IL TEMPO CHE SFUGGE ALLA STORIA [by Miriam Tinto, April 2019]

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un tema topico e sempre più sentito; in questo caso in particolare è impossibile ignorare l’influenza che la presenza della vegetazione ha, a livello estetico, percettivo e storico sull’identità del luogo. La natura aperta del progetto di Viganò porta a immaginare un’operazione rigenerativa che sia capace di allargare gli orizzonti oltre il recinto del lotto su cui sorge il complesso. La peculiarità della città diffusa (costituita da spazi aperti, vuoti, strade, aree dismesse e spazi incolti) come contesto di intervento, suggerisce di evitare di estrarre ed importare qui le forme della città storica, densa e consolidata, ma piuttosto di assecondare il dato per cui l’azione caratterizzante di questi spazi è lo spostarsi, l’attraversare8. Lo stesso Viganò, trovandosi a progettare in un contesto per lui inusualmente rarefatto, si fa ispirare dal tema lecorbuseriano della promenade architecturale, acuendone il senso tramite la complessità di un’architettura pensata per una percezione mai statica, ma in continuo movimento9: diversi padiglioni si attestano su una spina che introduce a un crocevia di inesauribili promenades, prospettive mai centrali, viste frammentarie, continue alternanze tra aperture e chiusure, sovrapposizioni ed accavallamenti caratterizzati da una scansione ritmica letteralmente ossessiva. Ciò che si intende sostenere, è un intervento dall’economia minuta, finalizzata a sottrarre questo spazio dall’ossessione produttivista e speculativa della città contemporanea ed eludendo un sistema di “spettacolarizzazione dello spazio in cui si impone ai lavoratori di produrre anche durante il tempo libero. Se il tempo dello svago si trasformava sempre più in tempo del consumo passivo, il tempo libero doveva essere un tempo da dedicare al gioco, doveva essere un tempo non utilitaristico ma ludico”10, e allo stesso modo, “passare dal concetto di circolazione come supplemento del lavoro e come distribuzione nelle diverse zone funzionali della città alla circolazione come piacere e come avventura”11. Chiave di volta del progetto è perciò l’adozione di un’idea di tempo libero/liberato/perso che vede l’antiproduttivismo come forma passiva/attiva di auto-costruzione del welfare dal basso. La riattivazione intende esser messa in atto tramite una trasformazione progressiva, per mezzo di un programma di riappropriazione incrementale di questo luogo inscrivibile nel concetto foucaultiano di “spazio altro”12, ovvero isolato dalla rete dei processi di relazioni e trasformazioni urbane che si sono, nel tempo, attorno ad esso succedute. Considerando il restauro e la rifunzionalizzazione integrale ormai insostenibile su più fronti, si sceglie di mirare al mantenimento e messa in sicurezza della rovina, e alla riconnessione del piano terra del complesso al tessuto urbano, là dove, rimuovendo il posticcio recinto di proprietà, verranno ristabilite le naturali connessioni con il circostante. Episodi puntuali e specifici saranno ossatura per la costruzione di un paesaggio dominato dall’imperatività del rapporto uomo-natura. Per concludere, il progetto nasce senza dubbio come pretesto per lanciare una critica implicita alla condizione attuale del’Ex Istituto Marchiondi e al suo stato di rovina, che “più che a rammentarci la caducità di ogni cosa, diventa sempre più il simbolo che ci chiama a un incondizionato e vigile principio di responsabilità”13. 8. Careri F. , Walkscapes, Camminare come pratica estetica, Einaudi, Torino, 2006 9. Popper F. L’arte della cinetica. L’immagine del movimento nelle arti plastiche dopo il 1860 Einaudi, Torino, 1960 10. Huzinga J. Homo ludens (1939), trad it. Homo ludens, Einaudi, Torino, 1946 11. Constant, Un’altra città per un’altra vita, in “Internationale Situazionite, 3 (1959) 12. Foucault M. , Spazi altri. I luoghi delle eterotopie. Mimesis edizioni, Milano, 1994 13. Tortora G. , a cura di, Semantica delle rovine, manifestolibri, Roma 2006.

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