Juliet 218

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38 | Luca Maria Patella inedito - Libro-Opera “P’alma di mano” (III)

Luciano Marucci

46 | Arte-Vita in Luca Maria Patella - Testimonianze (II)

Luciano Marucci

54 | La Biennale Arte di Venezia 2024 - Politica e Immaginazione per il Sud del Mondo

Loretta Morelli

58 | Venezia: 60. Esposizione - Una Biennale a 360 gradi?

Bruno Sain

62 | “Alias” - M Museum di Leuven

Emanuele Magri

64 | Gianluca Codeghini - Il rumore del tempo

Pietro Coppi

65 | Pino Pascali - alla Fondazione Prada

Giovanni Beta

66 | Adrian Piper - Ininterrottamente in lotta

Irene Follador

67 | Osart Gallery - foto di Luca Casonato

Elena Marcon

Direttore responsabile

Alessio Curto

Editore incaricato

Rolan Marino

Direttore editoriale

Roberto Vidali

Servizi speciali

Luciano Marucci

Direzione artistica

Stefano Cangiano

Nóra Dzsida

Contributi editoriali

Enzo Minarelli

Direttrice editoriale web

Emanuela Zanon

Assistenti editoriali web

Anita Fonsati

Giulia Russo

Web designer

Andrea Pauletich

ANNO XLIV, N. 218 GIUGNO 2024

Juliet online: www.juliet-artmagazine.com

68 | “J’ai une famille” - 10 artisti dell’avanguardia

cinese insediati in Francia

Marta Dalla Bernardina

69 | Sylvia Franchi - davvero arte

Michela Poli

70 | Giacomo Bonciolini - Futuro anteriore

Valerio Dehò

71 | Anselm Kiefer - Il pittodramma angelico

Gabriele Romeo

72 | Alessandro Viglione - Arte e collezionismo

Emanuele Magri

74 | Varsi Art&Lab - a Roma

Michela Poli

76 | Wael Shawky - a Venezia

Fabio Fabris

78

Maria Cristina Strati

80 | GO! 2025 - Nova Gorica - Gorizia

Annibel Cunoldi Attems

82 | Ottavio Silva - Arte e design

Roberto Vidali

Corrispondenti

Berlino - Annibel Cunoldi Attems annibel.ca@gmail.com

Bologna - Emanuela Zanon emanuelazanon@yahoo.it

Brookings (USA) - Leda Cempellin leda.cempellin@sdstate.edu

Genève - Paola Forgione paola.forgione@unipv.it

Milano - Emanuele Magri emanuelemagri49@gmail.com

Melbourne - Stefano Cangiano ste.cangiano@gmail.com

Napoli - Rita Alessandra Fusco ritaalessandra.fusco@gmail.com

Paris - Marta Dalla Bernardina marta.dallabernardina@gmail.com

Tokyo - Angelo Andriuolo arsimagodei@gmail.com

Verona - Francesco Bonazzi bonazeta@gmail.com

Collaboratori

Amina G. Abdelouahab, Lucia Anelli, Elisabetta Bacci, Alessia Baranello, Giovanni Beta, Giulia Elisa Bianchi, Lukrecija Bieliauskaite, Boris Brollo, Erica Cantinotti, Andrea Carnevali, Paola Casari, Antonio Cattaruzza, Angelo Bianco Chiaromonte, Pietro Coppi, Micaela Curto, Alessia D’Introno, Serenella Dorigo, Fabio Fabris, Pasquale Fameli, Irene Follador, Sara Fosco, Emanuele Garlando, Marco Gnesda, Roberto Grisancich, Pina Inferrera, Ernesto Jannini, Francesca Liantonio, Elena Marcon, Chiara Massini, Davide Militano, Loretta Morelli, Ivana Mulatero, Pierluca Nardoni, Claudia Pansera, Liviano Papa, Sara Papini, Michela Poli, Paolo Posarelli, Rosetta Savelli, Piero Scheriani, Anna Setola, Giovanni Viceconte

Promozione e advertising

Fabio Fieramosca

Pubbliche relazioni

Giovanni Pettener

Maria Rosa Pividori

Marcello Corazzini

Paolo Tutta

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PICS

73 | Helen Chadwick – “Adore; abhore”

75 | Yukiko Marukawa - Un vulcano

77 | Chizu Suzuki - Un gioco profumato

79

81 | Bjarne Melgaard - a New York

83 | Orestes Hernández - Scultura antropomorfa

RITRATTI

84 | Scatti di luce - Daniela Dado

Stefano Visintin

91 | Fotoritratto - Fabrizio Vigato

Alessio Curto

RUBRICHE

85 | Sign.media - In tempo reale

Gabriele Perretta

86

Micaela Curto

87 | P.P.* - Nadir Daily

Angelo Bianco Chiaromonte

88 | (H) o - dell’intellettuale

Angelo Bianco Chiaromonte

89 | Part I - Brian Dettmer

Leda Cempellin

90 | Arte e Collezionismo - Piersandro Pallavicini

Serenella Dorigo

AGENDA

92 | Spray - Eventi d’arte contemporanea AAV

Luca Carrà

Giuseppe Cassalia

Stefano Visintin

Illustrazioni

Consulente tecnico

David Stupar

Juliet Cloud Magazine

Cristiano Zane

Collaborazioni

JULIET art magazine collabora con scambio di notizie con la web-rivista www.olimpiainscena.it

di Francesco Bettin

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DAVIDE MARIA COLTRO, dalla serie “Metropolis”

dall’artista - autentica elettronica con dati incrociati al server. Ph courtesy MA*GA, Gallarate

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Juliet è pubblicata a cura dell’Associazione Juliet. Autorizzazione del Tribunale di Trieste, n. 581 del 5/12/1980, n. 212/2016 V.G. registro informatico

Illustrazione
37 Juliet 218 | Seprivodeltriangolo SAGGIO GRATUITOes.IVA (D.P.R.26/10/1972)N.663art.2,lett.d JUL_SOMMARIO MASTER_.indd 37 16/05/2024 3:32:43 PM

POLITICA E IMMAGINAZIONE PER IL SUD DEL MONDO

UN PERCORSO COMPLESSO ALLA SCOPERTA DELLA

BIENNALE 2024 CHE SI COLLOCA NEL CLIMA DI CONFLITTO TRA POPOLI E VISIONI DEL MONDO. LINGUAGGI PERSONALI E PADIGLIONI NAZIONALI, SEMPRE PIÙ INTERCONNESSI NEI CONTENUTI, RESTITUISCONO LE SFIDE DEL PRESENTE IN UNA NUOVA POSSIBILITÀ DI SAPER LEGGERE LA STORIA E SOPRATTUTTO LE STORIE

Anna Maria Maiolino “Anno 1942” dalla serie

“Mapas Mentais” 1973-99, gouache su inchiostro, trasferibili e segni di bruciatura su carta (Arsenale), Leone d’Oro alla carriera, 60. Esposizione Internazionale d’Arte - La Biennale di Venezia (courtesy l’Artista)

Yinka Shonibare “Refugee Astronaut VIII” 2024, manichino in fibra di vetro, tessuto di cotone stampato a cera olandese, rete, oggetti, casco da astronauta, stivali lunari e base in acciaio (Arsenale), 60. Esposizione Internazionale d’Arte - La Biennale di Venezia (courtesy l’Artista)

“L’opera è esposta per la prima volta alla Biennale Arte”, questa semplice riga da didascalia, spesso neanche considerata, diventa, una dichiarazione d’intenti che svela le ragioni delle scelte di que -

solo il titolo del 2024, è una visione critica sul passato, presente e futuro del sistema dell’arte e, in generale, della prospettiva centrata sull’Occidentale, da tempo in crisi profonda, insieme ai suoi pilastri di capitalismo e individualismo. Una traiettoria, già tracciata due anni fa da Cecilia Alemani, che scelse di esporre l’80% di donne e soggetti non binari, continua oggi in modo ancora più evidente attraverso una celebrazione dello straniero in tutte le sue -

viene dal Sud globale, a chi fa parte della comunità queer, agli outsider, agli indigeni, ai migranti, a chi da sempre occupa i margini. Il curatore Adriano Pedrosa (1965, Rio de Janeiro) è il primo latino-americano a dirigere la manifestazione; il primo dichiaratamente queer. La sua origine e prospettiva dall’emisfero meridionale hanno guidato un tentativo di riscrivere, o meglio, di scrivere una nuova storia moderna e contemporanea, con 331 artisti e collettivi di 80 paesi, provenienti, per la maggior parte, da Africa, Asia, Medio Oriente e America Latina, senza discriminazioni di genere e perlopiù alla loro prima partecipazione. La sua indole alla contaminazione e versatilità lo hanno portato alla designazione di un tema politico e al contempo così poetico, ricco di rimandi e interrogativi che sono intrinseci alle parole scelte. “Ovunque tu vada ci sono stranieri ma allo stesso modo ovunque ti trovi sei sempre uno straniero nel

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profondo”; una complessità semantica ripresa letteralmente da una serie di opere realizzate dal 2004 dall’artista Claire Fontaine (collettivo formato da Fulvia Carnevale e James Thornhill) che, a

muoverà le proteste di un gruppo di attivisti torinesi contro la dilagante xenofobia degli anni Duemila. L’installazione di Fontaine è disseminata negli iconici cantieri navali delle Gaggiandre all’Arsenale: 53 sculture al neon dei lemmi “Foreigners Everywhere” riproposti nelle lingue occidentali e in diversi idiomi indigeni, alcuni dei quali estinti, sono sospese sull’acqua appese al por -

visivamente la vastità semantica.

La mostra, articolata come di consueto tra il Padiglione Centrale ai Giardini e l’Arsenale, comprende due sezioni distinte: Nucleo Contemporaneo e Nucleo Storico. Il primo è volto alla valorizzazione di soggettività considerate ‘strane’, come l’artista queer spesso perseguitato o messo al bando; l’artista folk o popular ; l’artista indigeno sovente trattato come un diverso nella terra di nascita, l’outsider e l’autodidatta. A quest’ultima categoria appartiene il Leone d’Oro alla Carriera Anna

Frieda Toranzo Jaeger “Rage is a Machine in Times of Senselessness” 2024 (particolare), olio e ricami su tela (Arsenale), 60. Esposizione Internazionale d’Arte - La Biennale di Venezia (courtesy l’Artista)

a sinistra: Brett Graham “Wastelands” 2024, legno, vernice a polimeri sintetici (Arsenale), 60. Esposizione Internazionale d’Arte - La Biennale di Venezia (courtesy l’Artista)

sotto: Daniel Otero Torres “Aguacero” 2024, tecnica mista (Arsenale), 60. Esposizione Internazionale d’Arte - La Biennale di Venezia (courtesy l’Artista)

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M MUSEUM DI LEUVEN

di Emanuele Magri

Claire Fontaine

“Headless Mann” 2016. Foto di Emanuele Magri

Patrick Ireland

“Five Identities” 2002. Per gentile concessione di Galerie Thomas Ficher. Crediti fotografici

Antony Hobbs

La mostra, in sei diverse sale, riunisce circa ottanta opere d’arte provenienti da collezioni pubbliche e private nazionali e internazionali, che illustrano le strategie utilizzate dagli artisti contemporanei per fondere finzione e realtà e confondere la nostra percezione della verità.

Nell’epoca in cui, stravolgendo Hegel, tutto ciò che è reale è demenziale, in cui siamo dominati da intelligenza artificiale, notizie false e video deepfake , in cui è difficile distinguere tra realtà e finzione, non c’è da stupirsi se esistono artisti immaginari, cioè se alcuni artisti creano degli alter ego che vivono di vita propria. Alcuni artisti permettono a entrambi di coesistere incarnando alter ego immaginari. Creano personaggi artistici completi delle loro biografie e presentano la loro finzione come se fosse realtà. Adottando un’identità diversa, gli artisti possono liberarsi dalle questioni di genere o culturali, dalle regole del mondo dell’arte e dal sistema capitalista che trasforma i nomi in marchi.

Le sezioni sono: Immaginare nomi , Volti di finzione , La collezione Yoon-Ja Choi e Paul Devautour, Riscrivere il passato , Sfidare il mondo dell’arte , Il bisogno di un Alias .

La scelta del nome fa parte del gioco. Un nuovo nome implica la fuga da ogni forma di predestinazione, la scelta può essere di un nome generico comune (John Doe Co., John Dogg) o di un nome politico (Janez Janša Janez Janša Janez Janša) può essere una firma (Ernest T.) o un timbro (Herman Smit). Una sala è proprio dedicata alle opere di artisti immaginari i cui nomi svolgono un ruolo essenziale nella nostra esperienza o interpretazione del loro lavoro. Per esempio, l’artista di fantasia Claire Fontaine ha preso il nome dall’iconico ready-made di Marcel Duchamp – il famoso orinatoio con il titolo francese “Fontaine” – e dal marchio di cancelleria francese Clairefontaine. È stato fatto notare come il problema della firma col proprio nome sia un momento cruciale nella storia dell’arte quando, col primo Rinascimento, si è passati da un sistema radicato nelle cooperative di corporazione alla creatività individuale. L’introduzione della firma dell’artista coincide con questo cambiamento (vedi Jan van Eyck e da noi Giotto).

Stabilito un nome si sceglie il e si creano (auto) ritratti di artisti che sostanzialmente non esistono. Un ritratto può essere una critica femminista all’immagine sociale restrittiva di cosa significhi essere una donna (Roberta Breitmore). Oppure può costituire una critica alla “produzione” all’interno del sistema capitalista (Claire Fontaine). Un ritratto di gruppo può visualizzare in quali ambiti (Brian O’Doherty). In alternativa, può servire come

mezzo per far scomparire l’artista come autore a favore della rete di collezionisti che lo circonda (Philippe Thomas).

Anche in questo caso possiamo ricordare come una svolta sostanziale nella storia dell’arte sia stata la comparsa dell’autoritratto dell’artista, basterà ricordare quello di Dürer che si impone per la sua potente presenza.

Qui invece abbiamo Cinque Identità di Patrick

“ALIAS” A LEUVEN, IN BELGIO, È UNA MOSTRA

CHE AFFRONTA TEMI E PROBLEMI SULLA STORIA

DELLʼARTE CONTEMPORANEA MA, CON RIFERIMENTI, ANCHE A QUELLA ANTICA, IN SENSO GENERALE E CON UNA PROSPETTIVA COINVOLGENTE

Ireland, 2002, in cui l’artista si rappresenta insieme alle altre sue identità. In una sala è esposta una parte della collezione Yoon-Ja Choi & Paul Devautour. Martin Tupper, che opera come artista, critico e allo stesso tempo è uno pseudonimo immaginario di Yoon-Ja Choi e Paul Devautour, ha concepito l’allestimento della collezione, che evoca allo stesso tempo uno showroom, uno stand collezione privata. Art Keller, Richard Allibert e Gladys Clover... Sono solo alcuni dei tanti artisti

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immaginari collezionati dagli artisti francesi Yoon-Ja Choi e Paul Devautour. Fino al 1985, entrambi creano arte con il proprio nome, e poi con vari alter ego. L’artista Richard Allibert, ad esempio, lavora esclusivamente con readymade : oggetti semplici o di uso quotidiano lasciati inalterati. Buchal & Clavel mettono insieme in discussione il principio del duo artistico. L’artista J. Duplo, invece, lavora esclusivamente con i mattoncini Lego.

Nella sezione Riscrivere il passato Justine Frank e Darko Maver (o Florence Hasard) riportano in vita artisti “storici” ma interamente immaginari, costruiti per mezzo di foto d’epoca e frammenti di

Es si dichiarano artisti anche se ricoprono ruoli autorevoli molto diversi all’interno della scena artistica belga. In alternativa, da un’artista immaginaria come Emily Feather, nasce il desiderio di anonimato e l’abbandono della paternità individuale. Il gruppo Bernadette Corporation adotta un’identità quasi aziendale, per criticare una cultura globale che costruisce identità attraverso il consumo e il marchio. Nel 2005, Bernadette Corporation pubblicava il romanzo scritto congiuntamente da “Reena Spaulings”, che servirà poi come base per nuove iniziative artistiche come Henry Codax che esisteva solo sulla carta: come caricatura del pittore monocromatico americano – silenzioso, radicale, calcolatore, virile – apparso nel romanzo Reena Spaulings (2004) del collettivo Reena Spaulings, che funziona sia come artista sia come galleria d’arte situata a New York. L’artista immaginario Henry Codax ha iniziato a esporre dipinti monocromi in rinomate gallerie di New York, Los Angeles e Svizzera nel 2011. Erano esempi perfetti di tutto ciò che il mondo dell’arte

contemporanea richiedeva a un “professionista”, solo che Henry Codax non esisteva. Peraltro abbiamo trovato conferme nel nostro viaggio in Belgio nei vari musei visitati. Nella vicina Gent, nel Museo di Belle Arti, una delle numerose sezioni tematiche con cui sono organizzate le raccolte del museo è quella dal titolo Identità . Si ribadisce come alla fine del medioevo i pittori sono degli artigiani che si raggruppano in seno a gilde. Nei Paesi Bassi van Eyck è il primo artista che firma le sue opere. Che dire poi di una figura come quella di Paul Nougé di cui si parla nella mostra Histoire de ne pan dire. Surrealismus in Belgium da Bozar, sempre a Bruxelles. Come giudichiamo il mimetismo con cui l’autore si cala nello stile di colui al quale riscrive i testi o addirittura ne compone i poemi? Dal 1927 al 1950 Paul Nougé accompagna con i suoi testi e i suoi commentari l’opera di Magritte, suggerendogli anche i titoli di numerosi lavori. In questo caso l’autore nega il suo nome a favore del nome di un’altra persona. Insomma, per finire, in un’opera, in una mostra di solito si dice che l’artista ci deve mettere la faccia. In questo caso invece Claire Fontaine con Headless Mann , 2016, ci presenta un uomo senza faccia, senza testa, rappresentando al meglio la filosofia che sottende questa mostra.

Vista parziale della mostra “Alias” da M Leuven.
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Courtesy Useful Art Services

ALLA FONDAZIONE PRADA

di Giovanni Beta

Quando nel settembre del 1968 Pino Pascali muore in un incidente motociclistico, l’Italia è in pieno fermento. I movimenti di contestazione sono nel loro momento più vivo: proprio qualche mese prima, a maggio, la XIV Triennale di Milano veniva occupata nel giorno stesso dell’inaugurazione. Nel mondo dell’arte l’arrivo in laguna della Pop-Art americana alla Biennale del 1964, vinta da Robert Rauschenberg, portava un’ondata di novità, mentre sul piano dell’immaginario creativo i prodotti di intrattenimento ame -

breve carriera artistica di Pascali s’interrompe bruscamente proprio in un momento così particolare, ma la sua fantasia aveva già generato mondi destinati a rimanere ricordi vividi nel panorama artistico nazionale e internazionale.

Le altre due sezioni, rispettivamente situate nella galleria Nord e nella galleria Sud del complesso, propongono alcune opere dell’artista presenti in

LA FONDAZIONE PRADA OSPITA FINO AL 23 SETTEMBRE 2024

UNʼAMPIA RETROSPETTIVA DEDICATA AL LAVORO DI PINO PASCALI. LA

MOSTRA, A CURA DI MARK GODFREY, È SUDDIVISA IN QUATTRO SEZIONI ED È ALLESTITA NEI DUE PIANI DEL PODIUM, NELLA GALLERIA SUD E NELLA GALLERIA NORD DELLA SEDE DI MILANO

Fondazione Prada dedica a questo artista una grande mostra retrospettiva, curata da Mark Godfrey, precedentemente curatore presso la Tate Modern. Godfrey, autore del testo che accompagna il catalogo dell’esposizione, propone Pascali in una dimensione esibizionistica, intesa come performatività a tutto tondo, sviluppata costruendo mondi e opere pensate per essere vissute come scenografie e parchi divertimento.

In effetti l’artista ha molto in comune con il mondo dell’esibizione e dello spettacolo: nei primi anni Sessanta lavora a Roma per la Rai,

lavoro artistico di Pascali. La dimensione monumentale delle sue opere e la costruzione di modelli in scala reale, oltre all’aspetto ludico delle sue installazioni, costituiscono una traccia evidente del suo passato da scenografo di spettacolo.

Nel 1965 la Galleria La Tartaruga inaugura a Roma la prima personale dell’artista, seguita poi da altre importanti esposizioni: presso la Galleria Sperone di Torino nel 1966 e presso la Galleria L’Attico, a Roma, nel 1966 e nel 1968. A queste mostre è dedicata la prima sezione del percorso espositivo proposto da Fondazione Prada, che restituisce in maniera precisa e didascalica gli ambienti delle gallerie, con una simulazione interessante: una doppia immersione nel mondo dell’artista inseriti a loro volta nella ricostruzione degli ambienti espositivi originali, almeno nelle loro caratteristiche essenziali.

La seconda sezione della mostra si sviluppa al piano

materiale utilizzato dall’artista, un settore espositivo meno storicizzato e maggiormente dedicato all’aspetto sensibile del lavoro di Pino Pascali.

di Claudio Abate, Ugo Mulas e Andrea Taverna, particolarmente interessanti per l’approccio innovativo all’ideazione di uno scatto che comprenda artista e opera. La scelta di fotografare Pascali in posizioni insolite e irriverenti soddisfa sia l’esigenza pubblicitaria del promuovere l’artista, sia il desiderio di proporre al pubblico un modo nuovo e leggero di vivere la mostra. Vedendo alcuni scatti, non si può non pensare alle buffe pose di Bruno Munari che compongono la “ricerca della comodità in una poltrona scomoda”, serie fotografica apparsa sulla rivista Domus nel 1944. Un simile paragone può aiutare a comprendere l’interesse di Pino Pascali nell’ambito del design e della creazione di uno spazio, ideato e vissuto in maniera irrazionale e fantasiosa. Il progetto espositivo proposto da Fondazione Prada è un percorso completo attraverso l’opera di un artista così intenso e con un’eredità così cospicua, ma con una lettura storica e sociale, la mostra attraversa anche le istanze creative che hanno portato l’Italia del dopoguerra a una dimensione internazionale, analizzando gli scambi e le dinamiche di importazione ed esportazione creativa di quegli anni.

Vista della mostra “Pino Pascali” Fondazione Prada, Milano. In primo piano: l’opera “Vedova blu” del 1968, collezione Museum moderner Kunst Sti ung Ludwig Wien, Leihgabe der Österreichischen Ludwig-Sti ung (in prestito dall’Austrian Ludwig Foundation dal 1981). In secondo piano, a parete: ingrandimento di una foto di Claudio Abate che ritrae Pino Pascali con “Vedova blu” (1968). “Sesta biennale romana. Rassegna delle Arti Figurative di Roma e del Lazio”, Palazzo delle Esposizioni, Roma, 1968 © Archivio Claudio Abate. Foto di Roberto Marossi, courtesy Fondazione Prada

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ADRIAN PIPER

ININTERROTTAMENTE IN LOTTA di Irene Follador

Adrian Piper, 2024, vista dell’istallazione

“Race Traitor” realizzata per il PAC, ph Nico Covre - Vulcano Agency, courtesy PAC, Milano

AL PAC DI MILANO UNA MEMORABILE

RETROSPETTIVA SULLʼARTISTA ADRIAN PIPER, “RACE TRAITOR”, DOPO OLTRE VENTʼANNI IN EUROPA, RIPERCORRE UNA CARRIERA DI LOTTE POLITICHE SULLʼIDENTITÀ E SULLA LIBERTÀ. LʼESPOSIZIONE È UN RIFLESSO DELLE VERITÀ SOCIALI CHE ALZANO UN VENTO DI CAMBIAMENTO

Adrian Piper

“Everything #2.8” 2003, Fotografia fotocopiata su carta millimetrata, levigata con carta vetrata, sovrastampata con testo a getto d’inchiostro 21,6 x 27,9 cm. Collezione privata ©

Adrian Piper Research Archive (APRA) Foundation

Berlin, courtesy PAC, Milano

1948). E nella mostra del PAC, a Milano, emerge la multiforme natura dell’artista concettuale, che con le sue opere ha sempre posto domande e questioni scomode su politica e identità. La sua pratica è prorilettura con occhio critico delle dinamiche socialività al confronto con la realtà e al cambiamento. In “Race Traitor” tutti i lavori sono allacciati dal concetto, malsano e coloniale, di “razza” e dal lungo processo di liberazione che Adrian Piper ha messo in atto. Alcuni primi lavori dell’artista Drawings about Paper and Writings about Words (1967) e Hypothesis (1968-1970) – non considerando le primissime opere

variabili e permutabili. Ma è negli anni Settanta che i lavori di Adrian Piper abbracciano la direzione concettuale; l’artista realizza lavori come Close to Home (1987) o Cornered (1989) nei quali l’intento è chiaro: svelare il razzismo presente nella società americana (e non solo). Coinvolgenti, fastidiose e ingombranti si rivolgono direttamente alla coscienza di chi guarda, partendo dal presupposto che ognuno di noi avrà peccato in discriminazioni. L’artista dimostra la sua capacità di unire rigore concettuale con un impatto emotivo viscerale. Costringe al confronto sia con la sua presenza sia con il disagio per le colpe. Sconvolgere il pubblico dell’arte è diventata la sua missione nel corso

della carriera; la serie Catalysis turba gli incontri quotidiani con i passanti, criticando i tabù sociali e sviscerando il “ripugnante”. Ugualmente anche nella serie The Mythic Being , Adrian Piper si traveste per ridicolizzare l’ego maschile e per evidenziare tanto la dei canoni di appartenenza a un genere. Negli anni Ottanta l’artista partecipa ai salotti e alle feste della “buona” società newyorkese, in questo contesto genera le sei azioni My Calling (Card) (1986). Su dei biglietti da visita fa stampare in realtà frasi e ammonimenti che distribuisce ogni volta che subiva comportamenti discriminatori. Sempre utilizzando l’autorevole espediente del confronto diretto, Adrian Piper ammonisce chiunque in maniera diretta mostrando la loro complicità nel perpetuare forme di razzismo e incoraggiando a riconoscere le disuguaglianze sistemiche. Ancora l’artista ha esplorato forme di autoesame e introspezione sulla cultura come in Funk Lessons (1982-1984), performance nella quale percorre attraverso la danza sia l’identità della cultura afroamericana sia il contributo della stessa nella costituzione della cultura statunitense; il pubblico coinvolto è istruito su come ascoltare e ballare la musica della classe popolare afroamericana.

è sempre manifesto e evidente soprattutto in una delle opere più recenti Das Ding-an-sich bin ich (2018), in cui ricerca profondamente il rapporto tra Io e percezione; attraverso una forma estetica sublime

tutte le cose sono interconnesse e intrinsecamente soggettive poiché in continua evoluzione.

Adrian Piper propaga tanto una critica istituzionale quanto una critica sociale; esprime la sua profonda convinzione nel potere dell’Arte di dell’arte e del suo potenziale di cambiamento sociale. Complessivamente, “Race Traitor” è servita a ricordare il sempre urgente bisogno di affrontare il razzismo e la disuguaglianza nella società. Artista forte e incisiva che non ha mai abbandonato il suo impegno verso la giustizia sociale, la mostra di Adrian Piper (chiusura prevista per il 9 giugno) è

l’esposizione è il resoconto attento di una carriera – ma soprattutto di una vita – al servizio di un’arte sociale e politica.

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EVENTI DʼARTE

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M i MMo Paladino

“I Dormienti” 1998, progetto per “Arte all’Arte 3”. Venticinque sculture in bronzo, dimensione naturale, Fonte delle Fate Poggibonsi. Foto Ela Bialkowska, courtesy Associazione Arte Continua, San Gimignano

BENEVENTO

Termina il 5 luglio “Muovetevi il meno possibile”, personale di Sara Cancellieri, a cura di Francesco Creta. L’artista di origini beneventane ha presentato negli spazi della Galleria Mondoromulo Arte Contemporanea (via Sannitica 169, Castelvenere, BN) sei sculture ambientali fatte di elementi ripetuti. Questi segni rimandano solo apparentemente a una produzione seriale; come dichiarato dall’artista “il modulo è un luogo di conforto e confronto, possibilità di estendere e ripensare infinite volte la dimensione del finito”. Il titolo della mostra ha radici storiche che riprendono un’indicazione pittografica presente nei rifugi antiaerei della Seconda Guerra Mondiale. In questo modo si evoca l’angoscia di quei luoghi angusti e l’importante consapevolezza di un momento storico, dal momento in cui, oggi, i conflitti bellici si ripresentano in maniera prepotente sulla scena internazionale. Il Golem posto in apertura è una scultura formata da griglie in terracotta smaltata che racconta una storia di segregazione: nell’opera l’argilla prende vita attraverso micromovimenti, creando ricordi di prigionia. Una tremenda leggenda è un’interessante opera modulare: le piccole

mine in terracotta smaltata, che all’apparenza richiamano un elemento naturale, appartengono alla dimensione dell’instabilità. Solo l’unione di ogni singolo modulo crea equilibrio. L’opera che dà il titolo alla mostra è invece un’installazione di proiettili funambolicamente posizionati su esili gambe in ferro che nel testo critico di Creta viene presentata come “un eterno volo senza mai raggiungere l’obiettivo; bombe in decollo che obbligano a tenerci distanti; nuovi alberi di un paesaggio bellico”. Il primo giugno, nella project room della galleria, si è tenuta la presentazione de “La vipera d’oro”, un progetto collaterale di ricerca con esposta una serie di monotipi ispirati alla storia longobarda.

-Sara

BOLOGNA

Ad Arte Fiera 2021, nello stand di do ut do, un contenitore culturale che fa capo all’Associazione Amici della Fondazione Hospice, fu presentato “NINO”, un mobile/oggetto progettato da Michele De Lucchi (in collaborazione con il designer Alberto Nason) per conservare 596 ritratti fotografici realizzati da Nino Migliori alla luce di un fiammifero nel

Sara C anCellieri “Muovetevi il meno possibile” 2024, terrecotte smaltate, tondini di ferro, misure ambientali, courtesy Mondoromulo Arte Contemporanea

suo studio bolognese di via Elio Bernardi 6. Le immagini sono suddivise in dodici volumi o raccoglitori (in copia unica), rilegati da Sandra Varisco. Ora questo pezzo particolare della nostra memoria culturale è stato donato al MAMbo , grazie ai buoni uffici di do ut do, che ha potuto fare questa operazione grazie al contributo di PwC Italia. Inoltre, al MAMbo si è aperta al pubblico la mostra intitolata: Frontiera 40, Italian Style Writing 1984-2024, a cura di Fabiola Naldi; l’inaugurazione si è collegata a una cerimonia di intitolazione di un passaggio pedonale dedicato alla ricercatrice e critica d’arte Francesca Alinovi (Parma, 1948 - Bologna, 1983), alla presenza del sindaco Matteo Lepore, la delegata alla cultura di Bologna e Città metropolitana Elena di Gioia e di Lorenzo Balbi, direttore del museo, per poi proseguire con un set sonoro da parte di NEU RADIO, media partner della mostra. L’ideazione di questa esposizione è nata dall’esigenza di ricordare il quarantesimo anniversario di Arte di frontiera. New York Graffiti, progetto precedentemente curato dalla studiosa scomparsa. Di cosa tratta dunque l’esposizione? Il tema è la dissoluzione dei confini e lo sviluppo del “writing”. Fino al 13 luglio è dunque possibile vedere come questo processo artistico negli anni

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