Juggling Magazine #41 - december 2008

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23-12-2008

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Metamorfosi Festival di confine fra teatro e circo www.auditorium.com

VII edizione

Roma, 4/6 settembre 2008 a cura di Leonardo Angelini

leonardo.angelini@uniroma1.it foto di Musacchio _ Ianniello

«Tre spettacoli per questa settima edizione di Metamorfosi... piccola, sospesa nell’aria, e silenziosa... ma non per questo meno incisiva... tre spettacoli come tre haiku... lievi poesie di una potenza inaudita, come gesti di commiato...». Con queste parole il direttore artistico Giorgio Barberio Corsetti ci accoglie nel catalogo di Metamorfosi. Solo tre giorni e solo tre spettacoli, a causa di un budget ridotto rispetto alle edizioni precedenti, ma che hanno saputo tenere alto l’entusiasmo di un pubblico appassionato e fedele. Ad aprire il Festival è stato il gradito ritorno di Alexandre Fray e Frédéric Arsenault, acrobato-danzatori fondatori della compagnia Un Loup pour l’homme, con lo spettacolo Appris par Corps. Con il progetto di questo spettacolo avevano vinto nel 2006 il concorso Jeunes Talents Cirque e l’anno scorso avevano proposto una versione breve proprio a Metamorfosi, dove li avevamo intervistati (vd. JM37). Il duo franco-canadese dà vita a un’intensa danza acrobatica, basata sulla tecnica del mano a mano, in un corpo a corpo che oscilla tra dolcezza e violenza, tra la volontà di fondersi nell’altro e la tentazione di sfuggire a un legame inscindibile, quasi gemellare. Bonaventure Gacon ha poi portato in scena il suo monologo Par le Boudu, in cui il protagonista è un clown “cattivo”. Un maldestro, goffo, grossolano, irresistibile gaffeur, che inciampa incessantemente su tutto ciò che si muove e che l’esperto artista-acroba-

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ta condurrà a un finale tragico. Formatosi al CNAC, dove ha studiato clowneria con Catherin Germain e François Cervantès, Gacon ha partecipato alla creazione del Cirque Désaccordé, danzato nella compagnia Pierre Doussaint, lavorato sui trampoli nel Cirque Plume, fino alla recente partecipazione alla nascita del Cirque Trottola. Bonaventure, il tuo spettacolo è un monologo, ci sono molte parole, cosa non ordinaria nel circo contemporaneo. Come mai questa scelta? Ho fatto un clown chiacchierone, che si parla addosso, che si confida le proprie emozioni. E avevo voglia di creare un contrasto, di avere da una parte l’augusto del circo e dall’altra di portare una dimensione teatrale, la parola con cui raccontare le emozioni. Non ho prima scritto, le parole sono uscite dal clown. La clowneria è stata la tecnica prediletta fin dall’inizio della tua formazione circense? No, ho studiato da acrobata e lo sono ancora. Ho frequentato il CNAC e poi ho fondato il Circo Trottola. “Trottola” perché l’amico con cui l’ho creato è metà italiano e metà svizzero. Ho sempre amato l’acrobazia per le sue possibilità maldestre, burlesche, e uno dei miei primi numeri nel circo era sui pattini a rotelle. Anche in Par le boudou ho inserito una scena sui pattini: questo pover’uomo cade, prende colpi e il pubblico prova compassione per lui. Pensi che un giorno, data la tua dimestichezza con la parola, potrai diventare un attore “classico”? Credo che le parole, i

gesti, la musica siano una grande famiglia che serve a dare emozioni. Mi è capitato di fare degli spettacoli più “classici”, ma anche quando faccio questo tipo di cose rimango un clown, interiormente. Il finale di Par le boudu: la morte del clown è sempre molto difficile, delicata. E il momento della morte è l’unico momento in cui c’è la musica. È un clown eccessivo. Nel bere, nell’amore, nella violenza, e dunque penso sia naturale che alla fine muoia. E la musica è per onorare la morte, per emozionare di più, per sommergerlo… Spero abbia dato un tocco felliniano, drammatico, grandioso. Per un clown è giusto morire “a suon di tromba”, “in fanfara”. Infine la giornata di chiusura di Metamorfosi ha ospitato i clown-acrobati-giocolieri francesi Jean-Paul Lefeuvre e Didier André, per la prima volta in Italia, con lo spettacolo Le Jardin. Un’ora e un quarto senza parole che ricordano il cinema di Buster Keaton e il teatro di Samuel Beckett, dove i protagonisti sono una grande serra in mezzo alla scena e soprattutto i due giardinieri-clown che la animano con mille invenzioni, facendo fiorire sul palcoscenico le inezie dell’esistenza e le grandi questioni delle relazioni umane, interagendo con attrezzi come carriole, pietre, tubi dell’acqua per innaffiare le piante. Amici da sempre, Jean-Paul e Didier hanno percorsi professionali inizialmente lontani dal circo: il primo, con la sua formazione in agricoltura,


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