"Il Confronto" - dicembre 2017

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Anno 44 N°2 dicembre 2017

ph I.N.

Procida:

passeggiando tra i colori e le storie dell’isola

Arte:

i meravigliosi marmi di Ascoli Satriano

Cultura:

stile, musica e poesia alla Rai di Napoli con il Premio Elsa Morante 2017


La peste del bilancio nazionale Sono anni che puntiamo il dito contro

certi fenomeni che non ci spiegavamo del sistema bancario: Alcune banche, anche di prestigio europeo, facevano comparire improvvisamente, dei buchi economici nei loro bilanci, e chiedevano alla Stato di porvi rimedio. Nessuno ha detto mai niente, segno che tanto era previsto dalle procedure vigenti e lo Stato, e, per esso, il governo in carica, era tenuto a coprire con fondi pubblici il “buco” comparso nel bilancia della banca privata. Qualcosa non ci convinceva, però: i manager che avevano portato quasi al fallimento la banca, venivano ,alla fine, premiati con liquidazioni milionarie, liquidazioni che nemmeno gli alti funzionari dello Stato si sognavano di avere! Abbiamo messo il focus su tale anomalia. Essa si è ripetuta più r più volte sempre nell’indifferenza di stampa, TV, e organi ufficiali. Abbiamo fatto riferimento alla stampa di settore e a due giornalisti in particolare: Sebastiano Barisoni de “Il Sole 24 Ore” e Oscar Giannino, molto preparato nel settore bancario e finanziario molto di più di tanti professoroni forse distratti da altre problematiche. L’attenzione prestata e la frequenza con cui si manifestavano questi gravi episodi di dissesto bancario e di conseguente intervento dello Stato a coprire le falle bancarie, ci hanno fatto pensare che questi funzionari, così inetti da portare i propri enti alla soglia del fallimento, potevano essere benissimo delle “teste di legno”

messe a fare, in conto di chi li metteva in quei posti di comando, il “ lavoro sporco” di affidare a chi il denaro delle banche non lo avrebbe potuto riportare più indietro alla banca.

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Ci è venuto in mente quello che neravigliò, anni fa, il mondo sportivo del calcio e della pallacanestro: le squadre della città di Siena, nel campionato di calcio e nel campionato di basket contemporaneamente, andavano per la maggiore, anzi la squadra di basket di Siena vinceva addirittura lo scudetto. Come poteva succedere questo in una piccola città di provincia come Siena ,

danneggiare il sistema, insomma chi ce ne ha più ce ne mette. E’ cominciato già anche il palleggio delle responsabilità tra Banca di Italia, Consob, banche, banchieri, amministratori , funzionari, politici e quanti altri. Rimane il fatto che tanti risparmiatori sono rimasti truffati pesantemente, alcuni hanno perso tutti i loro averi, il sistema industriale è rimasto debilitato,

se non per una qualche nemmeno tanto nascosta fonte di finanziamento? E chi se non il Monte Paschi di Siena se non anche il Comune di Siena ? Abbiamo collegato il quasi fallimento di MPS con questa ipotesi, con la gestione comunale di Siena e con gli ambienti collegati alla Sinistra pidiessina e ci siamo messi ad osservare il mondo politico Gatta ci cova! Abbiamo ,così, notato il diverso atteggiamento delle forze politiche di fronte a questi fatti e abbiamo seguito con maggiore attenzione la presenza , nel governo, di alcuni diretti “pupilli” di rinomati cognomi di banchieri. E grazie che i governi non intervenivano.! Sebastiano Barisoni e Oscar Giannino, con voce molto più robusta e documentata della nostra, con, in più, le competenze professionali che li contraddistinguono, hanno, infine, sfondato lo sbarramento dell’informazione ufficiale mentre la Magistratura ha cominciato (piuttosto tardi) ad aprire alcune inchieste molto serie, tanto che il Parlamento si è visto costretto a nominare una propria Commissione di indagine che sta mettendo a nudo le connivenze tra gli altolocati del sistema bancario, registrando mancati controlli, tentativi (molto spesso riusciti) di occultare operazioni che mettevano a rischio gli enti bancari, deliberate operazioni per

l’occupazione è sempre più boccheggiante ( checchè dicano i nostri governanti), qualcuno si è anche suicidato o è stato “suicidato”, e i soldi di tanti evidenti responsabili dei disastri non si possono nemmeno sequestrare preventivamente. L’”innovatore” Renzi aveva progettato di rinnovare tutto meno il fatiscente sistema bancario (che, finora, ha ingurgitato miliardi e miliardi di finanziamenti statali, e che è stato la vera palla al piede di tutti i governi, e di Destra e di Sinistra) e solo ora accusa ii presidente della Banca d’Italia Visco, di gravi responsabilità, che pure ha gravissime. Ci dispiace solo che, in questo suo gioco di scaricabarile, ha coinvolto un giovane rappresentante della Magistratura, come, prima, aveva coinvolto il buon nome della Banca d’Italia, pur di sviare da sé le conseguenze politiche delle eventuali disattenzioni che ha commesso. Ora chiediamo a tutta la stampa e alla TV di Stato e privata, di seguire , da vicinissimo , le vicende di queste inchieste che possono aiutare a depurare, finalmente, lo Stato da questo mostro ammazzagiovani e ammazzafuturo. Elio Notarbartolo


Legge elettorale: perseverare è diabolico Forse perchè ci sentiamo parte dell’altra Cultura della Sinistra, la nuova proposta di legge elettorale, elaborata da renziani e cavalieri, ci sembra peggiorativa di quella già bocciata dalla Corte Costituzionale perchè i suoi meccanismi espropriano, ancora di più, la possibilità di scelta dei propri rappresentanti ai cittadini. Continuiamo a dire che, per un popolo democratico, la Rappresentatività degli elettori è da preferire a qualunque Governabilità del governo Ragioniamo, allora, portando al limite il

ragionamento della governabilità. Quanti meno cittadini avessero il diritto di discutere, tanto maggiore sarebbe il grado di governabilità! Allora, Mussolini aveva ragione? Sempre con la sensibilità di chi ragiona sulla base della cultura liberademocratica e repubblicana, contraddire così apertamente quanto la Corte Costituzionale ha già sancito, è solo tracotanza e, socialmente, è immoralità. O no?

La Regione Campania difende l’acqua potabile già disponibile

Deve essere garantito il diritto all’acqua potabile già disponibile gratuitamente, si

tratta solo di non inquinarla: la Regione Campania ha ragione e lo Stato non si può mettere di traverso per favorire interessi industriali petroliferi. Insieme, Stato e Regione Campania elaborino una legge che vieti le attività petrolifere inquinanti sui serbatoi idrogeologici carbonatici carsificati e facilmente inquinabili. Mi ha ricordato Claudio delle Femmine che “Il diritto costituzionale alla salute e all’ambiente attraverso la tutela della risorsa idrica utilizzata per il consumo umano prevale su qualsiasi interesse di tipo economico. Su questo non ci può essere nessuna discussione ne ricorso, altrimenti si mette in discussione la Costituzione e le fondamenta stesse

dello stato italiano. Il petrolio può essere sostituito da altre fonti energetiche, l’ acqua non può essere sostituita.” Faccio riferimento a quanto sta accadendo dopo che la Regione Campania a fine marzo 2017 ha approvato una legge con la quale si vietano le attività petrolifere sui serbatoi idrogeologici che ci alimentano gratuitamente di acqua potabile. In particolare lo Stato sostiene che la Campania con può emanare una legge simile. Bene, se la regione non è “abilitata” lo faccia direttamente lo Stato visto che il fine è più che legittimo e necessario! Franco Ortolani

Direttore responsabile Iki Notarbartolo Direttore editoriale Elio Notarbartolo Hanno collaborato: Franco Ambrosino, Umberto Amicucci, Margherita Calò, Vincenzo Caratozzolo, Mario Conforto, Silvana D’Andrea, Antonio Ferrajoli, Angelo Grasso, Paolo Gravagnuolo, Raffaele Graziano, Franco Lista, Gianluca Mattera, Gilda Kiwua Notarbartolo, Franco Ortolani, Ernesto Paolozzi, Gennaro Pasquariello, Mimmo Piscopo, Giacomo Retaggio, Maria Carla Tartarone, Teresa Triscari, Girolamo Vajatica, Sergio Zazzera Periodico autofinanziato a distribuzione gratuita confronto@hotmail.it elio.notarbartolo@live.it www.ilconfronto.wix.com/ilconfronto

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Malpensa - vituperio delle genti Mi sono occupato per oltre quarant’anni

di problematiche afferenti il trasporto aereo (ma non solo, viste le necessità di integrazione territoriale degli aeroporti, di sviluppo della connessa logistica, di contributi in sede referendaria per la legislazione nazionale e comunitaria di settore ecc.). All’epoca il nostro Paese aveva grande prestigio internazionale sotto il profilo aeronautico, tale da diventare un importante ambasciatore del “made in Italy “ in tutto il mondo, ed il trasporto aereo era un importante asset per lo sviluppo economico della nazione. Poi purtroppo arrivò l’inquinamento della politica (cariche clientelari, colpevole assenza di contributi tecnico culturali al livello nazionale ed in Comunità Europea, definitivo asservimento ai poteri settari degli interessi legittimi della collettività, ignobile menomazioni delle ancor esistenti capacità imprenditoriali). Oggi è sconsolante constatare come l’attività di settore sia totalmente colonizzata, priva di futuro ed ancora connotata da illegittime incrostazioni di potere più volte inutilmente condannate da Comunità ed organi giudiziari e di controllo nazionali. Ma, pur in presenza della famelica volontà di potere della politica, l’esperienza vissuta mi impone di affermare che molti errori sono stati commessi per totale ignoranza delle vere problematiche di settore, scarsa sensibilità sociale, attestata tra l’altro dalla inesistente cooperazione con le Università Statali, come invece avviene negli altri paesi europei che hanno istituito specifiche cattedre. Molti sono i temi che hanno determinato il crollo definitivo dell’aviazione civile del Paese ma, purtroppo, ancor oggi una stampa disinformata e priva di elementi oggettivi di valutazione continua a fornire un quadro desolante, senza individuare le vere cause del tracollo. Eppure, il biennio ’70/’80 fu periodo di prestigiosa espansione dell’attività con tentativi di eliminazione delle aree di privilegio retributivo (aquila selvaggia ), di tutela della dignità negoziale, di cura delle aree aereonauticamente emarginate, di

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affrancamento da pressioni non compatibili col pubblico interesse; i bilanci fino al 1988 furono sempre in attivo. La Comunità, intanto, già valutava il processo di liberalizzazione dei servizi aerei (la deregulation) ed il trasporto aereo nazionale doveva trasformarsi da servizio sociale disciplinato dalle convenzioni tra P.A. e vettori in attività concorrenziale con nuovi assetti economico-organizzativi. Bisognava operare in ottica di sostanziale miglioramento della competitività, un nuovo assetto gestionale non compatibile con le pressioni politico clientelari che nel frattempo diventavano sempre più soffocanti e che sfociarono nel maggio del 1988 nell’accusa di “miope conduzione aziendale tesa al pareggio di bilancio”. Nordio, il Presidente protagonista dello sviluppo dell’azienda, si dimise. Profetizzò Scalfari “Il siluramento del presidente dell’Alitalia, che notoriamente non ha padrini politici, renderà sempre più difficile trovare per le società pubbliche manager indipendenti”. Ed infatti dopo pochi mesi il governo nominò nuovo amministratore il quale, alla ricerca del “consenso“ delle potenti lobby interne e dei poteri forti, parlò di pace sociale ripristinando ed incrementando le aree di privilegio retributivo e cercando nuove intese con i petrolieri (il jet fuel era la prima voce del bilancio aziendale) che sottrassero ogni dignità

negoziale al committente. La miope invasività politica generò la graduale decadenza della società fino alla discussa questione MALPENSA che fu però gestita da amministratore preparato ad affrontare problematiche di settore. Premesso che “hub and spoke” è aeroporto di notevole ricettività operativa che raccoglie /smista traffico locale e proveniente/diretto da/a scali nazionali per operare voli transoceanici con aeromobili di grande capacità. La collocazione dell’infrastruttura è strumento di supporto per l’economia del comprensorio e della Nazione e viene progettata in area a forte mercato di origine e destinazione. L’ Unione Europea inserì Malpensa tra i progetti prioritari del “ Trans European Transport Network”, essendo la Lombardia considerata regione ad alta densità economica di mercato. L’hub necessita di vettore aereo cd. globale e solo ad Alitalia fu riconosciuta tale dimensione. L’iniziativa richiedeva però il depotenziamento di Linate (aeroporto cittadino privo di qualsiasi possibilità di sviluppo), come operato da tutti i governi europei. I passeggeri, infatti, utilizzavano per i voli intercontinentali gli hub di Francoforte, Monaco, Parigi, Zurigo, Londra con grave fuga di entrate per l’attività nazionale (decine di miliardi). La Bocconi operò approfondite indagini economiche e dichiarò che Malpensa era fonte di nuovo sviluppo per l’intero territorio nazionale. Il ministro dell’epoca addivenne, in


conseguenza, alla prima decretazione: Linate era destinata solo alla navetta Milano – Roma. Alitalia trovò in KLM l’alleato ideale per lo sviluppo sinergico delle rispettive flotte. Ma a questo punto cominciano gli irresponsabili ostacoli: - Le istituzioni milanesi preferivano il pieno utilizzo dell’aeroporto cittadino, fonte documentata di inquinamento acustico ed atmosferico, ignorando che gli utenti avrebbero continuato ad utilizzare hub stranieri ; -il sindaco di Roma affermò che l’hub di Malpensa sottraeva traffico a Fiumicino e protestò nelle sedi istituzionali; -il ministro irresponsabilmente modificò l’assunto iniziale decretando che i vettori

stranieri potevano operare su Linate a favore dei propri hub (cinque decreti in meno di due anni); -le lobby dei vettori concorrenti fecero leva sui conflitti localistici e sulle contraddizioni istituzionali per contribuire a determinare il definitivo aborto del progetto con informazioni strumentali che impedirono il raggiungimento della massa critica necessaria al suo decollo; - l’ente di gestione aeroportuale fu totalmente impreparato ad assistere gli aerei a grande capacità (più di 500.000 bagagli da riavviare ); - -la regione e le ferrovie nord disattesero completamente l’impegno d’integrazione territoriale dell’aeroporto;

--La KLM denunciò unilateralmente l’alleanza motivandola con la “NON AFFIDABILITA’ DEL SISTEMA POLITICO ITALIANO”. La combinazione degli eventi negativi fu devastante e produsse i suoi effetti catastrofici (che ancor oggi la collettività subisce) anche negli anni successivi visto che la “politica” non cessò di nominare amministratori totalmente incapaci di affrontare problemi sempre più complessi. Pagano i lavoratori, paga l’immagine del Paese, pagano i contribuenti, non pagano i veri responsabili del tracollo, ma l’affabulante stampa ancora parla di scommessa assurda, di tragico errore. Vincenzo Caratozzolo

Cromofilia procidana “Sappiamo, che certe città sono gialle, azzurre, rosse: chi non ha notato il colore rosso-ferrigno di Bologna, il colore grigioardesia di Genova, il colore giallotravertino di Roma? Anche Parigi, Londra, Monaco hanno tutte un loro particolare colore.” Questa attraente e efficace considerazione di Gillo Dorfles ripropone il cromatismo delle città una sorta di timbro cromatico prevalente che permea la scena urbana. Nei vari colori dei materiali costruttivi, ma anche nel rapporto cromatico che questi materiali hanno con i colori della natura (cielo, verde, mare, montagne), alcune città acquistano espressiva vivacità agli occhi e alla sensibilità di chi le osserva. La riflessione di Dorfles oggi è diventata cosa di attualità. Molte amministrazioni avviano studi e ricerche per i nuclei abitativi d’interesse storico, artistico, ambientale, dotandosi di un opportuno piano del colore. Il colore ridiventa valore di comunicazione collettiva, di sensibilità , fresca e immediata, dell’opera umana. E’ un segnale senza dubbio interessante tra i tanti inquietanti che provengono dallo scenario di abbandono e di degrado di molti centri storici, piccoli e grandi che siano. Nei piccoli abitati costieri e delle isole, com’è il caso di Procida, il colore dà luogo a un cromatismo corale di valore ambientale e, allo stesso tempo, funzionale in considerazione delle particolari

caratteristiche climatiche. Il largo uso di tinte di toni chiari certamente ha un’azione riflettente nei confronti dei raggi solari, mentre il colore bianco, derivato dal latte di calce, era prevalentemente e stagionalmente impiegato per gli estradossi delle volte a gaveta per ragioni igieniche legate all’approvvigionamento delle acque pluviali. Il contrasto con gli azzurri del cielo e del mare formava quella quasi assoluta originalità che in Grecia è diventata simbolo e attrazione turistica. L’osservatore sensibile, il fotografo e il pittore di paesaggi, da queste policromie, traggono sensazioni complesse che vanno oltre il semplice dato cromatico. La complessità attiene al connubio paesaggistico tra tinte delle costruzioni,

colori della natura e la particolare luce esaltata dall’azione specchiante della superficie del mare. È una “fusione cromatica” che è rapporto generativo d’intonazioni e coloriti intrecci, laddove contrasti e definizioni cromatiche si fondono e si stemperano nella cosiddetta prospettiva atmosferica. Ecco il colore che cambia sotto la spinta del tempo, c’è una sorta di vita delle tinteggiature che diventano vere e proprie espressioni di pittura materica e informale, anche queste spontanee come l’architettura dell’isola. Superfici grumose, sovrapposizioni e concrezioni di tinte e materiali diversi, di sorprendente sensibilità materica, raggiungono il valore di opere informali di

ph Umberto Amicucci

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artisti contemporanei. Le macchie dei muri nella loro instabilità, per Leonardo Da Vinci, sono fonte creativa, stimolano l’immaginazione, costituiscono materiale interessante per l’artista e per qualunque animo sensibile alla bellezza. Attenzione dunque a questa particolare, ulteriore risonanza del colore. Un valore che mostra infinite matericità ora compatte, ora sgranate. Ora dilavate. Un valore squisitamente cromatico che va tutelato, reintroducendo le antiche tecniche di tinteggiatura, e non annullato col pessimo ricorso utilitaristico a colori industriali che tendono a essere immutabili ed eterni. Una simile angolazione di lettura, nell’aumentare il campo d’indagine, ora più

proteso verso una complessità cromatica che è la stessa dell’immagine paesaggistica di Procida, dovrebbe essere presa in seria considerazione. L’antefatto di un qualsivoglia piano del colore che aspira a essere fattibile deve trovare nella prassi la necessaria condizione di reciprocità tra “comunità sociale” e “comunità cromatica”. La storica e urbanistica “unità di vicinato” deve poter diventare “unità cromatica di vicinato”, nell’accostamento e nel misurato contrasto cromatico delle abitazioni. “Tutti i colori sono gli amici dei loro vicini e gli amanti dei loro opposti”. Ecco una straordinaria riflessione di un grande colorista, quale è stato Chagall: una preziosa indicazione progettuale per un possibile Piano del colore. Certamente, va detto che il Piano del

colore, imperniato sul recupero della tavolozza procidana, è senza dubbio interessante e utile con i suoi sistematici apporti conoscitivi, i procedimenti di tipo analitico e gli indirizzi di carattere tecnico. Resta pur sempre la necessità di una valutazione olistica, affidata all’occhio sensibile che sappia orientare e declinare la norma in ragione della richiamata complessità. Il naturale suggerimento, che vuol essere uno stimolo ad agire in proposito, è quello di costituire una “commissione del colore” nella quale vi sia almeno qualche portatore sano di “cromofilia procidana”. Franco Lista

Arte e storia Un vuoto e un pieno - Palazzo Reale di Napoli La facciata del palazzo reale di Napoli

fu realizzata dall’architetto Domenico Fontana a partire dal 1600. La volle far costruire il vicerè Ferrante, conte di Lemos perchè le ampie stanze del Maschio Angioino non soddisfacevano il concetto di fastosità propria degli Spagnoli( tanto pagava il popolo napoletano),e loro si accingevano ad ospitare il re di Spagna Filippo III. Il progetto di Domenico Fontana prevedeva un porticato continuo al piano terra, ma, dopo un secolo, il re borbone Ferdinando IV chiamò Luigi Vanvitelli a rendere più staticamente sicura la facciata. Che fece Vanvitelli? Annullò, una si e una no, le arcate del Fontana e, per ogni riempimento che faceva, lasciò una nicchia per non alterare troppo l’originario aspetto del palazzo. Nel 1888, Umberto di Savoia volle

dedicare alla città otto statue che ricordassero i re della Storia della città e pensò di collocarle nelle nicchie lasciate dal Vanvitelli sulla facciata del palazzo reale di Napoli. Le statue furono commissionate ad autori diversi e molti hanno trovato a che dire di questa o di quella statua.

Quella più enfatica, dedicata a Vittorio Emanuele II, sicuramente l’avremmo concepita più piccola. Se, però, l’andate a vedere, sotto il cavallo che regge il re c’è uno scoglio.

Museo delle torture a Napoli

Napoli sta puntando sempre più sul

turismo, come risorsa del territorio, ricco di testimonianze di un passato che ha inciso anche su gastronomia, artigianato e tradizioni. In questo processo di riscoperte è nato, seminascosto, nel cuore del Centro Antico, il Museo delle Torture. Passeggiando per via San Biagio dei Librai, un’indicazione incuriosisce i passanti: il manifesto del macabro museo.

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In verità già a Milano negli anni Novanta era stato allestito in un torrione, davanti alla Basilica di Sant’Ambrogio, il Museo delle Torture e dell’Inquisizione. E’ bello oggi vedere nella nostra città, un allestimento che potrà essere poco gradito a molti sensibili, ma altam Napoli sta puntando sempre più sul turismo, come risorsa del territorio, ricco di testimonianze di un passato che ha inciso anche su gastronomia, artigianato

e tradizioni. In questo processo di riscoperte è nato, seminascosto, nel cuore del Centro Antico, il Museo delle Torture. Passeggiando per via San Biagio dei Librai, un’indicazione incuriosisce i passanti: il manifesto del macabro museo. In verità già a Milano negli anni Novanta era stato allestito in un torrione, davanti alla Basilica di Sant’Ambrogio, il Museo delle Torture e dell’Inquisizione. E’ bello oggi vedere nella nostra città,


recandoci a visitare il museo e fare opera di divulgazione comunicativa per scuole e gruppi di turisti. Resterete tutti appagati da un’esperienza ricca di emozioni, anche se tutto sommato, risulteranno“macabre”. Margherita Calò

Un Carmine Lantriceni inedito (e forse perduto) Credevo

proprio che, dopo il mio saggio pubblicato su “Il Rievocatore” nel 2013, a riguardo di Carmine Lantriceni, autore del “Cristo morto” di Procida, non restasse altro da dire; viceversa, la messa in rete di una consistente massa di documenti di archivio ha fatto emergere alcune notizie sulla realizzazione, da parte sua, di alcune sculture per il palazzo del Principe di Tarsia (quello, per intenderci, che sorge a Montesanto, a ridosso del teatro Bracco, il cui cortile è stato trasformato in un vasto parcheggio pubblico). Da una polizza del Banco dello Spirito Santo (g.m. 1266, p. 667), datata 10 ottobre 1733, infatti, risulta l’ordine di pagamento in suo favore dell’importo

di ducati 10, su un prezzo complessivo di ducati 42, per l’esecuzione di «due statue di legname delle quali ne ha fatto

Siamo

tutti propensi al dichiarare la nostra indignazione per le moltissime cose che a Napoli non vanno. Questa antica rubrica del Confronto, invece, vuole testimoniare le tante cose che di buono avvengono in città. Ebbene, tra le tante belle cose che la città nasconde nel suo ampio seno, vogliamo dire che moltissimi dipendenti pubblici che lavorano a Napoli, forse anche in contrapposizione a quelli

una, che vanno proprio sulla Alcova del quarto di basso del Palazzo del Principe di Tarsia suo Signore, e deve finire l’altra statua che fa per il tempo stabilito e la deve assolutamente terminare». Un’altra polizza, poi, questa volta del Banco del Popolo (g.m. 1081, p. 136), datata 31 agosto 1735, reca l’ulteriore ordine di pagamento di ducati 46, in favore di «Zaccaria Denise Maestro Fabbricatore», dei quali una parte dev’essere corrisposta da costui al Lantriceni, «per le Statue dell’Alcova del quarto di basso del Palazzo» del suddetto Principe, don Ferdinando Vincenzo Spinelli. I due documenti consentono, dunque, di comprendere, da una parte, che lo scultore godeva a Napoli della protezione

del Principe di Tarsia, che nel primo di essi si proclama «suo Signore», e, dall’altra, che l’artista – magari, approfittando

L’applauso napoletano che dimenticano di essere, anche loro, cittadini di Napoli, accolgono gli utenticittadini con tantissima cordialità, solerzia e competenza. Oggi il Confronto estende il suo applauso ai dipendenti comunali che sostengono quotidianamente il duro lavoro dello sportello aperto al pubblico, del front office, come dicono gli Europei, con tuto il garbo possibile, con la competenza del caso, con l’ironia che talvolta è anch’essa necessaria, e mai dimenticando di stare

proprio di quella protezione – se la prendeva comoda, nell’esecuzione delle commissioni ricevute: e invero, tra il perentorio invito a «finire l’altra statua che fa per il tempo stabilito e la deve assolutamente terminare» e il suo effettivo completamento trascorrono poco meno di due anni. Né il Lantriceni avrebbe potuto invocare, a scusante della propria lentezza, il fatto di aver dovuto attendere, in quel medesimo lasso di tempo, anche alla realizzazione di una «Beatissima Vergine dei Sette Dolori», commissionatagli da Orazio D’Angelis, per un prezzo di ducati 12, come attesta un’altra polizza del Banco dello Spirito Santo (g.m. 1279, p. 698): il suo rapporto con don Ferdinando Vincenzo, infatti, avrebbe dovuto imporgli di dare la precedenza alle opere destinate a costui. Né può sfuggire la perdita di pazienza, da parte del medesimo, espressa a chiare lettere dalla dicitura «e la deve assolutamente terminare», contenuta nella prima polizza di pagamento. Di fatto, poi, del soggetto delle due opere in questione nulla si sa, per cui, quand’anche fosse possibile accedere all’appartamento nel quale esse furono collocate, non le si potrebbe individuare, né se ne potrebbe verificare l’attuale presenza. Sergio Zazzera

svolgendo una funzione pubblica verso altri cittadini , come loro stessi sanno di essere cittadini. In particolare oggi vogliamo menzionare il geom Pasquale Prisco , al front office del Condono Edilizio , e il geom Ruocco centrifugato all’Ufficio di occupazione suolo nella sperduta contrada di via Murialdo. A loro e a chi lavora a Napoli come loro, l’Applauso del Confronto.

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Storie

Avventura, ovvero: un vomerese in Canada

In

questa epoca di parossismo tecnologico appare anacronistico parlare di fatti ed avventure, eppure la curiosità o la novità sollecita l’apertura mentale nel conoscere storie minime, da quando l’uomo ha ormai superato limiti che fino ad epoche recenti apparivano invalicabili. Oltre il cosmo l’uomo ha varcato ogni immaginazione circoscritta alla struttura mentale, dove, in sorta di recinto intellettuale, davanti all’immenso, la nostra struttura microscopica si circoscrive nella modesta vicenda di noi piccoli esseri in storie che ci coinvolgono e ci stupiscono. Premesso ciò, vorrei descrivere una emozione che apparirebbe modesta, ma che, tuttavia, ha una sua misura. Proiettato in struttura organizzativa, lontana dalle proprie abitudini, il protagonista in oggetto, con opportune proporzioni, ma sicuramente con uguali emozioni di un astronauta, viene coinvolto fisicamente e psicologicamente in quello che tocca l’animo e le sue considerazioni. Reputo necessaria tale premessa per poter descrivere l’avventura di un napoletanovomerese avvezzo a convivere con disagi e contraddizioni del suo ambiente. L’aspettativa accumulata nel tempo ha annullato inevitabili perplessità del cambiamento ambientale tanto che lo stesso viaggio è risultato un’entusiasmante avventura: un vomerese in Canada. Così si può titolare la vicenda. L’ebbrezza del volo, la sete dell’inusitato, il

per poi attraversare in bus la particolare campagna inglese, onde imbarcarmi all’aeroporto internazionale di Heathrow sul mastodontico Boeing 747 dell’Air Canada, grazie ai buoni auspici di mio fratello residente da anni a Vancouver in Columbia Britannica, ho avuto, per sue conoscenze d’ufficio, il privilegio della First-Class e di avere una magnifica assistenza e il beneficio di essere in cabina di pilotaggio dalle stupende visioni del cielo, insieme alla straordinaria osservazione della miriade di luci, leve, pulsanti, apparecchiature e di quant’altro comporta la padronanza del gigantesco velivolo. Attraverso la rotta polare, a 12000 metri di altitudine, a 1000 Km/h, con temperatura esterna di -70°, la riflessione intima, quale microcosmo nella immensità polare, porta a ridimensionare la necessaria umiltà che viene dimenticata

pensiero proiettato verso la destinazione, forma la premessa del comprensibile entusiasmo. Sin dall’imbarco a Roma, nel futuristico aeroporto Leonardo da Vinci, su un aereo della British Airways per Londra,

sulla pochezza della esistenza sul nostro pianeta. Attraverso il Circolo Polare Artico, l’Islanda, la Groenlandia, ecco il nord Canada, dall’immenso territorio costellato di foreste, laghi e fiumi, verso sud, ecco finalmente la British Columbia,

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quindi il grande aeroporto di Vancouver. Allo sbarco, espletate le rituali incombenze doganali, l’emozione è palese, nonostante il fuso orario di 9 ore, per l’incontro con mio fratello che con la sua auto attraversa le ampie strade della città, dall’ordinato e composto traffico. Già iniziano i paragoni. La meraviglia è chiaramente esternata, abituato al caos natio, tutto ciò appare anacronistico. Ordinate e linde le villette dai curati giardini, alternati a maestosi grattacieli le cui grandi vetrate riflettono una luce fantasmagorica, costituiscono il primo impatto. L’abitazione di mio fratello è condizionata da comandi digitalizzati in un grattacielo, dove la pulizia è disarmante, grazie anche a severe norme che riguardano pure bici e pedoni. La descrizione appare ardua per poter enumerare tutto quanto differenzia la realtà napoletana da quella canadese; con dolorosa accettazione devo convenire che basterebbe ben poco per una convivenza civile osservando minime regole elementari. Rispetto reciproco di segnaletica, dove, le sanzioni, seppur rare, comportano una ammenda di duemila dollari per una semplice infrazione stradale in bici! Nei numerosi e curatissimi parchi, infinite gradazioni di colori, di verdi smaglianti; il rispetto per le diverse specie di animali è rigoroso, sotto la sorveglianza di solerti ed onnipresenti guardiani. L’infinità di razze convive in pacifico connubio insieme al rispetto di diverse etnie religiose dai cui templi si evince la serena promiscuità totalmente accettata da regole del paese ospitante. Mezzi pubblici inappuntabili dove il modesto costo del biglietto permette escursioni su bus, metro e battello.


Ho conosciuto italiani, integrati da anni, con attività diverse, dalla inestinguibile nostalgia per i paesi natii, come mio fratello, ma, appagati dai diritti sociali, soddisfatti da rigorosi ricambi di doveri. In buona parte vige l’ordinamento britannico essendo il Canada componente del Commonwealth il cui capo è la regina d’Inghilterra. Sussiste un puritanesimo vittoriano per gli affari e per il culto carrieristico del lavoro, notato da noi, dal temperamento mediterraneo. A tutto ciò sovviene un pensiero che recita: “L’Italia appare un Paese incivile, ma dove la gente, nonostante tutto, sorride, saluta ed esterna”. Le differenziazioni sono infinite, ma già da queste minime considerazioni si trae l’idea di una diversità, di una vivibilità è palese. L’immenso e giovane Paese non possiede particolare retaggio storico come la vecchia Europa, per cui rispetta ed esalta quanto possa celebrare le sue diverse culture etniche. Tra i tanti, un vecchio villaggio

Un

ottocentesco, Burnaby, fondato da pionieri, esploratori e cacciatori di pelli, ha lasciato intatto il suo originale ambiente quale storica testimonianza di un passato da rispettare. Desta meraviglia la Canadian Pacific Railways, la prima grande linea ferroviaria che attraversa il continente dal Pacifico all’Atlantico, considerando che il Canada è grande 32 volte l’Italia! Non sono mancate puntate verso gli USA, il confinante stato di Washington, a Seattle, attraverso stupende località dalle maestose autostrade . Il West americano ha caratteristiche fattorie in immense praterie punteggiate da mandrie diversificate; nel pionieristico, vecchio paese di La Conner vi è tutto quanto ricorda il vecchio West delle diligenze, locomotive, costumi, stores, saloon, ecc. La cucina locale è prevalentemente a base di salmone in tutte le salse; superstiti pellerossa autoctoni Swinomisch accolgono con generosa ospitalità. Al ritorno in British, attraverso il suggestivo Lions Gate Bridge sul First

Narrow e la Trans-Canada Highway, si giunge al Capilano Park tra la foresta del Garibaldi Park, uno dei tanti estesi parchi dalla natura primordiale, con l’ardito ponte di funi del 1889 su un torrente impetuoso dall’altezza di 150 metri. Il Capilano, prende il nome da un capo tribù storico, e vi si ammirano imponenti sculture di totem nei luoghi immortalati da documentari e film d’avventura . Visitiamo il Burrard Inlet, una insenatura sul Pacifico che con lo Stanley Park fu scoperto nel 1791 da George Vancouver per conto della corona britannica e dove si notano battelli che puntano sul vicino Alaska. Ritorno in Europa, sempre sul comodo Boeing 747, attraverso la rotta polare, arricchito dall’indimenticabile ricordo dell’avventura di un vomerese, colmo della inusitata esperienza, in seno al vecchio continente la cui polvere l’accoglie nel suo ventre materno. Mimmo Piscopo

Accadde nello scorso secolo

illustre direttore di cattedra di ginecologia di una città meridionale aveva uno studio in una bella città marina; dalla vetrata si vedeva bene la piccola piazza triangolare. Un giorno di un mese già caldo andò a farsi visitare da lui Rossana, una bellissima signora bionda, consigliata da una sua amica, che precedentemente aveva avuto dopo lunghe cure un figlio maschio. Il clinico, dopo aver messo i guanti di lattice, si accinse alla palpazione. All’improvviso la signora con una mano lo strinse a sé e con l’altra gli aprì la lampo dei pantaloni. Il clinico, dimenticando il Giuramento d’Ippocrate, giacque con lei. Poi, mentre discorreva con la donna, dalla vetrata vide sulla piazzetta un’auto

Tre bambini si sfidano sulla tecnologia.

Il bambino americano, molto fiero, dice: “Mio padre é talmente tecnologico che, quando ha finito di lavorare nel grattacielo, entra nell’ascensore del suo studio, preme un bottone ed in meno di tre minuti scende direttamente a casa!” Il bambino giapponese, altrettanto fiero, dice : “Mio padre ha una poltrona talmente tecnologica che, quando finisce di lavorare, preme un solo pulsante e

rossa decappottabile, con accanto un ufficiale dell’Aeronautica in divisa. La signora gli disse: «Guarda, quello è mio marito: siamo sposati da sette anni e non abbiamo ancora un figlio»; poi, mentre con le sue bellissime unghie gli schiacciava dei foruncoletti, gli disse: «Voglio un figlio da te». Considerando la legge di Ogino Knaus, il medico fissò il prossimo appuntamento, nel quale giacquero in un abbraccio intenso. Un secondo ed ultimo appuntamento fu fissato, sempre in considerazione di quella legge. Trascorsi diciannove anni, il figlio del medico, pilota delle Frecce tricolori, invitò i genitori ad un pranzo sociale e per un caso capitarono allo stesso tavolo di Rossana. Nel corso del pranzo

costei disse al ginecologo che il marito era deceduto in volo e gli chiese se era disposto ad accompagnare all’altare le sue due gemelle, quando si sarebbero sposate. Il giorno delle nozze arrivò dopo circa un anno: le due figlie della signora sposarono due ufficiali dell’Aeronautica militare. Era il 13 ottobre; il ginecologo prese sotto braccio le figlie di Rossana, Marisa e Paola, e insieme, sotto un lungo tunnel di cadetti con lo spadino teso, si avviarono verso la cappella dell’Aeronautica. All’improvviso, le due ragazze gli dissero: «Mamma ci ha raccontato tutto, facendoci giurare di portare nella tomba il segreto: papà, ti ringraziamo». Antonio Ferrajoli

Il Porco di Cernicchio arriva con una capsula direttamente a casa! “ Il bambino napoletano non si scoraggia e dice : “Sé, sé! Vuie nun sapite ‘a tecnologia ‘e pàteme ! . . . lavora al Comune, ed é talmente tecnologico che finisce di lavorare alle 15 e alle 13 sta già a casa per il pranzo!!”

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Nel

Il diario segreto di Ferdinando IV

1734, dopo che si insediò il primo sovrano di Borbone, Carlo, Napoli appariva come un Regno ricco, rivitalizzato dalla cultura dei Lumi, percorso dalla voglia di rinnovamento e di riforme. Nacquero infiniti volti della città dagli occhi di uomini famosi che la visitarono e vi soggiornarono. Tra i tanti un magistrato francese C. de Brasses, rimase fortemente impressionato dai fasti della corte di Carlo di Borbone. La sua analisi sulla società cortigiana offrì un utile contributo alla conoscenza delle’identità nobiliari” e della monarchia. La“casa del re” e quella del “ governo” erano intrecciate tra funzioni cortigiane e funzioni politico -amministrative, un luogo di negoziazione, cui facevano capo reti clientelari in un complesso sistema di poteri incentrati sul sovrano, uno spazio culturale, anche dotato di una specifica identità, capace di auto rappresentarsi attraverso l’utilizzo sia di cerimoniali e di regole di etichetta. Carlo di Borbone, consapevole di aver fondato uno Stato indipendente, allestì una corte che, in primo luogo, svolgesse un’azione di propaganda necessaria per affermare, attraverso manifestazioni diverse di grandiosità e fasto, il prestigio e il ruolo istituzionale della nuova dinastia. Le cariche di corte, in tempi successivi, furono riservate esclusivamente ai signori napoletani e siciliani, per acquisire una politica di sostituzione del gruppo nobiliare spagnolo, e di avvicinamento di quello napoletano. La corte napoletana divenne uno strumento di potere politico, sociale e culturale, a differenza delle corti europee considerate luoghi di frivolezze, sedi dell’irrazionalità, della dissipazione e di intrighi. Ma la realtà era ben diversa dall’apparenza, dietro il fasto delle corti, sui regni pesava ancora un iliade di sciagure pubbliche e private, di sommosse soffocate nel sangue, di lotte accanite tra tirannide e libertà. Furono sessantasei anni di atrocità, a Napoli, ad opera dei Borboni discendenti da Carlo, per ingorde avarizie: una finanza ottusa e un’economia rurale allo sfascio, un popolo tratto in inganno con arti sataniche usate dai suoi stessi nobili o rappresentanti, per prostrarlo, renderlo misero. Falsi processi, esecuzioni spietate con chiunque avesse infangato l’immagine dei Borbone o che si mostrasse, anche

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tendenziosamente, disposto a distruggere la Religione e a dissentire dall’autorità costituita. Il re Ferdinando IV^ sapeva bene che il suo governo non poteva paragonarsi a quello di suo padre, chiamato in Spagna

a reggere la monarchia spagnola, e non perse tempo. Per cancellare il disonore che aveva macchiato la Corona dopo l’episodio della Repubblica Partenopea, fece condannare all’oblio la memoria dell’estinta anarchia, con un editto, a suo nome, che affisse in tutta la città e oltre i confini del Regno, che ordinava la consegna nelle mani del Direttore della Polizia o alla Giunta di Stato di : manifesti, proclami, collezioni di documenti ed altri simili abominevoli carte, raccolte nel tempo, con la comminazione di gravi e severe pene, contro coloro che, entro il termine di otto giorni, continuassero a conservarli. Nell’editto si dispose che tutte le testimonianze cartacee venissero date alle fiamme tramite il boja . Ove mai la quantità eccedesse, il rimanente doveva essere bruciato in privato. Volle far conservare una sola copia per ognuno degli editti da lui emessi, accompagnati da un elenco e consegnati (!8/01/1800) ad un suo archivio segreto. Il primo rogo di libri, giornali e manifesti avvenne nella piazza delle esecuzioni(piazza Mercato). la storia si sfrondò, venne a mancare la letteratura patriottica negli scritti di Cuoco, Botta, Colletta,per far cambiare colore alla verità, non più attinta da fonti dirette come documenti e libri, ma solo da opinioni personali e ripetitive. Altrettanto il re fece dopo la restaurazione

voluta dalle potenze europee a Versailles nel 1815. Continuò la raccolta segreta di documenti fatta per il solo re Ferdinando, nascosta per sessant’anni agli occhi di tutti; ci fu una pagina di storia vera sostituita, per il pubblico, con una serie di documenti falsiUn romanziere e, a suo modo, storico, Alessandro Dumas, incuriosito dalla penuria e dalle contraddizioni dei dati di cronaca, contribuì a fornire un forte sostegno al filone storiografico degli antiborbonici, con un saggio dedicato ai Borbone di Napoli su documenti inediti, sconosciuti, scoperti dall’autore negli archivi segreti della polizia e del Ministero degli affari esteri di Napoli. Nell’archivio segreto di Ferdinando, poi, furono trovati parecchi documenti inediti: una corrispondenza autografa del Re Ferdinando e della Regina Carolina con il cardinale Ruffo; la corrispondenza segreta di Nelson, del conte di Thurn, di Troubridge,e di sir Guglielmo Hamilton; i verbali e documenti inediti del falso processo all’eroe napoletano ammiraglio Francesco Caracciolo e dei martiri del 1799 e del 1800. Fu trovato anche ll diario personale di Ferdinando IV di Borbone, una sorta di confessione scritta di suo pugno, giorno per giorno, a cuore aperto, senza veli di clemenza, con le sue turpitudini, i suoi fantasmi superstiziosi e le grandi passioni per la caccia, le donne e la buona tavola.

Solo pochi mesi fa è stato pubblicato il suo diario raccolto minuziosamente in ventotto volumi. I volti della storia sono infiniti dipende solo da chi la scrive. Silvana D’Andrea


La bella all’ombra di Capri e Ischia

L’isola di Procida nel Golfo di Napoli ha mantenuto il fascino degli anni sessanta. Ora è ricca di una un’attrazione: una vecchia prigione.

Il dottor Retaggio è quello che viene definito un “personaggio “nel sud Italia, una personalità rispettata dalle diverse fazioni politiche. È stato il medico della prigione per 25 anni fino alla chiusura della prigione nel

abbandonato servì inizialmente come prigione per prigionieri politici dei re borbonici di Napoli, in seguito per criminali. “boss della camorra , assassini, li abbiamo tutti qui”, dice Retaggio. Dopo decenni di decadenza, lo stato italiano

1988 e ha scritto dieci libri sulla storia e la cultura di Procida.

lo ha lasciato in rovina dal 2013 nella comunità isolana. “È come dare una vecchia Ferrari a una persona indigente”, dice il dottore in pensione. “Dentro, intere ali sono crollate o almeno collassano, e un restauro adeguato probabilmente costerebbe centinaia di milioni di euro”.

La roccia sorge ripida dal mare, alta circa 80 metri. Sopra di esso si trova una massiccia fortezza, le pareti sembrano crescere fuori dalla roccia. “Terra Murata”, terra protetta da mura,così gli italiani chiamano questo edificio sull’isola di Procida. Il vecchio palazzo aristocratico, usato come prigione per 158 anni, brilla luminoso sul mare. Dopo decenni di decadimento, una parte di esso è ora nuovamente accessibile - per i visitatori che arrivano oggi volontariamente. Il traghetto viaggia tranquillamente attraverso il Golfo di Napoli, lasciandosi alle spalle la città e il Vesuvio. È mattina presto, qualche foschia è sopra il mare. La nave gira a nord e offre la vista delle isole, ancora Procida e Ischia apparentemente intrecciate. Quando la foschia si schiarisce, appare prima la collina del castello che è sublime ma anche minaccioso. Arrivati nel porto, si passa prima tra le piccole casette colorate, in passato color pastello, poi per i negozi di souvenir. E infine per il collegio dei capitani in pensione. Al Bar Roma si svolta a destra in Via Vittorio Emanuele. “Dottò, un altro caffè?” “Sono andati da quella parte, i prigionieri che erano guidati dai carabinieri in catene alla prigione”, ricorda Giacomo Retaggio. Il medico ottantenne arriva ogni giorno nel suo bar preferito, il bar Roma, beve il suo espresso e discute con gli amici.

“Dottò, un altro caffè?” Grida il barista. Non oggi, il vecchio con la testa calva e gli occhi attenti ha fretta. Mordicchia velocemente un dolce di pasta sfoglia ariosa, la lingua di suocera. “È solo di Procida”, commenta brevemente. Il Dottore sale su Via Vittorio Emanuele. Vecchi, alti edifici residenziali con scale ripide, al piano terra piccole boutique, negozi di alimentari. L’edicola Un’enoteca. A Capri, questi negozi sono nelle mani dei grandi designer italiani e di noti gioiellieri. “Il turismo su Procida, tuttavia, è appena sviluppato”, afferma Retaggio. “Sta cambiando gradualmente, l’apertura della prigione è un punto di riferimento su questa strada.” Dal 1830 al 1988, il palazzo aristocratico

Denaro che il comune non ha. Tuttavia, si è consapevoli del significato storico. Le guide locali volontarie ora accompagnano turisti quattro giorni alla settimana attraverso i pochi tratti di sicurezza. “Abbiamo bisogno di questo impegno perché l’amministrazione non ha persone che offrono visite turistiche”, dice Raimondo Ambrosino, sindaco di Procida. Riconosce anche un “cambiamento di mentalità” tra i suoi concittadini. “Tutti quelli che è venuto in precedenza attraverso il mare per noi era, in primo luogo, un “frastiero”“forestiero “, uno straniero, perché la nostra economia non è basata sul turismo, come Ischia e Capri.” Per generazioni gli abitanti di Procida andavano per mare o lavoravano le reti come pescatori. “I più giovani sono più aperti, abbiamo diverse associazioni che mantengono i nostri monumenti e offrono visite guidate per i visitatori”, dice Ambrosino, presso l’Abbazia di San Michele o nel quartiere Casale, blocchi di case antiche con cortili che offrivano al momento del bisogno protezione dagli attacchi saraceni; anche sull’isolotto di Vivara, che è collegata a Procida da un ponte e un tempo era il

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territorio dei signori feudali per la caccia al fagiano. “La flora e la fauna mediterranea prosperano qui completamente indisturbati”, afferma il sindaco. “Non c’è né sviluppo residenziale né traffico stradale”. Nella Piazza dei Martiri, a metà strada tra il porto e il penitenziario, si ha una splendida vista sulla parte posteriore dell’isola. La baia di Marina Corricella con le sue colorate case a forma di cubo è considerata da molti amanti dell’Italia una delle più belle dell’intero paese. I pescatori riparano le reti. Il bucato è appeso sullo stendibiancheria ad asciugare. Sulle tavole dei ristoranti all’aperto, le linguine fumano con frutti di mare e altre prelibatezze. Nella stessa location, il regista Michael Radford ha diretto l’attore Massimo Troisi nel film “Il Postino”, il protagonista scrive poesie per conquistare la bella Beatrice; Matt Damon e Gwyneth Paltrow sorseggiarono nello stesso luogo il Martini in “The Talented Mister Ripley” e strizzarono gli occhi al Mediterraneo sotto il sole cocente. L’ex palazzo fu trasformato in un penitenziario. Gli isolani ne giovarono. “Milioni di persone hanno ammirato le nostre baie già nel cinema - non sapendo che si tratta di Procida”, dice Franco Barone, che si incontra in Piazza con il Dottore. “Nella maggior parte dei film, non esiste un riferimento esplicito a Procida, quindi solo gli intenditori sanno cosa dobbiamo scoprire”. La baia Pozzo Vecchio con la sua scura, fine sabbia vulcanica, le rocce di Vivara o anche la Corricella. Barone, 59 anni, il cui volto è abbronzato grazie ad innumerevoli pranzi in barca, abbassa lo sguardo: “Dieci, 15 anni fa lì solo due o tre ristoranti, dove oggi è la Corricella piena di ristoranti, enoteche e appartamenti che beneficiano del fatto che la baia respira il fascino del sud degli anni ‘60, nel cinema e nella realtà “. Barone e sua moglie Giovanna sono essi stessi responsabili della trasformazione dell’isola. Entrambi sono in realtà

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insegnanti, ma gestiscono un piccolo hotel da oltre 15 anni, con vista sulla baia. Dalla chiesa di Santa Maria delle Grazie la campana suona l’una del pomeriggio. È ora di congedarsi dal dottor ‘Retaggio, il pranzo lo attende. Giovanna Barone, tuttavia, ha finito a scuola e arriva dalla scuola superiore nautica, tiene in mano un grosso mazzo di chiavi. “Avanti!” A poche centinaia di metri, ora è ancora ripido. La Via Salita Castello conduce a “Terra Murata”, il più antico centro di insediamento dell’isola. Gli edifici greci

si ergono con le loro cupole .Proprio nel mezzo: l’ingresso alla vecchia prigione. “L’Istituto di Pena” l’iscrizione in marmo sta sopra il cancello, l’intonaco color ocra è quasi completamente staccato. Sopra l’iscrizione è appesa una Beata Madre, che dovrebbe dare conforto a tutti coloro che dovevano andare dietro le sbarre. Un leggero vento soffia sul piazzale. L’erba e le erbacce proliferano dovunque ,gli uccelli cinguettano di tanto in tanto. Giovanna ci porta in alcune celle. Alcune Piccole e strette, in cui c’era solo un letto. In altre, le”Camerate”, c’erano fino a 40 letti a castello. Le grandi finestre sono senza vetro, le pareti sono alte metri , nell’aria umida del mare le vecchie rastrelliere arrugginiscono. Puzza di sale e muffa “Il carcere aveva una cattiva reputazione a causa del costante sovraffollamento e delle condizioni igieniche precarie”, dice Giovanna. Questa miseria non era necessariamente destinata ai prigionieri “Il feudatario Innico d’Avalos fece

costruire il castello nel 1560 come palazzo residenziale,quello che originariamente era destinato a un piccolo seguito, poi servito in modo intermittente per più di 500 prigionieri.” Così il carcere è diventato un importante fattore economico per l’isola “dice Giovanna Barone.” con le guardie e gli ufficiali ci sono stati da 700 a 800 persone che hanno dovuto essere mantenute qui ogni giorno, “Mantenuto -. e occupato”. La falignameria della prigione era nota per il suo lavoro preciso ,anche le corde che i prigionieri hanno fatto per la le navi, erano di buona qualità.

Resti di questo tempo possono essere trovati ovunque nel palazzo. In alcune delle vecchie stanze, ci sono corde e tessuti in rovina, in uno dei cortili c’è ancora un’enorme sega circolare. Persino i pescatori seguivano il ritmo della prigione. “Se le guardie iniziavano a colpire le sbarre con spranghe di ferro a mezzanotte per verificare la loro integrità, i pescatori sapevano che era ora di finire.” Con controlli così rigorosi, la semplice vista dalle celle sembra essere stata una piccola consolazione per gli esuli. Si può solo difficilmente immaginare una tale vista da una prigione. Attraverso le grate si guarda il Golfo di Napoli, il Vesuvio, Capri, l’azzurro del mare. Un piccolo veliero bianco sta passando. Delicatamente, sembra di toccare nuove rive. Come l’isola stessa. Dal caffè letterario di Procida


I colori del marmo

Alessandro

Magno fu il più grande condottiero che i Greci possano vantare nella loro non breve storia. Fu lui che portò i confini della Grecità fino in India, in Egitto, in Africa, ed anche in Italia ne diffuse l’influenza. Con lui l’arte e la lingua greca si propagarono in un territorio immenso. Lo stesso popolo greco,richiamato dalle possibilità di ricchezza, fuori dalla Grecia, decretò ,contemporaneamente, il tramonto della Grecia classica, e la sua arte e il suo stesso linguaggio venne, mano a mano, contaminato e trasformato in quello che fu, poi, chiamato Ellenismo. Questo fenomeno storico artistico ha lasciato ampie tracce anche in Italia, anche se Alessandro,che pure aveva concepito uno sbarco in Puglia, non vi arrivò mai. Furono, invece, i popoli italici, i Bruzii e i Lucani, che portarono omaggio al grande condottiero, nel 323 a.c. a Babilonia. Gli scambi commerciali inondarono l’Italia di opere e oggetti di grande buon gusto, espressione di lusso e potere. Lo stesso Alessandro inviò, a Crotone e in Puglia, doni e oggetti preziosi procurati, attraverso i tanti saccheggi in Asia Minore. Deve, però, risalire ad un periodo precedente il rapporto tra il territorio dei Dauni ( la parte nord della Puglia, intorno all’attuale Foggia) e i Greci. Selle piccole alture del Tavoliere si concentrò la classe dirigente di quella popolazione che si mise ad ostentare i segni del suo potere arricchendo le proprie case e le proprie tombe di oggetti raffinati e preziosi. Li hanno trovati archeologi e tombaroli,

Libri Andrea

ognuno svolgendo la propria funzione di studioso o di predone.. Spesso più agili e più rapidi a scavare e trovare tante di queste opere d’arte sono stati i tombaroli che, per oltre un trentennio, sono riusciti a esportare in Svizzera tantissimo materiale del genere e a alimentare un floridissimo mercato internazionale. Pare che Paul Getty Senior abbia pagato 10 milioni di lire per portarsi negli USA una scultura marmorea che faceva da appoggio ad un tavolo anch’esso marmoreo: esso rappresenta due magnifici grifoni che si preparano a sbranare una cerva abbattuta. Meravigliose le forme, ma ancora più meravigliose le colorazioni che questo marmo ancora conserva. E ancora più forti e ben conservate sono le colorazioni di altri pezzi di dimensioni minori, raffinatissimi nelle forme e nei disegni: ce n’è uno,una vasca dipinta che rappresenta le Nereidi che insieme alla dea Teti, portano le armi all’eroe Achille. Ma perché il prestigioso Paul Getty Museum ha dovuto restituire all’Italia e

ad Ascoli Satriano, dal cui territorio erano stati sottratti questi preziosi, unici oggetti lavorati nel più puro marmo dell’isola di Paro? Negli anni 70 fu fatto un blitz della Guardia di Finanza nei depositi del Porto Franco di Ginevra, intestati alla società Edition Service. I circa 4000 reperti erano, però già stati fotografati in Puglia per poterli offrire al mercato internazionale appena scavati nel territorio di Ascoli Satriano. Testimonianze di tombaroli pentiti e foto Polaroid furono la prova dell’illecito acquisto fatto da Paul Getty, e grazie agli accordi italo-americani sui beni culturali, oggi, quei gioielli di arte greca comprati 2200 anni fa ai Greci dalle nobili famiglie della Daunia, sono tornati a casa a rendere preziosi con le loro forme e i loro unici colori, le sale del piccolo museo di Ascoli Satriano. eNNe

“La lingua geniale” di Andrea Marcolongo

Marcolongo è orgogliosa di portare un nome che può essere confuso con quello di un maschio. Onore al padre e alla madre! Ma poi, fondando sul fatto di essere studiosa di lingue indoeuropee e antiche, alza la voce nel deserto circostante per chiamare a raccolta quelli che sono stati i piccoli geni del liceo Classico, anzi solo quelli tra i quali la lingua greca andava più a genio, per raccontare che la peculiarità del duale, che il Greco aggiunge ai normali “singolare” e plurale”, e il modo “ottativo” che il Greco coltiva in aggiunta dell’”indicativo” e del “congiuntivo”, in più, quindi, rispetto alle altre lingue attuali e

antiche, danno capacità di comunicazione e significati molto più larghi di quanto si possa essere stato appreso a scuola: come inquadreresto un personaggio come l’autrice del libro? UNA PAZZA! E come inquadrereste un editore che si metta a dare alle stampe un libro come questo, tra l’altro con molte parti scritto con le lettere greche per dare, in originale, brani di saggezza e di cultura greca? UN PAZZO! E uno che, a distanza di parecchi anni da quando ha abbandonato lo studio del Greco, semmai si è messo a fare l’ingegnere: come lo classifichereste? Come classifichereste quelli che si vanno

a comprare un libro come questo? DEI PAZZI! Si, siamo pazzi.

Andrea Marcolongo “La lingua geniale 9 ragioni per amare il Greco” editori Laterza € 15,00

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Elsa

Comunicazione, stile e poesia alla XXXI edizione del Premio Elsa Morante

Morante è stata certamente una grande comunicatrice: di pensiero, di idee, del fare scrittura, poesia e musica; di interpretare, di amare gli animali e non solo. E certamente l’edizione di quest’anno del Premio a lei dedicata, la XXXI, le sarebbe molto piaciuta e, magari, con la sua voce ironica e maliziosa, sempre sorprendentemente giocosa e scanzonata, avrebbe fatto qualche battuta. Un’edizione, quella di quest’anno, all’insegna della comunicazione e della spettacolarità, ma anche delle emozioni più sottese. Da Renzo Arbore che ha letteralmente avvinto l’uditorio con il suo docufilm “Da Palermo a New Orleans… e fu subito jazz”, con tutta la sua carica comunicativa e con la sua cultura composita che ci ha calati nella storia del jazz anche odierno e nella situazione dei nostri emigrati in Louisiana agli albori del Novecento; a Mogol con quel diagramma musicale, sotteso a tutte le sue parole, che ha improntato la nostra canzone a cominciare dagli anni ’60; agli scrittori presenti e carichi di verve come Nicola Lecca e Francesco Piccolo; a quelli che costituivano solo un’assenza - presenza come Elena Ferrante con tutta la sua carica di mistero, di introspezione, di intrigo. Di assenze presenze ce ne sono state altre, il 16 novembre u.s., sul bellissimo palco dell’ Auditorium della Rai messo gentilmente a disposizione dalla Direzione Generale della Rai e dal Centro di produzione Rai di Napoli, nella persona del suo Direttore Francesco Pinto che, ad introduzione della serata, ha formulato un sentito saluto ad una manifestazione in cui crede. Ma, soprattutto, c’è stata l’assenzapresenza di Maria Morante, mancata il 22 ottobre u.s., all’età di 95 anni (era nata il 7 maggio 1922), che, attraverso le parole di Dacia Maraini, è improvvisamente ripiombata tra di noi come quando partecipava alle edizioni del Premio e saliva sul palco per ricordare la grande Elsa nella vita di tutti i giorni. Lei, Maria, così semplice, così schiva, modesta e pudica, dinamica e partecipativa, con una grande carica di pensiero e con un forte afflato umano. Una testa lucidissima, Maria, che racchiudeva l’esperienza di una vita vissuta intensamente, anche nel mondo della politica. Lei, la sorella di un mito della

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letteratura italiana, Elsa Morante. E non è davvero ininfluente tale parentela nel percorso della sua intensa vita, sebbene lei desiderasse essere riconosciuta senza l’appellativo “sorella di..”. Di Maria ricordiamo, soprattutto, che era una compagna, fra le più convinte, fra le più

talmente calata, inflessa e riflessa, protesa, direi, in quella della zia Elsa, che ci è parso proprio di vederla la nostra Musa, con i suoi capelli un po’ arruffati e il viso tra l’imbronciato e il pensoso, seduta al suo scrittoio, o sulla sua poltrona di

ph Annalisa Rossetti

preparate ad argomentare sulla storia del partito comunista italiano, dalla fondazione a cui collaborò la madre, Irma Poggibonsi, di origini ebraiche, nel 1921, alle contraddizioni che il comunismo vive oggi. Una testimone lucida e appassionata che, anche quest’anno, abbiamo sentito tra di noi. Ciao, Maria, non ti dimenticheremo facilmente! Ma è la stessa Elsa che, quest’anno, è risalita sul palco attraverso la voce del nipote Davide Morante, vero suo oracolo, con quella lettura appassionata, sentita, introspettiva, di una lettera a Calvino. Una voce, quella di Davide, che si è

ph. Gilda Valenza

vimini, con gli amati gatti accovacciati ai suoi piedi, intenta a scrivere quella lettera. Abbiamo sognato tutti l’altra sera, avvinti da Elsa, dalla sua prosa lirica, musicale, che accartocciava una parola sull’altra quasi ad avvolgerle e coinvolgerle in un intimo dialogo, lì, in quella lettera rivolta a un Calvino che, anche lui, amava le trasposizioni liriche e fantastiche della realtà. Ma qual è il processo di interazione con una grande scrittrice di cui tutti noi sentiamo il fascino? E’ certamente un rapporto sotteso di complicità, è un “gioco segreto” fatto di tanti e impensati momenti come quello


direttrice, Tjuna Notarbartolo, sempre attenta a che tutte le pieghe del Premio si uniscano sempre fino a formare un unico ventaglio, uno “scialle andaluso” che lei, fine e attenta studiosa della Morante,

che ha ricordato la Presidente del Premio, Dacia Maraini: che Elsa, proprio qualche giorno prima che mancasse, rivolgendosi a lei, Dacia, che era andata a trovarla, lì, nella stanza d’ospedale, mostrandole un mazzo di carte, le disse :”giochiamo?”. Certo, Elsa, giochiamo ancora, giochiamo sempre con quel legame avvincente e sottile della vita che si insegue anche quando non c’è più. E’ sempre un “gioco segreto”, ce l’hai insegnato tu. E noi rimaniamo qua, in silenzio, a tendere le orecchie verso quello che ancora riesci a comunicarci. Anche Gianna Nannini, collega giurata, quest’anno è stata un’assenza-presenza con il suo simpaticissimo e radioso video

Cinema

ph Umberto Amicucci

- saluto inviatoci da Londra. Il vicedirettore della Rai di Napoli, Antonio Parlati, con la sua consueta cordialità ed eleganza, ha saputo legare e collegare il tutto con una bella nota finale. L’edizione di quest’anno si è conclusa all’insegna della festosità, con un Arbore e un Mogol contesi dai fotografi e non solo; con un Francesco Piccolo e un Nicola Lecca carichi di entusiasmo; con un Enzo Borrelli, general manager del SIRE Ricevimenti d’Autore, che è stato elegante anfitrione del ricevimento che ha fatto seguito alla manifestazione ricalcando lo stile che è consono alla sua

sa stendere su tutto per dare al Premio uniformità, unicità, compostezza e stile. La nota finale del Premio è certamente, e sempre, rappresentata da Iki e Gilda Notarbartolo che curano con sapienza, e in tutti i particolari, la parte della comunicazione e del coordinamento dell’evento. La prossima edizione del Premio avrà luogo a maggio e vedrà, nella stessa giornata, rispettivamente la mattina e il tardo pomeriggio, la sezione del Premio Ragazzi e la sezione dedicata ai grandi scrittori. A presto! Teresa Triscari

“Chiamami col tuo nome” premiato come miglior film dell’anno

Verrà

Il film di Luca Guadagnino in uscita in Italia l’8 febbraio 2018

distribuito in Italia solo a Febbraio 2018 ma ha già guadagnato riconoscimenti della critica in giro per il mondo. “Chiamami col tuo nome”, il film diretto da Luca Guadagnino, e`stato infatti distribuito prima in America, a novembre scorso, poi nel Regno Unito in ottobre. Dopo le premiere nei festival australiani di Melbourne e Sidney il film è stato salutato con una standing ovation a Toronto e a New York è stato omaggiato con dieci minuti di applausi. Recentemente la Los Angeles Film Critics Association lo ha premiato come Miglior Film del 2017 e Miglior Regia. Sono in molti che lo candidano come un serio pretendente all’Oscar. La sceneggiatura, scritta dallo stesso Guadagnino con la collaborazione di James Ivory, è un adattamento cinematografico del romanzo omonimo dello scrittore statunitense Andrè Aciman del 2007.

Racconta la storia d’amore tra il giovane Elio e l’americano Oliver, interpretati da Armie Hammer e Timotheè Chalamet. Le vicende si svolgono durante l’estate del 1983 in un piccolo paese lombardo nella bellissima villa della famiglia italoamericana Perlman. Come sempre in Guadagnino, il cast è piuttosto

sorprendente. Nel ruolo di Oliver troviamo l’angelico e bellissimo Armie Hammer di “Animali Notturni”, noto al grande pubblico soprattutto per la pellicola del 2010, “The Social Network” di David Fincher, in quello di Elio scopriamo l’efebico Timothée Chalamet visto in “Interstellar”. Il regista Luca Guadagnino, non così popolare in Italia quanto all’estero, e noto ai più per i film “Io sono l’ amore” del 2009 e “A bigger Splash” del 2015 dei quali “Chiamami col tuo nome” chiude l’ideale trilogia sul desiderio. “Chiamami col tuo nome è anche il mio omaggio ai padri della mia vita – ha detto Guadagnino,- il mio vero padre e i miei padri cinematografici: Renoir, Rivette, Rohmer, Bertolucci”. Gilda K. Notarbartolo

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Italia In Campania: Procida Avellino Serino Caserta Pozzuoli In Sicilia: Cefalù Palermo In Abruzzo: Vasto

Alcuni punti di distribuzione

Estero

A Napoli:

In Inghilterra:

Edicola Porto di Napoli Molo Beverello

Cambridge European Cultural Centre La Dante

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