Saperi narranti

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POLITECNICO DI MILANO

Faoltà di Architettura e Società Corso di laurea in Architettura Milano

relatore: Gennaro Postiglione Tesi di laurea specialistica anno accademico 2010-2011

un museo delle tradizioni artigianali tra arte design artigianato etica delle relazioni saperi narra(n)ti

02.

abstract i borghi gosth town cause di abbandono

analysis cos’è una R.S.V. scelta della R.S.V. i dati della R.S.V. . demografia . infrastrutture . economia

03. 04.

research tessuto urbano

location geografica il costruito

i margini tipologia edilizia

- naturali - casa rurale

- artificiali - palazzo

il castello di caporciano i percorsi

forma urbis i giardini pensili

- la chiesa materiali & sistemi costruttivi

05. materiali - pietra calcarea e pietra sponga - legname elementi costruttivi - elementi verticali - elementi orizzontali - portali - aperture conclusioni

06.

07. 08.

la fabbrica della ruota montagna in movimento museo della resistenza

casi studio ecomuseo etnografico

saperi narra(n)ti

patrimonio immateriale

conoscenze e pratiche concernenti la natura artigianato tradizionale

progetto 1 macrosezione

tradizioni orali la tavola rotonda

riti e feste le frontiere per il futuro

ambiente e territorio

progetto 2 macrosezione09.

sala dell-oro rosso di navelli sala del tessuto sala del fetto battuto

01.
SOMMARIO
194
8 12 58 98 150 229 250 260
01. abstract

La sfida che ho deciso di intraprendere e’ stata quella di verificare la possibilità’ di elaborare un progetto di recupero per il Borgo di Caporciano in provincia dell’Aquila.

Ho deciso di individuare nel patrimonio insediativo abbandonato e semi-abbandonato delle aree montane nella provincia aquilana, il punto di forza di un progetto-quadro di sistema che ha come obiettivo la riantropizzazione, integrata alla valorizzazione di un territorio di area che si identifica, in specifico, con la Piana di Navelli.

Tale strategia e’ stata perseguita attraverso la creazione di una Rete Solidale di Vicinanza (RSV), una rete territoriale costituita, nel caso specifico da cinque borghi, in associazione e dialogo tra loro, che intendono raggiungere l’obiettivo di valorizzare le risorse dei territorio e riantropizzare questi fulcri, lasciati ormai al quasi totale abbandono.

Si intende sostenere una visione di futuro condivisa, che faccia leva sulle potenzialità inespresse di tutte queste realtà autoctone, attraverso le filiere di tutti quei settori trainanti per le realtà’ locali come il turismo, l’artigianato e la commercializzazione dei prodotti tipici. La condizione attuale delle aree montane e pedemontane e’ quella di un territorio che vede contrapposto all’alto grado di

conservazione del patrimonio naturalistico -ambientale, uno stato di crescente declino delle ragioni socio-economiche e culturali che storicamente ne hanno determinato l’antropizzazione.

Risulta quindi necessaria la conoscenza dei fattori che hanno determinato la condizione attuale dei luoghi, cercando di coglierne le trasformazioni in atto. Conoscere perciò ciò che e’ stato per proiettarsi in avanti che e’ la vera finalità strategica del progetto. A tale scopo si e’ ritenuto necessario procedere al rilevamento dello stato di fatto sia attraverso l’osservazione sul campo, sia attraverso documenti e fonti cartacee.

L’obiettivo e’ stato quello di poter disporre di dati informativi che potessero consentire di mettere a sistema l’insieme di tutte quelle sinergie potenziali disponibili, concorrenti a formulare un programma di sviluppo locale. Per l’intervento e il progetto resta centrale il rapporto con il contesto e con il territorio in generale per una corretta definizione delle opere di valorizzazione, attraverso la conoscenza delle preesistenze, delle tecnologie, dei materiali e delle teniche costruttive che hanno prodotto e caratterizzato il patrimonio esistente.

8 abstract abstract

Lo studio di fattibilita’ del progetto, nelle sue diverse articolazioni economico-finanziaria, istituzionale -gestionale dell’area di intervento, prodotta nella loro tesi di laurea Magistrale dalle studentesse Giulia Magliani e Giulia Lisci e lo Studio sulla produzione in generale del territorio abruzzese, che ha interessato il mio lavoro nel laboratorio di tesi del V anno, ha permesso di dare solidità all’ ipotesi di creare, nel comune di Caporciano, un “Museo dei Saperi narra(n)ti”.

Il progetto consiste nel proporre l’esposizione di tutti quei saperi ormai abbandonati, ponendo in relazione parole quali arte, artigianato, tecnologia, design, etica delle relazioni, interattività. Divulgare e promuovere, quindi, questi saperi attraverso la loro esposizione e il loro racconto, con la finalità di sviluppare e radicare sul territorio coinvolto processi virtuosi di sviluppo e rinascita, a carattere permanente.

L’idea è quella di creare luoghi che siano narrativi e partecipati, che sviluppano in modo permanente, il dialogo tra i contenuti di ricerca artistica e tecnologica ed alcune tematiche culturali. Altresì stabiliscono una forte relazione tra abitanti di un luogo e le loro tradizioni e sviluppano affettività e identificazione, anche come sistema di conoscenza.

Queste operazioni avviano processi virtuosi, che si sviluppano nel tempo e rendono necessaria la collaborazione di diverse componenti progettuali, produttive e organizzative, prediligono contenuti non tangibili rispetto a quelli oggettuali, utilizzano sistemi di tipo emozionale, rispetto a quelli procedurali, modificano e aggiornano i consueti metodi di informazione e conoscenza.

Si creano così, luoghi vivi, dinamici e attivi, non dormienti e cristallizzati, luoghi che permettono lo sviluppo e l’avvio di una ricerca personale, spazi che permettono di ordinare e interpretare l’immaginario collettivo, dove poter promuovere e realizzare una formazione continua.

L’idea comune di museo, che riporta ad attività di tipo protettivo, conservativo, un’esposizione statica di cimeli, comincia a non adattarsi più a luoghi come questi, che invece hanno come logica sottesa, il concetto della partecipazione. Si tratta di luoghi mutanti, attenti ai cambiamenti, dove i visitatori interagiscono con le ambientazioni e le emozioni ricreate e vivono un’esperienza che è unica ed irripetibile.

Perchè no, pensare che questi luoghi diventino “stazioni”, moltiplicatori di creatività e conoscenza, con l’obiettivo di incentivare luoghi culturali organizzati.

Tutte queste risorse in gioco permettono di poter predisporre e quindi immaginare per il futuro l’attuazione di una serie di “poli attrattivi” in tutto il territorio abruzzese.

9 10 abstractabstract
02. analysis
“La montagna regala la pianura , die un vecchio proverbio, ma se viene abbandonata a soffrirne saranno tutti”. Mario Rigoni Stern
“Il segreto del miracolo italiano e’ stata la capacità di produrre all’ombra dei campanili cose che piacciono al mondo. Bisognerebbe semplicemente ripartire da qui.”
Carlo de Benedetti
13 14 analysis

borghi

La straordinaria varietà di situazioni presenti in territorio italiano ci esime dal tentare una qualsiasi precisa definizione del termine “centro minore”; anzi deve apparire subito chiaro che è solo per comodità che ci si riferisce qui a una terminologia da tempo in uso soprattutto nel linguaggio degli urbanisti e che va considerata nient’altro che un puro riferimento di relazione quantitativa nei confronti sia degli insediamenti minimi o sparsi, sia delle grandi città.”

In questo modo Enrico Guidoni introduceva il volume “Inchieste sui centri minori”, della celebre enciclopedia curata da F. Zeri. L’Italia ha un patrimonio diffuso di grande livello; la qualità’ e la consistenza delle preesistenze costituisce quasi sicuramente uno dei principali carattere di originalità del nostro paese. In questi sistemi vivono ancora molte persone che non sono attratte dal potente richiamo dei grandi centri e che individuano spesso nel “centro minore” un luogo di vita e sviluppo di attività produttive e di servizio.

Seppur caratterizzati dalla permanenza dei valori storici, culturali ed architettonici, la “conservazione” dei centri minori e’ spesso determinata dall’arretratezza economica e dalla collocazione periferica in contesti in cui anche l’esodo degli abitanti rappresenta una forma di degrado sociale che si riflette sul tessuto urbano. Seppur caratterizzati dalla permanenza dei valori storici, culturali ed architettonici, la “conservazione” dei centri minori e’ spesso determinata dall’arretratezza economica e dalla collocazione periferica in contesti in cui anche l’esodo degli abitanti rappresenta una forma di degrado sociale che si riflette sul tessuto urbano.

16 i borghi
i
17 18 i borghi Città fantasma a rischio “estinzione”, poichè non raggiunge la soglia limite di sopravvivenza, nelle diverse categorie demografiche, sociali, economiche e dei servizi. 5.835 10.590.701 72% 2.831 128 mila Kmq 0.83% comuni con meno di 5000 abitanti degli oltre 8.000 comuni italiani abitanti piccoli comuni italiani comuni italiano a rischio estinzione crescita popolazione nel piccolo comune in 10 anni 42 % del territorio italiano 1.680gosth town analysis

Abruzzo

Basilicata

Calabria Campania

Emilia Romagna

Fiuli Venezia Giulia

Lazio

Liguria Lombardia Marche

Molise

Piemonte

Puglia Sardegna

Sicilia Toscana Trentino Umbria

Valle d’Aosta

Veneto

n° piccoli comuni n° comuni totali n° popol. piccoli comuni 253 97 326 338 165 162 259 183 1.152 179 124 1.077 87 316 199 141 312 63 73 329

305 131 409 551 341 219 378 253 1.154 246 136 1.206 258 377 390 287 339 92 74 581

376.143 199.175 687.232 721.927 450.301 308.796 465.932 237.774 2.220.081 334.325 156.824 1.283.152 237.570 549.750 500.910 344.535 460.496 137.392 85.486 832.900

Rielaborazione dei dati forniti dalla tesi di laurea della studentessa Michela Bassanelli

abruzzo basilicata calabria campania

emilia romagna

fiuli venezia g. veneto

lazio liguria lombardia marche molise piemonte valle d’aosta

puglia sardegna sicilia toscana trentino umbria

19 20 i borghi
analysis

i borghi

La struttura insediativa della popolazione ai censimenti: 1861, 1936, 1981, 1991 (%)

Comuni > 100.000 ab.

Comuni tra 20-100.000 ab.

Comuni tra 5-20.000 ab.

Comuni < 5.000 ab.

Comuni > 100.000 ab.

Comuni tra 20-100.000 ab.

Comuni tra 5-20.000 ab.

Comuni < 5.000 ab.

1861 1861 N-O

Montagna interna

Montagna litoranea

Collina

Pianura

0,1 8,2 39,4

1,1 11,5 0,2

12,3 31,8 29,8

86,5 48,5 29,8

1936 1936 N-E

0,3 18,3 48,4

2,6 18,2 0,0

20,3 32,9 18,1

76,8 30,6 32,4

1981 1981 C

0,6 28,1 37,8

4,7 25,3 0,2

21 27,1 13,2

73,7 19,5 0,2

1991 1991 S

0,6 25,6 44,6

5 27,3 3,8

21,5 28,1 13,5

La distribuzione della popolazione complessiva per classe dimensio nale dei comuni ai censimenti: 1861, 1936, 1981, 1991 (%)

Le caratteristiche altimetriche dei comuni < 5.000 ab. che hanno perso popolazione nel periodo 1851- 1981(%)

72,9 19 1,7

21 22
Rielaborazione dei dati forniti dalla tesi di laurea della studentessa Michela Bassanelli analysis

comuni

Kmq

milioni di abitanti

residenti

comuni

Kmq

milioni di abitanti

residenti

Città fantasma a rischio “estinzione”, poichè non raggiunge la soglia limite di sopravvivenza, nelle diverse categorie demografiche, sociali, economiche e dei servizi.

23 24 gosth town
2006 3.556
2016 128.000
8.7
2.500
4.395
158.000
14.1
3.250
analysis

analysis

0

completamente abbandonato

MAPPA DISMISSIONE

completamente abbandonato abbandono del 60% della popolazione borgo abbandonato con fondazione di un nuovo centro

abbandono del 60% della popolazione

0

borgo abbandonato con fondazione di un nuovo centro

25 26 cause di dismissione

“ Non vi e’ alcun dubbio che sia necessario moltipliare le risorse e le energie disponibili per tutelare e salvaguardare un immenso patrimonio storico che, soprattutto nei piccoli centri, rischia di scomparire o di essere “banalizzato” o snaturato da interventi di recupero poco attenti; e’ inoltre ormai diffusa la consapevolezza che il solo intervento delle strutture edilizie, non e’ di per se sufficiente ad operare una salvaguardia duratura di queste testimonianze, se non inserito in una logica di interventi “strategici”, che puntano a rimuovere quei fattori che hanno generato il degrado riproponendo rapporti di necessita’ tra manufatto e contesto circostante”

D. PINI, Il sito, il tessuto urbano e le emergenze: un rapporto di necessitàa’, in F. MAIETTI, “Dalla grammatica del paesaggio alla gramamatica del costruito. Territorio e tessuto storico dell’insediamento urbano di Stellata”, Nardini Editore, Firenze 2004,

27 28

PRATA D’ANSIDONIA

TUSSIO

S. PIO DELLE CAMERE

CARAPELLE CALVISIO

CAPORCIANO

CIVITARETENGA

NAVELLI

CAPESTRANO

Il modello insediativo del borgo, spesso definito patrimonio “minore”, in quanto privo di grandi attrattori culturali tipici delle città d’arte, e’ è, al contrario, un bene da valorizzare sia per la sua peculiare identità e conformazione che per la potenziale sostenibilità legata alla sua dimensione diffusa e capillare nel territorio. Al fine della valorizzazione di questo patrimonio culturale, oggi “invisibile” e quindi non sufficientemente conosciuto, socializzato e fruito, sono necessari processi virtuosi che rendano sinergica la preservazione dell’identità storica con l’individuazione di funzioni strategiche da attivare e connettere ad una rete efficiente di partecipazione collettiva e condivisa. E’ in questo scenario che nasce la Rete Solidale di Vicinanza (RSV), una rete di cooperazione di piccoli centri urbani o borghi con un elevato tasso di abbandono con l’obiettivo di stimolare la vitalità socio-economica dei territori rurali e montani più soggetti a fenomeni di marginalizzazione, di ridurre alcuni fenomeni di squilibrio come lo spopolamento, l’invecchiamento della popolazione, favorendo le condizioni per la diffusione di modelli di sviluppo autogeni, integrati e sostenibili. Tali strutture sono costituite, nella maggior parte dei casi, da almeno cinque comuni.

cos’è una R.S:V.

La strategia puo’ò essere perseguita mediante la costituzione di reti di cooperazione di due tipologie: a) reti territoriali di piccoli centri urbani contigui in associazione tra di loro, che intendono raggiungere l’obiettivo di rappresentare un riferimento comune a livello di area territoriale; Il modello insediativo del borgo, spesso definito patrimonio “minore”, in quanto privo di grandi attrattori culturali tipici delle città d’arte, e’ è, al contrario, un bene da valorizzare sia per la sua peculiare identità e conformazione che per la potenziale sostenibilità legata alla sua dimensione diffusa e capillare nel territorio. Al fine della valorizzazione di questo patrimonio culturale, oggi “invisibile” e quindi non sufficientemente conosciuto, socializzato e fruito, sono necessari processi virtuosi che rendano sinergica la preservazione dell’identità storica con l’individuazione di funzioni strategiche da attivare e connettere ad una rete efficiente di partecipazione collettiva e condivisa.

E’ in questo scenario che nasce la Rete Solidale di Vicinanza (RSV), una rete di cooperazione di piccoli centri urbani o borghi con un elevato tasso di abbandono con l’obiettivo di stimolare la vitalità socio-economica dei territori rurali e montani più soggetti a fenomeni di marginalizzazione, di ridurre

29 30 cos’è una R.S.Vanalysis

alcuni fenomeni di squilibrio come lo spopolamento, l’invecchiamento della popolazione, favorendo le condizioni per la diffusione di modelli di sviluppo autogeni, integrati e sostenibili. Tali strutture sono costituite, nella maggior parte dei casi, da almeno cinque comuni. La strategia può essere perseguita mediante la costituzione di reti di cooperazione di due tipologie:

a) reti territoriali di piccoli centri urbani contigui in associazione tra di loro, che intendono raggiungere l’obiettivo di rappresentare un riferimento comune a livello di area territoriale; b) reti tematiche di piccoli centri urbani in associazione tra di loro, costituite cioè da comuni anche non contigui, che hanno in comune un obiettivo condiviso di sviluppo in tema di ricettività diffusa, che intendono perseguire in forma associata. L’identificazione della rete e della strategia può scaturire da un’interpretazione e valutazione della capacità del patrimonio culturale, paesaggistico, socio/ economico territoriale di interagire con il complesso sistema dei servizi e delle filiere produttive che vi gravitano intorno; di costituire risorsa per la progettualità; di suggerire politiche di rete; di individuare, quindi, all’interno dei sistemi locali, vere e proprie aggregazioni di enti che esplicitino quella componente “attiva” della valorizzazione delle risorse, così da orientare lo sviluppo locale. All’interno della Rete gli individui e i gruppi assumono un ruolo attivo e decisionale attraverso i comportamenti al fine di valorizzare le risorse territoriali secondo criteri

di equità sociale e sostenibilità, per la tutela e la salvaguardia dell’ambiente e del paesaggio, gruppi di interesse o di vicinato organizzati per la gestione collettiva di alcune questioni e servizi comuni, gruppi di affinità che sperimentano forme di vita basate sulla proprietà indivisa e sul mutuo scambio, etc.).

In questa prospettiva le tradizioni specifiche delle comunità che lo abitano, la memoria storica che conservano, i modi del costruire (il rapporto con il sito, il linguaggio dei manufatti, l’uso, l’abbandono, il riuso), i modi dell’abitare (le dimore dell’uomo, gli spazi comuni) e i modi della socialità (tradizioni, enogastronomia, artigianato), possono diventare l’elemento cardine dell’identità di un territorio, che può portare alla rifunzionalizzazione di queste profondità ormai dimenticate.

Tale condizione diventa essenziale per poter continuare ad assicurare produzioni specifiche collegate alle tradizioni dei luoghi, in grado di attrarre l’interesse di un mercato sempre più maturo e con una crescente coscienza ambientale. L’ obiettivo non è quello di recuperare il singolo borgo, operazione di per sé già significativa, ma di promuovere iniziative diffuse su tutto il territorio provinciale offrendo strumenti operativi, competenza, analisi del prodotto, canali di finanziamento, marketing territoriale.

Gli obiettivi principali di una Rete Solidale di Vicinanza sono: - la riqualificazione ed il recupero del tessuto insediativo dei centri minori, con particolare riferimento ai centri storici, per una corretta definizione paesaggistico -ambientale dell’insieme;

- il contrasto allo spopolamento delle aree interne; - il perseguimento di obiettivi di qualità e coerenza paesaggistica con il contesto di riferimento, con particolare attenzione al mantenimento delle caratteristiche, degli elementi costitutivi e delle morfologie; - l’integrazione dei servizi scolastici, culturali e sociali e l’ottimizzazione dell’offerta di spazi e servizi per le attivita’à produttive. - il sostegno a interventi di recupero connotati da alta qualità urbana e finalizzati al riutilizzo di abitazioni vuote dei centri storici per iniziative di ricettività diffusa. Le linee d’azione per la creazione di reti solidali hanno l’obiettivo di promuovere e realizzare la messa in rete e l’integrazione delle diverse attrezzature di servizio dei piccoli centri che possono svolgere un ruolo importante di presidio del territorio o di riferimento per aggregazioni produttive. Nel caso specifico la Rete Solidale che e’ stata analizzata comprende i sei comuni aquilani di: - Capestrano; - Caporciano; - Carapelle Calvisio;

_ Navelli;

- Prata d’Ansidonia;

- San Pio delle Camere.

Questa varietà di situazioni spaziali, a distanza di pochi chilometri le une dalle altre, costituisce la vera peculiarità di questo territorio è da intraprendere come risorsa immateriale specifica da valorizzare ai fini della promozione turistica. Il territorio possiede allo stato attuale una dotazione di attrezzature e servizi concentrati nelle aree medio collinari e un accentuato stato di carenza nelle aree interne montane.

Questa diversificazione costituisce oggi un potenziale di grande rilevanza strategica per un rapporto di complementarietà tra le diverse aree territoriali. L’obiettivo e’ quello di riqualificare i borghi della RSV come centri condensatori dei servizi a sostegno delle aree visibili. Assumono quindi la vocazione ad accogliere l’attivazione dei servizi più propriamente rivolti alla fruizione turistica del territorio oltre che al soddisfacimento dei bisogni della popolazione residente.

31 32 cos’è una R.S.Vanalysis

3 step

33 34 scelta della R.S.V.analysis
21 3

raccogliere:

recuperare, unire, catalogare dati 1
DEMOGRAFIA INFRASTRUTTURE ECONOMIA
35 36 scelta della R.S.V.analysis
selezionare: scegliere tra le informazioni le piu’ significarive per la lettuta 2 DEMOGRAFIA INFRASTRUTTURE ECONOMIA raccogliere:1 37 38 scelta della R.S.V.analysis

abbandono

popolazione anziana

interpretare e dedurre

rielaborare i dati e trarre

nascita industria mancanza trasporti mancanza servizi

3 assimilare,
le appropraite conclusioni selezionare:2 raccogliere:1
1 2 3 4 39 40 scelta della R.S.V.analysis cause

interpretare e dedurre

rielaborare i dati e trarre le appropraite conclusioni

prodotti tipici turismo stranieri 1 2 3
3 assimilare,
selezionare:2 raccogliere:1 41 42 scelta della R.S.V. potenzialità analysis
43 44 i dati della R.S.Vanalysis demografia infrastrutture economia 21 3
1861 1871 19111881 1891 1901 19311921 19511941 19711961 19911981 20022001 20052003 20072006 2008 3.139 3.697 952 11% stranieri INDICE DI VECCHIAIA 2007 INDICE DI VECCHIAIA 2007 100 554% 46 maschi 61 femmine POPOLAZIONE STRANIERA 2007 POPOLAZIONE STRANIERA 2007 ANDAMENTO DEMOGRAFICO ANDAMENTO DEMOGRAFICO CAPESTRANO CAPORCIANO 45 46 i dati della R.S.V: demografiaanalysis 1861 1871 19111881 1891 1901 19311921 19511941 19711961 19911981 20022001 20052003 20072006 20092008 1.303 1.447 256 256 abitanti952 abitanti 5% stranieri 100 575% 5 maschi 8 femmine
INDICE DI VECCHIAIA 2007INDICE DI VECCHIAIA 2007 POPOLAZIONE STRANIERA 2007POPOLAZIONE STRANIERA 2007 ANDAMENTO DEMOGRAFICOANDAMENTO DEMOGRAFICO CARAPELLE CALVISIO NAVELLI 47 48 analysis 1861 1871 19111881 1891 1901 19311921 19511941 19711961 19911981 20022001 20052003 20072006 20092008 796 1.002 95 95 abitanti 7% stranieri 100 200% 3 maschi 4 femmine 1861 1871 19111881 1891 1901 19311921 19511941 19711961 19911981 20022001 20052003 20072006 20092008 625 2.441 3.029 625 abitanti 5% stranieri 20 maschi 16 femmine 100 356% i dati della R.S.V: demografia
INDICE DI VECCHIAIA 2007INDICE DI VECCHIAIA 2007 POPOLAZIONE STRANIERA 2007POPOLAZIONE STRANIERA 2007 ANDAMENTO DEMOGRAFICOANDAMENTO DEMOGRAFICO PRATA D’ANSIDONIA SAN PIO delle CAMERE 49 50 analysis i dati della R.S.V: demografia 1861 1871 19111881 1891 1901 19311921 19511941 19711961 19911981 20022001 20052003 20072006 20092008 1.759 2.252 547 547 abitanti 9% stranieri 25 maschi 26 femmine 100 397% 1861 1871 19111881 1891 1901 19311921 19511941 19711961 19911981 20022001 20052003 20072006 20092008 554 1.489 2.104 554 abitanti 25% stranieri 66 maschi 70 femmine 100 186%
51 52 analysis i dati della R.S.V: infrastrutture 0 20 40 60 80 90 100 120 CAPORCIANO CAPORCIANO CAPORCIANO CAPORCIANO L’AQUILA CHIETI PESCARA TERAMO SS17 SS17 SS17 SS17 A25 A25 A25 SP80 SP80 SP94 SP80b SS17 SP80 SP80 SR261 43’ --- 32 km 1h --- 60 km 1h 10’ --- 83 km 1h 10’ --- 83 km CAPORCIANO CAPORCIANO CAPORCIANO CAPORCIANO CAPORCIANO CARAPELLE CALVISIO CAPESTRANO PRATA D’ANSIDONIA NAVELLI S. PIO delle CAMERE 19’ --- 13 km 19’ --- 13 km 11’ --- 8 km 10’ --- 5 km 7’ --- 5 km 34’ --- 13 km 46’ --- 21 km 25’ --- 10 km 38’ --- 5 km 13’ --- 5 km 0 0 0 0 0 13 Km 13 Km 8 Km 5 Km 5 Km AUTOSTRADA STRADA STATALE STRADA PROVINCIALE Rielaborazione dei dati forniti dalla tesi di laurea delle studentesse Giulia Lisci e Giulia Magliani

ADDETTI NEL SETTORE SECONDARIO

ADDETTI NEL SETTORE TERZIARIO

NAVELLI

ADDETTI NELLE ATTIVITA’ COMMERCIALI

LEGENDA

Settore

ADDETTI NEL SETTORE DEL TURISMO

53 54 analysis i dati della R.S.V: economia CARAPELLE CALVISIO CAPORCIANO PRATA D’ANSIDONIA
S. PIO DELLE CAMERE CAPESTRANO Quantita’ 0 0 0 0 5 5 2 10 10 10 4 20 15 15 6 30 20 20 8 40 25 25 10 50 30 30 12 60 35 35 14 70 40 40 16 80 45 45 90 Capestrano Capestrano Capestrano Capestrano Caporciano Caporciano Caporciano Caporciano C. Carvisio C. Carvisio C. Carvisio C. Carvisio Navelli Navelli Navelli Navelli P.d’Anidonia P.d’Anidonia P.d’Anidonia P.d’Anidonia S. Pio delle C. S. Pio delle C. S. Pio delle C. S. Pio delle C.
primario Settore secondario Settore terziario Arrivita’ commerciale Servizi sanitari Turismo
03. research

caporciano

58
caporciano Il sistema insediativo non èe’ soltanto il contenitore fisico di una societa’ o di una cultura. Esso e’ soprattutto un sistema di segni con il quale ogni societa’ interagisce e comunica. COORDINATE: 42° 15’ 6” N 13° 40’ 26 E ALTITUDINE: 836 m.s.l.m SUPERFICIE: 18,28 Km ²

caporciano

research
location geografica

Caporciano, piccolo borgo abruzzese di 237 abitanti, si estende sul crinale affacciato sulla piana di Navelli. Questa, a circa 700 m. di altitudine, si colloca nel versante meridionale della Catena del Gran Sasso insieme all’altro principale altopiano quello di Campo imperatore. Il Comune di Navelli dà il nome all’Altopiano stesso che, con gli altopiani delle Rocche di Sulmona, di Capestrano e delle Cinquemiglia, forma il complesso degli altopiani interni caratteristico dell’Abruzzo. Il complesso degli altopiani interni abruzzesi si colloca tra la dorsale appenninica e l’allineamento interno dei Monti Velino-SirenteMarsicano. La dorsale appenninica si estende lungo la direttrice nord-ovest, sud-est e presenta in successione: i Monti della Laga, il Gran Sasso d’Italia, la Maiella, il Morrone e i Monti della Meta. Su questo allineamento svettano i rilievi maggiori dell’Italia centrale. La piana di Navelli costituisce anche un limite climatico che suddivide la Regione Abruzzo sub-collinare o marittimo (il versante che affaccia verso il Mar Adriatico), e l’Abruzzo montano (la parte restante). Il limite climatico e’ dovuto al salto di circa mille metri che si ha rispetto alla zona costiera. L’altopiano di Navelli si estende parallelamente alla valle dell’Aterno presentando una larghezza di circa 3 Km ed una lunghezza di 25 Km nella direttrice est-ovest.

Quest’ area geografica fa riferimento al territorio della Comunità Montana di Campo Imperatore - Piana di Navelli, istituita con la Legge regionale 22 aprile 1976, N. 14 della Regione Abruzzo, che ne ha anche approvato lo statuto. La Comunità Montana si identifica geograficamente con la parte del territorio sud-occidentale della provincia dell’ Aquila ed e’ composta dai seguenti diciassette comuni: Barisciano, Calascio, Capestrano, Caporciano, Carapelle Calvisio, Castel del Monte, Castelvecchio Calvisio, Collepietro, Navelli, Ofena, Poggio Picenze, Prata d’Ansidonia, San Benedetto inPerillis, San Demetrio ne’ Vestini, San Pio delle Camere, Santo Stefano di Sessanio, Villa Santa Lucia degli Abruzzi. La superficie complessiva ha una estensione di 50.166 ettari, passando dalle cime rocciose di Monte Prena (m. 2566) e di Monte Camicia (m. 2570) fino ai trecento metri della Valle del Tirino. Le condizioni orografiche, geologiche e geomorfologiche hanno condizionato in parte la realtà insediativa dei luoghi sin dalle origini, determinando nuclei di sommità diffusi a rete sui crinali montuosi. Insediamenti sparsi a bassa densità edilizia relazionati da una parte al sistema della fascia dei pascoli nell’altopiano, dall’altra alla fascia dei coltivi posti in prossimità dei bacini idrografici.

Ortofoto Caporciano scala 1:10.000 Carta Tecnica Regionale Numerica Caporciano scala 1:10.000 61 62 research location geografica
Caporciano: si mostra piano piano
research location geografica

Margini

La rappresentazione e’ finalizzata a definire la forma del borgo, il suo perimetro ed il suo rapporto immediato con il territorio libero o con l’insediamento circostante, avvalendosi di elementi di giudizi forniti dall’orografia, come la presenza di margini naturali, ad es. scoscendimenti del terreno, o dall’ intervento dell’uomo: margini artificiali, ad es. la cerchia, o la sua parte residua, di mura o di case-mura. “Ai fini della definizione del perimetro che viene a costruire il limite delle analisi di dettaglio e della rappresentazione del borgo, è fondamentale la considerazione dell’omogeneità’ ambientale dei tessuti compresi entro il perimetro stesso, soprattutto quando il centro antico non ha margini fisici compatti e ben definiti, e/o si è sviluppato in fasi successive e con caratteristiche differenti nelle sue parti.” Gian Ludovico Rolli, “Conoscenza, rappresentazione, recupero dei centri storici minori”

i margini 66
Caporciano: margini artificiali Caporciano: margini naturali

Margini naturali

La conformazione orografica della piana di Navelli, caratterizzato dalla massiccia presenza del crinale appenninico, ha inciso profondamente sulla tipologia urbanistica della zona formata da piccoli centri abitati, sparsi su di una vasta area. Il 90% del territorio della provincia dell’Aquila e’ costituito da rilievi montuosi, ma la popolazione residente nelle zone di montagna non supera il 40% della popolazione totale che vive all’interno della provincia. Questo sistema di insediamenti e’ costituito da un numero piccolo di Comuni: i Comuni con meno di 1000 abitanti sono più’ di cinquanta e tra questi venticinque sono quelli con meno di cinquecento abitanti. Il peso numerico dei piccoli comuni, pari quasi al 50% del totale, si traduce di contro in appena l’8% della popolazione della Provincia. L’altopiano di Navelli presenta : a Nord: Monte Rotondo e il Monte Marrone; ad est i Montie Orsello, Monte Ocre e il Monte Cagno. A sud I monti della catena del Sirente- Velino con il Monte Velino, il Monte Magnola, Monte Castello, Monte Sirente e Monte San Nicola. All’ estremità’ nord-occidentale i Monti della Laga presentano stratificazioni marnoso -arenacee oltre i 200m. I massicci dell’ Appennino abruzzese da nord-ovest a sud-est continuano con andamento convesso verso l’interno. Il passo delle Capannelle (m. 1238) tra la conca aquilana e l’alto Vomano separa i Monti della Laga dal Gran Sasso d’Italia che estende le masse calcaree per 40 km, fino a Campo Imperatore, adiacente all’altopiano di Navelli.

Dalla parte orientale di Campo Imperatore il massiccio procede fino alle gole di Popoli per arrivare a sud-est con la Montagna del Monte Morrone (m. 2061). A sud abbiamo invece la catena del Sirente-Velino.

margini naturali 70
CAPORCIANO

Del massiccio i tre blocchi principali sono: - il Monte Velino; - il Monte Sirente; - gli altipiani delle Rocche. Il Monte Velino e’ il più elevato e si presenta da Sud come una scoscesa parete a tre punte: Monte Serice (2331 m.), Monte Velino (2486 m.), Monte Cafornia (2409 m.). Morfologicamente il Monte Velino e’ simile al nodo centrale del Gran Sasso. La dorsale centrale si biforca nelle creste del Morrone (2141 m.) e del Murolungo (2184 m.), nel complesso delle Montagne della Duchessa. Verso sud-est s’innalza nel Monte della Magnolia (220 m.) , verso nord prosegue fino a Monte Pizzullo e si ramifica nella dorsale del Monte San Rocco, Monte Rotondo e Monte Orsello (2043 m.). Il gruppo del Monte d’Ocre (2204 m.) si trova sulla parte settentrionale di Rocca di Mezzo, si allunga verso la conca aquilana ed e’ separato dal gruppo del Velino dal Paino di Campo Felice e dalla Valle di Lucoli. Il gruppo del Sirente ha affinità’ con la Majella e presenta essenzialmente due versanti: quello che fronteggia l’Aterno e la Conca Subequana e quello che scende fino al Fucino. Il paesaggio e’ spesso completamente spoglio di vegetazione anche nelle parte più’ basse; Il carsismo domina dagli elevati piani ai minuti inghiottitoi. Sul pendio inferiore del Monte d’Ocre si aprono grandi cavità carsiche chiamate “fosse”, e la cavità più’ grande e’ la Fossa Raganesca dovuta ad una erosione carsica superficiale

71 research
research 1 2 3 4 5 6 7 8 73 74 Caporciano sezione 4 sezione 5 sezione 6 margini naturali
research margini naturali 75 76 a b c d e f g h sezione c sezione d sezione e
Caporciano

Margini artificiali

Il margine artificiale in base alla sua natura, si ritiene abbia condizionato la morfogenesi dei centri storici minori tipici abruzzesi. La presenza di cinte murarie interne rispetto all’attuale margine del borgo sottolinea la tipologia di fortificazione tipica del borgo e di conseguenza la sua forma, la sua espansione e le sue caratteristiche salienti.

In un affresco del XV secolo, tutt’ora visibile nella cattedrale di Atri a Teramo, il celebre pittore abruzzese Andrea De Litio ha rappresentato l’Abruzzo come una miriadi di colli su ognuno dei quali svettano dei castelli. Infatti tutta la regione ne pullulava e gran parte dei centri abruzzesi hanno questa origine. Tra essi vi è certamente Caporciano. Nel medioevo e più precisamente dopo il Mille, con il sorgere di un nuovo tipo di organizzazione sociale, notevolmente influenzata sul piano organizzativo dal monachesimo benedettino, le strutture fortificate diventano i punti nodali del tessuto territoriale. Laddove esiste una piccola comunità essa tende naturalmente ad espandersi dando vita a nuovi aggregati edilizi raccolti nella formazione embrionale che e’ il borgo. L’evoluzione di tali primitive forme associative, fintanto che non furono territorialmente e socialmente organizzate in modo da garantire la sicurezza ai suoi abitanti, fu condizionata dalla necessità di provvedere alla sicurezza. Se l’incolumità fisica degli abitanti e la difesa dei loro beni era uno dei motivi principali di aggregazione, il fenomeno dell’incastellamento era anche il primo passo verso una riorganizzazione della società e un riutilizzo del tratturo, in quanto si erano ripristinate le antiche sicurezze ai pastori dopo il buio delle invasioni barbariche. Quella del castello, fortificazione tipica del comune di Caporciano, non E’ l’unica tipologia di fortificazione tipica dei borghi abruzzesi.

margini artificiali
78

TORRE

presidio indispensabile per l’avvistamento e la difesa. Spesso è collocata il posizione protetta ma inserita in un efficace rete di relazioni ottiche sia con il borgo stesso che con gli altri centri fortificati nel territorio.

valle pezzata cannavine

piano maggiore acquaratola torricella sicura tavolerosab biagio forno pomarolo

CASTELLO

elemento difensivo posto come fulcro del borgo. E’ dotato di mura che cingono le abitazioni, di porte di accesso e di torri di avvistamento.

BORGO FORTIFICATO

presenta una struttura urbana composta da un recinto murario all’interno del quale è organizzato l’intero edificato.

pietracamela castelli

castelvecchio calvisio farindola

s. stefano di sessanio castel del monte calascio fossa carapelle calvisio capestrano

CAPORCIANO navelli pescosansonesco serramonacesca

s. benedetto in petrillis

abbateggio pretoro salle

introdacqua paentrobugnara

NON FORTIFICATO

data la sua posizione geografica il borgo non ha mai sentito l’impellenza di difendersi, pertanto non è stata sentita l’esigenza di creare alcuna fortificazione.

tipologia di fortificazione dei borghi abruzzesi

research 79 80 margini artificiali

Il castello di Caporciano

Il nome Caporciano deriva forse da antichi insediamenti romani: Caput Iani, capo di Giano il dio bifronte, o anche Caput Porci, Casa Porciana diventata Ca’ Porciana e quindi Caporciano probabilmente dalla gran quantità di cinghiali e maiali che vivevano nella zona. Secondo l’ Antinori, altri nomi dati furono Caproczanum e anche Cleminiano.

Nel 1193 Galgano di Collepietro, fratello di Derisio signore di Carapelle, ottenne in feudo Caporciano, che allora contava quaranta famiglie. E’ quindi quanto a questo periodo da far risalire la nascita del recinto fortificato di Caporciano e quindi la nascita dell’attuale abitato. Siamo alla fine del XII secolo e il toponimo Caporciano appare per la prima volta nel 1184. Quando nacque il “castello” di Caporciano, il convento di Bominasco era comunque già prosperoso, questo confermerebbe la tesi dello storico C. Vickham, secondo il quale l’incastellamento nella zona interna della regione fu l’effetto diretto dei nuovi rapporti che si erano andati creando tra il potere religioso e quello laico.

Il recinto fortificato di Caporciano, comunemente chiamato castello, ha una direttrice prevalente nord-sud. La sua forma e’ riconducibile ad un triangolo, al cui vertice si trova la torre principale. Si erge, come era allora consuetudine, sulla sommità del colle a quota m. 850 circa, da cui si apre un vasto orizzonte con uno stupendo panorama sull’altopiano.

82 il castello di Caporciano

La posizione del castello era strategicamente assai rilevante: permetteva infatti di dominare, da una posizione di rilievo, un’ampia porzione del territorio che era attraversato dal percorso tratturale dell’altopiano. Le strutture edilizie oggi residue di questi manufatti, dimostrano come alcuni di essi fossero coesi.

Della primitiva struttura fortificata, restano numerose testimonianze. Alcune ben evidenti e quasi integre, altre trasformate nel tempo ed inglobate nelle abitazioni. Certamente il corpo edilizio meglio conservato e’ la torre principale, utilizzate attualmente come campanile della chiesa, ma che il recente restauro ha in parte restituito alla vigorosa forma militare che le era propria.

Sono rimaste ancora fortemente leggibili altre tre torri tutte facenti parte della cortina muraria posta a sud e trasformate in locali abitativi. Sono ancora intatte due porte dell’accesso al fortilizio e ben conservata e’ tutta la parte edilizia aggiunta nel 1500. Nel 1500 il castello subì un ampliamento necessario ad adeguare la cresciuta importanza socio-economica, testimoniata dal crescente numero di abitanti che vi soggiornavano. Da castello, assunse la tipologia del palazzo fortificato.

castello di Bominaco, frazione di Caporciano. Similitudine con il castello di Caporciano.

ricostruzione planimetrica del primo impianto del castello del XII secolo.

ricostruzione planimetrica dell’impianto cinquecentesco e del successivo ampliamento del XVII secolo.

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research il castello di Caporciano
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Schizzo del castello di Caporciano Prospetto Ovest su via V. Emanuele Prospetto Est del Castello
research

forma urbis

L’analisi della forma dei Centri storici minori, dei condizionamenti geografici e fisici della sua origine, del suo rapporto con gli eventi storici, con l’organizzazione sociale e con le esigenze funzionali, e’ stata affrontata in diverse occasioni da molti autori.

Come afferma G. Ludovico Rolli in “Conoscenza, rappresentazione, recupero urbanistico dei centri storici minori”, spesso la forma di un centro storico ha una specificità ed una percepibilità di estrema evidenza, che in un certo senso prescinde dagli eventi storici, politici, socioeconomici ed anche dal contesto territoriale in cui si e’ originata, così come il ritratto che rappresenta il volto di una persona può colpire l’immaginazione ed essere significativo e memorabile indipendentemente dal contesto di tempo e di luogo a cui appartiene la persona stessa. In particolare la maggior parte dei centri storici minori d’Abruzzo hanno una connotazione morfologica di estrema evidenza, che sembra prestarsi ad una rappresentazione icastica dal punto di vista sia della struttura dell’insediamento, sia dalla forma complessiva in rapporto al territorio.

88 forma urbis
89 90 forma urbisresearch
FOTO AEREA FOTO AEREACARTA BASE CARTA BASESCHEMA INTERPRETATIVO SCHEMA INTERPRETATIVO

PRIMA FASE

Di seguito si riportano alcune considerazioni dello stesso Rolli, che tengono conto di alcune peculiarità riscontrabili nel caso di centri storici minori abruzzesi.

- L’origine della maggior parte dei centri storici è distribuita nel lungo corso del medioevo, e questo conferisce ai centri stessi caratteri formali prevalentemente spontanei, cioè non derivanti da un disegno predefinito, non tanto nella forma originaria, ma nelle forme di accrescimento.

- In Abruzzo molti centri minori si sono formati ex - novo, nel primo medioevo, intorno a nuclei si germinazione costituiti da castelli, borghi fortificati, pievi, monasteri. Tracce di queste origini persistono spesso nei nomi dei centri storici.

- Molti centri storici minori abruzzesi non sono sorti fin dall’inizio con una forma ben definita e conclusa, ma si sono sviluppati in base successive intorno ad un nucleo originario religioso o difensivo, con diverse modalità. Ad esempio l’accrescimento può essere avvenuto in modo aderente all’andamento planoaltimetrico del territorio circostante, e lungo la viabilità di accesso; oppure a saturazione delle aree rimaste inizialmente libere tra le diverse direttrici originarie di sviluppo.; o anche a macchia d’olio, senza una direttrice principale. In alcuni casi e’ ancora leggibile la perimetrazione degli sviluppi successivi accostati o concentrici, riuniti in epoca successiva in un unico insieme.

- Peraltro si e’ riscontrato che sembra più agevole ricondurre il processo di classificazione alla ricerca di ricorrenze, non tanto di forme tipiche complessive, quanto di alcuni connotati specifici, separatamente analizzati ed infine ricomposti in una valutazione generale. Significativi sotto questo profilo sono apparsi la forma dei margini, sopra analizzati, e l’analisi del tessuto urbano.

SECONDA FASE

TERZA FASE

STATO DI FATTO

nucleo edilizio originario a carattere difensivo; comprendeva il Castello di Caporciano, la Chiesa di San Benedetto e le prime abitazioni. prima espansione edilizia con funsione residenziale.

case a schiera disposte lungo le linee di massima pendenza.

Sviluppo del tessuto urbano a forma di goccia.

91 92 forma urbisresearch

planimetria stato di fatto

93 94 forma urbisresearch

il tessuto urbano

04.

L’analisi morfologica -tipologica degli abitati rurali montani ha rilevato quei caratteri tipologici e costruttivi espressivi di una cultura materiale, come fatto riconoscibile e distinguibile dell’ambito geografico della piana di Navelli. L’attenzione si è rivolta ai nuclei sparsi, oggi abbandonati, su una fascia altimetrica compresa tra i 700 m e i 1100 m s.l.m.

Dalla scala territoriale a quella urbana, sino al singolo tipo edilizio, e’ possibile ripercorrere le fasi delle forme insediative e i rapporti che intercorrono tra le risorse offerte e le esigenze di una comunità dedita, sin dalle origini, alla pastorizia. In questa ottica si rileggono la dimensione e la forma dell’impianto urbano, funzione della natura morfogenica del luogo, ma anche il sistema organizzato dei centri dotati di una certa autosufficienza.

Le indagini che seguono riguardano i rapporti tra i tipi edilizi e i criteri di aggregazione, analizzando dettagliatamente il tipo costruttivo di trasformazione.

La lettura comparata dei centri può avvenire su base sincronica e le varianti sono da rintracciare o sotto il profilo morfologico (varietà dei siti) o sotto il profilo tipologico (risposta alle diverse esigenze socio-economiche). La forma insediativa e’ strettamente connessa alla caratterizzazione morfologica del territorio e alla presenza di risorse disponibili. Nello stesso ambito territoriale si hanno centri storici che assumono la valenza di “sito di pendio”, o “di sito di sommità”, a seconda la situazione orografica.

La morfologia attuale dei centri corrisponde a quella che si e’ definita nell’arco temporale compreso tra il XVII e il XIX secolo. Molti abitati, distrutti durante le alterne vicende per la lotta al banditismo, furono ricostruiti sui medesimi siti o, in alcuni casi, in luoghi prossimi ai primi insediamenti.

98 il tessuto urbano

L’area di sedime naturale condiziona e determina la particolare morfologia urbana e il modello di aggregazione edilizia. Con le prime abitazioni disposte lungo la principale strada di attraversamento si individuano il modello di crescita lineare delle cellule affiancate secondo la gerarchia urbana dipendente esclusivamente dal rapporto strada-affaccio. La casa isolata, svincolata dal tessuto edilizio, diventa una eccezione nella complessità’ della articolazione delle case plurifamiliari. I centri assumono la connotazione tipica di abitati di sommità’ dove lo stretto legame con il sito condiziona e limita l’accrescimento delle cellule abitative, che occupano tutto il pianoro disponibile. Le abitazioni, costruite spesso sui banchi di pietra calcarea, hanno i prospetti sul fronte strada, quindi paralleli alle curve di livello, con gli ambienti disposti su due piani, secondo il modello della casa rustica: stalla-fienile al piano terra o interrato e abitazione al piano superiore.

Di particolare importanza risulta quindi la lettura del tipo edilizio come indagine approfondita del modello aggregativo degli abitati. L’individuazione di una categoria tipo permette di riconoscere i caratteri invarianti delle costruzioni, in funzione del tessuto urbano di cui e’ parte integrante e della destinazione d’uso originaria e di trasformazione. Questa analisi, operata attraverso opportune scale di rappresentazione, chiarisce le interrelazioni tra diversi elementi spaziali, formali, tecnologici dell’organismo edilizio , rappresentando un punto di riferimento nella compatibilità di soluzioni progettuali.

100 costruito

tipologia edilizia

L’interpretazione dei dati rilevati e la comparazione degli esempi riscontrati hanno consentito di accertare, all’interno della esperienza costruttiva locale le seguenti tipologie:

- la CASA RURALE;

- la CASA-PALAZZO o il PALAZZO, come evoluzione tardo-ottocentesca della casa rurale;

- la CHIESA, come struttura ricorrente e con proprie valenze storiche architettoniche.

102 tipologia edilizia

la casa rurale

La casa rurale costituisce il tipo edilizio più diffuso. Il termine rurale viene utilizzato nell’accezione di architettura che rappresenta l’espressione del rapporto che si stabilisce tra il territorio e la comunità insediata. Questo rapporto, rilevabile già nella primitiva edificazione del singolo edificio, continua a manifestarsi nel tempo nel progressivo adattamento dell’ambiente alle nuove diverse esigenze sociali ed economiche che avanzano nella comunità.

Lo studio tipologico ha permesso l’individuazione di cellule base di modeste dimensioni, costruite intorno al XVII-XVIII secolo, alle quali vengono accostati altri corpi che costituiscono nuclei abitativi con ingresso autonomo. La lettura di questo sistema di aggiunte successive, conformato al sito, permette di comprendere le diverse formazioni degli insediamenti. Generalmente la casa rurale e’ a due piani(in qualche caso a tre piani) con piano interrato adibito a stalla. Per la particolare connotazione del territorio, la casa rurale e’ libera dalla compressione delle cinte murarie, e, dove il sito lo consente, si ha uno sviluppo longitudinale, cioè parallelo alle curve di livello.

Nella ricostruzione del processo tipologico e’ possibile individuare l’evoluzione delle costruzioni rurali di questo territorio, distinguendo le varianti che seguono.

104 la casa rurale

CASE A SCHIERA PARALLELE

ALLE CURVE DI LIVELLO:

serie di case affiancate che si affacciano su strade a quota costante. Ogni dimora è costituita in pianta da uno o due vani affiancati, articolati su due o più livelli. Generalmente a livello stradale si trova l’accesso al magazzino o alla stalla, mentre in quello superiore c’era l’abitazione.

tipologie edilizia residenziale

CASE A SCHIERA PERPENDICOLARI

ALLE CURVE DI LIVELLO:

le case di questa tipologia usualmente saturano il tessuto lungo i percorsi longitudinali. L’accentuata pendenza del terreno ha condizionato la distribuzione degli ambienti e dei relativi accessi. L’ingressi all’alloggio e al magazzino sono di solito sullo stesso fronte, ma il primo è servito da una scalinata esterna necessaria a superare il dislivello.

CASE MURO:

le case-muro sono nate come espediente di ampliamento del borgo dovuto ad un aumento demografico. Utilizzano la conta muraria come sostegno, inglobandola nella loro struttura. Si tratta di abitazioni sviluppate su uno o due piani, addossate al pendio con l’assenza di locali al livello più bassi e accessi dall’interno del borgo a quota più alta. Il muro di fortificazione assolve inoltre alla funzione di fondazione, essendo poggiato sulla roccia.

105 106 la casa ruraleil tessuto urbano

case parallele alle curve di livello

case a muro

case perpendicolari alle curve di livello

107 108 la casa ruraleil tessuto urbano
109 110 il tessuto urbano
Prospetto Via Vittorio Emanuele

ROMA

111 112 il tessuto urbano
Prospetto Via Roma
VIA

VIAD’INNOCENZOGIUSEPPE

113 114 il tessuto urbano
Prospetto Via D’Innocenzo Giuseppe

palazzo

“ L’introduzione della tipologia del palazzo consente di descrivere quelle costruzioni che, pur non contraddistinte da configurazione spaziale e modalità costruttive tali da farli considerare “tipologia specialistica”, si distinguono dalla “casa rurale” per caratteristiche costruttive, metriche, architettoniche.

La ostruzione del tipo del palazzo coincide con la fase di trasformazione dei centri successiva al periodo francese, o in ogni caso all’Unita’à. Il primo impianto e’ in genere più antico e richiama le tipiche costruzioni rurali, ma con le modifiche ottocentesche, il manufatto assume una tipologia tipica di costruzioni di rappresentanza destinate alla residenza di famiglie appartenenti ad un ceto sociale più agiato.

Si tratta, in generale, di un edificio caratterizzato da un volume compatto del tipo “a blocco”. L’organismo architettonico ha un impianto quadrangolare; la distribuzione degli spazi interni ripropone, secondo le modalità già individuate nella tipologia della casa rurale, la distinzione funzionale tra gli ambienti a piano terra o interrato, destinato a rustico, e gli ambienti al piano superiore destinati ad abitazione.

I rapporti dimensionali sono diversi dalla casa rurale: i vani sono più grandi e maggiore cura e’ data ai dettagli costruttivi e agli elementi architettonici.

Le superfici architettoniche dei prospetti principali si caratterizzano formalmente nel rapporto equilibrato tra aperture e maschi murari e nella tessitura più ricercata affidata ai blocchi lapidei squadrati, con finitura a subbia, che costituiscono l’apparecchiatura muraria.”

“Centri storici minori: conservazione, tutela e valorizzazione del paesaggio”, Monia di Leonardo

116 il palazzo
il
117 118 il tessuto urbano
Prospetto Via Roma
il palazzo

la chiesa

“ Nei centri storici minori la chiesa, presente in ogni borgo, e’ posta nel punto più alto come elemento architettonico emergente. Gli edifici di culto, in questi luoghi assumono anche un forte valore documentario. Sono gli unici edifici, scampati alle distruzioni del XVII secolo. Generalmente la configurazione spaziale, gli elementi architettonici e gli elementi strutturali che caratterizzano questi edifici contribuiscono a formare per ogni singolo edificio il carattere di unicità.

La chiesa, forse per il ricorso da parte delle comunità locali, ad un patrimonio di risorse materiali e di esperienze consolidate comuni, costituisce un elemento costruttivo invariante nel territorio montano. Sono rinvenibili le seguenti regole costruttive:

- la chiesa e’ composta da un’aula rettangolare regolare, senza transetto, spesso, senza abside.

- l’altare è posto in asse con l’ingresso e poggia sulla parete sul fondo.

- gli ingressi in genere sono due. Quello principale si trova sulla facciata ed e’ caratterizzato formalmente dalla presenza di particolari stilistici, l’altro laterale, presenta elementi architettonici più semplici.

- la copertura a doppia falda, e’ costituita da una struttura realizzata con capriate di legno.

- il prospetto principale, costituito da una superficie architettonica continua senza particolarità decorative, presenta un profilo a capanna.”

“Centri storici minori: conservazione, tutela e valorizzazione del paesaggio”, Monia di Leonardo

120 la chiesa
119

Anche per la parrocchiale S. Benedetto non esistono notizie certe sulla sua costruzione. Visto comunque che essa è sorta sui resti del castello di Caporciano, la sua origine va ricercata nel declino di quest’ultimo. Già nella prima metà del cinquecento il Regno di Napoli iniziò a dotarsi di nuove fortezze militari che potessero resistere alle nuove armi da fuoco (nel 1534 iniziò la costruzione della nuova fortezza aquilana). Di conseguenza persero importanza tutte quelle fortificazioni, come il castello di Caporciano, la cui struttura militare era da considerarsi superata, analogamente a molti castelli medievali abruzzesi che nel Seicento risultavano abbandonato oppure trasformati in residenze nobiliari. Quello di Caporciano subì un duplice destino. Per una parte venne adibito a residenza dei signorotti del luogo e per un’altra parte venne adibito ad uso religioso. E’ dunque da collocare nel Seicento la costruzione della chiesa principale di Caporciano. Due pietre erratiche, rinvenute nel recente restauro sugli angoli opposti della facciata della chiesa, ci forniscono interessanti spunti. In particolare quella a destra riporta una frase di Vincenzo Ferreri, dichiarato Santo nel 1455, e la frase è un’incitazione a lodare e onorare Dio poiché è giunta l’ora del giudizio e si chiude…. “Veniamo a te o Cristo come pastore così il cammino sarà svelato. A.D. 1600”. Il Santo, nato in Spagna, evangelizzò i popoli nel mezzogiorno di Francia, in Piemonte e in Lombardia, e predicò contro gli eretici. Suo tema particolare era quello di annunciare l’imminenza del Giudizio Universale. Morì in Bretagna. Poiché il culto del Santo si diffuse nel centro Italia proprio intorno al ‘600, è ragionevole supporre che la data riportata nella pietra possa riferirsi al momento in cui fu incisa. Inoltre la frase risulta particolarmente adatta per l’ingresso di un luogo di culto, e perciò è verosimile che la pietra sia stata scolpita proprio per essere posta all’ingresso della chiesa di S. Benedetto.

122 la chiesa
san benedetto 121

Altre notizie storiche ci vengono dall’archivio parrocchiale. Fino ad allora la parrocchia di Caporciano era stata la chiesa di S. Pietro. Le controversie sul possesso della parrocchia, che era già stata sotto la giurisdizione del Vescovo di Valva, si dilungarono per molti anni. Nel 1580 – quand’ era vescovo Mariano da Racciaccaris – i monaci celestini chiesero alla Corte Romana di poter far valere i loro diritti sulla parrocchia di Caporciano. Anche in questo caso la disputa durò a lungo. Il Papa Alessandro VIII infine decise a danno degli Abati di Collemaggio ed a favore del Vescovo aquilano Ignazio de Lazarda il quale rese visita per la prima volta alla sua nuova parrocchia nei giorni 19 e 20 settembre 1692 e decretò che le due parrocchie allora esistenti S. Pietro e S. Liberato – fossero riunite con il titolo di S. Liberato Abate e Martire e che si provvedesse di un curato perpetuo con il titolo di Arciprete. Tre anni dopo, nel 1692, il Vescovo dell’Aquila, spedì la bolla al primo arciprete Don Angelo De Mattheis, che rimase a Caporciano fino alla sua morte avvenuta nel 1732. Da tali eventi si deduce che qualche cosa di nuovo ed importante era successo a Caporciano: era stata costruita una nuova chiesa, laddove il centro abitato si era ormai gia’à ampiamente costruito e sviluppato e dove prosperavano già gli edifici dei signori. La rinuncia alla parrocchia di S. Pietro avveniva a favore di un nuovo edificio più grande che poteva ospitare l’alto numero di cittadini che sicuramente il paese già contava. L’ultimo consistente ampliamento dell’ex castello, nel versante est, e’ datato 1689.

Evidentemente e’ facile supporre che la seconda metà del ‘600 fosse stato per Caporciano un periodo particolarmente attivo e florido tale da consentire al centro di dotarsi di una chiesa di dimensioni certamente considerevoli che andò ad occupare la parte ovest del vecchio castello, definendo un nuovo assetto urbanistico a tutta l’area circostante.

Il catino absidale interrompe il tratto di cortina della fortificazione e parte della muratura della chiesa e’ stata realizzata con materiale di recupero proveniente dal disfacimento del recinto fortificato. La definizione dello spazio urbano antistante l’edificio e’ dovuto ad interventi successivi, del settecento, ottocento e novecento. La parrocchia rimase con il titolo di S. Liberato fino al 15 maggio 1808 quando prese il nome di S. Benedetto Abate e vennero espulsi i monaci celestini diventandone proprietari i parroci. Dalla relazione fatta nel 1876, a seguito della visita pastorale del vescovo dell’Aquila M.L.Filippi, emerge fra l’altro che nel 1848 la chiesa fu oggetto di un piccolo ampliamento di cui però non si è trovato riscontro nelle strutture dell’edificio.

il tessuto urbano la chiesa 123 124

ESTERNO - l’esterno dell’edificio è impostato ad estrema semplicità e non rispecchia certamente la sontuosità interna. Il paramento murario è in pietrame incerto a faccia vista senza intonaco; la facciata è conclusa molto semplicemente con un timpano. Così come già detto, in questa chiesa sono stati eseguiti numerosi interventi di restauro nel corso degli anni soprattutto per arrestare il degrado degli elementi strutturali e decorativi. L’ultimo intervento, tuttora in corso, interessa il ripristino delle coperture e il restauro delle decorazioni interne. Gran parte dei tetti, ad esclusione della zona di ingresso revisionata dal Genio Civile negli anni ’70, è stata ripristinata con una struttura portante metallica su supporti reticolari e lamiera recata, poggiante su cordoli di coronamento. Questa soluzione e’ stata scelta in quanto molto leggera e duratura nel tempo. I decori all’interno della chiesa, sono stati restaurati e ripristinati dal pittore-decoratore Di Valerio che ha mostrato sensibilità e capacità interpretativa seguendo le indicazioni della direzione dei lavori. Senza modificare l’impostazione ottocentesca delle pitture, si e’ provveduto a ridare più calore all’ambiente e ad esaltare le decorazioni degli undici altari con foglia oro e finti marmi. Particolarmente apprezzabile e’ stato il risultato ottenuto con l’intervento sui capitelli, sugli evangelisti, all’imposta della cupola e sulle statue, mediante il lavaggio delle superfici. Anche il nuovo impianto di illuminazione ha esaltato il gusto neo-classico della chiesa con illuminazione indiretta posta sul cornicione di imposta della volta e con la valorizzazione degli aspetti architettonici più significativi.

INTERNO - La pianta della chiesa è a croce latina, con un presbiterio rialzato di tre gradini su cui poggia la balaustra in cemento policromo e’ stata realizzata nel 1935 da parte di tal Veneziani dell’Aquila. L’edificio è adorno di dieci cappelline laterali, più l’altare maggiore. Al centro del transetto, si staglia la cupola coperta con un tamburo ottagonale. Particolarmente apprezzabile è l’armonia creata dalle proporzioni sapienti del suo interno: il giusto equilibrio tra la pianta e l’alzato le conferiscono un aspetto quasi maestoso derivante più dal gusto rinascimentale che dal concetto della spazialità barocca. La copertura a botte e’ realizzata con cannucciato e gesso ancorati su una struttura portante in legno. La partitura orizzontale e’ scandita da campate grandi e piccole alternate, in corrispondenza delle campate più larghe la volta a botte si conclude con una lunettatura che contiene ampi finestroni. L’ingresso è coperto dalla cantoria che ha un organo a canne realizzato alla fine del settecento, probabilmente ad opera del famoso organaro Fedeli.

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madonna addolorata

Anche per la parrocchiale S. Benedetto non esistono notizie certe sulla sua costruzione. Visto comunque che essa è sorta sui resti del castello di Caporciano, la sua origine va ricercata nel declino di quest’ultimo. Già nella prima metà del cinquecento il Regno di Napoli iniziò a dotarsi di nuove fortezze militari che potessero resistere alle nuove armi da fuoco (nel 1534 iniziò la costruzione della nuova fortezza aquilana). Di conseguenza persero importanza tutte quelle fortificazioni, come il castello di Caporciano, la cui struttura militare era da considerarsi superata, analogamente a molti castelli medievali abruzzesi che nel Seicento risultavano abbandonato oppure trasformati in residenze nobiliari. Quello di Caporciano subì un duplice destino. Per una parte venne adibito a residenza dei signorotti del luogo e per un’altra parte venne adibito ad uso religioso. E’ dunque da collocare nel Seicento la costruzione della chiesa principale di Caporciano. Due pietre erratiche, rinvenute nel recente restauro sugli angoli opposti della facciata della chiesa, ci forniscono interessanti spunti. In particolare quella a destra riporta una frase di Vincenzo Ferreri, dichiarato Santo nel 1455, e la frase è un’incitazione a lodare e onorare Dio poiché è giunta l’ora del giudizio e si chiude…. “Veniamo a te o Cristo come pastore così il cammino sarà svelato. A.D. 1600”. Il Santo, nato in Spagna, evangelizzò i popoli nel mezzogiorno di Francia, in Piemonte e in Lombardia, e predicò contro gli eretici. Suo tema particolare era quello di annunciare l’imminenza del Giudizio Universale. Morì in Bretagna. Poiché il culto del Santo si diffuse nel centro Italia proprio intorno al ‘600, è ragionevole supporre che la data riportata nella pietra possa riferirsi al momento in cui fu incisa. Inoltre la frase risulta particolarmente adatta per l’ingresso di un luogo di culto, e perciò è verosimile che la pietra sia stata scolpita proprio per essere posta all’ingresso della chiesa di S. Benedetto.

la chiesa
127 128 il tessuto urbano

INTERNO - L’interno è ad unica navata voltata a botte con tre lunette. In quelle di sinistra, verso la strada, si aprono altrettante finestre. Sul lato destro, addossato alla parrocchiale di San Benedetto appaiono pseudo aperture in cui la prima decorazione settecentesca dipinse finestre con grate ed il successivo ritocco ottocentesco, ornò ulteriormente con dei tendaggi che di fatto coprirono la precedente pitturazione. Il restauro del 1989, ha ristabilito gli eventi storici lasciando nella pseudo finestra centrale la raffigurazione settecentesca, nelle altre due quella del secolo successivo. L’interno della chiesa è concluso con una semicupola sopra l’unico altare. Al di sopra dell’ingresso, sorretta da quattro colonne, vi è la cantoria a più livelli che conteneva l’organo. Tutto l’interno è affrescato con decorazioni di gusto settecentesco e cromie confacenti al culto dei morti. Nove pitture importanti, di cui due su tela e le altre su affresco, poste al soffitto e sulle due pareti laterali al di sopra del coro ligneo, illustrano la passione di Cristo dalla flagellazione alla deposizione. Anche il pavimento di questa chiesa è particolarmente interessante e certamente coevo a quello realizzato nell’ 800 nella chiesa di San Benedetto. E’ in pietra squadrata e presenta al centro dell’aula, una greca con pietra nera che corre fino all’altare. Anche su questo edificio si è iniziato il restauro per rimediare ai gravi danni che un parziale crollo del tetto aveva causato alle decorazioni interne. La tecnica usata per le coperture è stata la stessa descritta per la chiesa di San Benedetto. Le decorazioni interne invece sono state restaurate dal decoratore che ha affrontato e risolto il problema dei fumi delle candele che negli anni avevano annerita la volta. Nell’occasione del restauro è stata sostituita la bussola di ingresso, già in metallo, con un’altra in legno la cui tipologia è stata ripresa e riprodotta anche in altre regioni d’Italia.

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pietro in valle

L’edificio come si presenta oggi nella sua veste suggestiva a ridosso di una valle il cui bosco ghermisce ormai la chiesetta, è databile alla prima metà del 1200. Indagini di natura archeologica, condotte nel corso di un restauro del 1990, ne hanno arricchito la conoscenza storica. In tale circostanza furono rinvenute quattro sepolture terragne alle spalle dell’abside e in ciascuna delle quattro fosse, scavate direttamente nella terra e ricoperte con materiale di reimpiego da vicine strutture antiche demolite, sono state identificati i resti di più corpi umani. La presenza di alcuni frammenti ceramici (acromi e a vetrina pesante) fanno supporre che l’inumazione risalga al IX-X sec. La successiva costruzione della chiesa causò probabilmente lo spostamento delle tombe e l’unione di più sepolture. La presenza di materiali romani è forse indizio dell’esistenza di un ben più antico edificio romano i cui resti sono sepolti forse sotto la chiesa. Varie notizie riportate dall’Antinori, dal Bindi e dal Celidonio, così come detto in premessa, parlano di un’antica chiesa intitolata a San Cesidio della quale manca peraltro una identificazione certa. In uno scritto del 1957 di Mons. Equizi:”Storia dell’Aquila e della sua diocesi”, l’autore ritiene che l’antico titolo di S. Cesidio sia stato mutato in quello di S. Benedetto, l’attuale parrocchia, in occasione del passaggio ai benedettini. Tale supposizione tuttavia è assai improbabile per vari motivi:

La chiesa di S. Benedetto, così come risulta dai documenti parrocchiali, fu intitolata a San Liberato nel 1692 e conservò questo nome fino al 1808, quando prese quello attuale di S. Benedetto.

la chiesa
san
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Il titolo di San Cesidio comincia a comparire negli scritti antichi gia’à a partire dalla fine dell’anno mille, ed e’ assai improbabile che essa potesse trovarsi sul luogo in cui nel 1200 fu costruito il castello. Escluso quindi che S. Cesidio potesse essere il primo impianto dell’attuale parrocchiale e non avendo rinvenuto alcun fatto architettonico nell’abitato di Caporciano, sufficientemente conservato nella parte antica, che indicasse un altro sito per la chiesa di S. Cesidio, non resta che supporre che detto edificio si trovasse sul luogo dell’attuale chiesa di S. Pietro. D’altronde, vari resti alto medievali presenti nella chiesa di S. Pietro e, come detto in premessa, gli scavi archeologici effettuati recentemente, ci indicano chiaramente gia’à dal IX-X secolo la presenza di vita religiosa sul luogo. Si può dunque affermare che il primo edificio religioso sorto a Caporciano, sia la chiesa di S. Cesidio, molto probabilmente ubicata sul luogo dell’attuale chiesa di S. Pietro. Per conoscere la storia di S. Pietro, seguiremo quindi le vicende relative alla chiesa di S. Cesidio. Caporciano, prossimo a Bominaco e a S. Benedetto in Perillis, dovette certamente dipendere da questi monasteri. E’ ipotizzabile che S. Cesidio facesse parte delle proprietà di Bominaco e, visto che tutta la zona fu soggetta per un lungo periodo al Monastero di S. Benedetto, che fosse parte anche di quest’ultimo. Una fonte ci dice che le chiese e i beni di alcuni paesi, fra cui Caporciano, vennero concessi nel 1001 da Oderisio, figlio di Bernardo conte di Valva, al cenobio di Bominaco. Da un successivo documento del Codice

Diplomatico Sulmonese, sappiamo che nel 1092 S. Cesidio fa parte del Monastero di S. Benedetto e che viene menzionata nell’atto di donazione che Ugo di Gerberto fa nel medesimo anno a favore della diocesi Valvense.

I monaci di Bominaco nel 1093 si opposero tenacemente a questa donazione e la controversia venne portata al giudizio del Papa, ma la curia romana, con alterne vicende, diede ragione ora agli uni ora agli altri. In queste aspre contese, che si protrassero fino alla fine del XIII sec., un altro passaggio importante per la chiesa di S. Cesidio e’ contenuto in una bolla che il Papa Clemente III emanò il 15 aprile 1188. La bolla descrive tutti i territori compresi nella Diocesi Valvense e fra i possedimenti viene menzionato “in Caporzano S. Cesidio, cum ecclesii”. Nella contesa la parte vincente e’ dunque la Diocesi Valvense, anche se i Monaci di Bominaco mantengono una forte autonomia. Tuttavia le liti, che riesplodono nel XIII sec., vengono temporaneamente placate, come giàa’ detto, dall’editto che Carlo d’Angiò emana nel 1271 con cui prende sotto la sua protezione S. Benedetto in Perillis e quindi S. Cesidio. Abbiamo anche accennato che la chiesa resterà sotto la protezione reale fino a quando nel 1294, per ordine del Papa Celestino V appena eletto fu aggregata alla Badia Moronese. Nel secolo successivo, la chiesa venne arricchita con uno splendido ciborio di gusto leggermente goticheggiante e di tre edicole con le medesime fattezze.

la chiesa 133 134 il tessuto urbano

Altri reperti, tra cui un affresco datato 1430, sono la testimonianza di un continuo arricchimento di cui l’edificio fu oggetto fino a metà del XV sec. E’ ipotizzabile che inizialmente la chiesetta fosse di dimensioni più piccole e che il primitivo ingresso si aprisse sulla facciatella dell’ala destra del transetto. Il successivo ampliamento, non più tardo del XIV sec., comportò lo spostamento del ciborio che fu addossato alla parete affrescata con pitture della fine del trecento. Il ciborio fu poi staccato dalla parete di fondo, nel corso del restauro del 1970. L’attuale forma della chiesa, liberata anche da murature ottocentesche addossate alle ali del transetto, e’ riconducibile alla croce greca, con copertura a timpano e con gli esterni improntati a molta semplicità. E’ tuttavia forte la suggestione che ne deriva dall’aspetto leggermente rupestre, distaccato ed inserito in una cornice paesaggistica di grande emotività. Un documento del 1929, dell’allora podestà Francesco D’Alessandro, ci da’à notizia di alcuni lavori eseguiti nell’antica chiesa ……”quasi abbandonata da moltissimi anni”. I lavori consistettero nella trasformazione del cimitero ad ossario, nella sistemazione del tetto, degli infissi e del “Piazzale della Rimembranza”secondo l’enfasi fascista dell’epoca.

Nel corso di un restauro eseguito a cura della Soprintendenza per i Beni Ambientali, Architettonici, Artistico -Storici dell’Abruzzo nel 1969-70 si provvide a liberare l’edificio da alcune superfetazioni nelle ali laterali ed effettuare il distacco del pregevole affresco citato nel testo.

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138 i percorsi
i percorsiil tessuto urbano
142 giardini pensili
giardini pensiliil tessuto urbano

materiali & tecniche costruttive

05.

materiali

I materiali utilizzati nelle costruzioni del borgo di Caporciano, sono reperibili in ambito geografico prossimo al sito edificato e per motivi legati alle peculiarità dell’approvvigionamento e del trasporto.

In tutto il settore dei borghi adiacenti al Gran Sasso, il materiale utilizzato e’ il calcare in maggior quantità e arenarie a cemento calcareo -dolomitico.

I materiali da costruzione utilizzati nell’edilizia storica dei centri storici della zona del Gran Sasso, si distinguono secondo le seguenti quattro categorie:

- materiali naturali ( rocce calcaree e pietra sponga);

- materiali cementanti ( sabbia, calci, gesso, malta);

- materiali artificiali (mattoni, mattonelle, tegole). Sono presenti in modo sporadico. Generalmente il laterizio viene usato nelle murature listate o come elemento decorativo in cornici, fasce marcapiano, cornicioni;

- materiali vegetali: il legno (faggio, castagno, noce).

materiali 150
i

e litostratigrafia

materiali 152 geologia
CAPORCIANO

Sulla base dei dati sedimentologicostratigrafici e strutturali in possesso, e’ possibile delineare sinteticamente il quadro dell’evoluzione paleografica e tettonica dell’area di studio. La formazione dell’ Altopiano di Navelli e’ avvenuta attraverso delle dislocazioni tettoniche, cioe’è degli scorrimenti dei piani superficiali terrestri dovuti a forze naturali. Durante il Pleistocene, sistemi di faglie distensive a diversa orientazione hanno variamente disarticolato la struttura, determinando la formazione di una serie di depressioni ed alti strutturali. Questo particolare assetto strutturale ha fortemente condizionato l’evoluzione geomorfologica pleistocenica. Dal punto di vista geomorfologico, i rilievi dell’area sono caratterizzati dall’intenso sviluppo di morfologie carsiche, sia a piccola scala (doline, campi carreggiati) che a grande scala (polja). Queste ultime, più che forme carsiche sono vere e proprie depressioni tettoniche, associate a sistemi di faglia distensivi o transtensivi, evolutesi in depressioni endoreiche costituenti il livello di base di primitivi reticoli idrografici, ora secchi. Le depressioni principali (Altopiani delle Rocche, Prati dell’Anatella, Prati del Sirente) risultano allineate in direzione appenninica, controllate sia da sistemi di faglie distensive sia dall’affioramento di piani di sovrascorrimento.

La composizione del suolo e’ costituita da depositi pleistocenici (primo periodo dell’era quaternaria) e non vi sono corsi d’acqua superficiali perché il terreno presenta fenomeni

carsici. Il carsismo, dovuto alle interazioni tra le acque meteoriche aggressive e i calcari che vengono sciolti e allontanati dal deflusso delle acque, segna il territorio con doline, depressioni nel terreno, e grotte sulle pareti dei rilievi che vengono utilizzate dagli abitanti come fondaci o ricovero per gli animali. Le falde di affioramento, per l’approvvigionamento di acqua, si hanno la’ì dove vengono a contatto delle coltri impermeabili di materia terziaria con i calcari: tali coltri sono collocate attorno ai massicci. Una proprietàa’ dei territori soggetti a carsismo e’ dovuta al fatto che i centri sorgono quasi tutti alla stessa quota, di circa 750 m. s.l.m., per la presenza di falde freatiche. Il substrato geologico e’ costituito da una successione calcarea e calcareo -marnosa (subordinatamente calcareo-dolomitica) di età meso -cenozoica e di notevole spessore (3.000-4.000 m), attribuibile a facies di piattaforma carbonatica (con relativo margine), scarpata e bacino. Questa successione è connessa all’evoluzione spaziotemporale della cosiddetta piattaforma laziale -abruzzese, e’ un’ importante unità paleogeografica che ha caratterizzato e vincolato l’evoluzione tettonica di buona parte dell’Appennino centrale.

La carta litologica individua le aree omogenee caratterizzate dai tipi litologici presenti nel territorio analizzato.

L’altopiano di Navelli rappresenta il settore più settentrionale della piattaforma carbonatica laziale

-abruzzese. La successione meso -cenozoica presenta una serie tipica di transizione al bacino, costituita da litologia sciolta di origine clastica e litotipi carbonatici (calcari e calcari dolomitici), depositatisi a partire dal Lias (Giurassico inferiore) in aree di alto strutturale ed in aree di bacino, dove prevalgono rocce marnose ed argillose.

Del primo fanno parte le rocce cementate, che si presentano in forma sciolta e vengono utilizzate per ottenere ghiaia per calcestruzzi e sabbie. Questo particolare gruppo e’ caratteristico dei terreni che si estendono li’ì dove vi erano bacini lacustri o riempimenti di piane intramontane.

Il calcare è, invece, una roccia sedimentaria il cui componente principale è rappresentato dal minerale calcite. I giacimenti di calcare, quindi il minerale stesso, sono più o meno compenetrati da impurità argillose o quarzitiche. Il calcare e’ una roccia sedimentaria, come tale la sua composizione e’ sempre molto varia in funzione delle condizioni di formazione, in base alle quali le rocce sedimentarie si suddividono in tre grandi gruppi: - sedimenti chimici; - sedimenti organogeni; - sedimenti clastici.

Tale materiale costituisce la base dei conci utilizzati per la costruzione delle abitazioni. Sono di tipo marnoso ed hanno colore giallognolo o azzurrognolo. Per la notevole malleabilità questo calcare e’ detto “gentile”. Il gruppo litologico nella sua interezza, presente nel territorio in questione,e’ ascrivibile come era

geologica al Cretaceo.

A seguito dello scavo effettuato per completare il traforo del Gran Sasso e’ stato possibile ricostruire la sua struttura, che si presenta come una successione di unita’à tettoniche sradicate dal substrato e formatesi a seguito della traslazione subita dal massiccio lungo la superficie di scorrimento. L’effetto della traslazione e’ visibile sul fronte della linea di sovrascorrimento, appaiono gli strati di calcari e marne rovesciati.

In altre parole e’ come se le rocce giurassiche più compatte e rigide hanno trascinato e rovesciato le rocce più recenti cretaceeoligoceniche, eoceniche e mioceniche. L’acquifero carbonatico risulta formato da una serie di bacini intercomunicanti, confinati lateralmente da litotipi impermeabili. All’interno della struttura si possono individuare spartiacque secondari, corrispondenti a discontinuità tettoniche o stratigrafiche, che ostacolano ma non impediscono la comunicazione idraulica sotterranea.

La struttura idrogeologica del Gran Sasso si può quindi definire come un unico acquifero di tipo compartimentato.

I valori alti di infiltrazione risultano dovuti a tre fattori principali: elevato indice di frantumazione delle rocce carbonatiche, fenomeni di dissoluzione carsica e caratteri climatici. Sotto tale profilo si ritiene rilevante la presenza della vasta depressione tettonico -carsica di Campo Imperatore, adiacente all’altopiano di Navelli, ad una altitudine di m 1.700 circa.

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155 156 materiali & tecniche costruttive materiali

rocce calcaree pietra sponga

Le pietre calcaree sono classificabili nella più generale categoria delle rocce sedimentarie e sono in assoluto le più diffuse nel territorio, costituendo l’ossatura principale della dorsale appeninica -abruzzese. Come abbiamo visto precedentemente, la formazione delle rocce originate per sedimentazione, avvenuta per strati successivi depositati nell’acqua, facilita il taglio delle rocce stesse lungo ben definiti piani di stratificazione. Normalmente e’ possibile ottenere dei massi aventi la superficie superiore e quella inferiore parallele e perciò facilmente utilizzabili in edilizia. I calcari, formatisi in condizioni ambientali sfavorevoli presentano perciò una struttura molto uniforme e possono essere quindi facilmente incisi e lavorati. Altro materiale utilizzato nelle costruzione analizzate e’ il travertino spugnoso, chiamata pietra sponga. Tale pietra ha buone caratteristiche di durevolezza e per questo viene utilizzata per cantonali, piattabande, archi e volte. La caratteristica spugnosa di questo tipo di roccia calcarea si deve alla rapida precipitazione del carbonato di calcio contenuto nelle acque minerali. Il calcare spugnoso ottenuto per creazione e’ in genere localizzato in prossimità di sorgenti, in siti di natura calcarea, o lungo il corso dei fiumi e dei torrenti. Appartiene alla famiglia del travertino: e’ molto poroso e facilmente lavorabile, assorbe con facilita’ i liquidi; il colore è giallo-chiaro, bianco sporco o grigio chiaro.

La disponibilità di calcari stratificati e fessurati o di tufi calcarei di agevole lavorazione, ha fatto si che si realizzassero murature a blocchi squadrati; il materiale, estratto dalle ave per frantumazione dei massi, veniva impiegato nelle murature in coni di pezzatura varia e di forma irregolare ed era integrato in opera con malta di buone caratteristiche che conferiva alla costruzione la stabilità sufficiente per evitare i ricorsi di regolarizzazione.

materiali 150
PIETRAME E
MATTONI
materiali
PIETRAME NON
RABBOCATO
materiali
CIOTTOLI INTERI materiali
il legname materiali 165 166 materiali & tecniche costruttive 2000 2000 1990 1990 1982 1982 superficie provinciale a bosco sulla superficie totale in perentualesuperficie provinciale a bosco sulla superficie totale in ettari superficie a bosco superficie totale L’AQUILA TERAMO PESCARA CHIETI
167 168 2000 1990 1982 materialimateriali & tecniche costruttive superficie provinciale destinata all’rboricoltura da legno sulla superficie di bosco in ettari superficie provinciale destinata all’rboricoltura da legno sulla superficie di bosco in percentuale 2000 1990 1982 superficie destinata all’arboricoltura da legno L’AQUILA TERAMO PESCARA CHIETI superficie totale

elementi costruttivi

Strettamente legati alle risorse e alle disponibilità presenti nell’ambito geografia di appartenenza, sono le tecniche di costruzione degli edifici e il materiale utilizzato. Posizionati sulla sommità dei rilievi montuosi, lontani dalle vie di comunicazione principali e dalle sedi delle grandi cave, per il borgo di Caporciano l’approvvigionamento della materia doveva avvenire in loco.

Così come le regole dell’arte dell’edificare facevano parte di un bagaglio acquisito dalla tradizione e da una consuetudine tecnica diffusa e tipica dei luoghi.

La lettura dettagliata dell’organismo edilizio, nell’utilizzo di determinati materiali e nella risoluzione formale -architettonica del particolare consente di attingere ad un palinsesto di informazioni del sistema costruttivo adottato. Come afferma Monia di Leonardo in “Conservazione, tutela e valorizzazione del paesaggio montano”, l’opera scaturiva dalla ritualità e dal coordinamento organizzato nel cantiere che veniva affinato con l’evolversi della tecnica e con l’impiego dei materiali diversi.

Il sistema costruttivo viene quindi analizzato secondo i materiali utilizzati e gli elementi costruttivi di seguito indicati:

- Elementi strutturali verticali: le murature; - Orizzontamenti: solai; - Elementi di finitura: portali e infissi; - Elementi tipici: balconi.

elementi costruttivi
169 170

le murature

La classificazione e l’analisi dell’apparato murario e’ stato possibile grazie anche allo studio e al confronto delle tecniche costruttive tipiche dei borghi aquilani con quelli del teramano, dei Monti della Laga, dove la presenza di pietra arenaria, ha visto lo sviluppo di altre tecniche costruttive come per esempio la muratura in pietra concia.

Quest’ultima infatti, a differenza della muratura in pietra rustica tipica di Caporciano, si presenta a corsi orizzontali e paralleli con conci disposti secondo la regola della muratura isodoma o pseudo -isodoma.

Come afferma Monia di Leonardo nell’analisi dei borghi della Laga, il paramento esterno e’ costituito da conci lavorati di pietra arenaria gialla-grigia; gli elementi rispettano un assestamento a filari regolari con altezze sempre parallele al piano di stratificazione della pietra. I giunti orizzontali e verticali, di malta di calce e sabbia fine della stessa arenaria, sono sottili e in alcuni casi inesistenti, cioè completamente fusi al concio.

Diverso è invece e’ ciò che si e’ riscontrato nelle murature del borgo preso in analisi dove e’ stato possibile rilevare che la tecnica di costruzione tipica e’ quella delle:

- MURATURE COMPATTE IN PIETRA CALCAREA; - MURATURA IN PIETRA RUSTICA A CONCI SBOZZATI;

- MURATURE LISTATE; - MURATURE A SECCO, CON PIETRA A SPACCO.

elementi verticali
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murature pietrame e malta

Si tratta del tipo di muratura più diffusa nell’edilizia dei centri più antichi minori ed e’ realizzata impiegando pietre di varia pezzatura legate da malta di calce.

Il paramento esterno presenta elementi destinati alla rinzeppatura di quelli più grandi ed e’ raramente intonacato, quello interno invece, realizzato con pezzi meno regolari, risulta sempre rifinito ad intonaco di malta di calce e sabbia

murature pietra rustica e cocci sbozzati

Le murature rustiche a conci sbozzati sono le apparecchiature irregolari costituite da blocchi sbozzati e poco rifiniti di dimensioni variabili (da cm 10,8 x cm 15,9; a cm 37,5 x 5,4), con la presenza di pietre minute e pezzature in laterizio.

Una variante presenta conci sbozzati di varie dimensioni anche minute, filari ripianati in orizzontale e conci di punta sovrapposti sulla verticale. Una sottocategoria di quest’ultima comprende le murature in pietra rustica variamente sbozzate mista a pietrame minuto, con assise irregolari e ripianamenti sommari, con elementi trasversali sovrapposti sulla verticale e con rinzeppature frequenti e consistenti.

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elementi verticalimateriali & sistemi costruttivi

murature listate

Le murature listate sono costituite da filari di pietra calcarea a cui vengono interposte fasce di mattoni aventi lo scopo di riportare i piani di pareggiamento ogni 70-80 cm circa in altezza.

murature a secco con pietra a spacco

Le murature a spacco sono realizzate con due paramenti in pietra a spacco, distanziati tra loro e racchiudenti un nucleo costituito da materiale inerte come schegge o scaglie di ridotta pezzatura unite dalla malta. In questo tipo di muratura, sono presenti alcuni elementi lapidei disposti trasversalmente per connettere tra loro i due paramenti esterni e assicurare così una maggiore stabilità e compattezza della parete.

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elementi verticalimateriali & sistemi costruttivi

Nel centro di Caporciano le chiusure orizzontali sono caratterizzate da due tipi di volte: a conci in pietra calcarea e mattoni in laterizio. Anche se presente in maniera discreta nell’ambito dei sistemi costruttivi del borgo, l’impiego della volta a conci e’ costante nel tempo. L’utilizzo di nuove tecniche e tecnologie non trascura questo modo di costruire tanto che la volta a materia e’ sempre presente all’interno del codice dei mastri muratori.

Le volte a materia sono realizzate con l’impiego di conci in pietra di piccole dimensioni, messe in opera su centine lignee secondo conformazioni tali da definire volte a botte o a crociera.

Volte del tipo mono strato di mattoni disposti in foglio sono inserite negli organismi edilizi in sostituzione dei solai in legno. L’impiego del mattone in laterizio ha portato nel tempo ad interventi di sostituzione dei solai in legno. L’impiego del mattone in laterizio ha portato nel tempo ad intervenire di sostituzione: i crolli dovuti ai terremoti o verificarsi a seguito di incendi, hanno spesso incentivato l’inserimento dei sistemi voltati, compatibili con l’assetto spaziale del periodo, che predilige superfici omogenee la cui conformazione tende a definire involucri spaziali unitari.

volte archi

Uno dei temi principali da risolvere fu quello di impedire il ribaltamento delle pareti. Il rimedio più efficace si e’ trovato negli archi di contro -spina, realizzati in corrispondenza delle pareti trasversali; hanno il duplice compito di impedire il distacco della parete longitudinale, quando questa si presenta ammorsata a quelle adiacenti e di intervenire sulla resistenza a taglio delle pareti trasversali sulle quali si appoggiano. Nel caso di spinte orizzontali verso l’esterno dell’edificio , la realizzazione della casa ad arco e’ forse il rimedio pù efficace che si e’ trovato negli anni in virtù del fatto che le pareti realizzare al di sopra dell’arco collaborino attivamente al ribaltamento della parete.

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elementi orizzontalimateriali & sistemi costruttivi

La facilità di reperire legname nei dintorni del cantiere ha facilitato l’impiego di questo elemento costruttivo che, utilizzato nella sua parte resistente per i solai lignei, ha caratterizzato l’impianto spaziale di molte cellule edilizie. Tra i solai lignei presenti nel borgo antico, il più frequente e’ a doppia orditura, con travi principali appoggiate sulle pareti trasversali. Questa modalità costruttiva consente di realizzare un limitato numero di travi portanti, in modo da indirizzare la maggior parte della produzione verso gli elementi di orditura secondaria che, essendo in dimensioni inferiori, consentono miglior manovrabilità’. Lo strato di ripartizione e’ in tavolato. Il legno più utilizzato è il castagno, mentre altri tipo meno pregiati sono utilizzati per le coperture.

Tra travi principali e secondarie sono utilizzati chiodi; alcune travi principali presentano, in corrispondenza dell’appoggio, lavorazioni consistenti nell’arrotondamento della testata e nella realizzazione di un paio di intagli diametralmente opposti per rendere efficace la connessione con la parete.

solai tetti

Il tetto e’ in genere realizzato su timpani. Esso assume la configurazione “a leggio” o “a capanna” in funzione della tessitura delle murature e del sistema tipologico che caratterizza gli edifici. E’ realizzato a mono o doppia orditura e tavolato di ripartizione e ricoperto da coppi in laterizio.

L’intradosso di questa chiusura di copertura, originariamente a vista, e’ spesso nascosta da volte di controsoffitto, realizzate con mattoni in foglio. Il sistema delle acque viene risolto on la realizzazione di una sorta di gronda in muratura ricavata o nello spessore del muro sommitale dell’edificio lato strada, o in aggetto, mediante l’ausilio di mensole in pietra, disposte con pendenza verso l’innesto al discendete.

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elementi orizzontalimateriali & sistemi costruttivi

i portali

Si definiscono elementi portanti orizzontali gli elementi strutturali funzionali alla realizzazione di varchi di setti murari per realizzare le aperture corrispondenti a porte e finestre.

L’analisi effettuata ha permesso di costruire un abaco di strutture ad arco o architrave.

Nelle abitazioni rilevate all’interno del borgo di Caporciano, le strutture orizzontali sono state ricondotte alle tre tipologie dell’arco a tutto sesto, dell’arco ribassato e al sistema architravato. I casi più diffusi corrispondono certamente a sistemi architravati ad intradosso rettilineo o lievemente centinato realizzati con un unico blocco lapideo o, quando la luce e’ più ampia, mediante l’accostamento di due conci con disposizione a piattabanda. In molti casi al fine di alleggerire il peso della muratura gravante sull’elemento lapideo orizzontale, si realizza sopra questo una struttura semplice di scarico formata da un arco a sesto ribassato.

Nelle abitazioni di pregio e’ più diffuso l’utilizzo del sistema ad arco su piedritti, in cui il raccordo tra l’elemento orizzontale e gli elementi verticali sono sottolineati dalla presenza di un capitello.

In tutti questi sistemi si trova sempre un architrave ligneo interno costituito o da una trave di sezione adeguata oppure da una coppia di travi lignee raccordate da una tavola.

I materiali utilizzati esternamente possono essere pietra o laterizio; possono essere realizzati con diverse modalità: possono risultare dalla composizione di conci o elementi di varie dimensioni o dalla posa in opera di elementi monolitici.

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PORTALI ARCO A TUTTO SESTO

I portali con arco a tutto sesto sono costituiti da piedritti in pietra, in cui gli elementi verticali e orizzontali sono in continuita’ o raccordati dalla presenza dei capitello. Spesso la chiave d’arco puo’ essere o in pietra o e’ sottolineata da un elemento centrale all’ìarco.

PORTALI ARCO A SESTO RIBASSATO

I portali con arco a sesto ribassato e’ costituito da un elemento monolitico con alette orizzontali. I piedritti in pietra, con trattamento di finitura in subbia, possono essere monolitici o formati da piu’ elementi lapidei.

PORTALI SISTEMA ARCHITRAVATO

I portali con sistema architravato e’ il sistema piu’ semplice e piu’ diffuso. L’architrave puo’ avere una forma regolare, ossia lineare squadrato (caso piu’ diffuso) o sagomato all’estradosso. I piedritti possono essere costituiti da un elemento monolitico o formati da piu’ elementi lapidei.

183 184 elementi orizzontalimateriali & sistemi costruttivi

le aperture

La natura e la dimensione delle finestre può dipendere da due fattori principali: il primo riguardano le tecniche costruttive, l’altro il clima, che determina le esigenze di illuminazione, ombreggiamento, riscaldamento e quindi condiziona fortemente la predominanza di zone d’ombra o, per le zone temperate e fredde, la necessità di calore e luce. Le diverse esigenze hanno contribuito alla realizzazione di pareti completamente chiuse o diversamente da ampie finestre e spesse pareti in grado di accumulare il calore. Nella maggior parte dei casi il clima e’ stato il fattore che ha condizionato la grandezza delle aperture e la scelta del posizionamento in rapporto all’orientamento degli edifici. Invece l’evoluzione nei secoli delle tecniche costruttive, l’adeguarsi di volta in volta a nuovi gusti estetici e alle esigenze funzionali come possono essere quelle difensive delle case-muro, ha determinato la gran varietà di tipo di finestre oggi visibili.

L’analisi dettagliata delle aperture degli edifici del comune di Caporciano ha permesso di classificarle in due tipologie, cercando di ricostruirne l’evoluzione stilistica .

Come per le porte, anche per le finestre si è cercato in primo luogo di individuare esempi più ricorrenti riconoscendo due tipologie: romanica, gotica.

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TIPOLOGIA A

Evoluzione stilista della tipologia di finestra in stile romanico.

TIPOLOGIA B

Evoluzione stilista della tipologia di finestra in stile gotico.

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casi studio

06.
sezione Icasi studio

LA FABBRICA DELLA RUOTA

Sul filo della memoria

Fabbrica della ruota, Pray, Biella, 2005 www. docbi.it/fdr.htm

TERRITORIO

Risalendo la valle che da Biella raggiunge Pray, si attraversa un territorio di bassa montagna, disseminato di lanifici, ciminiere, opifici abbandonati, antichi villaggi operai, ruscelli, boschi di castagni. Un paesaggio naturale nel quale si è innestato lo spazio organizzato del lavoro e dell’industria laniera che ora, con la dismissione di molte strutture, si riappropria di alcuni frammenti di territorio e diviene patrimonio diffuso, in cui si possono rintracciare le identità e le culture del saper fare. La fabbrica della ruota appartiene a questo paesaggio e quindi anhe al racconto e alla sua memoria.

ARTE

Entrando in questo antico edificio di mattoni, si ha la sensazione di trovarsi all’interno di un macchinario complesso; il sistema di cinghie e ingranaggi che traeva il movimento dalle ruote, immerse nell’acqua del ruscello, perorre tutti i piani del fabbricato fino ad arrivare alle machine di lavorazione. Telai orditrici, cardatrici, antichi cartelli per gli operai sembrano mantenere ancora la posizione a loro assegnata dal ritmo del lavoro, come se il macchinario si fosse fermato solo un attimo per entrare.

casi studio la fabbrica della ruota 195 196

PROGETTO

“Il primo giorno che ho lavorato in fabbrica, avevo 12 anni, mi sono trovata tra queste macchine enormi, questo rumore assordante e avevo paura”

PARTECIPAZIONE

Il progetto ha cercato di assecondare questa atmosfera, lavorando sulla connessione tra la presenza e l’assenza, ovvero tra i macchinari rimasti e i vissuti delle persone che un tempo li hanno usati. Si è evitato di ompare gli spazi fisici con nuovi oggetti, ma partendo da ciò che esisteva, si è cercato di riempire nuovamente la fabbrica con quella dimensione sociale e lavorativa che ha segnato le vicende del distretto industriale biellese.

Lo spazio non è alterato, nè da strutture e tecnologie visibili, nè da narrazioni estranee al contesto, il primo elemento del racconto multimediale sono l’architettura stessa è il suo meccanismo industriale.

Per ottenere questo equilibrio tra visibile e invisibile, sono stati usati degli schermi olografici, che, accostatio ai macchinari, trattengono le immagini senza quasi essere perepiti. I video si sovrappongono alle forme delle macchine e sembrano emergere dai loro ingranaggi per restituirgli il movimento perduto. Le proiezioni si fermano solo parzialmente sulle lastre trasparenti, l’altra parte si deposita a pavimento, su una superficie di feltro scuro, raddoppiando la visione. Si crea in questo modo un dialogo insolito tra forme statiche e immagini dinamiche, tra luce calda che investe i macchinari e luce fredda dei video, tra ciò che si può tocare e ciò che può solo essere rievocato o immaginato.

La messa a fuoco dell’osservatore osscilla tra l’immagine e l’ambiente. Il suono sembra essere una presenza quasi tattile per il visitatore; si solleva e si sposta nello spazio per rivolgersi ai visitatori attraverso le parole degli operai e degli imprenditori o mediante la voce della fabbrica stessa: una sovrapposizione simultanea si frasi, suoni e ritmi di macchinari, urla di sirene e timbrare di cartellini. La narrazione è affidata a diversi punti di vista, sempre proposti in prima persona e recuperati tra i regolamenti della fabbrica, gli atti di vendita, le raccolte delle frasi celebri e gli archivi audio della CGIL.

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la fabbrica della ruota il percorso

Il percorso si snoda tra i macchinari in disuso dell’antico opificio ed è articolato in due macrosezioni, corrispondenti a due diversi livelli della struttura.

Al piano terra, quattro videoinstallazioni rievocano la Storia della Ruota, al secondo piano, altre a cinque videoinstallazioni ripercorrono lo stretto rapporto tra il territorio biellese e l’industria laniera.

Ciascuna delle nove aree è costituita da uno schermo di proiezione olografico, sospeso davanti alle macchine di lavorazione, le cui forme illumionate si sovrappongono alle immagini video.

Le proiezioni, solo in parte trattenute dalle lastre, sfuggono sul pavimento e si arrestano su estese superfici di feltro, in questo modo si crea una multi-visione, ottenuta con un solo videoproiettore per ogni istallazione.

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MONTAGNA IN MOVIMENTO

Percorso permanente attraverso le Alpi Meridionali

Forte di Vinadio, Cuneo, 2007 www. fortevinadio.it

TERRITORIO

Dopo lunghissimi anni di abbandono il Forte di Vinadio viene recuperato per divenire la sede di un percorso museale, dedicato al territorio e alla cultura delle Alpi Meridionali. Questa fortificazione ottocentesca è uno degli esempi di architettura militare più significativi dell’arco alpino e preserva un camminamento che, dalla roccia al fiume Stura, si snoda su tre livelli per circa 10 Km; il museo occupa solo un aparte del percorso e si integra nei volumi del forte con una esposizione che preserva la lettura della struttura originaria.

Si è lavorato quasi due anni per racogliere il patrimonio delle comunità e delle valli occitane per trasformarlo in una narrazione che, partendo dalle tracce del passato, divenga un nuovo strumento di elaborazione culturale e identitaria del mondo alpino.

ARTE

In un anno di produzione sono stati dedicati più di quattro mesi ad una raccolta capillare di suoni, immagini, racconti, ricordi dei luoghi e degli uomini delle terre montane piemontesi. E’ stato creato un immenso archivio della cultura e delle valli occitane, immaginando che il fine di

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PROGETTO

questo archivio, non fosse l’archivio stesso, ma i nuovi significati che da esso si sarebbero potuti tracciare.

In una società dove anche il ricordo è merce ambita, il rischio poteva essere quello di appagare il fascino verso modi di vita preindustriali presentando una versione folkloristica o edulorata del passato, invee di restituire la complessità di una cultura, in cui le suggestioni della tradizione convivono con il disfacimento storico di queste stesse tradizioni.

Le stanze del Forte di Vinadio, così come i lunghi camminamenti all’aperto, che all’improvviso rivelano il paesaggio della valle che si llunga verso la Francia, sono il contenitore, volutamente mai annullato, in cui questo racconto si compie. Non ci sono strutture che modificano l’architettura, nè monitor; le immagini video sono trattate come una materia leggera che si appoggia alle antiche pareti del forte, alle pretre e alla terra del pavimento. I volumi del forte diventano spazi narranti, contenitori di esperienze ollettive in cui l’agire del visitatore completa e fa progredire il racconto ttraverso scelte a volte razionali, a volte emozionali. E’ un museo che parla più che mostrare, che fa rivivere, più che contemplare, in cui non è presente una raccolta di oggetti di particolare valore; non ci sono “beni culturali” intesi nella loro unicità. I pochi oggetti presenti, più che rappresentare o testimoniare in sè stessi, evocano e completano con la loro presenza fisica, le suggestioni narrative.

PARTECIPAZIONE

Più che visitare un museo, al pubblico è offerta la possibilità di entrare in relazione con una cultura, con il suo passato e con i suoi nuovi slanci vitali, ponendosi anche come portatore di inediti punti di vista. In particolare l’ultimo capitolo del percorso si configura come un laboratorio aperto, in cui vengono presentati diversi esempi di iniziative, significative per lo sviluppo sostenibile del territorio. Ai visitatori è chiesto di adottare un atteggiamento critico e propositivo, esprimendo giudizi sui progetti scelti e allo stesso tempo indicandone di nuovi

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montagna in movimento il percorso

Il percorso multimediale si snoda attraverso l’architettura militare del Forte di Vinadio, si sviluppa in circa quaranta videoambientazioni, di cui molte interattive, che invitano alla percezione della montagna e della Alpi come territori in movimento, crocevia di genti e culture differenti.

Nella prima delle cinque macro-aree tematiche, le Alpi sono presentate come il cuore dell’Europa, nella successiva si sottolinea la visione del paesaggio montano come risultato dinamico delle interpretazioni che le comunità alpine ne hanno fatto, la terza affronta il tema della mobilità e delle migrazioni, la quarta insegue i segni della modernizzaizone, che hanno trasformato il contesto territoriale, infine l’ultima area si rivolge verso il futuro e le nuove possibili prospettive della montagna.

Queste diverse visioni sono articolate in un racconto multimediale che procede su tre livelli paralleli: il primo, Videoambientazioni interattive, di carattere evocativo e suggestivo, il secondo, Legii multimediali, di impostazione didattica e informativa, il terzo, Prolungamento virtuale in rete, di natura partecipativa.

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MUSEO DELLA RESISTENZA delle province di La Spezia, Massa e Carrara.

Fosdinovo, La Spezia, 2000 www. museodellaresistenza.it

TERRITORIO

Questo picolo edificio di Fosdinovo è forse un po’ da conquistare, cercandolo nel territorio, disperso com’è tra le alture delle valli Apuane, ma la sua posizione remota, lontana dai grandi centri abitati fa parte dell’avventura, del viaggio di conoscenza che esso richiede. Il suo isolamento fisico non corrisponde minimamente alla sua consolidata presenza culturale; e la risposta, così significativa, di un pubblico che con la sua continua presenza lo mantiene vivo dopo anni di attività, è il più bel tributo che si potesse fare agli “inaspettati” committenti.

PROGETTO e PARTECIPAZIONE

Il progetto del Museo della Resistenza parte da dove volevano gli anziani interlocutori: dalla scommessa di “parlare anche ai giovani”, raccontare quelle storie con un linguaggio incisivo e apace di misurarsi con le modalità narrative di oggi.

Così come la memoria deve operare un dialogo continuo tra passato e presente, per non restare imprigionata nella rete rigida del tempo andato ( quella nostalgia rifuggita), così la scelta non poteva limitarsi ad una semplice trascrizione elettronica di fatti accaduti tempo fa.

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“Vi interessa fare un progetto per un piccolo museo della Resistenza?...badate non stiamo pernsando ad un luogo pieno di cose e di cimeli che ricordano quel periodo, non vogliamo un museo delle nostre nostalgie, ma qualcosa che parli anche ai giovani di oggi. Le nostre emozioni di allora, anche tragiche, possiamo riviverle in privato, ma il senso di quell’esperienza no, quello deve essere patrimonio di tutti, deve saper comunicare adesso, con i linguaggi di adesso..”

Questo museo doveva saper raccontare e ciò poteva essere imparato solo da chi quelle storie le aveva vissute; si doveva andare sul campo a cercare quelle vosi, quei volti, i protagonisti della vicenda. Ocorreva recuperare la forza e l’emozione contenute nella tradizione dell’oralità; occorreva assorbire la densità umana contenuta nei gesti, nelle espressioni, negli sguardi e nell’intensità dei silenzi. I sei schemi che trasmettono i ritratti sormontano verticalmente il “ grande tavolo della memoria”.

Sul suo piano prendono forma le sagome in rilievo di alcuni libri, album, calendari. Basta sfiorare le pagine per attivare un brano del racconto e scongelare le immafini depositate sulle superfici. Da un luogo della memoria, attraverso l’interattività, si trasforma anche in luogo di partecipazione. La funzione del tavolo corrisponde alla volontà di creare un’atmosfera conviviale, indurre a una rete di relazioni, di confronti, di sguardi ricambiati che rendono più forte lo spirito della materia trattata. Differentemente da un libro o dalla televisione, il museo si configura ome luogo irriproduibile, spazio in cui è unica la possibilità di esprimere in quel luogo, in quel tempo e con quelle persone.

Condizione tipica dei musei di narrazione: luoghi di esperienza, dove la memoria o la conoscenza divengono attive, dove si esalta la dimensione partecipativa r dove è possibile la condivisione. L’obiettivo non era quello di creare una collezione di cimeli d’epoca, ma una serie di frammenti narrativi, posti in modo non lineare, in cui l’ordine è componibile con il desiderio e l’immaginazione di chi li ha ricevuti, come fosse un picolo dono di vissuto recuperato dentro i pensieri di quei nonni che raccontano. Il progetto prevede un secondo livello di relizzazione che consiste nella creazione di una postazione attraverso cui è possibile acquistare nuovo materiale, che permetta la digitalizzazione di fotografie e filmati.

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museo della resistenza il percorso

Il percorso si sviluppa in un’unica sala e si articola attorno a un grande tavolo multimediale, il Tavolo della Memoria, che consente di far rivivere ai visitatori le testimonianze e le vicende della Resistenza, nel territorio di La Spezia, Massa e Carrara. A centro di questo tavolo, è sospeso un lungo schermo di proiezione, sul quale si alternano i ritratti e i racconti video di 18 partigiani. Sul piano di legno sono disposte sagome di libri, album e calendari, sui quali sono proiettati filmati e fotografie di repertorio, utilizzati come accompagnamento visivo alle testimonianze. Il visitatore sfoglia virtualmente le pagine di questi documenti e attiva i ritratti video articolati per nulei tematici. Sul fondo della sala, una mappa virtuale del territorio mostra il luoghi che furono teatro della Resistenza, mentre in una piccola stanza adiacente è contenuto l’archivio audiovisivo del museo.

Il Tavolo della Memoria

- il calendario: raccoglie gli avvenimenti fondamentali della storia italiana, dal 1922 al 1945, ricordando il cosidetto ventennio fascista.

il libro dei contadini: racconta le azioni eroiche dei contadini, che insieme ai montanari sostennero gran parte del peso della guerriglia di Resistenza

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ECOMUSEO ETNOGRAFICO di Ortonuovo

Ortonuovo, La Spezia www. metortonovo.it

TERRITORIO

Ortonovo, in Provincia della Spezia, è posto tra la costa del Tirreno e i primi contrafforti delle Alpi Apuane.Trae le sue origini dall’antica città di Luni, fondata dai Romani nel 177 a.C., per stabilirvi un posto avanzato contro i Liguri Apuani. L’edificio del Frantoio oggi Museo etnografico è stato costruito alla metà del secolo scorso sopra una struttura preesistente del XVI secolo, il frantoio della “Colombera”: ciò si può dedurre dalla forma delle porte e delle finestre, dalle tecniche costruttive dei muri e, soprattutto, dalle misure dei mattoni usati negli archi di scarico delle aperture. La parte verso la strada ha un solaio di legno, quella sul retro, che regge il frantoio del piano superiore e le vasche di decantazione, è stata costruita a volte in un secondo tempo, come si può vedere dai resti di un frantoio situati sotto la scala. L’intero complesso è stato restaurato nel 1990 e le pavimentazioni e i serramenti sono stati rifatti con materiali tradizionali.

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Allora/così/a casaccio/tanto per cominciare:/presse, ramaioli,/un fumo chiaro e leggero,/ l’odore della pasta d’olive/che si sfanno,/sansa nell’angolo scuro,/ caldaia alla notte infuocata,/fornella con le patate/sotto la cenere/e poi intinte nell’olio/appena creato…/E poi?/Pozza dell’olio tiepido/Dove una sera, da ragazzo,/sono caduto,/e macine/e pulegge…./Quante parole / andateQuante cose..Salvo qualcuna,/racimolata dai forestieri e portata/lontano da qui/da mettere in bella vista/in quelle belle case

Questa poesia ci riporta l’atmosfera tipica del frantoio che era presente in ogni paese. Ecco perché l’autore dedica loro questi versi, per fermarne nel tempo le caratteristiche in nome degli oggetti e strumenti di lavoro che hanno visto la fatica di intere generazioni, di tutto un modo di stare al mondo e di nominarlo. Ma noi quegli oggetti li vogliamo di nuovo qui, visitabili da chiunque, qui dove sono nati, usati, vissuti, veri e propri punti di riferimento per la conoscenza della nostra storia. Abbiamo iniziato l’allestimento del Museo partendo proprio dal percorso che dalle olive portava all’olio finito: L’olio che era l’oro della casa e la comunità ortonovese ha collaborato fattivamente portando vari oggetti che vedete esposti. Altri ne verranno in questo scambio continuo che vede il Museo in un rapporto continuo con la sua gente.

E’ un museo aperto, quello che noi vogliamo, un museo che si fa piazza, ritrovo, luogo di studio, di apprendimento, di convegni intorno ad una cultura che non va assolutamente dimenticata ma conservata, analizzatata e tramandata. Ogni oggetto è raccontato in una scheda dettagliata che chiarisce anche il contesto socio-economico culturale in cui questi oggetti avevano ragione di esistere. Oggetti che sono già tutti della memoria e sarebbero in via di sparizione se gli Enti Locali, quasi custodi di queste voci, non li avessero fermati sulla soglia delle case e non li avessero riconsegnati alla comunità che li ha prodotti ed usati. Ci colpisce in tenerezza l’economia domestica delle pentole rattoppate; è una speciale malinconia la compagna di questo viaggio perché sappiamo che il recupero dell’oggetto è legato al mantenimento nel linguaggio della parola che lo definisce “Nomina sunt consequentia rerum”.Persi gli oggetti dietro tutte le colline e i casolari sperduti, dentro un superstite silenzio, sono perse anche le parole in una progressione reciproca.

Dice ancora il poeta Bertolani:

“A volerlo scrivere tutto/il conto degli oggetti spariti/non basterebbe il foglio grande/di questo prato di erba sbiadita/Oggetti della casa/Oggetti della vita/spariti/dimenticati”

PROGETTO

E’ questa la malinconia della perdita, delle voci che non si sentono più, dei racconti dei vecchi mentre scartocciavano il granturco (e non è forse da queste parti che a fine agosto si organizza la festa della scartozzera?). Ma è da qui che bisogna partire per avviare uno studio approfondito del dialetto, della tradizione orale, per difenderci da un tempo che tende all’onnipotenza del presente, a dimenticare le testimonianze di una piccola “archeologia morale” che dice su di noi, forse, molto di più che certe sofisticate e gelide indagini sociologiche. Dicevamo testimonianze di un modo di essere lontano da ogni inutilità verbale, dalla gran chiacchera che oggi ci strangola, un modo di essere in cui i poveri, caldi oggetti parlavano da soli un linguaggio assolutamente naturale e prodigioso. Un linguaggio che troviamo in questa poesia di rodolfo di Biasio che non ci parla di frantoi ma di un modo di stare insieme, ci consegna una certa atmosfera, ci porta nei paesi gentili degli orti, del timo e della menta e conosciamo bene l’uso che ne facevano le nostre nonne! Apriamo, dunque, il Museo, incontriamoci ancora.

L’ex frantoio contiene materiali inerenti la civiltà contadina, ma propone anche due itinerari che permettono di conoscere meglio il territorio e la sua storia: quello dell’acqua e dei mulini e quello dei borghi storici e delle zone archeologiche. Il primo percorre la Valle del Parmignola, mettendolo in relazione con i numerosi luoghi di molitura e frangitura per la produzione della farina, del vino, dell’olio e loro derivati, presenti in tutto il comprensorio. Grano, granturco, vite e olivo sono, infatti, ancor oggi, le coltivazioni tipiche di questa fascia collinare prossima alla foce del M agra.

Il secondo parte da Luni e corre lungo gli antichi percorsi contadini che fiancheggiavano il Parmignola, e lungo sentieri e strade che conducevano, tra abbeveratoi, lavatoi, carbonaie e chiese campestri, verso l’antico borgo collinare di Nicola, e le frazioni de L’Annunziata e San Martino.

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ARTE
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esterno interno
esposizione
07. saperi narra(n)ti il museoil museo

patrimonio immateriale Intangible heritage

tradizioni orali

Il 17 ottobre 2003, dopo che nel 1999 il Comitato Esecutivo aveva lanciato il programma dei “Capolavori del patrimonio orale e immateriale dell’umanità” (Masterpieces of the Oral and Intangible Heritage of Humanity) la Conferenza Generale dell’UNESCO, nel corso della sua 32° sessione, ha approvato a Parigi la “Convenzione per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale”. Nella convenzione, nell’articolo 2, viene fornita la seguente definizione di Patrimonio culturale immateriale:

“Si intendono per “patrimonio culturale immateriale” pratiche, rappresentazioni, espressioni, conoscenze e i saperi – così come gli strumenti, gli oggetti, i manufatti e gli spazi culturali associati ad essi – che le comunità, i gruppi e, in alcuni casi, gli individui riconoscono come facenti parte del loro patrimonio culturale. Tale patrimonio culturale intangibile, trasmesso di generazione in generazione, è costantemente ricreato dalle comunità e dai gruppi interessati in conformità al loro ambiente, alla loro interazione con la natura e alla loro storia, e fornisce loro un senso di identità e continuità, promuovendo così il rispetto per la diversità culturale e la creatività umana”.

La definizione di questo patrimonio culturale immateriale si manifesta attraverso cinque ambiti dell’attività umana:

- tradizioni e espressioni orali; - riti e feste popolari; - conoscenza e pratiche concernenti la natura ; - artigianato tradizionale.

riti e feste popolari

conoscenze e pratiche concernenti la natura

artigianato tradizionale

patrimonio immateriale
il museo abc 229 230

tradizioni ed espressioni orali oral traditions and expressions

Il campo delle “tradizioni ed espressioni orali” comprende una grande varietà di forme parlate come proverbi, indovinelli, storie, filastrocche, leggende, miti, canti e poemi epici, incantesimi, preghiere, canti, canzoni, teatro, ecc. Le tradizioni ed espressioni orali sono utilizzati per trasmettere conoscenze, valori culturali e sociali e memoria collettiva. Sono fondamentali per mantenere in vita le culture.

Come altre forme di patrimonio culturale immateriale, le tradizioni orali sono minacciati da una rapida urbanizzazione, l’emigrazione su larga scala, l’industrializzazione e cambiamenti ambientali. Libri, giornali e riviste, radio, televisione e Internet, possono avere effetti particolarmente nocivi sulle tradizioni ed espressioni orali. I mass media e della comunicazione di massa possono alterare gravemente o addirittura sostituire, le forme tradizionali di espressione orale. La recita di poemi epici che in passato richiedevano diversi giorni può essere ridotto a poche ore di oggi, e le canzoni tradizionali che si corteggiare la sposa prima del matrimonio possono essere sostituiti da CD o file musicali digitali.

È inoltre essenziale che sopravvivino le probabilità di trasmettere la conoscenza tra le persone, a mantenere l’interazione con i giovani e gli anziani a raccontare storie. La tradizione orale è spesso una parte significativa dei festeggiamenti e celebrazioni culturali, e può essere necessaria per promuovere questi eventi e incoraggiare la creazione di nuovi contesti.

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riti e feste popolari rituals and festive events

Riti e feste popolari sono i mezzi attraverso cui si struttura la vita di una comunità o di gruppi di cittadini. La loro importanza sta nel riaffermare l’identità di coloro che praticano in gruppo o della società e, se esercitata in pubblico o privato, sono strettamente legati ad eventi significativi.

Queste pratiche sociali, riti e feste contribuire stavano spesso ad indicare il cambiamento delle stagioni, i tempi di attività agricole e le fasi della vita umana, scandendo la vita del paese in cui si svolgevano. Sono strettamente legate alla visione del mondo, alla storia e alla memoria della comunità e le varie manifestazioni possono variare da piccole riunioni a celebrazioni e commemorazioni sociali di proporzioni maggiori.

Queste cerimonie possono essere di varia natura: riti di culto, giochi tradizionali e sportivi, cerimonie culinarie, cerimonie stagionali, feste popolari caccia, la pesca e raccolta. Queste realtà portano con se una vasta gamma di espressioni ed elementi materiali come gesti e parole particolari, recitazione, canti e balli, abbigliamento specifico, processioni, sacrifici di animali e alimenti tipici.

La crescita dell’individualismo, la crescente influenza delle grandi religioni del mondo e degli altri effetti della globalizzazione hanno avuto un grosso impatto su tutte di queste cerimonie. Per garantire la continuità delle pratiche sociali, dei riti e delle feste si deve promuovere la più ampia partecipazione affinchè si possa tutelare la rinascita di queste memorie ormai quasi abbandonate.

patrimonio immateriale 234

conoscenza e pratiche concernenti la natura knowledge and practices concerning nature

“La conoscenza e le pratiche concernenti la natura e l’universo” comprende un corpo di conoscenze, competenze, pratiche e rappresentazioni sviluppate dalle comunità nella loro interazione con l’ambiente naturale. Questi modi di pensare l’universo vengono espressi attraverso il linguaggio, le tradizioni orali, i sentimenti di attaccamento al luogo, i ricordi, la spiritualità e la visione del mondo.

Questa categoria comprende molti elementi tradizionali, come la conoscenza ecologica, la conoscenza della flora e della fauna locale, le medicine tradizionali, i riti, le credenze, i riti di iniziazione, le cosmologie, i riti, festival e arti visive. Diviene il cuore della cultura e dell’identità di una comunità, ma la sua sopravvivenza è gravemente minacciata dalla globalizzazione.

Anche se alcuni aspetti delle conoscenze tradizionali, come gli usi medicinali delle specie di piante locali, possono essere di interesse per gli scienziati e le imprese, resta il fatto che molte pratiche tradizionali stanno oramai scomparendo.

Preservare un sistema di visioni sulla natura è ancora più difficile che preservare un ambiente naturale. Oltre alle minacce esterne poste al loro ambiente sociale e naturale, molte comunità povere o emarginate tendono ad adottare stili di vita o di modelli di sviluppo puramente economici al di fuori delle loro tradizioni e costumi.

Spesso la tutela dell’ambiente naturale è strettamente vincolato alla tutela della cosmologia di una comunità e ad altri elementi del loro patrimonio culturale.

patrimonio immateriale 235 236

artigianato tradizionale traditional craftsmanship

L’artigianato tradizionale è forse la manifestazione più tangibile del patrimonio culturale immateriale. La Convenzione dell’Unesco del 2003 si occupa principalmente di tutte le tecniche e le conoscenze utilizzate nelle attività artigianali, piuttosto che gli oggetti creati. Salvaguardare il lavoro, i saperi, le tecniche, le abilità, piuttosto che concentrarsi sulla conservazione dell’oggetto artigianale, deve mirare soprattutto a incoraggiare gli artigiani a continuare a produrre i loro prodotti senza però cessare di trasmettere le loro conoscenze e competenze a terzi, siano questi facenti parte della comunità che semplici turisti. Le espressioni di artigianato tradizionale sono numerose: la lavorazione del tessile, la lavorazione di pietre preziose, la lavorazione del ferro, la lavorazione di pietre e ceramica, la lavorazione del legno. Molti di questi oggetti prodotti possono rivelarsi un lascito che si tramanda di generazione in generazione.

Come per altre forme del patrimonio culturale immateriale, la globalizzazione crea seri ostacoli per la sopravvivenza delle forme tradizionali di artigianato. La produzione di massa, le grandi multinazionali forniscono i beni necessari per la vita quotidiana ad un costo di tempo e di denaro inferiore rispetto alla produzione manuale. Molti artigiani lottano per adeguarsi alla concorrenza con tali società e industrie.

Come per le altre forme del patrimonio culturale immateriale, al fine di salvaguardare i saperi artigianali è necessario garantire che le conoscenze e le competenze inerenti a mestieri tradizionali siano trasmessi alle generazioni future in modo che sia ancora praticata nelle varie comunità sia come mezzo di sussistenza che come espressione di creatività e identità culturale.

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saperi narra(n)ti

tra arte design artigianato etica delle relazioni

il museoil museo
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DALLE STORIE PERSONALI ALLA STORIA SOVRAPERSONALE

MUSEO COME OPERAZIONE D’ARTE

COMUNICARE IPATRIMONI IMMATERIALI

AMBIENTIEMUSEI SENSIBILI

DAUN’ESTETICA DELLAFORMAAD UNAESTETICADELLE RELAZIONI

DIMENSIONE CORALE

PROGETTARE LOSPAZIOEGLI HABITATNARRATIVI

ARCHIVIODEI MATERIALI

VISIBILE

LUOGO IRRIPRODUCIBILE

STAREUNLUOGOPER ATTRAVERSARENONDA

LUOGHI E MANUFATTI DELLA MEMORIA

INVISIBILE

FORMA EMOTIVA DEL RACCONTO DIRETTO

RICORDI, RACCONTI

IMMAGINI

CULTURA DELL’ORALITA’

MUSEO DI NARRAZIONE

NARRAZIONEPIU’ EVOCATIVACHE INFORMATIVA

LIBERARE SPAZIONE PER LA COMPONENTE CREATIVA

MOLTITUDINEDEI PUNTOIDIVISTAE NARRAZIONE

ELABORARELUOGHIPER LAPROPRIAIDENTITA’

CURA DELL’ORGANISMO ESPOSITIVO

PARTECIPAZIONE

PROGETTAZIONEE PRATICHESOCIOTECNOLOGICHE

COMUNITA’DISOSTEGNOINTERESSEE

SUGGERIRE E RESTITUIRE L’INVISIBILE

INTERATTIVITA’DI COLLABORAZIONE

DELLORUOLOATTIVOSPETTATORE

ESPERIENZAIMPARAREEFARE CONNUOVILINGUAGGI

CONTENUTIPLURALITA’DI INTERPRETAZIONIEDI

l’artigianato tradizionale abruzzeseil museo
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PREMESSA

Le idee progettuali per la realizzazione di questo museo si sono orientate verso la realizzazione di una esposizione multimediale e interattiva finalizzata alla creazione di un museo tematico. La creazione di un luogo partecipativo e narrativo , che sviluppa in modo permanente, il dialogo tra i contenuti di ricerca artistica e tecnologica ed alcune tematiche culturali. Altresì stabiliscono una forte relazione tra abitanti di un luogo e le loro tradizioni. Queste operazioni avviano processi virtuosi, che si sviluppano nel tempo e rendono necessaria la collaborazione di diverse componenti progettuali, produttive e organizzative, prediligono contenuti non tangibili rispetto a quelli oggettuali, utilizzano sistemi di tipo emozionale, rispetto a quelli procedurali, modificano e aggiornano i consueti metodi di informazione e conoscenza.

Si creano così, luoghi vivi, dinamici e attivi, non dormienti e cristallizzati, luoghi che permettono lo sviluppo e l’avvio di una ricerca personale, spazi che permettono di ordinare e interpretare l’immaginario collettivo, dove poter promuovere e realizzare una formazione continua Si tratta di luoghi mutanti, attenti ai cambiamenti, dove i visitatori interagiscono con le ambientazioni e le emozioni ricreate e vivono un’esperienza che è unica ed irripetibile nascono come spazi in cui coniugare cultura sperimentale e tradizione, vogliono essere interpreti di una memoria, di un’identità e di appartenenza territoriale, più simili a laboratori dove sperimentare che a contenitori dove collocare le opere. Spazi nei quali interagire, per far vivere l’idea di provvisorietà espressiva, della nostra epoca.

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1° MACROSEZIONE

Ambiente e Territorio

OGGETTI IN SCENA

. 1 tavolo multimediale; . 1 schermo di proiezione a parete; . 1 diffusore audio;

IL PERCORSO

Il percorso all’interno del museo dei saperi narra(n)ti inizia con questa sala, chiamata “Ambiente e Territorio”; in quest’area il visitatore si confronta con la capacità delle comunità dei borghi di interpretare il territorio e quello che offre. Lo scenario che si presenta è un grande proiettore a parete in cui è mostrato il panorama da fondovalle fino alla vetta; si alternano frame di immagini girate in momenti distinti dell’anno durante le diverse stagioni. Al centro della stanza su di un tavolo vi sono le immagini digitali di cartografie del 1700. Se il visitatore vi avvicina la mano, le carte si illuminano, diventano trascinabili e iniziano a scorrere in dettaglio. Sia rriva così al dettaglio del comune di Caporciano, con tutta l’analisi del paese, dalla morfologia territoriale, alla storia del paese, alla forma del costruito fino alla singola architettura.

l’ esposizione

La stanza della “tavola rotonda”

OGGETTI IN SCENA

.7 schermi di proiezione touch sreen; . 7 diffusori audio; . 7 faretti;

IL PERCORSO

In questa sala viene affrontato il processo di crisi che, a partire dagli anni ‘70, avanza lentamente fra i borghi abruzzesi . Sette monitor, uno per ciascun sapere artigianale abruzzese, sorretti da sottili pilastrini in ferro, incorniciano sette volti di anziani artigiani immortalati durante il lavoro. Sfiorando lo schermo, il visitatore da vita ad ognuno di loro, che attarverso un racconto, parlano di se, della storia del loro mestiere, dell’inarrestabile processo di spopolamento e perdita di tutti quei saperi che hanno sempre determinato il valore del territorio abruzzese.

Il nome della sala, “taviola rotonda”, sottolinea questa sorta di intimo racconto che si viene a creare tra gli attori in scena e il visitatore stesso, che assume anche lui un ruolo attivo.

l’ esposizione

Le frontiere del futuro

OGGETTI IN SCENA . 4 tavoli multimediali; . raccolta di progetti da esporre;

IL PERCORSO

Quest’ultima sala della prima macrosezione si configura come un vero e proprio laboratorio partecipativo e aperto , un’osservatorio per uno sviluppo sostenibile dei borghi abruzzesi. Vengono presentati diversi esempi di iniziative giudicate significative. Su quattro tavoli interattivi sono appoggiate le immagini digitali dei vari progetti; al visitatore viene data la possibilità di consultare ed esprimere un giudizio sui vari elaborati, ma anche, allo stesso tempo, di suggerire nuove proposte direttamente all’interno della mostra o in remoto attraverso internet.

In questo modo il visitatore diventa anche qua personaggio attivo, può lasciare le sue impressioni ma anche nuove proposte da poter attuare. I primi progetti presentati saranno le tesi di laurea portate avanti dal docente relatore Gennaro Postiglione, delle mie colleghe di studio.

l’ esposizione
2° MACROSEZIONE
L’ARTIGIANATO TRADIZIONALE ABRUZZESE

CASTELLALTO ROSETO DEGLI ABRUZZI

LAVORAZIONE della LANA LAVORO del TOMBOLO

MONTEREALE

CASTELLI

S. STEFANO DI SESSANIO

MONTESILVANO ZEGNA AQUILA

LORETO APRUTINO PENNE

CHIETI PIANELLA

PESCARA MAGLIANICO

CASTEL DI IERI

PRATA D’ANSIDONIA

TIONE DEGLI ABRUZZI

OFENA

ATRI 40 km

VILLA SANTA LUCIA BUCCHIANICO

S. PIO DELLE CAMERE

CAPORCIANO

CAPESTRANO

NAVELLI

RAPINO

LANCIANO

CASTELFRENTANO

LAVORAZIONE dell’ ORO LAVORAZIONE CERAMICA LAVORAZIONE del FERRO OLIVA ZAFFERANO

ATESSA

PRATOLA PELIGNA

PESCOCOSTANZO

GUARDIAGRELE

GESSOPALENA

PACENTRO TARANTA PELIGNA

S. EUSTANIO DEK SANGRO ATESSA

PESCOCOSTANZO SCANNO

CIVITELLA ALFEDENA

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L’ artigianato tradizionale abruzzese

Nella tradizione economica e culturale dell’Abruzzo, il lavoro artigiano ha svolto un ruolo certamente non marginale. Per secoli, in questa regione, artigianato, agricoltura e pastorizia si sono alimentati vicendevolmente. L’artigianato si è inserito in questo quadro produttivo come attività di servizio dell’economia agro-pastorale e da questa sua preminente funzione ha tratto molteplici risorse per una costante e, in alcune fasi storiche, rigogliosa presenza, adattandosi con notevole duttilità tecnica ed organizzativa alle differenti richieste di mercato. le botteghe di fabbri, falegnami, ramai, scappellini, ceramisti, calzolai ed altri ancora hanno prodotto beni indispensabili alle loro comunità, trasmettendo da una generazione all’altra, da maestri ad apprendisti, un prezioso patrimonio di tecniche e di abilità pratiche, tese sempre a coniugare l’estro con la precisione e l’accuratezza esecutiva. Accanto a questa produzione di servizio diffusa sul territorio in modo capillare, gli artigiani abruzzesi sono stati e sono tutt’ora portatori di una tradizione il cui livello artistico - tecnico ha conferito loro una meritata fama oltre i confini regionali. E non vanno dimenticate, inoltre , la raffinatezza dei tessuti in lana e delle tele da corredo, le forme precise e leggere dei lavori ad intreccio, la minuta varietà dei decori ad intaglio sil legno, le creative soluzioni nei mosaici su vetro. Oggi più che mai, l’artigianato si rinnova anche in Abruzzo, i maestri che operano in diverse località della regione, consapevoli depositari di un’esperienza secolare nella trasformazione della materia prima che si pone al di sopra delle uniformi produzione di serie, propongono al mercato attuale le proprie capacità di integrare motivi e tecniche di una tradizione illustre con i nuovi spunti di ricerca nei materiali e nel design, realizzando con uguale competenza oggetti d’uso come manufatti di notevole valore artistico.

LAVORAZIONE TESSILE

LAVORO del TOMBOLO

LAVORAZIONE dell’ ORO

LAVORAZIONE CERAMICA

LAVORAZIONE del FERRO

OLIVA

ZAFFERANO

l’artigianato tradizionale abruzzeseil museo
ARTIGIANATO ARTISTICO ARTIGIANATO AGRO-ALIMENTARE 265 266

D’ANSIDONIA

PIO DELLE

CAPORCIANO PRATA
CAPESTRANO NAVELLI SAN
CAMERE l’artigianato tradizionale abruzzeseil museo 267 268

Gli attori

Il percorso narrativo museale diviene il racconto al turista, da parte di chi quelle storie le ha vissute in prima persona.

“ Badate non si vuol ricreare un luogo pieno di cimeli, che ricordano quel periodo, non deve essere un museo delle nostre nostalgie, ma qualcosa che parli anche alle generazioni di oggi. Le nostre emozioni di allora , anche tragiche, possiamo riviverle in privato ma il senso di quell’esperienza no, quella deve essere patrimonio di tutti, deve saper comunicare adesso, con i linguaggi di adesso...”

E’ da queste parole che ha preso avvio qesta avventura creativa ricca di stimoli e di suggestioni che ha portato alla realizzazione di questo museo, piccolo, ma carico di emozioni e di significati.

Qesto museo doveva saper raccontare e questo si poteva imparare solo dai racconti di chi le storie le aveva veramente vissute. Si è dovuto ricercare le voci, i volti protagonisti di queste vicende. Occorreva recuperare la forza e l’emozione contenute nella tradizione dell’oralità; occorreva assorbire tutta la densità umana contente nei gesti, negli sguardi e nell’intensità dei silenzi, Sono volti di persone anziane capaci di trasferirci, con la complicità di uno sguardo o di un movimento di labbra, oppure con l’incresparsi di una ruga, tutta la loro intensità rievovativa.

SALVATORE SERRA

RAFFAELE DI PRINZIO

SIGNORA LIA 91 anni ex sarta
64 anni fabbro
73 anni coltivatore
l’artigianato tradizionale abruzzeseil museo 269 270

SALVATORE SERRA 73 anni contadino

“Il risotto alla milanese è nato a milano però da n ragazzo di questi paesini abruzzesi , che si trovava a milano per lavoro. Una sera aveva fame ed era in casa di amici; non sapendo cosa mangiare aveva trovato un po’ di riso nella dispensa. Non sapendo come condirlo decise di mettervi lo zafferano che la madre gli aveva messo in un sacchettino all’interno della tasca della giacca. Il piatto piacque molto agli amici che chiesero come lo avesse cucinato e li rispose che glielo aveva suggerito il cuoco del ristorante, che in realtà ne è venuto a conoscenza dopo ,lo ha elaborato ed è diventato il risotto alla milanese...”

“Qui c’era anche la coltivazione del baco da seta e allora a questo signore gli venne inj mente di tingere la seta con il sottoprodotto dello zafferano e quando poi è andato a fare il mercato a Venezia le sete che aveva portato Marco Polo non avevano niente a che vedere con queste”

“Ogni famiglia era obbligata a lavorare lo zafferano cioè se t non lo avevi come famiglia anche 200/500 metri non eri considerato nessuno...”

“Qando avevo tre anni piangevo perchè avevo freddo e mia mamma mi diceva di farmi na corsa, prendere il cestino e andare a prendere i fiori che gli dicevano prendi me prendi me”

RAFFAELE DI PRINZIO 64 anni fabbro

“siamo qui da nove generazioni ma prima c’era il maniscalco il fabbro, gli attrezzi agricoli. Mo il ferro battuto lo vanno a comprarae in queste bottegucce. Il nostro ferro nasce tutto qui direttamente dalla materia prima.”

“Ho figli e nipoti che vanno forti, abbiamo 20/22 aiutanti ma ce ne vorrebbero altri perchè di lavoro ce n’è un sacco.”

“La lavorazione è molto semplice; quando devo piegare una barra di ferro, questa è protetta da una scoria e se si vernicia, quassù d’estate si crepa tutto.

Invece verniciando di qua e togliendo la scoria il colore dura decenni.”

SIGNORA LIA 91 anni ex sarta

“le donne vestivano con sottogonne e le gonne sopra, tipo questa mia; tenevamo grembiuli, ornati da merletti (...); si portavano poi questo velo da testa rosso cje spesso era decorato con merletti o con oggetti preziosi.”

“La stoffa si tesseva in casa (...); chiunque aveva un telaio, che lo tenevamo con molta cura in casa. Il suo posto era in cucina, anche nelle case più umili.”

“La stoffa si tesseva in casa (...); chiunque aveva un telaio, che lo tenevamo con molta cura in casa. Il suo posto era in cucina, anche nelle case più umili.”

“Il sarto che faceva? andava per le case di campagna a cucire, a fare i vestiti e non veniva pagato con i soldi, ma col frumento, che il sarto ritirava quando c’era la raccolta, sia del grano sia del granoturco. Poi c’erano i polli, si dovevano dare i polli per ogni anno, si dovevano dare le uova e tutto il resto.”

“Ognuno si coltivava la canapa e ne ricavava filato epr poi lavorarlo e fare lenzuola e biancheria per risparmiare.”

l’artigianato tradizionale abruzzese
LAVORAZIONE dello ZAFFERANOE
SFIORATURA ED ESSICCATURA SCELTA DEI BULBI, ARATURA E MESSA A DIMORA DEI BULBI RACCOLTA DEI FIORI

DISSOTTERAMENTO DEI BULBI

“ In agosto avviene la fase di dissotteramento e pulitura dei bulbi. I bulbi vanno scelti e selezionati: quelli più piccoli vengono messi da parte, mentre quelli buoni vanno nel cesto. Nella fase di pulitura, in cui “si toglie il vestito”, ci si accerta che il bulbo non si marcio, non presenti macchie o difetti di sorta.

Ogni bulbo di zafferano produce dai 3 ai 5 fiori.”

ARATURA - MESSA A DIMORA

“ Sono i bulbi migliori ad essere utilizzati. Il solco è profondo 20-30 cm, in cui vengono gettati i bulbi e posizionati manualmente uno vicino l’altro.

Vengono poi ricoperti con la terra prelevata accanto che va a formare il passaggio per la fase di raccolta.

RACCOLTA DEI FIORI

“ la fase di raccolta avviene nel periodo di ottobre. Si inizia subito la mattina, per evitare che i petali, schiudendosi, rendano più difficile la presa del fiore. I vari membri della famiglia, dediti a questa tradizione, imbracciati i cesti, a schiena prona e con grande velocità, raccolgono i fiori utilizzando il corridoio creato in estate.

Sette cesti pieni corrispondono a circa 100 gr di zafferano.

SFIORATURA

La sfioratura consiste nel separare i fiori dagli stimmi che vengono essiccati. In questo processo si perde l’80% del peso ma s’intensifica notevolmente il sapore. Per ricavare 1 kg. di stimmi freschi occorrono circa 60 kg. di fiori.

ESSICCATURA

La tostatura deve avvenire ponendo gli stimmi in setacci ed asciugandoli su brace di legna, utilizzando legna di quercia o mandorlo. Il prodotto in filamenti o polvere così ottenuto va conservato in sacchetti di tela ed in luoghi asciutti e bui.

L’oro rosso di Navelli

OGGETTI IN SCENA

. un cumulo di zafferano;

. 2 supporti per proiezione 1,7 x 2,4m; . 2 proiettori;

. 2 diffusori audio direzionali; . 1 faretto

Il visitatore si trova all’interno di una stanza completamente invaso dal profumo dello zafferano. La presenza del prodotto finito nel centro della stanza genera per sua natura una percezione olfattiva che coinvolge il visitatore, oltre che con i tradizionali sensi della multimedialità, vista e udito, anche con l’olfatto e forse anche con il tatto, in un accrescersi di rimandi interiori e personali o eventualmente conoscitivi.

In questo modo si crea una forma di fruizione e percezione multimodale dell’opera, si generano punti di riferimento e di appartenenza o spunti per avviare ricerche personali. Nei due supporti per proiezione vengono proiettati in una le leggende riguardanti la storia dello zafferano, nell’altro tutte le ricette da reakizzare con lo zafferano.

La lavorazione dello zafferano

OGGETTI IN SCENA

. 3 ceste di vimini;

3 schermi di proiezione;

5 proiettori;

1 diffusore audio;

4 faretti;

1 tavolo con 3 computers touch screen;

Nella stanza, agli occhi del visitatore si presentano tre ceste di vimini, strumento con il quale i coltivatori di zafferano andavano a raccogliere i fiori. Le ceste diventano i supporti dei filmati, come se il visitatore entrasse nei panni dell’agricoltore. Lo spettatore toccando la cesta da via al racconto; nelle tre ceste le tre fasi principali della lavorazione dello zafferano: nella prima dalla semina alla raccolta del fiore, nella seconda la sfioratura e nell’ultima l’essiccatura dei fiori e la creazione della polvere. La voce narrante è la voce dell’attore proiettato nella parete di fondo, che incarna il racconto di tutte le voci dei protagonisti di questa produzione. Nel fondo della parete un tavolo con tre computers touch screen, nel quale ogni visitatore può lasciare la sua testimonianza che viene proiettata immediatamente nella parete e va ad incrementare in grande archivio di storie e racconti di chi ha vissuto queste realtà.

l’ esposizione
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IL PERCORSO
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LAVORAZIONE TESSILE
TESSITURA FILATURA

I FUSI

“I fusi venivano utilizzati per avvolgerevi le fibre tessili. Le fiblre venivano arrotolate insieme formando un piccolo filo unico e poi avvolte sul fuso. Il fuso è uno strumento per la filatura databile nel 1700. E’ fabbricato in legno ricavato dalla tornitura o intaglio, a sezione rotonda e assottigliato alle estremità e tozzo nel mezzo. La sua lunghezza è di 27 cm e il diametro di 3 cm. Il fuso viene utilizzato per avvolgervi le fibre tessili.

MATASSATRICE e AROLAIO

“ E’ una macchina sulla quale vengono posti i rocchetti, per fare le matasse. L’operaia bobinatrice dai rocchetti porta il filo e lo avvolge su un arcolaio. L’arcolaio è un apparecchio domestico che serve ridurre le matasse di filo in gomitoli. I più semplici sono costituiti da un’ asta in ferro alta circa 85 cm., sulla quale ruota un girello o scodellino (diam: 45 cm.) che sostiene un complesso di aste o pioli in canna di bambù su cui viene disposta la matassa;

MULINELLO PER SPOLE

“ E’ uno strumento per l aproduzione di spole da inserire nella navetta.

è un dispositivo prodotto artigianalmente nel XVIII secolo. La sua struttura è interamente di legno, solo la manovella è in ferro; è alto circa 120 cm., largo 115 cm. e profondo 60 cm.

TELAIO A PORGIFILO

“E’ un telaio a mano senza navetta con porgifilo. E’ costituito da 4 pedali, 4 licci, senza navetta, con porgifilo, pettine mobile, contrappesi, cassa battente. Si tesse un pezzo di tessuto, si allenta l’ ordito e si gira la stoffa. I contrappesi servono da freno, quindi a tenere in tensione. La cassa battente serve per accostare la trama.

TELAIO A DUE LICCI

“ E’ costituito da 2 licci, 2 pedali, navetta, cassa battente, pettine, subbio, contrappesi. Schiacciando i pedali si alzano i 2 licci che fanno passare la navetta e con l’ aiuto del pettine si forma il tessuto. Questo telaio per la sua produzione del tessuto è stato realizzato in legno tra la fine del ‘700 e l’inizio dell’ ‘800 ed ha le seguenti dimensioni: altezza 230 cm, larghezza 180 cm, profondità 210 cm.

TELAIO A QUATTRO LICCI

“E’ un telaio a mano, costituito da 4 pedali e 4 licci, cassa battente con cassetti e navetta. E’ in grado di creare un tessuto che sembra operato , cioè senza licci. Per fare il disegno si fa un passamento dei licci molto elaborato e schiacciando i pedali in modo prestabilito si ottiene il disegno; il tessuto è lavorato con due colori sottintesi e con due navette.

Il vestito di Isabella

OGGETTI IN SCENA

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vestito della regina Isabella; . 2 supporti per proiezione vetrati; . 2 proiettori; . 2 diffusori audio direzionali; . 2 faretti

Il visitatore si trova di fronte il vestito diella regina Isabella. Si ha notizia, infatti, che già nel 1493, la Regina Isabella, consorte del Re di Napoli, in visita in Abruzzo, rimase vivamente ammirata

“dalla bellezza raffinata dei merletti ond’erana adorne le donne del luogo”. A tal punto che la regina chiese che gliene fosse fabbricato uno per lei. Posti nel corner ruotati a 45° due specchi che permettono al visitatore di percepire, dal centro della stanza, tutto l’intero abito. Posizionandosi davanti ai due specchi, prendono vita due filmati, il primo che narra appunto al storia della regina Isabella, mentre l’altro che mostra la fabbricazione del vestito. Nel soffitto vi è un intreccio intenso di filati che rappresentano sia il prodotto ricavato dalla lavorazione della materia prima, ma che visivamente trasporta il visitatore nel mondo del filato.

La lavorazione della materia prima

OGGETTI IN SCENA

.1 arcolaio; . 1 telaio a 2 licci;

. 2 supporti per proiezione;

. 3 proiettori;

. 2 cuffie audio;

. 1 tavolo con 3 computers touch screen; . campanacci appesi .

Nella stanza i due strumenti di lavoro rappresentano le due fasi di lavorazione: il primo, l’arcolaio è lo strumento che permette di ottenere il filato, mentre il secondo, il telaio a due licci, rappresenta la fase della tessitura e la creazione dell’abito. Nel soffitto un insieme di campanacci e il loro suono rievoano nella mente del visitatore, il periodo della transumanza, i pastori che portavano al pascolo le pecore e dalle quali ricavavano meteria prima da lavorare. In corrispondenza dei due strumenti vi sono due proiettori e dall’alto scendono due cuffie audio, Indossandole partono i video corrispondenti in cui viene presentata l’intera spiegazione della lavorazione. Anche in questa stanza nel fondo della parete un tavolo con tre computers touch screen, nel quale ogni visitatore può lasciare la sua testimonianza che viene proiettata immediatamente nella parete e va ad incrementare in grande archivio di storie e racconti di chi ha vissuto queste realtà.

l’ esposizione
IL PERCORSO
294
LAVORAZIONE del FERRO BATTUTO
FORGIATURA SAGOMATURA CON MAGLIO
BATTITURA E FINITURA DISEGNI ,
SCHIZZI
DIMENSIONATI

FORGIATURA

“ Il ferro si taglia alle misure desiderate. Si scalda alla forgia (caminetto per scaldare il ferro) alla temperatura di 1000 gradi e vi si inserisce il pezzo di ferro.”

IL DISEGNO

“ Qualsiasi opera creata in ferro battuto è preceduta dalla ideazione della forma attraverso il disegno manuale e lo schizzo grafico in cui il fabbro delinea le forme dell’oggetto da realizzare. Il disegno prende forma anche grazie all’ausilio della sovrapposizione di alcuni componenti modellati in precedenza. Con il progetto delineato occorre produrre o recuperare le parti necessarie alla sua realizzazione

MARTELLATURA

“ Quando il ferro è incandescente al punto giusto, viene adagiato sull’incudine e lavorato a mano con il martello oppure con il martello pneumatico con il quale si eseguono le decorazioni più complicate.

I pezzi forgiati vengono uniti con la saldatrice o tramite chiodatura e, se il progetto lo richiede, vengono incisi a mano.”

FINITURA

Alla struttura ultimata, vengono apportate le ultime rifiniture o modifiche necessarie, come la verniciatura. Infine la struttura in ferro battuto è pronta per essere venduta. Se però la struttura va all’esterno come ad esempio un cancello, quindi è esposto alle intemperie, serve procedere alla metallizzazione (sabbiatura e successiva zincatura) per evitare che si rovini.

La “callare”

OGGETTI IN SCENA

. 1 callare;

. 1 supporto da proiezione a tronco di piramide;

La lavorazione del ferro

La lavorazione del ferro battuto era in passato legata all’economia agropastorale, una produzione di cancelli, inferriate, lampade ed attrezzi agricoli, recipienti per la casa, campanacci per il bestiame. L’arte metalliera abruzzese è incentrata anche nella produzione di oggetti sacri, lampadari devozionali e poi balconi di stile barocco, cancellate artistiche. Famoso nella zona è la la “callare” nome dialettale utilizzato per il paiolo decorato a larghe spirali. Il nome deriva dal fatto che quando i lavoratori di ferro si recavano nei Comuni limitrofi per la vendita degli oggetti lavorati, usavano parlare con un vocabolario conosciuto solo agli addetti, per non svelare segreti del mestiere, che era il “baccaiamento” da cui deriva il nome “callarà” uguale calderaio.

OGGETTI IN SCENA

cumulo di carbone;

4 schermi;

4 diffusori audio;

1 tavolo con 3 computers touch screen;

Quattro schermi posti a semicerchio mostrano le quattro fasi di lavorazione tipiche del ferro-battuto:il disegno, la forgiatura, la martellatura e la finitura. Posto al centro del semicerchio di schermi un mucchio di carbone,; La struttura leggermente conica, con tutti i pezzi di carbone disposti ordinatamente come nelle vere carbonaie, radialmente alla struttura, crea un corridoio circolare, di fronte agli schermi. Il mucchio di carbone, genera per sua natura anche una percezione olfattiva che coinvolge il visitatore, oltre che con i tradizionali sensi della multimedialità, vista e udito, anche con l’olfatto e forse anche con il tatto, in un accrescersi di rimandi interiori e personali o eventualmente conoscitivi.

In questo modo si crea una forma di fruizione e percezione multimodale dell’opera, Anche in questa stanza nel fondo della parete un tavolo con tre computers touch screen, nel quale ogni visitatore può lasciare la sua testimonianza che viene proiettata immediatamente nella parete e va ad incrementare in grande archivio di storie e racconti di chi ha vissuto queste realtà.

l’ esposizione
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IL PERCORSO
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