in base a delle statistiche. Ma posso anche decidere di tenermi lontano da tutto questo perché sono un outsider e confido di trovare qualcosa di nuovo e diverso, e usando l’IA posso programmare ciò che spero di ottenere. Vado nello spazio più remoto, dico “adesso forniscimi i numeri: quanto sono vicino a un ritratto, a uno stile che ricorda un dipinto, a una sensazione generale di positività, o al contrario di inquietudine e oscurità” e proprio come una triangolazione su una mappa posso dire “se mi sposto un po’ a sinistra, mi avvicino o mi allontano dalla mia meta?”. In questo modo posso far sì che la macchina trovi automaticamente il percorso ottimale per raggiungere il mio obiettivo. È una forma di controllo che contemporaneamente mi permette di misurare le cose in modo diverso: posso guardare il dipinto e dire “bene, ma non è esattamente quel che voglio”. Quindi, come decidere che direzione prendere? Se dipingo fisicamente, posso aggiungere una pennellata qua o là, ma è un gesto intuitivo, basato sull’esperienza. Con una macchina ho maggior controllo, posso pensare razionalmente: è come in un laboratorio dove posso fare diversi test in breve tempo, mentre con il lavoro fisico sono vincolato al tempo e alla fisicità. Non si può dipingere un quadro più velocemente di quanto la pittura impieghi ad asciugare. Io credo che la creatività sia ricerca, ma anche la ricerca richiede tempo. Se utilizzo mezzi fisici, ho meno tempo per testare varie possibilità, mentre la macchina può offrirmene molte, tutte plausibili e rispondenti ai miei desideri, escludendo quelle che non reputo interessanti, permettendomi di vagliare più opzioni e avere rapidamente un’idea di ciò che sto effettivamente cercando, poiché a volte nemmeno io so cosa sto cercando. R. P.: Una specie di creatività interattiva… M. K: Proprio così. È un feedback loop dove costruisco un sistema con la macchina al cui interno inserisco le mie idee su un’opera o sul mondo. Il sistema non è mai perfetto, passo quindi al livello successivo: vedo come interagire con il sistema che ho costruito nel modo appreso dalla mia esperienza per ottenere infine ciò che voglio. Nel contempo imparo a migliorare il sistema a diversi livelli, e così riesco a costruire sistemi in grado di darmi soluzioni che non conoscevo: penso proprio di poter avere qualche buona 232
idea, ma non ho un obiettivo prestabilito. Ho una direzione, un punto di riferimento, ma le soluzioni sono talmente tante, e così come un flâneur cammino attraverso questo interspazio di possibilità con gli occhi ben aperti per cogliere quelle opportunità che non mi aspettavo di trovare. Questo è l’elemento “sorpresa”. Se avessi troppe aspettative, restringerei il mio campo visivo, i miei filtri, che voglio invece mantenere il più aperto possibile senza preclusioni e preconcetti. E l’IA me lo consente. Come esseri umani siamo inclini a percorrere sentieri già battuti e ben tracciati, per questo molte cose e pensieri si assomigliano. È più difficile seguire un nuovo percorso, pensare fuori dagli schemi come mi permette l’IA. Penso sia un meccanismo biologico quello che ci lega a ciò su cui ci focalizziamo, ma con questa seconda entità come l’IA non sono più legato a quel meccanismo d’attenzione: ci rende liberi e ci permette di vedere quanto con il pensiero naturale non potremmo mai automaticamente concepire. È uno strumento davvero utile, con un’offerta di elementi che diventano parte del mio repertorio e che, come pezzi di un puzzle o di un Lego, posso ricombinare in modi diversi, in nuovi concetti. R. P.: Le sue opere ci portano a esplorare una nuova estetica. Siamo di fronte a un’avanguardia che utilizza le nuove tecnologie. Quale sarà il prossimo futuro per gli artisti dell’IA? M. K.: La prima fase iniziò nel 2015 quando le tecniche di deep learning arrivarono nel campo delle arti visive come un’esplosione cambriana nella nuova estetica, perché questa tecnologia ha permesso nuove ri-combinazioni di pixel. Ovviamente tutto ebbe inizio con i pixel. Abbiamo avuto così tanti modi per ottenere combinazioni di pixel che creavano immagini nuove e differenti e che non potevamo ancora classificare. Fu come un ibrido tra realtà pittorica e fotografica, foto realistica e qualcosa di simile. A mio parere questo momento durò circa tre anni in cui abbiamo dovuto fare un grande sforzo di adattamento, ma ora abbiamo fatto il punto e abbiamo capito cos’è questa nuova estetica con i suoi tipici manufatti che stanno lì tra qualcosa nello spazio: abbiamo una nuova categoria, possiamo darle un nome e riconoscerla come AI Art. Mi piacciono questi momenti in cui qualcosa è ancora misterioso e 233