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Il potere dei social (e il loro lato oscuro

1. Refik Anadol + Mike Tyka, Responsive Environment Experience, 2017.

AI artists

William Wright: «Pollock, gli artisti classici avevano un mondo da esprimere, e lo facevano rappresentando gli oggetti del loro mondo. Perché l’artista moderno non fa la stessa cosa?». Jackson Pollock: «Mah, l’artista moderno vive in un’epoca meccanica e abbiamo mezzi meccanici per rappresentare gli oggetti della natura: il film, la foto. L’artista moderno, mi pare, lavora per esprimere l’energia, il movimento e altre forze interiori». Intervista a Jackson Pollock, radio Sag Harbor, 1951

L’artista moderno oggi vive in un’epoca tecnologica. Mario Klingemann, Anna Ridler e Mike Tyka, Helena Sarin, Memo Akten sono alcuni degli artisti pionieri nella creazione di opere d’arte con Intelligenza Artificiale. Hanno deciso di usare e creare con i mezzi che la nostra società ha messo a loro disposizione.

Lo scorso secolo, Pollock abbandona l’uso del pennello per usare un bastoncino e il colore liquido per fare il suo dripping, per esprimere l’energia e il movimento proprio della sua epoca. Allo stesso modo gli AI artists hanno usato le reti neurali per creare le loro opere.

In questa sezione del libro dedicata agli AI artists ho selezionato 13 artisti che hanno sperimentato con successo l’applicazione dell’Intelligenza Artificiale nella loro produzione artistica. Mi scuso in anticipo per non aver potuto includere tutti gli artisti1 che avrei voluto e spero di poter presentare un giorno un libro a loro dedicato.

Troverete alcune interviste perché se il mio percorso di ricerca è volto a indagare e raccontarvi questa avanguardia artistica, non si può prescindere dal confronto diretto con gli artisti stessi. Lo

storico dell’arte cerca sempre risposte, spero di aver posto le giuste domande in modo di farvi partecipi del mondo e della visione del mondo di questi artisti.

Studiandone il percorso, la storia, filosofia ed estetica, ho avuto la felice conferma di un tema comune a tutti loro: la produzione artistica parte sempre da una profonda riflessione interiore che viene espressa con forza e tenacia e con grande chiarezza. L’Intelligenza Artificiale guarda al futuro ma gli artisti non perdono la loro connessione con la storia o la tradizione e ne fanno un punto di forza per esplorare nuovi percorsi creativi verso una nuova estetica. Non vi sono virtuosismi fini a sé stessi, e la ricerca estetica viaggia in parallelo al messaggio dell’opera.

Oggi l’impegno degli storici dell’arte che si confrontano con gli AI artists è doppio. Da un lato si trovano a osservare e analizzare opere computazionali spesso senza la preparazione specifica per poter valutare in modo completo la AI Art che ha di fatto una componente tecnica complessa. Dall’altro lato non devono venir meno a certi parametri e cadere nella trappola di confondere il vero artista con l’artista improvvisato o l’emulatore.

Cinque anni fa creare un’opera con IA era molto complesso. Crearla oggi è ancora complesso ma già ci sono programmi che includono l’Intelligenza Artificiale e che sono accessibili.

Come dice Mauro Martino nell’intervista che trovate nel capitolo dedicato: «Tutto quello che oggi è IA avanzata, domani sarà un nuovo filtro in Photoshop. Nel senso che sarà disponibile a tutti e nuove frontiere della “vera”IAnasceranno».

Anch’io posso usare un algoritmo preso online e creare la mia AI Art e iniziare a pubblicare questi lavori sui social o promuoverli su Internet e ottenere un buon riscontro. Questo non fa di me un artista. Per lo storico e il critico d’arte il potere mediatico è un’arma a doppio taglio da tenere in considerazione. Allo stesso modo se taglio una tela non sono il nuovo Lucio Fontana ma il grande pubblico conosce Fontana e sa subito riconoscere un emulatore, mentre con la nascente AI Art non tutti sono aggiornati su questo nuovo e affascinante panorama artistico fatto di GAN, IA, sperimentazione, e tanto lavoro. Riprendo questo estratto dell’articolo di Jason Bailey pubblicato su Artnome, dedicato all’artista Helena Sarin per porre l’attenzione sull’uso delle nuove tecnologie:

Inseguire le nuove tecnologie per differenziare la tua arte premia la velocità, il denaro e la potenza di calcolo rispetto alla creatività. Mentre trovo la nuova tecnologia eccitante per l’arte, sento che l’uso della tecnologia in sé e per sé non rende mai un’opera d’arte “buona” o “cattiva”. Sia Sarin che io condividiamo l’opinione che la tecnologia non può essere l’unico aspetto interessante di un’opera d’arte perché abbia successo e rimanga inalterata2 .

L’AI Art non è una corsa all’uso dell’ultima “BiggerGAN”, una sfida a chi usa la più recente tecnologia. Non è l’uso dei GAN che crea l’opera d’arte. L’IA è uno strumento e come tale deve essere un’estensione del processo creativo, un pennello tecnologico che ci porta a esplorare una nuova estetica, sicuramente con sfaccettature inedite. Come ho precedentemente scritto: l’IA si inserisce in un processo creativo che parte dall’artista.

Nel mondo della critica della AI Art ci sono già dei punti di riferimento, per citarne alcuni: Luba Elliot3, Arthur Miller e Jason Bailey. Luba Elliot è una curatrice specializzata in AI Art, organizza mostre e talk dedicati agli AI artists: un punto di riferimento per i curatori e il pubblico che desiderano conoscere il panorama artistico dell’Intelligenza Artificiale. Arthur Miller, autore del libro The Artist in the Machine – e del relativo sito – è stato definito da Walter Isaacson come uno dei più influenti pensatori sull’intersezione tra arte e scienze. Jason Bailey è famoso per il suo blog di arte e tecnologia artnome.com ed è stato uno dei primi collezionisti di NFTs. Possiamo definire Luba Elliot, Arthur Miller e Jason Bailey come alcuni dei pionieri della critica dell’AI Art.

1. Edmond de Belamy, Obvious 2018. Algoritmi GAN, stampa inkjet su tela, 70 × 70 cm. In asta da Christie’s New York a ottobre 2018.

La creatività nell’arte e il ruolo dell’AI artist

«Arte è quando la mano, la testa, e il cuore dell’uomo vanno insieme.» John Ruskin

«La creatività non è altro che un’intelligenza che si diverte.» Albert Einstein

Il 23 ottobre 2018, la casa d’aste Christie’s1 vende per l’incredibile cifra di 432.500 dollari il dipinto Portrait of Edmond de Belamy2: è la prima opera generata con IA venduta in asta. Le luci si accesero sul palcoscenico degli AI artists e si aprirono importanti discussioni sul peso specifico del fattore umano dinnanzi alla macchina nella creazione artistica. Nei giorni successivi tutto il mondo dell’arte era in fermento e due erano le domande che in molti si sono posti:

Chi è l’autore: l’artista o l’algoritmo? Può l’Intelligenza Artificiale creare opere d’arte?

Per rispondere a queste domande analizziamo come è stato realizzato il ritratto di Edmond de Belamy. Quest’opera fa parte di un gruppo di ritratti della Famiglia de Belamy creati da Obvious, un collettivo con sede a Parigi composto da Hugo Caselles-Dupré, Pierre Fautrel e Gauthier Vernier. Il ritratto di Belamy porta come firma l’algoritmo che lo ha generato.

L’Algoritmo è composto da due parti», afferma Caselles-Dupré. «Da una parte c’è il Generatore, dall’altra il Discriminatore.

Abbiamo alimentato il sistema con un set di dati di 15.000 ritratti dipinti tra il XIV e il XX secolo. Il generatore crea una nuova immagine basata sul set, quindi il discriminatore cerca di individuare la differenza tra un’immagine creata dall’uomo e quella creata dal generatore. L’obiettivo è ingannare il discriminatore facendogli pensare che le nuove immagini siano ritratti di vita reale»3 .

Per realizzare il ritratto di Edmond de Belamy il team di Obvious ha usato una GAN (Generative Adversarial Network – Rete Generativa Avversaria) oggi largamente usata dagli AI artists per creare opere d’arte. Sull’uso delle GAN nella produzione artistica e musicale, rimandiamo anche alla lettura di Arte e intelligenza artificiale. Be my GAN (Jaca Book).

Che cos’è una GAN?4

Una rete generativa avversaria, GAN, è composta da due reti neurali antagoniste che in un certo senso giocano l’una contro l’altra. Da una parte abbiamo il “Generatore” che sfrutta un database di immagini o di fotografie su cui è stato addestrato per generare output sempre più convincenti. Dall’altra parte troviamo il “Discriminatore” che cerca di distinguere le immagini reali da quelle generate artificialmente dal Generatore. All’inizio entrambe le reti sono carenti nei loro rispettivi compiti ma col tempo il Generatore impara a creare immagini sempre più realistiche e il Discriminatore migliora la sua tecnica per riconoscere le immagini vere da quelle fake. Le due reti neurali si correggono – migliorano il loro lavoro.

L’inventore delle GAN è Ian Goodfellow, informatico e ricercatore statunitense che nel 2014 pubblica l’articolo Generative Adversarial Networks5 con un gruppo di studiosi dell’Università di Montréal. Nel suo paper ci spiega come lavorano le due reti neurali usando una semplice metafora:

www.youtube.com/ watch?v=Z6rxFNMGdn0 Ian Goodfellow: Generative Adversarial Networks (GAN) Lex Fridman Podcast.

Il modello generativo può essere pensato come una squadra di falsari che cerca di produrre banconote false e di usarle senza essere scoperti, mentre il modello discriminativo è simile alla polizia, che cerca di rilevare la valuta contraffatta.

2. Architettura base di una GAN.

La competizione in questo gioco spinge entrambe le squadre a migliorare le proprie tecniche fino a quando le contraffazioni non sono più distinguibili dagli originali.

L’invenzione delle GAN è sicuramente una scoperta straordinaria che ha portato con sé una grande innovazione nel campo dell’Intelligenza Artificiale. Il Foreign Policy6 ha incluso Ian Goodfellow nella lista dei Top Global Thinker nella sezione Tecnologia spiegando la portata della sua scoperta:

Ian Goodfellow è una delle figure più importanti al mondo nel campo Machine Learning. Nel 2014, mettendo l’uno contro l’altro due sistemi di Intelligenza Artificiale (IA), ha scoperto che insieme potevano creare nuove immagini e suoni, qualcosa che l’Intelligenza Artificiale non era mai stata in grado di fare prima.

Cosa si può creare con una GAN?

Dall’invenzione di Ian Goodfellow la ricerca sulle GAN continua a progredire verso nuove e inedite sperimentazioni. Oggi usando una GAN si possono creare opere d’arte, musica, video, ritratti fotografici realistici fino a testi scritti. Mettendo a confronto le prime opere d’arte realizzate con l’uso di GAN con le ultimissime realizzate si possono già notare evidenti evoluzioni estetiche.

Per realizzare il ritratto di Edmond de Belamy è stato usato un database di circa 15.000 foto di ritratti dipinti tra il XIV e il XX se-

colo per addestrare il Generatore. Nel dettaglio l’algoritmo qui impiegato non è stato creato dal gruppo Obvious ma è stato usato un algoritmo ideato dall’artista americano Robbie Barrat che come vedremo è stato tra i primi a usare le GAN in campo artistico. Fondamentalmente il gruppo Obvious ha “preso in prestito” un algoritmo da un altro artista7, lo ha addestrato e ha creato il ritratto di Belamy, opera che, stando al parere di chi s’intende di artisti computazionali – che usano IA – è il risultato di un lavoro di scarsa qualità. Nel 2018 la vendita di questo ritratto ha fatto davvero molto scalpore e l’asta di Christie’s ha il merito di aver attirato l’attenzione del pubblico e dei media sulle nuove frontiere della produzione artistica: le opere create con Intelligenza Artificiale.

Il 6 marzo 2019 la casa d’asta Sotheby’s mette all’incanto l’opera Memories of Passersby I di Mario Klingemann8, un’opera sicuramente innovativa e affascinante che presenta al pubblico una nuova estetica (si veda il capitolo dedicato a Mario Klingemann).

Il biennio 2018-2019 rappresenta quindi l’ingresso degli AIartists nel mercato dell’arte: hanno l’attenzione – e l’interesse – del grande pubblico.

Parlando ora di arte, di fronte a queste opere create con l’ausilio dell’Intelligenza Artificiale ci poniamo la domanda: le macchine sono creative?

La risposta è che dovremmo fare un passo indietro e chiederci: cos’è la creatività?

Per rispondere a questa domanda dobbiamo fare dieci passi indietro. Grandi filosofi, scienziati, matematici e neuroscienziati hanno fatto studi e approfondite riflessioni per spiegare cos’è la creatività, come funziona il processo creativo nella nostra mente. Ci sono sterminate monografie sul tema e qui mi limito a fare una breve considerazione senza digressioni filosofiche.

La parola “creatività” deriva dal latino cràare: far nascere dal nulla, inventare. Una delle più belle definizioni di creatività viene data da Henri Poincaré (1854-1912), matematico, fisico teorico francese ed eccelso pensatore che ci spiega che «la creatività è unire elementi esistenti con connessioni nuove, che siano utili»: C = n u.

Questa definizione proposta da Poincaré può essere estesa a discipline quali la scienza, l’arte, la tecnologia.

Henri Poincaré affronta il tema della creatività descrivendo le quattro fasi del processo creativo, riprese poi da Graham Wallas, psicologo ed educatore inglese che nel 1926 scrive The Art of Thought con Richard Smith. Il processo creativo secondo Wallas è costituito da quattro stages: preparation, incubation, illumination, and verification.

Le macchine allora sono creative, nel senso che creano e hanno già creato molte cose in tanti e diversi campi: dai libri alla musica. Ma non possiamo genericamente paragonare la creatività della macchina con il processo creativo dell’artista. Dietro la creazione realizzata dalla macchina, dalla GAN, dall’IA in generale, c’è un processo creativo complesso che coinvolge il fattore umano e che è la condizione sine qua non per la creazione della macchina. A oggi la macchina non è un essere senziente che – “eureka!” – crea qualcosa come una melodia musicale o un dipinto. Una GAN che non è stata addestrata su un dataset scelto da un umano non crea immagini. Un software che non è stato programmato non fa nulla. C’è indubbiamente una parte nel processo creativo che coinvolge l’IA che a volte può sfuggire al controllo o all’aspettativa umana – la serendipità –, ma questo rientra in uno schema più grande che richiede la programmazione umana e parte quindi dall’intelletto umano. L’“Eureka!”, l’illuminazione di Graham Wallas, il lampo di creatività o di genio fino a oggi rimane una peculiarità dell’uomo. E se una macchina fa “eureka” è perché è stata addestrata a farlo.

In breve, la creatività dell’IA ha molte applicazioni, e qualche volta è in grado di raggiungere o addirittura di superare gli standard umani in qualche piccolo settore della scienza e dell’arte. Ma eguagliare la creatività umana in generale è tutta un’altra faccenda; qui l’AGI9 è più lontana che mai. Margaret Boden

Una GAN viene programmata con immagini, con dati che non fanno parte della sua esperienza. In pratica crea sulla base di informazioni che non ha acquisito in prima “persona” – sono input

esterni. Una GAN non ha il libero arbitrio. È programmata per creare qualcosa in base ai dati che le sono forniti.

E se in futuro potrà ricercare autonomamente input per addestrarsi, questi non saranno elaborati da una coscienza e con l’etica propria dell’uomo.

Il punto non è definire la creatività quanto definire l’atto creativo?

Siamo abituati a pensare a Leonardo che dipinge la Monnalisa con tavolozza e pennello, a Bernini che con lo scalpello crea il Ratto di Proserpina, a Mozart che compone le sue sinfonie cercando le note perfette sul pianoforte. Fino a pochi anni fa pensare che una macchina potesse creare arte o musica lo avevamo solo immaginato guardando i film di fantascienza. Oggi non abbiamo un Roy di Blade Runner o un Terminator che fanno gli artisti o i musicisti. Oggi non abbiamo ancora creato robot coscienti. Ma ci sono artisti che producono opere con l’Intelligenza Artificiale, senza pennelli e scalpelli ma usando algoritmi e reti neurali che loro stessi addestrano. Per gli AI artists l’algoritmo è il nuovo pennello, o un mezzo per esplorare nuovi mondi.

La creazione di un’opera d’arte è frutto di un ego, di tutte le esperienze che lo hanno formato, ed è tesa a sublimare la realtà e a creare la bellezza sia solo la bellezza di un pensiero. La valenza morale della creatività, dal momento in cui l’artista è l’uomo che crea, comporta tutta la testimonianza consapevole e inconsapevole del suo io – l’io storico, filosofico, civico, critico, sociale.

Se l’artista non dà alla macchina l’input del suo io creativo, l’opera d’arte creata dalla macchina resterà avulsa da ogni contesto relazionale.

Gli AI artists hanno ben chiaro questo punto tanto che dedicano moltissimo lavoro alla preparazione del dataset per addestrare la GAN: Anna Ridler ha usato 10.000 foto di tulipani per Mosaic Virus, Harshit Agrawal ha impiegato figure artistiche indiane come i dipinti buddhisti di Thangka per realizzare Machinic Situatedness, Robbie Barrat ha usato i dipinti di teschi del pittore Ronan Barrot per Infinite Skulls e Mauro Martino ha usato milioni di foto per Strolling Cities. In alcuni casi l’IA può essere un supporto partecipativo inteso come collaboratore, in quanto partecipa alla creazione di un’opera che il suo artista – quello fisico per intenderci – sta creando come i robot: i “D.O.U.G” di Sougwen Chung.

[…] la macchina non ha una sua motivazione naturale per creare e di fatto siamo noi a doverle fornire gli elementi affinché possa creare qualcosa di rilevante o qualsiasi cosa possa rappresentare una motivazione. Sinceramente non voglio fare congetture su come e perché una macchina dovrebbe avere una qualche sorta di motivazione. Alla fine è un Golem, la macchina che abbiamo costruito per il nostro intrattenimento intellettuale o emotivo. È come uno schiavo. E non ci preoccupa certo che una macchina possa star bene o divertirsi. E la domanda è: dovremmo forse preoccuparcene? Pensare a una macchina in termini antropomorfici potrebbe non essere saggio. Infine, una macchina non soffre come un essere umano. […]

Mario Klingemann10

La creatività nasce dall’ego – da tutto quello che si è vissuto e che si sta vivendo, e anche dal suo essere in relazione a un determinato momento storico. La Gioconda ha un suo specifico valore anche in riferimento al contesto storico e artistico in cui è stata dipinta, e la perfezione di una scultura di Fidia trova corresponsione nei canoni greci dell’epoca in cui è stata creata.

L’ego in senso filosofico – quel cogito ergo sum che porta alla consapevolezza della creazione – è una visione intima nella quale è rappresentata anche la storia dell’artista. La macchina da sola non ha una visione intima, e non crea opere d’arte, semplicemente, se pur straordinariamente, elabora gli input che l’artista gli dà. E tramite l’input crea.

Quindi non confondiamo la creazione fisica, la realizzazione di qualcosa con quel processo creativo atto a far nascere un’opera d’arte che in nuce parte da un pensiero, dall’idea di un artista. E qui dovremmo chiamare in campo tanti filosofi, a cominciare da Aristotele.

E cos’è un’opera d’arte se non la creazione di un artista? Per creare, l’artista congloba valori, storicità, libero arbitrio, conoscenza, sperimentazione, abilità, pensiero critico, genialità…

Oggi vi sono robot chiamati “Robot-Artisti”. In realtà li definirei robot che realizzano creazioni più o meno artistiche, ma la definizione d’artista va oltre al mero atto di una qualsivoglia produzione sia pur scientificamente straordinaria. Non basta aggiungere un sofisticato chatbot per permettere al robot di parlare d’arte o un braccio meccanico per fargli compiere un’azione come dipingere. Quando sarà creata la Superintelligenza – se mai sarà creata – ovvero un robot in grado di emozionarsi, avere idee, creare attingendo dalla propria storia e dalle proprie emozioni, allora si apriranno nuovi interrogativi.

Quando un robot si alzerà la mattina e dirà «oggi non ho proprio voglia di dipingere, preferisco una passeggiata nel bosco», allora saremo di fronte a nuovi quesiti che ci porteranno a discutere e riflettere su coscienza, morale, valori, diritti umani, e molto altro. A oggi solo l’artista in quanto essere umano può alzarsi e decidere di passeggiare nel bosco a cercare l’ispirazione. A oggi l’unico vero artista è l’uomo e l’Intelligenza Artificiale è ancora uno strumento in mano all’uomo, in mano all’artista.

Siamo in grado oggi di apprezzare l’arte, la musica e le poesie che sono create con l’uso di Intelligenza Artificiale?

La storia dell’arte ci insegna che gli artisti hanno da sempre sperimentato nuovi media e inseguito l’innovazione nella realizzazione delle loro opere, e quando hanno fatto ricorso a nuovi strumenti o ad ardite soluzioni, le reazioni del pubblico e della critica non sono state sempre positive.

Le prime esposizioni degli Impressionisti furono un totale insuccesso.

Dopo aver visto in mostra l’opera Impression, soleil levant di Claude Monet, il critico Louis Leroy scriveva in un articolo sulla rivista Le Charivari:

[…] Impression, soleil levant. Impressione, ne ero sicuro. Ci dev’essere dell’impressione, là dentro. E che libertà, che disinvoltura nell’esecuzione! La carta da parati allo stato embrionale è ancora più curata di questo dipinto.

3. Claude Monet, Impression, soleil levant, 1872, olio su tela, 48 × 63 cm, Musée Marmottan Monet, Parigi.

Una critica famosa perché gli Impressionisti adottarono ironicamente l’appellativo negativo di Impressionisti che da lì a poco avrebbe indicato uno dei movimenti artistici di indiscusso successo.

Quando nel 1859 fu autorizzato dal Governo francese il primo Salon di fotografia ci furono molte recensioni favorevoli e altrettante critiche durissime. Quel “nuovo mezzo” non era più un mero strumento per documentare la realtà e per molti questo era inaccettabile. Includere la fotografia nel mondo della produzione di opere d’arte portò a un processo davanti al tribunale francese nel 1861. La fotografia può essere definita arte? Il 4 luglio 1862, il procuratore generale dichiarò infine che la fotografia è un’arte.

E ancora: l’esposizione di Les Demoiselles d’Avignon di Pablo Picasso al Salon d’Antin non incontrò il favore della critica. Il 23 luglio 1916 viene pubblicata una recensione su Le Cri de Paris:

I cubisti non aspettano la fine della guerra per riprendere le ostilità contro il buonsenso. Espongono alla Galerie Poiret donne nude le cui parti sparse sono rappresentate

in tutti e quattro gli angoli della tela: qui un occhio, là un orecchio, là una mano, un piede in alto, una bocca in basso. M. Picasso, il loro capo, è forse il meno spettinato di tutti. Ha dipinto, o meglio imbrattato, cinque donne che sono, a dire il vero, tutte fatte a pezzi, eppure le loro membra riescono in qualche modo a tenere insieme. Hanno inoltre delle facce da maiale con gli occhi che vagano insensatamente sopra le loro orecchie. Un appassionato d’arte ha offerto all’artista 20.000 franchi per questo capolavoro. M. Picasso voleva di più. L’amante dell’arte non ha insistito11 .

Le novità, i nuovi strumenti che troviamo attorno a noi, spesso portano una rottura col passato. Gli artisti da sempre semplicemente guardano al futuro e utilizzano ciò che la ricerca e la società offre loro. La nostra è l’era della scienza e della tecnica. Non dobbiamo stupirci quindi se gli artisti del nuovo millennio usano l’Intelligenza Artificiale. Non dobbiamo stupirci se oggi gli artisti sono anche programmatori, informatici, matematici o hanno studiato biochimica e biotecnologia.

Ma se i nuovi movimenti pittorici hanno spesso portato a una grande rottura con il passato e il pubblico ha faticato a comprenderli, oggi grazie a un mondo digitale che punta sulla comunicazione abbiamo la possibilità di comprendere e approfondire come mai prima. Gli artisti non sono più nella loro torre d’avorio: ci parlano, ci spiegano e ci raccontano il loro punto di vista, la loro visione dell’arte. Picasso non aveva YouTube per raccontare quella nuova visione artistica che l’ha portato a creare la prima opera cubista.

E in un futuro possibile?

In un libro di Paul Auster, Trilogia di New York, il signor Stillman gira per Manhattan raccogliendo oggetti rotti. Il suo scopo è creare un nuovo dizionario per gli oggetti che hanno perso la loro funzione che ne identifica l’essenza. Un ombrello è un riparo portatile contro la pioggia, se è rotto non è più un ombrello, diventa qualcos’altro e Stillman gli dà un nuovo nome. Questa ricerca dell’essenza degli oggetti legata alla loro funzione mi ha fatto riflettere sull’importanza della parola come definizione degli oggetti stessi. È solo un tema semantico? Credo che in un futuro possibile, se ci sarà una superintelligenza in grado di produrre arte, dovremo coniare una nuova parola per le opere d’arte prodotte dalle macchine. L’opera d’arte è una creazione dell’artista in quanto uomo. Un domani, forse lontano e forse ipotetico, avremo anche delle “meccanicopere” o come più ci piacerà chiamarle – e dovremo anche rivedere il tema del diritto d’autore perché i robot oggi non hanno personalità giuridica.

INTERVISTEERITRATTI

Mario Klingemann Mike Tyka Memo Akten Anna Ridler Robbie Barrat Mauro Martino Jake Elwes Refik Anadol Sofia Crespo Helena Sarin Harshit Agrawal Tom White Sougwen Chung

Mario Klingemann al Museo Espacio SOLO, Madrid. Courtesy Colección SOLO.

Mario Klingemann

Vivida vis animi 4.0

quasimondo.com Sito ufficiale di Mario Klingemann. Classe 1970, Mario Klingemann è nato a Laatzen in Germania e vive e lavora a Monaco di Baviera, È un artista che usa reti neurali e algoritmi ed è riconosciuto come uno dei pionieri nella creazione di opere d’arte con IA.

La sua ricerca artistica ci porta a indagare e a riflettere su tematiche quali la percezione umana dell’arte e della creatività. Ha lavorato con prestigiose istituzioni tra cui la British Library, la Cardiff University e la New York Public Library, ed è stato Artist in Residence presso Google Arts & Culture. Le sue opere sono state esposte al MoMA e al Metropolitan Museum of Art di New York, alla Photographers’ Gallery di Londra, allo ZKM Karlsruhe e al Centre Pompidou di Parigi. Klingemann ha ricevuto il British Library Labs Artistic Award 2016 e nel 2018 ha vinto il Lumen Prize Gold Award, dedicato alle opere d’arte realizzate con le nuove tecnologie. Nel 2020 è stato premiato con la Menzione d’Onore del Prix Ars Electronica. A marzo 2019 la sua installazione Memories of Passersby I ha fatto la storia come la prima opera di IA autonoma messa all’asta con successo da Sotheby’s.

Da sempre Klingemann si inoltra in territori inesplorati per scoprire una nuova estetica e per sorprendere sé stesso e il pub-

blico. Attraverso l’IA ha creato opere che riflettono una nuova dimensione della scrittura, della Visual Art, e recentemente della Video Art con la sua opera Mitosis.

Opere e progetti

Alla fine del 2014 Mario Klingemann lavora alla classificazione della collezione di oltre un milione di immagini che i British Library Labs hanno reso di pubblico dominio. Se da un lato usa il machine learning per aggiungere i tag alle immagini, dall’altro inizia a creare opere d’arte con il materiale scoperto: nasce così uno dei suoi primi sorprendenti e pionieristici lavori.

Nel 2017 realizza Imposture Series, una raccolta di sei stampe che include The Butcher’s Son premiata con il Lumen Prize Gold Award nel 2018. Questa serie è incentrata sul corpo umano: addestra le sue GAN e aggiunge nuove informazioni ai contenuti a bassa risoluzione utilizzando un metodo noto come transhancement: la trama della pelle, i capelli o altre forme “pixelate” completano l’immagine. Il risultato è pittorico ed etereo, la visione di una rete neurale della forma umana.

Con la loro presenza onirica, le forme strutturate e gli artefatti visivi, queste stampe della serie Imposture sono autentici momenti salienti del viaggio artistico di Klingemann, una celebrazione di ciò che i modelli di Intelligenza Artificiale sono stati in grado di produrre nel 2017.

Con Uncanny Mirror1 del 2018, ci ritroviamo a “riflettere” e a confrontarci con una capacità tipicamente umana ossia quella di riconoscere la nostra immagine. Klingemann ha creato un’installazione interattiva che produce i ritratti digitali degli spettatori in tempo reale.

Utilizzando l’IA vengono analizzati i marcatori biometrici del viso e le informazioni sulla postura e sui movimenti delle mani dello spettatore riflesso in questo “specchio” che restituirà un’immagine pittorica elaborata sui dati raccolti della persona che ha di fronte.

Uncanny Mirror è inoltre in costante apprendimento (constantly learning): ogni nuovo ritratto, ogni nuovo riflesso che produce contiene qualcosa delle persone che si sono precedentemente specchiate. «Abbiamo tutti visto il nostro riflesso migliaia di volte.

1. Morgan le Fay – Imposture Series, Mario Klingemann 2017. Stampa giclée con pigmenti minerali di lunga durata su carta di cotone «Hahnemühle Museum Etching» 350 g. Courtesy Onkaos.

vimeo.com/onkaos/ uncannymirror Uncanny Mirror, Mario Klingemann.

2. Uncanny Mirror, Mario Klingemann 2018. Hek Basel 2019. Courtesy Onkaos.

Eppure l’opera di Klingemann offre una nuova prospettiva. Riconosceremo il nostro?».

Memories of Passersby I2 utilizza un complesso sistema di reti neurali per generare un flusso infinito di ritratti. L’opera è composta da un mobiletto in legno di castagno realizzato su misura, collegato a due schermi incorniciati. A differenza dei precedenti lavori di arte generativa, Memories of Passersby I non contiene alcun database. È un cervello artificiale, sviluppato e addestrato da Mario Klingemann, che crea ritratti inediti, pixel dopo pixel e in tempo reale.

Gli output che visualizziamo sui due schermi non sono combinazioni programmate di immagini esistenti, ma opere d’arte uniche generate dall’Intelligenza Artificiale: nessuna immagine verrà mai ripetuta. Memories of Passersby I contiene tutti gli algoritmi e le GAN necessarie per produrre una successione infinita di nuove immagini fin quando ovviamente “la macchina” è accesa. Per realizzare quest’opera, Klingemann ha addestrato il suo modello di IA utilizzando migliaia di ritratti dal XVII al XIX secolo e ha creato un’applicazione simile a Tinder per accelerare il processo di apprendimento insegnando alla macchina anche le sue preferenze estetiche.

Dalla Visual Art verso una nuova definizione estetica alla riflessione sulle parole e i messaggi dietro a esse: con Appropriate Response3 del 2020 ci troviamo di fronte a un’installazione che comporta una riflessione sul potere delle parole. La domanda che Mario Klingemann si pone è: «Quanto significato può essere espresso in sole 120 lettere?». Appropriate Response è un’installazione composta da un inginocchiatoio in legno e un espositore a ribalta diviso a parete, che mostra una selezione casuale di lettere in continuo cambiamento. Quando una persona usa l’inginocchiatoio, compare una breve frase sul display. Ogni frase è scritta dalle reti neurali della macchina ed è unica: non ci saranno mai due visitatori che leggeranno la stessa frase.

«Le parole sono probabilmente gli strumenti più potenti a disposizione dell’umanità. Le parole possono far fare molte cose alle

vimeo.com/298000366 Memories of Passersby I, Mario Klingemann.

3. Memories of Passersby I – Version Companion, Mario Klingemann 2018. GAN multiple, due schermi, console realizzata a mano in legno di castagno che ospita il cervello dell’intelligenza artificiale e ulteriore hardware. Console: 70 × 60 × 40 cm. Schermo: 82,9 × 145 × 3,8 cm (cornice su misura). Lanciata nel 2018, quest’opera è un’edizione di 3, più 2AP. Courtesy Onkaos.

vimeo.com/394544451 Appropriate Response, Mario Klingemann.

4. Mario Klingemann, Appropriate Response Cyberarts, Prix Ars Electronica 2020 Linz © Mario Klingemann, courtesy Otto Saxinger, vista dell’installazione OÖ LandesKultur GmbH. Courtesy Onkaos. Klingemann ha arricchito questa installazione con altre 60.000 citazioni reperite online per creare un modello in grado di produrre testi coerenti che sembrino aforismi.

persone, possono cambiare le loro vite», afferma l’artista. Non servono molte lettere per creare una frase che sia fonte di ispirazione.

La tecnologia sta raggiungendo un punto in cui può essere difficile discernere se certi testi sono stati prodotti da autori umani o da macchine. In questo caso la “risposta appropriata” proviene da una macchina, nello specifico proviene da una rete neurale GPT2 addestrata su diversi testi: dalle enciclopedie ai libri di poesia ai ricettari. Il risultato è una macchina in grado di produrre una serie di testi che sembrano aforismi e che appaiono su un display fisico a doppia ribalta, un display che appartiene al nostro passato.

Da un lato temiamo l’IA, ma speriamo anche che possa aiutarci a risolvere alcuni problemi […]. Questo equilibrio tra speranza e paura è strettamente correlato all’esperienza religiosa; quindi, ho sentito che inginocchiarsi era molto appropriato.

Contesto e aspettativa sono al centro di quest’opera interattiva. Ogni spettatore partecipa all’opera d’arte, non solo inginocchiandosi, ma anche elaborando e trasformando il testo mostrato sul display. Mentre la risposta appropriata genera aforismi apparentemente coerenti, è lo spettatore umano che fornisce loro significato.

Mario Klingemann è stato insignito della Menzione d’Onore al Prix Ars Electronica 2020 per questa opera d’arte.

Il suo ultimo lavoro Mitosis è stato “tokenizzato” e venduto da Sotheby’s4 all’asta Natively Digital: A Curated NFT Sale del 10 giugno 2021 per 75.600 dollari. Mitosis è un loop video di due minuti composto da oltre 750.000 ritratti generati con l’impiego d’Intelligenza Artificiale che Klingemann spera simboleggi le «sfide, speranze e paure che stiamo affrontando in un momento in cui l’Intelligenza Artificiale sta diventando sempre più parte della nostra vita quotidiana». E prosegue suggerendo che «i cambiamenti che ha sul nostro mondo sono spesso sottili e impercettibili e notiamo solo col senno di poi che siamo in un posto diverso. Nel nostro obiettivo di scoprire qualcosa di nuovo, ci dirigiamo in direzioni diverse. Allo stesso tempo, tutti i modelli neurali che alleniamo imparano da noi e dai nostri dati, quindi alla fine, quando il ciclo si chiude, potremmo aver imparato qualcosa su noi stessi».

Quando nel marzo 2019 Sotheby’s ha battuto in asta l’opera Memories of Passersby I, Mario Klingemann ha giustamente avuto tutta la mia attenzione. Già scrivevo e indagavo sul tema dell’IA applicata al mondo dell’arte, e quest’opera ha avuto il merito di farmi appassionare e indurmi ad approfondirne la conoscenza. Nel preparare le domande da sottoporre a Klingemann per l’intervista, mi sono resa conto di avervi riposto aspettative molto alte. Lo ringrazio perché con le sue risposte è andato ben oltre le mie aspettative. Con questa intervista non solo ci ha permesso di introdurci alla sua visione come AI artist e di comprendere la rilevanza della sua produzione artistica, ma ci ha dato modo di apprezzare la sua “eleganza mentale” e il suo personale approccio storico, oggi anno 2021, dell’uomo con la “macchina”: naturale conseguenza della sua inesauribile sete di conoscenza che lo porterà sempre oltre i confini del mondo conosciuto.

rb.gy/elwglm Mitosis, Mario Klingemann Natively Digital: A Curated NFT Sale, Sotheby’s.

5. Processo di creazione di Mitosis. Courtesy Mario Klingemann.

«Ergo vivida vis animi pervicit et extra processit longe flammantia moenia mundi atque omne immensum peragravit mente animoque, unde refert nobis victor quid possit oriri, quid nequeat, finita potestas denique cuique qua nam sit ratione atque alte terminus haere.»

«Così trionfò la vigorosa forza del suo ingegno e si spinse lontano, al di là delle fiammanti mura del mondo e percorse con la mente e col cuore tutta l’immensità, da cui, vincitore, riferisce a noi che cosa possa nascere, che cosa non possa, e, infine, per quale legge ogni essere abbia un potere definito e un termine fisso.»

Lucrezio, dal Primo Elogio di Epicuro, De Rerum Natura, Libro I, vv. 62-67

R. P.: Mr Klingemann, lei è il vero pioniere dell’AI Art, ed è il primo nella lista degli AI artists di questo libro. Ho davvero apprezzato molto la sua opera, e vorrei esplorare con lei il potere ottenuto dalla IA nei diversi campi: dall’arte visiva al linguaggio fino alla musica.

M. K.: La musica, finora l’ho appena sfiorata, ma ho voluto provare. Tutto rientra nel concetto di avere dati d’informazione a disposizione per creare qualcosa dal nulla. In un certo senso tutti i media giocano la stessa partita, tutti si intrecciano nel nostro campo cerebrale e infine non vi è più una netta demarcazione tra testo, immagine o musica. È un tutt’uno. E non trovo debba esserci alcuna restrizione del tipo “come artista devo produrre solo arte visuale”, e per me questo è proprio uno dei motivi per cui mi avvalgo dell’AI: mi permette di muovermi tra le diverse discipline e combinarle in modi nuovi.

R. P.: Come artista, perché ha voluto sperimentare e acquisire l’IA nelle sue opere?

M. K.: Questo fa parte della mia personalità, della mia inclinazione naturale che mi accompagna fin da bambino quando smontavo radio e macchine per guardarci dentro, vedere come funzionavano e poi rimetterle insieme. In questo modo dai semplici meccanismi, con il tempo ho cercato di risalire al tutto. Tutto è un sistema per me. Ovviamente quanto più complesso il sistema, tanto più è interessante e forse anche misterioso, ma ho sempre voluto sapere: come funziona? E dai meccanismi sono risalito alla programmazione perché solo con una programmazione si costruisce un sistema con le sue regole. Se consideriamo il mondo intero, possiamo definirne ogni parte come un sistema, lo stesso se consideriamo il nostro cervello o il modo in cui interagiamo con la società, e tutta l’intera civiltà: cultura, arte, religione, politica, sono tutti sistemi, e sistemi all’interno di sistemi. E più un sistema è complesso, più è difficile smontarlo e analizzarlo. Quando smontiamo questi sistemi così complessi in tutti i loro piccoli componenti, probabilmente non troviamo quel che abbiamo sperato poiché la magia dei sistemi sta nel fatto che funzionano solo quando sono assemblati. È difficile analizzarli, per quanto si sia sempre tentato: gli storici cercando di analizzare le complessità della storia, così come i sociologi nel loro campo. Generalmente usiamo la parola per descrivere il tutto, scriviamo libri, e questo è il nostro modo di analizzare qualcosa di complesso, e ora arriva l’IA, o quella che chiamiamo IA, con i suoi strumenti di deep learning. Ora abbiamo un meccanismo che può tradurre in numeri i fenomeni più complessi e analizzare schemi. Con i numeri possiamo misurare quanto fino a ieri potevano descrivere solo con le parole. Ora possiamo misurare i sentimenti e anche l’estetica. Considero molto interessante avere a disposizione questo strumento universale, come un microscopio o un telescopio a seconda di come lo si usa e potersi calare nel profondo del sistema per coglierne i dettagli, o osservarlo da lontano nel suo complesso. E ne otteniamo dei numeri. E con questi numeri possiamo lavorare, formare categorie, o costruire un sistema in grado di orientare questi numeri verso un risultato ottimale avvicinandolo o allontanandolo, perché quando volessi creare un’opera d’arte, fare un quadro, potrei voler stare ben lontano da qualcosa che mi è già noto. Quindi una volta costruita la mappa con le sue misure, posso decidere di mettermi al centro della mappa e creare un’opera d’arte, un ritratto di un certo stile che possa rendere felice chi lo guarda. E posso misurare tutto questo

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