ANNO XLIV, N. 218 GIUGNO 2024
Juliet online: www.juliet-artmagazine.com
68 | “J’ai une famille” - 10 artisti dell’avanguardia
cinese insediati in Francia
Marta Dalla Bernardina
69 | Sylvia Franchi - davvero arte
Michela Poli
70 | Giacomo Bonciolini - Futuro anteriore
Valerio Dehò
71 | Anselm Kiefer - Il pittodramma angelico
Gabriele Romeo
72 | Alessandro Viglione - Arte e collezionismo
Emanuele Magri
74 | Varsi Art&Lab - a Roma
Michela Poli
76 | Wael Shawky - a Venezia
Fabio Fabris
78
Maria Cristina Strati
80 | GO! 2025 - Nova Gorica - Gorizia
Annibel Cunoldi Attems
82 | Ottavio Silva - Arte e design
Roberto Vidali
Corrispondenti
Berlino - Annibel Cunoldi Attems annibel.ca@gmail.com
Bologna - Emanuela Zanon emanuelazanon@yahoo.it
Brookings (USA) - Leda Cempellin leda.cempellin@sdstate.edu
Genève - Paola Forgione paola.forgione@unipv.it
Milano - Emanuele Magri emanuelemagri49@gmail.com
Melbourne - Stefano Cangiano ste.cangiano@gmail.com
Napoli - Rita Alessandra Fusco ritaalessandra.fusco@gmail.com
Paris - Marta Dalla Bernardina marta.dallabernardina@gmail.com
Tokyo - Angelo Andriuolo arsimagodei@gmail.com
Verona - Francesco Bonazzi bonazeta@gmail.com
Collaboratori
Amina G. Abdelouahab, Lucia Anelli, Elisabetta Bacci, Alessia Baranello, Giovanni Beta, Giulia Elisa Bianchi, Lukrecija Bieliauskaite, Boris Brollo, Erica Cantinotti, Andrea Carnevali, Paola Casari, Antonio Cattaruzza, Angelo Bianco Chiaromonte, Pietro Coppi, Micaela Curto, Alessia D’Introno, Serenella Dorigo, Fabio Fabris, Pasquale Fameli, Irene Follador, Sara Fosco, Emanuele Garlando, Marco Gnesda, Roberto Grisancich, Pina Inferrera, Ernesto Jannini, Francesca Liantonio, Elena Marcon, Chiara Massini, Davide Militano, Loretta Morelli, Ivana Mulatero, Pierluca Nardoni, Claudia Pansera, Liviano Papa, Sara Papini, Michela Poli, Paolo Posarelli, Rosetta Savelli, Piero Scheriani, Anna Setola, Giovanni Viceconte
Promozione e advertising
Fabio Fieramosca
Pubbliche relazioni
Giovanni Pettener
Maria Rosa Pividori
Marcello Corazzini
Paolo Tutta
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PICS
73 | Helen Chadwick – “Adore; abhore”
75 | Yukiko Marukawa - Un vulcano
77 | Chizu Suzuki - Un gioco profumato
79
81 | Bjarne Melgaard - a New York
83 | Orestes Hernández - Scultura antropomorfa
RITRATTI
84 | Scatti di luce - Daniela Dado
Stefano Visintin
91 | Fotoritratto - Fabrizio Vigato
Alessio Curto
RUBRICHE
85 | Sign.media - In tempo reale
Gabriele Perretta
86
Micaela Curto
87 | P.P.* - Nadir Daily
Angelo Bianco Chiaromonte
88 | (H) o - dell’intellettuale
Angelo Bianco Chiaromonte
89 | Part I - Brian Dettmer
Leda Cempellin
90 | Arte e Collezionismo - Piersandro Pallavicini
Serenella Dorigo
AGENDA
92 | Spray - Eventi d’arte contemporanea AAV
Luca Carrà
Giuseppe Cassalia
Stefano Visintin
Illustrazioni
Consulente tecnico
David Stupar
Juliet Cloud Magazine
Cristiano Zane
Collaborazioni
JULIET art magazine collabora con scambio di notizie con la web-rivista www.olimpiainscena.it
di Francesco Bettin
Stampa Sinegraf
COPERTINA
DAVIDE MARIA COLTRO, dalla serie “Metropolis”
dall’artista - autentica elettronica con dati incrociati al server. Ph courtesy MA*GA, Gallarate
di Antonio Sofianopulo
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Juliet è pubblicata a cura dell’Associazione Juliet. Autorizzazione del Tribunale di Trieste, n. 581 del 5/12/1980, n. 212/2016 V.G. registro informatico
Illustrazione
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POLITICA E IMMAGINAZIONE PER IL SUD DEL MONDO
di Loretta Morelli
UN PERCORSO COMPLESSO ALLA SCOPERTA DELLA
BIENNALE 2024 CHE SI COLLOCA NEL CLIMA DI CONFLITTO TRA POPOLI E VISIONI DEL MONDO. LINGUAGGI PERSONALI E PADIGLIONI NAZIONALI, SEMPRE PIÙ INTERCONNESSI NEI CONTENUTI, RESTITUISCONO LE SFIDE DEL PRESENTE IN UNA NUOVA POSSIBILITÀ DI SAPER LEGGERE LA STORIA E SOPRATTUTTO LE STORIE
Anna Maria Maiolino “Anno 1942” dalla serie
“Mapas Mentais” 1973-99, gouache su inchiostro, trasferibili e segni di bruciatura su carta (Arsenale), Leone d’Oro alla carriera, 60. Esposizione Internazionale d’Arte - La Biennale di Venezia (courtesy l’Artista)
Yinka Shonibare “Refugee Astronaut VIII” 2024, manichino in fibra di vetro, tessuto di cotone stampato a cera olandese, rete, oggetti, casco da astronauta, stivali lunari e base in acciaio (Arsenale), 60. Esposizione Internazionale d’Arte - La Biennale di Venezia (courtesy l’Artista)
“L’opera è esposta per la prima volta alla Biennale Arte”, questa semplice riga da didascalia, spesso neanche considerata, diventa, una dichiarazione d’intenti che svela le ragioni delle scelte di que -
solo il titolo del 2024, è una visione critica sul passato, presente e futuro del sistema dell’arte e, in generale, della prospettiva centrata sull’Occidentale, da tempo in crisi profonda, insieme ai suoi pilastri di capitalismo e individualismo. Una traiettoria, già tracciata due anni fa da Cecilia Alemani, che scelse di esporre l’80% di donne e soggetti non binari, continua oggi in modo ancora più evidente attraverso una celebrazione dello straniero in tutte le sue -
viene dal Sud globale, a chi fa parte della comunità queer, agli outsider, agli indigeni, ai migranti, a chi da sempre occupa i margini. Il curatore Adriano Pedrosa (1965, Rio de Janeiro) è il primo latino-americano a dirigere la manifestazione; il primo dichiaratamente queer. La sua origine e prospettiva dall’emisfero meridionale hanno guidato un tentativo di riscrivere, o meglio, di scrivere una nuova storia moderna e contemporanea, con 331 artisti e collettivi di 80 paesi, provenienti, per la maggior parte, da Africa, Asia, Medio Oriente e America Latina, senza discriminazioni di genere e perlopiù alla loro prima partecipazione. La sua indole alla contaminazione e versatilità lo hanno portato alla designazione di un tema politico e al contempo così poetico, ricco di rimandi e interrogativi che sono intrinseci alle parole scelte. “Ovunque tu vada ci sono stranieri ma allo stesso modo ovunque ti trovi sei sempre uno straniero nel
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profondo”; una complessità semantica ripresa letteralmente da una serie di opere realizzate dal 2004 dall’artista Claire Fontaine (collettivo formato da Fulvia Carnevale e James Thornhill) che, a
muoverà le proteste di un gruppo di attivisti torinesi contro la dilagante xenofobia degli anni Duemila. L’installazione di Fontaine è disseminata negli iconici cantieri navali delle Gaggiandre all’Arsenale: 53 sculture al neon dei lemmi “Foreigners Everywhere” riproposti nelle lingue occidentali e in diversi idiomi indigeni, alcuni dei quali estinti, sono sospese sull’acqua appese al por -
visivamente la vastità semantica.
La mostra, articolata come di consueto tra il Padiglione Centrale ai Giardini e l’Arsenale, comprende due sezioni distinte: Nucleo Contemporaneo e Nucleo Storico. Il primo è volto alla valorizzazione di soggettività considerate ‘strane’, come l’artista queer spesso perseguitato o messo al bando; l’artista folk o popular ; l’artista indigeno sovente trattato come un diverso nella terra di nascita, l’outsider e l’autodidatta. A quest’ultima categoria appartiene il Leone d’Oro alla Carriera Anna
Frieda Toranzo Jaeger “Rage is a Machine in Times of Senselessness” 2024 (particolare), olio e ricami su tela (Arsenale), 60. Esposizione Internazionale d’Arte - La Biennale di Venezia (courtesy l’Artista)
a sinistra: Brett Graham “Wastelands” 2024, legno, vernice a polimeri sintetici (Arsenale), 60. Esposizione Internazionale d’Arte - La Biennale di Venezia (courtesy l’Artista)
sotto: Daniel Otero Torres “Aguacero” 2024, tecnica mista (Arsenale), 60. Esposizione Internazionale d’Arte - La Biennale di Venezia (courtesy l’Artista)
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M MUSEUM DI LEUVEN
di Emanuele Magri
Claire Fontaine
“Headless Mann” 2016. Foto di Emanuele Magri
Patrick Ireland
“Five Identities” 2002. Per gentile concessione di Galerie Thomas Ficher. Crediti fotografici
Antony Hobbs
La mostra, in sei diverse sale, riunisce circa ottanta opere d’arte provenienti da collezioni pubbliche e private nazionali e internazionali, che illustrano le strategie utilizzate dagli artisti contemporanei per fondere finzione e realtà e confondere la nostra percezione della verità.
Nell’epoca in cui, stravolgendo Hegel, tutto ciò che è reale è demenziale, in cui siamo dominati da intelligenza artificiale, notizie false e video deepfake , in cui è difficile distinguere tra realtà e finzione, non c’è da stupirsi se esistono artisti immaginari, cioè se alcuni artisti creano degli alter ego che vivono di vita propria. Alcuni artisti permettono a entrambi di coesistere incarnando alter ego immaginari. Creano personaggi artistici completi delle loro biografie e presentano la loro finzione come se fosse realtà. Adottando un’identità diversa, gli artisti possono liberarsi dalle questioni di genere o culturali, dalle regole del mondo dell’arte e dal sistema capitalista che trasforma i nomi in marchi.
Le sezioni sono: Immaginare nomi , Volti di finzione , La collezione Yoon-Ja Choi e Paul Devautour, Riscrivere il passato , Sfidare il mondo dell’arte , Il bisogno di un Alias .
La scelta del nome fa parte del gioco. Un nuovo nome implica la fuga da ogni forma di predestinazione, la scelta può essere di un nome generico comune (John Doe Co., John Dogg) o di un nome politico (Janez Janša Janez Janša Janez Janša) può essere una firma (Ernest T.) o un timbro (Herman Smit). Una sala è proprio dedicata alle opere di artisti immaginari i cui nomi svolgono un ruolo essenziale nella nostra esperienza o interpretazione del loro lavoro. Per esempio, l’artista di fantasia Claire Fontaine ha preso il nome dall’iconico ready-made di Marcel Duchamp – il famoso orinatoio con il titolo francese “Fontaine” – e dal marchio di cancelleria francese Clairefontaine. È stato fatto notare come il problema della firma col proprio nome sia un momento cruciale nella storia dell’arte quando, col primo Rinascimento, si è passati da un sistema radicato nelle cooperative di corporazione alla creatività individuale. L’introduzione della firma dell’artista coincide con questo cambiamento (vedi Jan van Eyck e da noi Giotto).
Stabilito un nome si sceglie il e si creano (auto) ritratti di artisti che sostanzialmente non esistono. Un ritratto può essere una critica femminista all’immagine sociale restrittiva di cosa significhi essere una donna (Roberta Breitmore). Oppure può costituire una critica alla “produzione” all’interno del sistema capitalista (Claire Fontaine). Un ritratto di gruppo può visualizzare in quali ambiti (Brian O’Doherty). In alternativa, può servire come
mezzo per far scomparire l’artista come autore a favore della rete di collezionisti che lo circonda (Philippe Thomas).
Anche in questo caso possiamo ricordare come una svolta sostanziale nella storia dell’arte sia stata la comparsa dell’autoritratto dell’artista, basterà ricordare quello di Dürer che si impone per la sua potente presenza.
Qui invece abbiamo Cinque Identità di Patrick
“ALIAS” A LEUVEN, IN BELGIO, È UNA MOSTRA
CHE AFFRONTA TEMI E PROBLEMI SULLA STORIA
DELLʼARTE CONTEMPORANEA MA, CON RIFERIMENTI, ANCHE A QUELLA ANTICA, IN SENSO GENERALE E CON UNA PROSPETTIVA COINVOLGENTE
Ireland, 2002, in cui l’artista si rappresenta insieme alle altre sue identità. In una sala è esposta una parte della collezione Yoon-Ja Choi & Paul Devautour. Martin Tupper, che opera come artista, critico e allo stesso tempo è uno pseudonimo immaginario di Yoon-Ja Choi e Paul Devautour, ha concepito l’allestimento della collezione, che evoca allo stesso tempo uno showroom, uno stand collezione privata. Art Keller, Richard Allibert e Gladys Clover... Sono solo alcuni dei tanti artisti
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immaginari collezionati dagli artisti francesi Yoon-Ja Choi e Paul Devautour. Fino al 1985, entrambi creano arte con il proprio nome, e poi con vari alter ego. L’artista Richard Allibert, ad esempio, lavora esclusivamente con readymade : oggetti semplici o di uso quotidiano lasciati inalterati. Buchal & Clavel mettono insieme in discussione il principio del duo artistico. L’artista J. Duplo, invece, lavora esclusivamente con i mattoncini Lego.
Nella sezione Riscrivere il passato Justine Frank e Darko Maver (o Florence Hasard) riportano in vita artisti “storici” ma interamente immaginari, costruiti per mezzo di foto d’epoca e frammenti di
Es si dichiarano artisti anche se ricoprono ruoli autorevoli molto diversi all’interno della scena artistica belga. In alternativa, da un’artista immaginaria come Emily Feather, nasce il desiderio di anonimato e l’abbandono della paternità individuale. Il gruppo Bernadette Corporation adotta un’identità quasi aziendale, per criticare una cultura globale che costruisce identità attraverso il consumo e il marchio. Nel 2005, Bernadette Corporation pubblicava il romanzo scritto congiuntamente da “Reena Spaulings”, che servirà poi come base per nuove iniziative artistiche come Henry Codax che esisteva solo sulla carta: come caricatura del pittore monocromatico americano – silenzioso, radicale, calcolatore, virile – apparso nel romanzo Reena Spaulings (2004) del collettivo Reena Spaulings, che funziona sia come artista sia come galleria d’arte situata a New York. L’artista immaginario Henry Codax ha iniziato a esporre dipinti monocromi in rinomate gallerie di New York, Los Angeles e Svizzera nel 2011. Erano esempi perfetti di tutto ciò che il mondo dell’arte
contemporanea richiedeva a un “professionista”, solo che Henry Codax non esisteva. Peraltro abbiamo trovato conferme nel nostro viaggio in Belgio nei vari musei visitati. Nella vicina Gent, nel Museo di Belle Arti, una delle numerose sezioni tematiche con cui sono organizzate le raccolte del museo è quella dal titolo Identità . Si ribadisce come alla fine del medioevo i pittori sono degli artigiani che si raggruppano in seno a gilde. Nei Paesi Bassi van Eyck è il primo artista che firma le sue opere. Che dire poi di una figura come quella di Paul Nougé di cui si parla nella mostra Histoire de ne pan dire. Surrealismus in Belgium da Bozar, sempre a Bruxelles. Come giudichiamo il mimetismo con cui l’autore si cala nello stile di colui al quale riscrive i testi o addirittura ne compone i poemi? Dal 1927 al 1950 Paul Nougé accompagna con i suoi testi e i suoi commentari l’opera di Magritte, suggerendogli anche i titoli di numerosi lavori. In questo caso l’autore nega il suo nome a favore del nome di un’altra persona. Insomma, per finire, in un’opera, in una mostra di solito si dice che l’artista ci deve mettere la faccia. In questo caso invece Claire Fontaine con Headless Mann , 2016, ci presenta un uomo senza faccia, senza testa, rappresentando al meglio la filosofia che sottende questa mostra.
Vista parziale della mostra “Alias” da M Leuven.
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Courtesy Useful Art Services
ALLA FONDAZIONE PRADA
di Giovanni Beta
Quando nel settembre del 1968 Pino Pascali muore in un incidente motociclistico, l’Italia è in pieno fermento. I movimenti di contestazione sono nel loro momento più vivo: proprio qualche mese prima, a maggio, la XIV Triennale di Milano veniva occupata nel giorno stesso dell’inaugurazione. Nel mondo dell’arte l’arrivo in laguna della Pop-Art americana alla Biennale del 1964, vinta da Robert Rauschenberg, portava un’ondata di novità, mentre sul piano dell’immaginario creativo i prodotti di intrattenimento ame -
breve carriera artistica di Pascali s’interrompe bruscamente proprio in un momento così particolare, ma la sua fantasia aveva già generato mondi destinati a rimanere ricordi vividi nel panorama artistico nazionale e internazionale.
Le altre due sezioni, rispettivamente situate nella galleria Nord e nella galleria Sud del complesso, propongono alcune opere dell’artista presenti in
LA FONDAZIONE PRADA OSPITA FINO AL 23 SETTEMBRE 2024
UNʼAMPIA RETROSPETTIVA DEDICATA AL LAVORO DI PINO PASCALI. LA
MOSTRA, A CURA DI MARK GODFREY, È SUDDIVISA IN QUATTRO SEZIONI ED È ALLESTITA NEI DUE PIANI DEL PODIUM, NELLA GALLERIA SUD E NELLA GALLERIA NORD DELLA SEDE DI MILANO
Fondazione Prada dedica a questo artista una grande mostra retrospettiva, curata da Mark Godfrey, precedentemente curatore presso la Tate Modern. Godfrey, autore del testo che accompagna il catalogo dell’esposizione, propone Pascali in una dimensione esibizionistica, intesa come performatività a tutto tondo, sviluppata costruendo mondi e opere pensate per essere vissute come scenografie e parchi divertimento.
In effetti l’artista ha molto in comune con il mondo dell’esibizione e dello spettacolo: nei primi anni Sessanta lavora a Roma per la Rai,
lavoro artistico di Pascali. La dimensione monumentale delle sue opere e la costruzione di modelli in scala reale, oltre all’aspetto ludico delle sue installazioni, costituiscono una traccia evidente del suo passato da scenografo di spettacolo.
Nel 1965 la Galleria La Tartaruga inaugura a Roma la prima personale dell’artista, seguita poi da altre importanti esposizioni: presso la Galleria Sperone di Torino nel 1966 e presso la Galleria L’Attico, a Roma, nel 1966 e nel 1968. A queste mostre è dedicata la prima sezione del percorso espositivo proposto da Fondazione Prada, che restituisce in maniera precisa e didascalica gli ambienti delle gallerie, con una simulazione interessante: una doppia immersione nel mondo dell’artista inseriti a loro volta nella ricostruzione degli ambienti espositivi originali, almeno nelle loro caratteristiche essenziali.
La seconda sezione della mostra si sviluppa al piano
materiale utilizzato dall’artista, un settore espositivo meno storicizzato e maggiormente dedicato all’aspetto sensibile del lavoro di Pino Pascali.
di Claudio Abate, Ugo Mulas e Andrea Taverna, particolarmente interessanti per l’approccio innovativo all’ideazione di uno scatto che comprenda artista e opera. La scelta di fotografare Pascali in posizioni insolite e irriverenti soddisfa sia l’esigenza pubblicitaria del promuovere l’artista, sia il desiderio di proporre al pubblico un modo nuovo e leggero di vivere la mostra. Vedendo alcuni scatti, non si può non pensare alle buffe pose di Bruno Munari che compongono la “ricerca della comodità in una poltrona scomoda”, serie fotografica apparsa sulla rivista Domus nel 1944. Un simile paragone può aiutare a comprendere l’interesse di Pino Pascali nell’ambito del design e della creazione di uno spazio, ideato e vissuto in maniera irrazionale e fantasiosa. Il progetto espositivo proposto da Fondazione Prada è un percorso completo attraverso l’opera di un artista così intenso e con un’eredità così cospicua, ma con una lettura storica e sociale, la mostra attraversa anche le istanze creative che hanno portato l’Italia del dopoguerra a una dimensione internazionale, analizzando gli scambi e le dinamiche di importazione ed esportazione creativa di quegli anni.
Vista della mostra “Pino Pascali” Fondazione Prada, Milano. In primo piano: l’opera “Vedova blu” del 1968, collezione Museum moderner Kunst Sti ung Ludwig Wien, Leihgabe der Österreichischen Ludwig-Sti ung (in prestito dall’Austrian Ludwig Foundation dal 1981). In secondo piano, a parete: ingrandimento di una foto di Claudio Abate che ritrae Pino Pascali con “Vedova blu” (1968). “Sesta biennale romana. Rassegna delle Arti Figurative di Roma e del Lazio”, Palazzo delle Esposizioni, Roma, 1968 © Archivio Claudio Abate. Foto di Roberto Marossi, courtesy Fondazione Prada
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