ma non mancano escursio ni fuori regione, Langhe soprattutto, insieme a qualche rada bottiglia francese). Più che onesto il conto: sui 50 euro, scegliendo due piatti alla carta e un dolce, altrettanto se si opta per il menù degustazione da cinque porta te, altrimenti 70 euro per quello da sette.

Casa Bertini

Via Le Grazie - 62019 Recanati (MC) Tel. 071 2363289

www.ristorantecasabertini.it

CAPRIOLO CON VISCIOLE E MANDORLE INGREDIENTI

sella di capriolo mirepoix burro salvia e rosmarino ghiaccio acqua fredda

vino bianco vino rosso mandorle fresche visciole aceto balsamico

PROCEDIMENTO

Sfilettare la sella di capriolo. Tostare le carcasse in forno assieme a sedano, carota e cipolla, porli in una marmitta con del ghiaccio, acqua fredda e vino bianco. Mantenere a fiamma bassa in estrazione per 8 ore. Filtrare il tutto e far ridurre fino alla consistenza di una glassa. Lavare le visciole fresche, asciugarle bene, metterle in barattoli di ve tro con zucchero semolato fino a coprire. Lasciar macerare per almeno 30 giorni. Ridurre lo sciroppo della visciola assieme ad aceto balsami co fino alla consistenza di una glassa.

Sbucciare le mandorle fresche. Tenerne alcune da condire con olio evo di Mignola che esalta l’amaro, e l’altra parte da grattugiare alla microplane.

Porzionare i filetti di capriolo, salarli bene e arrostirli con burro, salvia e rosmarino. Togliere dal fuoco e far riposare.

Impiattare, dividendo a metà il filetto del capriolo, salsare bene con fondo di capriolo, glassa di visciole e aceto balsamico, disponendo qua e là visciole e mandorle.

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Casa Bertini

BATÌ, L’AVVENTURA SUL MARE DI SABATINO LATTANZI

Una nuova apertura a Tortoreto Lido

Una manciata di chilometri divide Civitella del Tronto, con la sua enorme piazzaforte borbonica che fu ulti mo ed eroico baluardo contro l’esercito piemontese, dal blu dell’Adriatico.

Il mare è laggiù, ben visibile dagli spalti: sembra quasi che lo si possa toccare con la mano, sembra quasi di udire le onde lambire le scoscese pareti rocciose che circondano la cittadella.

Eppure, quei pochi chilometri paiono fare da spartiac que a due Abruzzi: quello interno, con la sua tradizio ne pastorizia e i suoi boschi montani; e quello costie ro, con i suoi usi marinari e le sue lunghe spiagge. Va da sé che pure la cucina muti radicalmente: la car ne cede il passo al pesce, e i prodotti della alimurgia agli ortaggi.

Proprio questa manciata di chilometri è il tragitto che, da pochi mesi, ha compiuto Sabatino Lattanzi (clas se 1988). Dopo esser stato per molti anni il respon sabile della cucina del blasonato Zunica 1880 , storica insegna ove si è fatto notare soprattutto per le sue

pietanze a base di pesce d’acqua dolce e per le sue interpretazioni dei piatti della tradizione teramana, Sabatino ha ora aperto un proprio locale, battezzan dolo col proprio soprannome, Batì , giusto sul lungo mare di Tortoreto Lido (Te).

Ora, in un ambiente dall’aria informale e contempora nea, con fuochi e forni a vista, e un bel dehors , propo ne la sua idea di cucina di mare, centrata tanto sulla qualità della materia prima quanto sui meditati abbi namenti che l’accompagnano.

Ai tavoli di Batì non è la tradizione a dettar legge, ma piuttosto una variegata messe di aromi, gusti e consi stenze che – con un certo tasso di complessità tecni ca – costruiscono l’architettura dei piatti.

Si lavora quindi su affumicature, disidratazioni, polverizzazioni e fermentazioni, come, per esempio, nel curioso dialogo fra due pannocchie – quella vegetale (abbrustolita) e quella di mare (il crostaceo) – ove io dio e affumicato si incontrano all’insegna della gras sezza dello Squillidae e della dolcezza del mais.

GourmetFood 64

OSTRICA E CAPRINO

INGREDIENTI

4 ostriche • 1 mela g. 250 di caprino g. 250 di latte di pecora succo di 1 lime

4 albicocche

PROCEDIMENTO

Frullare il formaggio di capra con il latte di pecora e il succo di lime, caricare in un sifone da pasticceria e met tere in fresco. Tagliare le albicocche in pezzi molto pic coli, sbollentarle per 1 minuto in acqua, strizzarle bene e disidratare al forno per 2 ore a 65 °C. Aprire le ostriche.

IMPIATTAMENTO

Dividere a metà la mela e grattugiarne la polpa con un cucchiaino, deporla all’interno dell’ostrica e ricoprire con una spuma di caprino facendo attenzione a non farla fuoriuscire dal guscio; infine adagiare l’albicocca sopra la spuma di caprino.

TARTARE DI MERLUZZO

INGREDIENTI

2 merluzzi • 2 carote • sale • olio evo

PROCEDIMENTO

Sfilettare i merluzzi, privarli di ogni tipo di spina e cartilagine. A questo punto, facendo molta attenzio ne, separare la pelle dal filetto di merluzzo (il filetto se possibile abbatterlo in negativo mentre la pelle asciugarla al forno a 50 °C per 1 ora).

Una volta che i filetti sono pronti preparare una tartare condita con sale e olio. Sbucciare le carote, recuperare le bucce ed essiccarle insieme alla pelle del merluzzo per 30 minuti a 50 °C. Con l’aiuto di un estrattore ricavare il succo di carota. Friggere a 200 °C la pelle del merluzzo per circa 30 secondi e le bucce di carota per circa 15 secondi.

IMPIATTAMENTO

Piatto fondo: alla base il succo di carota leggermente salato. Adagiare la tartare, qualche piccolo pezzo di pelle di merluzzo e una generosa manciata di bucce di carota.

65 Batì

VIRTÙ TERAMANE

PROCEDIMENTO

INGREDIENTI

g. 50 di fagioli cannellini g. 50 di ceci g. 50 di fagioli borlotti g. 50 di fagioli tondini sedano q.b. aglio q.b.

2 pomodori Cuore di bue cicoria fresca q.b. spinaci freschi q.b. borragine fresca q.b. bietola fresca q.b. tarassaco q.b.

1 zucchina 1/2 cipolla g. 100 di finocchietto g. 100 di piselli g. 500 di scampi g. 250 di pasta mista

Prendere gli scampi, dividere le teste dalle code: le teste serviranno per fare una bisque mentre le code verranno bollite e private del carapace. Mettere in ammollo la sera prima tutti i legumi. Cuocere tutti i legumi separa tamente in acqua salata. Sbollentare tutti gli ortaggi separatamente in acqua salata e raf freddarli. In una casseruola fare un soffritto di aglio, cipolla, sedano e finocchietto e lasciar freddare; tagliere i pomodori a dadini piccoli; tagliare le zucchine a dadini piccoli e cuocerle per massimo 5 minuti.

A questo punto tritare molto finemente ci coria, bietola, spinaci, tarassaco e borragine, unirli a tutti i legumi lasciando un po’ di acqua di cottura, introdurre i piselli precedentemen te sbollentati, le zucchine, i pomodori e il sof fritto. Mescolare bene.

IMPIATTAMENTO

Cuocere la pasta mista 8 minuti in acqua bol lente e 1 minuto nella bisque di scampi. Alla base del piatto adagiare la minestra tiepi da poi la pasta e, infine, gli scampi sminuzzati precedentemente conditi con sale e olio.

O come per il cuore di scarola fer mentata con aceto di riso e zucche ro con scampi crudi, salsa rosa e salicornia disidratata (una centra tissima nuova versione del cocktail di gamberi).

Se i golosi pancotto con moscar dino, pomodoro e tre lavorazioni di basilico (fresco, disidratato e olio al basilico) e le vongole con cocco e lemon grass giocano su un’appa rente linearità, solleticando le sen sazioni gusto-olfattive attraverso azzeccati affondi di pungenza, su un terreno di solida classicità si di vagano sia le fettuccelle con bisque di scampi, scampi crudi, caviale, polvere di carapace e santoreggia sia il dentice alla griglia con il suo fondo bruno, le squame fritte e ger mogli aglio.

Di valore anche il ’reparto dolci’ che, fuggendo la stucchevolezza, si muove invece su registri impron tati alla freschezza: ottimi tanto la mandorla in tutte le sue consisten ze (ghiacciata, fritta, in gelato, in biscotto) quanto la colorata salad de fruit con salsa al vino e gelato al fiordilatte . Buono il servizio, buona (ma anco ra da implementare) pure la canti na. Decisamente onesti i prezzi: sui 40 euro per due piatti alla carta e un dolce.

Batì

Lungomare Sirena, 430 64018 Tortoreto Lido (TE) Tel. 349 3245338

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NOLE, UNA FRESCA CUCINA FRA I PINI DI PESCARA

Svettano, maestosi e imponenti, i pini marittimi a Pe scara. Ritmano, con i loro tronchi «scagliosi» e le ton de chiome «irte» (così scriveva d’Annunzio, che tanto li amava), gli ortogonali, ombreggiati viali che conduco no al mare o che corrono paralleli alla spiaggia.

Lungo uno di questi – Viale Regina Margherita, che un tempo, non a caso, si chiamava proprio Viale dei Pini – con seminascosta eleganza, si affaccia Nole , locale dall’anima duplice e proteiforme. Nato, poco meno di tre anni fa, dall’unione sillabica fra il ’no’ e il ’le’ finali di Pino Della Valle e Daniele D’Alberto , questo bistrot dalla bella estetica minimalcontemporanea (che di bistrot , a dire il vero, ha solo qualche vaga fattezza, essendo cucina, servizio e can

tina di livello superiore) è diviso in due zone ben dif ferenti, senza pericolo di commistione alcuna: il caffè, che lavora soprattutto la mattina e all’ora dell’aperi tivo, seguito in prima persona da Pino; e il ristorante vero e proprio (una ventina di coperti in tutto, sui quali affacciano, solo divisi da un vetro, il banco e i fuochi ove si muove la brigata), in mano a Daniele.

Trentacinque anni, e con un cursus honorum di tutto rispetto che lo ha visto prima a Baschi, nelle cucine di Gianfranco Vissani, e quindi a Marzocca di Senigallia, alla Madonnina del Pescatore, Daniele ha maturato uno stile di cucina assai personale, sostanzialmente improntato su tre elementi basilari: l’estrema immedia tezza nella concezione e costruzione dei piatti (data

GourmetFood 67

RISO AL POMODORO CON PARMIGIANO E LIMONE

Acqua al pomodoro pomodori ramati • sale

Frullare i pomodori e aggiungere g. 10 di sale per kg di succo, prendere un colino cinese e coprirlo con etamina, versare il composto e lasciar colare per una notte in frigo.

Marmellata di limone kg. 1 di limoni • g. 250 di zucchero Lavare i limoni e tagliarli a pezzetti, farli marinare nello zuc chero per una notte, far cuocere a fiamma lenta fino a densità desiderata.

Mousse al parmigiano g. 400 di parmigiano • g. 850 di panna Fondere a bagnomaria il formaggio assieme alla panna, mon tando con una frusta.

Brodo di limone 8 limoni

Lavare bene i limoni e prenderne la buccia facendo attenzione a elimina re la parte bianca. Aggiungere ac qua come se si volesse preparare un brodo, portare a ebollizione e lasciar in infusione per 30 minuti circa. Spremere i limoni per otte nere g. 100 di succo.

Risotto riso q.b. • olio evo aromatizzato all’aglio • sale e pepe Scaldare l’acqua di pomodoro in una cas seruola: verrà utilizzata come brodo per la cottura del riso. Partire con la tostatura del riso, rigo rosamente senza olio ma solo con una piccola aggiunta di sale in modo che il chicco del riso lo assorba, poiché lo può fare solo in questo momento. Una volta tostato, iniziare la cottura del riso con l’acqua di pomodoro bollente, aggiunta poco per volta senza coprirlo. Poco per volta aggiungere anche il succo di limone e dell’olio aromatizzato all’aglio. Una volta che il riso ha raggiunto la cottura desiderata, spegnere la fiamma, aggiungere la mousse al parmigiano, le zeste di un limone, il pepe e lasciar riposare a fiamma spenta, continuando la man tecatura. Infine impostare e dressare il tutto come nella foto.

UOVO

CON TOPINAMBUR E GALLINA

INGREDIENTI PER 4 PERSONE

4 uova taglia grande da galline allevate a terra kg. 1 di topinambur 1 gallina ruspante sedano carota cipolla

PROCEDIMENTO

fondo di cottura concentrato di pomodoro sale pepe aglio olio evo vino bianco q.b.

Disossare la gallina attentamente, tagliarla al coltello per preparare un ragù. Tritare finemente il sedano, la carota e la cipolla. Mettere sul fuoco un tegame e renderlo molto caldo, rosolarvi la gallina a fiamma viva. Una volta che la carne è scottata, sfumare con del vino bianco o rosato. Una volta che il vino è completamente ritirato, aggiungere gli odori tritati e l’acqua per continuare la cottura della gallina (cottura che deve essere di almeno di 4 ore a fiamma lenta); aggiungere un pochino di concentrato di pomodoro, aggiu stare di sale e pepe.

In un altro tegame far rosolare l’aglio tritato, molto lenta mente, e rosolare il topinambur precedentemente lavato e tagliato. Aggiungere acqua e portare a cottura, frullare nel Bimby per circa 5 minuti, filtrare al colino cinese e aggiu stare di sale e pepe.

Su un piano da lavoro stendere una pellicola alimentare e ungerla con olio evo, rompere un uovo per volta e chiuderlo con uno spago (procedendo con molta cura).

Cuocere l’uovo in acqua bollente per circa 4 minuti, togliere dalla pellicola e dressare sul piatto.

Per concludere, aggiungere fondo di cottura nel ragù di gallina che verrà adagiato sulla salsa di topinambur, in fine posare su di esse l’uovo in camicia facendo molta attenzio ne. Servire con sale Maldon, pepe e olio evo.

GourmetFood 68

LA TRIGLIA E LA MANDORLA

INGREDIENTI PER 4 PERSONE

4 triglie albume farina pangrattato mandorle amare

Per la salsa di mandorle g.50 di mandorle g. 2 di aglio g. 5 di pane sale fino q.b. g. 20 olio evo g. 4 di aceto g. 150 d’acqua

PROCEDIMENTO

Per la salsa di sedano g. 100 di foglie di sedano sale e pepe olio evo acqua di cottura q.b.

Per i pomodori arrosto 2 pomodori ramati sale olio evo g. 20 di aceto balsamico g. 5 di aceto di Xeres

Per la salsa di triglie teste di triglie sedano carote cipolle pomodoro tabasco

Per l’insalatina insalata verde radicchio olio evo sale e pepe aceto di lamponi

dal fatto che la sua proposta è davvero du marché); il loro spiazzante ventaglio aromatico (sapiente è l’uso delle erbe officinali, privilegiate alle spezie); la loro lunghissima, suadente freschezza (fon data sull’amore per gli ingredienti frut tati, impiegati tanto in assolo quanto in abbinamento).

La linearità corre di piatto in piatto, e i misurati accostamenti non appaiono mai mere addizioni o forzati esercizi stilistici. Si può iniziare, per esempio, con una profumatissima zuppetta di pesche e basilico – sono le diverse va rietà di drupe e Lamiaceae impiegate a garantirne la conturbante riuscita – e proseguire con una crema di patate cot te in acqua di pomodoro con crostacei, molluschi e aromatiche, dai bei colori e dall’interessante gioco di consistenze. Le golose fettuccine al rosso d’uovo, ti rate comme il faut , accompagnano un condimento di gamberi bianchi e lime, mentre sono le mele e una azzeccata salsa ratatouille a sposare un agnello della Laga di gran gusto.

Pulire le triglie privandole della testa, delle squame e delle interiora. Sfilettarle privandole della lisca centrale ma facendo attenzione a non superare i due filetti. Eliminare anche le lische più piccole, impanarle con albume, farina e pangrattato. Riporre in frigo. Con le teste e le li sche avanzate fare un brodo e lasciare ridurre fino alla densità deside rata. Frullare il tutto e setacciare, in modo tale da ottenere un ristretto liscio e omogeneo. Salare e pepare.

Per la salsa di sedano: sbollentare le foglie in acqua bollente e raffred dare in acqua e ghiaccio. Frullare con parte dell’acqua di cottura, se tacciare, salare e pepare. Per i pomodori arrosto: grigliare lentamente i pomodori precedentemente tagliati a metà. Una volta cotti, privarli della pelle e dei semi, condirli con olio e.v.o., aceto balsamico, aceto di Xeres e sale.

Per la salsa alle mandorle: unire tutti gli ingredienti e frullarli per alcuni minuti. Setacciare e riporre in frigo. Per l’insalatina: condire l’insalata precedentemente lavata, con aceto di lamponi, olio evo e sale. Iniziare a comporre il piatto, friggere le triglie e spolverare con una grattata di mandorle amare.

Di ottima qualità i dolci e la piccola pa sticceria, così come i pani, i grissini, i crackers e i lievitati che accompagnano il pasto. In cantina (anch’essa, come la cucina, a vista) numerose buone botti glie, con l’Abruzzo sugli scudi.

Assai convenienti i prezzi: i tre menù degustazione (non c’è scelta alla carta), di quattro, sei o otto portate che variano giornalmente, sono proposti rispettiva mente a 35, 48 e 55 euro.

Nole

Viale Regina Margherita, 86 65123 Pescara (PE) Tel. 085.4458925

Nole 69

A MATERA LA GATTABUIA

Esprime il territorio con un linguaggio evoluto e attuale

Nel centro storico di Matera, a pochi passi da Piazza del Sedile, il ristorante La Gattabuia è ospitato nei lo cali che, secondo tradizione, furono le antiche Carceri di Matera.

Gli ambienti sono ampi, articolati in più sale, le volte a botte, le pareti costruite nella bella pietra chiara, carat teristica della città, la mise en place essenziale e curata.

I proprietari sono Giuseppe Martelli e Stefano Trica rico , nuovi alla ristorazione, ma non alla gastronomia, con precedenti esperienze nel mondo dei formaggi di qualità e del vino.

Il menù della Gattabuia parla di territorio ma con lin guaggio evoluto, attuale, innovativo. Il territorio è negli ingredienti scelti con attenzione alla stagionalità, con attenzione alla selezione dei piccoli produttori di zona e con passione dallo chef che va personalmente alla ri cerca di erbe, radici, bacche, tuberi, frutti dimenticati e insoliti.

Lo chef è Antonio Bufi , pugliese, creativo e immagini fico. Nelle sue ricette c’è tecnica, esperienza, carattere e ricerca. Seguace di una cucina che non spreca, nei suoi piatti anche polveri di noccioli di olive e di ciliege, di piccioli, di bucce e di semi di frutti.

70 GourmetFood

BARBABIETOLA AL CARTOCCIO

KEFIR, SALE AFFUMICATO, CREMA E CRAUTI DI CAVOLO VIOLA, ACQUA DI CIME DI RAPA DI FASANO

PER LA BARBABIETOLA

Pulire accuratamente la barbabietola privandola del gambo e della radice. Lavare con acqua fredda e cuocerla in un cartoccio di carta stagnola con del macis ad una temperatu ra di 130 °C per 4/6 ore a seconda della grandezza. Lasciar raffreddare, pelare e disidratare la buccia ad una temperatura di 50 °C in modo da ottenere una polvere.

PER IL KEFIR

Procurarsi dei grani di kefir di latte o utilizzare grani rica vati da preparazioni precedenti e inserirli nel latte di capra. Versare in un boccaccio e lasciare a temperatura ambien te con il coperchio semichiuso per 3/4 giorni (a seconda dell’acidità desiderata, anche per più giorni).

Rompere delicatamente la “cagliata” che si formerà in su perficie, filtrare e recuperare i grani ottenuti. Mettere sia il kefir che i grani in frigorifero per bloccare o ritardare la fermentazione.

PER I CRAUTI

g. 900 di cavolo viola g. 31 di sale fino non trattato g. 100 di finocchio

Tagliare il cavolo e il finocchio a julienne e sfregare con il sale (in questo caso ci sarà una fermentazione lattica al 3%) pressando con le mani fino a che non avremo estratto l’ac qua di vegetazione.

Pressare bene in un contenitore a chiusura erme tica (un boccaccio, per esempio, o dei conte nitori in creta adatti alla fermentazione) in modo tale da coprire il tutto con la stessa acqua di vegetazione.

Appoggiare soltanto il coperchio sen za chiudere e lasciare a temperatu ra ambiente per un minimo di 20 giorni o comunque fino a che non ci sarà al suo interno un pH pari a 5. Spostare in frigorifero.

CREMA DI CAVOLO VIOLA

g. 300 di foglie di cavolo viola g. 100 di olio di oliva g. 5 di sale fino g. 150 di brodo vegetale g. 1 di Xantana

Per la cottura lt. 5 di acqua • g. 25 di sale

Cuocere per 3 minuti le foglie di cavolo viola e poi frullarle con tutti gli altri ingredienti al Bimby fino a ottenere una crema liscia.

ACQUA DI CIME DI RAPA

Passare ad un estrattore i gambi delle cime di rapa aggiun gendo un pizzico di acido ascorbico. Emulsionare con un frullatore a immersione e un pizzico di Xantana.

IMPIATTAMENTO

In un piatto piano disporre le varie salse a schizzi o a pia cere insieme ai crauti. Grigliare la barbabietola intera e metterla al centro con delle scaglie di sale affumicato, la polvere ottenuta dalle bucce e qualche goccia di olio al mandarino.

La Gattabuia

PER LA SALSA AL POMODORO

g. 500 di pomodoro Roma + la sua acqua • g. 100 di pomodoro ramato • g. 100 di cipolla • g. 10 di basilico • g. 10 di aglio • g. 100 di olio d’oliva • g. 50 di carota • g. 10 di sale • g. 15 di zucchero

Tagliare in due il pomodoro ramato e grigliarlo. Recuperare la buc cia e farla disidratare.

Tagliare tutti gli ingredienti in mirepoix piccola e farla appassire dolcemente con l’olio d’oliva. Aggiungere i pomodori, il sale e lo zuc chero e lasciar insaporire. Aggiungere l’acqua dei pomodori “Roma” e cuocere a fuoco medio fino a raggiungere il peso di 400 grammi mescolando con una frusta in modo da ottenere una salsa grezza.

PER LA FONDUTA

Tagliare in pezzi il formaggio di capra e lasciarlo sciogliere con tutta la buccia a bagnomaria.

Cuocere gli spaghetti al dente e condirli con il pomodoro. Servire in un piatto fondo con la fonduta di formaggio di capra, il rafano sel vatico grattugiato a piacere e la polvere della buccia del pomodoro.

Il suo risotto con tenerumi di zucchi na, borragine, purea di piselli, succo di buccia di limone e fitoplancton ha fragranze di orto. L’ostrica Krystale aggiunge sapore di mare, ma forse non è necessaria in questo piatto così completo nei suoi profumi verdi. La Padellara, con i cardoncelli in pia stra, cocomero alla griglia, cipolla do rata, patate alla curcuma, zafferano di Gorgoglione, gocce di melanzana viola e carote, ha memoria dei sapori di casa, ma l’interpretazione di Anto nio Bufi ne fa una versione godibil mente attuale.

E per finire l’Allucinazione Carsica, il dolce non dolce, la base di mostar da e poi fico secco, grappa, ganache al 64% mescolato con anko di cece nero di Acquaviva, crumble di capre se di mandorla di Toritto, polvere di bergamotto, polvere di arancia, buc cia di topinambur, noccioli di olive, peperone crusco, pepe rosa, gambi di barbabietola canditi, tallo di seda no, gelatina di buccia di cipolla, olive di Cerignola. La consistenza scabra si dissolve lieve in bocca, il sapore è lungo, dolce ma non zuccherino, erbe e radici trasmettono sentori financo di liquirizia.

La Gattabuia

Via delle Beccherie, 90/92 75100 Matera (MT) Tel. +39 0835 256510 lagattabuia.com

AL POMODORO “ROMA” DI AGRICOLA PAGLIONE CON FORMAGGIO DI CAPRA LUCANA E RAFANO FRESCO 72 GourmetFood
SPAGHETTO

L’ADELAIDE DELL’HOTEL VILÒN

A tavola con la principessa Borghese

Da quattro anni a questa parte, in un’ala del maestoso Palazzo Bor ghese, nel pieno centro di Roma, trova spazio un sofisticato albergo, dal lusso rarefatto e dall’atmosfera ricercata: l’ hotel Vilòn . Qui discre zione e buon gusto regnano sovrani: le camere sono poche e curatissi me, lo staff e i servizi sono di livello superiore, e anche la cucina svetta per la ricercata bontà e la fine eleganza.

A dirigere la brigata è Gabriele Muro , giovane cuoco di origine proci tana, che con sapienza propone una carta nella quale i grandi classici della cucina romana incontrano la gloriosa tradizione marinara cam pana. Nessuna improvvida commistione, ma tanta solida consapevo lezza e altrettanta capacità tecnica al servizio di un gioioso e giocoso senso del gusto che sfugge facili rotondità e qualsivoglia manierismo internazionale.

Sicché, per esempio, il sandwich di pescato del giorno, profumato e croccante, parla un linguaggio di mediterraneità, accompagnandosi alla piccante dolcezza di una salsa harissa e al tonico amarore della scarola. Mentre le linguine di Gragnano con crema di broccoli e provola diventano un piatto di mare: la salsiccia c’è ma è di pesce. I risotti, ben cotti e altrettanto ben mantecati, sono uno dei cavalli di battaglia di Muro: da assaggiare l’interpretazione ’destrutturata’ di quello alla milanese: sfoglia di zafferano, riso alla parmigiana, cuore di ossobuco e midollo, spuma di Parmigiano. Il servizio e la cantina (ancora in fase di implementazione) tengono die tro alla cucina, con altrettanta passione. I menù degustazione costano 110 e 120 euro. Ci si attesta sulla stesse cifre mangiando alla carta.

Hotel Vilòn - Adelaide

Via dell’Arancio, 69 - 00186 Roma (RM) - Tel. 06 878187 www.hotelvilon.com

A ROMA
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A HONG KONG L’ASSO PIGLIATUTTO È UN ITALIANO

Lo chef Giandomenico Caprioli, detto Giando

Ho incontrato lo chef Gianni Caprioli questa estate du rante un suo viaggio in Italia. L’avevo conosciuto molti anni fa al Grand Hotel Des Bains di Riccione nella bri gata di Gino Angelini. Ora conduce ben 8 attività risto rative e commerciali legate al cibo di qualità italiano a Hong Kong.

La storia della sua vita è molto singolare, avventurosa, sembra la sceneggiatura di un film. Lui nasce in una piccola fattoria del sud Italia, a Lavello (Potenza) da una famiglia di cuochi. Rosso e con gli occhi azzurri, subisce un bullismo al contrario da parte dei coetanei. Così cresce imparando bene ’a far spalla te’: minore di tre fratelli e sesto di 7, ha presto appreso l’arte della sopravvivenza, che tanto gli servirà anche in seguito. Ma impara anche ad amare la campagna e i prodotti delle stagioni seguendo il padre nei campi, impiegato con la passione dell’agricoltura. “Sapevo tutto: quando bisognava raccogliere i pomo dori per fare i migliori pelati in bottiglia, dove cercare l’origano spontaneo che ha un sapore così diverso ri spetto a quello coltivato, come andare a castagne, al levare polli e conigli, stufare i peperoni, fare la pasta a mano, raccogliere le olive. La cucina era una passione di famiglia”.

Nel settore entra prestissimo. “Ero minorenne quando, a 13 anni, decisi di raggiungere mio fratello che aveva aperto una rosticceria a Rimini. Per lui svolgevo tut te le operazioni preparatorie: bruciacchiavo i polli per levarne le piume, pelavo le patate e controllavo che nessuno rubasse niente. In qualche mese ho introitato buona parte di quel patrimonio di regole dell’ospitalità che solo la Romagna può insegnare. Ci trasferimmo tutti a Rimini”.

A 14 anni arriva il primo libretto di lavoro, ma è da Gino Angelini che inizia a 17 anni con uno stage, per impa rare bene il mestiere. Angelini lo mette alla prova, ca pisce che merita, non lo cede ad altri e lo tiene con sé. Rimane a Riccione al Grand Hotel Des Bains quasi 3 anni. Grazie alla creatività, alla sensibilità e all’aiuto del maestro cresce e si forma. Ricorda fughe sulla spiag gia, tuffi veloci e poi di corsa in cucina.

In quel periodo lo chiamavano Gianni il Rosso, Roscio, Lucifero. Diventa un mito per tutti, nell’am biente dei cuochi, quando in riviera trova una paletta dei carabinieri, se ne impossessa e la usa per passare avanti, nelle strade affollate, fra consegne e ritiri: la necessità aguzza l’ingegno, a volte in modo non pro prio ortodosso.

GourmetFood 74
di Carla Latini

UNA TESTA CALDA

Poi Gino vola negli Stati Uniti da Mauro Vincenti, pa tron del famoso Rex di Los Angeles, per prendere in mano le redini della cucina e Gianni, il Rosso, lo segue a ruota. Mauro lo accoglie e capisce che il ragazzo, a 20 anni appena compiuti, non ha solo un talento per la cucina: “Ammettiamolo, sapevo menare le mani. Non attaccavo briga mai per primo, ma non mi tiravo indietro se c’era da rispondere”. Racconta un’avventura che sem bra uscita da un film di Sergio Leone. Prova a entrare ne gli Stati Uniti senza visto scavalcando il cancel lo di cinta dell’im migrazione, in Messico.

“Correvo correvo, mi sono ferito a una gamba. C’era un autista ad aspettarmi al McDonald’s di San Diego che mi doveva mettere un timbro clandestino sul pas saporto. Era il 16 febbraio 1996; raccontai, alla polizia che mi arrestò, che stavo scappando da una rapina. Mi ammanettarono, già ero stato in galera a causa di una rissa e non avevo paura. Avevo 22 anni e non sen tivo neppure dolore...”. Lo rinchiudono con i portorica ni che vogliono derubarlo. Scoppia l’ennesima rissa e viene messo in isolamento. “Dopo tre giorni ho potuto telefonare a Mauro Vincenti che mi fa uscire. Ero al Rex , ma lavoravo per un pro getto di ristoranti da avviare: i Louise’s Trattorie .” E chi mandavano nei posti dove c’era un po’ di challenge? Lui: il Roscio, Lucifero, che arriva a Philadelphia, Washington D.C., Pasadena, Santa Clarita... Nel 2000 torna in Italia e fa una lunga e buona stagione all’Azzurra di Riccione, quindi una breve tappa in Giappone, poi di nuovo in America per aprire altri ristoranti con Angelini. In quel tempo viene informato da Gianfranco Vissanicon cui ha saltuari rapporti di lavoro soprattutto per la banchettistica esterna - che la persona più importante d’Italia sta cercando un cuoco.

Giando
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Giando Carpaccio Misto di Mare.

“Torno in Italia e sono il primo cuoco, in 20 anni, che ha il colloquio di lavoro direttamente con l’Avvocato e non con Donna Marella. Si apre la porta, vedo un bastone, un signore con la camicia sbottonata. «Tu dovresti essere il cuoco che stavo aspettando» mi dice. Tante domande sulla cucina, sulla pasta e sull’America.

Così gli chiede il suo vero nome di battesimo. “Mi chia mo Giandomenico. Bello ma troppo lungo, mi risponde. Meglio Giando. Un nome che mi porto dietro da allora e che mi ha portato fortuna”. È dopo la scomparsa dell’Avvocato che decide di an dare ad Hong Kong dove ha già contatti e interessi. Dal 2004 al 2011 lavora con un socio. Il sodalizio fi

Con l’Avvocato Gianni Agnelli e Donna Marella rima ne 4 anni. Cucina, in tutto il mondo, per gli ospiti della Famiglia Fiat, capi di stato, regnanti, politici, banchieri. “Viaggiava molto, ma solo in case di proprietà e per questo motivo aveva bisogno di un cuoco ’di viaggio’. Stavamo molto a Saint Moritz, a New York dove si cu rava per il suo male (un tumore alla prostata, ndr), in Corsica. Era un uomo dai gusti semplici. Amava le uova, lo stracotto di manzo al Barolo, le con sistenze croccanti e anche un po’ bruciacchiate. Tutto il contrario di Donna Marella. Quando pranzavano insieme, però, faceva sempre scegliere a lei il menù.”

La brigata lo chiama “Gianni” e un giorno Donna Ma rella pensa che quel nome crea troppa confusione.

nisce, ha un incidente in Vespa, rimane bloccato per mesi e progetta. “Ho capito allora che dovevo tentare una strada solo mia.” Torna in Italia, raccoglie mobili antichi che appartenevano alla casa dei suoi genitori, affitta uno spazio in una zona centrale al confine con l’area industriale del Victoria Harbour e lo arreda.

GIANDO A HONG KONG

Nel 2011 apre i battenti Giando , al Fenwick Pier. “La caratteristica del mio ristorante è il food cost , il costo degli ingredienti: in una struttura anche di alto livello questo oscilla tra il 20 e il 25% del prezzo finale, ma nel nostro caso arriva al 40%. La lista dei vini, poi, è l’unica a Hong Kong a coprire tutte e venti le regio ni italiane; per sottolineare la nostra passione per gli

DA GIANNI (COME AGNELLI) A GIANDO
GourmetFood 76
Già Trattoria Italiana

ingredienti di base abbiamo anche aperto un piccolo negozio, Mercato by Giando . Perché voglio vendere i prodotti artigianali italiani che uso in cucina. Seguono un ristorante di pesce e, durante il primo isolamento a causa del Covid, Cotto e crudo , un pop up di Giando che è stato la nostra salvezza. Cibo da asporto e delivery: un grande successo durante la

pandemia. Però la mia vera fortuna è stata l’acquisizione, nel 2015, di un’azienda che importa e conserva prodotti. Fondamentale per la mia autonomia.”

Quanto gli manca, però, l’Italia? “Ogni volta che guardo qualcosa di bello penso all’Italia. Il mio sogno era di fare l’agricoltore. Ogni cosa buona e sana che importo ad Hong Kong mi fa sentire meno lontano. I miei trascorsi ai tempi in cui stavo in Giappone mi hanno fatto vedere il mondo come attraverso i loro occhi. Che percepiscono e ammirano la bellezza della manualità di chi fa, di chi crea con le proprie mani prodotti artigianali preziosi. Spesso nemmeno noi ita liani ci rendiamo conto di quanto valore abbiamo. Io, nel mio piccolo, cerco di divulgare, proteggere e con servare il grande patrimonio agroalimentare italiano.”

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Giandomenico Caprioli

Giando, attualmente, possiede e gestisce 3 ristoranti in Cina, 6 negozi e un importazione distribuzione, Dalla Val le ltd (Giando, Già Trattoria Italiana, Fishsteria) e Mercato Gourmet. I 6 negozi, (di cui uno, Maestri del gusto, dentro il basement del Peninsula hotel, il più importante hotel di lusso di Hong Kong), poi un suo mercato al det taglio gourmet composto da Mercato di Giando e Pacific Gourmet (Ap Lei Chau, Mid-Levels, Happy Valley, Wing fung street, Peninsula), rimangono fedeli alla sua filosofia: il cibo migliore, con ingredienti naturali, freschi, di qualità, di origine certa.

“I prodotti e la cucina italiana sono molto apprezzati a Hong Kong; - racconta lo chef - ne sono la prova i tanti ristoranti e negozi alimentari che propongono le eccel lenze del Bel Paese. Purtroppo non tutto viene acquistato con cognizione di causa: spesso la merceologia è reperita online ed è di dubbia provenienza. Io invece ho effettuato le mie ricerche direttamente in Italia presso ogni singolo produttore, così da garantire il meglio anche per i consu matori cinesi, che dimostrano di riconoscere e apprezzare quanto metto a disposizione nei miei market. Pur apprezzando le vendite online che garantiscono di raggiungere un mercato vastissimo, sono convinto che sia chi reperisce i prodotti, sia il consumatore finale deb bano toccare, annusare e assaggiare ciò che acquistano”.

Il 9 dicembre del 2021 il Presidente della Repubblica Ita liana gli ha conferito, su proposta del Ministero degli Este ri, l’onorificenza di Cavaliere. Un riconoscimento meritatissimo che premia la sua dedizione e il suo impegno nel divulgare la cultura italiana nel mondo.

Ma anche la critica ne aveva già riconosciuto i meriti: Top Italian Restaurant 2020 e Migliore carta dei vini del mondo 2020 (attualmente in carta 800 etichette) per il Gambero Rosso, Miglior nuovo ristorante 2013 per HK Magazine, Miglior ristorante per la scelta dei prodotti sostenibili per il WWF, 45° Miglior Ristorante Italiano nel mondo 2022 per The World’s 50 Best Restaurants.

Un raffinato ambasciatore del Made in Italy: Giandomeni co Caprioli, il Rosso, Lucifero, ha trasformato la primige nia energia giovanile in metodo, classe, credibilità. Ora Giando è un top brand.

Fishsteria Fishsteria Seafood Mix Fried
GourmetFood 78

a cura di alessandro rossi esperto di vino, bon vivant, fondatore del premio “dire fare sognare”

GIACOMO TACHIS

Il padre del rinascimento enologico italiano

Giacomo Tachis era un uomo come tanti altri, mai ba nale, pungente al punto giusto e meticoloso in ogni sua cosa. Nasce nel 1933 a Poirino, un comune italiano della città metropolitana di Torino, all’epoca prevalentemente agricola.

Il padre di Giacomo era meccanico tessile, la madre ca salinga, persone modeste che riuscirono con grandi sa crifici a far studiare i loro figli: il più grande Antonio Ma rio e Giacomo. Antonio Mario diventa un conosciuto e brillante scienziato famoso in tutto il mondo nel campo della ricerca sul nucleare, mentre Giacomo - in famiglia chiamato “Mino” - dopo le Elementari e le Scuole Medie si iscrive all’Istituto Agrario “Umberto I” di Alba.

L’INCONTRO CON ANTINORI

Sceglie enologia non per la smisurata passione che all’epoca nutriva per il vino, ma perché ai tempi, in Pie monte, ti buttavi nel settore enologico o in quello delle auto. La nonna aveva alcuni parenti che lavoravano alla Martini&Rossi, così decide di iscriversi a quella facoltà. È il professore Rainer a farlo innamorare perdutamente del vino.

Uscito dalla scuola – siamo a metà degli anni ’50 - inizia a lavorare per la Martini&Rossi come da previsione del la nonna, poi si sposta a Imola dove collabora con una ditta di distillati e, dopo qualche anno, sbarca in Tosca na; proprio qui incontra per la prima volta il Marchese Niccolò Antinori .

Durante questo periodo entra in contatto con la perso na più importante per la sua carriera: Émile Peynaud ; enologo, professore e ricercatore francese, considerato da tutti il capostipite dell’enologia moderna.

Negli anni ’70 il Marchese Niccolò Antinori parte per un viaggio in Francia con il figlio Piero per visitare i santuari del mondo vinicolo francese. Vuole conoscere in quel la occasione Ribereau Gayon , tra i più grandi luminari dell’enologia francese.

Purtroppo Gayon non è in Francia. Incontra per caso al suo posto colui che diverrà uno tra i più grandi enologi francesi, suo collaboratore: Emile Peynaud.

Peynaud non conosce ancora a fondo i vini italiani ed il loro stile, eccezion fatta per quelli piemontesi. Il Mar chese Niccolò Antinori e il figlio Piero lo invitano in To scana: lo scopo è conoscere e provare i vini provenienti dalle vigne delle loro tenute. Da qui nasce un rapporto di consulenza molto importante.

TACHIS E PEYNAUD

Questi anni sono fondamentali per la storia dei Marche si Antinori e dell’enologia italiana. Si inizia a piantare il Cabernet e fare tagli con il Sangiovese, ma soprattutto ad utilizzare la barrique francese. Peynaud e Tachis si piacciono e si piacciono da subito. La loro collaborazione spazzerà via qualsiasi convinzio ne enologica. Da qui un nuovo concetto ristrutturerà un’arte allora contadina, introducendo un nuovo modo

80 Il Focus di Alessandro
Rossi

di fare vino attraverso una nuova melodia. Arrivarono processi nuovi, tecniche come la fermentazione malo lattica e l’invecchiamento in barrique.

Il Marchese Niccolò Antinori capisce di vino, è un gran de appassionato e comprende da subito che il Sangio vese da solo non poteva stare in piedi. Aveva bisogno di un appoggio, di tanto in tanto, di vitigni internazionali. È così che, nel 1970, nasce il Tignanello, il primo rosso toscano senza utilizzo di uve bianche. Il blend è com posto da un 80% di Sangiovese e un 20% di Cabernet Sauvignon e il passaggio è in barrique francese. La nascita di questo vino ha rappresentato un trampoli no di lancio mondiale per l’azienda Antinori.

Ma facciamo un passo indietro: la vera svolta di Giaco mo Tachis arriva nel 1968, anno nel quale gli Antinori lo presentano al cugino Marchese Mario Incisa della Rocchetta che, più che produttore di vino, è un alle vatore di cavalli da corsa, considerando che il miglior cavallo del secolo – Ribot della razza Dormello Olgiata – è di loro proprietà.

IL SASSICAIA

Il Marchese Mario Incisa della Rocchetta seleziona al cuni cloni di Cabernet Sauvignon importati dalla Fran cia che decide di piantare a Bolgheri, zona conosciuta all’epoca per la produzione di vini rosati e di bianchi da uve Vermentino. Le condizioni climatiche si rivelano perfette per far nascere uve eccezionali che permetto no di produrre Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc di una qualità eccellente.

Così nasce, grazie all’intuizione di Giacomo Tachis, il Sassicaia , primo vino italiano in grado di competere con gli Chateau dei nostri cugini francesi. Nel 1972 vede la luce la prima etichetta di Sassicaia, figlio della ven demmia del 1968. Per questo vino Tachis crea un taglio di diverse annate, a partire dal ’65 per finire nel ’69, indi cato poi con l’annata 1968 in etichetta. La consacrazione internazionale arriva da Londra du rante una degustazione alla cieca organizzata da Hugh Johnson : il Sassicaia 1972 è tra i migliori vini del mondo. Nel 1985 Robert Parker gli assegna 100/100 e a distan za di anni si chiede ancora oggi se sia il miglior vino rosso degli ultimi 50 anni.

IL SOLAIA

Siamo negli anni ’70, più precisamente nel 1978, Tachis ed Antinori producono un altro capolavoro: il Solaia ; stesso uvaggio e sistemi di lavorazione simili al Tigna nello ma con mix opposto: 20% Sangiovese ed 80% Cabernet Sauvignon. “Ricordo la sua nascita quasi come un gioco” racconta Piero Antinori “quell’anno c’era stata un’abbondanza di Cabernet di ottima qualità e Tachis pensò di approfittar

81 Giacomo Tachis

ne per provare un nuovo vino. Era nata la nostra punta di diamante. L’annata ’97 segnò la svolta con il premio come miglior vino dell’anno della prestigiosa classifica di Wine Spectator: la prima volta per un vino italiano”.

IL GUADO AL TASSO

È l’inizio di una nuova era; la Toscana non è più quella del Chianti prodotto da un mix di uve a bacca rossa e bianca: ora è la regione di Tachis, Antinori, Incisa della Rocchetta e dei Supertuscans.

Il tempo passa e Tachis diventa sempre più famoso, sempre più si parla dei suoi vini e della sua visione. Arrivano gli anni ’90 e Tachis mette a punto il Guado al Tasso nella Tenuta di Bolgheri della famiglia Antinori. Un tris senza precedenti.

“Abbiamo un grosso debito di gratitudine verso questi prodotti e soprattutto verso Giacomo Tachis – raccon ta il Marchese Antinori - non solo noi, ma tutta la viti coltura: i vini italiani erano prima considerati come dei prodotti di basso prezzo e solo a partire da queste spe rimentazioni si capì che eravamo capaci di intercettare anche altri tipi di domande.

Il grande merito di Giacomo è stato cambiare, oltre al vino, anche la figura dell’enologo: non più un chimico pronto a intervenire sul vino in caso di urgenze, ma colui che segue il vino dalla vigna alla bottiglia e che sa ren derlo da buono a perfetto, cogliendo quelle sfumature che fanno la differenza. Il suo era un vero tocco d’artista”

LA SARDEGNA

Nel 1992 Giacomo Tachis decide di lasciare Antinori e nonostante le numerose ed importanti offerte, preferi sce iniziare una carriera da consulente esterno. Mentre i suoi Supertuscans sono oramai nell’olimpo dei vini più famosi al mondo, lui comincia a valorizzare prin cipalmente le isole, soprattutto la Sardegna creando vini come il Terre Brune di Santadi o il Turriga di Argiolas .

Di vini famosi nella sua lunga carriera ne ha firmati tanti: Cervaro della Sala - in stretta collaborazione con Ren zo Cotarella - San Leonardo, Sammarco, Vigna di Alceo, Chianti Classico di Castell’in Villa, Saffredi, Guidalberto,

Brunello di Montalcino di Argiano, Camartina e Batar a Querciabella .

LA SICILIA

In Sicilia il Rosso del Conte di Tasca d’Almerita, Milleu nanotte e Ben Ryé a Donnafugata, Litra all’Abbazia di Sant’Anastasia. Il Pollenza e Il Pelago nelle Marche che, alla sua prima uscita nel 1994, ottenne il massimo rico noscimento all’ International Wine Challenge di Londra nel 1997 come miglior vino in assoluto.

Un’impressionante serie di etichette di grande valore, come forse nessun altro in Italia può vantare di aver contribuito a realizzare. Tachis instaurò una vera e pro pria rivoluzione che spianò la strada non solo a un gran numero di vini - quelli che la rivista americana Wine Spectator anni dopo avrebbe definito “Supertuscans” - ma anche a un nuovo modo di pensare il vino italiano, finalmente pronto a quel salto di qualità capace di por tarlo sulle migliori tavole del mondo.

MESCOLAVIN

Giacomo Tachis muore nel 2016 all’età di 83 anni. Ha passato una vita intera a collezionare libri e trattati sul vino; un patrimonio immenso, oltre 3.500 libri e do cumenti - italiani e stranieri - che raccontano la storia del vino dal 1500 ai giorni nostri.

Alla sua morte sono stati devoluti alla Fondazione Chianti Banca in modo tale che possano essere fonte di ispirazione per le generazioni successive.

Si affibbiava il nome “Mescolavin” – raccontano - lo faceva perché un grande enologo, sempre alla ricerca della qualità, sempre attento a far sì che i vitigni spri gionino tutto il loro potenziale, al termine di tutto deve mettere mano. È il tocco dell’artista.

Spesso ripeteva, durante i suoi interventi: “Rispettiamo la natura e la semplicità del vino e attenti alla genetica, perché la natura si ribella”.

Quando si rilassava raccontava alle persone che erano in sua compagnia: “Degustando il vino in poltrona si può vedere l’immenso”.

Ecco, questo era Giacomo Tachis, un uomo comune, l’uomo comune del rinascimento enologico italiano.

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Quando la Sardegna non è solo Vermentino

La Sardegna è una terra antica le cui origini risalgono a molto tempo fa. Le lunghe e varie dominazioni che si sono succedute nell’isola, insieme alla sua posizione ge ografica, hanno contribuito allo sviluppo di una cultura complessa con tratti originali e, allo stesso tempo, con servatori nella popolazione sarda. Al centro della cultu ra sarda c’è un forte senso di identità e di orgoglio per le proprie radici, che hanno reso la Sardegna famosa in tutto il mondo. Grazie alla memoria degli anziani, alle usanze tramandate di generazione in generazione, tutto questo immenso patrimonio è arrivato fino a noi.

Visitare la Sardegna non è facile: chilometri di coste, spiagge incredibili, isole, paesi e meraviglie dell’entroter ra. È veramente un angolo di paradiso da raggiungere almeno una volta nella vita.

Ma cosa vedere una volta sbarcati? Difficile fare una sele zione, ma se dovessi fare un piccolo elenco, tralasciando molte delle tipiche esperienze non solo paesaggistiche, direi: visitare le incredibili spiagge ed il mare fantastico, ammirare un nuraghe, i tramonti, i fenicotteri rosa, sco prire i loro meravigliosi costumi, l’artigianato, assaggiare il loro formaggio, la bottarga, ma anche bere il loro vino. Serdina è un comune italiano di 2.680 abitanti nel sud della Sardegna. Proprio qui, tra le aree più significati ve per la produzione di vino, troviamo un’azienda il cui nome è Audarya .

Il Vermentino è l’uva bianca più celebre dell’isola e dalla quale si producono ottimi vini. Il Cannonau resta ancora l’uva a bacca rossa più celebre dell’isola, anche se da diversi anni stanno salendo alla ribalta altri eccellenti vi tigni come il Carignano ed il Bovale.

La Sardegna possiede infatti un patrimonio ampelogra fico autoctono molto interessante e, nonostante molte di queste siano state introdotte dagli Spagnoli, dopo se coli di adattamento nel territorio, oggi si considerano fra le uve tipiche della regione.

Audarya ha un significato ben preciso: “nobiltà d’animo”, in un’antica lingua orientale. L’azienda produce vini legati al territorio da vitigni autoctoni, ed a guidare l’azienda ci sono Salvatore e Nicoletta , la nuova generazione, con il fondamentale apporto dell’esperienza di papà Enrico .

Gli ettari vitati sono 43 di cui 10 adiacenti alla cantina che sorge immersa nel verde; altri 5 verranno impiantati a breve.

I ceppi sono tutti ad alberello tradizionale sardo con spalliera bassa. La media di età dei vigneti supera i 25 anni e gran parte di questi sono stati piantati da Enrico e da suo padre.

Le altitudini sono di circa 150/200 mslm e le esposizioni sono state studiate per favorire una crescita sana e fa vorevole delle viti. Ogni tenuta ha un terroir unico carat terizzato da calcare, marna, argilla.

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Vinaria

Ok, il Vermentino è sicuramente il vitigno più famoso e forse più bevuto: si può trovare in ogni angolo della Sar degna, dal sassarese fino a Cagliari e dintorni. Oggi è oramai frequente trovare alcuni Vermentino di Sardegna assolutamente all’altezza rispetto ai fratelli di Gallura.

Ma come raccontavamo, Bovale e Carignano stanno raccogliendo il loro spazio anche presso la critica inter nazionale.

Nuracada è il Bovale in purezza dell’azienda Audarya. Il nome nasce del vecchio villaggio medioevale, è una vigna ad alberello della vigna Audarya e Su Stani, con una densità di circa cinquemila ceppi per ettaro e una resa di soli quaranta quintali. Viene allevata su terreni di natura calcareo argillosa po sti a 160 metri circa sul livello del mare.

La vendemmia, rigorosamente manuale con cernita delle uve in cantina, solitamente viene portata a termine verso la seconda decade di ottobre.

Alla macerazione delle vinacce seguono la fermentazio ne alcolica e quella malolattica svolta in botti di rovere nelle quali Nuracada continua a maturare per dodici mesi prima dell’imbottigliamento. A seguire un affinamento in vetro di circa 6 mesi.

Di seguito la prima verticale storica proposta dall’azienda con l’andamento climatico delle vendemmie assaggiate.

Audarya SS 466 km 10,100 Loc. Sa Perdera 09040 Serdiana (CA) Tel.
www.audarya.it Audarya 85
+39 070 740437

CLIMA VENDEMMIALE

2014.

Tra le migliori annate in Sardegna: poca piovosità durante la fase di maturazione e vendemmia.

2015 . Simile alla 2014, con una estate leggermente più calda.

2016. Estate molto calda, quindi vendemmia leggermente anticipata.

2017.

Simile alla 2015; estate mediamente calda con poca piovosità e ottimo sbalzo termico.

2018. Estate e fase pre-vendemmia piovosa e complessa.

2019. Ottima annata con estate calda equilibrata e poca piovosità.

2020. La miglior annata per i vini rossi degli ultimi 10 anni; estate non troppo calda, sbalzi termici importanti e vendemmia eccellente.

DEGUSTAZIONE

2014 | 91/100

Al naso spezie dolci, salamoia, oliva nera, macchia me diterranea, cappero, rosmarino, arancia rossa, iodio e note balsamiche. La bocca è sciolta e le note agrumate si rincorrono. L’ottima acidità citrica sul finale, lo porta ad essere leggermente magro. Salato sul finale.

2015 | 92/100

Le note mediterranee, seppur presenti, sono meno in tense se paragonate alla 2014. L’impatto più rigido e ges soso aumenta la dinamicità in bocca. Note vegetali in chiusura. La bocca è fresca con densità e volume. Puli zia, tannino fitto, salato ed asciugante.

2016 | 94/100

Il naso porta ad un cambio stilistico dove il legno – in parte nuovo - marca particolarmente. Cambia lo stile ma non l’eleganza e la freschezza che ne caratterizza anche la bevuta. Più salato il tannino sul finale. In chiu sura rispunta la nota mediterranea tipica del vitigno.

2017 | 93/100

Grande impatto olfattivo che racconta di una bella frutta rossa matura succosa e note mediterranee. Sul finale, a tratti, balsamiche. Un vino ancora molto giovane.

La bocca è dinamica, sciolta, calorosa al palato con aci dità e sapidità ben percepibili.

2018 | 93/100

Naso molto elegante grazie a una frutta rossa densa: mora, lampone su tutte. Ancora un cambio stilistico in corso. La bocca è cremosa, morbida e glicerica. Un vino estremamente vellutato dove i tannini fitti e setosi rega lano un’ottima bevibilità.

2019 | 96/100

Al naso, immediatamente, una nota smoke. Torrefazione, cacao, tostatura, cuoio, terziari ben presenti. Frutta rossa in sottofondo: ciliegia, lampone. La bocca è splendida: concentrazione, volume e densità. La chiusura racconta di tannini fitti e ruvidi a sorreggere la parte frutta. Un vino molto lungo in chiusura.

2020 | 95/100

Grande frutta matura al primo impatto olfattivo. Fresco, note di lime e tratti citrici anche al naso. In successione menta e foglie di eucalipto; un vino di grande freschez za. La bocca è dicotomica: freschezza e frutta, ancora scisse in bocca, raccontano la potenzialità ed il futuro di successo di questo vino.

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50&50 personaggi e ricette eccellenti del ristorante La Frasca

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FRIULI

Formidabile scrigno di uve salvate dall’oblio

Questa regione dell’estremo nord est è tra le più ricche di varietà autoctone giunte al limite dell’estinzione. Un patrimonio ampelografico eccezionale recuperato in extremis da un’irreversibile scomparsa. Dal prezioso Picolit al nobile Pignolo, dal fragrante Schioppettino al personale Tazzelenghe, dall’ex duro Terrano alla salmastra Vitovska. Per non parlare di tanti antichi vitigni “minori” che, dopo debita sperimentazione, si stanno rilanciando anche sul mercato.

Nella concezione attuale del vino come espressione di un territorio, della sua biodiversità, unicità e identitarie tà, i vitigni autoctoni rappresentano un elemento di pri maria importanza diventando veicolo di un patrimonio culturale locale che si presenta originale e identificabile (“tipico”). Ma non è stato sempre così, anche e soprat tutto in Friuli Venezia Giulia, dove gran parte del patri monio ampelografico, soprattutto a partire dal secondo Dopoguerra e sino agli anni Settanta del secolo scorso ha rischiato infatti di scomparire dall’enografia mondiale sia a causa della sensibilità delle varietà più delicate alle più diverse patologie quali oidio, peronospora e fillos

sera, sia per via di una loro scarsa produttività in vigna o resa in vino, sia per un mancato appeal commerciale, soppiantato dalla “sete” di vini di matrice più internazio nale e più facilmente fruibili e apprezzabili da un merca to via via più globale.

Per fortuna, come detto, da ormai almeno un venten nio si sta tornando alle origini, con il recupero di vecchi vitigni che erano letteralmente giunti al limite dell’e stinzione; un recupero che in Friuli è risultato quanto mai prezioso data l’enorme quantità di varietà indigene storicamente presenti e poi per lunghi decenni quasi scomparse.

BULFON , E QUEL SUO “FOLLE” AMORE PER I VITIGNI SULL’ORLO DELL’OBLIO

L’Azienda Vitivinicola Emilio Bulfon si tro va nell’area pedemontana della provincia di Pordenone, tra Castelnovo del Friuli e Pinza no al Tagliamento, su una superficie in parte collinare costituita da 16 ettari di cui 11 vitati a varietà autoctone friulane recuperate. Dal 2006 la cantina, diventata “fattoria didattica”,

promuove non solo i vini locali, ma anche il patrimonio di storia e arte del comprensorio. Cuore della filosofia aziendale – dovuta alla passione di Emilio Bulfon - è il recupero dei più antichi vitigni friulani, giunti negli ’70 del secolo scorso al limite dell’estinzione, fago citati da rovi e incuria; tutto ciò col supporto

GUIDA AGLI AUTOCTONI “MINORI”
GIULIA
FRIULI-VENEZIA
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degli ampelografi dell’Istituto Sperimentale di Conegliano. Oltre a ciò, vi è anche la volontà di perfezionare i vini che ne derivano, divul gandone la storia, valorizzandoli e tutelandoli. Grazie all’impianto sperimentale di 24 vitigni indigeni, Bulfon ha ottenuto numerosi ricono scimenti istituzionali, culminati con la pubbli cazione del libro - Dalle colline spilimberghesi nuove viti e nuovi vini – dove per la prima volta figurano le schede ampelografiche delle principali varietà recuperate: Piculit Neri e Forgiarin (bacca rossa), Sciglian e Ucelut (bacca bianca); cultivar ufficial mente riconosciute e iscritte el Catalogo nazionale delle varietà di viti nel 1991 e dal 2003 autorizzate per a essere coltivate a Pinzano al Tagliamento, Castelnovo del Friuli e Forgaria nel Friuli. Ricerca che è poi seguitata con la riscoperta di altre varietà pordenonesi d’antan: la bianca

Cividin e le rosse Cianorie , Cordenossa e Fumat ; tutti vitigni recuperati e coltivati a par tire dagli anni ’90 sui terrazzamenti azienda li. Da alcuni anni queste varietà sono anche imbottigliate in purezza e commercializzate. Per esempio il Piculit Neri, della famiglia dei Refosco, è proposto come un Delle Venezie Igp Piculit – Neri Etichetta Nera ; lo si ottiene da uve raccolte tardivamente e fermentate e macerate a temperatura controllata sino a 10 giorni con il metodo Ganimede; dopo la svinatura il vino affina in acciaio e poi in botti di rovere di Slavonia e in tonne au. Ne scaturisce un nettare rubino in tenso, dai profumi di frutti di bosco scuri, con ricordi di cannella. Il sorso è fresco di acidità, caldo di alcol, dal buon nerbo tannico. Frutti di bosco scuri, con ricordi di cannella; il sorso è fresco di acidità, caldo di alcol, dal buon nerbo tannico.

PICOLIT , SIA BENEDETTO L’ABORTO FLOREALE!

Tra i più rari vitigni atti all’appassimento, quest’antica uva friulana raggiunge l’apice qualitativo sulle colline di Rosazzo, nei Col li Orientali del Friuli, tra Udine e Gorizia. Sua notevole interprete è la cantina Livio Felluga di Brazzano di Cormòns (Gorizia), con il Colli Orientali del Friuli Docg Picolit . Spiega Andrea Felluga , figlio del patriarca Livio: “L’unici tà e la grandezza del Picolit sono dovute a una caratteristica genetica che, determinando un parziale aborto floreale, ne rende assai spar golo il grappolo. I pochi acini hanno così una polpa concentratissima e una buccia spes sa e resistente, dalle splendide tonalità dorate”. Vendemmiandolo tardivamente si esalta ancor più la ricercata concentrazio ne degli acini e quindi del mosto che ne deriva. La Livio Felluga ricerca in questo suo passito l’unicità di tale nobile varietà, che si esprime attraverso un equilibrio fra struttura, eleganza, freschezza acida, dol

cezza e complessità. Puntualizza Andrea: “Un residuo zuccherino esagerato, con marcate note di fichi secchi e datteri frutto di uve troppo surmature, porterebbero a una banale omolo gazione di questo nettare; viceversa io desi dero che queste sensazioni restino a margine, esaltando più personali ricordi di lime, scorza di agrumi canditi, erbe secche aromatiche, pa sticceria, zafferano e spezie esotiche”. I migliori Picolit si distinguono da molti altri passiti per il fatto di non avere uno stile ossidativo e per non essere quasi mai figli di grappoli muffati; condizioni che rendono unico questo net tare, ma che per verificarsi necessitano di un clima asciutto dalle elevate escursioni termiche, oltre a tecniche di cantina ade guate per evitare un eccessivo contatto del vino con l’ossigeno, sebbene benefici – come previsto dal protocollo enologico dei Felluga – di una fermentazione e affi namento in barrique.

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Guida agli autocnoni minori: Friuli-Venezia Giulia

IL PIGNOLO , NOMEN OMEN, È UVA CHE NON AMMETTE ERRORI

Giunto alla soglia dell’estinzione, è solo a metà degli anni ’80 del ’900, grazie al ritrovamento di alcuni vecchi ceppi nelle vigne dell’abba zia di Rosazzo (Udine), che il Pignolo viene giustamente riscoperto, reinserito nel catalo go dei vitigni autorizzati e rilanciato, sebbene ancora oggi su scala ridotta. Ne produce una paradigmatica versione l’azienda agrico la Alessio Dorigo , di Premariacco (Udine): “Da buon friulano sono affezionato al Pignolo. In primis perché la mia famiglia – racconta Dorigo - è storicamente legata a doppio filo a questa varietà, avendola riscoper ta e salvata dall’oblio. Poi perché si tratta di un vino duro, che vuole anni di affina mento per farsi amare; esprimendo così con decisione il carattere delle nostre terre e di noi vignaioli friulani”. Si tratta di una varietà complicata; in gioventù organoletticamente simile al Cabernet Sauvignon, ha viceversa in vigna un andamento simile a quello del Merlot: maturando precocemente, se non lo si

vendemmia in tempo si porta in cantina un’u va eccessivamente zuccherina che conduce a un vino il cui troppo alcol estrae i tannini verdi dei vinaccioli. In fase di affinamento si comporta poi come un Pinot Nero, tenden do all’eleganza, che però arriva dopo oltre 10 anni di maturazione. “Per queste ragioni –spiega Alessio - facciamo macerazioni corte e a temperatura fresche; la malolattica la in duciamo subito dopo la fermentazione, quin di lo mettiamo immediatamente in barrique con le proprie fecce fini. Il legno deve esse re nuovo, per domarne l’irruenza. Operiamo frequenti bâtonnage, limitando la solforosa affinché l’ossigeno polimerizzi i tannini e fissi i colori. Solo dopo 3 anni di piccoli fusti si può pensare all’imbottigliamen to; a cui devono seguire almeno altri 2 anni di maturazione in vetro prima della commercializzazione. Il Colli Orientali del Friuli Doc Pignolo che vendiamo oggi è il 2013, ancora molto lontano dal perfetto equilibrio”.

, FRUTTI DI BOSCO E GRANDE FRESCHEZZA

Da sempre coltivato nella zona di Prepotto (Udine), lo Schioppettino – anch’esso rilan ciato e autorizzato negli anni Ottanta come Pignolo e Tazzelenghe - non ha paragoni con le altre cultivar a bacca rossa della regione. Per le sue caratteristiche fruttate ed aroma tico-speziate il vino che ne deriva è assolu tamente identitario; tratti organolettici che scaturiscono fra l’altro dal particolare terroir presente nella vallata dello Judrio. “È grazie alle basse rese – 70 q/ha di uva – e a un drastico diradamento dei grappoli, oltre che alla vendemmia manuale che permette di raccogliere le bacche solo a un perfetto grado di maturazione, che riusciamo a otte nere un grande Colli Orientali del Friuli Doc Schioppettino di Prepotto ”, puntualizza De

nis Pizzulin dell’omonima azienda di Prepot to (Udine).

“Il vitigno è di complessa gestione e com porta un lungo lavoro in campagna essendo sensibile alle scottature solari”, aggiunge Denis. Dopo la diraspatura gli acini fer mentano in vasche di acciaio con una macerazione anche di 30 giorni. I lieviti impiegati sono frutto di una selezione effettuata dai soci dell’Associazione Schioppettino di Prepotto per cer care di mantenere integre le caratte ristiche del vitigno. A fine fermenta zione il vino affina in tonneau per 24 mesi, il che dona al nettare struttura e ne esalta la complessità aromatica: frutti di bosco - mora, mirtillo e ma

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rasca - si mescolano armonicamente a una nota speziata piccante di pepe verde. “Attualmente – riprende Pizzulin - siamo coin volti in un progetto dell’Associazione che mira

ad analizzare la molecola del rotundone, pre sente in modo elevato in questa varietà, dal potente impatto aromatico di pepe”.

TAZZELENGHE : CON LA VITIENOLOGIA MODERNA NON È PIÙ UN “TAGLIALINGUA”

Trattasi di una varietà autoctona della zona di Buttrio (Udine). Nonostante l’abbandono di numerose cultivar autoctone poco produttive o difficili da coltivare avvenuto nel secondo Dopoguerra “sorretti dall’aver intravisto le vere potenzialità enologiche del vitigno, la no stra azienda ha inteso continuare a coltivare e vinificare questa preziosa uva fino a oggi”, così il conte Alberto D’Attimis Maniago , dell’omonima cantina di Buttrio, che precisa: “La sola certezza che abbiamo è che il Tazze lenghe va aspettato, non è qualitativamente costante, e anche quando l’annata è valida – schietto e personale com’è - può non pia cere. Eppure è ricco di storia e di potenziale che la nostra cantina ha saputo mettere in luce”.

Tuttavia, confessa Alberto D’Attimis, an cora oggi si tratta di un vitigno poco col tivato e poco visibile. Fondamentale per l’ottima riuscita del suo Colli Orientali del Friuli Doc Tazzelenghe è il terroir di cui gode la tenuta: rilievi collinari non elevati; buone escursioni termiche; suoli

ricchi di marne argillose e arenarie (“ponca”) dal basso contenuto di sostanze organiche, compensate da opportune concimazioni na turali. La geologia dei suoli porta a un loro le nao; il che conduce a un’ottimale maturazio ne di un vitigno tardivo come il Tazzelenghe. Le uve appassiscono poi in fruttaio per 30-60 giorni. “Perché non ho mai smesso di produr re questo vino anche quando il mercato vole va prodotti internazionali?

Per evitare una concorrenza globale con la biodiversità che il nostro territorio può van tare. Scelta lungimirante, visto l’odierno ri torno all’autoctono”.

Oggi il Tazzelenghe, grazie a innovative soluzioni vitienologiche, s’è fatto meno duro, più elegante e longevo; pur se la sua personalità resta intonsa e perciò dirimente: o piace o non piace. “Siamo orgogliosi di aver contribuito al rilancio di questo vitigno, che oggi ci permette di ottenere vini godibili, anche grazie a un lungo affinamento in barri que e in vetro”.

TERRANO : BASTA STEREOTIPI, NON È PIÙ QUELLA LAMA D’ANTAN

Appartenente alla famiglia dei Refosco, il Ter rano ha trovato il suo habitat ideale sulle col line del Carso, tanto che oggi lo si coltiva in pratica solo qui.

Presenta un colore molto intenso (tanto che il prefisso tedesco “Ter-” significa catrame), profumi vinosi e fruttati, dal sorso piuttosto ricco, acidulo, tannico e un po’ aggressivo, pur nel complesso armonico nel suo genere.

Le proprietà benefiche del Terrano erano note fin dai tempi dei Romani: per l’alto contenuto di ferro esso veniva venduto fino a periodi re centi nelle farmacie come integratore natura le. Tra i principali interpreti di questa varietà fi gura Castello di Rubbia di Savogna d’Isonzo (Gorizia). Sottolinea la titolare Nataša Cernic : “La matrice carsica del nostro terreno genera un suolo molto fertile, caratterizzato dal tipi

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co colore rosso, fortemente acido e ricco di preziosi sali minerali; la sua capacità di trat tenere l’acqua meteorica gli consente di es sere produttivo, potendosi così prestare alla coltivazione della vite, infondendo in tutte le cultivar - Malvasia, Vitovska e Terrano - una spiccata acidità e mineralità”. Il Carso Doc Teran Riserva di Castello di Rubbia proviene da un fitto impianto a Guyot di 9.000 ceppi/ha, dalle rese di soli 25 q/ha di uva, coltivato in regime biodinamico. Le bac che sono passite in pianta, arricchendosi così di polifenoli e antociani. La fermentazione è spontanea e molto rapida, con una breve ma

cerazione di una sola settimana. Il prodotto viene travasato in botti di rovere di Sla vonia dove affina per 18 mesi, quindi as semblato in acciaio e imbottigliato senza filtrazione. “Tradizionalmente – aggiun ge la Cernic - il Terrano non arrivava a 12 gradi alcolici per via delle alte rese; perciò, nonostante oggi i protocolli viticoli siano radicalmente cambiati, questo nettare si trova ancora a do versi confrontare con lo stereotipo di vino acido e duro, mentre in realtà è assai più armonico che in passato, longevo e fresco di aromi”.

VITOVSKA , UVA CHE NASCE DALLA PIETRA E LÌ VI RITORNA COME VINO

La Vitovska è una varietà probabilmente ori ginaria del Collio Sloveno, oggi coltivata nel Carso triestino; un ambiente collinare unico caratterizzato da terra rossa, arida, brulla e sassosa, ricca di calcaree e ferro e benefi ciante degli effetti del vicino mare; il tutto a garanzia di vini dalla spiccata personalità. Tra i più significativi interpreti di questa bac cafigura l’Azienda Agricola Zidarich di Pre potto – Duino Aurisina (Trieste), che ne pro duce più di una versione.

Da citare sicuramente la Venezia Giulia Igp Vitovska Kamen , così illustrata da Benja min Zidarich : “Si tratta di una Vitovska in purezza, che fermenta spontaneamente e macera sulle proprie bucce in tini di pie tra del Carso (un tempo impiegati anche per conservare olio e alimenti), così da esaltare al massimo la sua espressione territoriale di natura carsica, costituita da mineralità, freschezza e sapidità.

La pietra è in grado di regolare in modo naturale la temperatura di fer mentazione; ma l’aspetto entusia smante è il fatto di usare un materiale naturale presente in vigna, dove i suoli

sono assai più ricchi di roccia che di terra. In qualche modo l’uva nasce e matura sulla pietra e in quest’ultima ritorna nella veste di mosto-vino, ricongiungendosi alle sue natu rali origini; un aspetto unico, solo del Carso: territorio che, pur trovandosi in Friuli Venezia Giulia, per storia e tradizione nulla ha a che vedere con questa regione”.

La Kamen è ottenuta da viti coltivate ad alberello, vecchie di 30 anni, dense 10.000 ceppi/ha, con rese inferiori ai 50 quintali di uva/ha.

Dopo la vendemmia di inizio ottobre, segue la vinificazione e macerazione sulle bucce per 18 giorni, nei citati tini aperti di pietra carsica, con più follature giornaliere; il vino affina quindi in botti di rovere di Slavonia per 24 mesi, e infine viene imbottigliato senza stabilizzazioni e filtrazioni; dopo una maturazione in vetro di 2 anni se gue la commercializzazione. Un protocollo enologico che conduce a un vino giallo dorato volutamente non limpido, con note fruttate, minerali e di salsedine, dal sorso iodato, rinfrescan te e quasi salino.

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LA LIBERALIZZAZIONE DEL COMMERCIO DELLO CHAMPAGNE

La festa in onore dell’incoronazione di Luigi XV in occasione del trecentesimo anniversario

È in memoria di Clodoveo, fondatore del regno cristiano dei Franchi, battezzato intorno all’anno 500 da San Remì sulla soglia della sua Cattedrale, che i re di Francia scelsero Reims come luogo pri vilegiato per la loro incoronazione.

Da Pipino il Breve nel 751, la cerimonia ha le sue origini nella Bibbia: si dichiara, mediante un’unzione di olio santo, che il re è l’eletto da Dio e che riceve, per gui dare il suo popolo, una grazia speciale e una dignità molto particolare.

Poi da Ludovico il Pio nell’816 a Carlo X nel 1825, trentatré re di Francia presero la via di Reims e furono ospitati dall’ar civescovo nel palazzo del Tau (situato a fianco della Cattedrale di Reims).

Dopo una lunghissima liturgia che oc cupava l’intera mattinata, la festa dell’in coronazione non era certamente un banchetto come gli altri, dato il carattere profondamente religioso della funzione reale. Ciò che venne organizzato per Luigi XV il 25 ottobre 1722 rispettava le usanze codificate nel medioevo, con le tavole disposte a U rovesciata: quella del re era situata su un palchetto davan ti al grande camino in fondo all’impo nente sala, mentre quelle dei dodici Pari di Francia (in rappresentanza dei grandi vassalli della Corona) erano poste alla sua destra e alla sua sinistra.Gli ospiti occupavano solo i due lati del salone, lasciando libero lo spazio centrale per il servizio e la musica. Il simbolismo era chiaro: questo banchetto doveva avere un aspetto sacro, dove il re sedeva, alla stessa maniere di Gesù Cristo nell’Ulti

ma Cena, tra i dodici apostoli. Questo carattere paraliturgico era sottolinea to anche dai costumi dei partecipanti (mantello e corona del re, come pure dei duchi e dei conti, i piviali e le mitre che i vescovi indossavano nella cattedrale) e dall’esclusione delle donne... che aveva no comunque diritto a una piattaforma rialzata per ammirare lo spettacolo. Il servizio era infatti regolato come un bal letto, incorniciato dai grandi ufficiali del la Corona in sontuosi costumi, preceduti da oboi, trombe e flauti, che assieme ai ventiquattro violini della Camera del Re accompagnavano il pasto. Se gli archivi descrivono in dettaglio il cerimoniale e la qualità e quantità dei partecipanti, i loro redattori non hanno di certo potu to alzare le cloche che coprivano i piatti durante il percorso dalle cucine (situate nel cortile) e il grande salone. Così, in mancanza di un menù scritto bisogne rà ripiegare su quanto riportato dai libri contabili dell’epoca, che contano cap poni e piccioni, quaglie e pernici, pro sciutti, manzo e montone, verdure varie, dove spiccano tartufi, limoni e arance. Per tutta la durata dei festeggiamenti, oltre all’esclusivo banchetto cerimonia le riservato a un’élite accuratamente selezionata, c’erano ovviamente anche altri convivi; infatti, i documenti dell’epo ca fanno riferimento anche all’acquisto di 55 pieces (botti) di vino da 205 litri, forniti principalmente dal Conte di Sille ry, villaggio ai piedi della Montagne de Reims: 32 di vino grigio, 13 di rosso - di cui 2 di Borgogna - e 10 pieces di vino

comune per i lavoratori. Ma ciò che per noi è di estremo interes se è la nota che recita: “Abbiamo ottenuto la maggior parte dei migliori vini in bottiglia, alcuni frizzanti, altri no”.

Ed ecco così la prima menzione di uno Champagne spumeggiante servito durante un banchetto per un’incoro nazione reale , dato che nel 1654, per quella di Luigi XIV, il metodo di produ zione dello Champagne saute-bouchon non era ancora stato sviluppato.

Altra cosa particolare è che solo dopo la sua incoronazione, esattamente il 25 maggio del 1728, re Luigi XV emanò il decreto che liberalizzava il trasporto del vino con la musse, e quindi lo spumante venne servito, in via eccezionale, solo perché lui era il re, ma non poteva esse re in alcun modo commercializzato. Si legge anche che quando sua maestà entrò in Reims, ricevette in dono 16 dozzine di bottiglie con lo stemma del Comune, di cui si conserva anco ra una copia al palazzo del Tau,come da foto.

Il 25 ottobre 2022 ai piedi della Cattedrale di Reims è stato quindi celebrato il trecentenario dell’in coronazione, del vino dei re, e del re dei vini. Tantissimi saranno inoltre i festeggiamenti e le iniziative, che saranno create per evidenziare la ricorrenza, in tutta la Champagne.

di Mario Federzoni
Copia della bottiglia storica con lo stemma del comune di Remis regalata al sovrano.
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Liberamente tradotto da uno scritto di Patrick Demouy, Professeur émérite des Universités Connétable de l’Ordre des Coteaux de Champagne.

SABRER O SABLER LE CHAMPAGNE

Nella sciabolata che non ferisce, una storia affascinante

di Mario Federzoni

“Sabrage” : termine francese che deriva da “sabre”, “sciabola”, utilizzato per indicare un particolare modo di apertura delle bottiglie di Champagne che era assai in voga tra gli Ussari, i cavalleggeri di Napoleone, verso la seconda metà dell’Ottocento dopo la Rivoluzione fran cese, per i quali la sciabola era l’arma d’elezione.

Pare che sia stato proprio Napoleone Bonaparte in per sona a introdurre questa specie di rito dopo una vittoria del suo esercito poiché, per festeggiare, egli volle aprire una bottiglia di Champagne, di cui era grande estima tore e, non andando troppo per il sottile, si servì di una sciabola, usandola dalla parte della costa, decapitando con un colpo deciso il collo della bottiglia.

Un rituale questo che, sull’esempio del loro generale, gli ufficiali di cavalleria ripresero spesso e volentieri, sia per celebrare le vittorie, che per festeggiare promozioni e passaggi di grado, rafforzando lo spirito di appartenenza ed il legame tra commilitoni.

Un celebre chef de cave, il Principe Alain de Polignac , spiegò in una sua lirica quelli che a suo avviso sono il si gnificato profondo ed il fascino di questo vero e proprio rito del “sabrage”:

“Gesto guerriero divenuto sinonimo d’allegria gra zie al fascino d’un vino! E quale altro vino potrebbe compiere questa prodezza più dello Champagne, la cui nascita e la cui immagine ripropongono infinite metamorfosi?

Così s’avvera l’ultima contraddizione: grazie a questo quasi magico vino di Champagne, l’arma, anziché im porre ordine, fa esplodere l’applauso!”

Pare che Napoleone, secondo leggenda, dopo aver sciabolato la prima bottiglia, pronunciasse una delle sue frasi più celebri: “Champagne! Nella vittoria è un merito; nella sconfitta una necessità”.

Questo metodo di apertura, tuttavia, può essere usato soltanto per gli spumanti e non coi vini fermi, dato che gli spumanti, grazie alla presenza di anidride carbonica, svi luppano una forte pressione interna, fondamentale per favorire l’espulsione del tappo.

Chi vorrà provare a emulare il gesto dell’ Empereur Napo leon, per prima cosa dovrà assicurarsi che la bottiglia, e soprattutto il collo della bottiglia di champagne, sia ben freddo (temperatura ideale tra 3 e i 5 gradi), poiché ciò rende il vetro più rigido e potrà essere decapitato più fa cilmente da un colpo deciso; prima di effettuare la scia bolata si dovranno inoltre rimuovere il capsulone ed ogni altra pellicola che avvolga il collo della bottiglia e togliere quindi la gabbietta metallica.

Dopodiché, tenendone ferma la base con una mano, meglio se avvolta in un tovagliolo di stoffa ad evitare sorprese, si dovrà quindi inclinare la bottiglia di circa 30 gradi e, assicurandosi di essere lontano da persone o oggetti vari, con le braccia distese si dovrà far scivo lare la sciabola lungo la superficie liscia del collo della bottiglia, colpendo, in maniera netta ma senza forzature

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il bersaglio perfetto: proprio dove la nervatura dovuta all’accoppiamento delle due parti di vetro con cui è for mata la bottiglia si ferma contro il cercine ad anello che serve per agganciarvi la gabbietta. Il colpo, unito alla pressione della bottiglia, decapiterà il collo, allontanando i frammenti di vetro e spingendo via il tappo.

La vostra sciabolata potrà essere realizzata non solo con una vera e propria sciabola, come da tradizione, ma an che con oggetti robusti, come coltelli da cucina o altro, in più, e meglio, esistono in commercio apposite sciabole non taglienti (più simili ad un lungo pugnale, per la veri tà) create proprio per queste occasioni, visto che, come detto, l’apertura della bottiglia è causata da un colpo netto e non da una lama.

I festeggiamenti a vario titolo che prevedono a volte il rito dello sabrage avvengono all’interno delle varie “confra ternite” che operano in particolar modo in Italia e Fran cia e che accomunano gastronomi, maître d’hotel, chef, sommelier, giornalisti e ristoratori:

• la “Confreriè du Sabre d’Or” , fondata nel 1984, con una sua Ambasciata per l’Italia, creata proprio per la diffusione del rito della sciabolata.

• la “Royale Confrerie Prestige des Sacre” , che si occupa anche di beneficenza oltre a profittare nelle proprie feste del rito dello sabrage.

• l’antico “Ordre des Couteaux des Champagne”

fondato nel 1650, che organizza e accomuna alti personaggi del mondo della Gastronomia e che si occupa della tutela e valorizzazione dello Champa gne nel mondo.

“Sablage” (sabler un verre de Champagne): letteralmente, sabbiare un bicchiere di Champagne. Questa espressione non è frutto di una cattiva pronun cia del precedente termine Sabrer, ma sta per “ingoiare all’improvviso”: proprio come quando il materiale vetro so ancora fuso viene gettato in fretta nello stampo (una combinazione di sabbia, argilla e collante organico), il vino viene gettato in gola ed è per questo che si dice “gettare nella sabbia” o “sabbia un bicchiere di vino”.

“Sablè”: letteralmente sabbiato. È un vocabolo registrato che indica una tipologia di Champagne con una minore pressione rispetto agli al tri (3,5/4,5 - rispetto a normali 5,5/6 bar), proprio come quello che, per lungo tempo prima della proibizione dell’uso di qualsiasi terminologia con desinenza o suffis so della parola Champagne, veniva chiamato Cremant, termine quest’ultimo oggi regalato dai produttori cham penoise ai loro cugini fuori zona, anch’essi produttori francesi di metodo classico.

La spuma di questa tipologia di prodotto risulta essere in un certo senso più “cremosa” rispetto agli champagne tradizionali; questa variante si ottiene aggiungendo un liquer de tirage più povero di zuccheri e lieviti (saccha romyces).

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QUATTRO PASSI TRA I VINI DELLA VALLE DI SUSA

Avanà, Becquét, Baratuciat

Se nel centro di Torino percorrete per intero la via Garibaldi, lasciandovi alle spalle piazza Castello e dirigen dovi verso la piazza Statuto, significa che state camminando su quello che al tempo della Torino romana era il Decumano. Da Est vi dirigete verso Ovest, e ad un certo punto vi troverete nel punto dove allora sorgeva la porta Segusina. L’Ovest è il passaggio per attraversare le Alpi e giungere in Fran cia, o il contrario, come fecero i primi uomini della dinastia dei Savoia. La città di riferimento che si trova sul cammino verso il confine è Susa, perla delle Alpi Cozie, chiamata Segusium proprio in epoca romana, poi Segusia, Secusia e infine Susa.

Susa e la sua bellissima Valle lunga un’ottantina di chilometri ha gli scor ci panoramici di montagna, tradizioni, sapori e vini da raccontare. Sulla presenza della vite in Valle di

Susa non vi è nessun documento dell’epoca romana; si ritiene che la vi ticoltura abbia fatto la sua comparsa probabilmente a partire dal II secolo avanti Cristo lungo il versante sinistro della Bassa Valle e nella pianura intor no a Susa.

È nel “Testamento di Abbone”, risalen te al 739, che troviamo invece diverse località con vigne annesse, molte delle quali possono identificarsi con gli at tuali Comuni di Gravere, Chiomonte, Giaglione e con parte del circondario di Susa.

L’economia del settore vitivinicolo Valsusino nel corso dei secoli ha alter nato fasi di floridezza ad altre di crisi. Infatti la vitivinicoltura locale avrebbe potuto soccombere con l’attacco della fillossera, con i conflitti bellici mondiali e l’industrializzazione della Bassa Val le, ma su tutto è stata più forte la vo lontà degli uomini che hanno sfidato le

difficili condizioni ambientali di questo territorio montano.

Nel 1997 è nata la Denominazione di Origine Controllata Valsusa , a riconoscimento di chi ha investito la propria vita in quella che amiamo de finire viticoltura eroica. Lavori manuali e tecniche tradizionali sono il denomi natore comune poiché le viti crescono tra rocce e muretti in pietra che im magazzinano il calore diurno per poi restituirlo durante le ore notturne, con terrazzamenti che permettono di rica vare terreni coltivabili laddove la pen denza è troppo forte.

Numerosi sono i vitigni coltivati, ma Avanà e Becquét forniscono vini dalla forte identità territoriale di montagna e rappresentano il vero emblema di questa terra.

Il Consorzio per la Tutela e la Valoriz zazione della DOC Valsusa, nato nel 1999, opera sotto il profilo tecnico e

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dell’immagine; ha il compito di vigilare sul rispetto del disciplinare di produ zione e difendere la denominazione dal plagio. Funziona anche da sup porto tecnico ed amministrativo per le aziende socie e tiene i rapporti istitu zionali e di promozione generale della Denominazione di origine, anche fuori dal territorio regionale e nazionale. La Denominazione di origine control lata “Valsusa” è riservata al vino rosso ottenuto da uve provenienti da vigne ti aventi, nell’ambito aziendale, la se guente composizione ampelografica: Avanà, Barbera, Becquét, Dolcetto e Neretta cuneese da soli o congiun tamente: minimo 60%; altri vitigni a bacca rossa, non aromatici, da soli o congiuntamente, per il restante 40% iscritti nel Registro nazionale delle va rietà di vite per uve da vino, approva to con decreto ministeriale 7 maggio 2004 e successivi aggiornamenti.

La denominazione “Valsusa” con la specificazione di uno dei seguenti viti gni: Baratuciat (unico bianco); Avanà ; Becquét , riservata ai vini ottenuti da uve provenienti da vigneti aventi, in ambito aziendale, la corrisponden te composizione ampelografica per almeno 85%; possono concorrere le uve di altri vitigni a bacca di colo re analogo da soli o congiuntamente, idonei alla coltivazione nella Regione Piemonte per un massimo del 15%, iscritti nel Registro nazionale delle va rietà di vite per uve da vino.

La zona di produzione del vino “Valsu sa DOC” comprende l’intero territorio amministrativo dei seguenti comuni della Provincia di Torino: Almese, Bor gone di Susa, Bruzolo, Bussoleno, Ca prie, Chianocco, Chiomonte, Condove, Exilles, Giaglione, Gravere, Mattie, Me ana di Susa, Mompantero, Rubiana,

San Didero, San Giorio di Susa, Susa, Villarfocchiardo.

La produzione complessiva attuale è di circa 80.000 bottiglie/anno com mercializzate in parte direttamente in valle, presso le aziende, in parte sui mercati di Torino e provincia; alcune partite sono anche destinate ai clienti esteri, in particolare tedeschi.

In alcune delle cantine si possono gustare i vini in abbinamento ai piat ti della cucina locale. Per esempio, presso l’Azienda Agricola Martina di Giaglione, potete trovare l’agriturismo “Crè Seren” che propone i piatti della tradizione utilizzando prodotti propri o di altre aziende Valsusine e dispone di 25 posti letto. Il tutto sempre all’inse gna di forti passioni, sogni e speranze. Oppure la cantina ’l Garbin offre un bed & breakfast con due camere che si affacciano su un panorama d’ecce zione e ora anche un ristorante: mar mellate e dolci fatti in casa comple tano un’accoglienza all’insegna della genuinità e del rispetto della natura. Oltre all’attività vinicola, si producono zafferano, mandorle, miele di castagno e millefiori e si conducono sperimen tazioni sull’olivicoltura in montagna. Per quanto riguarda i vini è doveroso sottolineare la spiccata territorialità che si riscontra nel bicchiere; piacevo lissimo l’Avanà, raffinato il Becquét e deliziosa espressione enologica il Ba ratuciat. Vini che meritano di essere conosciuti ed apprezzati. L’Avanà è un’antica uva autoctona dal la cui spremitura si ottiene un vino dal colore rosso rubino tendente al chiaro, i profumi sono decisamente freschi e richiamano la frutta e fiori primaverili; un vino di pronta beva dal retro gusto mandorlato che si consiglia di bere giovane.

Il Becquét è un vitigno più rustico an che se delicato soprattutto per l’oidio. Il vino che si ottiene rispetto all’Avanà è più corposo, dal colore rosso inten so e con note eleganti al palato. Un tempo utilizzato in blend con l’Avanà, proprio per dare corpo, oggi lo si trova in purezza e si addice all’invecchia mento.

LE DENOMINAZIONI

• Valsusa Doc

• Valsusa Doc Avanà

• Valsusa Doc Baratuciat

• Valsusa Doc Becquét

LE AZIENDE ASSOCIATE AL CONSORZIO

• ’l Garbin Chiomonte

• Casa Ronsil Chiomonte

• Clarea Chiomonte Isiya Exilles

• Martina Giaglione

• Occitania Mattie

Mentre il Baratuciat, al mio palato vera sorpresa di piacevolezza, è un’u va bianca dal colore verde giallo con sfumature dorate. Anch’esso vitigno autoctono del territorio dal quale si ot tiene un bianco profumato e delicato, fresco e gioviale; interessante come aperitivo e ottimo compagno per piatti di pesce e, più “modernamente”, par lando del sushi.

Azienda Agricola Martina

Frazione San Rocco, 10 10050 Giaglione (TO) Tel. 335 6083966 - www.creseren.it

’l Garbin Via dell’Avanà 3 - Località Signou 10050 Chiomonte (TO) Tel. 333 5965510 - www.garbin.info

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ORGANO DI INFORMAZIONE UFFICIALE Spedizione poStatarget Magazine aut del trib di Milano n 222 del 10/07/15 è vietata la riproduzione in toto o in parte di teSti e foto pubblicati CONFEDERATION EUROPEENNE DES GOURMETS CONTATTI: Romano Lambri - Presidente Cell. 393.9815078 Mauro Marelli - Console della Stampa Cell. 392.3591439 www.cegourmet.eu - info@cegourmet.eu La famiglia dei Gourmets europei si è data una nuova dimensione per valorizzare il piacere della convivialità e della cultura enogastronomica italiana e La Madia Travelfood TM sono marchi registrati di proprietà
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