IN / TRANSIT. Architetture permanenti per un abitare temporaneo

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TESI DI LAUREA MAGISTRALE IN ARCHITETTURA

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EUGENIO NUZZO

POLITECNICO DI MILANO

2016 2017

RELATORE GENNARO POSTIGLIONE

IN / TRANSIT

architetture permanenti per un abitare temporaneo


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TESI DI LAUREA MAGISTRALE IN ARCHITETTURA

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EUGENIO NUZZO

POLITECNICO DI MILANO

2016 2017

RELATORE GENNARO POSTIGLIONE

IN / TRANSIT

architetture permanenti per un abitare temporaneo




Indice 0 ABSTRACT PARTE I RICERCA

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1 LE ORIGINI DEL BISOGNO 1.1 La societĂ liquida e flessibile 1.2 Dal Fordismo al Post-Fordismo 1.2.1 Trasformazioni Economiche 1.2.2 Organizzazione del lavoro 1.2.3 Cambiamenti demografici 1.2.4 Nuovi rischi sociali 1.3 Abitare temporaneo come nuovo bisogno sociale 1.4 Bibliografia

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2 HOMELESSNESS 2.1 Homelessness temporanea e strutturale 2.2 Cosa succede dopo aver perso la casa? 2.3 Spazi permanenti per abitanti temporanei 2.4 Bibliografia

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3 IL CASO DI MILANO 3.1 Milanesi senza una casa 3.2 Geografia (parziale) dell’accoglienza

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3.3 Tre casi studio emblematici 3.3.1 Casa della carità Angelo Abriani 3.3.2 Residence Sociale Occupato Aldo dice 26x1v 3.3.3 Progetto RST 3.4 Bibliografia

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4 LIMITI DI UN’ESPERIENZA 4.1.1 Sovraffollamento 4.1.2 Mancanza di privacy 4.1.3 Mancanza di spazio e arredi per lo storage 4.1.4 Inappropriatezza degli arredi rispetto allo spazio 4.2 Un’abitazione adeguata alla residenzialità temporanea

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162 172 244

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PARTE II PROGETTO

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Indice delle immagini

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0 Abstract Le dinamiche socio-economiche che caratterizzano la transizione dalla società capitalista fordista a quella post-fordista, e le loro conseguenze sul mercato del lavoro nonché tema delle composizioni familiari, offrono una possibile nuova chiave lettura della contemporaneità nei termini di flessibilità, mobilità e temporaneità. La recessione economica ha inoltre sancito l’inizio una condizione di crisi strutturale e decretato l’impossibilità di progettarsi e controllare una traiettoria di vita sul lungo termine. In questo contesto si è manifestata una crescita del fenomeno di homelessness temporanea: l’impoverimento del ceto medio ha implicato una crescente difficoltà a mantenere l’alloggio di abitazione, ponendo potenzialmente chiunque a rischio di esclusione sociale. L’abitazione temporanea per individui e nuclei familiari in difficoltà economica emerge in questo contesto come nuovo bisogno sociale. In Transit - Architetture permanenti per l’abitare temporaneo si muove tra la ricerca e il progetto nei margini di queste contigenze, al fine di indagare cause, forme e risposte a queste fenomeno, e di contribuire attraverso una proposta progettuale a definire un’appropriatezza architettonica per il bisogno di residenzialità temporanea.

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Questa tesi muove i propri passi nell’interesse di indagare il tema della trasformazione degli spazi domestici alla luce dei fenomeni socio-economici che hanno segnato, e stanno segnando, i decenni più recenti. Il tema della temporaneità è quello che più di ogni altro ha messo in discussione la consolidata idea di abitare, che vede nella casa il simbolo di una stabilità a lungo termine e della possibilità di radicarsi in un luogo. Nel rendermi conto che un tema così complesso e articolato avrebbe richiesto un lavoro di ricerca molto più ampio di quello che è possibile svolgere nei tempi e con gli strumenti di uno studente laureando, ho manifestato il bisogno di lavorare, nelle pieghe dello stesso tema, su un fenomeno più preciso, così da limitare il campo d’indagine e poter svolgere una ricerca concreta basata su una precisa raccolta di dati e sullo studio di casi reali. Devo ringraziare il Professor Postiglione per aver pensato che questa idea combaciasse perfettamente con il tema che, insieme ai Professori Bricocoli, Hanninen e Sabatinelli, avrebbero trattato in un laboratorio per studenti del quinto anno, sul tema delle architetture permanenti per l’abitare temporaneo. Nel laboratorio sarebbe stata svolta una ricerca sul tema della temporaneità dell’abitare nella città di Milano, con un particolare focus su chi questa temporaneità non la sceglie, ma è costretto a doverla affrontare: tutta quella categoria di individui che, involontariamente e incolpevolmente, si trovano in condizioni di difficoltà abitativa e a rischio di homelessness, e che necessitano di un alloggio temporaneo per la durata dei mesi

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loro necessari per superare il periodo di fragilità socio-economica, e tornare nelle più normali dinamiche della comunità. Così ho partecipato al laboratorio in qualità di tutor, aiutando i professori nella ricerca dei casi studio e predisponendo i parametri delle ricerche sul campo che gli studenti avrebbero svolto, accompagnandoli nel sopralluoghi e revisionando il loro lavoro. Questo lavoro collettivo ha prodotto dei booklet che raccolgono un campionario di casi di strutture per l’abitare temporaneo per individui in difficoltà a tre diverse scale: nel mondo, a Milano, alla scala del singolo appartamento. Un campionario che, per quanto incompleto, è significativo nell’inquadrare il tema, le pratiche e le politiche con cui esso è trattato. Uno strumento utile ai fini della mia ricerca quanto a quella degli studenti del laboratorio, nonché agli uffici del Comune di Milano che si occupano del governo dell’abitare. Per quel che riguarda il lavoro di ricerca pre-progettuale di questa tesi ho sentito la necessità di un’impegnativa presa di consapevolezza sui temi trattati, e quindi di partire da una distanza significativa rispetto alla casistica milanese che è il mio focus di interesse. La tesi è così organizzata: il primo capitolo approfondisce gli eventi storico-politici e socio-economici che hanno trasformato le dinamiche globali negli ultimi decenni, con un approfondimento della transizione dalla società capitalista fordista a quella post-fordista, un passaggio che, come si vedrà, ha dato origine al bisogno di temporaneità dell’abitare.

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Il secondo capitolo si focalizza invece sui profili interessati a questi fenomeni, sul tema dell’homelessness, sugli individui che si trovano in condizioni di difficoltà abitativa, sulle ragioni per cui si può perdere l’abitazione e sul range di possibilità di alloggio temporaneo che si offre a chi è vittima di questo dramma. Successivamente l’obiettivo si restringe sulla città di Milano, sulle dinamiche che l’hanno resa la città italiana con maggior concentrazione di senzatetto o di nuclei familiari in condizioni di disagio abitativo, sulle strutture esistenti per l’abitare temporaneo, sulle forme di resistenza informale al problema della casa, su un nuovo programma sperimentale che il comune sta implementando per arginare il disagio. La definizione di una geografia, per quanto incompleta, di risposte milanesi al bisogno di abitare temporaneo mi ha permesso di giungere a una serie di considerazioni sulla qualità dell’offerta in termini architettonici, evidenziando pregi e difetti al fine di comprendere quale apporto esse necessitano da parte di un architetto. Ecco che quanto emerge è una buona sperimentalità e una crescente appropriatezza delle risposte da un punto di vista gestionale, ma una generale inadeguatezza degli spazi, degli arredi e delle relazioni tra questi, che va a minare la dignità dell’abitare di individui e nuclei familiari già di per sé in condizioni di fragilità. Il bisogno di un maggiore controllo architettonico si offre così come terreno di sperimentazione per mettere in discussione le forme spaziali consolidate che si stanno rivelando obsolete e limitanti

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rispetto ai nuovi usi e modi di abitare. Attraverso un’analisi delle risposte esistenti al problema, e una messa in discussione delle norme, regolamenti e standard che regolano l’architettura dell’abitare, ho svolto in conclusione un processo di de-costruzione dello stato di fatto al fine di ricomporre i pezzi secondo nuove relazioni e scale di valori, al fine di definire un Manifesto della casa per la Residenzialità Temporanea: una casa in transito che offra attraverso le proprie forme le migliori prestazioni per l’abitare di chi è in difficoltà, che assicuri un’abitazione dignitosa e adeguata, e che allo stesso tempo metta gli abitanti in condizione di superare la propria fragilità e ritrovare l’autonomia perduta nel minor tempo possibile. Il progetto “scritto” del Manifesto è stato in un secondo momento applicato in una dimensione di architettura degli interni su un caso specifico, allo scopo di verificare la validità di quanto ragionato e ottenere una risposta concreta, con l’attenzione di fornire ai requisiti spaziali una soluzione tecnica adattabile sulla maggior casistica di appartamenti possibile.

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PARTE I Ricerca

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1 Le origini del bisogno

Quali fenomeni storici, sociali ed economici hanno comportato, nel corso dei decenni più recenti, una metamorfosi del concetto di abitare, da un unanimemente percepito vincolo di radicamento con un territorio e con una comunità, a una, apparentemente paradossale, questione basata sui princìpi di precarietà, flessibilità e temporaneità?

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1.1 La società liquida e flessibile Le precarité est aujourd’hui partout. Pierre Bourdieau

1.1.1 Il dissolvimento dei legami forti Abitiamo in una società in continua trasformazione, le cui dinamiche repentine e incontrollabili sono difficilmente assimilabili rispetto alla velocità del loro mutare. La ricezione dei nuovi paradigmi della nostra società, che Italo Calvino aveva già intuito all’inizio di questa metamorfosi e sintetizzato nelle cosiddette Lezioni Americane (in cui aveva previsto un futuro costruito sui principi di Leggerezza, Rapidità, Esattezza, Visibilità, Molteplicità e Coerenza1), è ancora più rallentata dalla difficoltà a districarsi e liberarsi da un mentalità figlia dell’età moderna, che ha fatto della solidità e della certezza (delle relazioni, del lavoro, della costruzione del futuro, dell’invecchiamento, del diritto al tempo libero,…) i propri princìpi e obiettivi.

Calvino, Italo, Lezioni Americane, Mondadori, Milano, 1993 1

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Chi ha compreso lucidamente queste dinamiche, e soprattutto è stato capace di raccontarle in modo semplice e efficiace è stato il sociologo polacco Zygmut Bauman, che, con tempismo impeccabile, all’alba del Terzo Millennio pubblica Modernità Liquida, nella cui prefazione “Sull’essere e sui liquidi” scrive:

Bauman, Zygmnut, Modernità liquida, Laterza, Roma, 2006

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I liquidi, a differenza dei corpi solidi, non mantengono di norma una forma propria. I fluidi, per così dire, non fissano lo spazio e non legano il tempo. Laddove i corpi solidi hanno dimensioni spaziali ben definite ma neutralizzano l’impatto del tempo (resistono con efficacia al suo scorrere o lo rendono irrilevante), i fluidi non conservano mai a lungo la propria forma e sono sempre pronti (e inclini) a cambiarla; cosicché ciò che conta per essi è il flusso temporale più che lo spazio che si trovano a occupare e che in pratica occupano solo “per un momento”. In un certo senso i corpi solidi annullano il tempo, laddove, al contrario, il tempo è per i liquidi l’elemento più importante.2 Come a dire: venuta a mancare la sicurezza “spazializzata”, e quindi evidente, dell’età delle industrie, delle guerre di massa, dei monumenti, dei nazionalismi forti, delle barriere, delle classi sociali e dei manifesti, che rappresentano la solidità dell’epoca moderna, ecco che il tempo, e il suo essere in continua trasformazione, si manifesta come paradigma del contemporaneo. L’incertezza che consegue alla temporaneità e alla precarietà di ogni cosa diventa, paradossalmente, l’unica nostra certezza.

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Il processo socio-economico all’interno del quale viviamo è riassumibile nella sua fondamentalità nel principio, ancora preso in prestito dal mondo fisico e suggerito da Bauman, del dissolvimento dei legami. Questa immagine concettualizza la liberazione dall’inerzia solida delle certezze della modernità, e prefigura un’era della leggerezza e della velocità, della mobilità e della temporaneità ma anche dell’instabilità, dell’imprevedibilità e della precarietà di tutte le cose. 1.1.2 L’abitare come forma del proprio tempo Il tema dell’abitare da sempre si modella sulle contingenze sociali, politiche ed economiche di un’epoca. Le forme e le relazioni degli spazi nell’ambito domestico sono determinate da precise contingenze storiche. Il modello di abitare che oggi consideriamo tradizionale è messo in crisi dalle trasformazioni conseguenti al passaggio da una società solida a una liquida. La temporaneità è diventata uno dei paradigmi dell’abitare nel mondo contemporaneo. La paradossalità di questa affermazione è solo apparente, e dovuta alla difficoltà di concepire un abitare differente da quello modellato sui princìpi di una società capitalista solida. Due decadi fa il sociologo statunitense Richard Sennett scriveva: Se un tempo la casa era un dato, un sito naturale che ospitava la famiglia e il suo futuro, un elemento di stabilità legato ad un progetto ed al suo sviluppo e i ritmi di vita apparivano scanditi da sequenze ordinate e lineari – un lavoro, una casa,

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Richard Sennett, L’uomo flessibile, Feltrinelli, Milano, 1999

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una famiglia, un luogo di appartenenza – oggi questa linearità di sequenze sembra essere compromessa e gli stessi termini di questa equazione radicalmente mutati.3 Le affermazioni concentrate in queste poche righe ci richiedono uni sforzo di riflessione su quelle categorie che sono comunemente accreditate come princìpi immutabili su cui si fonda l’abitare, ma che sono in realtà oggi vigorosamente messe in forte discussione dalle dinamiche conseguenti al passaggio verso la società post-fordista, fluida e continuamente mutevole: il lavoro, la famiglia, il luogo di appartenenza. Questi tre temi confluiscono tra loro nella figurazione di un abitare che è conquista della propria indipendenza (economica, relazionale) attraverso una stabilità acquisita grazie ad una famiglia e agli introiti derivanti da un lavoro sicuro e a lungo termine. La casa è il contesto entro cui il nucleo familiare mette in atto i propri piani per il futuro, un futuro di certezze economiche e coniugali, che può essere sì messo in crisi da eventi inaspettati (malattie, perdita del lavoro, problemi coniugali con il proprio partner) che costituiscono tuttavia un’eccezione, un cortocircuito, nella possibilità di una traiettoria di vita stabile. Il modello prevalente per questo tipo di abitare, se consideriamo un contesto urbano, è quello dell’appartamento. Esso, e le sue peculiarità spaziali, sono state modellate dalle trasformazione dell’ambiente domestico conseguenti alla rivoluzione industriale di fine Ottocento. Scrive il so-

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ciologo Albergo Gasparini che l’appartamento “è un’invenzione fatta per il lavoratore dipendente, che quando rientra a casa smette di operaio o impiegata e torna ad essere uomo o donna”.4 L’appartamento è un modello di abitare introverso, frutto della separazione dell’abitazione dal luogo di lavoro, la cui riduzione degli spazi è conseguenza della massiccia crescita demografica delle città, e che porta allo sfaldamento della famiglia allargata a favore di quella nucleare (genitori/figli). La spazialità dell’appartamento è organizzata in modo da enfatizzare la sfera del privato a discapito di quella pubblica, ridotta alla stanza del salotto, che è dedicata, tra le altre attività, a quella di ricevere gli ospiti. Alla funzionalizzazione degli ambiti domestici consegue una maggiore importanza dello spazio dedicato alla distribuzione, che prende sempre più spesso la forma di corridoio. Allo stesso tempo aumenta la dipendenza dal contesto di quartiere e ai servizi che esso offre. Appare evidente come un modello abitativo sia qualcosa in più che un dato sistema per contenere l’ambito privato della quotidianità, ma un prodotto culturale, funzionale e sociale, definito di contingenze storiche, e quindi mutevole al mutare di tali contingenze. Senza entrare nel merito dei meccanismi socio-economici che hanno portato al dissolvimento dei legami forti (che approfondiremo nel prossimo capitolo) possiamo iniziare ad accennare alcune peculiarità delle categorie consolidate, già evidenziate da Richard Sennett, più fortemente colpite dai nuovi paradigmi della società contempo-

Alberto Gasparini, Franco Stagni, Per ben abitare, ISIG, Gorizia, 2001 4

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rane di precarietà e temporaneità: la sicurezza del lavoro, la stabilità dei legami familiari, il luogo di appartenenza.

Bauman, Zygmnut, Modernità liquida, Laterza, Roma, 2006

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1.1.3 Il lavoro Il lavoro nella società capitalista fordista è inteso come attività cui l’umanità intera è impegnata per destino e natura5, condizione minima per essere parte di una comunità regolata di uomini e donne che ambiscono all’auto-accrescimento e alla progettazione del proprio futuro. La disoccupazione è concepita, al contrario, come anomalia, come deviazione dell’individuo che è causa della propria stessa povertà e miseria. Nella società moderna l’uomo può essere, ed è, valutato in base al presunto valore della propria attività, e delle proprie ambizioni, in ambito professionale. Oggi il mondo del lavoro permette sempre meno di pianificare carriere a lungo termine, né di ambire a scalate gerarchiche all’interno di un’azienda: quella certezza di un futuro scritto e controllabile, potenzialmente in continua ascesa, che caratterizza la modernità fordista, è oggi causa di speranze infrante e inattualizzabili. Le parole chiave che meglio raccontano le condizioni professionali di oggi sono precarietà, flessibilità e mobilità. Al lavoro “tradizionale” basato su una routine quotidiana ripetuta e acquisita a lungo termine si stanno piano piano sostituendo nuove forme di lavoro a breve termine, contratti a progetto, episodici, precari e discontinui, che richiedono al lavoratore una maggiore flessibilità e versatilità, sia in termini di orari che di luoghi, per cui è necessaria una capacità di adattamento a si-


tuazioni di mobilità lavorativa, di bi-residenzili-tà e di pendolarismi a lunga distanza. Dalla possibilità di una carriera mono-direzionale, la forma del lavoro sta mutando nella direzione di un sistema più organico di episodi ed occasioni, che talvolta implicano la necessità di una capacità di adattamento che mette in crisi la durevolezza dei legami affettivi e coniugali, basati invece su programmi e piani a lungo termine. A questo si deve aggiungere che i processi tecnologici tendono a creare sempre meno, e non più, posti di lavoro, così che la disoccupazione non è solo un dramma conseguente alla recessione economica iniziata nel 2008, ma anche e soprattutto un fenomeno strutturale e dovuto agli sviluppi incontrollabili della tecnologia e della digitalizzazione dei processi produttivi. 1.1.4 La famiglia La prima categoria consolidata a pagare le conseguenze della modernità fluidità è quella della famiglia basata su rapporti coniugali di matrimonio. Spiega Bauman: In altre parole, legami e unioni tendono a essere considerati e trattati come cose da essere consumate, non prodotte; sono soggetti agli stessi criteri di valutazione di tutti gli altri oggetti di consumo. Se i partner di una relazione sentimentale vengono concettualizzati in tali termini, allora non è più compito di entrambi far funzionare il rapporto, far sì che duri nel bene e nel male, che induca ad aiutarsi nei momenti buoni e in quelli cattivi, se

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Bauman, Zygmnut, Modernità liquida, Laterza, Roma, 2006

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necessario ad accettare compromessi e sacrifici pur di preservarne la solidità.6 Il fenomeno che rende più evidente questo processo è quello che vede una drastica decrescita dei matrimoni a favore della sola convivenza della coppia. Questo dato evidenzia l’accettazione da parte della coppia di un rapporto meno vincolato, che implica la possibilità della rottura del rapporto una volta estintosi il bisogno o il desiderio, e quindi trascende da qualsiasi contratto basato sulla reciprocità dei doveri sul lungo termine (si pensi alla formula cattolica del “finché morte non vi separi”), a favore di una scelta di co-abitazione consapevolmente potenzialmente solo temporanea, che non concerne una mutua dipendenza e si fonda su un disimpegno unilaterale. 1.1.5 Il luogo di appartenenza Associamo all’idea di nomadismo quella di esclusione dalla società normalizzata, da una comunità controllata e protetta. Per essere parte di una collettività regolata è necessario avere un lavoro e una casa. A quella del nomade, categoria strutturalmente incerta e itinerante, l’epoca moderna ha contrappo- sto un’idea di abitare che è oggi unanimemente accettata: quella della sedentarietà territoriale e del radicamento in un luogo. Paradigma apparentemente imprescindibile per l’uomo moderno che sogna di costruire un futuro stabile e confortevole, l’abitare è concepito come una categoria stanziale, spazialmente determinata e invariabile: un dato naturale entro cui la famiglia

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può tranquillamente progettare il proprio futuro di vita, in modo ordinato e lineare. Oggi, in uno stato sempre più fluido della modernità capitalista, il sogno di sedentarietà è messo in crisi dalle nuove dinamiche della vita professionale governata dalla precarietà e dalla mobilità. Tra i legami che la contemporaneità sta dissolvendo ecco quello con i luoghi. L’abitare, da pratica radicata spazialmente, sta diventando una questione spazialmente libera e mobile, itinerante e imprevedibile: una questione necessariamente temporanea, costellata di lunghi o brevi abbandoni e lunghi o brevi ritorni, dalla moltiplicazione delle abitazioni o dall’annullamento delle stesse. I modelli di convivenza consolidati iniziano a essere messi in discussione, emergono forme di adattamento e reinvenzioni delle pratiche abitative, tra le pieghe di un mercato rigido e restio a recepire le nuove domande e i cambiamenti sociali, fortemente vincolato all’idea di casa come manufatto di proprietà. Com’è possibile mantenere degli obiettive a lungo termine in una società a breve termine? In che modo possono essere conservati dei rapporti sociali durevoli? Come può un essere umano sviluppare un’auto-narrazione di identità e una storia della propria vita in una società composta di episodi e frammenti?7

Richard Sennett, L’uomo flessibile, Feltrinelli, Milano, 1999 7

Questo si chiede Rico, interlocutore di Richard Sennett nel suo L’uomo flessibile, personaggio emblematico della crisi dell’individuo nella

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società dell’incertezza. In una vita regolata dal principio di flessibilità e sulla precarietà, anche piani e strategie di vita non possono essere costruite che sul breve termine. La precarietà e la temporaneità sono questioni che influiscono su ogni ambito della vita contemporanea, devono essere accettati e indagati come elementi strutturali della stessa, e ci chiedono lo sforzo di scardinare i princìpi categorici di una modernità le cui forme non corrispondono più con gli usi e le abitudini delle persone, al fine di scovare nelle sue pieghe dei margini per un necessario cambiamento.

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1.2 Dal Fordismo al Post-fordismo

Abbiamo visto come nella società contemporanea temi quali la temporaneità, la precarietà, la dissoluzione dei legami e la difficoltà nel radicarsi in un territorio, non siano una forma di deviazione transitoria da un percorso lineare verso il sogno di stabilità e solidità del mondo moderno, ma una permanente condizione di crisi con la quale è inevitabilmente necessario fare i conti. Pare così dovuto e necessario spendere due parole sugli eventi storici e i fenomeni ad essi conseguenti che hanno portato a questo mutamento delle circostanze socio-economiche all’interno del quale agiamo quotidianamente. Stiamo vivendo nella transizione dalla società del capitalismo fordista ad un sistema capitalista post-fordista: questo processo è ancora in divenire e per questo difficilmente prevedibile, e, soprattutto, metabolizzabile. Il fordismo è uno stadio del capitalismo moderno fortemente legato alla massificazione industriale

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avvenuta nei primi decenni del Ventesimo secolo: i metodi produttivi fordisti furono studiati e applicati per la prima volta nel 1913 dalla società di automobili americana fondata da Henry Ford, e si diffusero in modo molto rapido fino a diventare il sistema di produzione di mondo industriale manifatturiero. Il sistema produttivo fondista si fonda su un processo di management scientifico dell’organizzazione del lavoro in fabbrica, volto alla massimizzazio- ne della produzione e nella riduzione dei suoi tempi. La meccanizzazione spinta dei processi, l’introduzione della catena di montaggio, la standardizzazione dei prodotti, la razionalizzazione dell’attività umana, la parcellizzazione dei compiti del singolo lavoratore, sono i principali strumenti con cui il fordismo ha perseguito i propri obiettivi. Inutile ripetere come questo tipo di organizzazione del lavoro non si sia limitata a rivoluzionare l’ambito professionale delle persone, ma abbia trasformato la loro vita sotto ogni punto di vista. Questo sistema non solo si sviluppò fino alla Seconda Guerra Mondiale, ma proprio dopo e grazie ad essa conobbe gli anni del suo massimo splendore. Con il termine del conflitto ebbe inizio il cosiddetto Trentennio Glorioso (1945 - 1975), durante il quale l’economia dei paesi più sviluppati (Europa occidentale, USA e Giappone) conobbe un periodo di enorme prosperità. Il perfezionamento delle tecnologie produttive, la vivacità economica generata dalla ricostruzione post-bellica, le politiche keynesiane di intervento

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in ambito economico e lo sviluppo dei servizi sociali pubblici secondo i principi dello stato sociale assicurarono un benessere medio agli abitanti del Nord del mondo che mai era stato sperato e raggiunto fino ad allora. Proprio nel momento in cui sia la stabilità e prosperità economica che l’idea di crescita infinita erano acquisite come un dato di fatto, ecco che l’improvvisa crisi energetica del 1973 stravolse tumultuosamente l’equilibrio dinamico della società fordista, minandone gli apparentemente solidi princìpi fondamentali, e riportando il mondo, se non in uno stato di crisi (per almeno altri due decenni la crescita continuò, seppur a ritmi più lenti), per lo meno in condizione di dover rivedere e mettere in discussione alcune delle proprie dinamiche strutturali. Ebbe così inizio la fase post-fordista del capitalismo contemporaneo, in cui la flessibilità, la mobilità, la diversificazione e la specializzazione nel mercato del lavoro, le politiche neo-liberiste in campo economico, la rivoluzione digitale e informatica, sono i nuovi ingredienti di un sistema socio-economico che offre maggiori libertà all’individuo ma allo stesso tempo lo pone in condizione di maggiore precarietà. Proviamo ad approfondire alcuni ambiti in cui questa transizione ha generato i cambiamenti più radicali: - sistema economico - organizzazione del lavoro - cambiamenti demografici e nella struttura delle famiglie - emergere di nuovi rischi sociali.

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II GUERRA MONDIALE

I GUERRA MONDIALE

34 1950

1940

1930

1920

1910

1900

Trentennio Glor

1913 PRIMA APPLICAZIONE DEL SISTEMA PRODUTTIVO FORDISTA


2010

2000

1990

1980

1970

1960

rioso

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2008 INIZIO RECESSIONE ECONOMICA

1979 SECONDA CRISI ENERGETICA

1973 PRIMA CRISI ENERGETICA


1.2.1 TRASFORMAZIONI ECONOMICHE

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Gli eventi che hanno generato questo radicale processo di trasformazione socio-economica risalgono ai primi anni Settanta, e possono essere riconosciuti nelle crisi energetiche che a partire dal 1973 hanno destabilizzato gli equilibri finanziari mondiali e sancito la fine del miracolo economico degli anni Sessanta e del Glorioso Trentennio post-bellico. La prima crisi del petrolio ebbe inizio nell’ottobre del 1973 quando, in seguito all’appoggio militare da parte delle potenze economiche occidentali allo Stato di Israele nella guerra dello Yom Kippur, che aveva visto la nazione ebraica opposta agli Stati arabi di Siria e Egitto. In un certo senso questa guerra, per quanto breve (passarono venti giorni dal primo attacco egiziano alla proclamazione del cessate il fuoco), fu la prima manifestazione di uno scontro economico tra nazioni occidentali filo-israeliane (Stati Uniti e Paesi europei) e Paesi Arabi, che presero le parti di Siria e Egitto. In reazione alla vittoria delle potenze occidentali i paesi dell’OPEC (l’alleanza dei Paesi esportatori di petrolio, costituita in maggioranza da paesi di lingua araba) decisero di sospendere improvvisamente i flussi di approvvigionamento di petrolio verso gli stati importatori che avevano appoggiato Israele. Questa ritorsione si tradusse in un elevato aumento del prezzo del petrolio, che arrivò a crescere di oltre tre volte nei paesi europei. Non si trattò tanto di un’imprevista scarsità di greggio, quanto più di una vera e propria presa di posizione politica al fine di ottenere un maggiore controllo sulla

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produzione del petrolio e sulla gestione dei prezzi per le esportazioni, fino ad allora molto favorevoli agli stati importatori. Gli Stati europei colpiti da questo avvenimento si ritrovarono a dover mettere in discussione la propria dipendenza energetica da paesi stranieri; questo portò alla ricerca di nuove fonti di approvvigionamento (è in questi anni per esempio che la Norvegia scopre i grandi giacimenti petroliferi del Mare del Nord), e originò un interessamento verso le fonti di energia alternativa all’allora egemone dipendenza petrolifera, come il gas naturale o l’energia atomica. L’ormai evidente consapevolezza della fragilità del sistema produttivo occidentale, basato su rifornimenti di energia da aree politicamente instabili del pianeta, non tardò a manifestarsi sul sistema industriale, che da allora non conobbe più i grandi tassi di crescita registrati a partire dal dopoguerra. Le conseguenze della penuria energetica portarono per esempio l’Italia a intraprendere soluzioni come quelle di ridurre le spese per il riscaldamento o impedire l’uso delle automobili in determinate giornate della settimana. Termini oggigiorno comuni come austerity, ecologia, risparmio energetico, iniziarono a acquisire importanza proprio come conseguenza della prima crisi del petrolio. Una seconda crisi petrolifera avvenne alcuni anni più tardi, nel 1979, ancora una volta come conseguenza di alcuni eventi politico in area medio-orientale: la presa di potere di Khomeyni in Iran e la successiva guerra con l’Iraq di Saddam Hussein. A questi eventi seguì un brusco calo della

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produzione di petrolio e un conseguente aumento dei prezzi nel mondo occidentale. Sul finire degli anni Ottanta l’Europa fu colpita da diversi fenomeni come crisi di sovrapproduzione, inflazione, incertezza dei valori delle monete, calo dei profitti, che segnarono la crisi del sistema economico in continua crescita da trent’anni. Il ciclo virtuoso produzione / consumo di massa ne uscì destabilizzato, l’efficienza dell’organizzazione fondista del lavoro iniziò a mostrare segni di cedimento in un sistema industriale in difficoltà, alle politiche Keynesiane in ambito economico iniziarono a sostituirsi le poli- tiche neo-liberiste in cui lo Stato non è più regista dello sviluppo economico del Paese, ma lo sono i privati: è la fine della supremazia della produzione industriale, del sistema fordista, della divisione classista della società; l’inizio dell’economia finanziaria e della globalizzazione dei mercati.

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1.2.1 TRASFORMAZIONI ECONOMICHE

SOCIETÀ FORDISTA

• Sistema economico capitalistico basato sulla produzione industriale • Organizzazione fordista del lavoro, che assicurava una maggiore produttività e di conseguenza salari più alti • Virtuosità del ciclo produzione di massa/ consumo di massa • Crescita economica forte e stabile • Politiche nazionali keynesiane • Divisione classista della società • Mobilità sociale di massa

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TRANSAZIONE AL POST-FORDISMO

• Crisi energetiche a partire dal 1973 • De-industrializzazione e ri-allocazione del terziario • De-standardizzazione della domanda • Crescita economica sempre più debole • Globalizzazione dei mercati • Politiche economiche neo-liberiste • Riduzione della spesa pubblica • Acuirsi delle diseguaglianze sociali • Decrescita della mobilità sociale • Finanzializzazione dell’economia

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ANDAMENTO DEL PRODOTTO INTERNO LORDO

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1960/73

1973/79

Italia

5.3

3.5

Regno Unito

3.1

1.5

Francia

5.4

2.7

Spagna

7.3

2.3

Germania

4.3

2.4

Danimarca

4.3

1.9


1989/95

2004/14

2.4

1.3

-0.5

2.4

1.0

1.2

2.1

1.3

0.9

2.8

1.7

0.6

2.0

2.0

1.3

1.8

1.9

0.4

Fonte: OECD, Historical Statistics

1979/89

43


44


45


46


47


1.2.2 ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO

48


Il significato della parola flessibilità era in origine collegato alla semplice constatazione che i rami di un albero anche se possono essere piegati dal vento, dopo un po’ tornano nella posizione di partenza. Flessibilità indica sia la capacità dell’albero di resistere, sia quella di tornare alla situazione precedente (cioè, sia la deformazione sia il ripristino della forma). Da un punto di vista ideale il comportamento umano dovrebbe avere le stesse caratteristiche: sapersi adattare al mutare delle circostanze senza farsi spezzare. 1

1

Richard Sennett, L’uomo flessibile, Feltrinelli, Milano, 1999

Il Capitalismo flessibile è il modello economico-produttivo riconosciuto dal sociologo Richard Sennett come evoluzione del sistema capitalistico fordista che ha segnato il Diciannovesimo secolo e ha massimizzato il proprio potenziale durante il Glorioso Trentennio. Come si può intuire dal nome stesso questo modello non è un superamento completo del precedente modello capitalista fordista, ma una sua evoluzione. Con esso condivide scopi e obiettivi, ma vi si distacca per i meccanismi, le peculiarità e le modalità di attuazione. La rigida routine del dipendente del sistema produttivo fordista, insieme alla sua solida burocrazia e regolamentazione, vengono dimesse a favore di una quotidianità versatile, all’interno della quale i lavoratori sono chiamati a una maggiore flessibilità e informalità: negli orari, nelle tempistiche, negli spostamenti, nelle rapporti professionali, nei diritti e nei doveri. L’introduzione del principio di flessibilità

49


nell’ambito professionale comporta un numero di implicazioni che trasformano in modo sostanziale il significato della professione nella vita delle persone, nel breve come nel lungo termine. Innanzitutto tende a scomparire l’idea di carriera come possibilità di accumulare capacità professionali con l’ambizione di salire nella scala gerarchica della professione o all’interno di un ambito aziendale, tanto per la diversificazione delle tipologie di contratto che tendono sempre più alla temporaneità del compito, quanto per la sostituzione alla tradizionale organizzazione gerarchica e piramidale delle aziende di un sistema a rete, che mette i dipendenti sullo stesso piano omogeneo, un piano in costante ridefinizione di se stesso, che funziona nei termini temporanei del “progetto”. L’organizzazione del lavoro a rete e a progetti comporta che molti dei compiti che un tempo le grandi aziende eseguivano al proprio interno vengono ora demandati a terzi, a piccole aziende o a professionisti specializzati, che vengono chiamati a entrare e uscire dal sistema aziendale a seconda delle necessità. Il tempo stesso del lavoro evade i vincolanti orari fordisti, calcolati secondo logaritmi funzionali alla massimizzazione della produzione. Alla routine dei turni fissi e immutati viene sostituita una giornata lavorativa flessibile, composta da un organismo di individui che lavorano secondo tempi diversi e costruiti sui bisogni del singolo, permettendogli di pianificare e gestire il monte-ore di lavoro secondo le proprie volontà e necessità. Il luogo stesso del lavoro diventa flessibile: da

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un lato la mobilità cui spesso il lavoratore è chiamato, tra più sedi e uffici, dall’altro il fenomeno in crescita di offrire la possibilità di lavorare da casa, conseguenza della completa digitalizzazione e informatizzazione di determinate professioni, che non richiedono più la necessità della presenza fisica del lavoratore sul luogo di lavoro. La flessibilità si manifesta così sia come un insieme di privilegi, un tempo impensabili per il lavoratore nella società fordista, sia, in concomitanza con la più recente recessione economica, come fenomeno di precarizzazione del mercato del lavoro: il lavoratore deve sempre più frequentemente fare i conti con episodici periodi di disoccupazione temporanea, che troppo spesso e troppo facilmente si prolungano fino a compromettere la sua autonomia economica, portandolo a rischio di esclusione sociale.

51


1.2.2 ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO

SOCIETÀ FORDISTA

• Divisione del lavoro su base di genere: - l’uomo ha il compito di guadagnare lo stipendio per mantenere la famiglia - la donna svolge lavoro casalingo, si prende cura della prole e della gestione dell’alloggio • L’impiego dell’uomo è completo e full-time • I contratti di lavoro sono sempre sono full-time e a tempo determinato • I salari sono tali da poter assicurare alla propria famiglia uno stile di vita accettabile • Possibilità di una carriera stabile all’interno della stessa azienda o ambito lavorativo, entro cui ambire ad una crescita nella gerarchia professionale

52


TRANSAZIONE AL POST-FORDISMO

• Forte crescita dell’impiego femminile (inizialmente soltanto part-time), che introduce una doppia fonte di guadagno al nucleo familiare, e allo stesso tempo rende la figura femminile indipendente e autonoma • Crescita della disoccupazione, e soprattutto della disoccupazione a lungo termine, che diventa un problema strutturale della società • Diversficazione e precarizzazione dei contratti, che garantiscono sempre meno sicurezze sul lungo termine • Le carriere diventano eterogenee e instabili, precarie e difficilmente prevedibili

53


TASSO PERCENTUALE DI DISOCCUPAZIONE, 1970 - 2007

54

1970

1980

France

2.4

6.4

Germany

0.7

3.8

Italy

5.4

7.6

Sweden

1.5

2.0

UK

3.3

6.8

Average

2.7

5.3


2000

2007

8.9

8.6

8.2

7.2

7.9

8.4

11.0

10.5

6.1

1.6

4.7

6.1

5.9

3.8

2.7

6.9

8.4

7.2

Fonte: ILO, Laborsta, online database, 2015

1990

55


COINVOLGIMENTO FEMMINILE NEL MERCATO DEL LAVORO, 1962 - 2007

90 85 80 75 70 65 60 55 50 45 40 35 30

56

1985

1980

1975

1970

1965

25


Svezia Olanda Francia

2005

2000

1995

1990

Fonte: OECD

Italia

57


IMPIEGO TEMPORANEO 1983 - 2007

18 16 14 12 10 08 06 04 02

58

1995

1990

1985

00


Germania Francia Italia

2005

2000

Fonte: OECD

Gran Bretagna

59


60


61


62


63


1.2.3 CAMBIAMENTI DEMOGRAFICI E NELLA STRUTTURA DELLE FAMIGLIE

64


Il più eloquente dato demografico capace di raccontare la nostra contemporaneità è quello che riguarda l’invecchiamento medio della popolazione, che si attesta in questi anni ai massimo storici, e le cui previsioni esprimono una crescita futura esponenziale. Se prendiamo i dati riguardanti il nostro Paese scopriamo che nel 1960 la percentuale di popolazione over 80 si attestava all’1,3%, nel 2010 era del 5,8%, e la previsione per il 2060 è che essa risulti quasi triplicata, superando il 14%.1 Questo dato è frutto e conseguenza di due fenomeni: da una parte l’evoluzione delle tecnologie e delle scienze mediche, il controllo sempre maggiore di determinate malattie, che assicura un speranza di longevità mai immaginabile in precedenza. Dall’altro lato la diminuzione delle nascite: il tasso di fecondità (numero di figli per donna) in Italia è sceso di un punto negli ultimi cinquant’anni, da più di 2,5 figli per donna nel 1965 a circa 1,35 nel 2015.2 A differenza del primo fenomeno, la cui natura è tecnico-scientifica, questo è un’evidente conseguenza delle nuove condizioni socio-economiche e dell’evoluzione delle dinamiche riguardanti il mercato del lavoro, che hanno tra le conseguenze un’omogeneizzazione dei percorsi di vita tra uomo e donna, un indebolimento dei legami coniugali di matrimonio (abbiamo detto come la pratica della convivenza, meno vincolante sul lungo termine, si stia sostituendo a quella del contratto matrimoniale), un ritardo dell’età matrimoniale e di quella per la nascita del primo figlio (oltre i trent’anni in Italia3), che sempre più spesso

Fonte: Eurostat Vedi grafico a pagina XX 1

Fonte: Eurostat Vedi grafico a pagina XX 2

3

Fonte: Eurostat

65


Fonte: Comune di Milano, Milano in cifre, 2008

4

66

è messo al mondo al di fuori da una relazione di matrimonio. Aumentano i nuclei composti da sola madre o padre con figli, ma soprattutto aumenta il fenomeno di singletudine: un dato locale ma significativo è quello che riguarda Milano: nel capoluogo lombardo i nuclei mono-composti sono aumentati dal 20% dei primi anni Settanta a più del 40% nel 2007.4 La presunta famiglia tradizionale, numerosa e stabile sta piano piano scomparendo. Le categorie di genere si stanno facendo più sfocate, i legami coniugali più deboli e precari, le relazioni più brevi ed episodiche, temporanee.


67


1.2.3 CAMBIAMENTI DEMOGRAFICI E NELLA STRUTTURA DELLE FAMIGLIE

SOCIETÀ FORDISTA

• Alto tasso di natalità, sempre superiore al livello di sostituzione • Nuclei familiari numerosi e stabili • Alto numero di matrimoni • Basso tasso di divorzi • Età di matrimonio piuttosto bassa • Traiettorie di vita lineari e definite dal proprio genere: - uomo = educazione / apprendistato, impiego a lungo termine, pensione - donna = matrimonio stabile, maternità, impiego debole e discontinuo • Flussi migratori selettivi e organizzati

68


TRANSAZIONE AL POST-FORDISMO

• Decrescita del tasso di natalità • Crescita della longevità media e conseguente invecchiamento della popolazione • Eterogeneità e instabilità delle relazioni coniugali, riduzione della dimensione delle famiglie • Riduzione e avanzamento dell’età media per il matrimonio • Aumento dei divorzi • De-standardizzazione e de-sincronizzazione delle fasi e delle sequenze della vita • Omogeneizzazione dei percorsi di vita tra uomo e donna • Diversificazione e aumento dei flussi migratosi

69


QUOTA DI POPOLAZIONE OVER-56 E OVER-80 1960, 2010, 2060*

% POPOLAZIONE OVER 65

70

1960

2010

206

Germania

11.5

20.7

32

Italia

9.3

20.2

31.

Spagna

8.2

16.8

31.

Francia

11.6

16.6

26

UK

11.7

16.4

24

EU-27

-

17.4

29


1960

2010

2060*

2.8

1.6

5.1

13.5

.7

1.3

5.8

14.1

.5

1.2

4.9

14.2

6.6

2.0

5.2

11.0

4.5

1.9

4.6

9.3

9.5

-

4.7

12.0

Source: Eurostat

60*

% POPOLAZIONE OVER 80

71


TASSO DI FECONDITÀ 1960 - 2012

3.50

3.00

2.50

2.00

72

1985

1980

1975

1970

1965

1.00

1960

1.50


2010

2005

2000

1995

1990

Italia

Fonte: Eurostat

Francia

Danimarca Olanda

73


QUOTA DI FIGLI NATI AL DI FUORI DEL MATRIMONIO 1960-2012

60

50

40

30

20

10

74

1985

1980

1975

1970

1965

1960

00


2010

2005

2000

1995

1990

Fonte: Eurostat

FRANCIA

REGNO UNITO

GERMANIA

ITALIA

75


76


77


1.2.4 EMERGERE DI NUOVI RISCHI SOCIALI

78


Il Trentennio Glorioso aveva avuto tra le proprie virtù quelle della forte stabilità e del controllo dei rischi sociali. L’abbondanza di offerta di lavoro assicurava un impiego stabile e sufficientemente retribuito alla maggior parte della popolazione. I rischi di perdita del lavoro erano legati ad eventi inaspettati e imprevedibili: cause come malattie o incidenti tanto gravi da causare disabilità. La possibilità di guadagnare uno uno stipendio adeguato per sostenere una vita accettabile era una possibilità reale per quasi tutti. Se si vuole evidenziare un disagio diffuso era piuttosto quello legato alla qualità dell’abitare: la massiccia migrazione dalla campagna alla città e la costruzione sregolata del boom economico hanno spesso portato all’edificazione di complessi residenziali di bassa qualità, progettati con disinteresse verso gli standard minimi per un abitare dignitoso. Tuttavia non era allora un problema la difficoltà di accedere e mantenere, un’abitazione, problema emerso invece negli ultimi due decenni: la crescente precarietà e temporaneità degli impieghi, la disoccupazione trasversale, i contratti e gli stipendi inadeguati per i più giovani, in concomitanza con la crescita dei costi degli affitti e dei mutui sulla casa, hanno portato ad una serie di conseguenze poco confortanti, di cui sono emblematici la crescita delle richieste di sfratto per morosità incolpevole, il ritardo dell’età di indipendenza economica dai parenti, il rischio di segregazione in aree urbane deteriorate (e per questo più economicamente sostenibili), l’aumento delle attività di squatting, o dei casi di sovraffollamento volto a

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far diminuire il prezzo degli affitti. Per la prima volta da secoli è messo in dura crisi uno dei diritti costituzionali e universali dell’uomo: il diritto alla casa come bisogno primario dell’essere umano. Un altro tema da considerare è quello della nuova ondata di flussi migratori dall’Africa all’Europa: mai così numerosi e costanti, ancora difficilmente gestiti e regolati, vanno a sommarsi ai termini di quell’area di esclusione sociale già di per se in aumento.

80


81


1.2.4 EMERGERE DI NUOVI RISCHI SOCIALI

SOCIETÀ FORDISTA

LAVORO

• Perdita del posto di lavoro e disoccupazione a lungo termine • Perdita del posto di lavoro a causa dell’età • Perdita del posto di lavoro a causa di disabilità o malattia

FAMIGLIA

• Necessità di integrare lo stipendio dell’uomo con altri introiti

MERCATO DELLA CASA

82

• Mancanza di standard di base per un abitare dignitoso • Difficoltà ad accedere ad alloggi di qualità


TRANSAZIONE AL POST-FORDISMO

LAVORO

FAMIGLIA

MERCATO DELLA CASA

MIGRAZIONE

• Impieghi temporanei • Impieghi involontariamente part-time • Sotto-pagamento del lavoro svolto • Indebolimento e scioglimento dei legami famigliari • Diffocoltà di riconciliazione con il partner • Dipendenza da altri in età avanzata • Stress finanziario causato dai costi troppo alti di affitti e mutui • Stress da sovraffollamento • Rischio di segregazione in aree urbane deteriorate • Mancanza di diritti sociali, soprattutto in assenza delle condizioni per poter lavorare

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1.3 Abitare temporaneo come nuovo bisogno sociale

Alla luce delle nuove dinamiche che definiscono il contesto sociale, economico e politico entro cui abitiamo, e dei nuovi rischi sociali che tali dinamiche comportano, il tema dell’abitare temporaneo si manifesta in due direzioni: da una parte come nuova forma di vita non radicata, fatta di episodi lavorativi e di continui spostamenti, uno stile di vita che non sempre è frutto di una scelta volontaria, ma che è consapevolmente accettato come possibilità di muoversi e crescere nelle pieghe del mercato del lavoro. La temporaneità dell’abitare si presenta però anche come bisogno sociale: un bisogno che appartiene a chi non riesce a stare al gioco delle nuove contingenze ed è vittima di esse. La casa è sempre più difficilmente un bene che può essere mantenuto a lungo e in modo stabile,

89


cresce il numero degli sfratti e si allarga l’area di esclusione sociale dovuta a difficoltà abitative. Si richiedono sempre più soluzioni per un abitare temporaneo per chi, incolpevolmente, rimane per strada. Non si tratta quindi di esprimere un giudizio sulla validità o meno della temporaneità come paradigma dell’abitare contemporaneo, ma piuttosto di sospendere il giudizio stesso e archiviare la temporaneità come dato acquisito, come nuovo bisogno sociale cui è necessario dare risposte concrete, non solo nelle forme di governo dell’abitare (come già avviene da alcuni anni a questa parte) ma anche come questione architettonica, mettendo in discussione gli spazi domestici consolidati e assunti come unica possibilità, indagarli e de-costruirli, al fine di definire delle nuove possibili relazioni tra le attività e gli spazi, tra le forme e le strutture, all’interno della casa e in rapporto alla dimensione urbana in cui la casa prende forma. Non è possibile tuttavia non tenere conto dello stato di fatto della realtà urbana contemporanea: il Novecento ci ha consegnato una città composta di case estremamente introverse, progettate su un principio di privatezza familiare, confortevole e appartata, contrapposta alla dimensione pubblica dell’abitare urbano, delle realtà di vicinato e di quartiere. L’abitare è oggi un problema che concerne in primo luogo il mercato immobiliare, che risponde a logiche di investimento e di andamento della rendita, con risposte univoche e omologanti, e non tratta le questioni fondamentali come quella dell’accessibilità economica alla casa.

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La sregolatezza e la cecità del mercato immobiliare di fronte all’emergere di nuovi problemi sociali sta portando ad una preoccupante diffusione delle condizioni di periferia sociale, che oltre a colpire i vecchi e nuovi soggetti più deboli, come quello dei migranti o il crescente numero di anziani soli, riguarda e indebolisce il ceto medio, inaspettatamente e continuamente in bilico, a rischio di entrare a far parte dell’area di esclusione sociale a causa delle condizioni di precarietà del lavoro precedentemente illustrate. In queste circostanze, sia le forme di governo dell’abitare che i progettisti, faticano a trovare risposte strutturali e valide. Seppur esistano delle best practices, esse sono tuttavia purtroppo ancora dei casi, per quanto virtuosi, troppo isolati ed eccezionali. Ancora una volta è Zygmut Bauman, nel suo Fiducia e paura nella città, ad evidenziare il possibile motivo della difficoltà nel trovare risposte efficienti alla questione dell’emergenza abitativa che cresce nelle nostre città: il paradosso per cui rappresentanti politici sono incaricati di trovare soluzioni locali alle contraddizioni globali.1 Probabilmente il primo passo per innescare questo processo è quello di non trattare il fenomeno del bisogno di abitare temporaneo come un’emergenza, come una questione temporanea cui offrire soluzioni a loro volta temporanee, nella speranza che un giorno non troppo lontano que- sto problema cesserà di generare disagio e tutto tornerà nei limiti di una presunta normalità. Bisogna invece comprendere la strutturalità dell’emergenza, la permanenza a lungo termine

1 Bauman, Zygmnut, Fiducia e paura nella città, Mondadori, Milano, 2005

91


delle questioni di precarietà e di temporaneità, dello stato di crisi in cui abitiamo, e dare risposte adeguate alla loro importanza e imponenza; e provare a dare risposte ai quesiti che sono posti agli addetti al governo del territorio e ai progettisti dello spazio domestico in Milano, cronache dell’abitare: Come dare spazio a una possibile mobilità e non-linearità dell’abitare nel suo farsi processuale senza condannare i soggetti più deboli alla precarietà e all’insicurezza? Come pensare a forme di radicamento in un luogo fuori dalla stanzialità, nel quadro di un esercizio continuo di libera scelta o necessario cambiamento del dove stare?

Multiplicity.lab (a cura di), Milano: cronache dell’abitare, Mondadori, Milano, 2007

2

92

Come dare flessibilità e plasticità agli spazi della casa, prendendo in considerazione l’ospitalità a breve termine che essa deve sempre più spesso dare?2


93


1.4 BIBLIOGRAFIA

AA.VV., The state of housing in the EU, Housing Europe, Bruxelles, 2015 AA.VV., Urbanization and development Emerging Futures, UN-Habitat, Nairobi, 2016 Bauman, Zygmnut, Fiducia e paura nella città, Mondadori, Milano, 2005 Bauman, Zygmnut, Modernità liquida, Laterza, Roma, 2006 Bourdieau, Pierre, Oggi la precarietà è dappertutto, in “Controfuochi”, Reset, Milano Branzi, Andrea, La crisi della qualità, Edizioni della Battaglia, Firenze, 1997 Branzi, Andrea, Modernità debole e diffusa, Skira, Milano, 2006 Calvino, Italo, Lezioni Americane, Mondadori, Milano, 1993 Daraio Alessandro, Wolleb Guglielmo, Regional challenges in the perspective of 2020: New social risks, Ismeri Europa, 2009

94


Gasparini Alberto, Stagni Franco, (a cura di), Per ben abitare, ISIG, Gorizia, 2001 Granata Elena, Lanzani Arturo, La nuova grammatica dell’abitare, in Lo Squaderno, n.21, Settembre 2011 Multiplicity.lab (a cura di), Milano: cronache dell’abitare, Mondadori, Milano, 2007 Oláh, Livia, Changing families in the European Union: trends and policy implications, dal seminario “Family policy development: achievements and challenges”, New York, 2015 Sabbatucci Giovanni, Vidotto Vittorio, Storia contemporanea. Il Novecento, Laterza, Bari, 2008 Sennett, Richard, L’uomo flessibile, Feltrinelli, Milano, 1999 / Lezioni tenute dai Proff. Bricocoli Massimo e Sabatinelli Stefania nel corso TraSH - Temporary Social Housing, Politecnico di Milano, AA 2016/17

95


96


2 Homelessness

Che cos’è l’homelessness e quali forme prende? Chi ne viene colpito? Quali sono le sue cause? Cosa succede quando si perde la casa?

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2.1 Homelessness temporanea e strutturale

Tendiamo generalmente a identificare la figura del senza tetto con quella del clochard, una figura iconica della povertà che racconta il dramma di una completa auto-esclusione dalle dinamiche sociali, e di una fuga verso condizioni di vita estreme e di fatto inaccettabili per chiunque faccia parte di una comunità normalizzata e regolata. Per chiunque la parola homeless rimanda all’immagine dello “straccione”, del “barbone”, del mendicante vagabondo e abituato a dormire per strada, perennemente in cerca degli interstizi della città più sicuri o riscaldati, protetti dal vento e dalle intemperie, probabilmente accompagnato da un bricco di vino di bassa qualità, a volte da un cane, spesso con uno zaino o un sacco o un carrello che contengono tutti i suoi pochi averi. Per chiunque questi rappresentano l’intera cate-

99


European Consensus Conference on Homelessness, Report: Homelessness and Homeless Policies in Europe Bruxelles, 2010

1

100

goria degli homeless, semplicemente perché sono una figura talmente codificata da essere palesemente riconoscibili. La condizione di homelessness è in realtà molto più vasta e complessa, e riguarda chiunque si trovi a dover fare i conti con la perdita dell’abitazione. La scelta della vita di strada, è generalmente una scelta obbligata, l’ultima spiaggia per chi, nel turbine psicologico che naturalmente consegue alla perdita di un bene fondamentale come quello dell’alloggio, non è riuscito a riacquisire la propria autonomia economica e grazie ad essa reinserirsi nella più normali dinamiche sociali, che presumono l’abitazione, e tutti i comfort e le opportunità che essa offre, come requisito minimo per farne parte. Per fare chiarezza sul significato di homelessness è utile riportare alcune informazioni e considera- zioni trattate nella European Consensus Conference on Homelessness1 tenuta nel 2010 a Bruxelles. In esso viene spiegato come la definizione di homeless debba essere estesa ad un range molto più ampio rispetto a quello comunemente percepito: certamente sono senzatetto coloro che mancano di una qualsiasi struttura chiusa e protetta in cui spendere le ore notturne, costretti ad abitare la strada, ma lo sono anche coloro che risiedono in abitazioni inadeguate, sovraffollate, indegne, così come chi è a forte rischio di perdere l’abitazione. All’interno di questo spettro più esteso, che prende come estremi i senzatetto di strada da una parte, e quelli invisibili o nascosti entro le mura di un abitare difficile dall’altra, esistono una innume-


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Dennis P Culhane, Stephen Metraux, Rearranging the deck chairs or reallocating the lifeboats? Homelessness assistance and its alternatives, Journal of the American Planning Association, 2008

2

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revole quantità di altre condizioni homelessness: chi vive in condizioni di emergenza abitativa, chi è co- stretto a passare la notte in dormitorio, in strutture di accoglienza, in ostelli, in insediamenti, ospitati da amici o parenti, in automobili, in edifici abbandonati,… in qualsiasi opportunità di rifugio formale o informale, a breve o lungo termine. Una ricerca2 che ha analizzato la condizione dell’homelessness negli Stati Uniti ne ha messo in evidenza la natura dinamica, e il modo in cui essa non corrisponda affatto con una perdita del proprio status sociale, come non sia un baratro senza possibilità di uscita, ma anzi come sempre più spesso essa sia una condizione temporanea, nella quale la maggior parte delle persone entrano ed escono in modo più o meno rapido. La ricerca ha identificato tre sottogruppi di senzatetto in questi termini: - homeless cronici: soggetti che abitano la strada da anni, o che sono utenti a lungo termine delle strutture di servizio per l’accoglienza; - homeless episodici: soggetti che incorrono periodicamente in momenti di homelessness a causa di una forte fragilità lavorativa o psicologica, o causa di problemi di dipendenza; - homeless temporanei: soggetti che, a causa di condizioni involontarie e incontrollabili, viene a mancare l’abitazione, ma che dopo un breve periodo riescono a tornare autonomi e stabili senza incorrere più in tali dinamiche La ricerca ha dimostrato come negli Stati Uniti l’80% degli homeless appartiene alla terza categoria.


Un interessante fenomeno in crescita negli ultimi anni è inoltre il fatto che se prima lo status di homeless apparteneva principalmente a individui isolati, oggi sono sempre più numerosi i casi di interi nuclei familiari che si trovano a dover fare i conto con il dramma della perdita dell’abitazione. Per concludere è fondamentale fare riferimento alla ricerca svolta dall’inglese Joanne Neal nel 19973: la ricercatrice ha riconosciuto una duplice condizione di homelessness in base alle sue cause originarie: quella di homeless individuale e quella di homeless strutturale. La prima è espressione di un disagio personale che si protrae fino all’esclusione dalla società, e che concerne, spesso, problemi di natura psicologica o di dipendenza da alcol o stupefacenti o dal gioco, e che porta generalmente alla più codificata immagine del clochard. Spesso all’origine di questa categoria ci son drammi improvvisi, di tipo familiare (separazioni, perdita del coniuge…), o lavorativo (un licenziamento inaspettato, il fallimento della propria impresa,…). Episodi cui può seguire un crollo psicologico e una violenta transazione da condizioni di vita accettabili, se non addirittura agiate, ad un situazione di grande precarietà e fragilità, che porta all’auto-esclusione sociale e alla perdita completa della fiducia nei valori della collettività. L’homelessness strutturale categorizza invece i molto più numerosi casi in cui la perdita dell’alloggio non avviene in seguito ad un dramma personale, ma invece a causa di contingenze socio-economiche e del mercato del lavoro, in balia delle quali è l’individuo, e sulle quali egli non ha il più

3 Joanne Neale, Homelessness and theory reconsidered, Housing Studies Journal, 1997

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minimo controllo. In anni come questi, in cui il mercato del lavoro è in crisi e stenta a trovare una traiettoria di crescita, in cui la disoccupazione ha raggiunto livelli preoccupanti, in cui l’offerta di lavoro è satura, in cui il fallimento di imprese e aziende è all’ordine del giorno (dal 2009, quando la recessione economica ha iniziato a mietere le proprie vittime, in Italia sono fallite più di 90 mila aziende4), i numeri di individui e nuclei familiari colpiti da homelessness strutturale sono cresciuti e continuano a crescere, tanto da rendere la questione abitativa una vera e propria emergenza. Una ricerca pubblicata ad Marsh e Kennett nel 19995 indaga i motivi e le dinamiche della grande crescita della fetta di popolazione a rischio di homelessness, e quindi di esclusione sociale, temporanea: un fenomeno così strutturale nella società contemporanea che è stato etichettato come nuova homelessness6. Questa è stata generata dalla concorrenza di più diversi fattori, che abbiamo già rilevato come peculiari della transizione dalla società capitalista fordista a quella post-fordista: la fine dell’impiego fisso e l’erosione della rete sociale del welfare. Studiando le dinamiche della nuova homelessness in Europa i ricercatori hanno evidenziato come, nonostante la diversificazione e le disuniformità nelle modalità di gestione dei servizi sociali di ogni nazione, una generale riduzione della spesa per il welfare è associata con la crescita del fenomeno di nuova homelessness. Che questa possa essere compresa come il risultato di più ampie trasformazioni strutturali sociali

4

fonte: Cribis

Alex Marsh, Patricia Kennett, Homelessness: exploring the new terrain, Policy Press at the University of Bristol, 1999

5

6

nel testo originale: new homelessness

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ed economiche, e che la sua crescita sia inversamente proporzionale alle spese per la gestione del welfare, ci suggerisce che i governi potrebbero, attraverso nuove politiche di intervento, controllare e minimizzare la quantità e la durata di tale condizione. Ad amplificare questa dinamiche già di per se drammatica concorre anche la difficoltà ad accedere ad un’abitazione e a mantenerla a costi sostenibili. Se da una parte l’ownership della casa è un fenomeno che sta decrescendo a favore della pratica dell’affitto, spesso i costi di questo, così come quello dei mutui, sono troppo alti e poco flessibili rispetto alle premesse di precarietà del lavoro. Così sempre più individui e nuclei familiari si trovano a far parte di quella categoria a rischio di homelessness strutturale temporanea dovuta all’insostenibilità economica dell’abitare. Non si tratta di una povertà pregressa ma acquisita per cause incontrollabili e imprevedibili, che possono potenzialmente colpire chiunque. L’homelessness temporanea con cause strutturali è il fenomeno su cui si focalizza la ricerca progettuale di questa tesi.

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108


2.2 Cosa succede dopo aver perso la casa?

Abbiamo visto come all’origine della perdita della casa e del conseguente ingresso nell’eterogenea categoria dell’homelessness ci possono essere cause di diverso tipo. Da una parte quei fattori di rischio personali o intrinsechi al nucleo familiare, che influenzano le condizioni economiche e le fragilità dello stesso, e che talvolta portano alla perdita dell’abitazione. Lo sono le dipendenze dal gioco e dall’alcol che disturbano gli equilibri familiari sui piani sia affettivo che economico, le malattie e le disabilità con le ingenti spese e i periodi di inattività professionale che comportano, i problemi di integrazio-ne delle famiglie straniere, per citarne alcuni. Dall’altra parte le cause strutturali, che abbiamo già ampiamente illustrato. Quando i fattori di rischio e le cause strutturali

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raggiungono un livello inesorabile fino a rendere impossibile il mantenimento dell’alloggio, ecco che diventano cause scatenanti, e che la perdita della casa diventa immediata, generalmente attraverso sfratto esecutivo. Ai soggetti colpiti dalla perdita dell’abitazione, che entrano di fatto a far parte della categoria degli homeless, si prospettano una serie di possibilità per far fronte all’esigenza di un’alloggio o di una sistemazione temporanea. La vita in strada è solo l’ultima spiaggia per chi perde l’abitazione, non è una scelta ma la conseguenza dell’insufficienza o dell’incompatibilità con una serie di possibilità e servizi che la collettività e le istituzioni forni- scono. Partiamo innanzitutto dal presupposto che il procedimento che porta allo sfratto non è istantaneo ma ha una durata variabile, che assicura alcuni mesi di tempo all’individuo o al nucleo familiare per organizzarsi informalmente o fare appello a terzi per trovare una soluzione abitativa temporanea. La prima opportunità, cui generalmente si fa ricorso, è quella di chiedere ospitalità temporanea a parenti o amici con posti letto disponibili, con la speranza di tornare economicamente autonomi in tempi brevi e rientrare nella routine sociale nel minor tempo possibile. Nel caso in cui l’ospitalità informale sia impossibile, perché i soggetti in difficoltà non hanno nessuno cui appellarsi (situazione tipica in molti episodi di sfratti le cui vittime sono individui stranieri o anziani soli) la seconda possibilità è quella di ricorrere ai Servizi Sociali Territoriali.

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Una volta entrati in contatto coi Servizi Sociali Territoriali, sotto la supervisione degli assistenti sociali, si valuta la soluzione più adeguata (o meno inadeguata) a seconda del profilo dell’individuo o del nucleo famigliare in difficoltà, della loro condizione economica, del grado di autonomia e del livello di emergenza del loro bisogno. In base a queste valutazioni si decide anzitutto se compilare i moduli per fare domanda all’ufficio ERP e mettersi in graduatoria per un alloggio in edilizia residenziale pubblica e, con la consapevolezza della saturazione delle liste, trovare la miglior soluzione temporanea per alloggiare nell’attesa di ricevere la nuova abitazione. A que- sto punto i nuclei sono affidati a delle strutture per l’ospitalità temporanea accreditate al comune. Nei casi in cui l’emergenza necessiti di una risposta immediata e non ci sia possibilità di soluzioni informali due opzioni possibili sono quelle del dormitorio e quella dell’ospitalità in residenze sanitaria assistenziali (RSA). Il dormitorio per l’ospitalità degli esclusi sociali è una tipologia architettonica storica che vede le proprie radici nel XVIII secolo, ed è un prodotto delle politiche di filantropia che hanno caratterizzato il Secolo del Lumi. Si pensi al caso del tutt’ora attivo Pio Albergo Trivulzio di Milano, al Real Albergo dei Poveri a Napoli, o al torinese Ospizio Generale di Carità: strutture di enormi dimensioni, estremamente interessanti per il modo in cui sono progettate secondo logiche di contenimento e controllo del disagio estremo, con complesse diversificazioni dei percorsi e degli spazi, che rispondevano all’obiettivo che determinate

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categorie di ospiti non si incontrassero, che gli uomini fossero divisi dalle donne e dai bambini. Una logica progettuale del controllo che prende la forma di una forte regolamentazione e della segregazione della povertà dalla vita pubblica urbana. I dormitori contemporanei hanno generalmente dimensioni più ridotte e, seppur spesso ancora molto regolamentati, offrono più solitamente risposte ai soli bisogni fondamentali di mangiare-lavarsi-dormire. Tutt’ora i dormitori sono organizzati su una decisa separazione tra uomini e donne (e sono inesistenti i dormitori per famiglie). Sono generalmente dotati di un ambulatorio medico, di una mensa per la colazione, e che in alcuni offre anche la cena, di camere comuni, docce e bagni. L’ospitalità in dormitorio è un’ospitalità fondamentalmente notturna: l’ospite è tenuto a uscire dalla struttura dopo la prima colazione o a rientrarvi solo a fine giornata. Nelle ore diurne gli ospiti sono spinti a muoversi nella rete dei servizi distribuita nella città: centri d’ascolto, centri per l’indirizzamento lavorativo, centri d’aiuto, che hanno lo scopo di guidare l’homeless verso la fase della seconda accoglienza, per la quale un lavoro stabile è requisito ne- cessario, così che il soggetto possa permettersi di mantenere una stanza dove dormire sul lungo termine. Le RSA (Residenze Sanitarie Assistenziali) sono strutture non ospedaliere che hanno comunque un’impronta sanitaria, che ospitano persone non auto-sufficienti, come case di riposo e strutture protette. Alle strutture RSA sono generalmente affidati i profili più fragili: minori, madri con bambini o

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anziani non-autonomi. Le residenze sanitarie assistenziali sono strutture protette a natura comunitaria, e quindi non propriamente adeguate al bisogno di abitare temporaneo dei soggetti vittima di perdita della casa. Solo per gli individui e le famiglie più autonome, o che han passato un periodo in dormitorio e sono riuscite a rientrare in modo stabile nel mercato del lavoro, esistono le case della seconda accoglienza: queste sono strutture per l’ospitalità ancora una volta a natura comunitaria, ma di dimensioni minori. Esse offrono tutti i comfort di un’abitazione “classica” e non hanno orari regolamentati; tuttavia sono strutturate in modo da indurre alla stretta convivenza con gli altri inquilini attraverso una forte collettivizzazione degli spazi di relazione. Solo negli ultimi anni diversi comuni stanno studiando pratiche alternative e più adeguate al profilo degli homeless temporanei, che permettano loro di mantenersi in condizioni abitative il più normali possibile, così da limitare il rischio di esclusione sociale: è per esempio il caso del programma RST (Residenzialità Sociale Temporanea) in fase di implementazione nel comune di Milano, che verrà approfondito nei prossimi capitoli. In alternativa al sistema assistenziale offerto dalle istituzioni esistono una serie di altri servizi territoriali autonomi: parrocchie, associazioni, cooperative,... la cui esistenza si basa spesso sull’apporto di volontari. Questi servizi assistenziali offrono forme di abitare molto diversificate: dal dormitorio alla struttura comunitaria, dall’appartamento in condivisione al monolocale per il singolo.

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È solo nel momento in cui queste soluzioni non sono sufficienti a sopperire al bisogno di alloggio dell’homeless che egli si trova a dover escogitare soluzioni più estreme, informali e spontanee: gli edifici abbandonati, le automobili, gli insediamenti, le scatole di cartone, le tende igloo, gli angoli riscaldati e protetti della città.

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2.3 Spazi permanenti per abitanti temporanei

I dati sulle richieste di sfratto parlano chiaro: in Italia dal 2009, quando è iniziata la recessione economica, al 2015 sono stati emessi mediamente 60 mila provvedimenti di sfratto per morosità. Un dato quasi raddoppiato rispetto ai 34 mila annui degli anni precedenti1. L’aumento delle richieste di sfratto per morosità incolpevole sono il dato più eloquente del problema della crescente homelessness temporanea e strutturale, e del fatto che esso non possa più essere considerato come uno stato di emergenza, ma che sia invece una questione intrinseca alla nostra società, che non può essere arginata con soluzioni temporanee perché il problema non è temporaneo, e che necessita invece di soluzioni permanenti capaci di assorbire l’ingente domanda di alloggi per l’homelessness temporanea e allo stesso tempo di velocizzare il metabolismo per il reinserimento sociale di tali soggetti.

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Se quella dell’homelessness era, e spesso è tuttora, trattata come una condizione di povertà che implica un apparentemente inevitabile allontanamento dalle dinamiche sociali, che si manifesta spesso nella ghettizzazione all’interno di strutture assistenziali (che in molti casi amplificano l’esclusione sociale), bisognerebbe invece prestare più attenzione alle cause che hanno portato l’individuo o il nucleo familiare alla perdita dell’abitazione, e distinguere in esse quelle più strutturali del nostro tempo, che si manifestano come una prassi drammatica ma spesso inevitabile perché causata da forze incontrollabili. Una volta individuati questi profili, che come abbiamo visto sono una maggioranza in continua crescita, è necessario valutare politiche alternative che permettano loro di mantenersi in continuità con le dinamiche sociali senza esserne vittima e senza essere accompagnati verso una temporanea esclusione dalla comunità. La mancanza di una politica dell’abitare temporaneo si fa sempre più evidente. Il fatto che si stentino ad avere risposte adeguate all’ospitalità delle famiglie, che troppo spesso vengono separate affidando donne e bambini ai centri di prima accoglienza e lasciando gli uomini per strada è una pratica che non può più essere accettata. L’homelessness dovrebbe essere compresa dalle città in tutta la sua strutturalità, che non permette soluzioni più con trattamenti emergenziali inadeguati, ma che richiede anzi risposte misurate sul nuovo bisogno, permanente, di abitare temporaneo.

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2.4 BIBLIOGRAFIA

AA.VV., Report: Homelessness and Homeless Policies in Europe, European Consensus Conference on Homelessness, Bruxelles, 2010 AA.VV., Urbanization and development Emerging Futures, UN-Habitat, Nairobi, 2016 Culhane Dennis, Metraux Stephen, Rearranging the deck chairs or reallocating the lifeboats? Homelessness assistance and its alternatives, Journal of the American Planning Association, Chicago, 2008 Marsh Alex, Kennett Patricia, Homelessness: exploring the new terrain, Policy Press at the University of Bristol, 1999 Ministero dell’Interno, Gli sfratti in Italia, andamento delle procedure di rilascio di immobili ad uso abitativo, 2015 Multiplicity.lab (a cura di), Milano: cronache dell’abitare, Mondadori, Milano, 2007 Neale, Joanne, Homelessness and theory reconsidered, Housing Studies Journal, 1997

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https://federicaverona.com/2014/06/03/la-cittadebole/ https://federicaverona.com/2014/06/08/lhomeless-larchitetto-e-la-citta/

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3 Il caso di Milano

Come risponde Milano al crescente bisogno sociale di spazi per l’abitare temporaneo? Quali sono le sue strutture formali e informali? Quali programmi ha sviluppato il Comune per rispondere a questo nuovo bisogno sociale?

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3.1 Milanesi senza una casa

Il luogo comune vuole che Milano sia la città più europea d’Italia: la città più frenetica, la più veloce nel metabolizzare le influenze e i trend globali, soprattutto se messa a conronto con una nazione che, nel bene e nel male, tende ad recepire con un certo grado di diffidenza la rapidità delle trasformazioni che potrebbero minare il proprio patrimonio culturale senza pari. Milano non ha opposto resistenza alla possibilità di farsi città cosmopolita, e allo stesso tempo è riuscita a mantenere il proprio carattere più locale, nei suoi paesaggi ordinari e nelle sue tradizioni meneghine. Milano è una città dai ritmi veloci, caratterizzata da una “natura caleidoscopica, vibrante molecolare. Milano è una città che vive di continui spostamenti diffusi”1 .

Multiplicity.lab (a cura di), Milano: cronache dell’abitare, Mondadori, Milano, 2007

1

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Fonte: La Repubblica, 10 agosto 2012, update Comune di Milano

2

Fonte: Istat

3

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In questo quadro il tema della temporaneità dell’abitare prende una serie di sfaccettatur eterogenee: quella del pendolarismo che vede la popolazione milanese raddoppiare durante le ore diurne e riabbassarsi una volta conclusa la giornata lavorativa, quella degli studenti fuorisede che abitano a Milano nella temporaneità del poco ciclo di studi per poi rimanere o tornare alla propria città natale, quella dei lavoratori settimanali che hanno a Milano una seconda casa ma non la propria famiglia, la temporaneità breve delle mostre, dei saloni, delle fiere, quella del turismo, quella degli uomini d’affari che giungono da tutto il mondo, quella degli immigrati che cercano una stabilità ma sono spesso costretti a cercarla altrove. Milano è anche la città italiana che più di tutte risente delle grandi trasformazioni globali che riguardano il mercato del lavoro, è la città in cui più che altrove l’abitare risente del crescente impoverimento dei ceti medio e basso, e in cui il bisogno di abitare temporaneo in risposta a difficoltà strutturali, ha raggiunto i dati più preoccupanti. La disgregazione dei nuclei familiari a favore della crescente singletudine (i nuclei composti da una sola persona nel 2012 erano il 52,7% del totale!2), la crescita dei prezzi degli affitti, di cui Milano detiene il record nazionale (oggi nel capoluogo lombardo un affitto mensile costa mediamente circa 16€ al metro quadro, che significa circa 800 euro per, ad esempio, un appartamento bi-locale di 50 metri quadri)3, e l’insostenibilità di tali costi causata dalla crescente precarietà del lavoro, mette Milano tra le città italiane in cui il rischio di esclusione sociale è più elevato.


Il dato eloquente è la crescita delle richieste di esecuzione di sfratto (nella maggior parte dei casi per morosità incolpevole): nel 2009 il dato per la città meneghina si attestava intorno ai 20 mila, ma solo tre anni dopo ha raggiunto a quota 32 mila.4 Inoltre la Lombardia detiene il dato più alto di persone senza fissa dimora tra le regioni italiane: quasi 16 mila nel 2011, circa un terzo della popolazione homeless sul territorio italiano5. Nel capoluogo la presenza di senza fissa dimora è quasi raddoppiata rispetto ai dati relativi al 2008 (prima della recessione economica), e nel 2013 si contano oltre 500 homeless in strada, cui vanno aggiunti i più di duemila alloggiati presso dormitori e centri di prima accoglienza. Un dato significativo è anche l’abbassamento dell’età media dei profili degli homeless, che si attesta oggi a poco più di 40 anni.6 In questi numeri non sono inoltre compresi tutti gli individui e i nuclei che si trovano a forte rischio di homelessness ed esclusione sociale, né quelli in condizioni di forte disagio abitativo. Come si è organizzata Milano per arginare l’emergenza abitativa? Con quali programmi? Quali strutture? Abbiamo già visto che dal momento della perdita dell’abitazione, le vittime possono presentare richiesta ai Servizi Sociali Territoriali del comune, che, attraverso le indagini svolte dagli assistenti sociali, profilano una soluzione temporanea in attesa della riacquisizione della propria autonomia economica, e dirottano l’individuo o il nucleo familiare (in alcuni casi solo una parte di esso) verso centri di prima accoglienza o case di seconda

Fonte: Ministero dell’Interno, Gli sfratti in Italia, andamento delle procedure di rilascio di immobili ad uso abitativo, 2015 4

Fonte: Istat

5

Fonte: Regione Lombardia, Rapporto sulla condizione abitativa in Lombardia, 2015 6

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accoglienza, o, in determinati casi, verso gli appartamenti temporanei del programma Residenzialità Sociale Temporanea, che approfondiremo più avanti in questo capitolo. Prima di entrare nell’illustrazione della geografia, seppur parziale, dell’ospitalità temporanea sul territorio milanese, si può già anticipare una preoccupante inadeguatezza di alcune soluzioni, e la difficoltà nel far fronte a richieste sempre più numerose, che rendono necessario e fondamentale l’apporto di quella che in Milano: Cronache dell’abitare è definisce come la città di mezzo. L’ascolto e la lettura della cronaca locale di Milano ha intercettato un altro aspetto distintivo: la presenza diffusa di cittadini, spesso volontari, che seguono e assistono individui e famiglie in situazioni di difficoltà abitativa. Associazioni cattoliche, ONG, istituzioni laiche dell’assistenza sanitaria, centri di prima e seconda accoglienza, parrocchie, rete dei partiti, associazioni culturali, centri sociali, sono alcune delle forme che costituiscono una vera e propria città di mezzo che si sostituisce alle assenze e ai ritardi delle politiche pubbliche sull’abitare. La rilevanza assunta dalle reti informali e auto-organizzate di sostegno all’abitare può sembrare paradossale, in una città dove oggi prevalgono spesso i comportamenti tesi a massimizzare i vantaggi individuali, di gruppi, di famiglia. Esiste un insieme di pratiche di “supplenza” che negli ultimi anni si è allargato fino a produrre anche forme di sostegno a una imprenditorialità autorganizzata, come le cooperative del cohou- sing

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o le società che gestiscono i mutui collettivi sul bene-casa. Non vi è dubbio che a Milano la “città di mezzo” abbia spesso sostituito (e nascosto) le carenze di una politica pubblica sulla casa, ne abbia arginato le mancanze più gravi, abbia stimolato, assecondato e orientato le pratiche di autorganizzazione delle famiglie e dei gruppi sociali. La “città di mezzo” ha sollevato problemi e svelato urgenze. Ha risolto emergenze e aperto prospettive fertili e positive. Ma non ha potuto uscire dalla parzialità di una visione necessariamente attenta alla particolarità dei singoli casi, o delle singole problematiche abitative. Non le si può certo chiedere di rendersi sussidiaria alla necessità di una visione complessiva e articolata sul problema casa.7 Se queste affermazioni, scritte ormai dieci anni fa, manifestano la necessità di un urgente intervento da parte del Comune di Milano sulla gestione del tema, si può affermare che negli ultimi anni queste risposte stanno iniziando ad arrivare attraverso programmi, come quello per la Residenzialità Sociale Temporanea, che si sta rivelando come una sperimentazione efficace nell’arginare la domanda. Con la consapevolezza che sia impossibile fornire una mappatura completa, a causa dell’eterogeneità e della continua trasformazione delle strutture e delle soluzioni, ci limitiamo a riportare una geografia parziale, ma che costituisce comunque un campionario valido e indicativo, delle risposte formali e informali che la città offre oggi al biso-

Multiplicity.lab (a cura di), Milano: cronache dell’abitare, Mondadori, Milano, 2007

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gno di alloggi temporanei per homeless o individui e nuclei a rischio di homelessness, suddividendoli nelle seguenti categorie: dormitori e centri di prima accoglienza, case della seconda accoglienza e strutture a natura comunitaria, accoglienza informale tramite squatting. Per la seconda e per la terza opzione ne approfondiremo l’organizzazione e i meccanismi attraverso due casi emblematici: la Casa della Carità Angelo Abriani e il Residence Sociale Occupato Aldo Dice 26X1. Per concludere verrà illustrato il programma RST, che costituisce un layer aggiuntivo a questa geografia: un progetto per la Residenzialità Sociale Temporanea implementato dal Comune di Milano negli ultimi anni, e che sta sperimentando una nuova politica della gestione del bisogno abitativo.

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3.2 Geografia (parziale) dell’ospitalità temporaea

Senza la pretesa di poter essere esaustivo nel raccontare i programmi e le strutture con cui la città di Milano risponde al nuovo bisogno sociale di bitare temporaneo, propongo una mappatura di strutture per comprendere, attraverso alcuni dati, le dimensioni, i destinatari, e le proposte di tali strutture. In conclusione alla mappatura attraverso alcune elaborazioni statistiche si mostra il rapporto tra le categorie di destinatari delle strutture e il numero di posti letto ad esso disponibili, mostrando come gli uomini in condizione di difficoltà abitativa o homelessness, così come i migrandi e i rifugiati, sono generalmente destinati a strutture della tipologia del dormitorio, mentre donne, madri single, anziani, e giovani vengono più spesso alloggiati in strutture di dimensioni ridotte e a natura comunitaria.

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Prima accoglienza Seconda accoglienza e strutture ad alta assistenzialitĂ

3 22

Accoglienza informale

9

4

1 13

27 25

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26

31

2

9 14

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2 23

15 6 24

18

19

12

21

16 17 29 5 11

10 8

30 28

20 1

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PRIMA ACCOGLIENZA: DORMITORI E OSPITALITÀ NOTTURNA

1 / Casa di Solidarietà Saponaro Via Saponaro 40, Milano Profili: uomini senzatetto, rifugiati, immigrati Posti letto: 250 Costo: / 2 / Casa Silvana - City Angels Via Esterle 17, Milano Profili: donne sole o con figli, famiglie in condizioni di grave emergenza Posti letto: 10 Costo: / 3 / Cena dell’amicizia - Centro notturno femminile Via Spadini 15, Milano Profili: donne italiane e straniere in regola a rischio emarginazione Posti letto: 8 Costo: a carico degli Enti Pubblici 4 / Centro di accoglienza CAST Piazza Villapizzone 12, Milano Profili: uomini 18-45 anni Posti letto: 10 Costo: convenzione con il Comune

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5 / Centro di accoglienza Fratelli di San Francesco Piazzale Lodi 4, Milano Profili: uomini italiani e stranieri in regola Posti letto: 200 Costo: / 6 / Memoriale della Shoah Piazza Edmond J. Safra 1, Milano Profili: rifugiati Posti letto: 50 Costo: / 7 / Rifugio Caritas Via Sammartini Via Sammartini 11, Milano Profili: uomini, senza tetto o rifugiati (32 italiani e 32 stranieri) Posti letto: 64 Costo: / 8 / Ricovero Notturno di viale Ortles Viale Ortles 69, Milano Profili: donne e uomini, italiani e stranieri con permesso di soggiorno non in scadenza Posti letto: 484 (+140 durante il PF) Costo: 1,50 â‚Ź al giorno (gratis durante il PF) 9 / Villaggio Misericordia opera Fratel Ettore Via Assietta 32, Milano Profili: donne e uomini italiani, donne e uomini stranieri anche non in regola Posti letto: 50 uomini e 10 donne Costo: /

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SECONDA ACCOGLIENZA E CENTRI AD ALTA ASSISENZIALITÀ

10 / Associazione di volontariato Diaconia Via Ampola 20, Milano Profili: stranieri in regola Posti letto: 16 Costo: 160 € al mese 11 / Associazione Donna e Madre Viale Cardinale Ascanio Sforza 75, Milano Profili: donne single, incinte, o con bambini Posti letto: 40 Costo: / 12 / Associazione Effatà Via Jommelli 10, Milano Profili: anziani senzatetto Posti letto: 4 (prima accoglienza) + 10/12 in appartamenti Costo: / 13 / Casa dell’accoglienza A&B Via Tonezza 3, Milano Profili: donne italiane e straniere con uno o due minori Posti letto: 10 Costo: /

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14 / Casa della caritĂ Angelo Abriani Via Brambilla 10, Milano Profili: senzatetto, migranti, donne single con bambini, individui con problemi di salute mentale Posti letto: 100 Costo: / 15 / Casa degli amici Fides Via Timavo 68, Milano Profili: anziani senzatetto Posti letto: 11 Costo: / 16 / Casa di Elena Via Motta 4, Milano Profili: madri single con bambini Posti letto: 15 Costo: su segnalazione degli assistenti sociali 17 / Casa Marta e Maria Via Cipro 8/10 , Milano Profili: donne italiane o straniere con particolare disagio Posti letto: 13 Costo: / 18 / Casa Primula Padri Somaschi P.zza XXV Aprile 2, Milano Profili: donne italiane e straniere in regola con figli Posti letto: 20 + 4 appartamenti Costo: a partire da 40â‚Ź al mese

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19 / Cassinetta San Gregorio Via Marotta 8, Milano Profili: donne vittime di violenza, individui con problemi di sanità mentale Posti letto: 60 Costo: / 20 / Centro anziani San Donato Milanese Via della Chiesa, San Donato Milanese Profili: anziani Posti letto: 25 Costo: tra 20 e 188 € 21 / Centro di Solidarietà San Marco Piazza San Marco 2, Milano Profili: minori, adulti con problemi di sanità mentale Posti letto: 12 Costo: / 22 / Centro Notturno Maschile Clemente Papi Via Val di Bondo 15, Milano Profili: senzatetto e individui dipendenti da alcol o stupefacenti Posti letto: 12 Costo: / 23 / Comunità Remar Italia Onlus Via Monfalcone 19, Milano Profili: uomini tra i 18 e i 60 anni con dipendenza da alcolici o stupefacenti Posti letto: 15 Costo: /

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24 / Fondazione Asilo Mariuccia Via Jommelli 18/20, Milano Profili: donne single con bambini Posti letto: 31 Costo: / 25 / Fondazione pro-famiglia Coniugi Bonacina Via Zurigo 65, Milano Profili: donne single tra i 18 e i 60 anni, italiane e straniere, anche con bambini Posti letto: 5 Costo: / 26 / La Grande Casa Via Petrarca 146, Sesto San Giovanni Profili: giovani in condizioni di vulnerabilitĂ , donne single con bambini, migranti Posti letto: fino a 160 Costo: 50â‚Ź al mese 27 / Missionarie della caritĂ Via delle Forze Armate 379, Milano Profili: donne italiane e straniere con meno di 60 anni, anche con bambini da 0 a 3 anni Posti letto: 12 Costo: / 28 / Nocetum - Cascina Corte San Giacomo Via San Dionigi 77, Milano Profili: famiglie e donne single con bambini Posti letto: 20 Costo: variabile in base al progetto

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29 / Ospitalità Solidale Via del turchino 18, Milano Profili: giovani tra i 18 e i 30 anni Posti letto: 13 Costo: 370€ al mese ACCOGLIENZA INFORMALE 30 / Residence Sociale Occupato Aldo Dice 26x1 Via Oglio 8, Milano Profili: senzatetto, famiglie e individui vittime di sfratto Posti letto: 200 Costo: 10€ a settimana per nucleo familiare 31 / La Casa Rossa Rossa Via Sacco e Vanzetti 88, Sesto San Giovanni Profili: individui e famiglie vittime di sfratto Posti letto: 40 Costo: 5€ a settimana per nucleo familiare

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* Grafici elaborati sulla base del campionario di strutture per l’accoglienza precedentemente illustrato

QUALI CATEGORIE DI OSPITI SONO ACCOLTE NELLE STRUTTURE?*

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23%

Uomini

23%

Donne

19%

Madri single con figli minori

10%

Migranti

9%

Anziani

9%

Minori / giovani

7%

Famiglie


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* Grafici elaborati sulla base del campionario di strutture per l’accoglienza precedentemente illustrato

QUANTA DISPONIBILITÀ DI POSTI LETTO PER OGNI CATEGORIA DI OSPITE?*

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48%

Uomini

15%

Migranti

14%

Donne

9%

Madri single con figli minori

8%

Famiglie

3%

Anziani

3%

Minori / giovani


149


150


3.3 Tre casi studio emblematici

3.3.1 CASA DELLA CARITÀ ANGELO ABRIANI 3.3.2 RESIDENCE SOCIALE OCCUPATO ALDO DICE 26X1 3.3.3 PROGRAMMA RST RESIDENZIALITÀ SOCIALE TEMPORANEA

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3.3.1 CASO STUDIO: CASA DELLA CARITÀ ANGELO ABRIANI

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Indirizzo: Via Brambilla 10, Milano Profili: senzatetto, migranti, donne single con bambini, individui con problemi di salute mentale Posti letto: 100 Costo: / Altri servizi: mensa, docce, distribuzione vestiti, assistenza psicologica e assistenza al reinserimento sociale

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INDIVIDUI O NUCLEI FAMILIARI SFRATTATI

IMMIGRATI E RIFUGIATI

SENZATETTO

INDIVIDUI CON PROBLEMI DI SANITÀ MENTALE

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Associazione Angelo Abriani + Assistenti Sociali


CASA DELLA CARITÀ ANGELO ABRIANI

Autonomia

Housing Docce Mensa Distribuzione vestiti Assistenza al reinsetimento sociale Assistenza psicologica

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La Casa della Carità Angelo Abriani venne fondata nel 2002 su iniziativa dell’ allora arcivescovo Carlo Maria Martini all’interno di una ex-scuola costruita in età fascista e abbandonata da diversi anni nella periferia nord-est di Milano, nel quartiere Crescenzago. Essa è una struttura per l’accoglienza e l’ospitalità rivolta a individui e nuclei famigliari in difficoltà, che offre diversi tipi di servizi che variano dall’ospitalità temporanea all’interno della struttura ai servizi di prima necessità per migranti o senza tetto, da programmi di reinserimento sociale a progetti specifici per combattere la discri- minazione. L’obiettivo è quello di aiutare gli ospiti a riconquistare l’autonomia, prendendosi cura dei loro bisogni e assistendoli sul piano sanitario e su quello della tutela dei diritti, aiutandoli a trovare un lavoro e una casa, impegnandosi a non avere un’approccio assistenzialista ma di considerare di volta in volta la complessità dell’individuo in bisogno. Pur essendo un’organizzazione dichiaratamente cattolica la Casa della Carità si fa garante della laicità dell’operato, assicurando l’aiuto a prescindere da qualsiasi professione di fede dell’ospite. Garanti della fondazione sono i vigenti Arcivescovo e Sindaco della città di Milano. Attualmente la Casa della Carità ospita 52 uomini e 21 donne che hanno richiesto un alloggio temporaneo. L’ospitalità può durare da poche settimane a diversi mesi a seconda del singolo caso, e si conclude generalmente quando la persona riesce a diventare autonoma e ottenere una fonte di reddito tale da permettersi un’abitazione.

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La natura della struttura e dell’ospitalità offerta è comunitaria, e prevede quindi un regolamento, che gli ospiti devono accettare dal momento dell’ingresso nella struttura. Queste regole prevedono che l’ospite possa stare all’interno dell’edificio dalle 17:30 di pomeriggio alle 9:30 del giorno successivo, mettendolo così in condizione di essere attivo nelle ore diurne, coinvolto in programmi per la riacquisizione dell’autonomia o semplicemente lasciato libero di andare a cercare lavoro in città. Lo stesso regolamento afferma che l’ospita è chiamato a condividere questo periodo della propria vita con gli altri ospiti, condividendo il momento dei pasti e aiutando a creare delle condizioni di benessere e solidarietà comunitari. I servizi offerti dalla Casa sono, oltre al posto letto, la possibilità di consumare la cena e la colazione offerti durante orari stabiliti, la possibilità di lavare la biancheria e utilizzare le docce. Abitare in una struttura comunitaria significa anche avere dei divieti: in questo caso per esempio è vietato introdurre altri individui senza il permesso degli operatori, è vietato di consumare alcolici all’interno della struttura, è vietato assentarsi per più notti senza averlo precedentemente concordato. La presenza di una regolamentazione più o meno rigida all’interno di questo tipo di strutture garantisce un maggiore ordine all’interno delle stesse, e allo stesso tempo assicura che gli individui si confrontino costantemente con la propria condizione di ospiti, e li spinga così ad attivarsi per riacquisire la propria autonomia nella quotidianità.

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Parallelamente al servizio di ospitalità temporanea nella struttura la Casa della Carità possiede e gestisce anche 20 appartamenti, donati da privati oppure confiscati dallo Stato alla criminalità organizzata, all’interno dei quali alcuni ospiti possono abitare temporaneamente prima della completa autonomia. Questi alloggi ospitano generalmente nuclei familiari stabili che troverebbero particolari disagi in un abitare di natura comunitaria o individui prossimi al completo reinserimento sociale. Tutti i servizi garantiti dalla Casa della Carità Angelo Abriani sono offerti agli ospiti gratuitamente.

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3.3.2 CASO STUDIO: RESIDENCE SOCIALE OCCUPATO ALDO DICE 26X1

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Indirizzo: Via Oglio 8, Milano Profili: senzatetto, famiglie e individui vittime di sfratto Posti letto: 200 Costo: 10â‚Ź a settimana per nucleo familiare Altri servizi: mensa, bar, corsi, eventi, lavanderia

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INDIVIDUI O NUCLEI FAMILIARI SFRATTATI

SENZATETTO

164

Unione Inquilini + Comitato Diritto alla Casa

Clochard alla riscossa


RESIDENCE SOCIALE OCCUPATO ALDO DICE 26x1

Autonomia

Housing Mensa Bar Corsi Eventi

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Aldo Dice 26X1 è il nome del residence sociale occupato nel quartiere di Corvetto, al limite della periferia sud-est di Milano, ed è una realtà decisamente interessante e significativa nella sua attività informale di ospitalità per arginare il bisogno di residenze temporanee nel capoluogo lombardo. AD26X1 sorge in Via Oglio all’interno di un edificio costruito 8 anni fa, che avrebbe dovuto avere la funzione di residenza per studenti, ma che non ha mai aperto i battenti perché il cantiere si è fermato a pochi mesi dal completamento dei lavori. Fino a una notte del luglio 2016, durante la quale sono stati rotti i lucchetti e ne è iniziata l’occupazione, l’edificio è rimasto completamente inutilizzato, se non da parte di spacciatori sporadici e tossico-dipendenti. La storia della realtà di AD26X1 inizia in realtà due anni prima: nel marzo del 2014 le tre organizzazioni Unione Inquilini, Clochard Alla Riscossa e Comitato Diritto Alla Casa, per far fronte alla crescita di sfratti e di individui in bisogno di un riparo, occupano uno stabile che aveva precedentemente ospitato gli uffici dell’Alitalia a Sesto San Giovanni, al tempo abbandonato e invenduto da più di cinque anni. Da subito la missione è stata chiara: sopperire alla mancanza e all’inadeguatezza delle soluzioni di alloggi temporanei per individui e famiglie sfrattate per morosità inconsapevole, in quel gap di tempo che esiste tra la perdita della casa o la riacquisizione dell’autonomia lavorativa, o l’insediamento in un alloggio di edilizia residenziale pubblica. L’obiettivo in particolare è quello di fornire un’al-

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ternativa alla pratica di dividere i nuclei familiari, con l’offerta una stanza in comunità per mamma e minori, e lasciando il marito per strada. L’attivitò di AD26X1 a Sesto San Giovanni ha perdurato per circa due anni, fino a uno sgombero che ha costretto le organizzazioni e buona parte degli ospiti di allora a trovare una nuova soluzione. Lo studentato di Via Oglio si è offerto come la struttura perfetta per diventare il nuovo residence sociale: un edificio progettato per l’abitare temporaneo, mai aperto ma pressoché completo. Diecimila metri quadrati distribuiti su dieci piani, di cui nove di mini-appartamenti e uno, al piano terra, di spazi comuni: una lavanderia, uno spazio per attività diurne e notturne aperte al pubblico, una cucina gestita dagli organizzatori e da una parte degli ospiti, che offre un pasto caldo completo a chiunque al prezzo di 5 euro. I requisiti per accedere a un appartamento, oltre alla disponibilità dello stesso, sono che l’individuo o il nucleo familiare richiedente siano regolarmente in Italia, e che essi siano in attesa di un nuovo alloggio stabile (o volenterosi ad mettersi in lista per trovarne uno attraverso l’aiuto delle organizzazioni che gestiscono il residence). Una volta ottenuto l’alloggio, l’ospite o il nucleo familiare ospite è tenuto a pagare una cifra simbolica di 10 euro a settimana (non a persona, ma a nucleo ospitato, indipendentemente dal numero di individui che lo compongono). Gli alloggi sono bilocali composti da due camere della dimensione di circa 12 metri quadrati, con un bagno in comune. Non c’è cucina negli appartamenti ma gli ospiti possono organizzarsi

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informalmente con fornelli elettrici o a gas per sopperire a questa mancanza. Per quel che riguarda la fornitura di arredi la situazione dipende dal singolo caso: nel caso in cui siano i soggetti siano stati vittime di sfratto per morosità incolpevole, e siano proprietari di arredi, essi sono liberi di portarli nell’appartamento; nel caso di situazioni più difficili - come per esempio quelle dei senza tetto - gli stessi organizzatori si muovono per equipaggiare la stanza con una fornitura minima di arredi di seconda mano o abbandonati. La temporaneità dell’abitare è, come nella maggior parte dei casi, difficilmente prevedibile, ma tra i princìpi del residence vige la regola per cui nessuno verrà mai rimesso in strada senza che prima riesca a trovare una nuova sistemazione stabile. Laura e Weimar sono i gestori del sistema del residence sociale occupato, nonché gli unici occupanti ufficiali dello stabile, così da garantire protezione in senso legale agli ospiti temporanei. Essi affermano la legittimità e la validità del progetto soprattutto per il modo in cui travalica la burocrazia soffocante e la troppo lunga durata delle pratiche per ottenere una residenza temporanea, che troppo spesso lascia interi nuclei familiari per strada, costretti a doversi arrangiare da soli per sopravvivere. Oggi il Residence Sociale Occupato è abitato da circa 200 ospiti, individui o nuclei familiari, italiani e stranieri, con passati diversi ma accomunati dallo stesso dramma di essere rimasti senza una casa e senza nessuna possibilità di avere un tetto che non sia quello di rimanere per strada.

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169


170


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3.3.3 CASO STUDIO: PROGRAMMA RST RESIDENZIALITÀ SOCIALE TEMPORANEA

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Indirizzo: progetto diffuso su tutto il territorio milanese Profili: individui e nuclei familiari in condizioni di difficoltĂ abitativa o vittime di sfratto, senzatetto Posti letto: 1011 Costo: / Altri servizi: supporto per il re-inserimento sociale

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INDIVIDUI O NUCLEI FAMILIARI SFRATTATI

SENZATETTO

INDIVIDUI O NUCLEI IN DIFFICOLTÀ ABITATIVA

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Assistenti Sociali

Cabin regia


na di a RST

Ente gestore degli appartamenti

RST

Autonomia

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Quando in seguito alla recessione economica iniziata nel 2008 le domande di sostegno all’abitare hanno subito un’impennata e il problema casa ha raggiunto uno stato di emergenzialità, è parso evidente agli uffici del Comune incaricati di occuparsi la questione, come gli strumenti esistenti per la sua gestione fossero datati, insufficienti e inappropriati, e hanno finalmente sentita la necessità di una revisione e innovazione degli stessi, che mettesse in discussione le modalità e i processi di gestione. Di fronte all’improvvisa crescita e all’urgenza del bisogno, i Servizi Sociali Territoriali hanno agito con gli strumenti a loro disponibili e cercando di arginare la domanda nei limiti del possibile: la necessità di alloggi temporanei per chi si è trovato in circostanze di emergenza è stata deviata principalmente verso strutture ad alta intensità assistenziale (RSA) e, in alcuni casi, in stanze d’albergo. Soluzioni in entrambi i casi costose e inappropriate per i profili in bisogno. Di fronte al continuo aggravarsi delle domande (solo nel 2013 a Milano sono state sfrattate 12 mila persone, e 23 mila sono in lista d’attesa per un alloggio di Edilizia Residenziale Pubblica), all’insostenibilità delle spese ad esse conseguenti, e ai problemi dovuti alla mancanza di un progetto che coordinasse i servizi sociali con gli enti del terzo settore che alloggiano gli individui in bisogno, al Comune di Milano si sono presentate due strade possibili: considerare la situazione come uno stato emergenziale e gestirla con la speranza che essa possa finire al più presto, oppure prendere consapevolezza del contesto, assumere lo stato

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di crisi come strutturale e mettere in discussione i propri strumenti al fine di riorganizzare il sistema di gestione del problema casa attraverso nuove sperimentazioni. In questo contesto nasce il programma RST per la Residenzialità Sociale Temporanea. Esso si fonda su una attenta mappautra dei servizi residenziali esistenti e delle loro criticità: un eccessivo numeri di profili affidati a strutture con alto livello di assistenza o in strutture per il riparo dei senzatetto, mancanza di posti in strutture con un livello di assistenza più leggero e con servizi indirizzati al supporto nella riacquisizione dell’autonomia, inappropriatezza delle soluzioni che rispondono al bisogno di residenzialità temporanea e leggera; tutte cause da una parte dell’obbligo per gli individui a percorsi non corrispondenti al loro bisogno, dall’altra dell’utilizzo di risorse economiche che potrebbero e dovrebbero essere reinvestite in servizi residenziali coerenti coi profili in difficoltà. Il progetto ha da subito una visione molto chiara sugli obiettivi da raggiungere al fine di gestire il problema nelle modalità più corrette: - trasversalità: superare la logica di intervento basato su categorie (minori, anziani disabili,…) - appropriatezza della risposta: realizzare un nuovo modello residenziale che possa rispondere ai bisogni di individui e nuclei familiari in condizioni di fragilità temporanea, evitando di inserirli in programmi e strutture inappropriati. - temporaneità della risposta: lavorare affinché la permanenza in struttura di ciascun individuo o nucleo sia il più breve possibile, al duplice scopo di

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prevenire che il bisogno si cronicizzi, e di mettere le risorse per la residenziali temporanea a disposizione di altri profili in bisogno. - appropriatezza della spesa: implementare una migliore allocazione delle spese, riducendo i costi e allo stesso tempo garantendo la soddisfazione dei bisogni - promozione dell’autonomia: pianificare e garantire servizi di supporto personalizzati, costruiti sulle risorse e sui bisogni del singolo caso. - ampliamento dell’offerta a partire dalle risorse disponibili. Una volta definiti gli obiettivi è stato fatto un lavoro di mappatura delle risorse disponibili in termini di alloggi: il 28 gennaio 2015 è stato pubblicato un bando, un avviso pubblico sul Sistema della residenzialità sociale temporanea, cui hanno risposto 48 enti del terzo settore che si occupano di ospitalità per individui o nuclei in difficoltà abitativa, per un totale di 1011 posti letto messi a disposizione del progetto. A partire dalle risposte al bando sono stati costituiti quattro elenchi di enti gestori, in base al profilo della loro offerta: - enti che offrono servizi residenziali e per il supporto all’autonomia in alloggi che gestiscono loro stessi, che abbiano almeno 20 posti letto suddivisi tra appartamenti e altre strutture residenziali a natura comunitaria (845 posti letto) - enti che offrono servizi residenziali e di supporto all’autonomia, disponibili a gestire appartamenti di proprietà dell’amministrazione comunale (73 posti letto) - enti che offrono appartamenti per categorie pro-

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tette (79 posti letto) - enti che offrono risposte di accoglienza tempestiva, negli stessi termini delle precedenti liste, ma con una disponibilità immediata (14 posti letto) Il target dei profili cui è destinata questa offerta si compone di individui, o nuclei familiari, che soffrono di un momento di difficoltà abitativa, che con un supporto adeguato possono tornare ad un buon grado di autonomia e che sono motivati a implementare il proprio progetto di reinserimento sociale. Il modello gestionale del progetto è così organizzato: i Servizi Sociali Territoriali, cui arrivano le domande dai soggetti in difficoltà, compilano grazie agli assistenti sociali un progetto specifico per l’inclusione nel programma RST del profilo richiedente. La cabina di regia per la residenzialità sociale temporanea, che riceve le richieste dai SST, ha il compito a questo punto di abbinare il profilo alle risorse disponibili in funzione dei suoi bisogni, e di mettere in contatto l’assistente sociale con l’ente che gestisce l’appartamento. Questi, se ritiene il profilo adeguato alla propria disponibilità, accetta la domanda e dà così inizio al progetto di supporto per l’acquisizione dell’autonomia. Nella prima fase di implementazione del progetto, tra luglio 2015 (quando i Servizi Sociali Territoriali hanno iniziato a inviare application dei loro profili per RST) e marzo 2016 sono state presentate richieste per 905 persone (129 adulti in condizioni di difficoltà socio-economica e 229 nuclei familiari con minori), di queste sono state alloggiate 338 persone, principalmente individui

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e famiglie che erano precedentemente ospitati in strutture comunitarie inappropriate al loro bisogno, vittime di sfratto, soggetti fino ad ora alloggiati in dormitori notturni, anziani costretti ad abitare per strada. Questi i profili delle famiglie fino ad ora alloggiate: - 119 individual single - 4 coppie senza figli - 69 nuclei composti da madre con minori - 2 nuclei composti da padre con minori - 35 nuclei bi-genitoriali con minori In conclusione non si può non sottolineare la riduzione della spesa conseguente a questa revisione della gestione del problema: il costo giornaliero in alloggio RST è di 12 euro per invididuo single, e di 21 euro per un nucleo familiare con due figli. Lo stesso nucleo familiare costava 90 euro ogni giorno quando alloggiato in un centro a natura comunitaria ad alta assistenzialità. La spesa, per quel che riguarda il 2016, è così scesa da 2.825.100 euro annui per alloggiare 86 nuclei familiari in comunità a 660.996 euro per ospitare gli stessi profili in RST, con un risparmio di 2.164.104 euro reinvestibili in altri progetti.

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CAMPIONARIO: 15 APPARTAMENTI PER LA RESIDENZIALITÀ SOCIALE TEMPORANEA 13 12

1 3 4

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2


9 8

15

7

14

6 5 11 10

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1. APPARTAMENTO IN VIA ZAMAGNA 4 Fondazione Progetto Arca

38 / mq

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= 9,5 / mq


Attività diurne / mangiare / dormire

Dormire

Cucinare Curare l’igiene

32%

della superficie è occupata dagli arredi forniti dall’ente gestore

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2. APPARTAMENTO IN VIA MARATTA 3 Cooperativa Sociale Comunità del Giambellino

40 / mq

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Attività diurne / cucinare / mangiare

Curare l’igiene

Storage

Dormire

24%

della superficie è occupata dagli arredi forniti dall’ente gestore

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190


191


3. APPARTAMENTO IN VIA PRENESTE 8 Fondazione Progetto Arca

25 / mq

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= 8,3 / mq


Storage Attività diurne / mangiare / dormire Cucinare

Curare l’igiene

25%

della superficie è occupata dagli arredi forniti dall’ente gestore

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4. APPARTAMENTO IN VIA MAR JONIO 3 Fondazione Progetto Arca

28 / mq

196

=7 / mq


Dormire

Attività diurne/ mangiare / dormire Cucinare Curare l’igiene

23%

della superficie è occupata dagli arredi forniti dall’ente gestore

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5. APPARTAMENTO IN VIA CALATAFIMI Casa della Carità Angelo Abriani

32 / mq

200

=8 / mq


Curare l’igiene Dormire

Attività diurne / cucinare / mangiare / dormire

26%

della superficie è occupata dagli arredi forniti dall’ente gestore

201


202


203


6. APPARTAMENTO IN VIA CALATAFIMI Casa della Carità Angelo Abriani

36 / mq

204

= 12 / mq


Attività diurne / cucinare / mangiare / dormire

Dormire Curare l’igiene

23%

della superficie è occupata dagli arredi forniti dall’ente gestore

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207


7. APPARTAMENTO IN VIA VALLAZZE 26 Casa della Carità Angelo Abriani

25 / mq

208


Curare l’igiene

Attività diurne / cucinare / mangiare / dormire

34%

della superficie è occupata dagli arredi forniti dall’ente gestore

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210


211


8. APPARTAMENTO IN VIA VALLAZZE 26 Casa della Carità Angelo Abriani

20 / mq

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Curare l’igiene

Attività diurne / cucinare / mangiare / dormire

36%

della superficie è occupata dagli arredi forniti dall’ente gestore

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214


215


9. APPARTAMENTO IN VIA VALLAZZE 26 Casa della Carità Angelo Abriani

40 / mq

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= 13,3 / mq


Attività diurne / cucinare / mangiare / dormire

Dormire Curare l’igiene

27%

della superficie è occupata dagli arredi forniti dall’ente gestore

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219


10. APPARTAMENTO IN VIA ROMILLI 3 Fondazione Progetto Arca

22 / mq

220

= 11 / mvq


Attività diurne / cucinare / mangiare

Curare l’igiene

40%

Dormire

della superficie è occupata dagli arredi forniti dall’ente gestore

221


222


223


11. APPARTAMENTO IN VIA ROMILLI 3 Fondazione Progetto Arca

33 / mq

224

= 11 / mq


Attività diurne / cucinare / mangiare / dormire

Curare l’igiene

34%

della superficie è occupata dagli arredi forniti dall’ente gestore

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12. APPARTAMENTO IN VIA APPENNINI 92 Cooperativa La Cordata

40 / mq

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= 20 / mq


Lavare Storage

Curare l’igiene

Attività diurne / cucinare / mangiare / dormire

24%

della superficie è occupata dagli arredi forniti dall’ente gestore

229


230


231


13. APPARTAMENTO IN VIA APPENNINI 92 Cooperativa La Cordata

56 / mq

232

= 18,7 / mq


Dormire

Curare l’igiene

Attività diurne / cucinare / mangiare

21%

della superficie è occupata dagli arredi forniti dall’ente gestore

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14. APPARTAMENTO IN VIALE DELLE RIMEMBRANZE DI LAMBRATE 17 Cooperativa La Cordata

96 / mq

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= 19,2 / mq


Attività diurne / cucinare / mangiare

Curare l’igiene

Lavare

Dormire

Dormire

20%

della superficie è occupata dagli arredi forniti dall’ente gestore

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15. APPARTAMENTO IN VIALE DELLE RIMEMBRANZE DI LAMBRATE 17 Cooperativa La Cordata

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102 / 21% mq

= 17 / mq

della superficie è occupata dagli arredi forniti dall’ente gestore

Attività diurne / cucinare / mangiare

Dormire

Dormire

Curare l’igiene

Curare l’igiene

Dormire

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242


243


3.4 BIBLIOGRAFIA

Bricocoli Massimo, Palazzo Cosimo, Sabatinelli Stefania, La riconversione della spesa pubblica come terreno di innovazione. Soluzioni residenziali per l’emergenza abitativa a Milano, in La Rivista delle politiche sociali, n. “Le città nella crisi” Comune di Milano - Settore Residenzialità Servizio Residenzialità Adulti, Milano che accoglie, Ottobre 2015 Ministero dell’Interno, Gli sfratti in Italia, andamento delle procedure di rilascio di immobili ad uso abitativo, 2015 Multiplicity.lab (a cura di), Milano: cronache dell’abitare, Mondadori, Milano, 2007 Regione Lombardia, Rapporto annuale dell’osservatorio sulla condizione abitativa in Lombardia, 2015 Ufficio Centrale di Statistica, Gli sfratti in Italia, andamento delle procedure di rilascio di immobili ad uso abitativo, Ministero dell’Interno, 2015

244


Casa della Carità Angelo Abriani: www.casadellacarita.org/ Federica Verona, Milano non è una città per principianti: https://federicaverona.com/2014/12/17/323/ / Per la stesura di questo capitolo sono state di fondamentale importanza le ricerche di mappatura svolte dagli studenti di Architettura e Urban Planning del corso TraSH - Temporary Social Housing, Politecnico di Milano, AA2016/17

245


246


4 I limiti di un’esperienza

Quali sono i limiti e le problematiche che emergono dal campionario di appartamenti illustrato nel precedente capitolo? All’appropriatezza gestionale del programma RST consegue un’appropriatezza delle forme e degli spazi dell’abitare? In che modo queste problematiche possono diventare il punto di partenza per la progettazione di abitazioni adeguate al nuovo bisogno di residenzialità temporanea?

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4.1.1 SOVRAFFOLLAMENTO

Decreto Ministeriale 5.7.1975 Per ogni abitante deve essere assicurata una superficie abitabile non inferiore a 14 mq

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Appartamento in Via Zamagna

9,5mq /14mq

Appartamento in Via Maratta

40mq /14mq

Appartamento in Via Preneste

8,3mq /14mq

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Appartamento in Via Mar Jonio

7mq /14mq

Appartamento in Via Calatafimi / 1

8mq /14mq

Appartamento in Via Calatafimi / 2

12mq /14mq

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Appartamento in Via Vallazze / 1

25mq /14mq

Appartamento in Via Vallazze / 2

20mq /14mq

Appartamento in Via Vallazze / 3

13,3mq /14mq

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Appartamento in Via Romilli / 1

11mq /14mq

Appartamento in Via Romilli / 2

11mq /14mq

Appartamento in Via Appennini / 1

252

20mq /14mq


Appartamento in Via Appennini / 2

18,7mq /14mq

Appartamento in Viale delle Rimembranze di Lambrate / 1

19,2mq /14mq

Appartamento in Viale delle Rimembranze di Lambrate / 2

17mq /14mq

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4.1.2 MANCANZA DI PRIVACY

Data la presenza di una sola camera da letto in questo appartamento che ospita una famiglia composta da quattro persone, i genitori sono costretti a dormire nel soggiorno/cucina.

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Data la presenza di una sola camera da letto in questo appartamento che ospita una famiglia composta da quattro persone, i genitori sono costretti a dormire su un divano letto in soggiorno.

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Questo appartamento, che ospita una famiglia di tre persone, è un monolocale. Tutti gli ospiti dormono su divani-letto in soggiorno.

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Un ospite di questo appartamento dorme in soggiorno.

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Un nucleo familiare intero dorme nella stessa stanza: genitori e figlia.

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Madre e figlia maggiorenne condividono lo stesso spazio (soggiorno/cucina) per la notte.

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4.1.3 MANCANZA DI SPAZIO / ARREDI PER LO STORAGE

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4.1.4 INADEGUATEZZA DEGLI ARREDI FORNITI RISPETTO ALLO SPAZIO

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4.2 Un’abitazione adeguata alla residenzialità temporanea

Il progetto RST è una sperimentazione virtuosa sotto numerosi punti di vista: è riuscito ad attuare un aumento dell’offerta e allo stesso tempo un’importante riduzione dei costi per l’ospitalità di soggetti in condizioni di difficoltà abitativa, permettendo di implementare altri servizi con quanto risparmiato e offrendo alloggi più adeguati ai bisogni degli individui, superando l’inadeguatezza delle soluzioni ad alta assistenziali. Analizzando un campionario di appartamenti destinati a Residenzialità Sociale Temporanea, tuttavia, non ci si può esimere dal far emergere alcuni dubbi circa le condizioni che questi offrono ai loro abitanti temporanei. Nell’eterogeneità dell’offerta emergono diversi appartamenti in condizioni di sovraffollamento (meno di 14 metri quadri a persona), e arredati “alla bell’e meglio” con pezzi

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raccolti da donazioni o definiti da standard molto rigidi e obsoleti. Quel che pare evidente è che manca un qualche livello di regolamentazione della disponibilità, e si prende ogni alloggio secondo la logica del meglio un tetto che nulla. Nonché emerge la necessità di una riflessione in termini spaziali sulle peculiarità che una casa per l’abitare temporaneo deve avere. Non si vuole certo negare l’efficienza e la virtuosità di questo servizio, ma credo che, di fronte a un bisogno permanente di spazi per l’abitare temporaneo, la logica del riparo non sia più accettabile. Il bisogno di alloggi per l’abitare temporaneo, riferito ad un preciso e ricorrente gap all’interno del percorso di vita di individui o nuclei familiari, che cade tra la perdita dell’autonomia economica (con conseguente difficoltà in termini di mantenimento dell’abitazione) e la sua riacquisizione, è in crescita, e deve essere visto come un fenomeno strutturale della nostra società, che mette a rischio di homelessness non solo individui già di per sé fragili o con passati di vita difficili e instabili, ma fondamentalmente chiunque. Il problema non può più essere trattato nell’ottica dello stato di bisogno emergenziale, con la speranza che la crisi finisca e che il disagio rientri nei termini di una casistica più facilmente controllabile. Il riparo temporaneo risponde al bisogno primario dell’uomo di avere un luogo protetto dove poter passare la notte, e performare alcune attività di base della quotidianità: dormire, nutrirsi, curare l’igiene. Se è possibile (e adeguato) rispondere ad uno sta-

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to d’emergenza con soluzioni temporanee e, seppur non ottimali, “accettabili”, ci chiediamo se non sia invece necessaria una risposta diversa, più attenta e adeguata, ad una questione che ha la temporaneità come paradigma, ma che è un problema apparentemente destinato a permanere. Si pone così la necessità di una riflessione in termini architettonici sul tema dell’abitazione per l’ospitalità temporanea di soggetti in condizioni di difficoltà abitativa: sulle forme e gli spazi di questa abitazione, sulle relazioni tra questi e sui loro significati, sulle prestazioni che essa deve garantire: una casa misurata sui bisogni e gli obbiettivi degli individui che la abitano temporaneamente. Credo che ci siano due sfere di obiettivi entro cui ricercare una corretta definizione di questa abitazione: il primo è, ovviamente, quello di evitare che a questa situazione di difficoltà economica corrisponda un processo di esclusione dalle dinamiche sociali e una caduta in un’area di esclusione e povertà. Il secondo obiettivo è quello di ridurre il più possibile la durata di questa temporaneità, così da permettere un reinserimento rapido nelle dina miche sociali, oltre che assicurare, attraverso un continuo ricambio degli inquilini, una maggiore copertura del bisogno. Con la consapevolezza che sostenere il raggiungimento di questi obiettivi sia innanzitutto competenza di altri operatori, assistenti sociali in primis, credo che ci sia tuttavia un margine entro cui la progettazione della casa e delle sue forme possano essere uno strumento di supporto per l’a-

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bitante temporaneo nel suo processo verso il ritorno all’autonomia, senza la pretesa di risolvere il problema ma con l’ambizione di renderlo meno gravoso nel percorso di vita delle persone. Quale forma prende l’ospitalità temporanea? Come definire una casa adeguata alla temporaneità, che sia dignitosa e non si faccia rappresentazione di uno stato di povertà, che mantenga gli individui in continua ricerca della propria autonomia? Come progettare una casa che spinga gli abitanti al mettersi continuamente in relazione e che non li lasci adagiare nel loro stato di difficoltà? La ricerca di una risposta a queste domande si offre come territorio per una sperimentazione che indaghi nuove possibilità spaziali e relazionali all’interno dell’ambito domestico, che metta in discussione gli standard e le norme date, le forme acquisite e le relazioni consolidate, per proporre una forma di abitare adeguata ai bisogni del fenomeno preso in considerazione.

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PARTE II Progetto

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MANIFESTO DELLA CASA PER LA RESIDENZIALITÀ TEMPORANEA

Il senso e il significato della stesura di un Manifesto della casa per la Residenzialità Temporanea non è quello di affermare la possibilità di una risposta o di una soluzione univoca a un bisogno, quanto più quello di cercare di definire una possibile strategia, un cui validamento può avvenire solo attraverso la sua verifica (innanzitutto sotto forma di progetto, ma soprattutto nella sua possibilità di divenire realtà) per offrire un’abitazione coerente al profilo degli inquilini e al carattere di temporaneità dell’abitare che contraddistingue questa fase della loro vita. Questo manifesto prende la forma di un elenco di punti, ognuno dei quali considera un ambiente consolidato della “domesticità convenzionale”, e lo ri-propone alla luce di ragionamenti architettonici volti a soddisfare un duplice obiettivo.

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Il primo obiettivo è di natura spaziale, e si lega alla necessità di offrire un ambiente domestico adeguato e dignitoso nella piccola dimensione dell’appartamento: come precedentemente affermato il superamento della logica del riparo e la consapevolezza della strutturalità del problema ci porta a voler progettare abitazioni con la stessa attenzione alla qualità degli spazi e delle loro relazioni di un’abitazione non-temporanea. La necessità di lavorare alla soglia dello standard dimensionale, al fine di ospitare il maggior numero di inquilini, pone la sfida di dover ripensare i singoli spazi nella loro dimensione minima con la consapevolezza di voler ottenere una ricchezza e una qualità spaziale complessiva. Il secondo obiettivo si lega invece agli usi e ai modi di abitare, e si basa sulla manifestazione del carattere temporaneo dell’alloggio, e alla condizione di ospite dei suoi inquilini: se l’obiettivo del programma è quello di ospitare i profili per un periodo che va dai 6 ai 18 mesi, si può immaginare che un’abitazione consona a questo ciclo di ricambio degli inquilini, possa offrire prestazioni in qualche modo diverse rispetto a quelle convenzionali. Allo stesso modo la necessità di evitare il prolungarsi della durata dell’alloggio e il conseguente rischio di cronicizzarsi del problema, invita a ragionare sulla possibilità di includere in questa abitazione, nei suoi rapporti spaziali e nei suoi usi, un leggero grado di scomodità, che non metta in discussione la dignità dell’abitare ma che di fatto esprima quel carattere di temporaneità di cui abbiamo accennato sopra, tale da spingere gli ospiti

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a non adagiarsi nella condizione di difficoltà , ma di sentirsi costantemente spinti a voler ricercare e riconquistare la propria autonomia. Il risultato di questi ragionamenti, che verranno ora elencati punto per punto, ha portato alla definizione di un’abitazione organizzata su uno spazio centrale di relazione, una piazza i cui usi e attività rimangono diversificati e generici, sul quale si affacciano e aprono una successione di ambienti di dimensioni minori e caratterizzati da una funzione precisa, come possono essere quelle del dormire, del lavarsi, o del cucinare, pensati per l’utilizzo da parte del singolo individuo.

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MANIFESTO

I LO SPAZIO DI RELAZIONE CENTRALE Uno spazio di relazione unico deve diventare il fulcro della casa per la Residenzialità Temporanea. I princìpi di questo manifesto sono volti a massimizzare la ricchezza spaziale di questo ambiente, che deve essere il più ampio e luminoso possibile, e offrirsi come scenario per tutte le attività di relazione dello spazio domestico: cucinare, mangiare, rilassarsi, giocare, spendere il proprio tempo libero. Questa scelta, oltre ad assicurare alcuni benefici spaziali che assicurano una dignità nella piccola dimensione dell’appartamento, genera un leggero grado di scomodità, che può avere tuttavia risvolti positivi: il sovrapporsi di attività potenzialmente incompatibili all’interno dello stesso spazio fa in modo che l’abitante si metta in relazione con la realtà urbana e di vicinato per trovare soluzioni più adeguate alle proprie necessità quotidiane.

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II L’ALCOVA COME SPAZIO PER L’INDIVIDUO La camera da letto alla dimensione dello standard normativo (8 mq camera singola, 12 mq camera doppia), non ha senso. La sua superficie è tale da offrire lo spazio per il letto, per l’armadio, e per una eventuale scrivania. La superficie calpestabile residua è di servizio, ma non utilizzabile per svolgere alcuna attività. Riducendo l’ambito della camera da letto ad un’alcova - integrata da storage - si genera un risparmio di spazio, altrimenti inutilizzabile in modo attivo, che può essere rendirizzaro ad altri ambienti dell’abitazione. Se ben progettata, l’alcova può offrire le stesse prestazioni della camera da letto standard in uno spazio più consono e protetto, che assicura comunque un buon grado di privacy per l’individuo che la abita. III LA CUCINA APERTA La cucina della casa temporanea non deve essere un ambiente a sé stante, una stanza, ma un elemento funzionale integrato allo spazio di relazione, sul quale deve aprirsi così che il suo utilizzo diventi parte della ritualità quotidiana degli inquilini, come momento di relazione tra essi.

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IV IL BAGNO SCOMPOSTO E INFRASTRUTTURATO Poichè il tempo di utilizzo del bagno è ridotto rispetto agli altri ambienti domestici, in un appartamento di piccole dimensioni esso può essere ripensato al fine di generare un miglioramento di altri spazi più utilizzati. L’indicazione è di scomporre il bagno nelle sue singole parti (lavandino, doccia, gabinetto e bidet) e di immaginare queste come singole nicchie mono-funzionali che devono aprirsi sullo spazio di relazione, e di aggregarle o meno tra di loro a seconda del caso specifico. Se possibile esse devono essere dotate di una fonte di luce e aerazione naturale diretta, nel caso questo non possa essere possibile è sufficiente provvedere a fornire un sistema di ricambio forzato dell’aria adeguato. V LO SPAZIO DI DISTRIBUZIONE ANNULLATO (O ATTIVO) Al fine di massimizzare l’utilizzo dello spazio dell’abitazione temporanea, è bene porsi l’obiettivo di annullare gli spazi di distribuzione, come corridoi o anti-ambienti. La soluzione di uno spazio di relazione centrale su cui si affacciano gli spazi individuali e funzionali è la strategia che meglio permette di raggiungere questo obiettivo.

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Nel caso in cui questo annullamento o riduzione non fosse possibile per cause intrinseche all’architettura entro cui la casa temporanea si insedia, fare in modo che lo spazio di distribuzione diventi uno spazio attivo, ovvero che sia tale da permetterne un utilizzo (per esempio come luogo per lo storage).

VI LO STORAGE INTEGRATO Il carattere di limitatezza temporale dell’abitare rende necessario un ragionamento sul tema dello storage, che non deve essere pensato al fine di contenere tutti i beni di proprietà degli inquilini, ma solo quelli ricorrenti nel loro utilizzo quotidiano. Nella progettazione della casa temporanea è bene integrare gli elementi di storage nell’architettura dell’appartamento: attraverso contenitori a parete o a pavimento, in modo tale da non rendere necessaria l’aggiunta di altri arredi volti a contenere oggetti. Ogni spazio individuale dovrà essere integrato da elementi contenitori adeguati ai beni di utilizzo quotidiano (vestiti, biancheria, oggetti personali). Allo stesso modo lo spazio di relazione dovrà offrire delle superfici utilizzabili per supportare e contenere oggetti, possibilmente lasciati a vista, così che attraverso di essi avvenga un’appropriazione leggera dell’appartamento.

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VII LA LAVANDERIA CONDIVISA Nel caso di più appartamenti temporanei all’interno dello stesso edificio, lo spazio dedicato al lavaggio e asciugaggio degli indumenti e della biancheria può essere condiviso da più nuclei di inquilini temporanei, così da dedicare uno spazio apposito e di dimensioni adeguate a questa attività, che avviene sporadicamente e non richiede quindi necessariamente di diventare parte di ogni singola abitazione. Nel caso in cui l’appartamento temporaneo sia unico nell’edificio, la lavanderia può essere ridotta a nicchia mono-funzionale, secondo le linee guida già utilizzate per il bagno. VIII IL BOX ESTERNO Assicurare uno spazio per lo stoccaggio dei beni non necessari durante il periodo di alloggio nella casa temporanea. Esso può essere collocato all’interno dell’appartamento così come al di fuori di esso, al fine di evitare che l’abitazione venga ingombrata con arredi e oggetti superflui e generare una inutile saturazione dello spazio.

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UN INTERVENTO ADATTABILE

Alla base della strategia per il progetto della casa per la Residenzialità Temporanea è la sua adattabilità a diversi casi e tipi di spazi. Non avrebbe senso risolvere la questione con un intervento completamente site-specific, ricamato sulle peculiarità della singola abitazione in questione. Il vero significato del manifesto e del suo soluzione progettuale è la possibilità di essere adattabile su un range di casi senza che esso perda la sua natura specifica. Per questo è stato raccolto un abaco di tagli di appartamenti ricorrenti nell’edilizia residenziale milanese, suddiviso per rapporto dimensionale dei lati e numero di pareti finestrate, che deve essere tenuto a mente come reale area di intervento progettuale su cui applicare il manifesto, a prescindere dal caso specifico, che altro non è che uno strumento di verifica della proposta.

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G. DE CARLO QUARTIERE FELTRE

E. BATTAGLIA CASA A S.SIRO

COMPLESSO RESIDENZIALE A NIGUARDA

C. MAZZOCCHI, M. MAZ ZOCCHI QUARTIERE MOLISE

G. BROGLIO QUARTIERE MAZZINI

F. ALBINI, R. CAMUS, G. PALANTI QUARTIERE GABRIELE D’ANNUNZIO 1939

P. BOTTONI QUARTIERE COMASINA

P. BOTTONI CASA INCISI IN VIA BERTINORO


F. ALBINI QUARTIERE FABIO FILZI

COMPLESSO RESIDENZIALE A NIGUARDA

P. BOTTONI CASA STELLARE

A.VINCENTI QUARTIERE CHIESA ROSSA


UN CASO: VIALE CERTOSA 295

Viale Certosa 295 si è offerto come caso studio utile per l’applicazione e la verifica del Manifesto della casa per la Residenzialità Temporanea. Si tratta di un complesso residenziale composto da due torri di dieci piani, una delle quali si affaccia su Viale Certosa, mentre l’altra sorge nell’interno del lotto. Il cui cantiere è fermo da oltre due anni. I motivi della scelta di questo caso sono fondamentalmente due: da una parte la sua condizione di non finito, che apre al tema dell’intervento sul “patrimonio dell’incompleto”. Dall’altra è il differente stato di avanzamento cui si è fermata la costruzione dei due edifici: chiameremo da ora Edificio A quello sul fronte strada, il cui cantiere è fermo allo stato di sola struttura (solai e pilastri) e distribuzione verticale; l’Edificio B invece, nell’interno del lotto, è a uno stato più avanzato, e i muri perimetrali sono completati secondo progetto. Il piano tipo dell’Edificio A verrà utilizzato come area di sperimentazione più libera per la concretizzazione del manifesto, che verrà in un secondo momento adattato al caso dell’Edificio B, così da verificarne la reale flessibilità di caso in caso.

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EDIFICIO B

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VIALE CERTOSA EDIFICIO A

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EDIFICIO A


EDIFICIO B


EDIFICIO A: PROGETTO E VERIFICA LA FASCIA DEI SERVIZI Una fascia di servizi all’interno della quale sono stati infrastrutturati tutti gli ambienti e gli elementi della casa che necessitano di impianti e tubature di scarico è posta sull’asse centrale del piano, così da servire gli appartamenti su entrambi i lati. Essa contiene la cucina e i bagni. In corrispondenza del pilastro centrale avviene la distribuzione verticale delle tubature.

IL CONTROSOFFITTO Tutta la fascia centrale dei servizi è controsoffittata a 240 cm da terra, così da generare uno spazio di servizio per la distribuzione orizzontale degli scarichi e degli impianti.

LE PEDANE Lo spazio per le alcove individuali è stato definito da pedane in legno rialzate di 45 cm da terra. Questo rialzo permette sia di individuare lo spazio dell’individuo con un elemento su cui poggiare il materasso, sia di ottenere uno spazio di storage orizzontale, con due cassettoni che si aprono sullo spazio di relazione.

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IL TELAIO Un telaio in alluminio, con sezione 10x10 cm è l’emenento chiave del progetto, e esso assolve a una duplice funzione: quella di distribuire i cavi della corrente elettrica attraverso l’appartamento, e quella di agire da serramento per gli elementi di chiusura degli ambienti interni: sia rigidi (pannelli fono-isolanti, pannelli in policarbonato) che non (tende).

LE CHIUSURE / 1 Gli ambienti che si affacciano sullo spazio centrale sono chiusi da pannelli di materiali differenti a seconda della necessità, in questo caso, poiché ognuna delle alcove ha una fonte di luce e aerazione diretta con l’esterno, sono stati scelti pannnelli in lana di legno, materiale prodotto in pannelli che assicura un ottimo grado di isolamento acustico.

LE CHIUSURE / 2

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Le chiusure sono progettate in modo da essere mobili, attraverso un carrello che permette loro di piegarsi e scorrere a seconda della necessità, così che in base al numero e alle necessità degli inquilini le alcove possono annettersi tra loro e/o allo spazio di relazione centrale.


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I. LO SPAZIO DI RELAZIONE CENTRALE L’appartamento si sviluppa intorno ad uno spazio di relazione di circa 28 metri quadri, composto da un ambiente centrale, un cui lato è completamente finestrato, su cui si affacciano tutti gli altri luoghi dell’abitazione, e da uno spazio di ingresso di 4 metri quadri. II. LE ALCOVE Tre nicchie di 4 metri quadri, definiti da pareti pieghevoli, definiscono gli spazi per il singolo individuo. Esse, a seconda del numero di inquilini temporanei e delle loro esigenze, possono essere aperte o connesso tra loro. Ognuna delle alcove è rialzata di 45 centimetri rispetto al piano di pavimento, creando una pedana che contiene uno spazio di storage e che si offre come base per il materasso. Ogni alcova si affaccia verso l’esterno con una finestra. III. LA CUCINA APERTA Una cucina, ridotta al minimo (lavabo, due fuochi, frigorifero, storage utensili), è infrastrutturata nella fascia centrale dei servizi, e si affaccia esattamente al centro dello spazio di relazione, diventandone uno degli elementi principali.

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IV. IL BAGNO SCOMPOSTO E INFRASTRUTTURATO Il bagno, infrastrutturato nella fascia centrale dei servizi, si compone di tre ambienti: un piccolo antibagno su cui si affacciano un box doccia e una stanza con lavabo, gabinetto e bidet. In questo modo essi possono essere utilizzati separatamente e in modo indipendente l’uno dall’altro.


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V. LO SPAZIO DI DISTRIBUZIONE ATTIVO L’unico spazio di distribuzione dell’appartamento è il piccolo antibagno: esso può essere tuttavia considerato un elemento attivo, infatti offre il beneficio di poter usare il bagno e la doccia indipendetemente l’uno dall’altro. Inoltre può essere utilizzato come piccolo storage. VI. LO STORAGE INTEGRATO Tutto lo storage dell’appartamento è integrato nella sua architettura, così da non rendere necessari ulteriori elementi di ingombro dello spazio. I principali elementi di storage sono infatti posti in spessore di muro lungo l’interno perimetro, e a pavimento nelle pedane lignee degli ambienti individuali. VII. LA LAVANDERIA CONDIVISA Una stanza-lavanderia è posta sul pianerottolo, in condivisione tra gli inquilini dei due appartamenti ed, eventualemnte, degli inquilini di altri piani. VIII. IL BOX ESTERNO Uno spazio di 4 metri quadri per lo storage dei beni superflui è situato sul pianerottolo. / Superficie totale (esclusi i balconi): 46 mq Numero di inquilini adeguato: 2-3, a seconda del loro profilo

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I. LO SPAZIO DI RELAZIONE CENTRALE Lo spazio di relazione di questo appartamento è di 34 metri quadri, composto da un ampio spazio centrale cui è annesso uno spazio minore dedicato all’ingresso. Lo spazio di relazione è finestrato su un lato, chiuso dalle alcove individuali sui lati minori, e chiuso dalla fascia dei servizi sull’altro. II. LE ALCOVE Tre alcove di circa 4,5 metri quadri costituiscono lo spazio individuale degli inquilini nell’appartamento. Esse si affacciano sullo spazio di relazione attraverso pareti pieghevoli, che assicurano una flessibilità a seconda degli inquilini e del momento della giornata. Le alcove si basano su una pedana di 45 centimetri che contiene storage. Poichè non tutte le nicchie hanno una fonte di luce diretta, le pareti pieghevoli sono in policarbonato traslucido. L’oscurità notturna è assicurata tramite tende. III. LA CUCINA APERTA Una cucina, ridotta al minimo (lavabo, due fuochi, frigorifero, storage utensili), è infrastrutturata nella fascia centrale dei servizi, e si affaccia sullo spazio di relazione, diventandone uno degli elementi principali.

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IV. IL BAGNO SCOMPOSTO E INFRASTRUTTURATO Il bagno, infrastrutturato nella fascia centrale dei servizi, è composto da un piccolo antibagno con lavandino e da un ambiente che contiene la doccia, il bidet, e il gabinetto


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V. LO SPAZIO DI DISTRIBUZIONE ATTIVO L’impianto dell’appartamento ha avuto successo nell’annullare ogni spazio distributivo senza funzione.er gli oggetti utili agli spazi che si affacciano su di esso. VI. LO STORAGE INTEGRATO Tutto lo storage dell’appartamento è integrato nella sua architettura, così da non rendere necessari ulteriori elementi di ingombro dello spazio. I principali elementi di storage sono infatti integrati nella fascia centrale dei servizi, o a pavimento nelle pedane lignee degli ambienti individuali. edane lignee degli ambienti individuali. VII. LA LAVANDERIA CONDIVISA Una stanza-lavanderia è posta sul pianerottolo, in condivisione tra gli inquilini dei due appartamenti ed, eventualemnte, degli inquilini di altri piani. VIII. IL BOX ESTERNO Uno spazio di 4,5 metri quadri per lo storage dei beni superflui è situato sul pianerottolo. / Superficie totale (esclusi i balconi): 55 mq Numero di inquilini adeguato: 3-4, a seconda del loro profilo

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ADATTABILITÀ DEL PROGETTO

Una volta applicato il manifesto al caso specifico di Viale Certosa 295, è fondamentale verificare che il sistema possa essere adattato ad una casistica più ampia. In questo momento l’abaco di tagli di appartamenti precedentemente illustrato torna utile come campo di verifica del sistema proposto, che può essere riassunto in quattro punti: - la sistematizzazione dei servizi dell’appartamento in un layout a parete, che contiene cucina, bagni, ed eventuali storage. - la definizione di spazi individuali attraverso pedane rialzate che funzionano come storage orizzontali - un telaio che risolva la distribuzione della corrente elettrica che corre lungo il perimetro dello spazio di relazione centrale, definendo le soglie tra questo e gli altri ambienti, e diramandosi in essi - delle chiusure con pannelli di materiali diversi a seconda della necessità che scorrono e si piegano rendendo lo spazio flessibile in base ai profilo degli inquilini

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APPARTAMENTO A

APPARTAMENTO B

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DETTAGLIO - TELAIO

Un sistema di profili in alluminio di sezione 10 cm x 10 cm assemblabili a seconda della necessità del singolo caso di intervento permette di costruire un telaio di elementi longitudinali. Esso ha una duplice funzione: da un lato quella di distribuire l’impianto elettrico nell’appartamento senza rendere necessario un intervento sulla muratura esistente, dall’altro quella di definire l’organizzazione spaziale dell’abitazione. Il suggerimento è che il telaio corra in altezza intorno all’ambiente centrale di relazione, e si dirami in bracci secondari negli spazi individuali. Gli elementi verticali del telaio hanno il ruolo, oltre a quello di portare gli elementi orizzontali, di distribuire fino a terra i cavi dell’elettricità, agli interruttori e alle prese. Il profilo è progettato anche per offrire la possibilità di avere delle chiusure scorrevoli o pieghevoli lungo il suo perimetro, grazie a un carrello che può sostenere, a seconda della necessità, pannelli di diversi materiali o tende. I profili di alluminio del telaio sono ispezionabili lungo la loro intera lunghezza. Le parti sono giuntate tramite nodi a incastro.

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cm

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1

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TELAIO

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DETTAGLIO - CHIUSURE

Il sistema di telaio che si dirama nell’appartamento ha tra le sue funzioni quella di definire i margini degli ambienti che compongono l’abitazione. La sua sezione comprende un profilo per lo scorrimento di un carrello che, a seconda dei casi, può permettere il movimento di elementi di chiusura a pannello rigido o in tessuto. Il carrello è pensato per adempire a due tipi di movimento: l’apertura a libro di pannelli rigidi, il cui materiale può dipendere dalle necessità del caso, e lo scorrimento di elementi rigidi o di tessuti. Questo sistema garantisce un grado di flessibilità dell’abitazione sul profilo degli inquilini, rendendo possibile la connessione diretta degli spazi piuttosto che la loro completa divisione e autonomia.

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CH

4 cm

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CH

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Nel caso specifico del duplice progetto sono stati suggerite tre tipologie di chiusura, con proprietà e benefici diversi, da utilizzare a seconda delle circostanze: 1/ PANNELLI RIGIDI IN LANA DI LEGNO MINERALIZZATA Questi pannelli rigidi sono utilizzati per la loro forte proprietà fono-assorbente, che assicura una buona privacy delle alcove rispetto allo spazio centrale, garantendo un completo isolamento visivo e un buon isolamento acustico. Da utilizzare quando gli spazi individuali hanno una fonte di illumnazione diretta verso l’esterno, e non necessitano di ricevere luce da altri ambienti dell’abitazione. 2/ PANNELLI RIGIDI IN POLICARBONATO ESTRUSO I pannelli in policarbonato rinunciano alle proprietà di isolamento acustico e visivo che caratterizzano la lana di legno, e sono stati scelti per essere utilizzati nei casi specifici di abitazioni in cui alcuni ambienti non sono dotati di fonti di luce diretta. La proprietà traslucida del policarbonato permette una chiusura degli spazi che lasci trapassare la luce da altri ambienti. Per assicurare privacy, e oscuramento, ai pannelli di policarbonato devono essere abbinate delle tende.

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3/ TENDE Le tende vengono utilizzate in abbinamento al policarbonato, nel caso in cui l’ambiente non necessiti una completa chiusura per assicurare la privacy, o lungo il perimetro verso l’esterno per garantire protezione dall’irraggiamento solare.


1/

270 cm

47,5 cm

CHIUSURA 1:

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270 cm

CHIUSURA 1:

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CHIUSURA 2:

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CHIUSURA 2:

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CHIUSURA 3:

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DETTAGLIO - STORAGE ORIZZONTALE

Ognuna delle alcove è definita da una differenza di quota di 45 cm rispetto agli altri ambienti dell’abitazione. Questa scelta, utile innanzitutto per definire l’alcova come ambiente individuale all’interno dell’appartamento, e a fare da base per il letto, offre la possibilità di risolvere il tema dello storage. La differenza di quota è stata progettata con un sistema di pannelli in legno dello spessore di 4 cm, al fine di ottenere 4 spazi praticabili per contenere oggetti: due di essi si aprono come cassettoni verso l’ambiente di relazione, e sono pensati per tutto ciò che è di utilizzo quotidiano, come per esempio i vestiti; gli altri due spazi sono pratica bili tramite sportelli orizzontali e sono pensati per i beni il cui utilizzo è più sporadico.

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Indice fotografico PARTE I RICERCA 1 LE ORIGINI DEL BISOGNO 16 28 30 36 44 46 48 60 62 64 76 78 84 86

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Angelo Morbegni - Giorni...ultimi

/ Quando non indicato le fotografie sono state scattate dall’autore o dagli studenti del laboratorio di Progettazione degli Interni TraSH - Temporary Social Housing, Politecnico di Milano, AA2016/17, tenuto dai Professori Massimo Bricocoli, Giovanni Hänninen, Gennaro Postiglione, Stefania Sabatinelli. A tutti loro devo un immenso grazie.



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