Iliade

Questo libro appartiene a ____________________________________
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tradotta da Vincenzo Monti
a cura di Raffaela Paggi
Francesco Francia
Daniele Ferrari
Pubblicare è dare alla luce.
Desideriamo mettere in luce parole che accompagnino le persone nella vita.
Questa è la responsabilità che abbiamo come editori. Libri compagni di viaggio.
Nella collana La Cetra Omero
Odissea tradotta da Ettore Romagnoli presentata e annotata da Marcello Candiani, Paola Meroni
Omero
Iliade
www.itacaedizioni.it/iliade
Prima edizione: luglio 2004
Nuova edizione riveduta e ampliata: luglio 2014
Settima ristampa: maggio 2025
© 2004 Itaca srl, Castel Bolognese Tutti i diritti riservati
ISBN 978-88-526-0392-1
Progetto grafico: Andrea Cimatti
Cura editoriale: Cristina Zoli
Stampato in Italia da Modulgrafica Forlivese, Forlì (FC)
Col nostro lavoro cerchiamo di rispettare l’ambiente in tutte le fasi di realizzazione, dalla produzione alla distribuzione. Utilizziamo inchiostri vegetali senza componenti derivati dal petrolio e stampiamo esclusivamente in Italia con fornitori di fiducia, riducendo così le distanze di trasporto.
In copertina
Guerriero morente, marmo, dal frontone est del tempio di Afaia ad Egina raffigurante scene della guerra troiana, V secolo a.C. Monaco, Gliptoteca (Interfoto/Alinari)
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La lettura dell’Iliade è un passo imprescindibile per chi si vuole addentrare nel mondo della letteratura, dell’arte, della civiltà occidentale. Purtroppo per molti anni le antologie scolastiche l’hanno presentata in modo frammentario, a stralci, sottraendole tutta la potenza narrativa, vera forza di attrazione per il giovane lettore. D’altra parte gli insegnanti che hanno voluto presentarla in classe integralmente si sono scontrati con la difficoltà di dover in molti passaggi mediare in modo invadente, per poterla far comprendere e gustare.
Da qui l’esigenza di apprestare uno strumento che salvaguardasse l’integralità della trama, la bellezza della versificazione, la fruibilità del testo. Ne è nata questa Iliade che alcuni insegnanti hanno curato per i loro studenti e che ora viene proposta a chi desidera essere accompagnato nella lettura dell’opera considerata uno dei classici sui quali si è formata la nostra cultura, condividendo un’avventura senza pari nell’affascinante, perché sempre vero, mondo omerico.
La traduzione
Il testo scolastico che vogliamo presentare ha come obiettivo quello di far conoscere l’intero poema in una traduzione italiana che rispetti l’andamento epico dell’originale, e questo si ritiene sia possibile solo fornendo una traduzione in versi.
Delle diverse traduzioni in versi esistenti è stata scelta quella di Vincenzo Monti perché «il Monti non traduce, ma interpreta: che è pur l’unico modo di tradurre. Subito egli coglie di un episodio, di un personaggio, di un’azione, l’accento fondamentale; e a quello volge e piega il suo interpretare, che è il suo tradurre, e intona il suo canto». «A ciò egli ha pronto e sicuro, addestrato e affinato da una consapevole tradizione classica italiana e latina, lo strumento del suo stile; e il congegno mirabile, leggero e saldo, snodato e compatto, del suo endecasillabo. E così tutta la Iliade, dal primo verso, è una meravigliosa espressione di cantata eloquenza» (M. Valgimigli, La traduzione della «Iliade», in La letteratura italiana. Storia e testi. Vol. 54. Vincenzo Monti. Opere, Riccardo Ricciardi Editore 1953, pp. 8 e 5).
L’opera del Monti rispetta e restituisce il mondo epico omerico, e lo comunica con una liricità tale che non si trova in nessun’altra traduzione in versi dell’Iliade, in nessuna traduzione che miri a rendere l’epicità col solenne metro endecasillabo, l’unico epico italiano. Le riproduzioni del metro greco perdono la ritmica, il canto e l’eloquenza dell’originale, e la versione italiana decade da poesia a prosa, seppur aulica.
L’integralità della trama
«La narrativa» dice Flannery O’Conner «è un’arte incarnatoria», per questo non si può prescindere dall’integralità della trama se si vuole conoscere realmente un poema come l’Iliade. Ma oltre a ciò, è fondamentale che il lettore venga a contatto con l’opera intera, cioè l’opera narrativa ed estetica come l’ha pensata e realizzata l’autore (seppur necessariamente mediata, ma superlativamente, da un traduttore). Gli autori ritengono, a questo proposito, che la didattica “per brani di opere”, cioè quella antologica, sia da abbandonare.
Questo però non significa fornire la traduzione completa di Monti, bensì un’ampia selezione di brani inframmezzati da raccordi in prosa scritti ex novo dai curatori del testo scolastico. In ciò si sostanzia uno dei due tratti caratteristici di questa edizione, essendo l’altro realizzato nell’apparato didattico.
Questo sistema, che alterna la lettura dei versi alla loro narrazione sintetica, è stato ampiamente e lungamente collaudato in classe dai curatori stessi e da altri colleghi. Si è trattato di seguire il testo montiano per le parti più avvincenti, anche dal punto di vista linguistico, e di narrare o riassumere in prosa alcuni brani, senza far venire meno, dunque, il filo narrativo.
Inoltre, perché sia più agevole seguire la trama, il testo viene suddiviso in sezioni formate da gruppi di libri corrispondenti alle grandi unità narrative del poema; ogni libro viene titolato mettendone in luce la tematica prevalente e suddiviso in sequenze narrative, a loro volta titolate per evidenziare il contenuto dell’episodio1.
L’apparato
Un’altra forte caratterizzazione di questo testo è l’apparato didattico, il quale non intende rubare la scena alla trama, rendendo la lettura un’operazione “scolastica” nel senso stereotipato del termine. Il nostro vuole essere un testo per studenti, cioè per giovani lettori, ma anche per chi si vuol lasciare accompagnare in una avventura di lettura che richiede in primis l’immedesimazione nei fatti e nei personaggi.
Da tali considerazioni consegue che le introduzioni e le note siano funzionali alla comprensione diretta e approfondita del testo.
Le introduzioni
Ogni sezione è preceduta da un’introduzione nella quale viene presentata la trama dei libri in essa contenuti, mettendone in luce le tematiche prevalenti. Si fornisce anche l’indicazione dei tempi e dei luoghi in cui si svolgono le vicende di ogni libro.
Le note
L’apparato delle note, in sostanza, mira a rendere fruibile e godibile il testo stesso, che, diversamente da opere classiche posteriori ai poemi omerici, le quali necessitano di integrazioni teoriche e critiche per le connessioni che hanno con le opere precedenti o coeve, è “autosufficiente”, cioè ha al suo interno tutto ciò che necessita alla sua stessa comprensione. È questa una delle caratteristiche che fa dei poemi omerici i classici fondativi della letteratura e della civiltà occidentali. Le note sono posizionate o a fianco del testo o a piè di pagina.
Note a fianco del testo
Esse intendono aiutare la comprensione immediata dei versi indicando: le funzioni sintattiche (soggetto, complemento oggetto, etc.); le similitudini; i nuclei argomentativi dei discorsi notevoli.
Note a piè di pagina
1. Alcune note forniscono la possibilità della costruzione in prosa del testo poetico (“Costruisci così…”), anche con la finalità di integrare un percorso didattico finalizzato allo studio della sintassi.
2. Accompagna questo tipo di note l’altro, quello lessicale, affinché i vocaboli, desueti o tipici del linguaggio aulico della poesia, siano immediatamente comprensibili. Si fornisce cioè la spiegazione del significato di lessemi e frasi attraverso sinonimi, perifrasi o, quando ve ne sia l’opportunità, le etimologie.
3. Un terzo tipo di note a piè di pagine evidenzia e valorizza le figure retoriche, sia per completare le osservazioni grammaticali sia per educare all’osservazione di alcune strutture del testo, liriche, narrative, descrittive o infine argomentative, anche in vista di una didattica della scrittura.
4. Alcune note esplicative e di approfondimento si occupano della mitologia del poema, della trama di storie e di rapporti dei personaggi,
nonché della geografia, dello sfondo storico e sociale attuale all’azione. Infatti, a seconda di quel che il testo poetico riporta, è necessario sia integrare, cioè fornire spiegazioni perché sia comprensibile quanto letto, sia raccogliere ed ordinare, cioè richiamare altri passi del testo poetico stesso.
Mappe, riassunti, raccordi in prosa
La nuova edizione del presente volume presenta alcune migliorie per renderne più fruibile l’utilizzo nella didattica: sono state aggiornate e rese più leggibili le mappe dei luoghi; riscritti in un linguaggio più comprensibile e sintetico i raccordi in prosa per non rallentare la lettura durante le lezioni; aggiunti i riassunti di ogni libro e una tabella cronologica degli eventi principali che accadono in ciascuno dei 51 giorni di guerra.
Tali integrazioni sono dovute alla richiesta di alcuni docenti che hanno segnalato la necessità di poter usufruire del racconto in breve degli episodi o per favorire una selezione più decisa dei brani in versi senza perdere il filo della trama o per fornire agli studenti che presentano maggior difficoltà di lettura e comprensione alcuni strumenti compensativi.
In concomitanza con la pubblicazione dell’Odissea a cura di M. Candiani e P. Meroni, volume della collana La Cetra, è stata aggiornata la guida per l’insegnante che si accompagna all’Iliade. Essa, concepita come strumento unitario per entrambi i testi, attraverso alcune pagine critiche sul poema e sul mondo omerico fornisce le ragioni della valenza culturale e formativa di Iliade e Odissea e offre suggerimenti e percorsi didattici per ciascuno dei due testi.
Una simile concezione di guida per l’insegnante nasce dalla considerazione che per introdurre gli studenti nella conoscenza dei testi letterari occorre da una parte proporre con consapevolezza quelle opere che realmente si considerano formative della persona, in quanto riconosciute tali da una tradizione attestata e verificata.
Dall’altra si reputa che un apparato didattico debba essere funzionale all’intelligenza del testo e non sia efficace se si riduce ad impartire nozioni, ad esercitare abilità indipendentemente dal senso del testo. Quindi si vuole lasciar libero l’insegnante di accogliere dei suggerimenti, che nascono da una riflessione culturale e da una verifica continua sul campo di lettura dell’Iliade e dell’Odissea con gli studenti, per
stabilire il percorso didattico più adatto ai ragazzi con cui quotidianamente lavora. Per chi scrive la didattica della lettura è infatti ricerca che accomuna insegnante e discente, finalizzata alla scoperta del senso e della verità che il testo ha in sé. Il testo letterario è infatti una «macchina metafisica, un dispositivo metafisico, nel quale è all’opera non solo la ragione, ma il cuore intero. È all’opera tutto l’uomo. Per questo ha a che fare con il destino. È all’opera tutto il potenziale dell’uomo, ed è un’esperienza grande, profonda, sconvolgente, in cui bisogna accompagnare i propri studenti» (E. Rigotti, Educazione linguistica e ragione, intervento al Coordinamento Culturale delle Scuole Libere, 23 febbraio 2002). Questa è la concezione di percorso personalizzato che i curatori di questa opera hanno e desiderano comunicare.
I curatori
-- linea di demarcazione
tra alleati Greci e alleati Troiani
La piana descritta da Omero è solcata da due fiumi, il Simoenta e lo Scamandro, che si riuniscono e sboccano nel mare alla destra dell’accampamento. Il campo greco è protetto da un fossato e da un muro; le navi sono tirate in secco, ordinate su tre linee e distaccate dalle tende.
Sottolineato nel testo: osservazioni grammaticali finalizzate alla comprensione del testo.
Grassetto nel testo: evidenziazione di chi prende la parola nei dialoghi a più interlocutori.
Grassetto in nota: segnalazione di una figura di suono o di senso del linguaggio poetico.
Parole su fondino grigio nel testo e a fianco: segnalazione dei termini di paragone.
Corsivo a fianco del testo: passaggi salienti di un discorso argomentativo.
Maiuscoletto a fianco del testo: sommario dei paragrafi più lunghi.
Il poema di Ilio. L’Iliade, ovvero il poema di Ilio (Troia, città dell’Anatolia) narra e celebra gli avvenimenti occorsi durante cinquanta giorni del decimo anno della guerra tra Achei e Troiani, che si concluse con la disfatta di Troia. Giorni terribili, perché l’ira si impossessò di Achille, il più valoroso degli Achei, il quale si ritirò dalla battaglia dopo aver brutalmente litigato con il duce Agamennone. Il poema racconta in ventiquattro libri le alterne vicende che vedono vittoriosi dapprima gli Achei, poi i Troiani fino al ritorno di Achille in battaglia, che sfiderà a duello il grande Ettore, principe troiano, i cui funerali chiudono il poema.
Alla base del racconto vi è la realtà storica. Da una parte vi è la storicità di tempi e di luoghi: Troia esistette realmente e la guerra fu davvero combattuta intorno al 1250 a.C. tra il popolo troiano, che controllava il passaggio per l’Ellesponto, e i principi delle città del Mare Egeo, i discendenti dei Micenei (o Achei), popolo indoeuropeo che si era insediato nell’Egeo e nella penisola greca almeno fin dall’inizio del secondo millennio a.C. Nel 1871 un tedesco, Heinrich Schliemann, trovò i resti della città e successivamente altri archeologi di varie nazionalità rinvennero ruderi, tombe, armi, coppe simili a quelli descritti da Omero. Dall’altra, l’Iliade si rivela un ottimo aiuto per conoscere i fondamenti sociali, istituzionali ed etici dell’antica civiltà greca.
Ma Omero non si accontenta di raccontare i fatti bellici per dovere di cronaca: l’Iliade intende al contempo celebrare il mondo eroico dei guerrieri, generosi e coraggiosi ma anche spietati e violenti; pietosi verso i loro cari e obbedienti agli dèi ma anche inebriati dal loro valore fino a sfidare la divinità. La guerra di Ilio, a cui partecipano uomini e dèi, entra così nella mitologia, in quel mondo alimentato dalla storia e dalla fantasia, a cui i Greci facevano riferimento per spiegare la realtà, per trovare esempi, valori, riferimenti con cui paragonarsi e su cui fondare la loro cultura. Nel mondo della polis, l’epoca “classica” dal VI sec. a.C. in poi, i poemi omerici avevano funzione di testo scolastico a cui era affidata la paideia, cioè l’educazione dei giovani, la formazione del cittadino, che si fondava sulla cultura.
Antefatto. Omero ci invita a trovare le origini del conflitto nella mitologia. Tutto iniziò fra gli abitatori dell’Olimpo, gli dèi, i quali esclusero la dea Discordia dai festeggiamenti per le nozze di Tetide, figlia del dio marino Nereo, con Peleo. La Discordia si vendicò gettando una mela d’oro sul banchetto: su di essa vi era scritto: «Alla più bella». Il premio fu subito conteso tra Giunone, Minerva e Venere, e fu necessario trovare un giudice imparziale per il verdetto. Venne incaricato un giovane bellissimo che pascolava lì vicino le sue pecore (in realtà era un principe, il figlio di Priamo, re di Troia). Si chiamava Paride Alessandro e il suo compito non fu facile: ogni dea lo lusingò promettendogli un dono meraviglioso in cambio della mela d’oro. Giunone gli offrì la potenza, Minerva la sapienza e Venere l’amore della donna più bella del mondo. La scelta di Paride cadde su Venere e naturalmente il giovane si inimicò le altre due dee.
In seguito Paride, con l’aiuto di Venere riprese il suo posto nella reggia del padre e, durante un’ambasciata a Sparta, si innamorò ricambiato della bella Elena, la moglie del re Menelao. Ella si lasciò rapire e lo seguì a Troia. Menelao, dapprima con Ulisse, principe di Itaca, chiese la restituzione della sposa a Priamo, ma costui non gliela concesse. Gonfio d’ira organizzò una spedizione militare contro la città di Troia, chiedendo l’aiuto di tutti i principi della Grecia, i quali avevano molti motivi di rivalità con il popolo troiano e quindi si armarono senza indugi.
A capo dell’impresa fu nominato Agamennone, re di Micene e fratello di Menelao, superiore agli altri prìncipi in valore, ma soprattutto per il numero di combattenti al suo seguito. Sin dall’inizio la spedizione trovò ardui ostacoli: le navi in partenza dovettero stare ferme in Aulide a causa di un vento sfavorevole, che, su consiglio del sacerdote Calcante, fu placato offrendo in sacrificio ad Artemide la giovane figlia di Agamennone, Ifigenia. Impietosita, la dea, allorquando il re supremo stava per dare il colpo fatale, circondò la giovinetta di una nube e la portò lontano, lasciando al suo posto una cerva bianca. Il vento divenne favorevole e la flotta salpò verso Troia.
L’assedio della città proseguì per dieci lunghi anni.
L’Autore del poema. L’Iliade fu scritta circa ottocento o novecento anni prima di Cristo. La tradizione attribuisce al poeta Omero la stesura del poema, ma non è stato possibile reperire notizie certe sulla sua biografia: ben sette città ne vantavano i natali, ma gli studiosi propendono per Smirne nell’Asia Minore, a quei tempi una fiorente colonia
greca. Alcuni sostengono che Omero fosse un povero orfanello cieco appassionato di racconti e di musica. Divenuto maestro, fu notato per il suo ingegno da un ricco mercante che lo portò con sé nei suoi viaggi, durante i quali si rivelò un valente rapsodo (aedo), cioè un cantore di epiche gesta, declamate al pubblico con l’accompagnamento della cetra. Ma tali notizie non sono supportate da documenti e testimonianze storiche, sicché l’identità di Omero resta avvolta nel mistero. Ancora oggi è aperto il dibattito tra gli studiosi su questo grande autore e sulle opere a lui attribuite. Vi è infatti chi ha messo in dubbio che l’Iliade e l’Odissea siano state scritte da un unico autore, ma studi moderni sono orientati a ritenere suoi entrambi i poemi, che pur essendo diversi per molti aspetti rivelano una coerenza artistica.
Il traduttore. L’Iliade è scritta in greco antico, precisamente nel dialetto ionico, e in greco la leggevano gli Antichi Romani. Poi, dalla caduta dell’Impero Romano d’Occidente fino al XV secolo dopo Cristo, i poemi omerici vennero letti solo nelle traduzioni latine. Fu nel XV secolo, quando venne conquistato dai Turchi l’Impero d’Oriente, che molti studiosi si rifugiarono in Occidente riportandovi così le grandi opere classiche scritte nella lingua originale, il greco, tra cui l’Iliade e l’Odissea, che ridestarono l’interesse per la civiltà alla base di tutta la nostra cultura letteraria, artistica e filosofica.
Interesse che alimentò gli studi di Vincenzo Monti. Nato in Romagna nel 1754 da una famiglia di agricoltori benestanti, si formò all’università di Ferrara, visse e operò principalmente a Roma e a Milano, dove morì nel 1828. È ricordato soprattutto per la sua traduzione dell’Iliade, ma fu anche poeta e saggista. I suoi tentativi di traduzione iniziarono nel 1788, e si avvalsero, nel primo decennio del 1800, dei risultati di una discussione accademica di alto livello su come tradurre il poema, discussione condotta, fra i tanti, anche dal suo amico poeta Foscolo, che tentò una traduzione in versi del Libro I, e dallo studioso di classicità Cesarotti, che tradusse letteralmente il poema in prosa. Monti riuscì a rendere l’epicità e la musicalità del verso esametro, il più solenne nella metrica classica, utilizzato da Omero, traducendo in versi endecasillabi. La difficoltà di adeguare il lungo verso esametro al più breve verso endecasillabo fu superata dal Monti con una maestria che gli fu riconosciuta dal Foscolo, un grandissimo poeta, il quale gli scrisse: «ed io nell’udirla mi confermava nella sentenza di Socrate che l’intelletto altamente ispirato dalle Muse è l’interprete migliore di Omero».
Libro I. Nel Libro I viene narrata la furiosa lite tra Achille e Agamennone, nata da un motivo apparentemente di poco conto e divenuta causa di tragiche morti di eroi: tanto possono l’ira e la discordia. I due eroi si contendono infatti la bella Briseide, schiava di Achille. Agamennone la pretende in cambio di Criseide, la schiava che il re deve restituire al padre, un sacerdote di Apollo, per placare l’ira del dio che fa strage fra gli Achei. Il conflitto tra i due eroi si inasprisce perché l’uno, Achille, il guerriero più forte e più coraggioso, è consapevole di essere essenziale per il buon esito della guerra e non tollera di sottostare ad Agamennone. L’altro, Agamennone, non sopporta invece che si metta in dubbio la sua autorità: è lui il capo della spedizione e al suo seguito vi è il contingente più numeroso. L’ira di Achille è accresciuta dall’umiliazione: l’eroe si sente trattato ingiustamente, perché il re non esita a derubarlo del bottino, dovuta ricompensa della sua fatica in battaglia. È in gioco dunque la dignità della sua persona, meritevole di rispetto per quanto conquistato nella lotta. E lo sdegno di Agamennone è alimentato dalla disobbedienza: un re non può tollerare che un suo sottoposto metta in dubbio il suo potere, perché perderebbe l’autorità che ha su tutti gli altri.
L’ira di Achille si trasforma poi in desiderio di vendetta, contro il re e contro tutto il popolo acheo, di cui si farà portavoce presso Giove la madre Tetide.
Tempo: Decimo anno di guerra; dal decimo al ventunesimo giorno degli eventi narrati.
Luoghi: L’accampamento greco e l’Olimpo.
Proemio: invocazione alla Musa
Cantami, o Diva, del Pelìde Achille
l’ira funesta che infiniti addusse
lutti agli Achei, molte anzi tempo all’Orco generose travolse alme d’eroi,
5 e di cani e d’augelli orrido pasto lor salme abbandonò (così di Giove l’alto consiglio s’adempìa), da quando primamente disgiunse aspra contesa il re de’ prodi Atrìde e il divo Achille.
Omero all’inizio dell’Iliade si rivolge a una Musa, dea ispiratrice dei poeti, e le chiede di sostenere l’opera di raccontare in versi l’ira di Achille, funesta perché è la causa di molte morti premature tra gli eroi Achei, i cui corpi saranno abbandonati sul campo di battaglia in pasto ai cani e agli avvoltoi. In questo modo si compie il volere di Giove, il quale, a un certo punto della guerra tra gli Achei e i Troiani, parteggia per questi ultimi. E questa ira irrefrenabile scoppia quando il re degli Achei, Agamennone, figlio di Atreo, litiga con il divino Achille. Nel Libro I dell’Iliade ci viene svelato il motivo del dissidio tra i due eroi.
a Crise e la vendetta di Apollo
10 E qual de’ numi inimicolli1? Il figlio2 di Latona e di Giove. Irato al Sire destò quel Dio nel campo un feral morbo3 ,
quel Dio irato è soggetto
1 . inimicolli: li inimicò, rese nemici Achille e Agamennone.
2 . Il figlio di Latona e Giove è Apollo.
3 un feral morbo: una malattia mortale.
e la gente perìa: colpa d’Atrìde4 che fece a Crise5 sacerdote oltraggio.
15 Degli Achivi era Crise alle veloci prore6 venuto a riscattar la figlia con molto prezzo7. In man le bende avea, e l’aureo scettro dell’arciero Apollo: e agli Achei tutti supplicando, e in prima
20 ai due supremi condottieri Atrídi8: «O Atrídi, ei disse, o coturnati9 Achei, gl’immortali del cielo abitatori concedanvi espugnar la Prïameia cittade10, e salvi al patrio suol tornarvi.
25 Deh mi sciogliete la diletta figlia11 , ricevetene il prezzo, e il saettante figlio di Giove rispettate». Al prego tutti acclamâr12: doversi il sacerdote riverire, e accettar le ricche offerte.
Tutti gli Achei sono dunque d’accordo a restituire Criseide a suo padre, ma la proposta non piace ad Agamennone, il quale investe con aspre parole Crise e lo caccia in malo modo incurante del suo ruolo sacerdotale. Crise, impaurito, si incammina lungo la riva del mare, dove invoca la vendetta di Apollo (vv. 3054).
55 L’udì Febo13, e scese
4. Atrìde significa figlio di Atreo e qui si riferisce ad Agamennone. Achille nel Proemio è invece nominato attraverso il patronimico (nome del padre) Pelìde, figlio di Peleo.
5 Crise era un sacerdote di Apollo che risiedeva a Crisa, città saccheggiata dagli Achei durante la guerra. Parte del bottino di Agamennone era Criseide, la figlia del sacerdote, il quale ora la richiede in cambio di un prezioso riscatto.
6. La prora è la parte anteriore della nave, qui sta a indicare l’intera nave.
7. Degli Achivi … prezzo. Costruisci così: Crise era venuto a riscattare con molto prezzo la figlia presso le navi degli Achivi.
8 Atrídi: i figli di Atreo, Agamennone e Menelao.
9. I coturni erano gli stivaletti che indossavano gli attori tragici; qui coturnati significa “dai bei gambali o schinieri”, riferendosi ai parastinchi dei guerrieri Achei.
10. la Prïameia cittade : Troia, la città di Priamo. Città della Troade ai piedi del Monte Ida, situata tra i fiumi Scamandro e Simoenta, prende il nome da un suo re, Troe. Il nome Ilio deriva invece da Ilo, figlio di Troe. I Troiani sono a volte denominati Dardani dal re Dardano, figlio di Giove e capostipite della schiatta dei Priamidi che dominarono la città fino alla sua distruzione. Da Dardano derivano anche gli Eneidi, a cui apparteneva Enea.
11 . Deh mi sciogliete la diletta figlia: vi prego, liberate la mia amata figlia!
12 . acclamâr : acclamarono.
13 Febo, che significa “risplendente”, è un appellativo di Apollo, il dio del sole.
dalle cime d’Olimpo14 in gran disdegno coll’arco su le spalle, e la faretra tutta chiusa. Mettean le frecce orrendo su gli omeri all’irato un tintinnìo
60 al mutar de’ gran passi15; ed ei simìle a fosca notte giù venìa. Piantossi delle navi al cospetto: indi uno strale liberò dalla corda, ed un ronzìo terribile mandò l’arco d’argento.
65 Prima i giumenti e i presti veltri assalse16 , poi le schiere a ferir prese, vibrando le mortifere punte; onde per tutto degli esanimi corpi ardean le pire17 . Nove giorni volâr pel campo acheo
70 le divine quadrella18 .
L’indovino Calcante
A parlamento nel decimo chiamò le turbe Achille; ché19 gli pose nel cor questo consiglio Giuno la diva dalle bianche braccia20 , de’ moribondi Achei fatta pietosa
75 Come fur giunti e in un raccolti, in mezzo levossi Achille piè-veloce, e disse: «Atrìde, or sì cred’io volta daremo21 nuovamente errabondi al patrio lido, se pur morte fuggir ne fia concesso22;
80 ché guerra e peste ad un medesmo tempo
soggetto
14. L’Olimpo è un monte della Tessaglia, in Grecia, sul quale gli antichi credevano avessero dimora gli dèi.
15. Mettean … passi. Costruisci così: Al mutar de’ gran passi le frecce mettean un tintinnio orrendo sugli omeri all’irato.
16. Dapprima Apollo colpì con le sue saette le bestie da soma ( giumenti ) e i cani (veltri ) degli Achei.
17. Gli Achei usavano bruciare i corpi dei defunti su cataste di legno ( pire).
18 Quadrella, saette, mortifere punte, strali sono sinonimi di “frecce”.
19. ché: poiché.
20. diva dalle bianche braccia è un epiteto (un nome posto in aggiunta, una specie di soprannome) di Giunone.
21 . volta daremo: ritorneremo.
22 ne fia concesso: ci sarà concesso.
ne struggono. Ma via; qualche indovino interroghiamo, o sacerdote, o pure interprete di sogni (ché da Giove anche il sogno procede), onde23 ne dica
85 perché tanta con noi d’Apollo è l’ira: se di preci o di vittime neglette il Dio n’incolpa, e se d’agnelli e scelte capre accettando l’odoroso fumo, il crudel morbo allontanar gli piaccia.
90 Così detto, s’assise.
Si alza Calcante, figlio di Testore, il più sapiente e famoso indovino greco (vv. 9197), e dice queste parole:
«Amor di Giove, generoso Achille, vuoi tu che dell’arcier sovrano Apollo 100 ti riveli lo sdegno? Io t’obbedisco. Ma del braccio l’aita e della voce a me tu pria, signor, prometti e giura24: perché tal25 che qui grande ha su gli Argivi tutti possanza, e a cui l’Acheo s’inchina,
105 n’andrà, per mio pensar, molto sdegnoso. Quando il potente col minor s’adira, reprime ei sì del suo rancor la vampa per alcun tempo, ma nel cor la cova, finché prorompa alla vendetta. Or dinne 110 se salvo mi farai».
Achille non esita a giurare protezione a Calcante e lo incita a dire tutta la verità (vv. 110121).
Allor fe’ core26 il buon profeta, e disse:
«Né d’obblïati sacrifici il Dio né di voti si duol, ma dell’oltraggio
125 che al sacerdote fe’ poc’anzi Atrìde,
23. onde: affinché.
soggetto soggetto
24. Ma … giura. Costruisci così: Ma pria (prima) tu, signor, prometti e giura a me l’aita (l’aiuto) del braccio e della voce.
25. tal: si riferisce ad Agamennone che ha potere ( possanza) su tutti gli Achei.
26 fe’ core : prese coraggio.
che francargli27 la figlia ed accettarne il riscatto negò. La colpa è questa onde cotante ne diè strette28, ed altre l’arcier divino ne darà; né pria
130 ritrarrà dal castigo la man grave29 , che si rimandi la fatal donzella non redenta né compra al padre amato, e si spedisca un’ecatombe30 a Crisa. Così forse avverrà che il Dio si plachi».
135 Tacque, e s’assise.
Agamennone e Achille: gli animi si infiammano
Allor l’Atrìde eroe, il re supremo Agamennón, levossi corruccioso. Offuscavagli la grande ira il cor gonfio, e come bragia rossi; fiammeggiavano gli occhi. E tale ei31 prima
140 squadrò torvo Calcante, indi proruppe: «Profeta di sciagure, unqua32 un accento non uscì dalla tua bocca a me gradito. Al maligno tuo cor sempre fu dolce predir disastri, e d’onor vôte e nude
145 son l’opre tue del par che le parole33».
Ciononostante Agamennone acconsente a restituire la schiava, pur amandola come ama sua moglie Clitemnestra che non la supera in bellezza e ingegno (vv. 146155). A una condizione, però:
«Ma libera sia pur, se questo è il meglio; ché la salvezza io cerco, e non la morte del popol mio. Ma voi mi preparate
27 francargli: liberargli.
28 onde strette. Spiega così: per la quale colpa ci mandò così tante disgrazie.
29 grave deriva dal latino gravis, che significa “pesante”. Qui, detto di mano, significa “che dà pesanti punizioni”.
30. ecatombe: sacrificio di cento animali (ecatón in greco significa “cento”).
31 . ei: egli, cioè Agamennone.
32 . unqua: mai.
33. d’onor … parole. Costruisci così: le tue opre (opere) son vôte (vuote) e nude d’onor del par che (tanto quanto) le parole. soggetto
tosto34 il compenso, ché de’ Greci io solo
160 restarmi senza guiderdon non deggio35; ed ingiusto ciò fôra36, or che una tanta preda, il vedete, dalle man mi fugge».
«O d’avarizia al par che di grandezza famoso Atrìde,» gli rispose Achille
165 «qual premio ti daranno, e per che modo i magnanimi37 Achei? Che molta in serbo vi sia ricchezza non partita38, ignoro: delle vinte città tutte divise ne fur le spoglie, né diritto or torna
170 a nuove parti congregarle in una39 . Ma tu la prigioniera al Dio rimanda, ché più larga n’avrai tre volte e quattro ricompensa da noi, se Giove un giorno l’eccelsa Troia saccheggiar ne dia40».
175 E a lui l’Atrìde: «Non tentar, quantunque ne’ detti accorto41, d’ingannarmi: in questo né gabbo tu mi fai, divino Achille, né persuaso al tuo voler mi rechi. Dunque terrai tu la tua preda, ed io
180 della mia privo rimarrommi? E imponi che costei sia renduta? Il sia. Ma giusti concedanmi42 gli Achivi altra captiva43 che questa adegui e al mio desir risponda. Se non daranla, rapirolla io stesso,
34 tosto: subito, velocemente.
soggetto
soggetto
35 ché deggio. Costruisci così: ché (poiché) io non deggio (devo), solo (unico) de’ Greci, restarmi senza guiderdon (ricompensa).
36 fôra: sarebbe.
37 Magnanimo deriva dal latino magnus animus, che significa “di animo grande”, cioè “nobile, generoso e coraggioso”. Il termine contrario è pusillanime, da pusillus animus, cioè “di animo piccolo, meschino”.
38 partita: suddivisa, spartita.
39 né in una. Costruisci così: né or torna diritto (e ora non è giusto) congregarle in una (riunirle insieme) a nuove parti (spartendole diversamente).
40. ne dia: ci conceda.
41 . quantunque … accorto: sebbene tu sia scaltro, abile nel parlare.
42 . concedanmi: concedano a me. È frequente nel linguaggio poetico, anche per ragioni metriche, la posticipazione dopo il verbo del pronome personale: “mi concedano” diventa “concedanmi”.
43 captiva: prigioniera. Il participio latino captivus deriva da capère, che significa “prendere”; nel latino cristiano captivus diaboli significa “prigioniero del diavolo”, da cui il significato odierno dell’aggettivo “cattivo”.
185 sia d’Aiace la schiava, o sia d’Ulisse, o ben anco la tua: e quegli indarno fremerà d’ira alle cui tende io vegna44 . Ma di ciò poscia parlerem. D’esperti rematori fornita or si sospinga
190 nel pelago una nave, e vi s’imbarchi coll’ecatombe la rosata guancia45 della figlia di Crise, e ne sia duce alcun de’ primi, o Aiace, o Idomenèo, o il divo Ulisse, o tu medesmo pure,
195 tremendissimo Achille, onde di tanto sacrificante il grato ministero il Dio ne plachi che da lunge impiaga46». Lo guatò bieco Achille, e gli rispose: «Anima invereconda47, anima avara,
200 chi fia48 tra i figli degli Achei sì vile che obbedisca al tuo cenno, o trar la spada in agguati convegna49 o in ria battaglia? Per odio de’ Troiani io qua non venni a portar l’armi, io no; ché meco ei sono 205 d’ogni colpa innocenti. Essi né mandre né destrier mi rapiro; essi le biade della feconda popolosa Ftia50 non saccheggiâr; ché molti gioghi ombrosi ne son frapposti e il pelago sonoro.
210 Ma sol per tuo profitto, o svergognato, e per l’onor di Menelao, pel tuo, pel tuo medesmo, o brutal ceffo, a Troia ti seguitammo alla vendetta. Ed oggi tu ne51 disprezzi ingrato, e ne calpesti,
44 e quegli vegna. Costruisci così: e indarno (invano) fremerà d’ira quegli alle cui tende (colui alle tende del quale) io vegna (venga).
45. la rosata guancia: Criseide viene indicata con riferimento alle sue guance rosa.
46. onde … impiaga: affinché Apollo, che dal cielo ci manda la rovina (impiaga), sia placato dal sacrificio operato da una persona così importante. Impiagare è un verbo denominale, cioè derivato dal nome “piaga”.
47. invereconda: sfacciata, non rispettosa. Dal latino in (negazione) + verecundum, dal verbo vere-ri, che significa “provare un sentimento di timore religioso o di rispetto”.
48 . fia: sarà, potrà essere.
49. convegna: accorra.
50. Ftia: città della Tessaglia da cui proviene Achille.
51 ne : ci, noi. soggetto
215 e a me medesmo di rapir minacci de’ miei sudori bellicosi il frutto, l’unico premio che l’Acheo mi diede. Né pari al tuo d’averlo io già mi spero quel dì che i Greci l’opulenta52 Troia
220 conquisteran; ché mio dell’aspra guerra certo è il carco53 maggior; ma quando in mezzo si dividon le spoglie, è tua la prima, ed ultima la mia, di cui m’è forza54 tornar contento alla mia nave, e stanco
225 di battaglia e di sangue. Or dunque a Ftia, a Ftia si rieda; ché d’assai fia meglio al paterno terren volger la prora, che vilipeso adunator qui starmi di ricchezze e d’onori a chi m’offende55».
230 «Fuggi dunque,» riprese Agamennóne «fuggi pur, se t’aggrada. Io non ti prego di rimanerti. Al fianco mio si stanno ben altri eroi, che a mia regal persona onor daranno, e il giusto Giove in prima.
235 Di quanti ei nudre regnatori abborro te più ch’altri56; sì, te che le contese sempre agogni57 e le zuffe e le battaglie. Se fortissimo sei, d’un Dio fu dono la tua fortezza. Or va, sciogli le navi,
240 fa co’ tuoi prodi al patrio suol ritorno, ai Mirmìdoni impera; io non ti curo, e l’ire tue derido; anzi m’ascolta. Poiché Apollo Crisëide mi toglie, parta. D’un mio naviglio, e da’ miei fidi
245 io la rimando accompagnata, e cedo.
52 . opulenta: ricca.
53. c arco: carico, impegno.
54. m’è forza: sono obbligato, devo per forza.
55. che … m’offende. Spiega così: che stare qui ad accumulare ricchezze e onori per colui che mi umilia e mi offende.
56 di ch’altri. Spiega così: tra tutti i regnanti a cui Giove dà potere, quello che io disprezzo di più sei tu.
57. agogni: brami, desideri ardentemente. Dal greco ago-nia, che significa “lotta, sforzo, angoscia”.
Ma nel tuo padiglione ad involarti58 verrò la figlia di Brisèo, la bella tua prigioniera, io stesso; onde t’avvegga quant’io t’avanzo di possanza, e quindi
250 altri meco uguagliarsi e cozzar tema59».
L’intervento di Minerva
Di furore infiammâr l’alma d’Achille queste parole. Due pensier gli fêro terribile tenzon60 nell’irto petto, se dal fianco tirando il ferro acuto
255 la via s’aprisse tra la calca, e in seno l’immergesse all’Atrìde; o se domasse l’ira, e chetasse il tempestoso core.
Achille, in dubbio se dar retta alla ragione o allo sdegno, sta per colpire Agamennone con la spada quando sopraggiunge Minerva, inviata da Giunone, a fermarlo (vv. 258280). Così la dea parla ad Achille:
«Or via, ti calma, né trar brando61, e solo di parole contendi. Io tel62 predìco, e andrà pieno il mio detto: verrà tempo che tre volte maggior, per doni eletti, 285 avrai riparo dell’ingiusta offesa.
Tu reprimi la furia, ed obbedisci».
E Achille a lei: «Seguir m’è forza63, o Diva, benché d’ira il cor arda, il tuo consiglio. Questo fia lo miglior. Ai numi è caro 290 chi de’ numi al voler piega la fronte».
58 involarti: rubarti. Dal latino in (sopra) + volare, termine inizialmente appartenente al linguaggio dei cacciatori, poi il suo significato si è così trasformato: volare sopra > volare contro > piombare addosso > impadronirsi.
59 onde tema. Spiega così: affinché tu ti renda conto di quanto il mio potere sia superiore al tuo e nessuno osi più ritenersi pari a me e mettere in discussione le mie parole.
60. tenzon: duello. Due pensieri contrapposti si combattono nell’irto, irsuto, fiero petto di Achille.
61 . né trar brando: e non tirar fuori la spada, prima chiamata “ferro”.
62 . tel: te lo.
63 m’è forza: sono obbligato, devo per forza.
Obbediente a Minerva, Achille ritira la spada e la dea torna fra gli Eterni (vv. 291296). Ma non per questo si placa lo sdegno del Pelìde:
Achille allora con acerbi detti rinfrescando la lite, assalse Atrìde: «Ebbro! cane agli sguardi e cervo al core64!
300 Tu non osi giammai nelle battaglie dar dentro colla turba65; o negli agguati perigliarti66 co’ primi infra gli Achei, ché ogni rischio t’è morte».
L’ira di Achille si infiamma sempre di più: accusa Agamennone di potersi comportare come un tiranno solo per la viltà degli Achei. Giunto al culmine del suo sdegno, il Pelìde fa un solenne giuramento sul suo scettro (vv. 303320):
«Stagion verrà che negli Achei si svegli desiderio d’Achille, e tu salvarli misero! non potrai, quando la spada dell’omicida Ettòr farà vermigli
325 di larga strage i campi: e allor di rabbia il cor ti roderai, ché sì villana al più forte de’ Greci onta facesti». Disse; e gittò lo scettro a terra, adorno d’aurei chiovi67, e s’assise.
Nestore di Pilo, il saggio e anziano oratore, tenta di mettere pace tra Agamennone e Achille. Ma non riesce a convincere Agamennone a restituire ad Achille la sua schiava e tantomeno a renderlo sottomesso al re (vv. 329378). E Agamennone continua ad accusare Achille di essere un presuntuoso:
64. Ebbro … cuore : ubriacato dal tuo orgoglio, rabbioso come un cane e vile come un cervo.
65. dar … turba: gettarti nella mischia della battaglia. Turba indica la folla dei soldati semplici, distinta dai comandanti.
66. perigliarti: esporti al pericolo.
67 aurei chiovi: lo scettro di Achille è ornato di borchie d’oro.
«Tu rettissimo parli, o saggio antico;»
380 pronto riprese il regnatore Atrìde «ma costui tutti soverchiar presume68 , tutti a schiavi tener, dar legge a tutti, tutti gravar del suo comando. Ed io potrei patirlo69? Io no. Se il fêro70 i numi
385 un invitto guerrier, forse pur anco di tanto insolentir gli diero il dritto?»
Ma nulla riesce a convincere Achille, il quale si rifiuta di sottomettersi ai comandi di Agamennone:
«Un pauroso, un vil certo sarei se d’ogni cenno tuo ligio foss’io.
390 Altrui comanda, a me non già; ch’io teco sciolto di tutta obbedienza or sono».
Criseide liberata
Sciolta l’assemblea, Agamennone affida a Ulisse il compito di riportare Criseide al padre (vv. 392410) e poi invita gli Achei a fare un rito di purificazione.
Indisse al campo Agamennóne una sacra lavanda: e ognun devoto purificarsi, e via gittar nell’onde le sozzure, e del mar lungo la riva 415 offrir di capri e di torelli intere ecatombi ad Apollo. Al ciel salìa volubile col fumo il pingue71 odore.
Nel frattempo l’Atrìde invia due araldi, Euribate e Taltibio, a prelevare Briseide dalla tenda di Achille (vv. 418427).
68 soverchiar presume : ha la presunzione di essere superiore a tutti.
69 patirlo: sopportarlo.
70 fêro: fecero. Ancora una volta Agamennone afferma che la forza di Achille è dono degli dèi, e non merito suo, quindi non ha alcun diritto di essere insolente e presuntuoso.
71 . pingue : grasso. L’odore è detto “grasso” in riferimento a ciò che lo produce. L’unione di termini afferenti a percezioni sensoriali diverse si chiama sinestesia
Del mar lunghesso l’infecondo lido givan quelli a mal cuore72, e pervenuti
430 de’ Mirmidóni alla campal marina trovâr l’eroe seduto appo73 le navi davanti al padiglion: né del vederli certo Achille fu lieto. Ambo al cospetto regal fermârsi trepidanti e chini,
435 né far motto fur osi74 né dimando. Ma tutto ei vide in suo pensiero, e disse: «Messaggeri di Giove e delle genti, salvete75, araldi, e v’appressate. In voi niuna è colpa con meco. Il solo Atrìde,
440 ei solo è reo, che voi per la fanciulla Brisëide qui manda. Or va, fuor mena, generoso Patròclo, la donzella, e in man di questi guidator l’affida. Ma voi medesmi innanzi ai santi numi
445 ed innanzi ai mortali e al re crudele siatemi testimon, quando il dì splenda che a scampar gli altri di rovina il mio braccio abbisogni76. Perocché delira in suo danno costui77, ned78 il presente 450 vede, né il poi, né il come a sua difesa salvi alle navi pugneran gli Achei». Disse; e Patròclo del diletto amico al comando obbedì. Fuor della tenda
72 Del mar cuore. Spiega così: quelli ( gli araldi ) camminavano lungo l’arida spiaggia a malincuore per raggiungere l’accampamento presso il mare (campal marina) ove si trovava la tenda di Achille.
73 appo: presso.
74 fur osi: osarono.
75 salvete : è un saluto latino, e significa “state bene”.
76 quando abbisogni. Spiega così: nel giorno in cui ci sarà bisogno di me per salvare gli Achei dalla rovina.
77. Perocché … costui. Spiega così: dal momento che Agamennone dice cose insen sate a suo danno.
78 ned: né. Come “e” davanti alla vocale diventa “ed”, così “né” diventa “ned”.
Brisëide menò79, guancia gentile,
455 ed agli araldi condottier la cesse80 .
Mentre ei fanno alle navi achee ritorno, e ritrosa con lor partìa la donna, proruppe Achille in un sùbito81 pianto, e da’ suoi scompagnato in su la riva
460 del grigio mar s’assise, e il mar guardando le man stese, e dolente alla diletta madre pregando, «Oh madre! è questo,» disse «questo è l’onor che darmi il gran Tonante82 a conforto dovea del viver breve
465 a cui mi partoristi? Ecco, ei mi lascia spregiato in tutto: il re superbo Atrìde Agamennón mi disonora; il meglio de’ miei premi rapisce, e sel possiede». Sì piangendo dicea. La veneranda83
470 genitrice l’udì, che ne’ profondi gorghi del mare si sedea dappresso al vecchio padre84; udillo, e tosto emerse, come nebbia, dall’onda: accanto al figlio, che lagrime spargea, dolce s’assise, 475 e colla mano accarezzollo, e disse: «Figlio, a che piangi? e qual t’opprime affanno? Di’, non celarlo in cor, meco il dividi».
Achille racconta alla madre le vicende che hanno causato il dissidio tra lui e Agamennone e le chiede di intervenire a suo favore presso Giove. Achille sa infatti che la madre Teti gode del favore di Giove, avendolo soccorso in una congiura per spodestarlo (vv. 478532). E volendo umiliare Agamennone le chiede addirittura di far perdere gli Achei:
79 menò: condusse.
80. cesse : cedette.
81 . sùbito: improvviso, irruente.
82 . il gran Tonante : epiteto di Giove, in quanto suscitatore dei tuoni e dei fulmini. Giove aveva concesso ad Achille di scegliere fra una vita lunga ma senza gloria e una vita breve ma gloriosa.
83. veneranda: degna di essere venerata.
84. Il padre di Teti è Nereo, le cui figlie dette Nereidi sono le ninfe marine.
«Or tu questo rammentagli, e al suo lato siedi, e gli abbraccia le ginocchia85, e il prega 535 di dar soccorso ai Teucri, e far che tutte fino alle navi le falangi achee sien spinte e rotte e trucidate. Ognuno lo si goda così questo tiranno; senta egli stesso il gran regnante Atrìde 540 qual commise follìa quando superbo fe’ de’ Greci al più forte un tanto oltraggio».
E lagrimando a lui Teti rispose: «Ahi figlio mio! se con sì reo destino ti partorii, perché allevarti, ahi lassa!
545 Oh potessi ozioso a questa riva senza pianto restarti e senza offese, ingannando la Parca86 che t’incalza, ed omai t’ha raggiunto! Ora i tuoi giorni brevi sono ad un tempo ed infelici, 550 ché iniqua stella il dì ch’io ti produssi i talami paterni illuminava87».
Piangendo sulla sorte del figlio, destinato a morire, Teti promette ad Achille che andrà da Giove dodici giorni dopo, non appena questi sarà tornato dalla terra degli Etiopi, ove si è recato per un convito con gli altri dèi. Intanto è meglio che Achille stia presso le navi così che gli Achei sentano il peso della sua assenza dal campo di battaglia (vv. 552568).
Intanto Ulisse approda a Crisa con la sacra ecatombe e con la bella Criseide, la quale viene restituita al padre. Il vecchio l’accoglie giubilando e subito innalza al dio Apollo la preghiera di placare la sua ira contro gli Achei. Quindi, finite le preghiere, preparano le vittime per il sacrificio religioso e, terminato il rito, tutti si siedono a banchettare e a invocare il dio Apollo con allegri canti. In seguito tornano con Ulisse all’accampamento (vv. 568646).
85. Abbracciare le ginocchia era un modo per intensificare la supplica, come il nostro congiungere le mani.
86. Le Parche nella mitologia greca sono tre sorelle che si occupano del filo della vita di ogni uomo: Cloto lo tesse; Lachesi lo fa girare sul fuso; Atropo lo recide.
87 che illuminava. Spiega così: poiché una stella avversa illuminò il tuo concepimento.
Solitudine di Achille
Appo i suoi legni88 intanto il generoso Pelìde Achille nel segreto petto di sdegno si pascea89, né al parlamento, 650 scuola illustre d’eroi, né alle battaglie più comparìa; ma il cor struggea di doglia lungi dall’armi, e sol dell’armi il suono e delle pugne il grido egli sospira.
Teti implora Giove e suscita la gelosia di Giunone
Dopo dodici giorni la dea Teti, madre di Achille, chiede e ottiene da Giove la vittoria dei troiani per vendicare l’umiliazione subita dal figlio.
Giunone si accorge dell’incontro tra Giove e Teti e così si rivolge al marito (vv. 654716):
«E qual de’ numi tenne or teco consulta90, o ingannatore? Sempre t’è caro da me scevro91 ordire tenebrosi disegni, né ti piacque
720 mai farmi manifesto un tuo pensiero». E degli uomini il padre e degli Dei le rispose: «Giunon, tutto che penso non sperar di saperlo. Ardua ten fôra l’intelligenza92, benché moglie a Giove.
725 Ben qualunque dir cosa si convegna, nullo, prima di te, mortale o Dio la si saprà. Ma quel che lungi io voglio dai Celesti ordinar nel mio segreto, non dimandarlo né scrutarlo, e cessa».
730 «Acerbissimo Giove, e che dicesti?» riprese allor la maestosa il guardo93
88 Appo i suoi legni: presso le sue navi.
89 si pascea: si nutriva.
90 tenne consulta: stette a parlare con te.
91 da me scevro: lontano da me, senza il mio parere.
92 Ardua l’intelligenza: te ne sarebbe difficile la comprensione.
93 maestosa il guardo: dallo sguardo maestoso. L’aggettivo “maestoso” è riferito a “sguardo”, ma qui concorda con “Giunone”: tale costruzione viene chiamata accusativo di relazione o “alla greca”.
veneranda Giunon «gran tempo è pure che da te nulla cerco e nulla chieggo, e tu tranquillo adempi ogni tuo senno.
735 Or grave un dubbio mi molesta il core, che Teti, del marin vecchio la figlia, non ti seduca; ch’io la vidi, io stessa, sul mattino arrivar, sederti accanto, abbracciarti i ginocchi; e certo a lei
740 di molti Achivi tu giurasti il danno appo le navi, per onor d’Achille». E a rincontro il signor delle tempeste: «Sempre sospetti, né celarmi io posso, spirto maligno, agli occhi tuoi. Ma indarno
745 la tua cura uscirà94, ch’anzi più sempre tu mi costringi a disamarti, e questo a peggio ti verrà. S’al ver t’apponi, che al ver t’apponga ho caro95. Or siedi, e taci, e m’obbedisci; ché giovarti invano
750 potrìan quanti in Olimpo a tua difesa accorresser Celesti, allor che poste le invitte96 mani nelle chiome io t’abbia». Disse; e chinò la veneranda Giuno i suoi grand’occhi paurosa e muta, 755 e in cor premendo il suo livor97 s’assise.
Il banchetto degli dèi
Il dialogo pieno di tensione tra Giove e Giunone rende tristi e preoccupati gli dèi, ma Vulcano riporta l’allegria, facendoli divertire fino a sera (vv. 756813).
94. Ma indarno la tua cura uscirà: ma la tua preoccupazione (cura) sarà inutile, vana.
95. S’al ver … caro. Spiega così: mi fa piacere che tu abbia scoperto la verità.
96. invitte : mai vinte, sempre vittoriose.
97 livor : astio, rancore. Livore è della stessa famiglia di parole di “illividire, livido”. soggetto
Ingannato dal Sogno mandato da Giove, Agamennone vede prossima la fine dei Troiani, e mette alla prova l’animo degli Achei invitandoli alla resa. Ormai stanchi della guerra, desiderosi di riabbracciare i loro cari e di rimettere piede nella loro patria, i guerrieri si dirigono in festa verso le navi, ma vengono fermati dalle parole e dalle minacce di Ulisse che li raduna in assemblea. È questa l’occasione per i duci di tenere discorsi che ora infiammano, ora commuovono l’animo dei rudi combattenti, mostrando tutto il potere che i Greci riconoscevano alla parola, a volte più convincente della forza delle armi. Si distingue tra essi Tersite, non per nobiltà ma per codardia: il suo aspetto riflette il suo animo, degno di disprezzo e di commiserazione. In un mondo che apprezza il valore della prestanza fisica, del coraggio e della dedizione, nonché della capacità persuasiva del bel discorso, Tersite si presenta grottesco e deforme, incapace di portare fino in fondo la sua missione, sgradevole nel parlare e nell’atteggiarsi. Gli fa da contraltare il generoso e astuto Ulisse, che arriverà addirittura a bastonarlo, suscitando il riso di tutti.
Sciolta l’assemblea l’esercito si schiera, mostrandosi in tutto il suo vigore. Il lettore viene così a conoscenza dei protagonisti del poema, passando in rassegna le genti e le navi al loro seguito, che testimoniano la gloria dell’esercito greco.
Specularmente, alla fine del Libro II, viene presentato anche l’esercito troiano, meno numeroso di quello acheo (50.000 sono i combattenti a fronte dei 120.000 Achei) e più disorganico, in quanto formato da tanti popoli di lingua diversa.
La differenza tra i due popoli rivali si nota ancor più all’inizio del Libro III, quando gli eserciti si trovano l’uno di fronte all’altro: gli Achei si muovono dietro ai loro duci in silenzio, mostrando valore e pronti ad aiutarsi l’un l’altro, i Troiani paiono uno stormo di uccelli schiamazzanti.
A Paride tocca la prima mossa: il principe sfida a duello gli eroi Achei, ma non appena si fa avanti Menelao, fugge spaventato tra i suoi. Appare così in tutta la sua ignavia, tronfio della sua bellezza, peraltro donatagli
dagli dèi, ma incapace di affrontare con coraggio la battaglia, pur sapendo di esserne la causa. Redarguito da Ettore, che sin dalle prime mosse si presenta come guida e riferimento autorevole per la sua famiglia e il suo popolo, si fa coraggio e ha luogo così la prima delle molte tenzoni del poema.
Prima però vengono giurati i patti alla presenza del vecchio Priamo: il vincitore avrà Elena e tutte le sue ricchezze. Il vecchio re viene chiamato in causa quale garante: è inaffidabile infatti la parola di chi, giovane e dunque privo di esperienza, non può offrire una solida garanzia della sua attendibilità.
Nel duello Menelao ha la meglio, ma Venere interviene in soccorso del suo diletto Paride e lo sottrae al colpo fatale del nemico, il quale viene dichiarato vincitore da Agamennone.
Tempo: Dalla notte del ventunesimo giorno all’alba del ventiduesimo. Luoghi: L’accampamento greco e quello troiano.
Tutti ancora dormìan per l’alta notte1 i guerrieri e gli Dei; ma il dolce sonno già le pupille abbandonato avea di Giove che pensoso in suo segreto2
5 divisando venìa3 come d’Achille, con molta strage delle vite argive, illustrar la vendetta. Alla divina mente alfin parve lo miglior consiglio invïar all’Atrìde Agamennóne
10 il malefico Sogno. A sé lo chiama, e con presto parlar4, «Scendi» gli dice «scendi, Sogno fallace5, alle veloci prore de’ Greci, e nella tenda entrato d’Agamennón, quant’io t’impongo, esponi
15 esatto ambasciator6. Digli che tutte in armi ei ponga degli Achei le squadre, che dell’iliaco muro oggi è decreta su nel ciel la caduta; che discordi degli eterni d’Olimpo abitatori
20 più non sono le menti; che di Giuno cessero tutti al supplicar7; che in somma l’estremo giorno de’ Troiani è giunto». Disse; ed il Sogno, il divin cenno udito, avvïossi e calossi in un baleno
complemento oggetto
sintagma predicativo riferito al Sogno soggetto
1 . per l’alta notte : nel cuore della notte (alta significa “profonda”).
2 . in suo segreto: i pensieri di Giove sono impenetrabili.
3. divisando venìa: stava meditando come rendere solenne (illustrando) la vendetta di Achille.
4. con presto parlar : parlando velocemente.
5. fallace : ingannatore.
6. esatto ambasciator : messaggero che riporta fedelmente le parole affidategli.
7 di Giuno … supplicar : tutti gli dèi cedettero alle preghiere di Giunone.
25 su l’argoliche navi8. Entra d’Atrìde
nel queto padiglione, e immerso il trova nella dolcezza di nettareo9 sonno.
Di Nestore Nelìde10 il volto assume, di Nestore, cui sovra ogni altro duce
30 Agamennóne riveriva, e in queste forme sul capo del gran re sospesa, così la diva visïon11 gli disse: «Tu dormi, o figlio del guerriero Atrèo?
Tutta dormir la notte ad uom sconviensi
35 di supremo consiglio, a cui son tante genti commesse e tante cure12. Attento dunque m’ascolta».
Il Sogno ripete fedelmente il consiglio di Giove e poi sparisce, dando ad Agamennone una nuova speranza (vv. 3850).
Prender di Troia
quel dì stesso le mura egli sperossi, né di Giove sapea, stolto! i disegni, né qual aspro pugnar, né quanta il Dio
55 di lagrime cagione13 e di sospiri ai Troiani e agli Achivi apparecchiava. Si riscuote dal sonno, e la divina voce dintorno gli susurra ancora. Sorge, e del letto su la sponda assiso
60 una molle s’avvolge alla persona tunica intatta, immacolata; gittasi il regal manto indosso; il piè costringe ne’ bei calzari; il brando aspro e lucente d’argentee borchie all’omero sospende14 ,
8 . argoliche navi: navi greche.
9. nettareo: dolce come il nettare, bevanda degli dèi.
complemento oggetto
10. Nelìde : figlio di Neleo (il suffisso -ìde significa “figlio di”; spesso i personaggi sono identificati attraverso il patronimico, cioè il nome del padre).
11 la diva visïon: il Sogno, immagine divina.
12 Tutta … cure. Costruisci così: Sconviensi (non si addice) ad uom di supremo consiglio (con grandi responsabilità), a cui son commesse (affidate) tante genti e tante cure (compiti), dormir tutta la notte.
13. cagione : unito a quanta nel verso 54 significa “quanti motivi”.
14 all’omero sospende : la spada veniva appesa alla spalla mediante una cinghia a tracolla.
65 l’invïolato avito scettro15 impugna, ed alle navi degli Achei cammina.
All’alba Agamennone convoca gli Achei per convincerli a riprendere la battaglia (vv. 6796). Innanzitutto però vuole saggiare l’umore dei guerrieri.
«[…] Ma pria giovi con finto favellar tentarne, fin dove lice, i sentimenti. Io dunque
100 comanderò che su le navi ognuno si disponga alla fuga, e sparsi ad arte voi l’impedite con opposti accenti16». Così detto s’assise. In piè rizzossi dell’arenosa Pilo il regnatore
105 Nestore, e saggio ragionando disse: «O amici, o degli Achei principi e duci, s’altro qualunque Argivo un cotal sogno detto n’avesse, un menzogner l’avremmo17 , e spregeremmo: ma lo vide il sommo
110 capo del campo. A risvegliar si corra dunque l’acheo valore». E sì dicendo usciva il vecchio dal consiglio, e tutti surti in piè lo seguìan gli altri scettrati del re supremo ossequiosi.
Intanto
115 il popolo accorrea. Quale dai fori di cava pietra numeroso sbuca lo sciame delle pecchie18, e succedendo sempre alle prime le seconde, volano
Come lo sciame delle api
15. l’inviolato avito scettro: lo scettro ereditato dai suoi avi, simbolo del potere, che nessuno aveva mai offeso o toccato.
16. opposti accenti: parole contrarie a quelle di Agamennone.
17. l’avremmo: lo considereremmo.
18 pecchie : api.
sui fior di aprile a gara, e vi fan grappolo
120 altre di qua affollate, altre di là; così fuor delle navi e delle tende correan per l’ampio lido a parlamento affollate le turbe, e le spronava l’ignea Fama, di Giove ambasciatrice19 .
125 Si congregaro alfin. Tumultuoso brulicava il consesso, ed al sedersi di tante genti il suol gemea di sotto. Ben nove araldi d’acchetar fean prova20 quell’immenso frastuono, alto gridando:
130 «Date fine ai clamori, udite i regi, udite, Achivi, del gran Dio gli alunni21». Sostârsi22 alfine: ne’ suoi seggi ognuno si compose, e cessò l’alto fragore.
Allor rizzossi Agamennón stringendo
135 lo scettro, esimia di Vulcan fatica23 .
[…] A questo il grande Atrìde appoggiato, sì disse: «Amici eroi,
145 Dànai, di Marte bellicosi24 figli, in una dura e perigliosa impresa Giove m’avvolse, Iddio crudel, che prima mi promise e giurò delle superbe iliache mura la conquista, e in Argo
150 glorioso il ritorno. Or mi delude indegnamente, e dopo tante in guerra vite perdute, di tornar m’impone inonorato alle paterne rive.
così le turbe
19. La Fama, con la lettera maiuscola perché viene personificata , è divulgatrice del pensiero di Giove. Viene detta ignea, dal latino ignis che significa “fuoco”, perché si propaga velocemente come le fiamme.
20. d’acchetar fean prova: cercarono di placare.
21 . gli alunni: i re sono definiti alunni di Giove, dal latino alo, che significa “nutro”: il loro potere deriva, è alimentato da Giove, fonte di ogni potere.
22 Sostârsi: si fermarono, si calmarono.
23. Lo scettro di Agamennone ha origini divine: Vulcano lo donò a Giove, Giove a Mercurio; questi all’auriga Pelope, esso ad Atreo; Atreo morendo lo donò a Tieste e da Tieste infine passò ad Agamennone.
24 bellicosi: valorosi guerrieri (dal latino bellum, che significa “guerra”).
Del prepotente Iddio questo è il talento25 ,
155 di lui che nell’immensa sua possanza già di molte città l’eccelse rocche distrusse, e molte struggeranne ancora.
Agamennone si lamenta per la durata della guerra che mette a dura prova gli uomini e fa desiderare il ritorno in patria alle mogli e ai figli (vv. 158179).
180 E noi l’impresa che a queste sponde ne condusse, ancora consumar26 non sapemmo. Al vento adunque, diamo al vento le vele, io vel consiglio, alla dolce fuggiam terra natìa
185 di concorde voler, ché disperata delle mura troiane è la conquista».
Alle parole di Agamennone gli Achei si commuovono e cominciano ad agitarsi (vv. 187195).
Tutti
alle navi correan precipitosi con fremito guerrier. Sotto i lor piedi s’alza la polve, e al ciel si volve oscura.
200 I navigli allestir, lanciarli in mare, espurgarne le fosse, ed i puntelli sottrarre alle carene era di tutti la faccenda e la gara27. Arde ogni petto del sacro amore delle patrie mura,
205 e tutto di clamori il cielo eccheggia.
E quel giorno gli Achei avrebbero fatto ritorno in patria se Giunone, contraria alla vittoria troiana, non si fosse rivolta a Minerva chiedendole di frenare la fuga dei guerrieri. Obbediente Minerva scese dall’O
25 talento: desiderio, volontà.
26 consumar : portare a compimento.
27 I navigli … gara. Spiega così: tutti si affaccendarono a preparare le navi e a metterle in mare, sgombrando i canali costruiti per trarle sulla spiaggia, pieni di fango, e togliendo i puntelli che le tenevano ferme.
limpo nel campo acheo, dove incontrò Ulisse che non si era mosso alle parole di Agamennone, ma osservava addolorato la scena (vv. 206226).
Gli28 si fece davanti la divina
Glaucopide29 dicendo: «O di Laerte generoso figliuol, prudente Ulisse,
230 così dunque n’andrete? E al patrio suolo navigherete, e lascerete a Priamo di vostra fuga il vanto, ed ai Troiani
d’Argo la donna30, e invendicato il sangue di tanti, che per lei qui lo versaro,
235 bellicosi compagni? A che ti stai?
T’appresenta agli Achei, rompi gl’indugi, dolci adopra parole e li trattieni, né consentir che antenna31 in mar si spinga». Così disse la Dea. Ne riconobbe
240 l’eroe la voce, e via gittato il manto, che dopo lui raccolse il banditore
Eurìbate itacense32, a correr diessi; e incontrato l’Atrìde Agamennóne, ratto ne prende il regal scettro, e vola
245 con questo in pugno tra le navi achee; e quanti ei trova o duci o re, li ferma con parlar lusinghiero; e, «Che fai,» dice, «valoroso campione? A te de’ vili disconvien la paura. Or via, ti resta, 250 pregoti, e gli altri fa restar. La mente ben palese non t’è d’Agamennóne; egli tenta gli Achei, pronto a punirli. Non tutti han chiaro ciò che dianzi in chiuso consesso33 ei disse. Deh badiam, che irato
28 Gli: a Ulisse.
29 Glaucopide : Minerva, dagli occhi cerulei.
30. Minerva si riferisce a Elena, la moglie di Menelao portata a Troia da Paride.
31 antenna: albero della nave, qui usato per indicare l’intera nave (tale figura retorica, che dice una parte per rappresentare il tutto, si chiama sineddoche).
32 . Euribate è l’araldo di Ulisse, venuto con lui da Itaca.
33. Solo i condottieri greci conoscono la vera intenzione di Agamennone, poiché da lui rivelata nel consiglio segreto.
255 non ne34 percuota d’improvvisa offesa. Di re supremo acerba è l’ira, e Giove, che al trono l’educò, l’onora ed ama». S’uom poi vedea del vulgo, e lo cogliea vociferante, collo scettro il dosso
260 batteagli; e, «Taci,» gli garrìa severo «taci tu tristo35, e i più prestanti ascolta tu codardo, tu imbelle, e nei consigli nullo e nell’armi. La vogliam noi forse far qui tutti da re? Pazzo fu sempre
265 de’ molti il regno36. Un sol comandi, e quegli cui scettro e leggi affida il Dio, quei solo ne sia di tutti correttor supremo». Così l’impero37 adoperando Ulisse frena le turbe, e queste a parlamento
270 dalle navi di nuovo e dalle tende con fragore accorrean, pari a marina onda che mugge e sferza il lido, ed alto ne rimbomba l’Egeo.
Tersite, parlator petulante
Queto s’asside ciascheduno al suo posto: il sol Tersite
275 di gracchiar non si resta38, e fa tumulto parlator petulante39. Avea costui di scurrili indigeste dicerìe pieno il cerèbro40, e fuor di tempo, e senza o ritegno o pudor le vomitava
280 contro i re tutti; e quanto a destar riso infra gli Achivi gli venìa sul labbro, tanto il protervo beffator41 dicea.
34 ne : ci.
35 tristo: sciagurato, opposto a prestante, che significa “valoroso”.
Le turbe sono come l’onda del mare
36 Pazzo … regno: nel regno in cui tanti vogliono comandare dilaga il disordine.
37. l’impero: l’autorità conferitagli dallo scettro di Agamennone.
38 . non si resta: non smette.
39. petulante : fastidioso, insistente, dal latino petulare, “chiedere insistentemente”, derivato dal verbo pe ˘ tere, “chiedere”.
40. cerèbro: il cervello, la mente.
41 protervo beffator : insolente, arrogante.
Non venne a Troia di costui più brutto ceffo; era guercio e zoppo, e di contratta
285 gran gobba al petto; aguzzo il capo, e sparso di raro pelo. Capital42 nemico del Pelìde e d’Ulisse, ei li solea morder43 rabbioso: e schiamazzando allora colla stridula voce lacerava
290 anche il duce supremo Agamennóne, sì che tutti di sdegno e di corruccio fremean; ma il tristo44 ognor più forti alzava le rampogne e gridava: «E di che dunque ti lagni, Atrìde? che ti manca? Hai pieni
295 di bronzo i padiglioni e di donzelle, delle vinte città spoglie prescelte e da noi date a te primiero. O forse pur d’auro hai fame, e qualche Teucro45 aspetti che d’Ilio uscito lo ti rechi al piede,
300 prezzo del figlio da me preso in guerra, da me medesmo, o da qualch’altro Acheo? […] Eh via, che a sommo imperador non lice46
305 scandalo farsi de’ minori. Oh vili, oh infami, oh Achive, non Achei! Facciamo vela47 una volta; e qui costui si lasci qui lui solo a smaltir la sua ricchezza, onde a prova conosca se l’aita48
310 gli è buona o no delle nostr’armi. E dianzi nol vedemmo pur noi questo superbo ad Achille, a un guerrier che sì l’avanza di fortezza, far onta? E dell’offeso non si tien egli la rapita schiava?
315 Ma se d’Achille il cor di generosa bile avvampasse, e un indolente vile non si fosse egli pur, questo sarìa stato l’estremo de’ tuoi torti, Atrìde».
42 . capital: principale.
43. morder : ingiuriare, offendere.
44. tristo: sventurato, infelice.
45. Teucro: Troiano.
46. non lice : non è lecito, non è consentito.
47. facciamo vela: riprendiamo il mare, torniamo in patria.
48 l’aita: l’aiuto.
Così contra il supremo Agamennóne
320 impazzava Tersite. Gli fu sopra repente il figlio di Laerte49, e torvo guatandolo gridò: «Fine alle tue faconde50 ingiurie, ciarlator Tersite. E tu sendo il peggior di quanti a Troia
325 con gli Atrídi passâr, tu audace e solo non dar di cozzo ai re, né rimenarli su quella lingua51 con villane aringhe, né del ritorno t’impacciar, ché il fine di queste cose al nostro sguardo è oscuro,
330 né sappiam se felice o sventurato questo ritorno riuscir ne debba. Ma di tue contumelie52 al sommo Atrìde so ben io lo perché: donato il vedi di molti doni dagli achivi eroi,
335 per ciò ti sbracci a maledirlo. Or io cosa dirotti che vedrai compiuta. Se com’oggi insanir più ti ritrovo53 , caschimi il capo dalle spalle, e detto di Telemaco il padre io più non sia,
340 mai più, se non t’afferro, e delle vesti tutto nudo, da questo almo consesso54 non ti caccio malconcio e piangoloso». Sì dicendo, le terga gli percuote con lo scettro e le spalle. Si contorce
345 e lagrima dirotto il manigoldo dell’aureo scettro al tempestar, che tutta gli fa la schiena rubiconda; ond’egli di dolor macerato e di paura s’assise, e obbliquo riguardando intorno
350 col dosso della man si terse il pianto. Rallegrò quella vista i mesti Achivi, e surse in mezzo alla tristezza il riso;
49. Prende la parola Ulisse.
50. faconde : verbose.
51 . né … lingua: non nominarli continuamente.
52 . contumelie : offese.
53. Se … ritrovo: se ti sorprendo ancora a dire parole folli come quelle di oggi. 54 almo consesso: nobile assemblea.
e fu chi vòlto al suo vicin dicea:
«Molte in vero d’Ulisse opre vedemmo
355 eccellenti e di guerra e di consiglio, ma questa volta fra gli Achei, per dio! fe’ la più bella delle belle imprese, frenando l’abbaiar di questo cane dileggiator55. Che sì, che all’arrogante
360 passò la frega56 di dar morso ai regi!»
Mentre questo dicean, levossi in piedi e collo scettro di parlar fe’ cenno l’espugnatore di cittadi Ulisse.
Il discorso di Ulisse
Alla presenza di Minerva, che ha assunto le sembianze di un araldo, Ulisse prende la parola (vv. 364369):
«Atrìde,
370 questi Achivi di te vonno57 far oggi il più infamato de’ mortali. Han posto le promesse in obblìo58 fatte al partirsi d’Argo alla volta d’Ilïon, giurando di non tornarsi che Ilïon caduto.
375 Guardali: a guisa di fanciulli, a guisa di vedovelle sospirar li senti, e a vicenda plorar59 per lo desìo di riveder le patrie mura. E in vero tal qui si pate traversìa60, che scusa
380 il desiderio de’ paterni tetti. Se a navigante da vernal procella impedito e sbattuto in mar che freme, pur di un mese è crudel la lontananza dalla consorte, che pensar di noi
385 che già vedemmo del nono anno il giro
55. dileggiator : che offende e prende in giro.
56. la frega: la voglia.
57. vonno: vogliono.
58 . Han posto in obblìo: hanno dimenticato.
59. a vicenda plorar : piangere uno dopo l’altro.
60 si pate traversìa: si soffre, si sopportano molti disagi.
su questo lido? Compatir m’è forza dunque agli Achivi, se a mal cor qui stanno. Ma dopo tanta dimoranza è turpe vôti di gloria ritornar61 .
Ulisse ricorda agli Achei il prodigio avvenuto prima della partenza dall’Aulide: un drago uscito dall’altare dei sacrifici divorò nove uccellini che, secondo l’indovino Calcante, rappresentavano i nove anni dell’assedio di Troia a cui sarebbe seguita la vittoria dei Greci (vv. 390436).
Or dunque
perseverate, generosi Achei, restatevi di Troia al giorno estremo». Levossi a questo dire un alto grido, 440 a cui le navi con orribil eco rispondean, grido lodator del saggio parlamento d’Ulisse.
Il saggio Nestore prende infine la parola per ricordare agli Achei le loro promesse e i giuramenti fatti alla partenza per Troia. Esorta quindi Agamennone a non cedere, ad essere coraggioso per evitare di tornare in patria prima di aver vendicato il rapimento della bellissima Elena. Poi gli suggerisce alcune mosse per capire cosa impedisca la conquista di Troia (vv. 443487).
Agamennone prende la parola
Rincuorato dalle parole di Nestore, Agamennone esorta i suoi a preparare le armi per affrontare la battaglia con vigore ed entusiasmo (vv. 488519).
520 Così disse, e al finir di sue parole mandâr gli Achivi un altissimo grido somigliante al muggir d’onda spezzata all’alto lido ove il soffiar la caccia
61 . Ma … ritornar. Spiega così: dopo essere rimasti qui per tanto tempo (nove lunghi anni di guerra) è vergognoso ritornare in patria da perdenti.
di furioso Noto incontro ai fianchi
525 di prominente scoglio, flagellato da tutti i venti e da perpetue spume.
Il solenne sacrificio
Gli Achei corrono ad accendere fuochi e a fare sacrifici agli dèi per l’imminente battaglia. Agamennone sacrifica a Giove un toro, invitando tutti i comandanti, tra cui anche Menelao, a pregare con lui per ottenere vittoria entro sera. Giove mostra di gradire il sacrificio ma non esaudisce la richiesta. Dopo il banchetto tutti si preparano per la battaglia (vv. 527580).
Gli Achei si schierano
Corsero quelli frettolosi; e i regi di Giove alunni62, che seguìan l’Atrìde, li ponean ratti in ordinanza63. Errava Minerva in mezzo, e le splendea sul petto 585 incorrotta, immortal la prezïosa Egida64 da cui cento eran sospese frange conteste di finissim’oro, e valea cento tauri ogni gherone65 . In quest’arme la Diva folgorando 590 concitava gli Achivi, ed accendea l’ardir ne’ petti, e li facea gagliardi a pugnar fieramente e senza posa. Allor la guerra si fe’ dolce al core più che il volger le vele al patrio nido. 595 Siccome quando la vorace vampa66 sulla montagna una gran selva incende, sorge splendor che lungi si propaga; così al marciar delle falangi achive mandan l’armi un chiaror che tutto intorno
62 . Vedi n. 21.
Come l’incendio sul monte
così il bagliore delle armi achee
63. li ponean ratti in ordinanza: li disponevano rapidamente nell’ordine stabilito.
64. L’Egida è lo scudo divino che agitato infondeva terrore nei combattenti. Era ricoperto dalla pelle della capra Amaltea, la quale allattò Giove nell’isola di Creta.
65. gherone : fiocco della frangia.
66 vorace vampa: fiamma divoratrice.
600 di tremuli baleni il cielo infiamma. E qual d’oche o di gru volanti eserciti ovver di cigni che snodati il tenue collo67 van d’Asio ne’ bei verdi a pascere lungo il Caïstro68, e vagolando esultano
605 su le larghe ale, e nel calar s’incalzano con tale un rombo che ne suona il prato; così le genti achee da navi e tende si diffondono in frotte alla pianura del divino Scamandro69, e il suol rimbomba
610 sotto il piè de’ guerrieri e de’ cavalli terribilmente. Nelle verdi lande del fiume s’arrestâr gremìti e spessi come le foglie e i fior di primavera. Conti lo sciame dell’impronte70 mosche
615 che ronzano in april nella capanna, quando di latte sgorgano le secchie, chi contar degli Achei desìa le torme anelanti de’ Teucri alla rovina71 . Ma quale è de’ caprai la maestrìa
620 nel divider le greggie, allor che il pasco le confonde e le mesce, a questa guisa in ordinate squadre i capitani schieravano gli Achivi alla battaglia. Agamennón qual tauro era nel mezzo,
625 che nobile e sovrana alza la fronte sovra tutto l’armento e lo conduce: e tal fra tanti eroi Giove gl’infonde e garbo e maestà, che Marte al cinto, Nettunno al petto, e il Folgorante istesso
630 negli sguardi somiglia e nella testa.
Come stormi di uccelli
così le genti achee
Come uno sciame di mosche
così le torme degli Achei
Come i caprai
così i duci achei
A questo punto Omero passa in rassegna i duci e le navi degli Achei. In
67 snodati il tenue collo: dal collo sottile e flessuoso. L’aggettivo “snodato” si riferisce a collo, ma concorda con “i cigni” (accusativo di relazione).
68 . van … Caïstro: vanno nella verde pianura d’Asio, lungo il fiume Caïstro, in Lidia.
69. Lo Scamandro è il fiume di Troia, detto anche Xanto dal nome del dio che abita in esso. Nel libro XXI vedremo tale dio lottare contro Achille.
70. impronte : importune, moleste.
71 anelanti … rovina: desiderosi di sconfiggere i Troiani.
tutto vengono elencate 1186 navi; poiché l’equipaggio di ognuna si aggirava sui cento uomini, è possibile ritenere che l’esercito acheo contasse circa 120.000 uomini. Tra i capi achei, elogiati per la loro prodezza, per le armi e per i valorosi al loro seguito, vengono citati alcuni che si distingueranno per valore nella battaglia che va a incominciare: Aiace d’Oileo, veloce nella corsa, condottiero dei valorosi della Locride, minuto di corporatura, più basso di Aiace Telamonio, eppure a tutti i Greci superiore nel lancio dell’asta; Stenelo, Diomede, Eurialo alla guida di un drappello di giovani che lasciò gli scogli d’Egina e di Masete; Ulisse, senno di Giove, con dodici navi al seguito. Non possono non essere menzionati i Mirmidoni, capeggiati da Achille, anche se il loro capitano non è presente alla rassegna (vv. 6311050).
Condottieri greci
Leito, Peneleo, Protenore, Clonio
Condottieri greci
(Filottete)
Nazionalità Navi
I condottieri troiani
Mentre il campo traversano veloci gli Achei, col piè che i venti adegua72, ai Teucri Iri73 discese di feral novella apportatrice, e la spedìa di Giove 1055 un comando. Tenean questi consiglio giovani e vecchi, congregati tutti ne’ regali vestiboli74. Mischiossi tra lor la Diva, di Polìte assunta l’apparenza e la voce. Era Polìte 1060 di Priamo un figlio che, del piè fidando nella prestezza, stavasi de’ Teucri esploratore al monumento in cima dell’antico Esïeta75, e vi spïava degli Achivi la mossa. In queste forme 1065 trasse innanzi la Diva, e al re conversa, «Padre,» disse, «che fai? Sempre a te piace il molto sermonar76 come ne’ giorni della pace; né pensi alla ruina che ne sovrasta. Molte pugne io vidi, 1070 ma tali e tante non vid’io giammai ordinate falangi. Numerose al pari delle foglie e dell’arene77 procedono nel campo a dar battaglia
72 col … adegua: con passo veloce come il vento.
73. Iri è Iride, la messaggera degli dèi, personificazione dell’arcobaleno, che porta ai Troiani una notizia funesta: i nemici si preparano all’attacco.
74. congregati … vestiboli: radunati nelle stanze del re.
75. Polite, uno dei figli di Priamo, era di vedetta presso il monumento funebre dedicato all’antico eroe troiano Esieta.
76. sermonar : tener discorsi.
77 arene : granelli di sabbia.
sotto Troia. Tu dunque primamente, 1075 Ettore, ascolta un mio consiglio, e il poni ad effetto. Nel sen di questa grande città diversi di diverse lingue abbiam guerrieri di soccorso78. Ognuno de’ lor duci si ponga alla lor testa, 1080 e tutti in punto di pugnar li metta79». Conobbe Ettorre della Dea la voce, e di subito sciolse il parlamento. Corresi all’armi, si spalancan tutte le porte, e folti sboccano in tumulto 1085 fanti e cavalli. Alla città rimpetto80 solitario nel piano ergesi un colle a cui s’ascende d’ogni parte. È detto da’ mortai Batïèa, dagl’immortali tomba dell’agilissima Mirinna81; 1090 ivi i Teucri schierârsi e i collegati. Capitan de’ Troiani è il grande Ettorre, d’eccelso elmetto agitator82. Lo segue de’ più forti guerrier schiera infinita coll’aste in pugno di ferir bramose.
1095 Ai Dardani83 comanda il valoroso figliuol d’Anchise Enea cui la divina Venere in Ida partorì, commista Diva immortale ad un mortal84 .
Tocca ora ai Troiani dispiegare le loro forze. L’elenco che conclude il Libro II, meno preciso della rassegna achea, menziona anche i popoli alleati provenienti dall’Asia Minore e da altri regioni europee. L’esercito dei Troiani risulta di molto inferiore per numero a quello acheo: si contano circa 50.000 uomini (vv. 10991173).
78 . guerrieri di soccorso: alleati, in seguito chiamati anche “collegati”.
79. in punto … metta: li prepari alla battaglia.
80. Alla città rimpetto: di fronte alla città.
81 . Mirinna è una delle Amazzoni, molto agile nel salto, che morì lottando contro i Troiani. Nella mitologia greca le Amazzoni erano coraggiose guerriere che vivevano sulle rive del Mar Nero. La loro regina Pentesilea fu uccisa da Achille durante la guerra di Troia.
82 . I guerrieri, muovendosi, fanno ondeggiare la coda equina posta in cima all’elmo.
83. I Troiani vengono chiamati anche Dardani dal re Dardano, figlio di Giove e capostipite della schiatta che dominò Troia fino alla sua distruzione (vedi Libro I, n. 10).
84. Enea è figlio della dea Venere e del mortale Anchise.
Condottieri troiani
Genti al loro comando
Ettore Troiani
Enea, Archiloco Troiani
Acamante Guerrieri di Zelea
Pandaro
Adrasto, Anfio
Asio
Ippotoo, Pileo
Guerrieri di Apesio, Adrastea, Pitièa
Guerrieri di Percote, Sesto, Abido, Arisba
Pelasgi, provenienti da Larissa
Traci, provenienti dall’Ellesponto
Acamante, Piroo Ciconi
Eufemo Peoni
Pirecme Paflagoni
Pilemene Alizoni
Hodio, Epistrofo Misii
Cromi, Eunomo Frigi
Forci, Ascanio Meonii
Antifo, Mestle Carii
Anfimaco, Naste
Sarpedonte, Glauco
Licii
Licii
Libro III
Tempo: Il ventiduesimo giorno.
Luoghi: Il campo di battaglia e le mura di Troia (torre delle Porte Scee).
Paride Alessandro, bello come un bel dio
Poiché sotto i lor duci ambo schierati gli eserciti si fur, mosse il troiano come stormo d’augei, forte gridando e schiamazzando, col romor che mena
5 lo squadron delle gru, quando del verno fuggendo i nembi1 l’oceàn sorvola con acuti clangori2, e guerra e morte porta al popol pigmeo3. Ma taciturni e spiranti valor marcian gli Achivi,
10 pronti a recarsi di conserto aita4 . Come talor del monte in su la cima di Scirocco il soffiar spande la nebbia al pastore odiosa, al ladro cara più che la notte, né va lunge il guardo
15 più che tiro di pietra: a questa guisa si destava di polve una procella sotto il piè de’ guerrieri che veloci l’aperto campo trascorrean. Venuti di poco spazio l’un dell’altro a fronte
20 gli eserciti nemici, ecco Alessandro5 nelle prime apparir file troiane bello come un bel Dio. Portava indosso
Come la nebbia portata dallo Scirocco così la polvere alzata dai combattenti
1 del verno fuggendo i nembi: fuggendo dal freddo dell’inverno.
2 . clangori: strida, versi rumorosi. La parola clangore è onomatopeica , cioè imita con il suo suono un verso, un rumore naturale o artificiale.
3. Si narrava che i Pigmei, uomini di bassa statura (dal greco pugmé, che significa “pugno”, quindi “alti come un pugno”) abitanti lungo il Nilo, lottassero spesso contro le gru le quali rapivano in volo i loro figli.
4. a recarsi … aita: ad aiutarsi vicendevolmente.
5. Alessandro: nome greco di Paride, da alécso (respingo) e anér (uomo), “colui che respinge i nemici”.
una pelle di pardo6, ed il ricurvo arco e la spada; e due dardi guizzando
25 ben ferrati ed aguzzi, iva de’ Greci sfidando i primi a singolar conflitto7 . Il vide Menelao dinanzi a tutti venir superbo a lunghi passi; e quale il cor s’allegra di lïon che visto
30 un cervo di gran corpo o caprïolo, spinto da fame a divorarlo intende, e il latrar de’ molossi8, e degli audaci villan robusti il minacciar non cura; tale alla vista del Troian leggiadro9
35 esultò Menelao. Piena sperando far sopra il traditor la sua vendetta, balza armato dal cocchio: e lui scorgendo venir tra’ primi, in cor turbossi il drudo10 , e della morte paventoso11 in salvo
40 si ritrasse tra’ suoi. Qual chi veduto in montana foresta orrido serpe risalta indietro, e per la balza fugge di paura tremante e bianco in viso, tal fra le schiere de’ superbi Teucri,
45 l’ira temendo del figliuol d’Atreo12 , l’avvenente codardo retrocesse.
Giuste rampogne di Ettore
Ettore il vide, e con ripiglio acerbo13 gli fu sopra gridando: «Ahi sciagurato! ahi profumato seduttor di donne,
50 vile del pari che leggiadro! oh mai mai non fossi tu nato, o morto fossi anzi ch’esser marito, ché tal fôra
6. pardo: leopardo.
7. iva … conflitto: andava sfidando a duello gli Achei in prima fila.
8 . molossi: cani da caccia e da guardia, grossi e feroci.
9. Il Troian leggiadro è Paride, bello come un dio.
10. drudo: amante. Si riferisce sempre a Paride, amante di Elena.
11 . della morte paventoso: temendo di morire.
12 . Il figliuol d’Atreo è Menelao.
13 ripiglio acerbo: aspre parole.
Come un leone affamato
così Menelao, desideroso di vendetta
Come chi teme un serpente così Paride
certo il mio voto, e per te stesso il meglio, più che carco d’infamia ir mostro a dito14 .
55 Odi le risa de’ chiomati15 Achei, che al garbo dell’aspetto un valoroso ti suspicâr da prima, e or sanno a prova che vile e fiacca in un bel corpo hai l’alma16 . E vigliacco qual sei tu il mar varcasti
60 con eletti compagni? e visitando straniere genti tu dall’apia terra17 donna d’alta beltà, moglie d’eroi, rapir potesti, e il padre e Troia e tutti cacciar nelle sciagure, agl’inimici
65 farti bersaglio, ed infamar te stesso? Perché fuggi? perché di Menelao non attendi lo scontro? Allor saprai di qual prode guerrier t’usurpi e godi la florida consorte: né la cetra
70 ti varrà né il favor di Citerèa18 , né il vago aspetto né la molle chioma, quando cadrai riverso nella polve. Oh fosser meno paurosi i Teucri! ché tu n’andresti già, premio al mal fatto, 75 d’un guarnello19 di sassi rivestito».
Ed il vago a rincontro: «Ettore, il veggo, a ragion mi rampogni, ed io t’escuso. Ma quel duro tuo cor scure somiglia che ben tagliente una navale antenna20
80 fende, vibrata da gagliardi polsi,
Il cuore di Ettore è come una scure
14. ché … dito. Intendi: poiché questo sarebbe il mio desiderio e sarebbe la cosa migliore anche per te: meglio morire che essere additato come un infame, un vile.
15. Gli Achei vengono detti chiomati per il pennacchio sui loro elmi.
16 che … l’alma. Costruisci così: che da prima (in un primo momento) ti suspicâr (ti considerarono) al garbo dell’aspetto (per il tuo bell’aspetto) un valoroso, e or sanno a prova (perché ne hanno le prove) che hai l’alma vile e fiacca in un bel corpo.
17. L’apia terra è il Peloponneso, dal nome del suo antico re Api.
18 . Citerèa è Venere, dal nome dell’isola Citera in cui era venerata.
19. guarnello: veste.
20 antenna: tronco da cui si intende ricavare un albero per la nave.
e nerbo e lena al fenditor raddoppia. Non rinfacciarmi di Ciprigna21 i doni, ché, qualunque pur sia, gradito e bello sempre è il dono d’un Dio; né il conseguirlo
85 è nel nostro volere. Or se t’aggrada ch’io scenda a duellar, fa che l’achee squadre e le teucre seggansi tranquille, e me nel mezzo e Menelao mettete d’Elena armati a terminar la lite,
90 e di tutto il tesor di ch’ella è ricca. Qual si vinca di noi s’abbia la donna con tutto insieme il suo regal corredo, e via la meni alle sue case; e tutti su le percosse vittime giurando
95 amistà, voi di Troia abiterete l’alma terra securi, e quelli in Argo faran ritorno e nell’Acaia in braccio alle vaghe lor donne».
A questo punto Ettore manifesta l’intenzione di parlare agli Achei, che cessano il combattimento. L’eroe troiano annuncia che Paride è intenzionato a battersi in duello con Menelao per risolvere la contesa di Elena, che verrà consegnata al vincitore; in questo modo la guerra terminerà con un nuovo patto di amicizia tra i due popoli (vv. 99141).
Incostante, com’aura, è per natura de’ giovani il pensier; ma dove il senno intervien de’ canuti22, a cui presenti
145 son le passate e le future cose, ivi è felice d’ambe parti il fine».
Sì disse; e rallegrò Teucri ed Achei la dolce speme di finir la guerra. Schieraro i cocchi e ne smontâr: svestiti
150 quindi dell’armi, le adagiâr su l’erba, l’une appresso dell’altre, e breve spazio
21 . Ciprigna è un altro appellativo di Venere, nata nelle acque dell’isola di Cipro.
22 canuti: dai capelli bianchi, cioè gli anziani.
separava le schiere. Alla cittade due banditori, a trarne i sacri agnelli e a chiamar ratti il padre, Ettore invìa:
155 invìa del pari il rege Agamennóne alle navi Taltibio23, onde la terza ostia24 n’adduca; e obbediente ei corse.
Scese intanto dal cielo ambasciatrice Iri25 ad Elèna dalle bianche braccia,
160 della cognata Laodice26 assunto il sembiante gentil […].
165 Trovolla che tessea a doppia trama una splendente e larga tela, e su quella istorïando andava le fatiche che molte a sua cagione soffrìano i Teucri e i loricati27 Achei.
170 La Diva innanzi le si fece, e disse: «Sorgi, sposa diletta, a veder vieni de’ Troiani e de’ Greci un ammirando spettacolo improvviso. Essi che dianzi di sangue ingordi lagrimosa guerra
175 si fean nel campo, or fatto han tregua, e queti seggonsi e curvi su gli scudi in mezzo alle lunghe lor picche al suol confitte. Alessandro frattanto e Menelao per te coll’asta in singolar certame
180 combatteranno, e tu verrai chiamata del prode vincitor cara consorte». Con questo ragionar la Dea le mise un subito nel cor dolce desìo del primiero marito e della patria
185 e de’ parenti. Ond’ella in bianco velo prestamente ravvolta, e di segrete
23. Taltibio è un araldo di Agamennone.
24. ostia: vittima sacrificale.
25. Iri è Iride, la messaggera degli dèi (vedi Libro II, n. 73).
26. Laodice è figlia di Priamo, moglie di Elicaone, ritenuta la più bella donna troiana.
27 loricati: che indossano la lorica, corazza a maglie di ferro.
tenere stille rugiadosa il ciglio28 , della stanza n’usciva; e non già sola, ma due donzelle la seguìan.
Elena e le ancelle giungono alla torre, dove sta seduto Priamo con alcuni saggi anziani, che, a bassa voce, esprimono la loro ammirazione per la bellezza della donna, ma si augurano che se ne vada al più presto, poiché la ritengono la causa di rovina per tutti i Troiani (vv. 189210).
Dissero; e il rege la chiamò per nome: «Vieni, Elena, vien qua, figlia diletta, siedimi accanto, e mira il tuo primiero sposo e i congiunti e i cari amici. Alcuna
215 non hai colpa tu meco29, ma gli Dei, che contra mi destâr le lagrimose arme de’ Greci. Or drizza il guardo, e dimmi chi sia quel grande e maestoso Acheo di sì bel portamento? Altri l’avanza
220 ben di statura, ma non vidi al mondo maggior decoro, né mortale io mai degno di tanta riverenza in vista: Re lo dice l’aspetto». E la più bella delle donne così gli rispondea:
225 «Suocero amato, la presenza tua di timor mi rïempie e di rispetto. Oh scelta una crudel morte m’avessi, pria che l’orme del tuo figlio seguire, il marital mio letto abbandonando
230 e i fratelli e la cara figlioletta e le dolci compagne! Al ciel non piacque; e quindi è il pianto che mi strugge. Or io di ciò che chiedi ti farò contento. Quegli è l’Atrìde Agamennón di molte
235 vaste contrade correttor supremo30 ,
28 . di segrete … il ciglio: con gli occhi inumiditi di lacrime segrete e tenere. Accusativo di relazione: vedi Libro II, n. 67.
29. Priamo sostiene che Elena non ha nessuna colpa verso di lui, poiché sono stati gli dèi ad aizzargli contro le armi dei Greci, portatrici di lacrime. Meco viene dal latino mecum, che significa “con me”.
30 di molte … supremo: re di molte vaste città.
ottimo re, fortissimo guerriero, un dì cognato a me donna impudica, s’unqua31 fui degna che a me tale ei fosse». […] Visto un secondo eroe, di nuovo il vecchio
255 la donna interrogò: «Dinne chi sia quell’altro, o figlia. Egli è di tutto il capo minor del sommo Agamennón, ma parmi e del petto più largo e della spalla. Gittate ha l’armi in grembo all’erba, ed egli
260 come arïète si ravvolve32 e scorre tra le file de’ prodi; e veramente parmi di greggia guidator lanoso quando per mezzo a un branco si raggira di candide belanti, e le conduce».
265 «Quegli è l’astuto laerziade33 Ulisse,» la donna replicò, «là nell’alpestre suol d’Itaca nudrito, uom che ripieno di molti ingegni ha il capo e di consigli». «Donna, parlasti il ver» soggiunse il saggio
270 Antènore34. «Spedito a dimandarti col forte Menelao qua venne un tempo ambasciatore Ulisse, ed io fui loro largo d’ospizio35 e d’accoglienze oneste, e d’ambo studïai l’indole e il raro
275 accorgimento36. Ma venuto il giorno di presentarsi nel troian senato, notai che, stanti l’uno e l’altro in piedi, il soprastava Menelao di spalla; ma seduti, apparìa più augusto Ulisse.
280 Come poi la favella e de’ pensieri spiegâr la tela37, ognor succinto e parco
31 s’unqua: se mai.
32 si ravvolve : si aggira.
33. Ulisse è figlio di Laerte.
34. Padre di Elicaone e suocero di Laodice. Dopo la caduta di Troia emigrò in Tracia e poi approdò sulle rive dell’Adriatico dove fondò Padova. Fu accusato di aver trattato segretamente con i Greci per aprire le porte di Troia, quindi il suo nome divenne sinonimo di “traditore”.
35. largo d’ospizio: ospitale, cortese.
36. accorgimento: accortezza, intelligenza.
37 come … tela: quando esposero i loro pensieri, lo scopo della loro ambasciata.
ma concettoso38 Menelao parlava; ch’uom di molto sermone egli non era, né verbo in fallo gli cadea dal labbro,
285 benché d’anni minor. Quando poi surse l’itaco duce a ragionar, lo scaltro stavasi in piedi con lo sguardo chino e confitto al terren, né or alto or basso movea lo scettro, ma tenealo immoto
290 in zotica sembianza, e un dispettoso detto l’avresti, un uom balzano e folle. Ma come alfin dal vasto petto emise la sua gran voce, e simili a dirotta neve invernal piovean l’alte parole,
295 verun mortale39 non avrebbe allora con Ulisse conteso; e noi ponemmo la maraviglia di quel suo sembiante». Qui vide un terzo il re d’eccelso e vasto corpo, ed inchiese: «Chi quell’altro fia
300 che ha membra di gigante, e va sovrano degli omeri e del capo agli altri tutti?»
«Il grande Aiace,» rispondea racchiusa nel fluente suo vel la dìa Lacena40 , «Aiace, rocca degli Achei. Quell’altro
305 dall’altra banda è Idomenèo: lo vedi? ritto in piè fra’ Cretensi un Dio somiglia, e de’ Cretensi gli fan cerchio i duci. Spesso ad ospizio nelle nostre case l’accolse Menelao, ben lo ravviso,
310 e ravviso con lui tutti del greco campo i primi, e potrei di ciascheduno dir anco il nome: ma li due non veggo miei germani41 gemelli, incliti duci, Càstore di cavalli domatore,
315 e il valoroso lottator Polluce. Forse di Sparta non son ei venuti; o venuti, di sé nelle battaglie
38 . succinto e parco ma concettoso: di poche parole ma dense di contenuto.
39. verun mortale : nessun uomo.
40. La dia lacena, cioè la divina spartana, è Elena.
41 germani: fratelli.
niegan far mostra, del mio scorno ahi! forse vergognosi, e dell’onta che mi copre».
320 Così parlava, né sapea che spenti il diletto di Sparta almo terreno lor patrio nido li chiudea nel grembo42 .
Il messaggero informa Priamo che è atteso dagli Achei per il solenne giuramento dei patti.
Salito sul cocchio, Priamo esce dalle porte Scee per raggiungere il campo nemico, ove si alzano ad accoglierlo Agamennone e Ulisse. Il vecchio re troiano assiste alla cerimonia religiosa, durante la quale Agamennone pronuncia il solenne giuramento (vv. 323363):
«Giove, d’Ida signor, massimo padre,
365 e sovra ogni altro glorioso Iddio, Sole che tutto vedi e tutto ascolti, alma Tellure43 genitrice, e voi fiumi, e voi che punite ogni spergiuro laggiù nel morto regno, inferni Dei,
370 siate voi testimoni e in un44 custodi del patto che giuriam. Se a Menelao darà morte Alessandro, egli in sua possa Elena e tutto il suo tesor si tegna45; e noi spedito promettiam ritorno
375 su l’ondivaghe prore46 al patrio lido. Ma se avverrà che Menelao di vita spogli Alessandro, i Teucri allor la donna ne renderanno e l’aver suo con ella, pagando ammenda che convegna47, e tale
380 che ne passi il ricordo anco ai futuri. Se Priamo e i figli suoi, spento Alessandro,
42 . I fratelli di Elena, Castore e Polluce, figli di Leda e di Giove, detti Dioscuri, erano, secondo Omero, sepolti a Sparta. Una leggenda dice che Giove li avesse ammessi nell’Olimpo, concedendogli di vivere un giorno per ciascuno.
43. alma Tellure : terra (dal latino tellus) che ci nutri (dal latino alo, “nutrire”).
44. in un: al tempo stesso.
45. in sua possa si tegna: tenga in suo potere.
46. ondivaghe prore : navi che vagano sulle onde.
47 pagando … convegna: pagando il giusto riscatto.
negheran di pagarla, io qui coll’arme sosterrò mia ragione, e rimarrovvi finché punito il mancator ne sia».
Fatti i sacrifici e le libagioni, iniziano i preparativi per il duello, mentre Priamo, temendo di non riuscire a sostenere la vista della prova che suo figlio deve affrontare, ritorna nella città (vv. 385413).
Ettore allora primamente e Ulisse
415 misurano la lizza48. Indi le sorti49 scosser nell’elmo a chi primier dovesse l’asta vibrar. L’un campo intanto e l’altro le mani alzando supplicava al cielo, e qualche labbro bisbigliar s’udìa:
420 «Giove padre, che grande e glorïoso godi in Ida regnar, quello de’ due, che tra noi fu cagion di sì gran lite, fa che spento precipiti alla cupa magion di Pluto50, ed una salda a noi
425 amistà ne concedi e patti eterni». Fra questo supplicar l’elmo squassava Ettòr, guardando addietro: ed ecco uscire di Paride la sorte. Allor s’assise al suo posto ciascun, vicino a’ suoi
430 scalpitanti destrieri e alle giacenti armi diverse. Della ben chiomata Elena intanto l’avvenente sposo Alessandro di fulgida armatura tutto si veste. E pria di bei schinieri
435 che il morso costrignea d’argentea fibbia51 , cinse le tibie. Quindi una lorica del suo germano Licaon, che fatta
48 misurano la lizza: segnano il confine del campo in cui avverrà il duello.
49. Le sorti erano dei pezzetti di legno, o degli oggetti, o dei sassolini su cui veniva messo un segno di riconoscimento. Ancor oggi si dice “tirare a sorte” con il significato di scegliere casualmente.
50. magion di Pluto: regno di Plutone, gli inferi.
51 . Paride indossa dapprima i parastinchi, legati alla tibia mediante una fibbia d’argento.
al suo sesto52 parea, si pose al petto: all’omero sospese il brando, ornato
440 d’argentei chiovi; un poderoso scudo di grand’orbe53 imbracciò; chiuse la fronte nel ben temprato e lavorato elmetto, a cui d’equine chiome in su la cima alta una cresta orribilmente ondeggia.
445 Ultima prese una robusta lancia che tutto empieagli il pugno. In questo mentre del par s’armava il bellicoso Atrìde. Di lor tutt’arme accinti54 i due guerrieri s’appresentâr nel mezzo, e si guatâro
450 biechi55. Al vederli stupor prese e tema56 i Dardani e gli Achei. L’un contra l’altro l’aste squassando al mezzo dell’arena s’avvicinâr sdegnosi; ed il Troiano primier la lunga e grave asta vibrando
455 la rotella57 colpì del suo nemico, ma non forolla, ché la buona targa rintuzzonne la punta58. Allor secondo coll’asta alzata Menelao si mosse così pregando: «Dammi, o padre Giove,
460 sovra costui che m’oltraggiò primiero, dammi sovra il fellon59 piena vendetta. Tu sotto i colpi di mia destra il doma sì che il postero tremi, e a non tradire l’ospite apprenda che l’accolse amico».
465 Disse, e l’asta avventò, la conficcò dell’avversario nel rotondo scudo. Penetrò fulminando la ferrata punta il pavese60 rilucente, e tutta
52 fatta al suo sesto: che pareva fatta apposta per lui.
53 di grand’orbe : di grande circonferenza.
54 accinti: rivestiti.
55 si guatâro biechi: si guardarono in cagnesco.
56 tema: timore, paura.
57. rotella: scudo.
soggetto
58 . la buona targa rintuzzonne la punta: il metallo ben temprato dello scudo fece piegare la punta della lancia.
59. fellon: traditore.
60 pavese : scudo.
trapassò la corazza, lacerando
470 la tunica sul fianco a fior di pelle. Incurvossi il Troiano, ed il mortale colpo schivò. L’irato Atrìde allora trasse la spada, ed erto61 un gran fendente gli calò ruïnoso in su l’elmetto.
475 Non resse il brando, ché in più pezzi infranto gli lasciò la man nuda; ond’ei gemendo e gli occhi alzando dispettoso al cielo, «Crudel Giove, gridava, il più crudele di tutti i numi! Io mi sperai punire
480 di questo traditor l’oltraggio: ed ecco che in pugno, oh rabbia! mi si spezza il ferro, e gittai l’asta indarno62 e senza offesa». Così fremendo, addosso all’inimico con furor si disserra63: alla criniera
485 dell’elmo il piglia, e tragge a tutta forza verso gli Achivi quel meschino, a cui la delicata gola soffocava il trapunto guinzaglio che le barbe annodava dell’elmo sotto il mento64 .
490 E l’avrìa strascinato, e a lui gran lode venuta ne sarìa65; ma del periglio fatta Venere accorta i nodi sciolse del bovino guinzaglio, e il vôto elmetto seguì la mano del traente Atrìde66 . 495 Aggirollo67 l’eroe, e fra le gambe lo scagliò degli Achei, che festeggianti il raccolsero. Allor di porlo a morte risoluto l’Atrìde, alto coll’asta di nuovo l’assalì. Di nuovo accorsa
61 erto: aggettivo riferito a Menelao, il quale si innalza per sferrare il gran fendente, colpo dato dall’alto verso il basso.
62 indarno: invano, senza successo.
63. si disserra: si scaglia.
64. a cui … mento. Costruisci così: a cui il trapunto guinzaglio (la cinghia ricamata) che annodava le barbe (bande) dell’elmo sotto il mento soffocava la gola delicata.
65. sarìa: sarebbe (condizionale).
66. il vôto … Atrìde: nella mano di Menelao, che trascinava l’avversario, resta l’elmetto vuoto.
67 Aggirollo: lo fece roteare. soggetto
500 lo scampò Citerea68, che agevolmente il poté come Diva: lo ravvolse di molta nebbia, e fra il soave olezzo dei profumati talami69 il depose.
Elena redarguisce Paride
Venere si reca da Elena sotto le sembianze di un’anziana filatrice e cerca di convincerla ad andare da Paride, tornato sconfitto dalla battaglia, per consolarlo; ma Elena riconosce la Dea e, speranzosa di tornare tra le braccia di Menelao, si rifiuta di farlo. Poi, sotto le minacce di Venere, raggiunge Paride e gli parla così (vv. 504566):
«E così riedi70 dalla pugna? Oh fossi colà rimasto per le mani anciso di quel gagliardo un dì mio sposo! E pure
570 e di lancia e di spada e di fortezza ti vantasti più volte esser migliore. Fa cor dunque, va, sfida il forte Atrìde alla seconda singolar tenzone. Ma t’esorto, meschino, a ti star queto,
575 né nuovo ritentar d’armi periglio col tuo rivale, se la vita hai cara».
«Non mi ferir con aspri detti, o donna» le rispose Alessandro. «Fu Minerva che vincitor fe’ Menelao, sol essa.
580 Ma lui del pari vincerò pur io, ch’io pure al fianco ho qualche Diva». […]
La proclamazione della vittoria
Come irato lïon l’Atrìde intanto di qua di là si ravvolgea cercando
595 il leggiadro rival; né lui fra tanta turba di Teucri e d’alleati alcuno significar71 sapea, né lo sapendo
68 . Citerea: Venere (vedi n. 18).
69. talami: stanze regali.
70. riedi: ritorni.
71 significar : indicare.
Menelao è come un leone irato.
l’avrìa di certo per amor celato; ché come il negro ceffo72 della morte 600 abborrito da tutti era costui.
Fattosi innanzi allora Agamennóne, «Teucri, Dardani,» ei disse, «e voi di Troia alleati, m’udite. Vincitore fu, lo vedeste, Menelao. Voi dunque 605 Elena ne rendete, e tutta insieme la sua ricchezza, e d’un’ammenda inoltre ne rintegrate che convegna, e tale che memoria ne passi anco ai nepoti». Disse; e tutto gli plause73 il campo acheo.
72 . negro ceffo: scuro volto.
73 plause : applaudì.
Dal Libro IV al Libro VII assistiamo alla ripresa della guerra tra i due eserciti: il giuramento viene infranto poiché così viene decretato sull’Olimpo. Sarà infatti Minerva a istigare con lusinghe il borioso Pandaro, abile arciere troiano, a scoccare una freccia contro Menelao durante la tregua. La battaglia dunque riprende e sempre più evidente risulta l’intervento degli dèi, chi a favore dei Troiani, come Apollo, chi degli Achei, come Minerva.
Addirittura nel Libro V vedremo i Numi mescolarsi ai mortali, combattere ed essere feriti. Mostrandosi molto simili agli uomini in parole, passioni, azioni. Ma non è dato comunque all’eroe, quantunque valoroso, mettersi a loro paragone: l’esaltazione della vittoria porterà infatti Diomede a ferire Venere e a sfidare Apollo, il quale con somma autorità lo ricondurrà a ragione rimettendolo al suo posto.
Son questi i libri in cui emerge il valore dei singoli eroi: Achille non è in campo, sicché tocca ai più forti mostrare la loro abilità in battaglia: prima Diomede, poi Aiace, estratto a sorte per sfidare il temibile Ettore (libro VII).
E mentre infuria la battaglia, Omero nel libro VI, rappresenta alcune scene indimenticabili.
L’incontro tra i due rivali Glauco e Diomede, che, in nome dell’ospitalità dei loro avi, cessano di combattere e si scambiano le armi. L’ospite è infatti nella civiltà greca considerato sacro: potrebbe essere un dio o un suo inviato colui che viene a far visita con le sembianze di uno straniero o di un vecchio amico. Vedremo in più occasioni l’ostilità cessare per accogliere un messo o un nemico o un postulante, offrirgli cibo e attenzione. Il riconoscimento di legami che trascendono la rivalità, così come il rispetto per i corpi dei compagni caduti che meritano sepoltura e l’interruzione della battaglia al calare delle tenebre, perché ci si deve piegare alla “ragione della notte”, ci mostrano un volto realista e umano della battaglia, per altri aspetti crudele e impietosa. Realista, perché
la natura ha le sue leggi che ogni uomo deve rispettare se vuole che non si ritorca contro di lui; umano, perché certe regole non sono scritte, ma risiedono nel cuore di ogni persona, si fondano su desideri e evidenze che ogni uomo porta dentro di sé.
Degno di nota anche l’incontro tra Ettore e Andromaca, in cui l’affetto sponsale si trova a fare i conti con il dovere regale: il principe, pieno di dolore nel lasciare la moglie e il figlioletto per tornare nel campo di battaglia, si rivela fedele al suo compito di guida del popolo troiano fino in fondo, fino alla morte a cui sa di essere destinato. Durante lo svolgersi delle vicende incontreremo tutti i volti di Ettore: pietoso e affettuoso, sanguinario e spietato, fedele e coraggioso, pavido e avventato… aspetti che caratterizzano l’uomo di ogni tempo e che delineano l’eroica umanità del principe troiano destinato sì alla sconfitta, ma imperituro nella nostra memoria.
Tempo: Il ventiduesimo giorno. Luoghi: L’Olimpo e il campo di battaglia.
Gli dèi a consulta
Nell’auree sale dell’Olimpo accolti intorno a Giove si sedean gli Dei1 a consulta. Fra lor la veneranda Ebe2 versava le nettaree spume, 5 e quelli a gara con alterni inviti l’auree tazze vôtavano mirando la troiana città. Quand’ecco il sommo Saturnio3, inteso ad irritar Giunone, con un obliquo paragon mordace4
10 così la punse: «Due possenti Dive aiutatrici ha Menelao, l’Argiva Giuno e Minerva Alalcomènia5. E pure neghittose6 in disparte ambo7 si stanno sol del vederlo dilettate. Intanto
15 fida al fianco di Paride l’amica del riso Citerea8 lungi respinge dal suo caro la Parca9; e dianzi10, in quella ch’ei morto si tenea11, servollo in vita. Rimasta è al forte Menelao la palma12;
1 . Gli dèi sono raccolti (accolti ) intorno a Giove per consultarsi.
2 . Ebe, eterna giovinetta figlia di Giove e di Giunone, è la coppiera degli dèi: è lei a versare nelle coppe il nettare, la dolce bevanda degli immortali.
3 Saturnio: aggettivo riferito a Giove, figlio di Saturno.
4 obliquo paragon mordace : discorso a doppio fine (obliquo) e pungente (mordace).
5. Le dee sono così nominate in riferimento ai luoghi in cui vengono onorate: Giunone ad Argo e Minerva ad Alalcomene, in Beozia.
6. neghittose : svogliate, oziose.
7. ambo: entrambe; sottointendi le dive : entrambe le dee.
8 . Venere è detta Citerea perché onorata nell’isola di Citera.
9. Qui con Parca si intende la morte (cfr. Libro I, v. 547).
10. dianzi: dinnanzi, prima.
11 . in quella … si tenea: nel momento in cui si considerava che egli fosse già morto.
12 . palma: vittoria. soggetto
20 ma l’alto affar13 non è compiuto, e a noi tocca il condurlo, e statuir14 se guerra fra le due genti rinnovar si debba, od in pace comporle. Ove15 la pace tutti appaghi gli Dei, stia Troia, e in Argo
25 con la consorte Menelao ritorni». Strinser, fremendo a questo dir, le labbia16 Giuno e Minerva, che vicin sedute venìan de’ Teucri macchinando il danno. Quantunque al padre fieramente irata
30 tacque Minerva e non fiatò. Ma l’ira non contenne Giunone, e sì rispose: «Acerbo Dio, che parli? A far di tante armate genti accolta, alla ruïna di Priamo e de’ suoi figli, ho stanchi i miei
35 immortali corsieri; e tu pretendi frustrar17 la mia fatica, ed involarmi18 de’ miei sudori il frutto? Eh ben t’appaga; ma di noi tutti non sperar l’assenso».
«Feroce Diva,» replicò sdegnoso
40 l’adunator de’ nembi, «e che ti fêro, e Priamo e i Priamìdi, onde tu debba voler sempre di Troia il giorno estremo? La tua rabbia non fia19 dunque satolla20 se non atterri d’Ilïon le porte,
45 e sull’infrante mura non ti bevi del re misero il sangue e de’ suoi figli e di tutti i Troiani? Or su, fa come più ti talenta21, onde fra noi sorgente d’acerbe risse in avvenir non sia
50 questo dissidio: ma riponi in petto
soggetto
soggetto
13 alto affar : la guerra di Troia, che è un affare importante. Alto deriva dal latino altus, “profondo”.
14. statuir : decidere (dal latino statue ˘ re).
15. Ove : nel caso in cui.
16. labbia: labbra. “Stringere le labbra” significa trattenere le parole di disappunto.
17. frustar : rendere vana.
18 . involarmi: sottrarmi, togliermi.
19. fia: futuro di essere, “sarà”.
20. satolla: sazia, appagata.
21 talenta: aggrada, piace.
le mie parole. Se desìo me pure prenderà d’atterrar qualche a te cara città, non porre a’ miei disdegni inciampo, e liberi li lascia. A questo patto
55 Troia io pur t’abbandono, e di mal cuore; ché, di quante città contempla in terra l’occhio del sole e dell’eteree stelle, niuna io m’aggio più cara ed onorata22 come il sacro Ilïone23 e Priamo e tutta
60 di Priamo pur la bellicosa gente: perocché l’are mie per lor di sacre opìme dapi24 abbondano mai sempre25 , e di libami26 e di profumi, onore solo alle dive qualità sortito27».
65 Compose a questo dir la veneranda Giuno gli sguardi maestosi, e disse: «Tre cittadi sull’altre a me son care Argo, Sparta, Micene; e tu le struggi28 se odiose ti sono. A lor difesa
70 né man né lingua moverò; ché quando pure impedir lo ti volessi29, indarno il tentarlo uscirìa30, sendo31 d’assai tu più forte di me. Ma dritto or parmi32 che tu vano non renda il mio disegno,
75 ch’io pur son nume, e a te comune io traggo l’origine divina33, io dell’astuto Saturno figlia, e in alto onor locata, perché nacqui sorella e perché moglie son del re degli Dei. Facciam noi dunque
22 niuna … onorata: nessuna ritengo (aggio) a me più cara e degna di onore.
23 Ilïone : Troia.
24 opìme dapi: abbondanti vivande, cioè le vittime sacrificate dai Troiani in suo onore.
25 mai sempre : sempre. Mai serve a rafforzare sempre
26 libami: libagioni.
27 onore … sortito. Spiega così: onore che tocca in sorte solo agli dèi.
28 le struggi: distruggile.
29 ché … volessi: poiché, anche se volessi impedirtelo.
30. indarno … uscirìa. Spiega così: tentare ciò (il ) sarebbe vano (indarno).
31 . sendo: essendo.
32 . dritto or parmi: ora mi pare giusto.
33. a te … divina. Costruisci così: io traggo l’origine divina comune a te. Spiega: io, come te, sono di origine divina, in quanto figlia di Saturno.
80 l’un dell’altro il volere, e il seguiranno gli altri Eterni. Or tu ratto34 invìa Minerva fra i due commossi35 eserciti, onde spinga i Troiani ad offendere primieri36 , rotto l’accordo, i baldanzosi Achei».
85 Assentì Giove al detto, ed a Minerva, «Scendi,» disse, «veloce, e fa che i Teucri primi offendan gli Achei, turbando il patto».
soggetto
Minerva scende dall’Olimpo sotto le vesti di un valoroso troiano, Antenore. Avvicinatasi a Pandaro (vv. 88109) gli dice:
«Inclito germe37
110 di Licaon, vuoi tu ascoltarmi? Ardisci38 , vibra nel petto a Menelao la punta d’un veloce quadrello. E grazia e lode te ne verrà dai Dardani e dal prence39
Paride in prima, che d’illustri doni
115 colmeratti40, vedendo il suo rivale montar sul rogo41, dal tuo stral trafitto. Su via dunque, dardeggia42 il burbanzoso43 Atrìde, e al licio saettante Apollo prometti che, tornato al patrio tetto
120 nella sacra Zelèa44, darai di scelti primogeniti agnelli un’ecatombe». Così disse Minerva, e dello stolto persuase il pensier.
34 ratto: veloce. Come “rapido” viene dal latino rape ˘ re, “portar via, prendere con forza”.
35 commossi eserciti: eserciti insieme pervenuti sul campo di battaglia. Dal latino cum + moveo, “muoversi insieme”.
36 primieri: per primi.
37 Inclito germe : famoso figlio.
38 Ardisci: imperativo, “osa”.
39 prence : principe.
40 colmeratti: ti colmerà.
41 . Le salme dei guerrieri morti in battaglia venivano poste su alte cataste di legna ( pire) a cui veniva dato fuoco.
42 . dardeggia: colpisci con un dardo, con una freccia. È un verbo denominale.
43. burbanzoso: arrogante.
44. La patria di Pandaro era Zelea, città della Licia.
Pandaro prende il bellissimo arco che si era fabbricato con le corna di un cervo da lui catturato e si prepara a colpire Menelao (vv. 123137).
Scoperchiò la faretra, ed un alato intatto strale ne cavò, sorgente
140 di lagrime infinite. Indi sul nervo45 l’adattando46 promise al licio Apollo di primonati agnelli un’ecatombe ritornato in Zelèa. Tirò di forza colla cocca47 la corda, alla mammella48
145 accostò il nervo, all’arco il ferro, e fatto dei tesi estremi un cerchio49, all’improvviso l’arco e il nervo fischiar forte s’udiro, e lo strale fuggì desideroso di volar fra le turbe. Ma non fûro
150 immemori di te, tradito Atrìde, in quel punto50 gli Dei. L’armipotente51 figlia di Giove si parò davanti al mortifero telo, e dal tuo corpo lo devïò sollecita, siccome
155 tenera madre che dal caro volto del bambino che dorme un dolce sonno, scaccia l’insetto che gli ronza intorno. Ella stessa la Dea drizzò lo strale ove appunto il bel cinto52 era frenato
160 dall’auree fibbie, e si stendea davanti qual secondo torace. Ivi l’acerbo quadrello cadde, e traforando il cinto
45. nervo: la corda dell’arco è fatta con i nervi di animali.
46. l’adattando: adattandolo.
Minerva è come una madre
47. cocca: tacca sull’estremità della freccia che serve per sistemarla sulla corda prima di tirare. Da qui il verbo denominale “scoccare”.
48 mammella: petto.
49 fatto … un cerchio: la corda è così tesa che i due estremi dell’arco si congiungono a formare un cerchio.
50. punto: momento.
51 . Minerva, dea della guerra.
52 . La freccia colpisce la cintura di cuoio allacciata da fibbie metalliche, che serviva a raddoppiare la protezione della corazza.
nel panzeron53 s’infisse e nella piastra che dalle frecce il corpo gli schermìa.
165 Questa gli valse allor d’assai54, ma pure passolla il dardo, e ne sfiorò la pelle, sì che tosto diè sangue la ferita.
Alla vista del sangue che ricopre l’intera gamba, il re Agamennone impallidisce, ma accortosi che la punta della freccia non è entrata nella carne, riprende coraggio (vv. 168182).
Intanto Agamennone, credendo che Menelao sia in punto di morte, si infuria con sé stesso per aver lasciato andare il fratello a combattere da solo contro i Troiani, riconosciuti colpevoli di aver rotto i patti. Quindi invoca vendetta da parte di Giove per la morte del fratello e rinnova il giuramento di non tornare in patria se non prima di aver raso al suolo Troia. Ma Menelao rassicura il fratello sul suo stato di salute e si fa medicare la ferita da Macaone (vv. 183264).
Agamennone esorta i guerrieri
265 Mentre questi alla cura intenti sono del bellicoso Atrìde, ecco i Troiani marciar di nuovo con gli scudi al petto, e di nuovo gli Achei l’armi vestire di battaglia bramosi. Allor vedevi
270 non assonnarsi, non dubbiar, né pugna schivar l’illustre Agamennón; ma ratto volar nel campo della gloria55 .
Sceso dalla sua biga Agamennone affida i cavalli all’auriga Eurimedonte mentre lui si aggira per il campo ordinando le schiere, pronto a confortare gli uomini se mai fossero presi dalla stanchezza. A piedi scorre le file e rincuora quanti vede affrettarsi all’armi gridando queste parole (vv. 273282):
53. panzeron: fascia situata tra la tunica e la corazza per proteggere il basso ventre.
54. gli valse d’assai: gli giovò molto, impedendo che la freccia lo uccidesse.
55. Sul campo di battaglia Agamennone cercava la gloria.
«Argivi, niun56 rallenti le forze: il giusto Giove bugiardi non aiuta: chi primiero
285 l’accordo vïolò, pasto vedrassi57 di voraci avoltoi, mentre captive le dilette lor mogli in un co’ figli noi nosco58 condurremo, Ilio distrutto». Quanti poi ne scorgea ritrosi e schivi
290 della battaglia, con irati accenti li rabbuffando, «O Argivi,» egli dicea59 , «o guerrier da balestra, o vitupèri60! Non vi prende vergogna? A che vi state istupiditi come zebe61, a cui,
295 dopo scorso un gran campo62, la stanchezza ruba il piede e la lena63? E voi del pari allibiti64 al pugnar vi sottraete. Aspettate voi forse che il nemico alla spiaggia s’accosti ove ritratte
300 stan sul secco le prore, onde65 si vegga se Giove allor vi stenderà la mano?» Così imperando trascorrea66 le schiere.
Agamennone giunge in mezzo ai Cretesi, guidati dal re Idomeneo, e li incita a mostrare il loro valore. Proseguendo la rivista, l’Atrìde arriva nel luogo in cui le falangi degli Aiaci si stanno già lanciando in battaglia e (vv. 303344),
345 «Aiaci,» ei disse, «condottieri egregi de’ loricati Achivi, io non v’esorto, (ciò fôra67 oltraggio) a inanimar le vostre
56. niun: nessuno.
57. vedrassi: vedrà se stesso.
58 . nosco: con noi.
59. li … dicea. Costruisci così: rabbuffandoli diceva loro.
60. vituperi: infami, vili.
61 . zebe : capre.
62 . dopo … campo. Spiega così: dopo aver percorso un lungo campo.
63. lena: fiato.
64. allibiti: sbigottiti, impalliditi.
65. onde : dove.
66. trascorrea: passava in rassegna.
67. fôra: condizionale presente di essere, “sarebbe”.
schiere; già per voi stessi a fortemente pugnar le stimolate68. Al sommo Giove 350 e a Pallade piacesse e al santo Apollo, che tal coraggio in ogni petto ardesse, e tosto presa ed adeguata al suolo per le man degli Achei Troia cadrebbe69».
Dopo aver parlato loro, l’Atrìde raggiunge l’arguto oratore dei Pilii, Nestore. Egli, maestro di guerra, sta disponendo ordinatamente i suoi prodi: in prima fila i cavalieri con i carri e i cavalli, alla retroguardia i fanti, molti e valorosi; nel mezzo i codardi, in modo da farli combattere loro malgrado. Poi ricorda a tutti di non uscire dalle schiere e di combattere compatti (vv. 354384). L’Atrìde lo fissa negli occhi pieno di gioia e dice:
«Buon veglio70 , 385 oh, t’avessi tu salde le ginocchia e saldi i polsi71 come hai saldo il core!
La ria vecchiezza, che a null’uom perdona, ti logora le forze: ah, perché d’altro guerrier non grava la crudel le spalle!
390 perché de’ tuoi begli anni è morto il fiore!»
Soggetto (sottinteso: morte)
Nestore risponde che, nonostante la sua età, non si sottrarrà dalla battaglia, ma vi prenderà parte, se non per combattere, almeno per mettere la sua saggezza al servizio dei suoi.
Proseguendo la rivista, si infuria con le schiere dei Cecropii, guidate da Menesteo e con quelle dei Cefaleni, guidate da Ulisse, le quali, non avendo udito il grido di guerra, attendono il nemico invece che gettarsi in battaglia tra i primi (vv. 391430).
Lo guatò72 bieco73 Ulisse, e gli rispose:
68 già … stimolate. Costruisci così: già le stimolate a pugnar fortemente per voi stessi (con la vostra sola presenza, con il vostro esempio).
69. Intendi: se gli dèi lasciassero ardere nel petto di tutti gli Achei un coraggio simile al vostro, Troia sarebbe distrutta subito.
70 veglio: vecchio.
71 ginocchia, polsi: gli arti inferiori e superiori. Il poeta indica la parte più importante di essi per indicare la loro totalità (metonimia): le ginocchia reggono tutto il peso del corpo e garantiscono l’agilità, mentre i polsi guidano il movimento delle armi.
72 . guatò: guardò.
73 bieco: storto, in modo minaccioso.
«Qual detto, Atrìde, ti fuggì di bocca?
E come ardisci di chiamarne in guerra neghittosi? Allorché contra i Troiani
435 daran principio al rio marte74 gli Achei, vedrai, se il brami e te ne cal75, vedrai nelle dardanie file antesignane76 di Telemaco il padre. Or cianci al vento77». Veduto il cruccio dell’eroe, sorrise
440 l’Atrìde, e dolce ripigliò: «Divino di Laerte figliuol78, sagace Ulisse, né sgridarti vogl’io, né comandarti fuor di stagione, ch’io ben so che in petto volgi pensieri generosi, e senti
445 ciò ch’io pur sento. Or vanne, e pugna; e s’ora dal labbro mi fuggì cosa mal detta, ripareremla79 in altro tempo. Intanto ne disperdano i numi ogni ricordo».
soggetto
Agamennone si stupisce poi di vedere Diomede ancora nelle retrovie. Stenelo, allora, prende le sue difese e ricorda il coraggio con cui, da solo, aveva vinto la guerra contro Tebe (vv. 449507). Ma Diomede lo interrompe:
«T’accheta80, amico, ed obbedisci al mio parlar. Non io, se il re supremo Agamennóne istiga
510 alla pugna gli Achei, non io lo biasmo. Fia sua la gloria, se, domati i Teucri, noi la sacra cittade espugneremo, e suo, se spenti noi cadremo, il lutto. Dunque a dar prove di valor si pensi».
515 Disse, e armato balzò dal cocchio in terra. Orrendamente risonâr sul petto
74. rio marte : sanguinosa battaglia.
75. se … cale. Intendi: se ti interessa saperlo, se ti sta a cuore.
76. antesignane fila: le prime fila delle schiere achee.
77. Or … vento: le tue parole si perdono nel vento. Intendi: hai parlato a sproposito.
78 . Ulisse è figlio di Laerte.
79. ripareremla: la ripareremo.
80 T’accheta: quietati.
l’armi al re concitato, a tal che81 preso n’avrìa spavento ogni più fermo core.
Siccome quando al risonante lido,
520 di Ponente al soffiar, l’uno sull’altro del mar si spinge il flutto; e prima in alto gonfiasi, e poscia su la sponda rotto orribilmente freme, e intorno agli erti scogli s’arriccia, li sormonta, e in larghi
525 sprazzi diffonde la canuta spuma: incessanti così l’una su l’altra movon l’achee falangi alla battaglia sotto il suo duce ognuna; e sì gran turba marcia sì cheta, che di voce priva
530 la diresti al vederla; e riverenza82 era de’ duci quel silenzio; e l’armi di varia guisa, di che gìan83 vestiti tutti in ischiera, li cingean di lampi. Ma84 simiglianti i Teucri a numeroso
535 gregge che dentro il pecoril di ricco padron, nell’ora che si spreme il latte, s’ammucchiano, e al belar de’ cari agnelli rispondono belando alla dirotta; così per l’ampio esercito un confuso
540 mettean schiamazzo i Teucri, ché non uno era di tutti il grido né la voce, ma di lingue un mistìo, sendo una gente da più parti raccolta85. A questi Marte, a quei Minerva è sprone, e quinci e quindi
545 lo Spavento e la Fuga, e del crudele Marte suora e compagna la Contesa
81 . a tal che : in modo tale che.
soggetto
Come le onde incalzate dal vento
così si muovono le falangi achee soggetto
Come si ammucchiano le pecore
così schiamazzano i Troiani
82 . riverenza: obbedienza. La compostezza e la compattezza dell’esercito acheo nascono dall’obbedienza dei guerrieri ai loro capi.
83 gìan: andavano.
84. Il connettore ma sottolinea la differenza tra l’ordine dell’esercito acheo e la confusione di quello troiano.
85. Mentre gli Achei sono uniti da una stessa lingua, i Troiani e i loro alleati parlano diversi linguaggi e ciò rende più scomposto l’insieme.
insazïabilmente furibonda, che da principio piccola si leva, poi mette il capo tra le stelle, e immensa
550 passeggia su la terra. Essa per mezzo alle turbe scorrendo, e de’ mortali addoppiando gli affanni, in ambedue le bande sparse una rabbiosa lite.
La prima battaglia
Poiché l’un campo e l’altro in un sol luogo
555 convenne, e si scontrâr l’aste e gli scudi, e il furor de’ guerrieri, scintillanti ne’ risonanti usberghi86, e delle colme targhe87 già il cozzo si sentìa, levossi un orrendo tumulto. Iva88 confuso
560 col gemer degli uccisi il vanto e il grido degli uccisori, e il suol sangue correa. Qual due torrenti che di largo sbocco89 devolvonsi dai monti, e nella valle per lo concavo sen d’una vorago90
565 confondono le gonfie onde veloci: n’ode il fragor da lungi in cima al balzo l’atterrito pastor: tal dai commisti eserciti sorgea fracasso e tema.
Come il fragore di due torrenti che si incontrano così il fracasso dei due eserciti che si scontrano
La battaglia incomincia feroce e numerose sono le morti da ambo le parti: Antiloco uccide il teucro Taliside Echepolo, trafiggendogli l’elmo e la fronte con la sua lancia. Allora Elefenorre, desideroso di spogliare il cadavere delle preziose armi, cerca di trascinarlo fuori dalla battaglia: vedutolo il troiano Agenore lo trafigge nel fianco lasciato scoperto. Sorge una zuffa tra Troiani e Achei per la salma del guerriero. Aiace Telamonio uccide il giovane Simoesio e lo dispoglia delle armi. Allora contro Aiace si scaglia Antifo, figlio di Priamo, ma fallisce il colpo, uccidendo invece Leuco, amico di Ulisse. Questi, nel tentativo di vendicare
86. usberghi: corazze.
87. colme targhe : scudi bombati.
88 . Iva: andava.
89. di largo sbocco: ricchi d’acque.
90 vorago: voragine, burrone.
l’amico, uccide Democoonte, accorso a difesa di Antifio. Spinti dal valore dei loro condottieri i Greci avanzano mentre i Troiani indietreggiano.
Apollo, dalla rocca di Priamo, a gran voce rincuora i Troiani assicurando che Achille, il più valoroso guerriero acheo, non è in campo. Lo stesso fa Atena, scesa tra le fila achee, ridando animo a coloro che vede scoraggiati. Piro, un tracio alleato dei Troiani, uccide il greco Diore prima colpendolo con un enorme masso che gli fracassa la tibia, poi conficcandogli l’asta nel petto. L’Etolo Troante, re degli Epei, si getta allora sull’irruente Piro e gli trafigge il petto all’altezza del polmone: avvicinatosi gliela sfila dal petto e gliela conficca nel ventre, uccidendolo. Intorno al corpo del vinto eroe si accende una zuffa per impossessarsi delle sue armi: muoiono sia il re dei Traci, il famoso Etolo, che Troante, re degli Epei (vv. 569682).
Dintorno a questi molt’altri prodi ritrovâr la morte. Chi da ferite illeso91, e da Minerva
685 per man guidato, e preservato il petto dal volar degli strali, avvolto in mezzo alla pugna si fosse, avrìa le forti opre stupito degli eroi, ché molti e Troiani ed Achivi nella polve
690 giacquer proni e confusi in quel conflitto.
91 . Omero immagina che un osservatore esterno, protetto e guidato da Minerva, osservi da vicino la battaglia.
Tempo: Il ventiduesimo giorno. Luoghi: Il campo di battaglia e l’Olimpo.
L’astro Diomede
Allor Palla Minerva a Dïomede1 forza infuse ed ardire2, onde3 fra tutti gli Achei splendesse glorïoso e chiaro4 . Lampi gli uscìan dall’elmo e dallo scudo
5 d’inestinguibil fiamma5, al tremolìo simigliante del vivo astro d’autunno6 , che lavato nel mar splende più bello. Tal7 mandava dal capo e dalle spalle divin foco l’eroe, quando la Diva
10 lo sospinse nel mezzo ove più densa ferve la mischia.
aggettivi predicativi del soggetto
Fegeo e Ideo, due fratelli troiani, attaccano Diomede dalla loro biga. Fegeo scaglia per primo la sua lunga lancia, fallendo il colpo; il Tidìde invece lo trafigge in mezzo al petto, sbalzandolo dal cocchio. Ideo, invece che soccorrere il fratello, si dà alla fuga. Intanto Atena trae in disparte Marte e lo porta a sedere sulle erbose rive dello Scamandro, lasciando così le sorti della battaglia nelle mani di Zeus.
Allora i Danai mettono in fuga i Teucri, facendone strage: Agamennone trafigge il gigantesco Odio nella schiena; Idomeneo colpisce alla spalla Festo, uccidendolo; Menelao abbatte Scamandrio e Merione atterra Fereclo (vv. 11105).
1 . Diomede, figlio di Tideo. Di seguito sarà nominato con il patronimico Tidìde. Insieme a Stenelo e Eurialo era al comando di un numeroso contingente proveniente dal Peloponneso.
2 . Allor … ardire. Costruisci così: Allor Palla Minerva infuse forza ed ardire a Dïomede.
3. onde : affinché.
4. chiaro: illustre, dal latino clarus.
5. Lampi d’inestinguibil fiamma: bagliori come di una fiamma inestinguibile. L’armatura di Diomede risplendeva di una luce che lo faceva sembrare simile ad una stella che si specchia nel mare.
6. al tremolìo … d’autunno. Costruisci così: somigliante al tremolio del vivo astro dell’autunno. È l’astro della Canicola (Sirio).
7 Tal concorda con divin foco e ne riprende e rafforza l’intensità.
105 Di questi
tal nell’acerba pugna era il lavoro8 . Ma9 di qual parte fosse Dïomede, se troiano od acheo, mal tu sapresti discernere10, sì fervido ei trascorre
110 il campo tutto11; simile alla piena di tumido12 torrente che cresciuto dalle piogge di Giove, ed improvviso precipitando i saldi ponti13 abbatte debil freno alle fiere onde, e de’ verdi
115 campi i ripari rovesciando, ingoia con fragor le speranze e le fatiche de’ gagliardi coloni: a questa guisa sgominava il Tidìde e dissipava le caterve14 de’ Troi, che sostenerne
120 non potean, benché molti, la ruina15 .
Come la piena del torrente
Non appena Pandaro lo vede, punta l’arco verso di lui e lo ferisce alla spalla destra. Quindi prende a vantarsi con i Troiani della sua bravura (vv. 121136).
Ma domo16
non restò da quel colpo Dïomede, che ritraendo il passo, e de’ cavalli coprendosi e del cocchio, al suo fedele
140 Capaneìde17 si rivolse, e disse: «Corri, Stènelo mio, scendi dal carro,
così il Tidìde soggetto
8 lavoro: travaglio, pena.
9 Ma: connettore che annuncia un cambiamento importante nell’andamento della narrazione.
10 di … discernere. Costruisci così: tu avresti saputo discernere mal (distinguere a fatica) di quale parte fosse Diomede, se troiano o acheo.
11 . sì fervido … tutto: tanta era la furia con cui egli attraversava tutto il campo, da una parte all’altra.
12 tumido: gonfio.
13 ponti: qui è da intendersi “argini”.
14 caterve : moltitudini.
15 che … la ruina. Costruisci così: i quali, benché molti, non ne potevano sostenere la ruina (la forza rovinosa).
16. domo: domato.
17. Capaneìde : patronimico. Stenelo è figlio di Capaneo, uno dei sette duci che parteciparono alla spedizione contro Tebe.
e dall’omero tosto mi divelli18 questo acerbo quadrel». Diè19 un salto a terra Stènelo e corse, e l’aspro stral gli svelse dall’omero trafitto.
L’intervento di Minerva
145 Per la maglia dell’usbergo20 spicciava21 il caldo sangue, e imperturbato sì l’eroe pregava: «Invitta22 figlia dell’Egìoco Giove, se nelle ardenti pugne unqua23 a me fosti
150 del tuo favor cortese e al mio gran padre, odimi, o Dea Minerva, ed or di nuovo m’assisti, e al tiro della lancia mia manda il mio feritor24: dammi25 ch’io spegna26 questo ventoso nebulon27 che grida
155 ch’io del Sol non vedrò più l’aurea luce».
La dea Minerva ascolta le preghiere di Diomede e, restituitagli la forza, lo rende capace di distinguere la presenza degli dèi tra i guerrieri, suggerendogli di non cimentarsi con essi. Prima di sparire, però, lo invita a ferire Venere, qualora la incontri (vv. 156171).
Allor diè volta e si mischiò tra’ primi combattenti il Tidìde, a pugnar pronto
18 . mi divelli: toglimi. Imperativo.
19. Diè : diede.
20. usbergo: corazza, armatura.
21 . spicciava: sgorgava a fiotti.
22 . Invitta: dal latino in-victus, “mai vinto”. Qui intendi: “invincibile, che non conosce la sconfitta”
23 unqua: mai.
24 al tiro … feritor. Costruisci così: manda il mio feritore a tiro della mia lancia.
25 dammi: concedimi.
26 spegna: spenga, qui nel senso di “uccida”.
27 ventoso nebulon: metafora Pandaro è paragonato a una nuvola piena d’aria per sottolineare la sua boria e l’inconsistenza dei suoi discorsi.
28 . Aristia: è un termine greco che deriva da àristos, “il migliore”, e indica il momento in cui l’eroe si distingue dalla massa dei combattenti per le sue gesta. soggetto soggetto
più che prima d’assai29; ché in quel momento 175 triplice in petto si sentì la forza. Come lïon che, mentre il gregge assalta, ferito dal pastor, ma non ucciso, vie più30 s’infuria, e superando tutte resistenze si slancia entro l’ovile: 180 derelitte, tremanti ed affollate l’una addosso dell’altra si riversano le pecorelle, ed ei vi salta in mezzo con ingordo furor: tal dentro ai Teucri diede31 il forte Tidìde.
Come un leone
soggetto così il Tidìde
Diomede assale con le sue armi e uccide senza pietà molti giovani guerrieri troiani, tra cui due figli di Priamo, Cromio ed Echemone (vv. 184216).
Enea e Pandaro
Enea va alla ricerca di Pandaro, figlio di Licaone (vv. 217222). Trovatolo gli dice:
«Pandaro, dov’è l’arco? ove i veloci tuoi strali? ov’è la gloria in che32 qui nullo33 225 teco gareggia, né verun si vanta licio arcier superarti? Or su, ti sveglia, alza a Giove la mano34, un dardo allenta contro costui, qualunque ei sia, che desta cotanta strage, e sì malmena i Teucri, 230 de’ quai già molti e forti a giacer pose: se pur35 egli non fosse un qualche nume adirato con noi per obblïati sacrifizi36: e de’ numi acerba è l’ira».
Così d’Anchise il figlio. E il figlio a lui
verun (nessuno) licio arcier è un unico sintagma (soggetto)
29. a pugnar … assai. Costruisci così: pronto a pugnare assai più che prima.
30. vie più: via più, sempre più.
31 . diede : fece impeto, irruppe, si gettò con forza.
32 . in che : in cui.
33. nullo: nessuno.
34. In segno di supplica, per propiziare il lancio.
35. se pur : a meno che.
36 obbliati sacrifizi: sacrifici non compiuti.
235 di Licaone: «O delle teucre genti inclito37 duce Enea, se quello scudo e quell’elmo a tre coni e quei destrieri ben riconosco, colui parmi in tutto il forte Dïomede. E nondimeno
240 negar non l’oso un immortal38. Ma s’egli è il mortale ch’io dico, il bellicoso figliuolo di Tidèo, tanto furore non è senza il favor d’un qualche iddio, che di nebbia i celesti omeri avvolto
245 stagli al fianco, e dal petto gli disvìa le veloci saette. Io gli scagliai dianzi39 un dardo, e lo colsi alla diritta spalla nel cavo del torace, e certo d’averlo mi credea sospinto a Pluto40 .
250 Pur41 non lo spensi: e irato quindi io temo qualche nume.
soggetto
Pandaro si rammarica di non aver portato con sé il suo cocchio e di aver confidato solo nel suo arco, che ora ha fallito. Dichiara inoltre che lo getterà nel fuoco, se potrà rivedere la sua patria, alla fine della guerra. Allora Enea lo invita a salire suo cocchio e insieme si dirigono velocemente verso Diomede, pronti a colpirlo con l’asta (vv. 252317).
Vedendoli arrivare Stenelo propone a Diomede di fuggire con il cocchio, ma l’eroe, sdegnato, dichiara di voler affrontare a piedi i due valorosi guerrieri troiani; inoltre ordina a Stenelo di impossessarsi dei divini cavalli di Enea, qualora riesca vittorioso dallo scontro (vv. 317360).
37 inclito: illustre.
38 E nondimeno … immortal. Spiega così: e tuttavia non oserei negare che lui sia un immortale . Diomede appare a Pandaro alla stregua di un dio.
39. dianzi: prima.
40. certo … Pluto. Spiega così: ero sicuro (mi credea certo) di averlo spinto nel regno dei morti (a Pluto). Qui il nome proprio Plutone indica, per antonomasia , il regno di cui è signore.
41 Pur : eppure.
Mentre seguìan tra lor queste parole, quelli incitando i corridor veloci tosto appressârsi, e Pandaro primiero favellò: «Bellicoso ardito figlio
365 dell’illustre Tidèo, poiché l’acuto mio stral non ti domò, vengo a far prova s’io di lancia ferir meglio mi sappia». Così detto, la lunga asta vibrando fulminolla42, e colpì di Dïomede
370 lo scudo sì, che43 la ferrata punta tutto passollo, e ne sfiorò l’usbergo44 . «Sei ferito nel fianco» (alto allor grida l’illustre feritor), «né a lungo, io spero, vivrai: la gloria che mi porti è somma45».
375 «Errasti, o folle, il colpo» (imperturbato gli rispose l’eroe46); «ben io m’avviso ch’uno almeno di voi, pria di ristarvi da questa zuffa, nel suo sangue steso l’ira di Marte sazierà47». Ciò detto,
380 scagliò. Minerva ne48 diresse il telo, e a lui che curvo lo sfuggìa, cacciollo49 tra il naso e il ciglio. Penetrò l’acuto ferro tra’ denti, ne tagliò l’estrema lingua50, e di sotto al mento uscì la punta.
385 Piombò dal cocchio, gli tonâr51 sul petto l’armi lucenti, sbigottîr gli stessi cavalli, e a lui si sciolsero per sempre e le forze e la vita. Enea temendo
42 fulminolla: la scagliò come un fulmine.
43 sì, che : così (forte) che.
44 usbergo: corazza, armatura.
45 somma: massima.
46. Diomede.
47 uno … sazierà. Spiega così: prima che vi allontaniate da questa zuffa almeno uno di voi, steso nel suo sangue, sazierà l’ira di Marte.
48 . ne : di lui. Di Diomede.
49. cacciollo: lo cacciò, lo conficcò.
50. Non è un caso che il ventoso nebulone (cfr. v. 154) Pandaro sia colpito proprio sulla lingua, con la quale pronunciava inutili parole.
51 tonâr : tuonarono.
in man non caggia degli Achei l’ucciso,
390 scese, e protesa a lui l’asta e lo scudo giravagli dintorno a simiglianza di fier lïone in suo valor sicuro; e parato a ferir qual sia nemico che gli si accosti, il difendea gridando
395 orribilmente. Diè di piglio52 allora ad un enorme sasso Dïomede di tal pondo53, che due nol porterebbero degli uomini moderni54; ed ei vibrandolo55 agevolmente, e solo e con grand’impeto
400 scagliandolo, percosse Enea nell’osso che alla coscia s’innesta ed è nomato ciotola. Il56 fracassò l’aspro macigno con ambi i nervi, e ne stracciò la pelle. Diè del ginocchio al grave colpo in terra
405 l’eroe ferito57, e colla man robusta puntellò la persona58. Un negro velo gli coperse le luci59, e qui perìa60 , se di lui tosto non si fosse avvista l’alma figlia di Giove Citerea
410 che d’Anchise pastor l’avea concetto61 Intorno al caro figlio ella diffuse le bianche braccia, e del lucente peplo62 gli antepose le falde, onde dall’armi ripararlo, e impedir che ferro acheo
415 gli passi il petto e l’anima gl’involi63 .
52 Diè di piglio: sollevò.
53 pondo: peso. Dal latino pondus
soggetto
soggetto
54 moderni: uomini del tempo di Omero, il quale riteneva gli uomini del passato più forti dei suoi contemporanei.
55. vibrandolo: facendolo roteare.
56. Il: pronome, sostituisce ciotola.
57. Diè … ferito. Costruisci così: L’eroe ferito al grave colpo diè del ginocchio in terra. L’eroe cadde in ginocchio per il grave colpo subìto.
58 . Si sostenne con la mano, dato che il ginocchio aveva ceduto.
59 luci: occhi. Metafora
60 perìa: periva. L’imperfetto è usato al posto del condizionale per accrescere la suspense
61 concetto: concepito. Enea è figlio di Anchise e Venere, denominata Citerea, poiché nata dalla spuma del mare vicino all’isola di Citera.
62 . Il peplo è un abito femminile dell’antica Grecia, costituito da un lungo e largo manto, passato sotto il braccio destro e fissato con una fibbia metallica sulla spalla sinistra.
63. gl’involi: gli sottragga, gli rapisca.
Diomede affronta Venere e Apollo
Mentre Venere porta il figlio fuori dalla mischia, Stenelo, ricordandosi l’ammonimento del Tidìde, si avventa sui cavalli di Enea e li conduce nel campo Acheo.
Diomede, nel frattempo, insegue Venere e la ferisce a un braccio con la sua asta. Dalla ferita spicca il sangue immortale della dea, l’icore64 che scorre nelle vene degli dèi. Al colpo la dea emette un forte grido ed abbandona il figlio, alla cui difesa corre Apollo, che lo nasconde dentro una nube.
Venere, intanto, è condotta in salvo sull’Olimpo, dove al cospetto di sua madre, Diona, si lamenta dell’intervento di Minerva in battaglia; la madre, curandole la ferita, la rassicura preannunciando la disgrazia di Diomede, che ha osato cimentarsi con una dea (vv. 416558).
Mentre in cielo seguìan queste favelle, 560 contro il figlio d’Anchise il bellicoso Dïomede si spinge, né l’arresta il saper che la man d’Apollo il copre. Desïoso di porre Enea sotterra e spogliarlo dell’armi peregrine65 , 565 nulla ei rispetta un sì gran Dio. Tre volte a morte l’assalì, tre volte Apollo gli scosse in faccia il luminoso scudo. Ma come il forte Calidonio66 al quarto impeto venne, il saettante nume
570 terribile gridò: «Guarda che fai; via di qua, Dïomede; il paragone non tentar degli Dei67, ché de’ Celesti e de’ terrestri è disugual la schiatta68». Disse; e alquanto l’eroe ritrasse il piede
aggettivo predicativo del soggetto
64. Gli dèi, non cibandosi né di pane né di vino, ma di nettare e ambrosia, non hanno un sangue simile a quello umano.
65. peregrine : rare, preziose. Peregrinus in latino significa “straniero”, da cui il significato “strano”, quindi “inusuale, raro”.
66. Calidonio: Diomede viene chiamato così perché suo nonno Ocneo abitava a Calidone, città dell’Etolia.
67 il paragone … Dei. Spiega così: non provocare gli dèi a contesa. Diomede è al culmine della sua aristia, tanto che, dopo aver ferito Venere, osa addirittura sfidare per quattro volte Apollo, che lo placa e lo riconduce a ragione.
68 schiatta: stirpe.
575 l’ira evitando dell’arciero Apollo, che, fuor condutto della mischia Enea, nella sagrata Pergamo fra l’are del suo delubro il pose69. Ivi Latona, ivi l’amante dello stral Dïana
580 lo curâr, l’onorâro.
Intanto Apollo porta Enea in salvo e crea un simulacro dell’eroe che continua a combattere al suo posto. Poi invita Marte ad intervenire in favore dei Troiani e il dio, prese le sembianze di Acamante, capo dei Traci, li incoraggia con queste parole (vv. 581601):
«Illustri Prïamìdi, e sino a quando permetterete della vostra gente per la man degli Achei sì rio macello70?
605 Sin tanto forse che la strage arrivi alle porte di Troia? A terra è steso l’eroe che al pari del divino Ettorre onoravamo, Enea preclaro71 figlio del magnanimo Anchise. Andiam, si voli 610 alla difesa di cotanto amico».
Destâr la forza e il cor d’ogni guerriero queste parole. Sarpedon72 con aspre rampogne allora rabbuffando Ettorre, «Dove andò,» gli dicea, «l’alto valore 615 che poc’anzi t’avevi73? E pur t’udimmo vantarti che tu sol senza l’aita de’ collegati74, e co’ tuoi soli affini75 e co’ fratei bastavi alla difesa
69 nella sagrata pose. Spiega così: lo pose nella sacra rocca di Troia (Pergamo) fra gli altari (are) del suo tempio (delubro).
70 rio macello: empia strage.
71 . preclaro: famoso. Latinismo.
72 . Sarpedonte, un alleato dei Troiani e capo dei Lici, è figlio di Giove.
73. t’avevi: mostravi.
74. collegati: alleati. Si distinguono dagli affini e dai fratei (legati da un vincolo di parentela).
75. t ’avevi … t ’udimmo vantarti … tu sol … tuoi soli …: l’insistenza di Sarpedonte sul pronome di seconda persona aumenta l’effetto provocatorio delle sue parole.
della città. Ma niuno76 io qui ne veggo,
620 niun ne ravviso di costor, ché tutti trepidanti s’arretrano siccome timidi veltri intorno ad un leone: e qui frattanto combattiam noi soli, noi venuti in sussidio. Io che mi sono
625 pur della lega, di lontana al certo parte mi mossi, dalla licia terra, dal vorticoso Xanto, ove la cara moglie ed un figlio pargoletto e molti lasciai di quegli averi a cui sospira
630 l’uomo mai sempre bisognoso77. E pure alleato, qual sono, i miei guerrieri esorto alla battaglia, ed io medesmo sto qui pronto a pugnar contra costui, benché qui nulla io m’abbia che il nemico
635 rapir mi possa, né portarlo seco. E tu ozïoso ti ristai78? né almeno agli altri accenni di far fronte79, e in salvo por80 le consorti? Guàrdati, che presi, siccome in ragna81 che ogni cosa involve82 ,
640 non divenghiate83 del crudel nemico cattura e preda, e ch’ei tra poco al suolo la vostr’alma cittade non adegui. A te tocca l’aver di ciò pensiero e giorno e notte, a te dell’alleanza
645 i capitani supplicar, che fermi resistano al lor posto, e far che niuna cagion più sorga di rampogne acerbe84».
D’Ettore al cor fu morso amaro il detto di Sarpedonte85, sì che tosto a terra
76 niuno: nessuno.
tutti i Troiani sono come timidi veltri (cani da caccia)
77 quegli averi … bisognoso. Intendi: tante ricchezze, quante ne vuole chi non ne ha.
78 ti ristai: te ne stai.
79 né … di far fronte. Spiega così: e nemmeno ordini ai tuoi di affrontare il nemico.
80 por : porre.
81 ragna: rete da uccellagione.
82 . involve : avviluppa, avvolge.
83. divenghiate : diveniate.
84. far che … acerbe. Spiega così: far sì che non sorga più alcun motivo di acerbe rampogne .
85. D’Ettore … Sarpedonte. Costruisci così: Il detto di Sarpedonte fu (come un) morso amaro al cor di Ettore.
650 saltò dal cocchio in tutto punto, e l’asta scotendo ad animar corse veloce d’ogni parte i Troiani alla battaglia, e destò mischia dolorosa. Allora voltâr la fronte i Teucri, e impetuosi
655 fêrsi86 incontro agli Achei, che stretti insieme gli aspettâr di piè fermo e senza tema.
Marte, per aiutare i Troiani, fa scendere la notte intorno sul campo, mentre Apollo riporta Enea, guarito e pieno di ardore, tra i suoi. La battaglia divampa intorno ad Agamennone e ad Enea, che fanno grandi stragi nei campi avversari. Ettore procura terrore agli Achei (vv. 657834).
835 Mentre questi alle mani87 in questa parte si travaglian così, nemico fato contra l’illustre Sarpedon sospinse l’Eraclide Tlepòlemo, guerriero di gran persona e di gran possa88. Or come 840 a fronte si trovâr quinci il nepote e quindi il figlio del Tonante Iddio89 , Tlepòlemo primiero così disse: «Duce de’ Licii Sarpedon, qual uopo90 rozzo91 in guerra a tremar qua ti condusse?
845 È mentitor chi dell’Egìoco Giove germe ti dice. Dal valor dei forti, che nell’andata età nacquer di lui, troppo lungi se’ tu92. Ben altro egli era il mio gran genitor, forza divina, 850 cuor di leone. Qua venuto un giorno
86 fêrsi: si fecero.
87 alle mani: azzuffandosi.
88 possa: possanza, forza e valore.
89. Sono dunque a duello da una parte il figlio e dall’altra il nipote di Giove. Tlepolemo è infatti figlio di Ercole.
90. uopo: motivo, bisogno.
91 . rozzo: si riferisce a ti, cioè a Sarpedonte.
92 . Dal valor … tu. Costruisci così: Tu sei troppo lontano dal valore (non sei all’altezza) dei forti che nacquero da lui nella generazione passata. soggetto
a via menar del re Laomedonte i promessi destrieri93, egli con sole sei navi e pochi armati Ilio distrusse, e vedovate ne lasciò le vie.
855 Tu sei codardo, tu a perir qui traggi i tuoi soldati, tu veruna aita, col tuo venir di Licia, non darai alla dardania gente; e quando pure un gagliardo ti fossi, il braccio mio
860 qui stenderatti e spingeratti a Pluto». E di rimando a lui de’ Licii il duce: «Tlepòlemo, le sacre iliache mura Ercole, è ver, distrusse, e la scempiezza del frigio sire94 il meritò, che ingrato
865 al beneficio con acerbi detti oltraggiollo; e i destrieri, alta cagione di sua venuta, gli negò. Ma i vanti paterni non torran95 che la mia lancia qui non ti prostri. Tu morrai: son io 870 che tel predìco, e a me l’onor qui tosto darai della vittoria, e l’alma a Pluto». Ciò detto appena, sollevaro in alto i ferrati lor cerri ambo i guerrieri, ed ambo a un tempo gli scagliâr. Percosse 875 Sarpedonte il nemico a mezzo il collo, sì che tutto il passò l’asta crudele, e a lui gli occhi coperse eterna notte. Ma il telo uscito nel medesmo istante dalla man di Tlepòlemo la manca96
880 coscia ferì di Sarpedon. Passolla infino all’osso la fulminea punta, ma non diè morte, ché vietollo il padre. Accorsero gli amici, e dal tumulto sottrassero l’eroe che del confitto
veruna aita (alcun aiuto) è il complemento oggetto di non darai
soggetto soggetto
93. Eracle (Ercole) doveva ricevere i cavalli di Troe come ricompensa per aver salvato la figlia di Laomedonte, antico re di Troia. Vistosi negata la ricompensa, lo uccise con quasi tutti i suoi figli e rase al suolo la città.
94. Laomedonte.
95. torran: impediranno.
96 manca: sinistra, da cui mancino
885 telo di molto si dolea, né mente v’avea posto verun, né s’avvisava di sconficcarlo dalla coscia offesa, onde espedirne97 il camminar: tant’era del salvarlo la fretta e la faccenda98 .
890 Dall’altra parte i coturnati Achei di Tlepòlemo anch’essi dalla pugna ritraggono la salma.
Ulisse, allo spettacolo doloroso, si scaglia contro i Lici per farne strage; e li avrebbe uccisi tutti se il grande Ettore non fosse intervenuto. Intanto Sarpedonte viene portato fuori della battaglia mentre gli Achei, assaliti da Marte e dall’ardente Ettore, indietreggiano.
Atena e Giunone soccorrono i Greci
Vedendo una così grande strage di Achei, Giunone e Pallade decidono di scendere in battaglia per opporsi alla furia dell’omicida Marte. Ebe, la loro ancella, prepara il cocchio, adornato di oro, argento e bronzo, mentre Giunone aggioga i destrieri (vv. 892978).
Né Minerva s’indugia. Ella diffuso99
980 il suo peplo immortal sul pavimento delle sale paterne, effigïato peplo, stupendo di sua man lavoro, e vestita di Giove la corazza, di tutto punto al lagrimoso ballo100 985 armasi. Intorno agli omeri divini pon la ricca di fiocchi101 Egida orrenda, che il Terror d’ogn’intorno incoronava. Ivi era la Contesa, ivi la Forza, ivi l’atroce Inseguimento, e il diro 990 Gorgonio capo, orribile prodigio
97. espedirne : renderne spedito, accellerarne.
98 . faccenda: cura, occupazione. Dal latino facere, “fare”, da cui il significato di “cose da fare, occupazioni”.
99. diffuso: disteso, abbandonato, lasciato cadere.
100. ballo: guerra. Detto lagrimoso perché non apporta gioia ma dolore.
101 . L’egida aveva una frangia, ogni fiocco della quale valeva cento buoi.
dell’Egìoco signore102. Indi alla fronte l’aurea celata103 impone irta di quattro eccelsi coni, a ricoprir bastante eserciti e città. Tale la Diva 995 monta il fulgido cocchio, e l’asta impugna pesante, immensa, poderosa, ond’ella intere degli eroi le squadre atterra irata figlia di potente iddio.
Giunone si rivolge allora a Zeus e ottiene il permesso di soccorrere i Greci (vv. 9991025).
Di ciò lieta la Dea fe’ su le groppe de’ corsieri sonar la sferza; e quelli infra la terra e lo stellato cielo desïosi volaro; e quanto vede 1030 d’aereo spazio un uom che in alto assiso stende il guardo sul mar, tanto d’un salto ne varcâr delle Dive i tempestosi destrier. Là giunte dove l’onde amiche confondono davanti all’alta Troia
1035 Simoenta e Scamandro104, ivi rattenne Giuno i cavalli, gli staccò dal cocchio, e di nebbia li cinse. Il Simoenta loro un pasco105 fornì d’ambrosie erbette. Tacite allora, e col leggiero incesso106 1040 di timide colombe107 ambe le Dive appropinquârsi al campo acheo, bramose di dar soccorso a’ combattenti.
102 la ricca … signore : l’Egida di Giove è la pelle della capra che allevò il dio. Con essa Giove formò un mantello invincibile che ricopriva interamente il portatore. La sua potenza era tale da contenere in sé tutte le personificazioni della guerra: il Terrore, la Contesa, la Forza, l’Inseguimento e la testa della Medusa, la quale pietrificava chi incontrasse il suo sguardo. «L’iconografia ci ha proposto varie immagini dell’Egida, ora come di ampio scudo, ora come di corazza, ora (in relazione alla presente descrizione omerica) come di spesso mantello che fasciava completamente il portatore; unico elemento costante, la testa recisa della Medusa» (M. Mari).
103. celata: elmo.
104. Il Simoenta e lo Scamandro sfociano vicini, di fronte a Troia.
105. pasco: pascolo.
106. incesso: incedere, andatura.
107. Curioso paragone tra due “timide colombe” e le due dee, impazienti di ingaggiare battaglia.
Giunone, tramutatasi in un forte guerriero greco, sostiene l’impeto degli Achei, mentre Minerva rimprovera Diomede, che se ne sta fermo a curare le ferite (vv. 10431083).
«Ti riconosco, o Dea» (tosto rispose 1085 il valoroso eroe), «ti riconosco, figlia di Giove, e di buon grado e netta mia ragione dirò. Né vil timore né ignavia mi rattien, ma il tuo comando. Non se’ tu quella che pugnar poc’anzi 1090 mi vietasti co’ numi? E se la figlia di Giove Citerea nel campo entrava, non mi dicesti di ferirla? Il feci. Ed or recedo, e agli altri Achivi imposi d’accogliersi qui tutti, ora che Marte, 1095 ben lo conosco108, de’ Troiani è il duce».
E a lui la Diva dalle luci azzurre: «Diletto Dïomede, alcuna tema109 di questo Marte non aver, né d’altro qualunque iddio, se tua difesa io sono. 1100 Sorgi, e drizza in costui110 gl’impetuosi tuoi corridori, e stringilo111 e il percuoti, né riguardo t’arresti né rispetto di questo insano ad ogni mal parato e ad ogni parteggiar, che a me pur dianzi 1105 e a Giuno promettea che contra i Teucri a pro de’ Greci avrìa pugnato; ed ora immemore de’ Greci i Teucri aiuta».
Diomede e Minerva affrontano Marte
Sì dicendo afferrò colla possente destra il figliuol di Capanèo112, dal carro 1110 traendolo; né quegli a dar fu tardo un salto a terra; ed ella stessa ascese
108 . conosco: riconosco.
109. tema: paura.
110. in costui: contro costui.
111 . stringilo: incalzalo.
112 . Minerva si mette al posto di Stenelo sul carro di Diomede.
sovra il cocchio da canto a Dïomede infiammata di sdegno. Orrendamente l’asse al gran pondo cigolò, ché carco 1115 d’una gran Diva egli era e d’un gran prode.
Al sonoro flagello ed alle briglie diè di piglio Minerva, e senza indugio contra Marte sospinse i generosi cornipedi113. Lo giunse appunto in quella 1120 che114 atterrato l’enorme Perifante (un fortissimo Etòlo, egregio figlio d’Ochesio), il Dio crudel lordo di sangue lo trucidava. In arrivar si pose Minerva di Pluton l’elmo115 alla fronte, 1125 onde celarsi di quel fero116 al guardo. Come il nume omicida ebbe veduto l’illustre Dïomede, al suol disteso lasciò l’immenso Perifante, e dritto ad investir si spinse il cavaliero. 1130 E tosto giunti l’un dell’altro a fronte, Marte il primo scagliò l’asta di sopra al giogo de’ corsier lungo le briglie, di rapirgli la vita desïoso: ma prese colla man l’asta volante 1135 la Dea Minerva e la stornò117 dal carro, e vano il colpo riuscì. Secondo spinse l’asta il Tidìde a tutta forza. La diresse Minerva, e al Dio l’infisse sotto il cinto nell’epa118, e vulnerollo, 1140 e lacerata la divina cute l’asta ritrasse. Mugolò il ferito nume, e ruppe in un tuon pari di nove o dieci mila combattenti al grido quando appiccan la zuffa. I Troi l’udiro, 1145 l’udîr gli Achivi, e ne tremâr: sì forte
113. cornipedi: i destrieri dai piedi di corno.
114. in quella che : nel momento in cui.
115. L’elmo di Plutone rendeva invisibile chi lo portava.
116. fero: feroce.
117. stornò: allontanò.
118 epa: basso ventre.
soggetto
fu di Marte il muggito. E quale pel grave vento che spira dalla calda terra. si fa di nubi tenebroso il cielo; tal parve il ferreo Marte a Dïomede, 1150 mentre avvolto di nugoli alle sfere dolorando salìa.
Come un cielo nuvoloso soggetto così appare Marte a Diomede
Giunto sull’Olimpo, Marte si lamenta con Giove della prepotenza di Giunone che può disobbedire al re degli dèi senza subirne le conseguenze. Ma Giove lo zittisce e, dopo averlo rimproverato per la sua sete continua di liti e di battaglie, lo affida alle cure di Peone. Infine, dopo aver represso la strage del crudele Marte, anche Giunone e Minerva risalgono alla casa del grande Giove (vv. 11511209).
Libro VI
Tempo: Il ventiduesimo giorno.
Luoghi: Il campo di battaglia e la città di Troia.
Soli senz’alcun Dio1 Teucri ed Achei così restâro a battagliar. Più volte tra il Simoenta e il Xanto impetuosi si assalîro; più volte or da quel lato 5 ed or da questo con incerte penne2 la Vittoria3 volò.
Aiace e Diomede fanno strage di Troiani, che retrocedono verso le mura della loro città. Allora l’indovino Eleno, figlio del re troiano, si rivolge a Ettore ed a Enea e li esorta a impedire la ritirata dei loro uomini (vv. 696):
«Poiché tutta si folce4 in voi la speme de’ Troiani e de’ Licii, e che voi siete i miglior nella pugna e nel consiglio, 100 voi, Ettore ed Enea, qui state, e i nostri alle porte fuggenti rattenete, pria che, con riso del nemico, in braccio si salvin delle mogli. E come tutte ben rincorate le falangi avrete, 105 noi di piè fermo, benché lassi e in dura necessitade5, qui farem coll’armi buon ripicco6 agli Achei».
1 . Gli dèi si sono ritirati dalla battaglia. In primo piano ci sono dunque gli uomini, il loro valore, e le loro miserie.
2 . con incerte penne : volando ora dalla parte degli Achei, ora da quella dei Troiani.
3. La personificazione della Vittoria, Nike, è rappresentata come una donna alata.
4. folce : si regge.
5. benché … necessitade : nonostante siamo stanchi e in gravi difficoltà.
6 ripicco: resistenza.
L’indovino suggerisce ad Ettore di recarsi, ciò fatto, dalla madre Ecuba, a Troia, e di dirle di salire al tempio di Minerva. Alla dea offra il peplo più prezioso e le prometta dodici giovenche affinché allontani dalla sacra città di Ilio il terribile Diomede, che in questo momento è temuto dai Teucri più che lo stesso Achille (vv. 107127).
Ettore rinvigorisce i soldati
E al cenno fraterno7 obbedïente
Ettore armato si lanciò dal carro con due dardi alla mano; e via scorrendo
130 per lo campo e animando ogni guerriero, rinfrescò la battaglia: e tosto i Teucri voltâr la faccia, e coraggiosi incontro fêrsi al nemico. S’arretrâr gli Achivi, e la strage cessò; ch’essi mirando
135 sì audaci i Teucri convertir le fronti, stimâr8 disceso in lor soccorso un Dio.
E tuttavia le sue genti Ettorre confortando, gridava ad alta voce: «Magnanimi Troiani, e voi di Troia
140 generosi alleati, ah siate, amici, siatemi prodi, e fuor mettete intera la vostra gagliardìa, mentr’io per poco men volo in Ilio ad intimar de’ padri e delle mogli i preghi e le votive
145 ecatombi agli Dei». Parte, ciò detto. Ondeggiano all’eroe, mentre cammina, l’alte creste dell’elmo; e il negro cuoio, che gli orli attorna dell’immenso scudo, la cervice gli batte ed il tallone.
soggetto
7. Eleno ed Ettore, in quanto figli di Priamo, sono fratelli.
8 stimâr : passato remoto di “stimare”, reputarono, credettero.
150 Di duellar bramosi allor nel mezzo dell’un campo e dell’altro appresentârsi
Glauco, prole d’Ippoloco, e il Tidìde9 . Come al tratto10 dell’armi ambo fur giunti, primo il Tidìde favellò: «Guerriero, 155 chi se’ tu? Non ti vidi unqua11 ne’ campi della gloria finor. Ma tu d’ardire
ogni altro avanzi12 se aspettar non temi la mia lancia. È figliuol d’un infelice chi fassi13 incontro al mio valor. Se poi
160 tu se’ qualche Immortal, non io per certo co’ numi pugnerò; ché lunghi giorni
né pur non visse di Drïante il forte figlio Licurgo che agli Dei fe’ guerra».
Infatti Licurgo era stato condannato a una morte prematura da Giove, poiché aveva osato cacciare dal monte Nisseo le Baccanti e il dio Dioniso (vv. 164174).
«All’armi io dunque
175 non verrò con gli Dei. Ma se terreno cibo ti nutre14, accòstati; e più presto qui della morte toccherai le mete15».
E d’Ippoloco a lui l’inclito figlio: «Magnanimo Tidìde, a che dimandi
180 il mio lignaggio16? Quale delle foglie, tale è la stirpe degli umani. Il vento brumal17 le sparge a terra, e le ricrea
Glauco racconta la storia delle sue origini
9. Di duellar … Tidìde. Spiega così: allora Glauco, figlio ( prole) d’Ippoloco, e il Tidìde si presentarono in mezzo al campo di battaglia, bramosi di duellare.
10 al tratto: a distanza di tiro.
11 unqua: mai.
12 avanzi: superi.
13 fassi: si fa.
14. Gli dèi si nutrivano esclusivamente di nettare e ambrosia: lo sfidante si accerta di trovarsi di fronte a un mortale.
15. le mete : il traguardo.
16. lignaggio: discendenza, stirpe, prosapia.
17. brumal: invernale. Da bruma, che in latino indicava il giorno più breve dell’anno, il solstizio d’inverno.
la germogliante selva a primavera. Così l’uom nasce, così muor. Ma s’oltre
185 brami saper di mia prosapia, a molti ben manifesta, ti farò contento.
Glauco dunque narra a Diomede la storia della sua genalogia, che lo fa risalire a Bellerofonte, uomo bello, valoroso e protetto dagli Dèi, grazie ai quali scampò da vari pericoli, uccise la famosa Chimera, mostro terribile, e domò le Amazzoni. Ebbe tre figli, ma di essi scampò alla morte solo Ippolco, padre di Glauco, che lo inviò in aiuto dei Troiani.(vv. 187263).
Allegrossi di Glauco alle parole
265 il marzïal Tidìde, e l’asta in terra conficcando, all’eroe dolce rispose: «Un antico paterno ospite mio, Glauco, in te riconosco. Enèo, già tempo18 , ne’ suoi palagi accolse il valoroso
270 Bellerofonte, e lui ben venti interi giorni ritenne, e di bei doni entrambi si presentâro19. Una purpurea cinta Enèo donò, Bellerofonte un nappo di doppio seno e d’ôr20, che in serbo io posi
275 nel mio partir: ma di Tidèo non posso farmi ricordo, ché bambino io m’era quando ei lasciommi per seguire a Tebe gli Achei che rotti vi perîro21. Io dunque sarotti22 in Argo ed ospite ed amico,
280 tu in Licia a me, se nella Licia avvegna ch’io mai porti i miei passi. Or nella pugna evitiamci l’un l’altro. Assai mi resta di Teucri e d’alleati, a cui dar morte, quanti a’ miei teli n’offriranno i numi,
285 od il mio piè ne giungerà. Tu pure troverai fra gli Achivi in chi far prova di tua prodezza. Di nostr’armi il cambio
18 . già tempo. Intendi: già è passato molto tempo d’allora.
19. di bei doni si presentâro: si scambiarono dei doni.
20. nappo di doppio seno e d’or : coppa d’oro a doppia scodella.
21 . Tideo, il padre di Diomede, aveva partecipato alla guerra dei sette contro Tebe.
22 sarotti: sarò per te.
mostri intanto a costor, che l’uno e l’altro
siam ospiti paterni». Così detto, 290 dal cocchio entrambi dismontâr d’un salto, strinser le destre, e si diêr mutua fede.
Ma nel cambio dell’armi a Glauco tolse
Giove lo senno. Aveale Glauco d’oro, Dïomede di bronzo: eran di quelle
295 cento tauri il valor, nove di queste.
Ettore ed Ecuba
Nel frattempo Ettore si reca alla reggia del re Priamo, suo padre e, incontrando le donne troiane, le invita a pregare gli dèi per la sorte di Troia. Poi Ecuba gli offre una coppa di vino per rinfrancarsi, ma egli rifiuta e chiede invece alla madre di invocare Minerva, mentre lui si reca da Paride per spronarlo alla battaglia (vv. 296360).
Ecuba, seguita dalle sue ancelle, va ad offrire il suo peplo più bello alla dea Minerva e la prega così (vv. 361384):
385 «Veneranda Minerva, inclita Dea, delle città custode, ah tu del fiero Tidìde l’asta infrangi, e di tua mano stendilo anciso23 su le porte Scee, che noi tosto su l’are a te faremo 390 di dodici giovenche ancor non dome24 scorrere il sangue, se di queste mura e delle teucre spose, e de’ lor cari figli innocenti sentirai pietade».
Così pregâr: ma non udìa25 la Diva 395 delle misere i voti.
23. anciso: ucciso.
24. ancor non dome : che non hanno mai conosciuto il lavoro.
25 non udìa: non udiva, non accoglieva. soggetto
Ettore e Paride
Ettore intanto si reca da Paride e lo trova intento a lucidare le armi. Elena, seduta in mezzo alle ancelle, ne dirige i lavori (vv. 395413).
Com’ebbe in lui gli sguardi fisso il grande guerrier, con detti acerbi
415 così l’invase26: «Sciagurato! il core ira ti rode27, il so; ma non è bello il coltivarla. Intorno all’alte mura cadono combattendo i cittadini, e tanta strage e tanto affar28 di guerra
420 per te solo29 s’accende; e tu sei tale che altrui vedendo abbandonar la pugna rampognarlo oseresti30. Or su, ti scuoti, esci di qua pria che da’ Greci accesa venga a snidarti d’Ilïon la fiamma31».
425 Bello, siccome un Dio, Paride allora così rispose: «Tu mi fai, fratello, giusti rimprocci32, e giusto al par mi sembra ch’io ti risponda, e tu mi porga ascolto.
Né sdegno né rancor contra i Troiani
430 nel talamo regal mi rattenea, ma desir solo di distrarre un mio dolor segreto. E in questo punto istesso con tenere parole anco la moglie m’esortava a tornar nella battaglia, 435 e il cor mio stesso mi dicea che questo era lo meglio; perocché nel campo le palme alterna la vittoria33 . Or dunque
soggetto soggetto
26. Uso latino del verbo invadere : andare (vadere) verso, contro (in). Le parole di Ettore aggrediscono Paride.
27. il cor ira ti rode. Costruisci così: l’ira ti rode il cuore.
28 . affar : travaglio.
29. per te solo: a causa tua.
30. e tu… oseresti. Intendi: e tu sei così presuntuoso che oseresti insultare chi vedessi abbandonare la battaglia.
31 pria che … fiamma. Costruisci così: prima che la fiamma accesa dai Greci venga a snidarti da Ilio.
32 . rimprocci: rimproveri.
33. perocché … vittoria. Spiega così: poiché la vittoria onora con la palma l’uno e l’altro degli eserciti alternativamente (cfr. vv. 4 6).
attendi che dell’armi io mi rivesta, o mi precorri, ch’io ti seguo, e tosto
440 raggiungerti mi spero». Così disse
Paride: e nulla gli rispose Ettorre; a cui molli volgendo le parole
Elena soggiugnea:
Elena si rammarica con sincerità di essere la causa di tante sventure e rimprovera Paride di grande viltà. Infine invita Ettore ad restare e riposarsi (vv. 443465).
«Cortese donna,» le rispose Ettorre, «non rattenermi. Il core, impazïente di dar soccorso a’ miei che me lontano richiamano, fa vano il dolce invito.
470 Ma tu di cotestui sprona il coraggio, onde s’affretti ei pure, e mi raggiunga anzi ch’io m’esca di città. Veloce corro intanto a’ miei lari34 a veder l’uopo35 di mia famiglia, e la diletta moglie
475 e il pargoletto mio, non mi sapendo se alle lor braccia tornerò più mai, o s’oggi è il dì che36 decretâr gli Eterni sotto le destre achee la mia caduta».
Ettore e Andromaca
Parte, ciò detto, e giunge in un baleno
480 alla eccelsa magion; ma non vi trova la sua dal bianco seno alma consorte; ch’ella col caro figlio e coll’ancella in elegante peplo tutta chiusa su l’alto della torre era salita:
485 e là si stava in pianti ed in sospiri.
34. a’ miei lari: alla mia casa. I Lari erano i numi tutelari della casa.
35. uopo: bisogno.
36 che : in cui. soggetto
Ettore non trova Andromaca a casa e viene a sapere dalle sue ancelle che ella si è recata sulle mura con il figlioletto per assistere all’assalto nemico (vv. 486502).
Finito non avea queste parole la guardïana, che veloce Ettorre
505 dalle soglie si spicca, e ripetendo il già corso sentier, fende diritto del grand’Ilio le piazze: ed alle Scee, onde al campo è l’uscita, ecco d’incontro Andromaca venirgli, illustre germe37
510 d’Eezïone, abitator dell’alta Ipoplaco selvosa, e de’ Cilìci dominator nell’ipoplacia Tebe38 . Ei ricca di gran dote al grande Ettorre diede a sposa costei ch’ivi allor corse
515 ad incontrarlo; e seco iva l’ancella tra le braccia portando il pargoletto unico figlio dell’eroe troiano, bambin leggiadro come stella. Il padre Scamandrio lo nomava, il vulgo tutto
520 Astïanatte, perché il padre ei solo era dell’alta Troia il difensore39 . Sorrise Ettorre nel vederlo, e tacque.
Ma di gran pianto Andromaca bagnata accostossi al marito, e per la mano
525 strignendolo, e per nome in dolce suono40 chiamandolo, proruppe: «Oh troppo ardito! il tuo valor ti perderà41: nessuna pietà del figlio né di me tu senti, crudel, di me che vedova infelice
37. germe : seme, discendenza.
38 . Eezione, re dei Cilici, abitava vicino a Tebe, a Ipoplaco («sotto il Placo», un rilievo del mote Ida).
39. Astianatte significa, infatti, signore della città.
40. in dolce suono: con voce dolce.
41 ti perderà: ti porterà alla rovina.
530 rimarrommi tra poco, perché tutti di conserto gli Achei contro te solo si scaglieranno a trucidarti intesi; e a me fia meglio allor, se mi sei tolto, l’andar sotterra42. Di te priva, ahi lassa!
535 ch’altro mi resta che perpetuo pianto? Orba43 del padre io sono e della madre. M’uccise il padre lo spietato Achille il dì che de’ Cilìci egli l’eccelsa popolosa città Tebe distrusse:
540 m’uccise, io dico, Eezïon quel crudo44; ma dispogliarlo non osò, compreso da divino terror45. Quindi con tutte l’armi sul rogo il corpo ne compose, e un tumulo gli alzò cui di frondosi
545 olmi le figlie dell’Egìoco Giove l’Oreadi pietose incoronâro46 . Di ben sette fratelli iva superba47 la mia casa. Di questi in un sol giorno lo stesso figlio della Dea48 sospinse
550 l’anime a Pluto, e li trafisse in mezzo alle mugghianti mandre ed alle gregge. Della boscosa Ipoplaco reina49 mi rimanea la madre. Il vincitore coll’altre prede qua l’addusse, e poscia
555 per largo prezzo in libertà la pose. Ma questa pure, ahimè! nelle paterne stanze lo stral d’Artèmide50 trafisse.
Or mi resti tu solo, Ettore caro, tu padre mio, tu madre, tu fratello,
soggetto
42 . a me … sotterra. Spiega così: qualora tu mi fossi tolto, sarebbe meglio per me andare sotto terra.
43 orba: priva, orfana.
44 quel crudo, cioè crudele, è Achille.
45 compreso da divino terror : preso dal timore di Giove, di cui Eezione era “alunno”.
46 cui … incoronâro. Costruisci così: cui (che) le pietose Oreadi, figlie di Giove egioco, incoronâro (circondarono) di frondosi olmi.
47. iva superba: andava fiera, si vantava.
48 . Achille.
49. reina: regina.
50. Alla dea Artemide sono attribuite le morti improvvise delle donne, come ad Apollo quelle degli uomini.
560 tu florido marito. Abbi deh! dunque di me pietade, e qui rimanti meco a questa torre, né voler che sia vedova la consorte, orfano il figlio.
Al caprifico51 i tuoi guerrieri aduna, 565 ove il nemico alla città scoperse più agevole salita e più spedito lo scalar delle mura. O che agli Achei abbia mostro quel varco un indovino, o che spinti ve gli abbia il proprio ardire,
570 questo ti basti che i più forti quivi già fêr tre volte di valor periglio, ambo gli Aiaci, ambo gli Atrídi, e il chiaro sire di Creta ed il fatal Tidìde52».
La risposta di Ettore
«Dolce consorte,» le rispose Ettorre,
575 «ciò tutto che dicesti a me pur anco ange53 il pensier; ma de’ Troiani io temo fortemente lo spregio, e dell’altere Troiane donne, se guerrier codardo54 mi tenessi in disparte, e della pugna
580 evitassi i cimenti. Ah nol55 consente, no, questo cor. Da lungo tempo appresi ad esser forte, ed a volar tra’ primi negli acerbi conflitti alla tutela della paterna gloria e della mia.
585 Giorno verrà, presago il cor mel dice, verrà giorno che il sacro iliaco muro e Priamo e tutta la sua gente cada. Ma né de’ Teucri il rio56 dolor, né quello
51 . caprifico: fico selvatico. Esso individuava un punto delle mura in cui era più facile assalire la città.
52 questo ti basti … Tidìde. Spiega così: ti basti sapere che in questo punto del muro (quivi ) i più forti (entrambi gli Aiaci, entrambi gli Atrìdi, il famoso Idomeneo re di Creta, e Diomede) hanno tentato di assalire la città per ben tre volte.
53. ange : angustia.
54. guerrier codardo: da guerriero codardo. È un sintagma predicativo del soggetto.
55. nol: non lo.
56 rio: aspro, atroce.
d’Ecuba stessa, né del padre antico,
590 né de’ fratei, che molti e valorosi sotto il ferro nemico nella polve
cadran distesi, non mi accora57, o donna, sì di questi il dolor, quanto il crudele tuo destino, se fia58 che qualche Acheo, 595 del sangue ancor de’ tuoi lordo l’usbergo59 , lagrimosa ti tragga in servitude.
Misera! in Argo all’insolente cenno d’una straniera tesserai le tele. Dal fonte di Messìde o d’Iperèa,
600 (ben repugnante, ma dal fato astretta60) alla superba recherai le linfe61; e vedendo talun piovere il pianto dal tuo ciglio, dirà: – Quella è d’Ettorre l’alta consorte, di quel prode Ettorre
605 che fra’ troiani eroi di generosi cavalli agitatori era il primiero, quando intorno a Ilïon si combattea –. Così dirassi62 da qualcuno; e allora tu di nuovo dolor l’alma trafitta
610 più viva in petto sentirai la brama63 di tal marito a scior64 le tue catene. Ma pria morto la terra mi ricopra, ch’io di te schiava i lai65 pietosi intenda66».
soggetto
57 accora: addolora.
58 fia: accadrà.
59 qualche Acheo … usbergo. Spiega così: qualche Acheo con la corazza ancora grondante del sangue dei tuoi cari.
60. astretta: costretta.
61 . linfe : acqua.
62 . dirassi: sarà detto.
63. brama: desiderio.
64. scior : sciogliere.
65. lai: lamenti.
66 intenda: ascolti.
Così detto, distese al caro figlio
615 l’aperte braccia. Acuto mise un grido il bambinello, e declinato il volto, tutto il nascose alla nudrice in seno, dalle fiere atterrito armi paterne67 , e dal cimiero che di chiome equine
620 alto su l’elmo orribilmente ondeggia. Sorrise il genitor, sorrise anch’ella la veneranda madre; e dalla fronte l’intenerito eroe tosto si tolse l’elmo, e raggiante68 sul terren lo pose.
625 Indi baciato con immenso affetto, e dolcemente tra le mani alquanto palleggiato69 l’infante, alzollo al cielo, e supplice sclamò: «Giove pietoso e voi tutti, o Celesti, ah concedete
630 che di me degno un dì questo mio figlio sia splendor della patria, e de’ Troiani forte e possente regnator. Deh fate che il veggendo tornar dalla battaglia dell’armi onusto70 de’ nemici uccisi,
635 dica talun: – Non fu sì forte il padre –: E il cor materno nell’udirlo esulti». Così dicendo, in braccio alla diletta sposa egli cesse71 il pargoletto; ed ella con un misto di pianti almo sorriso72 640 lo si raccolse all’odoroso seno.
67. dalle fiere … paterne. Costruisci così: atterrito (spaventato) dalle fiere (feroci) armi paterne.
68 raggiante : scintillante (l’elmo).
69 palleggiato: dondolato, fatto saltellare in braccio, passato da una mano sull’altra. L’uso di questo verbo sottolinea la tenerezza con cui Ettore coccola il figlioletto.
70. onusto: carico.
71 . cesse : cedette.
72 . con un misto … sorriso. Costruisci così: con un almo (benevolo, aperto) sorriso misto di pianti.
Di secreta pietà l’alma percosso73 riguardolla il marito, e colla mano accarezzando la dolente: «Oh!» disse, «diletta mia, ti prego; oltre misura
645 non attristarti a mia cagion. Nessuno, se il mio punto fatal74 non giunse ancora, spingerammi a Pluton: ma nullo75 al mondo, sia vil, sia forte, si sottragge al fato. Or ti rincasa, e a’ tuoi lavori intendi,
650 alla spola, al pennecchio76, e delle ancelle veglia su l’opre; e a noi, quanti nascemmo fra le dardanie mura, a me primiero lascia i doveri dell’acerba guerra». Raccolse al terminar di questi accenti
655 l’elmo dal suolo il generoso Ettorre, e muta alla magion77 la via riprese l’amata donna, riguardando indietro, e amaramente lagrimando. Giunta agli ettorei palagi, ivi raccolte
660 trovò le ancelle, e le commosse al pianto. Ploravan tutte l’ancor vivo Ettorre nella casa d’Ettòr le dolorose, rivederlo più mai non si sperando reduce dalla pugna, e dalle fiere
665 mani scampato de’ robusti Achei.
soggetto
Nel frattempo Paride, indossate le armi, corre giù per la rocca di Pergamo e incontra Ettore, che, pur lodandone il valore nel combattere, lo rimprovera di essere negligente e di far soffrire i Troiani. Insieme si dirigono verso il campo di battaglia (vv. 666704).
73. di secreta … percosso: colpito nell’animo da una pietà non manifestata.
74. il mio punto fatal: la mia ora, l’ora della mia morte.
75. nullo: nessuno.
76. pennecchio: la lana che si avvolge alla conocchia per essere filata. Qui si intende la conocchia stessa.
77 magion: casa.
Libro VII
Tempo: Dalla fine del ventiduesimo giorno al ventiquattresimo.
Luoghi: Il campo di battaglia, i due accampamenti e l’Olimpo.
L’urto troiano
Così dicendo, dalle porte eruppe1 seguìto dal fratello il grande Ettorre. Ardono entrambi di far pugna: e quale i naviganti allegra2 amico vento
5 che un Dio lor manda allor che stanchi ei sono d’agitar le spumanti onde co’ remi, e cascano le membra di fatica3; tal al desìo de’ Teucri essi appariro.
Come il vento amico dei naviganti così Ettore e Paride
I Troiani escono con impeto e fanno strage degli Achei.
Minerva allora si precipita per soccorrerli, ma Apollo le suggerisce di quietare il combattimento e risolvere il conflitto con un duello tra Ettore e un duce acheo.
Ettore, avvertito dall’indovino Eleno, accoglie la proposta e ferma le falangi dei Troiani; così fa Agamennone con quelle degli Achei. In mezzo alle due schiere Ettore propone che la guerra sia decisa da un duello tra lui e chi tra i Greci vorrà sfidarlo. Apollo e Minerva, in forma d’avvoltoi, stanno a guardare dall’alto di un faggio (vv. 970).
Quale è l’orror4 che di Favonio5 il soffio nel suo primo spirar spande sul mare, che destato s’arruffa e l’onde imbruna: tale de’ Teucri e degli Achei nel vasto 75 campo sedute comparìan le file.
1 . eruppe : passato remoto di “erompere”, uscire con impeto, violenza.
2 . Verbo: allegrare, rallegrare.
3. di fatica: per la fatica.
Come il vento
così le schiere
4. orror : brivido, agitazione. Dal latino horre¯re, “rizzarsi dei peli del corpo” e poi “tremare per lo spavento”.
5 Favonio: è Zefiro (cfr. Libro II, v. 193), vento di ponente, che produce quello splendore dovuto al movimento ondeggiante di un campo di grano o della superficie del mare. Vento forte e anche tempestoso.
Ettore sfida gli Achei a proporre il loro migliore guerriero per il duello, chiedendo anche che il corpo dello sconfitto venga restituito per gli onori funebri (vv. 76110).
Ma nessun Acheo si fa avanti. Allora si alza d’impeto Menelao e grida ai suoi:
«Vili superbi, 112 Achive, non Achei! […]
115 Oh possiate voi tutti in nebbia e polve resoluti sparir6, voi che vi state qui senza core immoti e senza onore. Ma io medesmo, io sì, contra costui scenderò nell’arena». […]
121 E certo allora per le mani d’Ettorre, o Menelao, trovato avresti di tua vita il fine, (ch’egli di forza ti vincea d’assai)
125 se subito in piè surti i prenci7 achivi non rattenean tua foga8. Egli medesmo il regnatore Atrìde Agamennóne l’afferrò per la mano, e, «Tu deliri,» disse, «e il delirio non ti giova. Or via,
130 fa senno, e premi9 il tuo dolor, né spinto10 da bellicosa gara avventurarti11 con un12 più prode di cui tutti han tema, col Prïamide Ettorre. Anco il Pelìde, sì più forte di te, lo scontro teme
135 di quella13 lancia nel conflitto. Or dunque ritorna alla tua schiera, e statti in posa14 . Gli desteranno incontra altro più fermo
6. resoluti sparir : dissolversi.
7. prenci: principi, duci.
8 . non rattenean tua foga: non avessero trattenuto il tuo slancio.
9. premi: comprimi, cioè frena.
10. spinto: concorda col tu sottinteso.
11 . avventurarti: reso imperativo negativo dal né del verso precedente, “e non ti avventurare”.
12 . un: non è articolo, ma pronome indefinito.
13. quella lancia: la lancia di Ettore.
14 statti in posa: non ti muovere, tranquillizzati. soggetto
duellator gli Achivi, e tal ch’Ettorre, intrepido quantunque ed indefesso,
140 metterà volentier, se dritto15 io veggo, le ginocchia in riposo16, ove pur sia che netto17 egli esca dalla gran tenzone. Svolse il saggio parlar del sommo Atrìde del fratello il pensier18, che obbedïente
145 quetossi, e lieti gli levâr di dosso le bell’arme i sergenti.
Allora Nestore si alza e rimprovera i paurosi e vili Achei, rimpiangendo di non avere più l’età per combattere (vv. 146193):
Oh mi fiorisse or quell’etade e la mia forza intégra!
195 Per certo Ettorre troverìa19 qui tosto chi gli risponda. E voi del campo acheo i più forti, i più degni, ad incontrarlo voi non andrete con allegro20 petto?»
A questo punto nove guerrieri tra i più valorosi si alzano per offrirsi al duello con Ettore. La sorte sceglie Aiace, che invoca Giove di renderlo vittorioso. Poi indossa le armi e avanza minaccioso sul campo di battaglia facendo tremare di paura i Troiani e lo stesso Ettore (vv. 199267).
E già gli è sopra Aiace coll’immenso pavese che parea mobile torre21; 270 opra di Tichio, d’Ila abitatore,
15 diritto: giusto.
16 le ginocchia in riposo: per la stanchezza, nonostante sia indefesso, instancabile.
17 netto: dal latino nitidum, “nitido, privo di brutture”. Qui, “libero da danno, sano e salvo, illeso”.
18 . Svolse … pensier. Costruisci così: Il saggio parlar del sommo Atrìde svolse (convertì) il pensier del fratel.
19. troverìa: condizionale di trovare.
20. allegro: baldanzoso.
21 pavese … torre : uno scudo alto come una torre.
prestantissimo fabbro22, che di sette costruito l’avea ben salde e grosse cuoia di tauro, e indóttavi23 di sopra una falda d’acciar. Con questo al petto
275 enorme scudo il Telamònio eroe féssi24 avanti al Troiano, e minaccioso mosse queste parole: «Ettore, or chiaro saprai da solo a sol quai prodi ancora rimangono agli Achei dopo il Pelìde
280 cuor di lïone e rompitor di schiere. Irato coll’Atrìde egli alle navi neghittoso si sta25; ma noi siam tali, che non temiamo lo26 tuo scontro, e molti27 . Comincia or tu la pugna, e tira il primo28».
285 «Nobile prence Telamònio Aiace,» rispose Ettorre, «a che mi tenti, e parli come a imbelle fanciullo o femminetta cui dell’armi il mestiero è pellegrino29?
E anch’io trattar so il ferro e dar la morte,
290 e a dritta e a manca anch’io girar30 lo scudo, e infaticato31 sostener l’attacco, e a piè fermo danzar nel sanguinoso ballo di Marte32, o d’un salto sul cocchio lanciarmi, e concitar33 nella battaglia
295 i veloci destrier. Né già vogl’io
22 . E anche importante, se Omero ce ne dice il nome. Il poeta non dimentica di dare il giusto riconoscimento al lavoro artigianale che produce oggetti belli e funzionali al servizio dei guerrieri. Un esteso brano nel Libro XVIII sarà dedicato al dio degli artigiani, Vulcano, il quale avrà il compito di forgiare le divine armi di Achille.
23 indottavi: applicata all’esterno.
24 fessi: si fe’, si fece, si mise.
25. Ora anche Ettore sa che Achille è assente, e perché.
26 lo: il.
27 molti: da unire a tali, è un secondo predicativo del soggetto noi
28 il primo: per primo.
29 pellegrino: estraneo, e dunque ignoto. Dal latino peregrinus, che significa “straniero”.
30. Sottinteso so.
31 . infaticato: mai stanco.
32 . Sanguinoso … Marte : il duello. Bella immagine, che rende bene l’agilità e il controllo dei movimenti durante un combattimento a duello.
33. concitare : stimolare, eccitare, lanciare.
un tuo pari ferire insidïoso34 , ma discoperto, se arrivar35 ti posso».
Ciò detto, bilanciò colla man forte la lunga lancia, e saettò d’Aiace
300 il settemplice scudo36. Furïosa la punta trapassò la ferrea falda che di fuor lo copriva, e via scorrendo squarciò sei giri del bovin tessuto, e al settimo fermossi. Allor secondo
305 trasse37 Aiace, e colpì di Priamo il figlio nella rotonda targa. Traforolla il frassino veloce, e nell’usbergo sì addentro si ficcò, che presso al lombo38 lacerògli la tunica. Piegossi
310 Ettore a tempo, ed evitò la morte. Ricovrò39 l’uno e l’altro il proprio telo40 , e all’assalto tornâr come per fame fieri leoni, o per vigor tremendi arruffati41 cinghiali alla montagna.
315 Di nuovo Ettorre coll’acuto cerro42 colpì lo scudo ostil, ma senza offesa, ch’ivi la punta si curvò: di nuovo trasse Aiace il suo telo, ed alla penna43 dello scudo ferendo, a parte a parte
320 lo trapassò, gli punse il collo, e vivo
I duellanti sono come fieri leoni o cinghiali
34. insidioso: con inganni, insidie.
35. arrivar : raggiungere, colpire.
36. Si tratta degli strati, ma qui è detto come se lo scudo valesse per sette. Questo aggettivo è formato come tutti i moltiplicativi (duplice, triplice…).
37 trasse : passato remoto del verbo trarre, tirare.
38 lombo: fianco.
39 ricovrò: passato remoto del verbo ricoverare, “riporre”.
40 telo: asta, lancia.
41 arruffati: con il pelo ispido, arricciato, dalle setole irte e dure.
42 cerro: è il legno durissimo col quale, come col frassino, si facevano le lance; dunque, la lancia stessa. Indicare il materiale per significare l’oggetto è una figura retorica che si chiama metonimia .
43 alla penna: all’orlo, dove il cuoio è meno spesso.
sangue spiccionne44. Né per ciò l’attacco lasciò l’audace Ettorre. Era nel campo un negro ed aspro enorme sasso45: a questo diè di piglio46 il Troiano, e contra il Greco
325 lo fulminò. Percosse il duro scoglio il colmo dello scudo, e orribilmente ne rimbombò la ferrea piastra intorno. Seguì l’esempio il gran Telamonìde, ed afferrato e sollevato ei pure
330 un altro più d’assai rude macigno47 , con forza immensa lo rotò48, lo spinse contra il nemico. Il molar49 sasso infranse l’ettoreo scudo, e di tal colpo offese lui nel ginocchio, che riverso ei cadde
335 con lo scudo sul petto50: ma rizzollo immantinente51 di Latona il figlio.
soggetto
A questo punto estraggono le spade, ma prima che si gettino l’uno contro l’altro, due araldi, messaggeri di Giove e dei mortali, sospendono il duello per il sopraggiungere della notte (vv. 337346):
«Cessate, diletti figli, la battaglia. Entrambi siete cari al gran Giove, entrambi (e chiaro ognun sel vede) acerrimi guerrieri:
350 ma la notte discende, e giova, o figli, alla notte obbedir». «Dimandi Ettorre questa tregua52,» rispose il fiero Aiace: «primo ei tutti sfidonne, e primo ei chiegga.
44 spiccionne : ne spicciò. Spicciare : “sgorgare con impeto”, detto dei liquidi.
45. Non avendo più armi, era assai comune fra questi eroi tirare grosse pietre. Il colore scuro fa sembrare più temibile il macigno.
46 diè di piglio: afferrò.
47 un … macigno. Costruisci: un altro macigno più rude d’assai
48 lo rotò: lo fece roteare.
49. molar : delle dimensioni di una mola, enorme pietra da mulino.
50. Poiché cadde con lo scudo sul petto, riverso significa “supino, di schiena”.
51 . immantinente : subito, senza por tempo in mezzo.
52 . Dimandi Ettorre questa tregua: che sia Ettore a domandare questa tregua. Tocca ad Ettore chiedere la tregua in quanto sfidante.
Ritirerommi, se l’esempio ei porga».
355 E l’illustre rival tosto riprese: «Aiace, i numi ti largîr cortesi53 pari alla forza ed al valore il senno, e nel valor tu vinci ogni altro Acheo. Abbian riposo le nostr’armi, e cessi
360 la tenzon54. Pugneremo altra fïata55 finché la Parca ne56 divida, e intera all’uno o all’altro la vittoria doni. Or la notte già cade, e della notte romper non dêssi57 la ragion. Tu riedi58
365 dunque alle navi a rallegrar gli Achivi, i congiunti, gli amici. Io nella sacra città rïentro a serenar59 de’ Teucri le meste fronti e le dardanie donne, che in lunghi pepli avvolte appiè60 dell’are
370 per me si stanno a supplicar. Ma pria di dipartirci61, un mutuo dono attesti62 la nostra stima: e gli Achei poscia e i Teucri diran: Costoro duellâr coll’ira63 di fier nemici, e separârsi amici».
complemento di vantaggio
E così, Ettore offre la sua spada ed Aiace la sua cintura (vv. 375379).
53. cortesi: generosi.
54 tenzon: duello.
55 fïata: volta.
56 ne : ci.
57 non dêssi: non si deve.
58 riedi: ritorna.
59 serenar : rasserenare.
60 appiè: ai piedi, alla base.
61 dipartirci: separarci.
62 attesti: dimostri. Dal latino ad e testari, derivato da testis, “testimone”.
63. Il combattimento, oltre ad essere un momento della battaglia fra due eserciti opposti da diverse ragioni, era una prova di valore, in cui il guerriero provava il favore del dio e l’esaltazione della propria umanità, intesa come somma di preparazione militare, di ragioni personali e di considerazioni politiche. La forza e la violenza non erano intese come cattive in sé e non erano gratuite, cioè senza scopo, ma appropriate al combattimento, e sempre tenute sotto controllo. L’eccezionalità è l’ira vendicatrice, suscitata dall’empia Discordia, l’ira funesta delle offese, delle rivalità e delle gelosie, un’ira che però si tenta sempre di comporre ragionevolmente, richiamando gli affetti e i doveri verso gli altri, finché è possibile riparare. Come è avvenuto nel Libro I e come avverrà nel IX.
Consulte di Greci e di Troiani
Ognuno dei due eroi torna presso i rispettivi accampamenti. I Greci, per consiglio di Nestore, decidono di sospendere il combattimento per il giorno successivo in modo da poter celebrare le esequie dei morti e costruire una muraglia per difesa del campo. Anche i Troiani, riuniti in assemblea, decidono di inviare Ideo nel campo greco a proporre condizioni di pace e a domandare una tregua per seppellire i morti (vv. 380464).
Ambasciata di Ideo
Il giorno successivo il messaggero troiano Ideo si reca da Agamennone per proporre l’offerta di ingenti ricchezze al posto di Elena e una tregua per raccogliere i morti e celebrare le esequie. La prima proposta è rifiutata, mentre la seconda viene accettata (vv. 465509).
Le esequie
Da Troia escono gli uomini necessari a prelevare i cadaveri e quelli per trovare la legna su cui arderli. E dalla parte achea viene fatto lo stesso (vv. 510514).
E già dal queto
515 grembo del mare al ciel montando il sole co’ rugiadosi lucidi suoi strali le campagne ferìa, quando nell’atra pianura si scontrâr Teucri ed Achei ognuno in cerca de’ suoi morti, a tale 520 dal sangue sfigurati e dalla polve, che mal se ne potea, senza lavarli, ravvisar le sembianze. Alfin trovati e conosciuti li ponean su i mesti plaustri64 piangendo. Ma di Priamo il senno 525 non consentìa del pianto a’ suoi lo sfogo: quindi afflitti, ma muti, al rogo i Teucri diêro a mucchi le salme; ed arse tutte, col cuor serrato alla città tornâro.
64 plaustri: carri. soggetto
D’un medesmo dolor rotti gli Achei
530 i lor morti ammassâr sovra la pira, e come gli ebbe la funerea fiamma consumati, del mar preser la via.
Non biancheggiava ancor l’alba novella, ma il barlume soltanto antelucano65 ,
535 quando d’Achei dintorno all’alto rogo scelto stuolo affollossi. E primamente alzâr dappresso a quello una comune tomba agli estinti, ed alla tomba accanto una muraglia66 a edificar si diêro
540 d’alti torrazzi ghirlandata, a schermo delle navi e di sé: porte vi fêro di salda imposta, e di gran varco al volo67 de’ bellicosi cocchi: indi lunghesso68 l’esterno muro una profonda e vasta 545 fossa scavâr di pali irta e gremita. Degli Achei la stupenda opra tal era. La contemplâr maravigliando i numi seduti intorno al Dio de’ tuoni, e irato sì prese a dir l’Enosigèo69 Nettunno: 550 «Giove padre, chi fia più tra’ mortali, che gl’Immortali in avvenir consulti, e n’implori il favor? Vedi tu quale e quanto muro gli orgogliosi Achei innanti70 alle lor navi abbian costrutto 555 e circondato d’un’immensa fossa senza offerir solenni ostie agli Dei? Di cotant’opra andrà certo la fama ovunque giunge la divina luce,
65. Il barlume antelucano è il crepuscolo mattutino.
soggetto
complemento oggetto
complemento oggetto
66. Ora Achille non c’è più: questo rende necessario costruire il muro, di cui per dieci anni non c’era stato bisogno. Intorno a questo muro avverranno vari e movimentati episodi durante la più grande battaglia dell’Iliade, la terza.
67. Larghe a sufficienza (di gran varco) per il passaggio di gran corsa (al volo).
68 . lunghesso: lungo.
69. Enosigèo: scuotitor della terra.
70 innanti: innanzi, davanti.
e il grido morirà71 delle sacrate
560 mura che al re Laomedonte un tempo intorno ad Ilïone Apollo ed io edificammo con assai fatica».
«Che dicesti?» sdegnoso gli rispose l’adunator de’ nembi: «altro qualunque
565 Iddio di forza a te minor potrebbe di questo paventar72. Ma del possente Enosigèo la gloria al par dell’almo raggio del sole splenderà per tutto. Or ben: sì tosto che73 gli Achei faranno
570 veleggiando ritorno al patrio lido, e tu quel muro abbatti e tutto quanto sprofondalo nel mare, e d’alta arena coprilo sì che ogni orma ne svanisca».
In questo favellar l’astro s’estinse
575 del giorno, e l’opra degli Achei fu piena. Della sera allestite indi le mense per le tende, cibâr le opime carni di scannati giovenchi, e ristorârsi del vino che recato avean di Lenno74 580 molti navigli; e li spediva Eunèo d’Issipile75 figliuolo e di Giasone. Mille sestieri76 in amichevol dono Eunèo ne manda ad ambedue gli Atrídi; compra il resto l’armata, altri con bronzo, 585 altri con lame di lucente ferro; qual con pelli bovine, e qual col corpo del bue medesmo, o di robusto schiavo. Lieto adunque imbandîr pronto convito
71 il grido morirà: cesserà la fama.
72 paventar : aver paura.
73 sì tosto che : non appena.
soggetto
74. La famosa isola di Lemno nell’Egeo, dove gli Achei avevano fatto tappa nel venire a Troia e dove avevano ricevuto una calda ospitalità. Da essa ora provenivano i rifornimenti per l’armata, tra cui il vino.
75. Issipile è la figlia di Toante, re di Lemno.
76 sestieri: misure di vino.
gli Achivi, e tutta banchettâr la notte.
590 Banchettava del par nella cittade con gli alleati la dardania gente. Ma tutta notte di Saturno il figlio con terribili tuoni annunzïava alte sventure nel suo senno ordite.
595 Di pallido terror tutti compresi77 dalle tazze spargean le spume a terra devotamente, né veruno78 ardìa79 appressarvi le labbra, se libato80 pria non avesse al prepotente81 Giove.
600 Corcârsi alfine, e su lor scese il sonno.
77. compresi: oppressi.
78 . veruno: nessuno.
79. ardìa: imperfetto del verbo ardire.
80. libato: offerto, detto di liquidi sparsi sull’altare in offerta e consacrazione ad una divinità.
81 prepotente : che è superiore ad altri per potenza.
All’alba Giove, dopo aver vietato agli dèi di combattere al fianco dei mortali, si reca sul monte Ida e soppesa sulla bilancia d’oro i destini dei due eserciti. Infausto il verdetto per i Greci, che vengono costretti alla ritirata da un fulmine scagliato da Giove. È l’occasione per Ettore di preparare il suo esercito all’assalto, ma un’accorata e autorevole preghiera di Agamennone commuove il sommo Giove, che non nega ai Greci un presagio a loro favorevole. Tra gli Achei rincuorati si distingue Teucro, l’arciere, le cui frecce vanno tutte a segno, tranne quella destinata al grande Ettore, il quale lo atterra con un masso.
Ma l’avanzata troiana non si ferma, anche perché Giunone e Minerva, intenzionate ad aiutare i Greci, vengono impedite nel loro intento da Giove, che si mostra deciso a soddisfare la preghiera della diletta Tetide. La seconda battaglia si chiude con il calare della notte e con l’accendersi dei fuochi nell’accampamento troiano che sembrano riflettere le innumerevoli stelle del cielo, quasi a dire che cielo e terra sono sempre in dialogo. Nelle vicende degli uomini sono infatti sempre implicati i celesti: gli dèi, con parole ed azioni favorevoli ora agli uni ora agli altri, si coinvolgono nei destini dei singoli e dei popoli.
E su tutti domina il Fato, al cui volere china il capo anche il sommo Giove, che si mostra comunque padre capace di commozione alla preghiera di un suo figlio in difficoltà, il suo alunno Agamennone.
Libro VIII
Tempo: Dall’alba alla notte del venticinquesimo giorno. Luoghi: Olimpo, campo di battaglia, accampamento troiano.
Già spiegava l’aurora il croceo1 velo sul volto della terra, e co’ Celesti su l’alto Olimpo il folgorante Giove tenea consiglio. Ei parla, e riverenti
5 stansi2 gli Eterni ad ascoltar: «M’udite tutti, ed abbiate il mio voler palese; e nessuno di voi né Dio né Diva3 di frangere4 s’ardisca il mio decreto, ma tutti insieme il secondate, ond’io
10 l’opra, che penso5, a presto fin conduca. Qualunque degli Dei vedrò furtivo partir dal cielo, e scendere a soccorso de’ Troiani o de’ Greci, egli all’Olimpo di turpe piaga6 tornerassi7 offeso;
15 o l’afferrando8 di mia mano io stesso, nel Tartaro9 remoto e tenebroso lo gitterò10, voragine profonda che di bronzo ha la soglia e ferree porte, e tanto in giù nell’Orco s’inabissa,
complemento oggetto (il=lo)
1 il croceo velo: il diffuso peplo (cfr. Libro V, v. 412) dell’alba. Croceo è color del croco o zafferano, giallo oro.
2 stansi: se ne stanno.
3 né Diva: evidentemente Giove pensa espressamente a Giunone e Minerva, instancabili favoreggiatrici degli Achei.
4. di frangere : sintagma retto da s’ardisca.
5. La promessa fatta a Tetide di vendicare Achille.
6. di turpe piaga: di ferita vergognosa, perché colpito dal fulmine.
7. tornerassi: se ne tornerà.
8 . l’afferrando: afferrandolo.
9. Tartaro remoto: è l’oltretomba lontanissimo dove son puniti gli dèi, posto sotto l’Orco (l’Ade) dove vengono puniti gli uomini. Cinque sono i luoghi: dall’alto, l’etere, la sede degli dèi; l’aria; la terra; l’Orco (l’Ade, dove son puniti gli uomini); il Tartaro (dove son puniti gli dèi).
Dunque l’Olimpo e il Tartaro sono i due estremi, luce e tenebra.
10. Dal latino gittare, “gettare”. Da cui, per esempio, gittata, “distanza raggiunta dal getto”.
20 quanto va lungi dalla terra il cielo. Allor saprà che degli Dei son io il più possente. E vuolsene la prova? D’oro al cielo appendete una catena, e tutti a questa v’attaccate, o Divi
25 e voi Dive, e traete11. E non per questo dal ciel trarrete in terra il sommo Giove, supremo senno, né pur tutte oprando le vostre posse12. Ma ben io, se il voglio, la13 trarrò colla terra e il mar sospeso:
30 indi alla vetta dell’immoto Olimpo annoderò la gran catena, ed alto tutte da quella penderan le cose. Cotanto il mio poter vince de’ numi le forze e de’ mortai». Qui tacque, e tutti
35 dal minaccioso ragionar percossi ammutolîr gli Dei. Ruppe Minerva finalmente il silenzio, e così disse: «Padre e re de’ Celesti, e noi pur anco sappiam che invitta14 è la tua gran possanza15 .
40 Ma nondimen de’ bellicosi Achei pietà ne16 prende, che di17 fato iniquo son vicini a perir. Noi dalla pugna, se tu il comandi, ci terrem lontani; ma non vietar che di consiglio almeno
45 sien giovati18 gli Achivi, onde non tutti cadan nell’ira tua disfatti e morti19». Con un sorriso le rispose il sommo de’ nembi adunator: «Conforta il core, diletta figlia; favellai severo,
50 ma vo’ teco esser mite».
complemento oggetto soggetto
11 traete : imperativo di trarre, “tirare spostando qualcosa da un luogo ad un altro”. Un gioco diffuso, quello del tiro alla fune, già all’epoca. Questa volta in senso verticale, anziché orizzontale.
12 . posse : potenze, forze.
13. la: pronome personale, sostituisce catena.
14. invitta: mai vinta.
15. possanza: potenza.
16. ne : ci.
17. di: a causa di, per.
18 . sien giovati: regge di consiglio.
19 disfatti e morti: sono due predicativi di tutti, cioè di Achivi
Detto questo sale sul suo cocchio per andare verso il monte Ida, dove, una volta giunto sulla vetta, si siede esultante di gloria per guardare Troiani ed Achei (vv. 5070).
Giove soppesa i destini
Allestiti gli eserciti, i Troiani e gli Achei si riversano sul campo di battaglia.
Molti sono i caduti in questo primo scontro, che dura dal mattino al pomeriggio, ma le sorti della battaglia si eguagliano.
Allora Giove prende le auree bilance e vi soppesa i due diversi fati di morte: il fato degli Achei precipita a terra e l’altro balza al cielo. Subito scaglia un fulmine infuocato nel campo degli Achei, facendoli disperdere (vv. 70100).
Diomede difende Nestore
Nestore si trova in difficoltà nella ritirata e sta per essere assalito da Ettore; solo Diomede interviene a salvarlo (vv. 101135):
«Troppo feroce gioventù nemica
ti sta contra, o buon vecchio, e infermi troppo sono i tuoi polsi: hai grave d’anni il dorso, hai debole l’auriga e i corridori.
140 Monta il mio cocchio20, e la virtù vedrai dei cavalli di Troe21, che dianzi io tolsi d’Anchise al figlio, a maraviglia sperti22 a fuggir ratti in campo e ad inseguire.
Lascia cotesti agli scudieri in cura,
145 drizziam23 questi ne’ Teucri, e vegga Ettorre s’anco in mia man la lancia è furibonda24».
Disse: né il veglio ricusò l’invito.
Di Stènelo e del buon Eurimedonte,
20. Da notare la costruzione transitiva del verbo montare
21 . Sono i divini cavalli di Troe (o Troo), che gli furono donati da Giove in cambio del figlio Ganimede. Anchise frodò il privilegio di questa razza equina nel modo che è raccontato nel Libro V, vv. 347 e sgg.
22 . sperti: esperti.
23. drizziam: indirizziamo.
24 furibonda: agitata da furia.
valorosi scudieri, egli al governo
150 cesse le sue puledre, e tosto il cocchio del Tidìde salito, in man si tolse25 le bellissime briglie, e col flagello i corsieri percosse26. In un baleno giunser d’Ettore a fronte, che diritto
155 lor d’incontro venìa con gran tempesta. Trasse27 la lancia Dïomede, e il colpo errò; ma su le poppe in mezzo al petto colpì l’auriga Enïopèo, figliuolo dell’ inclito28 Tebèo. Cade il trafitto
160 giù tra le rote colle briglie in pugno: s’arretrano i destrieri, e in quello stato perde ogni forza l’infelice, e spira. Del morto auriga addolorossi Ettorre, e mesto29 di lasciar quivi il compagno
165 nella polve disteso, un altro audace alla guida del carro iva30 cercando: né di rettor31 gran tempo ebber bisogno i suoi destrieri, ché gli occorse all’uopo l’animoso Archepòlemo d’Ifito,
170 cui sul carro montar fa32 senza indugio, e gli abbandona nella man le briglie. Immensa strage allora e fatti orrendi fôran33 d’arme seguìti, e come agnelli stati in Ilio sarìan racchiusi34 i Teucri, 175 se de’ Celesti il padre e de’ mortali tosto di ciò non s’accorgea.
25 tolse : prese, tirò su. Spesso il verbo togliere è usato in questo senso.
26 i corsieri percosse : incitò i cavalli. Dunque Nestore fa da auriga a Diomede.
27 trasse : passato remoto del verbo trarre, “tirare”, qui nel senso di “scagliare”.
28 inclito: illustre, famoso. Dal latino in- (rafforzativo) + cluere (avere fama).
29 mesto: profondamente addolorato.
30 iva: indicativo imperfetto del verbo ire, andare.
31 . di rettor : di chi li guidasse, di un auriga.
32 . fa: sottintende Ettore.
33. fôran: sarebbero.
34. stati sarìan racchiusi: condizionale passato passivo del verbo rinchiudere, “sarebbero stati rinchiusi”. soggetto soggetto soggetto
L’intervento di Giove e di Giunone
Giove, con un fulmine, impaurisce Nestore, che cerca di convincere Diomede a fuggire con lui. L’eroe non vuole darla vinta a Ettore e per ben tre si volge contro il nemico, ma tutte e tre le volte Giove tuona dall’Ida e lo mette in fuga. Ettore incita i suoi, fiducioso di poter arrivare alle navi e incendiarle (vv. 177257).
Giunone, che parteggia per i Greci, si scontra con Nettuno, che rifiuta di aiutarli per non suscitare l’ira di Giove. Allora la dea suggerisce ad Agamennone di spronare i suoi guerrieri a resistere all’attacco dei Troiani. Così il comandante acheo parla con veemenza a tutto l’esercito e implora l’aiuto di Giove che, impietosito, manda un prodigio in loro favore (vv. 258337).
L’arciere Teucro
Il prodigio di Giove rincuora gli Achei e in particolare l’arciere Teucro, che si distingue per la sua precisione infallibile con la quale abbatte otto nemici in breve tempo (vv. 338408):
e di nuovo fe’ volar dall’arco
410 contr’ Ettore uno strale. Al colpo tutta ei l’anima diresse, e nondimeno fallì la freccia, ché l’accolse in petto di Prïamo un valente esimio figlio
Gorgizïon, cui d’Esima condotta
415 partorì la gentil Castianira, che una Diva pareva nella persona. Come carco talor del proprio frutto, e di troppa rugiada a primavera il papaver nell’orto il capo abbassa, 420 così la testa dell’elmo gravata su la spalla chinò quell’infelice35 . E Teucro dalla corda ecco sprigiona alla volta d’Ettorre altra saetta,
soggetto (ei=egli)
Come un papavero reclinato
così la testa di Gorgizione
35. Una similitudine famosa, imitata da Virgilio nel IX dell’Eneide e da Ariosto nel XVIII, 153 dell’Orlando Furioso, del quale è qui il v. 419.
più che mai del suo sangue sitibondo36 . 425 E pur di nuovo uscì lo strale in fallo, ché Apollo il devïò, ma colse al petto d’Ettòr37 l’audace bellicoso auriga Archepòlemo presso alla mammella. Cadde ei rovescio giù dal cocchio, addietro 430 si piegâro i cavalli, e quivi a lui il cor ghiacciossi, e l’anima si sciolse.
Allora Ettore prende di mira Teucro e lo ferisce gravemente scagliandogli contro un grosso masso; poi guida i suoi fino alle navi greche (vv. 432481).
Giunone e Minerva si armano
Giunone, impietosita, convince Minerva ad intervenire per bloccare Ettore. Vedendo le due dee armate, Giove invia Iri a fermarle. Giunone e Minerva, sconsolate, abbandonano il proposito di aiutare gli Achei e si rassegnano a lasciare al senno e alla giustizia di Giove il destino di tutti i guerrieri in campo. Insieme alle due dee anche Giove ritorna sull’Olimpo (vv. 482613).
Giove redarguisce le dive
Poiché Giunone e Minerva si dimostrano tristi per l’impossibilità di intervenire nella battaglia, Giove minaccia di colpirle con i suoi fulmini se tenteranno di contrastare la sua volontà (vv. 614632).
Il Dio sì disse, e in secreto fremean Minerva e Giuno sedendosi vicino, ed ai Troiani 635 meditando nel cor alte sciagure. Stette muta Minerva, e contra il padre l’acerbo che l’ardea sdegno represse; ma sciolto all’ira il fren Giuno rispose: «Tremendissimo Giove, e che dicesti?
36. sitibondo: assetato.
37. d’Ettor : sintagma preposizionale retto da l’audace bellicoso auriga (sintagma nominale con funzione di complemento oggetto) complemento oggetto
640 Ben anco a noi la tua possanza invitta
è manifesta; ma pietà ne prende dei dannati a perir miseri Achei38 . Noi certo l’armi lascerem, se questo
è il tuo strano39 voler; ma nondimeno
645 qualche ai Greci daremo util consiglio, onde non tutti il tuo furor li spegna».
E Giove replicò: «Più fiero ancora vedrai dimani40, se t’aggrada, o moglie, l’onnipotente di Saturno figlio
650 dell’esercito achèo struggere il fiore.
Perocché41 dalla pugna il forte Ettorre non pria desisterà, che42 finalmente l’ozïosa si svegli ira d’Achille
il dì43 che in gran periglio44 appo le navi
655 combatterassi per Patròclo ucciso.
Tal de’ fati è il voler, né de’ tuoi sdegni45 sollecito46 son io, no, s’anco ai muti della terra e del mar confini estremi andar ti piaccia47, nel rimoto esiglio
660 di Giapeto e Saturno48 , che nel cupo
Tartaro chiusi né il superno raggio del Sole, né di vento aura ricrea; no, se tant’oltre49 pure il tuo dispetto50 vagabonda ti porti, io non ti curo, 665 poiché d’ogni pudor passasti il segno». Tacque; né Giuno osò pure d’un detto fargli risposta.
complemento oggetto
soggetto
complemento oggetto soggetti di ricrea
38 . Ripete il concetto espresso da Minerva ai vv. 36 e sgg., ma la risposta di Giove è ben diversa, questa volta.
39. Lo ritiene strano perché non dà la possibilità agli dèi di difendere gli uomini da loro protetti, intervenendo direttamente.
40. dimani: intende il giorno successivo, ma anche un domani generico.
41 . Perocché : poiché.
42 . non… che. Costruisci così: non desisterà pria (prima) che.
43. il dì: e ciò avverrà nel giorno in cui, ecc.
44. periglio: pericolo.
45. sdegni: indignazioni, atteggiamenti di disprezzo.
46. sollecito: preoccupato. È sollecito colui che si dà cura premurosa per qualcuno o qualcosa.
47. andar ti piaccia: desideri. La prende in giro.
48 . Giapeto e Saturno: cioè i Titani che con Saturno furono precipitati nel Tartaro da Giove.
49. tant’oltre : così lontano.
50. dispetto: irritazione.
L’ombra notturna
In grembo al mar frattanto la splendida cadea lampa51 del Sole l’atra notte traendo su la terra.
670 Della luce l’occaso52 i Teucri afflisse53 , ma pregata più volte e sospirata sovraggiunse agli Achei l’ombra notturna. Fuor del campo navale Ettore allora i Troiani ritrasse in su la riva
675 del rapido Scamandro, ed in pianura da’ cadaveri sgombra a parlamento chiamolli; ed essi dismontâr54 dai cocchi, e affollati dintorno al gran guerriero cura di Giove, a sue parole attenti
680 porgean gli orecchi. Una grand’asta55 in pugno di ben undici cubiti sostiene: tutta di bronzo folgora la punta, e d’oro un cerchio le discorre intorno. Appoggiato su questa, così disse:
685 «Dardani, Teucri, Collegati, udite: io poc’anzi sperai ch’arse le navi e distrutti gli Argivi a Troia avremmo fatto ritorno. Ma sì bella speme ne rapîr56 le tenèbre invidiose57 , 690 che inopportune sul cruento58 lido salvâr59 le navi e i paurosi60 Achei. Obbediamo alle negre ombre nemiche61 ,
51 lampa: lampada, nel senso di splendore.
52 della luce l’occaso: il tramonto. Occaso è derivato dal latino occidere, “cadere, tramontare”.
53. Come spiegherà subito dopo Ettore.
54 dismontâr : indicativo passato remoto contratto di dismontare, “smontare, scendere”.
55. La stessa, lunghissima asta di Libro VI, vv. 406 e sgg.
56 rapîr : indicativo passato remoto contratto di rapire
57 invidiose : da invidiare, nel senso di “togliere, sottrarre”. Le tenebre negano agli uomini di poter vedere e dunque di poter combattere. Ma qui c’è anche un altro senso da sottolineare: la Tenebra è invidiosa della Luce, ovvero ne desidera la visibilità e lo splendore che rendono possibile la bella speme (speranza).
58 . cruento: bellicoso, violento, sanguinoso. Dal latino cruor, “sangue”.
59. salvâr : indicativo passato remoto contratto di salvare.
60. paurosi: spaventati.
61 . Obbediamo: la notte vince la battaglia, perché la notte è sacra e va rispettata per la ragione che ha: il riposo. Cfr. Libro VII, vv. 351 e 363.
apparecchiam le cene. Ognun dal temo62 sciolga i cavalli, e liberal sia loro63
695 di largo cibo. Di voi parte intanto alla città si affretti, e pingui64 agnelle e giovenchi n’adduca65, e di Lïeo66 e di Cerere67 il frutto almo e gradito68 . Sian di secche boscaglie anco raccolte
700 abbondanti cataste, e si cosparga, finché regna la notte e l’alba arriva, tutto di fuochi il campo e il ciel di luce, onde dell’ombre nel silenzio69 i Greci non prendano del mar su l’ampio dorso
705 taciturni la fuga70; o i legni almeno non salgano tranquilli, e la partenza senza terror non sia; ma nell’imbarco o di lancia piagato71 o di saetta vada più d’uno alle paterne case 710 a curar la ferita, e rechi ai figli l’orror de’ Teucri, e così loro insegni a non tentarli con funesta guerra. Voi cari a Giove diligenti araldi, per la città frattanto ite72, e bandite73 715 che i canuti vegliardi, e i giovinetti a cui le guance il primo pelo infiora, custodiscan le mura in su gli spaldi74
62 . temo: timone, cioè dal carro.
63. liberal sia loro: sia con loro generoso.
64. pingui: ben in carne, grasse.
soggetto
65. n’adduca: ne adduca, ne conduca, ne porti. Ne è avverbio e significa dalla città.
66. Lieo: Bacco, dio dell’ebbrezza etilica, delle libagioni, della vendemmia, e quindi del vino.
67. Cerere : Diana, dea della terra, intesa come fertilità del suolo, delle messi agricole, e quindi del grano. Dal suo nome latino, Ceres, deriva cereale
68 Di voi … gradito: dunque ognuno doveva addurre dalla propria casa il necessario per la cena comune e per i comuni sacrifici.
69. Il silenzio delle ombre è una sinestesia : viene infatti attribuita l’assenza di rumore al buio, che è assenza di luce.
70. onde … fuga. Costruisci così: onde nel silenzio dell’ombre i Greci taciturni non prendano la fuga su l’ampio dorso del mar.
71 piagato: ferito.
72 ite : imperativo di ire, “andare”.
73 bandite : annunciate. Bandire significa “annunciare con pubblico avviso”. Si definisce bandito chi è stato condannato all’esilio da un annuncio pubblico.
74. spaldi: le torri delle mura troiane che Apollo e Nettuno avevano fabbricate a Laomedonte (cfr. Libro VII, v. 560).
dagli Dei fabbricati. Entro le case allumino gran fuoco anco le donne, 720 e stazïon vi sia di sentinelle, onde, sendo75 noi lungi, ostile insidia nell’inerme città non s’introduca. Quanto or dico s’adémpia, e non fia vano, magnanimi compagni, il mio consiglio.
725 Dirò dimani ciò che far ne76 resta.
Spero ben io, se Giove e gli altri Eterni avrem propizi, di cacciarne77 lungi cotesti cani da funesto fato qua su le prore addutti78. Or per la notte
730 custodiamo noi stessi. Al primo raggio del nuovo giorno in tutto punto79 armati desteremo sul lido acre conflitto; vedrem se Dïomede, questo forte figliuolo di Tidèo, respingerammi
735 dalle navi alle mura, o s’io coll’asta saprò passargli il fianco, e via portarne le sanguinose spoglie. Egli dimani manifesto farà se sua prodezza tal sia che possa di mia lancia il duro
740 assalto sostener. Ma se fallace non è mia speme, ei giacerà tra’ primi spento con molti de’ compagni intorno, ei sì, dimani, all’apparir del Sole.
Così immortal foss’io80, né mai vecchiezza 745 vïolasse i miei giorni, ed onorato foss’io del par che Pallade ed Apollo81 , come fatale ai Greci è il dì futuro».
75 sendo: essendo.
76 ne : ci.
77 cacciarne lungi. Costruisci così: cacciar lungi -ne (cacciar lungi da qui).
78 addutti: condotti, portati.
79 in tutto punto: completamente.
80. Congiuntivo ottativo (che esprime un desiderio) in una similitudine: fossi io così immortale… come è fatale l’indomani.
81 . Umanissimo desiderio di non invecchiare, ma di rimanere a godere della vita al pari degli dèi, con la stessa baldanza giovanile, con un cuore mai afflitto dal disfacimento del corpo. complemento oggetto soggetto
Tutti i Teucri plaudono alle parole di Ettore e subito, gonfi di baldanza, si danno da fare per realizzare i suoi ordini (vv. 748761).
Fuochi e stelle
Siccome82 quando in ciel tersa è la Luna, e tremole e vezzose a lei dintorno sfavillano le stelle, allor che l’aria
765 è senza vento, ed allo sguardo tutte si scuoprono le torri e le foreste e le cime de’ monti; immenso e puro l’etra83 si spande, gli astri tutti il volto rivelano ridenti, e in cor ne gode
770 l’attonito pastor: tali al vederli, e altrettanti apparìan de’ Teucri i fuochi tra le navi e del Xanto le correnti sotto il muro di Troia. Erano mille che di gran fiamma interrompeano il campo,
775 e cinquanta guerrieri a ciascheduno sedeansi al lume delle vampe ardenti. Presso i carri frattanto orzo ed avena i cavalli pascevano84, aspettando che dal bel trono suo l’Alba sorgesse.
Come le stelle
così i fuochi dei Troiani
82 Siccome… Stupenda comparazione fra le stelle e i mille fuochi. Versi conosciuti da Saffo («Le stelle intorno alla bella luna») e ricordati da Leopardi nella Sera del dì di festa («Dolce e chiara è la notte e senza vento…»).
83. l’etra: l’etere, la parte più alta e più pura del cielo. Cfr. nota 9.
84 pascevano: pascolavano, mangiavano.
L’idea di Ettore di accendere fuochi nell’accampamento a ridosso della muraglia greca e in città sortisce il suo effetto: il più turbato è Agamennone, che preso da sconforto e paura comunica ai duci la sua intenzione di imbarcarsi tutti per tornare in patria. Si scontra però con l’orgoglio di Diomede e con la saggezza di Nestore, i quali lo incitano invece a rimanere e a tentare un’ambasciata ad Achille. Nestore addirittura riesce con l’autorevolezza dei suoi discorsi a far riconoscere all’Atrìde il suo errore e a fargli promettere ricchi doni ad Achille in cambio del suo ritorno in battaglia.
Già nel consiglio dei capi emerge quello che sarà il tema dominante del Libro IX: il potere persuasivo del bel discorso, che fa leva su argomentazioni scelte volta a volta in base al destinatario e al contenuto della richiesta, nonché sullo stile elegante e magniloquente di chi lo pronuncia. Infatti Nestore fa leva sulla sua esperienza di vecchio saggio per essere ascoltato dal re dei re; e i tre ambasciatori, Fenice, Ulisse e Aiace, che si recano da Achille, usano argomentazioni che esaltano caratteristiche loro proprie. L’astuto Ulisse tenta di ridestare in Achille il suo appetito della gloria che si acquista in battaglia e fa leva sul suo orgoglio, prova anche a commuoverlo ricordandogli i consigli del padre Peleo e a circuirlo elencandogli i ricchi doni promessi da Agamennone; il tutore di Achille, Fenice, punta a muovere l’affetto dell’eroe irato ricordandogli il legame che li ha uniti e ancora li unisce; infine Aiace, impetuoso come sempre, da buon soldato gli rimprovera di calpestare l’amicizia dei suoi compagni d’arme.
A nulla valgono le parole degli ambasciatori pur toccanti e ben fondate sui fatti presenti, passati e futuri, capaci di riportare in vita un mondo di personaggi, idee e valori che da tutti sono riconosciuti veri. Achille è inesorabile e oppone argomentazioni altrettanto articolate a sostegno del suo sdegno verso Agamennone e del suo rifiuto a tornare in battaglia. Solo, egli dice, un attacco diretto alla sua nave e alla sua tenda potrebbe convincerlo a combattere. Un uomo così ostinato e fermo nella sua convinzione potrà essere mosso e a cambiato solo da un evento sconvolgente e capace di toccare l’interesse della sua persona.
Tanto è ostinato Achille nella sua convinzione, quanto si mostra remissivo e incapace di tener fede all’impegno preso il troiano Dolone, protagonista del Libro X. Libro che si apre con il tormento notturno degli Achei, tanto spaventati da non riuscire a prendere sonno. Nella veglia turbata Agamennone va a chiamare uno a uno i duci, prima di tutti Nestore, per riunirli a consulta e per verificare la vigilanza delle sentinelle. Nell’assemblea si decide di mandare una spedizione segreta nel campo troiano al fine di saggiare le intenzioni del nemico. Si offrono Diomede e Ulisse, intrepidi e sprezzanti del pericolo. Contemporaneamente i Troiani decidono di fare lo stesso, anche se risulta più arduo per loro individuare un volontario. Solo in cambio di un impossibile dono (i cavalli di Achille) si fa avanti Dolone, nel cui nome si cela l’inganno (questo il significato del nome greco dolos).
A metà strada tra i due accampamenti i due Achei silenziosi si impattano nel rumoroso troiano, il quale senza indugio, terrorizzato di perdere la vita, rivela ogni segreto ai nemici. Addirittura costui fornisce dettagliate informazioni sulla disposizione delle truppe e sul loro stato. È così che i due valorosi Achei vengono a sapere della posizione di un contingente alleato appena giunto, i Traci, i quali dormono accampati in disparte senza vigilanza. Per nulla impietositi delle preghiere di Dolone, Ulisse e Diomede non gli risparmiano la vita, per evitare che il nemico sia informato della loro presenza e della loro missione, che si conclude con l’assalto ai Traci e l’uccisione del loro re, Reso.
Dolone è presentato alla stregua di Tersite, deforme nell’animo e nell’aspetto, con un’aggravante però: l’Acheo si è mostrato vile e petulante, Dolone è un vero e proprio traditore, che vende i compagni sulla promessa di essere lasciato in vita. Tersite se la cava con qualche bastonata, ma per un traditore la pena è la morte: chi mai più si potrebbe fidare di lui?
Il Libro X ha tutto il sapore di un racconto d’avventura, pieno di suspense e di colpi di scena, narrato con un ritmo incalzante che fa seguire le vicende col fiato sospeso.
Libro IX
Tempo: La notte del venticinquesimo giorno. Luoghi: L’accampamento greco.
I Teucri vegliano fiduciosi, intanto nell’accampamento acheo si agita la tempesta.
L’interna tempesta
Intanto del gelido Terror negra compagna la Fuga, dagli Dei ne’ petti infusa, l’achivo campo possedea. Percosso 5 da profonda tristezza era di tutti i più forti lo spirto; e in quella guisa che il pescoso Oceàno si rabbuffa1 , quando improvviso dalla tracia tana2 di Ponente sorgiunge e d’Aquilone
10 l’impetuoso soffio; alto3 s’estolle4 l’onda, e si sparge5 di molt’alga il lido: tale è l’interna degli Achei tempesta.
Agamennone vuole fuggire
soggetto
Come il mare in tempesta
così gli Achei
Il più addolorato di tutti è Agamennone, il quale riunisce il parlamento dei duci. In lacrime si dice deluso da Giove, che gli aveva promesso di radere al suolo le mura d’Ilio e ora gli impone di ripartire privo di onore. Dunque incita l’assemblea a imbarcarsi e fuggire verso la patria, perché la conquista di Troia è un’impresa vana (vv. 1337).
1 . si rabbuffa: si scompiglia, si agita in superficie, si alza con presagio di tempesta.
2 . dalla tracia tana: per chi si trova sulle coste dell’Asia Minore, i venti di ponente e di settentrione sembrano provenire dalla Tracia.
3. alto: in alto.
4. estolle : indicativo presente verbo estollere, “alzare, innalzare”.
5 sparge : cosparge.
Ammutîr6 tutti a queste voci, e in cupo7 lungo silenzio si restâr dolenti
40 i figli degli Achei. Lo ruppe alfine il bellicoso Dïomede, e disse: «Atrìde, al torto8 tuo parlar col vero libero9 dir, che in libero consesso lice ad ognun, risponderò. Tu m’odi10
45 senza disdegno11. Osasti, e fosti il primo, alla presenza degli Achei pur dianzi12 vituperarmi13, e imbelle dirmi14, e privo d’ogni coraggio, e l’udîr15 tutti. Or io dico a te di rimando, che se Giove
50 l’un ti diè de’ suoi doni, l’onor sommo16 dello scettro su noi, non ti concesse l’altro più grande che lo scettro, il core17 . Misero! e speri sì codardi e fiacchi18 , come pur cianci, della Grecia i figli?
55 Se il cor ti sprona alla partenza, parti; sono aperte le vie; le numerose navi, che d’Argo ti seguîr, son pronte:
complemento oggetto
complemento oggetto
6 Ammutîr : indicativo passato remoto contratto di ammutolire
7. La cupezza è la nota che ha fin qui dominato: cupo significa privo di luce. Una mancanza di slancio, di speranza, sottolineata dalla presenza della negra Fuga e del gelido Terrore.
8 . torto: storto, non diritto, e dunque contrario al giusto e al vero: il vero libero dir si oppone al torto parlar.
9. La libertà viene chiamata in causa ben due volte nell’esordio di questo discorso di Diomede, mettendo in luce il valore dell’assemblea, quale consesso di uomini liberi che tentano con i loro discorsi di avvicinarsi sempre più al vero.
10. odi: imperativo del verbo udire.
11 . disdegno: disprezzo. È evidente il riferimento alla contesa con Achille.
12 . pur dianzi: in Libro IV, v. 455 Diomede sopportò un ingiusto rimprovero da parte di Agamennone. Ora glielo rinfaccia.
13 vituperarmi: vituperare significa “insultare”, cioè offendere gravemente con epiteti disonorevoli e infamanti.
14 dirmi: è retto da osasti e significa chiamarmi Imbelle e privo d’ogni coraggio sono predicativi dell’oggetto, perché concordano con mi di dirmi.
15. udîr : indicativo passato remoto contratto di udire.
16. l’onor sommo: apposizione di l’un.
17. il core : il coraggio. Apposizione di l’altro.
18 . sì codardi e fiacchi: predicativi dell’oggetto i figli.
ma gli altri Achivi rimarran qui fermi19 all’eccidio di Troia; e se pur essi
60 fuggiran sulle prore al patrio lido, noi resteremo a guerreggiar; noi due Stènelo20 e Dïomede, insin che21 giunga il dì supremo d’Ilïon22; ché noi qua ne23 venimmo col favor d’un Dio24».
65 Tacque; e tutti mandâr di plauso un grido, del Tidìde ammirando i generosi sensi25 .
E di Pilo il venerabil veglio surto in piedi dicea: «Nelle battaglie forte ti mostri, o Dïomede, e vinci
70 di senno insieme26 i coetanei eroi. Né biasmar né impugnar le tue parole potrà qui nullo27 degli Achei: ma pure, benché retti e prudenti e di noi degni, non ferîr giusto i tuoi discorsi il segno28 .
75 Giovinetto se’ tu, sì che il minore esser potresti de’ miei figli. Io dunque che di te più d’assai vecchio mi vanto, dironne il resto, né il mio dir veruno29 biasmerà30, non lo stesso Agamennóne.
80 È senza patria, senza leggi e senza
19 fermi: decisi.
20 Stènelo: l’auriga di Diomede.
21 insin che : fino a quando.
22 il dì supremo d’Ilïon: la caduta di Troia.
23 ne : ci.
Al timore di Agamennone Diomede oppone il coraggio degli Achei e poi il suo e quello di Stenelo
Nestore si dichiara più vecchio, dunque più autorevole
24 col favor d’un Dio: questo favore, richiamato da Nestore nel Libro II, vv. 462 e sgg., si mostra nella bellicosità di v. 41, il coraggio di Diomede che rompe il gelido silenzio dei capi e trasforma la cupezza che ha privato del coraggio Agamennone.
25 generosi sensi: sentimenti e parole magnanimi, di chi è largo nel dare. Generoso viene da genus (stirpe), da cui assume il significato “di buona stirpe, nobile”.
26 di senno insieme : anche per saggezza.
27. nullo: nessuno.
28 . giusto … il segno: perché il discorso di Diomede non è arrivato al punto dolente, cioè la contesa fra Agamennone e Achille, di cui Nestore parlerà fra poco.
29. veruno: nessuno.
30. biasmerà: biasimerà.
lari31 chi la civile orrenda guerra32 desidera. Ma giovi or della fosca diva dell’ombre33 rispettar l’impero.
Ricordando la necessità del riposo durante la notte, Nestore provvede a mandar via le persone che non dovranno assistere alla seconda parte del suo discorso, nella quale esporrà quello che veramente gli preme di affrontare: la gravità della situazione dovuta alla contesa fra Agamennone ed Achille. Consiglia dunque ad Agamennone di radunare solo i capi nella sua tenda e di ristorarli. Ciò avvenuto, Nestore riprende il suo discorso (vv. 84119):
120 «Agamennóne glorïoso Atrìde, da te principio prenderan le mie parole, e in te si finiranno, in te di molte genti imperador, cui Giove, per la salute de’ suggetti34, il carco 125 delle leggi commise e dello scettro. Principalmente quindi a te conviensi35 dir tua sentenza, ed ascoltar l’altrui, e la porre ad effetto, ove da pura coscïenza proceda, e il ben ne frutti; 130 ché il buon consiglio, da qualunque36 ei37 vegna, tuo lo farai coll’eseguirlo. Io dunque ciò che acconcio38 a me par, dirò palese,
Va rispettata la ragione della notte soggetto
31 lari: i Lari sono divinità latine, protettrici della casa e della famiglia. È dunque un’espressione di Monti e non di Omero.
32 la civile … guerra: Nestore allude alla contesa fra Agamennone e Achille, e la condanna indirettamente con una frase che giudica orrenda la guerra civile, cioè il contrasto fra persone dello stesso popolo. Ma avverte contemporaneamente anche Diomede di non avviare un’altra contesa.
33 della fosca … ombre : della notte, che è sacra (cfr. Libro VII, vv. 350, 363; Libro VIII, v. 692).
34 per … suggetti: per il benessere di quelli sotto l’imperio. Il comando, è chiarito immediatamente, è inteso come il servizio, il compito gravoso di organizzare la vita sociale tramite leggi e di farle rispettare tramite lo scettro.
35 a te conviensi: si conviene a te. Convenire significa “essere appropriato”.
36 qualunque : chiunque.
37 ei: esso.
38 acconcio: idoneo, conveniente. Acconciare è composto di a-, preposizione che indica una prossimità, una tendenza, e conciare, dal latino parlato compitare, a sua volta derivato da comptus, “adorno, abbellito”.
né verun39 penserà miglior pensiero di quel ch’io penso e mi pensai dal punto
135 che dalla tenda dell’irato Achille via menasti40, o gran re, la giovinetta Brisëide, sprezzato41 il nostro avviso. Ben io, lo sai, con molti e caldi preghi42 ti sconfortai43 dall’opra: ma tu spinto
140 dall’altero tuo cor onta44 facesti al fortissimo eroe, dagl’Immortali stessi onorato, e il premio45 gli rapisti de’ suoi sudori, e ancor lo ti ritieni. Or tempo egli46 è di consultar le guise
145 di blandirlo e piegarlo47, o con eletti doni o col dolce favellar che tocca48».
Agamennone riconosce il suo errore
Occorre convincere Achille a combattere
Agamennone risponde a Nestore che ha fatto bene a ricordargli i suoi torti e riconosce di aver errato. Per questo è pronto a placare l’ira di Achille con molti doni: non solo oggetti preziosissimi e dodici cavalli, ma anche sette bellissime schiave e la stessa Briseide. Se poi Troia fosse sconfitta, egli avrà diritto per primo a prendersi il bottino e potrà scegliere anche venti donne, le più belle dopo Elena. E al ritorno in patria Agamennone gli darà la possibilità di scegliere una delle sue tre figlie come sposa, accompagnata dalla dote di sette città popolosissime e ricchissime di risorse (vv. 147204).
39 verun: alcuno, nessuno. Si usa quando è preceduto da negazione. Dal latino vere unum, “veramente uno”.
40. menasti: portasti.
41 . sprezzato: disprezzato.
42 . preghi: preghiere, inviti.
43. sconfortai: dissuasi.
44. onta: offesa.
45. il premio: Briseide, di v. 137.
46. egli: è un pleonasmo, una parola non necessaria al senso della frase.
47. blandirlo e piegarlo: calmarlo e fargli cambiare idea.
48 che tocca: che commuove. Toccare significa “andare al cuore”.
Nestore è soddisfatto della proposta e propone di inviare subito tre ambasciatori alla tenda di Achille: Fenice, Ulisse e Aiace, accompagnati dagli araldi Odio ed Euribate.
Compiuto il rito propiziatorio, questi si avviano lungo la riva del mare pregando Nettuno, perché pieghi la grande anima di Achille. Lungo la strada Nestore dispensa consigli a ciascuno, soprattutto ad Ulisse, e si raccomanda che tentino ogni via per ammansire quel fiero.
Giunti alle tende dei Mirmidoni ritrovano l’eroe che si ricrea cantando le glorïose gesta degli eroi con la cetra. Accanto a lui vi è solo Patroclo. Ed ecco che, preceduti da Ulisse, gli ambasciatori si presentano al cospetto dell’eroe (vv. 205248).
Alzasi Achille del vederli stupito, ed abbandona
250 colla cetra lo seggio; alzasi ei pure di Menèzio il buon figlio49, e lor porgendo il Pelìde la man, «Salvete50,» ei dice, «voi mi giungete assai graditi: al certo vi trae grand’uopo51: benché irato, io v’amo
255 sovra tutti gli Achei». Così dicendo, dentro la tenda interïor li guida, in alti scanni52 fa sederli sopra porporini53 tappeti, ed a Patròclo che accanto gli venìa, «Recami,» disse,
260 «o mio diletto, il mio maggior cratere, e mesci del più puro, ed apparecchia il suo nappo a ciascun: sotto il mio tetto oggi entrâr generose anime care54».
49. di Menèzio … figlio: Patroclo.
50. Salvete : salute a voi. È il plurale di salve, che è parola latina.
51 . uopo: bisogno, necessità.
52 . scanni: sedili, seggi, adatti a luoghi particolarmente importanti.
53. porporini: purpurei, vermigli, di color rosso intenso.
soggetto
54. Recami … anime care : il cratere è il gran vaso in cui si mescolavano vino ed acqua, il nappo è il calice col quale si attingeva direttamente la bevanda. In questo passo vanno osservati diversi segni di onore: poca acqua nel vino; un calice ciascuno, quando solitamente con uno si serviva più di una persona; Patroclo e Achille preparano personalmente il convito. Inoltre, nel passo di seguito riassunto, le carni servite sono molto pregiate. Gli ospiti, in particolare Fenice, Aiace ed Ulisse, sono molto cari ad Achille, il quale, sebbene irato, non dimentica le leggi dell’ospitalità.
Così Patroclo prepara il banchetto a cui tutti i presenti prendono parte (vv. 264290).
Terminato il banchetto, Ulisse comincia il suo discorso con una captatio benevolentiae, cioè tentando di mettere Achille in una disposizione d’animo favorevole ad accogliere le sue argomentazioni e le sue richieste. Lo ringrazia della bella e generosa ospitalità, gli ricorda le sue origini divine e la sua fortezza in battaglia, ma subito aggiunge che la piacevolezza è guastata dall’orrenda sciagura che pende sul capo di tutti: i Troiani sono accampati a ridosso delle mura, Giove mostra di essere dalla loro parte, Ettore è pronto a guidarli all’assalto delle navi. Fa notare quindi ad Achille che tutti periranno se lui non tornerà in battaglia (vv. 291325).
«Ma tu deh! sorgi, e benché tardi, accorri a preservar dall’inimico assalto i desolati Achei. Se gli55 abbandoni, alto cordoglio56 un dì n’avrai, né al danno
330 troverai più riparo. A tempo adunque l’antivieni57 prudente, ed allontana dall’argolica gente il giorno estremo. Ricòrdati, mio caro, i saggi avvisi del tuo padre Pelèo, quando di Ftia
335 invïotti all’Atrìde. “Amato figlio, (il buon vecchio dicea) Minerva e Giuno, se fia lor grado, ti daran fortezza; ma tu nel petto il cor superbo affrena, ché cor più bello è il mansueto; e tienti
340 (onde più sempre e giovani e canuti t’onorino gli Achei), tienti remoto58 dalla feconda d’ogni mal Contesa”. Questi del veglio i bei ricordi fûro: tu gli59 obblïasti. Ten sovvenga adesso,
55. gli: li.
56. cordoglio: rimorso. Letteralmente “dolore al cuore”.
57. l’antivieni: previenilo.
58 . remoto: lontano.
59 gli: li.
Se non aiuti i tuoi un giorno proverai un terribile rimorso
Ricorda che tuo padre ti consigliò di non essere superbo
345 e la trista una volta ira deponi. Ti sarà, se lo fai, largo di cari doni l’Atrìde.
E glieli elenca tutti, così come il re glieli aveva riferiti (vv. 348386).
Ché se lui sempre e i suoi presenti abborri60 , abbi almeno pietà degli altri Achei là nelle tende costernati61 e chiusi,
390 che t’avranno qual nume62, ed alle stelle la tua gloria alzeran. Vien dunque, e spegni questo Ettòr che furente a te si para63 , e vanta che nessun di quanti Achivi qua navigâro, di valor l’eguaglia».
La risposta di Achille
395 «Divino senno, Laerzìade64 Ulisse,» rispose Achille, «senza velo, e quali il cor li detta e proveralli il fatto, m’è d’uopo palesar65 dell’alma i sensi, onde cessiate di garrirmi66 intorno.
400 Odio al par delle porte atre di Pluto colui ch’altro ha sul labbro, altro nel core67: ma ben io dirò netto68 il mio pensiero.
Né il grande Atrìde Agamennón, né alcuno me degli Achivi piegherà.
60 presenti abborri: disprezzi i doni.
61 costernati: avviliti, profondamente afflitti.
62 t’avranno qual nume : ti considereranno un dio.
63 a te si para: si paragona con te, ti sfida.
64 Laerzìade : figlio di Laerte.
Agamennone ti elargirà come ricompensa ricchi doni Se i doni non ti interessano, almeno abbi pietà degli Achei
Nessun Acheo mi piegherà
65 palesar : mostrare apertamente. Deriva dal latino palam, “quella che si pianta, si affonda”, che ha la stessa radice di pangere, “conficcare”. Fa parte della stessa famiglia il vocabolo paese, che derivando anch’esso da pangere, richiama il cippo di confine conficcato nel terreno.
66. garrirmi: ciarlare in modo molesto, ma anche gridare con voce aspra. Ha origine onomatopeica
67 Odio … core : frase divenuta proverbiale. È un’ingiuria rivolta certamente ad Agamennone ma anche ad Ulisse, ai quali Achille oppone la sua schiettezza, come si può constatare nel discorso che ha appena cominciato.
68 netto: pulito, chiaro.
Qual prezzo,
405 qual ricompensa delle assidue pugne69? Di chi poltrisce e di chi suda in guerra qui70 s’uguaglia la sorte: il vile usurpa l’onor del prode, e una medesma tomba l’ infingardo71 riceve e l’operoso.
410 Ed io che tanto travagliai, che a tanti rischi di Marte la mia vita esposi, che guadagni, per dio, che guiderdone72 su gli altri ottenni ? In vero il meschinello augel son io, che d’esca i suoi provvede
415 piccioli implumi, e sé medesmo obblia.
Nulla può ricompensarmi delle fatiche di guerra
Achille elenca poi molte delle sue imprese di guerra, per ribadire quanto sia ingiusto che, nonostante le sue vittorie e i suoi bottini, Agamennone gli abbia sottratto l’ancella Briseide. Con altri guerrieri dunque l’Atrìde dovrà affrontare i Troiani! (vv. 416445)
445
E quale ha d’uopo ei del mio braccio? Senza me già fece di gran cose. Innalzato ha un alto muro, lungo il muro ha scavato un largo e cupo73 fosso, e nel fosso un gran palizzo74 infisse.
450 Mirabil opra! che dal fiero Ettorre nol fa sicuro ancor, da quell’Ettorre che, mentre io parvi75 fra gli Achei, scostarsi76 non ardìa dalle mura, o non giugnea77 che sino al faggio delle porte Scee78 .
455 Sola una volta ei là m’attese, e a stento poté sottrarsi all’asta mia. Ma nullo
69 pugne : battaglie, combattimenti.
70 qui: con questo fatto, in questo modo.
Agamennone non ha bisogno di me
71 infingardo: che fugge ogni fatica per pigrizia. Composto di infingere (inventare, fingere) e ardo (suffisso dispregiativo che indica qualità negativa).
72 guiderdone: ricompensa.
73 cupo: profondo.
74 palizzo: la palizzata di Libro VII, v. 545.
75. parvi: indicativo passato remoto di parere, “apparire”.
76. scostarsi: allontanarsi.
77. giugnea: giungeva.
78 . al faggio … Scee : da dove rientrare in città in caso di pericolo. È un episodio non riportato nell’Iliade
più conflitto vogl’io con quel guerriero, nullo: e offerti dimani al sommo Giove e agli altri numi i sacrifici, e tratte
460 tutte nel mare le mie carche79 navi, sì, dimani vedrai, se te ne cale80 , coll’aurora spiegar sull’Ellesponto i miei legni le vele81, ed esultanti tutte di lieti remator le sponde82 . […]
475 Torna dunque all’ingrato, e gli83 riporta tutto che84 dico, e a tutti in faccia, ond’anco negli altri Achei si svegli una giust’ira e un avvisato85 diffidar dell’arti di quel franco86 impudente87, che pur tale
480 non ardirebbe di mirarmi in fronte.
Digli che a parte88 non verrò giammai né di fatto con lui né di consiglio; che mi deluse; che mi fece oltraggio; che gli basti l’aver tanto potuto
485 sola una volta, e che mal fonda in vane ciance la speme d’un secondo inganno. Digli che senza più turbarmi corra alla ruina a cui l’incalza Giove che di senno il89 privò: digli che abborro90
490 suoi doni, e spregio come vil mancipio91 il donator. […]
E parmi in vero che di mia vita non pareggi il prezzo né tutta l’opulenza in Ilio accolta
79 carche : cariche.
80 te ne cale : ti sta a cuore, ti interessa.
complemento oggetto
Non mi fido più di Agamennone
Disprezzo Agamennone e i suoi doni
La mia vita non ha prezzo
81 dimani … le vele. Costruisci così: vedrai … i miei legni … spiegare le vele
82 le sponde : oggetto di vedrai, sono quelle delle navi.
83 gli: a lui.
84 tutto che : tutto quello che.
85 avvisato: consapevole.
86 franco: aperto, sincero, sicuro di sé.
87 impudente: che non sente pudore. Derivato da in- (prefisso negativo) e pudere (vergognarsi).
88 . a parte : venire a parte con qualcuno significa “dividere con lui la stessa quantità, la stessa quota”, come succede in un’impresa condivisa.
89. il: lo.
90. abborro: provo orrore per.
91 . mancipio: servitore, schiavo vile, di nessun valore.
pria della giunta92 degli Achei, né quanto
520 tesor si chiude nel marmoreo templo del saettante Apollo in sul petroso balzo di Pito93. Racquistar si ponno94 e tripodi e cavalli e armenti e greggi; ma l’alma95, che passò del labbro il varco, 525 chi la racquista? chi del freddo petto la riconduce a ravvivar la fiamma? Meco96 io porto (la Dea madre97 mel dice) doppio fato di morte. Se qui resto a pugnar sotto Troia, al patrio lido
530 m’è tolto il ritornar, ma d’immortale gloria l’acquisto mi farò. Se riedo98 al dolce suol natìo, perdo la bella gloria, ma il fiore de’ miei dì non fia tronco99 da morte innanzi tempo, ed io
535 lieta godrommi e dïuturna100 vita. Questa m’eleggo101, e gli altri tutti esorto a rimbarcarsi e abbandonar di Troia l’impossibil conquista. Il Dio de’ tuoni su lei stese la mano, e rincorârsi102
540 i suoi guerrieri. Itene103 adunque, e come di legati è dover, le mie risposte ai prenci achivi riferendo, dite che a preservar le navi e il campo argivo lor fa mestiero ruminar novello
92 . giunta: arrivo. Da giungere, “arrivare”.
Preferisco salvare la vita che ottenere la gloria
93. marmoreo … Pito: è il veneratissimo tempio di Apollo a Delfi, dove risiedeva la Pitia, il più autorevole oracolo della Grecia antica, tempio quindi ricchissimo per le numerose offerte.
94 ponno: possono.
95 l’alma: l’anima, la vita, lo spirito vitale.
96 Meco: con me.
97 la Dea madre : Tetide.
98 riedo: ritorno.
99 non fia tronco: non sarà troncato.
100 dïuturna: di lunga durata.
101 Questa m’eleggo: scelgo questa. Non è vero (cfr. Libro I, vv. 464, 547; Libro XVIII, vv. 77, 126), e la scelta già fatta, fra una vita breve ma gloriosa e una ingloriosa ma lunga, non poteva essere revocata. Ma qui Achille sembra dimenticarsene, forse a causa del dispetto e dell’ira. Tuttavia, nell’Odissea dirà ad Ulisse, che lo incontrerà come spirito nell’oltretomba, di essersi pentito della scelta fatta: avrebbe preferito l’umile condizione di contadino e vivere a lungo con poco, che avere l’impero del Mondo ma essere morto (Odissea, XI, 613).
102 . rincorârsi: si rincuorarono.
103. Itene : andatevene.
545 miglior partito104, ché il già preso105 è vano. Inesorata è l’ira mia. Fenice qui rimanga e riposi: al nuovo giorno seguirammi, se il106 vuole, alla diletta patria. Di forza nol107 trarrò giammai».
550 Disse: e l’alto parlare e l’aspro niego tutti li fece sbalorditi e muti.
La supplica di Fenice
Ruppe alfin quel silenzio il cavaliero veglio108 Fenice, e sul destin tremando delle argoliche navi, ed ai sospiri
555 mescendo i pianti, così prese a dire: «Se in tuo pensiero è fissa, inclito109 Achille, la tua partenza, se nell’ira immoto di niuna guisa allontanar non vuoi gli ostili incendii dalla classe110 achea,
560 come, ahi come poss’io, diletto figlio, qui restar senza te? Teco111 mandommi il tuo canuto112 genitor Pelèo quel giorno che all’Atrìde Agamennóne invïotti da Ftia, fanciullo ancora
565 dell’arte ignaro113 dell’acerba114 guerra, e dell’arte del dir che fama acquista115 . Quindi ei teco spedimmi, onde di questi
La mia ira non può essere placata
Sei stato mio alunno, non posso lasciarti
104. lor fa … partito: gli è necessario pensare bene ad un’altra soluzione. Il vocabolo ruminar fa ben capire l’ironia di Achille.
105 il già preso: il partito già deciso.
106 il: lo.
107 nol: non lo.
108 Cavaliero veglio: anziano cavaliere.
109 inclito: illustre, famoso. In- (rafforzativo) e cluere (avere fama).
110 classe : flotta. Dal latino classis, “flotta, navi”.
111 Teco: con te.
112 canuto: bianco, riferito ai capelli, cioè vecchio.
113 ignaro: ignorante, che non sa. In- (privativo) e gnarus (che sa), della famiglia di gnoscere, “conoscere”.
114. acerba: dolorosa.
115. fama acquista: fa acquistare la fama, che non è solo la notorietà a tanti, ma è l’importanza per tanti.
studi erudirti116, e farmi a te117 nell’opre della lingua maestro e della mano.
570 A niun conto118 vorrei dunque, mio caro, dispiccarmi119 da te, no, s’anco un Dio, rasa120 la mia vecchiezza, mi prometta rinverdir le mie membra, e ritornarmi giovinetto qual era allor che il suolo
575 d’Ellade abbandonai».
complemento di vantaggio
Fenice prosegue raccontando la sua triste storia, perché fu ingiustamente cacciato di casa da suo padre il quale pregò le orrende Eumenidi che non gli fosse mai concesso di avere figli. Errò a lungo per la Grecia fino a giungere a Ftia, dove fu accolto da Peleo come un figlio. Questi gli diede da governare i Dolopi e da far da tutore al figlio Achille, che allora era un bambinello. Achille fu la sua consolazione, perché divenne suo figlio per amore (vv. 575635).
«Doma dunque, cor mio, doma l’altero121 tuo spirto: disconviene122 una spietata anima a te che rassomigli i123 numi: ché i numi stessi, sì di noi più grandi
640 d’onor, di forza, di virtù, son miti; e con vittime e voti e libamenti e odorosi olocausti124 il supplicante mortal li placa nell’error125 caduto.
Perocché126 del gran Giove alme figliuole
645 son le Preghiere che dal pianto fatte
Ricordati le tue origini divine: i Numi ascoltano le preghiere soggetto
116. onde di questi studi erudirti: per istruirti in questi studi, arti, discipline. Erudire : ex- (sottrattivo) e rudis (rozzo).
117 a te : per te. Ricalca il latino, che usa il complemento di termine per indicare il nome nell’interesse del quale è predicato il contenuto del verbo. Costruisci così: farmi maestro a te nell’opre della lingua e della mano
118 A niun conto: per nessuna ragione.
119 dispiccarmi: separarmi.
120 rasa: tolta.
121 altero: che ha un alto concetto di sé.
122 disconviene : non è conveniente.
123 i: ai.
124 e con vittime … olocausti: animali uccisi, promesse e giuramenti, spargimento del vino, carni arrostite. Olocausto è greco e significa cosa completamente (olo-) bruciata ( kaustos), ed è diventato il vocabolo che indica il sacrificio, l’offerta al dio.
125. nell’error : sintagma preposizionale retto da supplicante mortal caduto.
126. Perocché: poiché.
rugose e losche127 con incerto passo van dietro ad Ate128 ad emendarla129 intese.
Fenice racconta, ora, un esempio per continuare ad esortare Achille ricordandogli che non solo gli dèi, ma anche gli antichi eroi si sono piegati alle suppliche. È la storia di Meleagro d’Etolia che, sdegnato con la madre, aveva rifiutato di combattere per difendere la sua patria. Egli fu supplicato a lungo ma non si volle piegare. Si commosse solo quando vide la città invasa e i cittadini uccisi, e riuscì a cacciare il nemico. Ma il suo intervento giunse troppo tardi ed egli rimase senza gloria e onori (vv. 661764).
765 «Non imitar cotesto esempio, o figlio, né vi ti spinga demone maligno: ché il soccorso indugiar130, finché le navi s’incendano, maggior onta131 sarìa. Vieni, imita gli Dei132, gli offerti doni 770 non disdegnar. Se li dispregi133, e poscia volontario combatti, egual non fia134 , benché ritorni vincitor, l’onore».
L’ostinazione di Achille
Qui tacque il veglio, e brevemente Achille in questi detti replicò: «Fenice, 775 caro alunno di Giove, ed a me caro padre, di questo onor non ho bisogno. L’onor ch’io cerco mi verrà da Giove, e qui pure davanti a queste antenne135 l’avrò fin che vitale aura mi spiri,
Non cerco l’onore nella battaglia, ma nella vendetta
127. losche : che hanno lo sguardo bieco per risentimento, ira e corruccio.
128 . Ate : la dea del male, causa di ogni sventura perché porta allo smarrimento e alla perdizione. È seguita dalle Litai o Preghiere che cercano di rimediare ai mali che essa produce (cfr. Libro XIX, v. 92).
129 emendarla: correggerla.
130 il soccorso indugiar : rimandare l’aiuto.
131 onta: vergogna, disonore.
132 . imita gli Dei: che si placano e cedono alle preghiere (cfr. v. 639).
133. dispregi: disprezzi.
134. fia: sarà.
135. antenne : navi. Le antenne sono gli alberi della nave, e quindi si usa una parte per indicare il tutto. È una metafora di tipo particolare che si chiama sineddoche
780 fin che il piè mi sorregga. Altra or vo’ dirti cosa che in mente riporrai. Per farti grato all’Atrìde non venir con pianti né con lagni a turbarmi il cor più mai. Non amar contra il giusto il mio nemico, 785 se l’amor mio t’è caro, e meco offendi chi m’offende, ché questo ti sta meglio. Del mio regno partecipa, e diviso sia teco ogni onor mio. Riporteranno questi le mie risposte, e tu qui dormi 790 sovra morbido letto. Al nuovo sole consulterem136 se starci, o andar si debba».
Disse; e a Patròclo fe’ degli occhi un cenno d’allestire al buon veglio un colmo letto, onde gli altri a lasciar tosto la tenda
795 volgessero il pensiero. In questo mezzo vòlto ad Ulisse il gran Telamonìde, «Partiam,» diss’egli, «ché per questa via137 parmi che vano il ragionar rïesca. Benché ingrata, n’è forza138 il recar pronti 800 la risposta agli Achei, che impazïenti, e forse ancora in assemblea seduti l’attendono. Feroce alma superba chiude Achille nel petto: indegnamente l’amistà139 de’ compagni egli calpesta, 805 né ricorda l’onor che gli rendemmo su gli altri tutti. Dispietato! Il prezzo qualcuno accetta dell’ucciso figlio, o del fratello; e l’uccisor, pagata
Se davvero mi ami, non amare il mio nemico
È davvero impossibile convincere Achille
Egli calpesta perfino l’amicizia dei compagni d’arme
136 consulterem: ci consulteremo per decidere.
137 per questa via: la via dell’esortazione persuasiva. Aiace si rivolge ad Ulisse in modo da farsi sentire da Achille, al quale, durante il discorso, si rivolge direttamente. I suoi argomenti mostrano il disprezzo per una irremovibilità incomprensibile: anche colui al quale è stato ucciso il figlio o il fratello si riconcilia con l’uccisore; gli amici vanno ascoltati. Argomenti ai quali Achille non risponde, ma neppure si piega, chiuso nella sua ira come in una gabbia, che lo difende ma che non lo lascia uscire.
138 . n’è forza: è necessario.
139 amistà: amicizia.
del suo fallo140 la pena, in una stessa
810 città dimora col placato offeso. Ma inesorata ed indomata è l’ira che a te pose nel petto un dio nemico; per chi? per una donzelletta! e sette noi te n’offriamo a maraviglia belle141 , 815 e molt’altre più cose. Or via, rivesti cor benigno una volta. Abbi rispetto ai santi dritti dell’ospizio142 almeno, ch’ospiti tuoi noi siamo, e dal consesso degli Achei ne venimmo, a te fra tutti i più cari ed amici».
ribadisce la sua ira
820 «Illustre figlio di Telamone,» gli rispose Achille, «ottimo io sento il tuo parlar; ma l’ira mi rigonfia qualor143 penso a colui che in mezzo degli Achei mi vilipese144 825 come un vil vagabondo. Andate, e netta145 la risposta ridite. Alcun pensiero146 non tenterammi di pugnar, se prima il Prïamìde bellicoso Ettorre fino al quartier de’ Mirmidoni il foco 830 e la strage non porti. Ov’egli147 ardisca assalir questa tenda e questa nave, saprò la furia rintuzzarne, io spero». Sì disse; e quegli148, alzato il nappo e fatta la libagion149, partîrsi; e taciturno 835 li precedeva di Laerte il figlio.
140 fallo: errore, sbaglio.
Almeno sii ospitale con noi
Combatterò solo se attaccheranno la mia nave e la mia tenda
141 . Nella sua rude semplicità guerriera, Aiace mostra di essere sordo alle ragioni di Achille.
142 ospizio: ospitalità.
143 qualor : quando.
144 vilipese : indicativo passato remoto di vilipendere, “trattare con palese disprezzo”. Dal latini vilis (di poco valore) e pendere (pesare).
145. netta: chiara, pulita, senza interpretazioni.
146. Alcun pensiero: alcuna ragione.
147. Ov’egli: nel caso in cui egli.
148 . quegli: quelli.
149 libagion: lo spargimento del vino in onore degli dèi, sull’altare o per terra.
Patroclo fa preparare il giaciglio per Fenice e poi tutti vanno a coricarsi. Intanto, gli ambasciatori vanno nella tenda di Agamennone dove vengono accolti da tazze ricolme e moltissime domande. Alla domanda del re, Ulisse risponde che Achille è sempre più acceso d’ira, è sempre sprezzante nei confronti di Agamennone e ora anche dei suoi doni, e che consiglia ai duci di trovare il modo di salvare il campo e le navi. Minaccia anche di partire, insieme a Fenice che è rimasto con lui ed esorta gli altri a fare lo stesso, poiché Troia non cadrà dato che è manifestamente difesa da Giove.
Nel profondo silenzio che segue lo stupore della risposta, si alza la voce di Diomede che biasima l’offerta dei doni, perché avrebbero ancor più insuperbito Achille. Ma ormai non val più la pena di occuparsi di lui, che verrà ridestato alla battaglia solo da qualche dio. È tempo di ristorarsi un’ultima volta con cibo e vino e di andare a riposare (vv. 836896).
«Tosto che schiuda del mattin le porte il roseo dito della bella Aurora, metti in punto150, o gran re, fanti e cavalli 900 nanzi151 alle navi, e a ben pugnar gl’istiga152 , e combatti tu stesso alla lor testa. Disse, e tutti applaudîr lodando a cielo153 l’alto parlar di Dïomede i regi; e fatti i libamenti154, alla sua tenda 905 s’incamminò ciascuno. Ivi le stanche membra accolser del sonno il dolce dono».
150. Metti in punto: prepara.
151 . Nanzi: innanzi, davanti.
152 . gl’istiga: imperativo, “istigali, inducili”.
153. tutti … a cielo. L’applauso testimonia lo scoppio di letizia al sentire una vigorosa proposta consolante.
154 i libamenti: le libagioni.
Tempo: La notte del venticinquesimo giorno. Luoghi: Il campo greco e quello troiano.
Tutti per l’alta notte i duci achei dormìan sul lido in sopor1 molle avvinti; ma non l’Atrìde Agamennón, cui molti toglieano il dolce sonno aspri pensieri.
5 Quale il marito di Giunon2 lampeggia quando prepara una gran piova o grandine, o folta neve ad inalbare3 i campi, o fracasso di guerra voratrice4; spessi così dal sen d’Agamennóne
10 rompevano5 i sospiri, e il cor tremava. Volge lo sguardo alle troiane tende, e stupisce mirando i molti fuochi ch’ardon dinanzi ad Ilio, e non ascolta che di tibie la voce e di sampogne6
15 e festivo fragor. Ma quando il campo acheo contempla ed il tacente7 lido, svellesi8 il crine, al ciel si lagna9, ed alto geme il cor generoso. Alfin gli parve questo il miglior consiglio, ir del Nelìde
20 Nestore in traccia a consultarne il senno, onde qualcuna divisar10 con esso
1 sopore : sonno.
2 il marito di Giunon: Giove.
Come i lampi di Giove così i sospiri di Agamennone
complemento oggetto
3 inalbare : imbiancare. In-, prefisso che indica conclusione di un processo (illativo), e albus, “bianco”.
4 voratrice : che divora, che distrugge.
5 rompevano: erompevano, uscivano con impeto.
6 tibie, sampogne : strumenti a fiato.
7. tacente : silenzioso. A confronto col campo troiano in festa, quello greco è tristemente taciturno.
8 . svellesi: si svelle, si strappa.
9. al ciel si lagna: se la prende cogli dèi.
10 divisar : trovare.
via di salute alla fortuna11 achea. Alzasi in questa mente, intorno al petto la tunica s’avvolge, ed imprigiona
25 ne’ bei calzari il piede. Indi una fulva pelle s’indossa di leon, che larga gli discende al calcagno, e l’asta impugna.
Né di minor sgomento a Menelao palpita il petto; e fura12 agli occhi il sonno
30 l’egro13 pensier de’ periglianti14 Achivi, che a sua cagione avean per tanto mare portato ad Ilio temeraria guerra. Sul largo dosso gittasi veloce una di pardo maculata15 pelle,
35 ponsi l’elmo alla fronte, e via brandito16 il giavellotto, a risvegliar s’affretta l’onorato, qual nume, e dagli Argivi tutti obbedito imperador germano17; ed alla poppa della nave il18 trova
40 che le bell’armi in fretta si vestìa. Grato19 ei n’ebbe l’arrivo: e Menelao a lui primiero, «Perché t’armi,» disse, «venerando fratello? Alcun vuoi forse mandar de’ nostri esplorator notturno
45 al campo de’ Troiani? Assai tem’io che alcuno imprenda20 d’arrischiarsi solo per lo buio a spïar l’oste21 nemica, ché molta vuolsi audacia a tanta impresa». Rispose Agamennón: «Fratello, è d’uopo
11 . fortuna: qui è la cattiva sorte.
12 . fura: ruba. Dal latino fur, “ladro”.
13. egro: triste, tormentato, doloroso.
14. periglianti: in periglio, pericolo.
15. maculata: a macchie, screziata.
16. brandito: impugnato saldamente.
17. germano: nato dagli stessi genitori, fratello. È Agamennone.
18 . il: lo.
19. Grato: gradito.
20. Assai … imprenda. Intendi: temo fortemente che nessuno voglia arrischiarsi da solo.
21 . oste : esercito.
50 di prudenza ad entrambi e di consiglio che gli Argivi ne scampi e queste navi22 , or che di Giove si voltò la mente, e d’Ettore ha preferti23 i sacrifici: ch’io né vidi giammai né d’altri intesi24 , 55 che un solo in un sol dì tanti potesse forti fatti operar quanti il valore di questo Ettorre a nostro danno25; e a lui26 non fu madre una Dea, né padre un Dio: e temo io ben27 che lungamente afflitti 60 di tanto strazio piangeran gli Achivi».
Agamennone sveglia Nestore
Agamennone dice al fratello di andare a chiamare Aiace e Idomeneo, le cui tende sono all’estremità opposta del campo, per la riunione notturna, mentre lui sarebbe andato a chiamare Nestore per andare insieme dalle guardie del campo a raccomandare loro estrema vigilanza. Nestore si alza all’apparire di Agamennone e gli chiede chi fosse e cosa volesse a quell’ora della notte (vv. 61107).
a lui
il regnatore Atrìde: «Oh degli Achei inclita luce, Nestore Nelìde, 110 Agamennón son io, cui Giove opprime d’infinito travaglio, e fia28 che duri finché avrà spirto il petto e moto il piede. Vagabondo ne vo29 poiché dal ciglio30 fuggemi il sonno, e il rio31 pensier mi grava
22 è d’uopo … queste navi: è necessario che tutti e due usiamo prudenza e assennatezza per salvare i soldati e le navi.
23 preferti: preferiti.
24 né d’altri intesi: né ho sentito dire da altri.
25 che … danno. Intendi: che un uomo solo potesse, in un solo giorno, compiere imprese così dannose come quelle che compì contro di noi Ettore.
26. a lui: a Ettore. Il pensiero corre ad Achille assente, che invece è figlio di dea.
27. ben: fortemente.
28 . fia: accadrà.
29. ne vo: me ne vado.
30. ciglio: occhio. È una sineddoche (indica la parte per intendere il tutto).
31 rio: malvagio.
115 di questa guerra e della clade32 achea. De’ Danai il rischio mi spaventa: inferma stupidisce33 la mente, il cor mi fugge da’ suoi ripari34, e tremebondo35 è il piede. Tu se cosa ne mediti che giovi
120 (quando36 il sonno s’invola anco a’ tuoi lumi), sorgi, e alle guardie discendiam. Veggiamo se da veglia stancate37 e da fatica siensi38 date al dormir, posta in obblìo39 la vigilanza. Del nemico il campo
125 non è lontano, né sappiam s’ei voglia pur40 di notte tentar qualche conflitto». Disse; e il gerenio41 cavalier rispose: «Agamennóne glorïoso Atrìde, non tutti adempirà Giove pietoso
130 i disegni d’Ettore e le speranze. Ben più vero cred’io che molti affanni sudar d’ambascia42 gli faran la fronte se desterassi Achille, e la tenace ira funesta scuoterà dal petto43 .
135 Or io volonteroso ecco ti seguo: andianne44, risvegliam dal sonno i duci Dïomede ed Ulisse, ed il veloce Aiace d’Oilèo, e di Filèo il forte figlio45; e si spedisca intanto
complemento oggetto
32 clade : strage. È un latinismo, cioè una parola latina italianizzata.
33 stupidisce : diventa stupida. Stupido deriva dal latino stupidum, “sbalordito, impallidito”, a sua volta derivato da stupe¯re, “stupire”.
34. il cor … ripari: il cuore sembra uscire dal petto. Ripari suggerisce che l’emozione della paura ha preso il sopravvento, e il cuore non è più protetto, calmato, ordinato dalla mente.
35 tremebondo: tutto tremante e insicuro.
36 quando: poiché.
37 stancate : sottinteso le guardie
38 siensi: si siano.
39 posta in obblìo: dimenticata completamente. L’oblio è la totale dimenticanza. Deriva dal latino oblitare, composto di litare, “cancellare”.
40 pur : anche.
41 gerenio: Nestore visse a lungo nella città di Gerenia nella Messenia.
42 . ambascia: travaglio.
43. se desterassi … dal petto: la speranza di un ripensamento di Achille non è perduta, e viene ripreso il motivo fondamentale dell’Iliade.
44. andianne : andiamocene.
45. di Filèo il forte figlio: Megete (Libro II, v. 839).
140 alcun di tutta fretta a richiamarne pur l’altro Aiace e Idomenèo che lungi agli estremi del campo hanno le navi».
Nestore allora si veste e insieme vanno a chiamare i duci. Prima svegliano Ulisse e lo invitano a seguirli. Poi si recano da Diomede, che sta dormendo pesantemente vestito di tutte le armi fra i suoi guerrieri fuori dalla tenda. Nestore per svegliare l’eroe deve urtarlo col piede e gridare. Egli si sveglia di soprassalto e senza indugio si mette a loro disposizione. Nestore dunque gli chiede di andare a svegliare Aiace d’Oileo e Megete.
Infine tutti si ritrovano al luogo dell’appuntamento, dove sono presenti guardie sveglie e vigilanti (vv. 143234).
235 Come i fidi molossi46 al pecorile47 fan travagliosa sentinella48 udendo calar dal monte una feroce belva e stormir le boscaglie: un gran tumulto s’alza sovr’essa49 di latrati e gridi, 240 e si rompe ogni sonno: così questi rotto il dolce sopor su le palpebre, notte vegliano amara, ognor del piano alla parte conversi50, ove s’udisse nemico calpestìo51. Gioinne52 il veglio,
245 e confortolli e disse: «Vigilate così sempre, o miei figli, e non si lasci niun dal sonno allacciar, onde il Troiano di noi non rida».
Come i cani da guardia
così le sentinelle soggetto
46. i fidi molossi: i cani da pastore.
47. pecorile : ovile.
48 . travagliosa sentinella: attiva vigilanza.
49. sovr’essa: verso la belva.
50. conversi: rivolti con attenzione. È riferito a questi, cioè alle guardie.
51 . calpestìo: il rumore dei passi.
52 Gioinne : gioì di questo.
Tutti allora rientrano, a loro si aggiungono Merione e Trasimede e insieme si appartano per consultarsi. Parla per primo Nestore, che propone di introdursi nel campo nemico per ascoltare furtivamente qualche discorso e capire le intenzioni dei Troiani: se volessero continuare ad assediare le navi o tornare in città. Chi si fosse offerto per una tale impresa, avrebbe acquistato fama, ricevuto in dono una pecorella da ciascun capitano delle navi e sarebbe stato accolto caramente in ogni banchetto.
Il bellicoso Diomede si offre per l’impresa, sicuro com’è del suo ardimento. Chiede tuttavia un compagno per essere ancora più sicuro, e Agamennone lo accontenta dicendogli di scegliere fra i presenti, senza timore di offenderne alcuno. Tutti si offrono ma la preferenza di Diomede cade su Ulisse, per il suo coraggio, la sua saggezza e perché protetto da Pallade. Ulisse lo ringrazia, accetta volentieri e dice di partire perché della notte rimaneva solo il tempo di un terzo turno di guardia. Vestitisi in modo appropriato per difendersi e per non fare rumore, escono. Minerva fa apparire alla loro destra un airone, segno beneaugurante. Ulisse allora la prega di concedergli un’impresa tanto importante da addolorare i Teucri e un glorioso ritorno. Diomede le chiede di essergli propizia come lo fu col padre Tideo. Al ritorno le avrebbe offerto una giovenca di un anno non ancora domata dal giogo. Minerva li ascolta. Essi proseguono, muovendosi come leoni e si inoltrano nella notte fra i nemici in un’oscura laguna di sangue piena di cadaveri (vv. 248386).
Nel campo troiano neanche Ettore riesce a dormire e convoca tutti i migliori guerrieri. Promette due bellissimi cavalli del nemico e fama imperitura a chi si fosse offerto come spia per avvicinarsi al campo Acheo e scoprire se gli Achei vogliono ancora combattere o si preparano alla fuga. Tutti ammutoliscono (vv. 387402).
Era un certo Dolone53 infra’ Troiani, uom che di bronzo e d’oro era possente54 , 405 figlio d’Eumede banditor famoso,
53. Dolone : dal greco dolos, “inganno”. 54 possente : ricchissimo.
deforme il volto, ma veloce il piede, e fra cinque sirocchie55 unico e solo. Si trasse innanzi il tristo, e così disse: «Ettore, questo cor l’incarco assume 410 d’avvicinarsi a quelle navi, e tutto scoprir. Lo scettro mi solleva56 e giura che l’èneo57 cocchio e i corridori istessi del gran Pelìde58 mi darai: né vano esploratore io ti sarò: né vôta
415 fia la tua speme59. Nell’acheo steccato60 penetrerò, mi spingerò fin dentro l’agamennònia nave, ove a consulta forse i duci si stan di pugna o fuga». Sì disse, e l’altro sollevò lo scettro, 420 e giurò: «Testimon Giove mi sia, Giove il tonante di Giunon marito, che da que’ bei corsieri61 altri tirato non verrà de’ Troiani, e che tu solo glorïoso n’andrai62». Fu questo il giuro, 425 ma sperso all’aura; e da quel giuro intanto incitato Dolone in su le spalle tosto l’arco gittossi, e la persona della pelle vestì di bigio lupo: poi chiuse il brutto capo entro un elmetto 430 che d’ispida faìna era munito63 .
55 sirocchie : sorelle. Dal latino Soroculam, diminutivo di soror, “sorella”. Dunque Dolone era l’unico erede ed anche delle ricchezze ottenute coi matrimoni delle sorelle.
56 mi solleva: solleva per me, in segno di solenne conferma.
57 èneo: bronzeo. Latinismo, da aeneus. Il cocchio era di legno, ma ricoperto di bronzo.
58 . I famosissimi cavalli parlanti Xanto, Balio. Cfr. Libro XVI, vv. 211 e sgg.; Libro XIX, vv. 400 e sgg.
59. né … speme : e la tua speranza non sarà delusa.
60. steccato: palizzata.
61 . corsieri: cavalli da corsa e da battaglia.
62 . È una promessa eccessiva, fatta evidentemente con la leggerezza dovuta all’esaltazione del momento. Pare impossibile promettere nientemeno che i cavalli di Achille, e infatti il giuramento andrà sperso nell’aura. Ma questa è anche una delle solite anticipazioni di Omero, perché il giuramento andrà a vuoto a causa dell’esito della missione, che viene detto poco oltre.
63. d’ispida faìna era munito: ricoperto all’esterno con pelo di faina, che insieme alla pelle di lupo serviva a mimetizzare. Questi particolari e il brutto capo completano il ritratto di questo personaggio obliquo, il cui aspetto riflette l’animo vile e ignobile come già si era notato a proposito di Tersite nel Libro II.
Impugnò un dardo acuto, ed alle navi, per non più ritornarne apportatore di novelle ad Ettorre, incamminossi.
Lasciata de’ cavalli e de’ pedoni
435 la compagnia, Dolon spedito e snello battea64 la strada. Se n’accorse Ulisse65 alla pesta de’ piedi, e a Dïomede sommesso66 favellò: «Sento qualcuno venir dal campo, né so dir se spia
440 di nostre navi, o spogliator di morti67 . Lasciam che via trapassi68, e gli saremo ratti alle spalle, e il piglierem. Se avvegna ch’ei di corso69 ne vinca, tu coll’asta indefesso l’incalza, e verso il lido
445 serralo70 sì, che alla città non fugga». Uscîr di via, ciò detto, e s’appiattâro tra’ morti corpi; ed egli incauto e celere oltrepassò. Ma lontanato71 appena, […] gli fûr sopra: ed egli, udito il calpestìo, ristette72 , qualcun sperando che de’ suoi venisse per comando d’Ettorre a richiamarlo.
455 Ma giunti d’asta al tiro e ancor più presso, li conobbe73 nemici. Allor diêr lesti l’uno alla fuga il piè, gli altri alla caccia. Quai due d’aguzzo dente esperti bracchi74
Come due cani da caccia
64 battea: cioè faceva rumore.
65 Se n’accorse Ulisse : il più scaltro dei due.
66 sommesso: a bassa voce. Dal latino submittere, “abbassare, sottomettere”.
67 né so dir … morti: sono le due domande che farà poi a Dolone: spia o ladro?
68 trapassi: passi oltre. Astuzia di Ulisse, lasciarlo passare per prenderlo di spalle e costringerlo a fuggire verso il campo acheo.
69. di corso: nella corsa.
70. serralo: stringilo, costringilo.
71 . lontanato: allontanato.
72 . ristette : si fermò.
73. conobbe : riconobbe.
74. bracchi: cani da caccia.
o lepre o caprïol pel bosco incalzano75
460 senza dar posa, ed ei precorre76 e bela; tali Ulisse e il Tidìde all’infelice si stringono inseguendo, e precidendo77 sempre ogni scampo. E già nel suo fuggire verso le navi sul momento egli era
465 di mischiarsi alle guardie78, allor che lena crebbe Minerva e forza a Dïomede, onde niun degli Achei vanto si desse di ferirlo primiero, egli secondo.
Dolone prigioniero
Alza l’asta l’eroe, «Ferma,» gridando,
470 «o ch’io di lancia ti raggiungo e uccido». Vibra il telo in ciò dir, ma vibra in fallo a bello studio79: gli strisciò la punta l’omero destro e conficcossi in terra.
Ristette il fuggitivo, e di paura
475 smorto tremando, della bocca uscìa stridor di denti che batteano insieme.
L’aggiungono80 anelanti81 i due guerrieri, l’afferrano alle mani, ed ei piangendo grida: «Salvate questa vita, ed io 480 riscatterolla. Ho gran ricchezza in casa d’oro, di rame e lavorato ferro.
Di questi il padre mio, se nelle navi vivo mi sappia degli Achei, faravvi per la mia libertà dono infinito».
485 «Via, fa’ cor82,» rispondea lo scaltro Ulisse, «né veruno83 di morte abbi sospetto,
così Ulisse e Diomede soggetto soggetto
complemento oggetto
75 incalzano. Deriva dal latino incalciare, da in- (stare alle) e calces (calcagna): “inseguire senza dare tregua e riposo”.
76. precorre : corre avanti, fugge.
77. precidendo: tagliandogli.
78 . Le guardie achee.
79. a bello studio: a bella posta, apposta.
80. L’aggiungono: lo raggiungono.
81 . anelanti: col fiatone.
82 . fa’ cor : fatti coraggio.
83 veruno: alcuno.
ma dinne84, e sii verace: ed a qual fine dal campo te ne vai verso le navi tutto solingo85 pel notturno buio
490 mentre ogni altro mortal nel sonno ha posa?
A spogliar forse estinti corpi? o forse Ettor ti manda ad ispïar de’ Greci i navili, i pensieri, i portamenti? O tuo genio86 ti mena e tuo diletto?»
495 E a lui tremante di terror Dolone: «Misero! mi travolse Ettore il senno, e in gran disastro mi cacciò, giurando che in don m’avrebbe del famoso Achille dato il cocchio e i destrieri a questo patto,
500 ch’io di notte traessi87 all’inimico ad esplorar se, come pria88, guardate sien le navi, o se voi dal nostro ferro domi89 teniate del fuggir consiglio, schivi90 di veglie, e di fatica oppressi».
505 Sorrise Ulisse, e replicò: «Gran dono certo ambiva il tuo cor, del grande Achille i destrier. Ma domarli e cavalcarli uom mortale non può, tranne il Pelìde cui fu madre una Dea. Ma questo ancora
510 contami91, e non mentire: ove lasciasti, qua venendoti, Ettorre? ove si stanno i suoi guerrieri arnesi92? ove i cavalli? quai son de’ Teucri le vigilie e i sonni? quai le consulte93? bloccheran le navi?
84 dinne : dicci.
85 solingo: solitario.
86 tuo genio: tua voglia o capriccio.
87 traessi: mi recassi.
88 . Cioè prima dell’assalto e dell’assedio.
89 domi: domati.
90. schivi: infastiditi e stanchi.
91 . contami: raccontami, dimmi.
92 . guerrieri arnesi: le armi.
93. Le vigilie per evitare i guerrieri, i sonni, per depredarli o ucciderli, le consulte per conoscere le loro decisioni. soggetto
515
o in Ilio torneran, vinto il nemico?»
Gli rispose Dolon: «Nulla del vero ti tacerò. Co’ suoi più saggi Ettorre in parte da rumor scevra94 e sicura siede a consiglio al monumento d’Ilo95 .
520 Ma le guardie, o signor, di che mi chiedi, nulla96 del campo alla custodia è fissa. Ché quanti in Ilio han focolar, costretti son cotesti97 alla veglia, e a far la scolta s’esortano a vicenda: ma nel sonno
525 tutti giaccion sommersi i collegati98 , che da diverse regïon raccolti, né figli avendo né consorte al fianco, lasciano ai Teucri delle guardie il peso». «Ma dormon essi co’ Troian confusi
530 (ripiglia Ulisse), o segregati? Parla, ch’io vo’ saperlo». E a lui d’Eumede il figlio99: «Ciò pure ti sporrò100 schietto e sincero. Quei della Caria, ed i Peonii arcieri, i Lelegi, i Caucóni ed i Pelasghi
535 tutto il piano occupâr che al mare inchina101; ma il pian di Timbra102 i Licii e i Misii alteri e i frigii cavalieri, e con gli equestri lor drappelli i Meonii103. Ma dimande tante perché? Se penetrar vi giova
540 nel nostro campo, ecco il quartier de’ Traci104
94. scevra: separata, appartata.
soggetto
95. monumento d’Ilo: un rialzo fra la città e la spiaggia, che si credeva fosse il rudere della tomba di Ilo, il fondatore di Ilio, nonno di Priamo. Colle più vicino alla città, se veniva usato per tenere consiglio e per difesa. Presso questo colle vi era il famoso caprifico ricordato nei Libri VI, v. 564 e XXII, v. 190.
96. nulla: nessuna. Tutti fanno la guardia, non c’è un corpo di guardia specializzato.
97. cotesti: appropriato uso del pronome dimostrativo, in quanto si parla di qualcuno vicino all’oggetto del discorso, vicino ad Ilio.
98 collegati: alleati.
99. Il figlio d’Eumede è Dolone.
100 sporrò: esporrò. Dolone vende la vita dei propri compagni, sperando di salvare la sua.
101 il piano … inchina: un piano verso il mare, dunque a nord ovest di Troia.
102 Timbra: regione del fiume Timbrio, piccolo affluente dello Scamandro, a sud est di Troia.
103 Tutti popoli ricordati nel catalogo troiano del Libro II.
104. Addirittura, per aver salva la vita, Dolone fornisce una informazione non richiesta, che questi Traci sono appena giunti e dormono appartati e lontani: è un invito ad ucciderli e a rubare i cavalli del loro capo Reso e i preziosi armamenti!
alleati novelli, che divisi stansi ed estremi. Han duce Reso, il figlio d’Eïonèo, e a lui vid’io destrieri di gran corpo ammirandi e di bellezza,
545 una neve in candor, nel corso un vento. Monta un cocchio costui tutto commesso105 d’oro e d’argento, e smisurata e d’oro (maraviglia a vedersi!) è l’armatura, di mortale non già ma di celeste
550 petto sol degna. Che più dir? Traetemi prigioniero alle navi, o in saldi nodi qui lasciatemi avvinto infin che pure vi ritorniate, e siavi106 chiaro a prova se fu verace il labbro o menzognero».
«Di scampo non aver lusinga»
555 Lo guatò bieco Dïomede, e disse: «Da che ti spinse in poter nostro il fato, Dolon, di scampo non aver lusinga107 , benché tu n’abbia rivelato il vero.
Se per riscatto o per pietà disciolto
560 ti mandiam, tu per certo ancor di nuovo alle navi verresti esploratore, o inimico palese in campo aperto.
Ma se qui perdi per mia man la vita, più d’Argo ai figli non sarai nocente108».
565 Disse; e il meschino già la man stendea supplice al mento; ma calò di forza quegli il brando sul collo, e ne recise ambe le corde109. La parlante110 testa
105 commesso: lavorato ad intarsio.
106 siavi: vi sia.
soggetto
107 lusinga: speranza illusoria. Dal francone, antico francese, lusinga, “bugia”.
108 nocente : è il participio presente di nuocere, che come tutti i participi ha funzione di aggettivo oltre che di verbo.
109. ambe le corde : sono i due muscoli ai lati del collo. Indicando parti del collo per indicare tutto il collo, qui c’è sineddoche.
110. parlante : mentre ancora parlava. Così finisce, con poche parole e un taglio netto, Dolone. È la pena del contrappasso, che è la corrispondenza o contrasto fra la pena e la colpa: al traditore loquace è tagliata la testa, che, mentre rotola a terra, ancora parla. Cfr. Libro V, vv. 382 e sgg.
rotolò nella polve. Allor dal capo
570 gli tolsero l’elmetto, e l’arco e l’asta e la lupina111 pelle. In man solleva le tolte spoglie Ulisse, e a te, Minerva predatrice112, sacrandole, sì prega: «Godi113 di queste, o Dea, ché te primiera
575 de’ Celesti in Olimpo invocheremo; ma di nuovo propizia ai padiglioni or tu de’ traci cavalier114 ne guida». Disse, e le spoglie su la cima impose d’un tamarisco, e canne e ramoscelli
580 sterpando115 intorno, e di lor fatto un fascio, segnal lo mette che per l’ombra incerta nel loro ritornar lo sguardo avvisi.
Nel campo dei Traci
Quindi inoltrâr pestando sangue ed armi, e fur tosto116 de’ Traci allo squadrone.
585 Dormìano infranti di fatica, e stesi in tre file, coll’armi al suol giacenti a canto a ciascheduno. Ognun de’ duci tiensi117 dappresso due destrier da giogo: dorme Reso nel mezzo; e a lui vicino
590 stansi118 i cavalli colle briglie avvinti all’estremo del cocchio. Avvisto119 il primo120 si fu di Reso Ulisse, e a Dïomede l’additò: «Dïomede, ecco il guerriero,
111 lupina: di lupo.
112 Minerva predatrice : questo attributo è dato alla dea in relazione particolare all’azione in corso, la stessa, lo ricordiamo, pregata prima di iniziare la missione. Allo stesso modo venivano assegnati gli attributi a tutti gli dèi, relativamente a qualche evento.
113. La prossimità del Dio è sempre presente all’attenzione del Greco: sempre, in ogni occasione.
114 de’ traci cavalier : sintagma preposizionale retto da di padiglioni.
115 sterpando: raccogliendo gli sterpi. Il fascio servirà per formare e fermare il trofeo, che servirà anche da segnale per ritrovare la via del ritorno.
116 tosto: subito. Tostus è il participio passato latino di torrere, “seccare”, nel senso di seccare rapidamente, da cui tostare, toast.
117. tiensi: si tiene.
118 . stansi: si stanno, stanno.
119. Avvisto: accorto.
120 il primo: per primo. soggetto
ecco i destrier che dianzi121 n’avvisava122
595 quel Dolon che uccidemmo. Or tu fuor metti l’usata gagliardìa, che qui passarla neghittoso123 ed armato onta sarebbe.
Sciogli tu quei cavalli, o a morte mena costor, ché de’ cavalli è mia la cura».
600 Disse, e spirò124 Minerva a Dïomede robustezza divina. A dritta, a manca fora125, taglia ed uccide, e degli uccisi il gemito la muta aria ferìa126 .
Corre sangue il127 terren: come lïone
605 sopravvenendo al non guardato128 gregge scagliasi, e capre e agnelle empio diserta129; tal nel mezzo de’ Traci è Dïomede. Già dodici n’avea trafitti; e quanti colla spada ne miete il valoroso,
610 tanti n’afferra130 dopo lui d’un piede lo scaltro Ulisse, e fuor di via li tira, nettando il passo131 a’ bei destrieri, ond’elli alla strage non usi in cor non tremino, le morte salme calpestando. Intanto
615 piomba su Reso il fier Tidìde, e priva lui tredicesmo della dolce vita. Sospirante lo colse ed affannoso perché per opra di Minerva apparso appunto in quella gli pendea sul capo, 620 tremenda visïon, d’Enide il figlio132 . Scioglie Ulisse i destrieri, e colle briglie accoppiati, di mezzo a quella torma
121 dianzi: poc’anzi, poco fa.
122 che … avvisava: di cui prima ci parlava.
123 passarla neghittoso: allontanarla (la gagliardìa) inoperoso.
124 spirò: ispirò.
125 fora: trapassa.
126 ferìa: feriva.
127 il: sul.
128 non guardato: non custodito.
129. empio diserta: distrugge senza pietà, crudelmente.
soggetto
Come un leone
così Diomede
130. tanti n’afferra: Ulisse afferra per i piedi gli stessi guerrieri che Diomede ha ucciso.
131 . nettando il passo: pulendo il passaggio, aprendo un sentiero fra i corpi.
132 . d’Enide il figlio: Diomede. Reso muore sognando lo stesso Diomede che lo sta per uccidere: tremenda visione suscitata da Minerva.
via li mena, e coll’arco li percuote (ché tor dal cocchio non pensò la sferza133), 625 e d’un fischio fa cenno a Dïomede.
Ma questi in mente discorrea134 più arditi fatti135, e dubbiava se dar mano al cocchio d’armi ingombro si debba, e pel timone trarlo; o se imposto alle gagliarde spalle
630 via sel porti di peso; o se prosegua d’altri più Traci a consumar le vite.
In questo dubbio gli si fece appresso Minerva, e disse: «Al partir pensa, o figlio dell’invitto Tidèo, riedi136 alle navi,
635 se tornarvi non vuoi cacciato in fuga, e che svegli i Troiani un Dio nemico». Udì l’eroe la Diva, e ratto ascese137 su l’uno de’ corsier, su l’altro Ulisse che via coll’arco li tempesta, e quelli 640 alle navi volavano veloci.
Il signor del sonante arco d’argento138 stavasi139 Apollo alla vedetta, e vista seguir Minerva del Tidìde i passi, adirato140 alla Dea, mischiossi in mezzo
645 alle turbe troiane, e Ipocoonte svegliò, de’ Traci consigliero, e prode consobrino141 di Reso. Ed ei balzando dal sonno, e de’ cavalli abbandonato il quartiero mirando142, e palpitanti
133 ché … la sferza: non pensò a togliere la frusta dal cocchio.
134 discorrea: ragionava.
135 fatti: era in dubbio se tirare a mano il prezioso cocchio per il timone, se caricarlo in spalla o se uccidere altri Traci.
136 riedi: ritorna.
137 ratto ascese : salì rapidamente. Dal latino rapidum, poi contratto in raptum.
138 . Tutto il verso è apposizione di Apollo
139. stavasi: si stava, stava.
140. adirato: molto irato, arrabbiato.
141 . consobrino: cugino da parte di madre. Dal latino cum e sobrinus, “cugino” (da soror, “sorella”).
142 e de’ cavalli … mirando: e guardando il luogo (quartiero) abbandonato dai cavalli.
650 nella morte i compagni143, e lordo tutto di sangue il loco, urlò di doglia144, e forte chiamò per nome il suo diletto amico145; e un trambusto levossi e un alto grido degli accorrenti Troi, che l’arduo fatto146
655 dei due fuggenti contemplâr stupiti. Giungean questi frattanto ove d’Ettorre avean l’incauto esploratore ucciso147 . Qui ferma Ulisse de’ corsieri il volo: balza il Tidìde a terra, e nelle mani
660 dell’itaco guerrier148 le sanguinose149 spoglie deposte, rapido rimonta e flagella i corsier che verso il mare divorano la via volonterosi.
Nel campo acheo, il primo ad udire il calpestio dei cavalli in corsa è Nestore, che spera siano i due mandati in spedizione. E i due infatti appaiono all’improvviso, balzano a terra e sono accolti da un allegro toccar di mani. Nestore è il primo ad interrogarli, soprattutto degli stupendi cavalli di cui non capisce la provenienza, ed essi raccontano dove li hanno presi e tutto quello che è successo. Poi tornano ognuno al suo padiglione: Diomede unisce i bei cavalli traci con gli altri; Ulisse appende il suo trofeo alla poppa della sua nave. Insieme poi vanno a bagnarsi nel mare. Poi, tornati in tenda, si sciacquano con l’acqua dolce, si cospargono il corpo di olio profumato, e infine si siedono a mensa, dove offrono le libagioni di vino a Minerva (vv. 664717).
143. e palpitanti … compagni: frase che dipende sempre da mirando, come la seguente.
144. doglia: dolore.
145. il suo diletto amico: Reso.
146. l’arduo fatto: il fatto difficile da capire.
147. ove … ucciso: al tamarisco, dove avevano lasciato il trofeo come segnale.
148 . itaco guerrier : Ulisse, nativo di Itaca.
149 sanguinose : lorde di sangue.
Con il Libro XI si apre una serie di ben otto libri che narrano le vicende di una sola giornata, la ventiseiesima. È in essa che si combatte la grandiosa terza battaglia del poema, i cui tragici eventi (Libri XVI e XVII) porteranno Achille a cambiare idea, ad armarsi (Libri XVIII e XIX) e a ritornare in combattimento (Libro XX).
Si è voluto radunare cinque di questi libri (dall’XI al XV) sotto il titolo “La sofferta avanzata troiana” perché la riscossa dei Teucri guidati da Ettore raggiunge il suo obiettivo nel Libro XV, nel quale si assiste all’incendio delle navi achee. Non si tratta però di un’avanzata senza difficoltà, nonostante Giove abbia stabilito di far prevalere i Troiani per mostrare ai Greci il vuoto creato dall’assenza di Achille.
Nel Libro XI vengono feriti Agamennone, Ulisse e Diomede, ma resiste il valoroso Aiace che si trova ad affrontare da solo l’impeto dei nemici, finché non sarà messo in difficoltà dall’intervento di Ettore e costretto a retrocedere. Mentre infuria la battaglia presso il muro, Ettore organizza il suo esercito per rendere più efficace l’attacco alla porta. Ciò gli consentirà di avere la meglio su Aiace Telamonio e Teucro e di aprirsi infine un varco nel muro (Libro XII). Questa irruzione provoca lo sdegno di Nettuno che incoraggia nascostamente gli Achei a resistere. Rincuorati, i Greci riescono, nel Libro XIII, a fermare l’avanzata nemica a prezzo di una furiosa battaglia, nella quale si distinguono i coraggiosi capi dell’uno e dell’altro schieramento. Nel Libro XIV Giunone addormenta Giove, così Nettuno, assunte le sembianze di un vecchio guerriero, può guidare il contrattacco acheo. È in questa occasione che il grande Ettore viene ferito da Aiace ed è costretto a ritirarsi seppur momentaneamente. Le sorti si rovesciano nel Libro XV, poiché, destatosi Giove, Nettuno abbandona gli Achei al loro destino e alla guida dei Troiani si pone Apollo, con l’aiuto del quale viene abbattuta la muraglia e si apre la strada verso le navi. Una di queste, nonostante la strenua disperata resistenza di Aiace, viene data alle fiamme. Si compie in questo modo il volere di Giove.
È dunque la guerra, raccontata con spietata concretezza, a dominare la scena in questi cinque libri, ma Omero non si limita a farne la cronaca. Nella narrazione degli eventi bellici emergono infatti tutti gli aspetti, nobili e meno nobili, degli uomini che combattono: il coraggio e la viltà, il desiderio di vittoria e la tentazione della fuga, lo sconforto per il compagno ucciso e la crudele irriverenza verso il nemico abbattuto, l’energia degli intenti e la vulnerabilità del corpo.
Durante i combattimenti sono messi in luce ora i singoli eroi, che spiccano per la loro capacità di affrontare la battaglia in modo esemplare (la cosiddetta aristia, manifestazione di eccellenza), ora la compattezza del gruppo, entrambi condizioni imprescindibili per la riuscita dell’azione bellica.
Ma la guerra non è solo azione, è anche strategia: degni di nota i versi dedicati alle consulte dei duci, ai discorsi che spronano l’avanzata o organizzano la difesa, ai sermoni volti a ridare coraggio e a ribadire le ragioni del rimanere in combattimento. Le parole hanno anche l’intento di denunciare l’eccesso e riportare a ragione il guerriero inebriato dal ballo di Marte. Nell’Iliade spesso infatti si assiste allo sdegno verso chi supera il limite all’uomo assegnato: si ricordi Diomede che nel Libro V arriva addirittura a sfidare e ferire gli dèi e viene fermato dalle parole di Apollo, si osservi nel Libro XIII Ettore richiamato da Polidamante affinché ritrovi prudenza e saggezza.
Le azioni e le parole degli uomini durante la guerra provocano continuamente l’intervento degli dèi, i quali non mancano di aiutare ora l’uno ora l’altro schieramento in nome di promesse e legami personali.
E ciò li porta a litigare anche tra loro, come accade a Nettuno e Giove: il dio del mare è sdegnato con il sommo nume per la promessa fatta alla diletta Teitide di aiutare solo i Troiani, ai quali porta un vecchio rancore. Infatti l’antico re troiano Laomedonte non gli aveva reso la pattuita ricompensa per la costruzione delle mura della città effettuata da lui e da Apollo.
Tempo: Il ventiseiesimo giorno.
Luoghi: Il campo di battaglia presso le navi, l’accampamento acheo e l’Olimpo.
La Discordia all’alba suscita la battaglia
Dal croceo1 letto di Titon l’Aurora sorgea, la terra illuminando e il cielo, e vêr2 le navi achee Giove spedìa la Discordia feral3. Scotea4 di guerra
5 l’orrida insegna nella man la Dira5 , e tal6 d’Ulisse s’arrestò su l’alta capitana7 che posta era nel mezzo8 , donde intorno mandar potea la voce fin d’Aiace e d’Achille al padiglione, 10 che nella forza e nel gran cor securi sottratte ai lati estremi avean le prore. Qui ferma d’un acuto orrendo grido empì9 l’achive orecchie, e tal ne’ petti un vigor suscitò, tale un desìo
15 di pugnar, d’azzuffarsi e di ferire, che sonava nel cor dolce la guerra più che il ritorno al caro patrio lido10 .
soggetto
1 . c roceo: color del croco, o zafferano. È il colore giallo oro del cielo immediatamente prima del sorgere del sole. Cfr. Libro VIII, vv. 12.
2 vêr : verso.
3 la Discordia feral: la dea della Discordia, apportatrice di morte. Già descritta nel Libro IV, vv. 546 e sgg. Sorella gemella di Marte, gettò il pomo che fu all’origine della guerra.
4. Scotea: verbo scuotere, imperfetto.
5. la Dira: la crudele.
6. tal: in questo modo, cioè in quella posa.
7. l’alta capitana: la nave ammiraglia.
8 . nel mezzo: nel mezzo del naustatmo e di tutto l’accampamento.
9. empì: riempì.
10 sonava … lido. Intendi: la guerra era più dolce al cuore che il desiderio di tornare a casa.
Alza Atrìde la voce, e a tutti impone di porsi in tutto punto; e d’armi ei pure
20 folgoranti si veste. E pria circonda di calzari le gambe ornati e stretti d’argentee fibbie. Una lorica11 al petto quindi si pon che Cinira12 gli avea un dì mandata in ospital presente13 .
25 Perocché14 quando strepitosa15 in Cipro corse la fama che l’achiva armata verso Troia spiegar dovea le vele, gratificar16 di quell’usbergo ei volle l’amico Agamennón. Di bruno acciaro
30 dieci strisce il cingean17, dodici d’oro, venti di stagno. Lubrici18 sul collo stendon le spire tre cerulei draghi19 simiglianti alle pinte iri20 che Giove suol nelle nubi colorar, portento
35 ai parlanti mortali. Indi la spada agli omeri sospende rilucente
d’aurate bolle21, e la vestìa d’argento larga vagina22 col pendaglio23 d’oro. Poi lo scudo imbracciò che vario e bello
40 e di facil maneggio tutto cuopre il combattente. Ha dieci fasce intorno di bronzo, e venti di forbito stagno candidissimi colmi24, e un altro in mezzo
11 lorica: corazza, usbergo.
12 Cinira è il ricchissimo re di Cipro.
13 presente : regalo.
14 Perocché: poiché.
15 strepitosa: che desta grande meraviglia.
16 gratificar : si ingraziava.
17 il cingean: la corazza era fatta a strisce di diversi metalli.
18 Lubrici: viscidi, scivolosi.
19 cerulei draghi: serpenti colorati con lo smalto azzurro.
20 I serpenti si rizzavano verso il collo di Agamennone con la stessa forma dell’arcobaleno ( pinte iri ).
21 . aurate bolle : le borchie d’oro che ornano l’impugnatura della spada.
22 . vagina: custodia, il fodero della spada.
23. pendaglio: la cinghia, o balteo, che sostiene la spada alle spalle.
24. colmi: rilievi convessi.
di bruno acciar. Su questo era scolpita
45 terribile gli sguardi25 la Gorgóne26 col Terrore da lato e con la Fuga, rilievo orrendo. Dallo scudo poscia una gran lassa27 dipendea d’argento, lungo la quale azzurro e sinuoso
50 serpe un drago a tre teste, che ritorte d’una sola cervice eran germoglio. Quindi al capo diè l’elmo adorno tutto di lucenti chiavelli28, irto di quattro coni29 e d’equine setole con una
55 superba cresta che di sopra ondeggia terribilmente. Alfin due lance impugna massicce, acute, le cui ferree punte mettean baleni30 di lontano.
Intanto
Giuno e Palla onorando il grande Atrìde
60 dier di sua mossa con fragore il segno.
All’auriga ciascuno allor comanda che parati31 in bell’ordine sostegna32 alla fossa i destrier33, mentre a gran passi chiuse nell’armi le pedestri schiere34
65 procedono al nemico. Ancor non vedi spuntar l’aurora, e d’ogni parte immenso romor già senti. Come tutto giunse
25 terribile gli sguardi: terribile a vedersi.
26. La Gorgone, o Medusa, è il mostro coi capelli a forma di serpente e lo sguardo che trasforma in pietra chi la guarda. Essa è stata raffigurata (scolpita) con la tecnica a sbalzo (rilievo).
27. lassa: cintura, fascia.
28 . chiavelli: chiodini.
29. coni: ripari metallici, sporgenze applicate.
30. mettean baleni: emettevano lampi di luce. Anche prima viene detto che le altre parti metalliche mandano luce. È chiaro che i guerrieri lustravano le loro armi perché l’effetto dei riflessi di luce impressionasse i nemici, già da lontano.
31 . parati: allineati.
32 . sostegna: trattenga.
33. i destrier : i cavalli da battaglia. Da destra, la mano con cui lo scudiero conduceva il cavallo. Pratica tutt’oggi usata.
34 le pedestri schiere : i fanti, soldati appiedati.
l’esercito alla fossa, immantinente fûr cavalli e pedoni in ordinanza,
70 questi primieri e quei secondi. Intanto Giove dall’alto romoreggia, e piove di sangue una rugiada, annunziatrice delle molte che all’Orco in quel conflitto anime generose avrìa sospinto.
75 D’altra parte i Troiani in su l’altezza si schierano del poggio35. In mezzo a loro s’affaccendano i duci; il grande Ettorre, d’Anchise il figlio che venìa qual nume da’ Troiani onorato, il giusto e pio
80 Polidamante, e i tre antenòrei36 figli, Polibo, io dico, ed il preclaro37 Agènore, ed Acamante, giovinetto a cui di celeste beltà fiorìa la guancia. Maestoso fra tutti Ettor si volve
85 coll’egual d’ogni parte ampio pavese38 . E qual di Sirio39 la funesta stella or senza vel40 fiammeggia ed or rientra nel buio delle nubi, a tal sembianza or nelle prime file or nell’estreme
90 Ettore comparìa dando per tutto provvidenza e comandi, e tutta d’arme rilucea la persona, e folgorava come il baleno41 dell’Egìoco42 Giove.
Come la stella Sirio così Ettore
35 poggio: collinetta. Cfr. Libro X, v. 519.
36 antenòrei: di Antenore.
37 preclaro: famoso.
38 pavese: scudo.
39 Sirio: la costellazione del Cane, o Canicola, apportatrice di lutti ai mortali. Cfr. Libro XXII, vv. 3238.
40. vel: velo, la nube che copre la stella (metafora).
41 . baleno: lampo, fulmine.
42 . Egioco: portatore dell’egida, uno scudo fabbricato da Vulcano che abbagliava e stordiva chi lo guardasse.
Qual di ricco padron nel campo vanno
95 i mietitori con opposte fronti43 falciando l’orzo od il frumento; in lunga serie recise cadono le bionde figlie de’ solchi44, e in un momento ingombra di manipoli45 tutta è la campagna;
100 così Teucri ed Achei gli uni su gli altri irruendo si mietono col ferro in mutua strage. Immemore46 ciascuno di vil fuga, e guerrier contra guerriero pugnan tutti del pari, e si van contra 105 coll’impeto de’ lupi.
Come i mietitori
così i soldati
Solo la Discordia è presente alla battaglia, perché tutti gli altri numi siedono ciascuno nella propria dimora. Sono tutti taciturni e fremono di sdegno contro Giove. Ma Egli non si cura di questa ira, siede in disparte e ammira Troia e le navi achee, lo sfolgorìo delle armi, e il ferire e morire dei combattenti (vv. 105118).
Finché il mattin processe, e crebbe il sacro
120 raggio del giorno, d’ambe parti eguale si mantenne la strage. Ma nell’ora47 che in montana foresta il legnaiuolo pon mano al parco desinar48, sentendo dall’assiduo tagliar cerri ed abeti
125 stanche le braccia e fastidito il core, e dolce per la mente e per le membra serpe del cibo il natural desìo,
43 opposte fronti: movendo da parti opposte del campo e venendosi incontro.
44 le bionde figlie de’ solchi: le spighe di grano.
45 manipoli: piccoli gruppi schierati di uomini.
46 Immemore : dimentico, senza ricordarsi.
47 nell’ora: a mezza mattina. È da notare questo paragone con un uomo operoso. Non a caso è un boscaiolo che taglia gli alberi non per farne strage ma per necessità, e il suo appetito è la giusta conseguenza della fatica.
48 parco desinar : modesto pranzo.
prevalse la virtù de’ forti Argivi, che animando lor file e compagnie
130 sbaragliâr49 le nemiche.
Agamennone salta per primo in mezzo alla battaglia e subito uccide Bianorre e il suo auriga Oileo. Prende le loro spoglie e va diretto ad assalire due figli di Priamo, Iso ed Antifo. Al primo apre il petto con la lancia, colpisce di spada il secondo alla tempia, e poi toglie loro le armi (vv. 131159).
160 Come quando un lïon nel covo entrato d’agil cerva, ne sbrana agevolmente i pargoli portati50, e li maciulla co’ forti denti mormorando e sperde l’anime tenerelle; la vicina
165 misera madre, non che dar soccorso, compresa51 di terror fugge veloce per le dense boscaglie, e trafelando suda al pensier della possente belva: così nullo de’ Troi poteo52 da morte
170 salvar que’ due: ma tutti anzi le spalle conversero agli Achivi.
Come un leone
così Agamennone
Poi assale e uccide senza pietà Ippoloco e Pisandro, i figli del bellicoso Antimaco, quello che più di tutti si era opposto alla restituzione di Elena a Menelao (vv. 171205).
205 Lasciati ivi costoro, fulminando si spinge nel più caldo tumulto della pugna, e l’accompagna molta mano53 d’Achei. Fan strage i fanti de’ fanti fuggitivi, i cavalieri
49. sbaragliâr è un passato remoto.
50. pargoli portati: teneri figli.
51 . compresa: invasa, fuori di sé.
52 . poteo: passato remoto del verbo potere, più la sillaba o, aggiunta per necessità metriche.
53 molta mano: un gran numero.
210 de’ cavalier. Si volve54 al ciel la polve dalle sonanti zampe sollevata de’ fervidi corsieri, e Agamennóne sempre insegue ed uccide, e gli altri accende. Come quando s’appiglia a denso bosco 215 incendio struggitor, cui gruppo aggira di fiero vento55 e d’ogni parte il gitta56: cadono i rami dall’invitta fiamma atterrati e combusti; a questo modo sotto l’Atrìde Agamennón le teste
220 cadean de’ Teucri fuggitivi; e molti colle chiome sul collo fluttuanti destrier traean57 pel campo i vôti carri, sgominando58 le file, ed il governo59 desiderando de’ lor primi aurighi: 225 ma quei giacean già spenti, agli avvoltoi gradita vista, alle consorti orrenda.
Come un incendio così Agamennone complemento oggetto
Nel frattempo, Giove conduce Ettore fuori dal tumulto e dal sangue. Ma Agamennone è talmente infuriato che riesce a spaventare un gruppo di Troiani. Questi, cercando un riparo, si mettono a correre verso le porte della città. Non appena vi giungono, Giove scende dal cielo e va a sedersi sulla maestosa vetta dell’Ida, stringendo la folgore in pugno. Convoca la messaggera Iri e la invia a riferire ad Ettore di non combattere finché c’è in campo Agamennone, ma di limitarsi ad incitare i Troiani. Appena l’Atrìde verrà ferito e risalirà sul cocchio, allora si potrà gettare nella mischia e grazie alla forza che Giove gli infonderà potrà raggiungere le navi. Iri scesa al campo, riferisce a Ettore il messaggio divino (vv. 227284).
54. Si volve : si alza in turbini.
55. cui gruppo … vento. Intendi: preso in mezzo ad un turbine di vento.
56. il gitta: getta, lancia il fuoco.
57. traean: tiravano.
58 . sgominando: mettendo in scompiglio, confusione.
59 il governo: la conduzione, di essere condotti.
Subito Ettore si mette ad incitare i compagni, che respingono i Greci. Ma Agamennone arriva di rinforzo.
Per primo contro di lui si spinge Ifidamante, figlio del tracio Antenore, ma Agamennone lo uccide. Allora suo fratello Coone decide di vendicarlo e si apposta di fianco al re. Scaglia una freccia, che colpisce Agamennone, ferendolo al braccio.
Nonostante la ferita, Agamennone uccide Coone e continua a combattere. Ma il dolore diviene insopportabile quando il sangue comincia a stagnare; così Agamennone sale sul carro per tornare alle navi, raccomandando ai suoi prìncipi di evitare che la battaglia si avvicinasse troppo alle navi (vv. 285380).
Come dall’armi ritirarsi il vide, diè un alto grido Ettorre, e rincorando Troiani e Licii e Dardani tonava60: «Uomini siate, amici, e richiamate
385 l’antica gagliardìa: lasciato ha il campo quel fortissimo duce, e a me promette l’Olimpio Giove la vittoria. Or via gli animosi cornipedi61 spingete dirittamente addosso ai forti Achivi,
390 e acquisto fate d’immortal corona62». Disse, e in tutti destò la forza e il core. Come buon cacciator contra un lïone o silvestre cignale il morso aizza de’ fier molossi, così l’ira instiga63
395 de’ magnanimi Troi contro gli Achivi il Prïamide Marte: ed ei tra’ primi intrepido si volve64, e nel più folto della mischia coll’impeto si spinge
Come un cacciatore aizza i cani
così Ettore istiga i Troiani
60. tonava: tuonava, gridava fortemente.
61 . cornipedi: cavalli. Perché poggiano in terra con l’unghia, dello stesso materiale del corno.
62 . immortal corona: la virtù divina, eterna, dell’eroicità.
63. instiga: istiga.
64 si volve : si gira, si dirige.
di sonante procella65 che dall’alto
400 piomba e solleva il ferrugineo66 flutto67 . Allor chi pria, chi poi fu messo a morte dal Prïamide eroe, quando a lui Giove fu di gloria cortese68? Assèo da prima, Autònoo, Opìte, e Dòlope di Clito, 405 Ofeltio ed Agelao, Esimno, ed Oro e il bellicoso Ippònoo. Fûr questi i dànai duci che il Troiano uccise: dopo lor, molta plebe. Come quando di Ponente il soffiar l’umide figlie
410 di Noto69 aggira70, e con rapido vortice le sbatte irato: il mar gonfiati e crebri71 volve i flutti, e dal turbo72 in larghi sprazzi sollevata diffondesi la spuma: tal Ettore cader confuse e spesse73
415 fa le teste plebee74 .
Come il vento soggetto soggetto così Ettore
Mentre Giove contempla dall’Ida i combattenti ed equilibra le sorti della battaglia, Ulisse convince Diomede a tornare a combattere. Diomede scaglia la lancia sull’elmo di Ettore che, stordito, è costretto ad allontanarsi, ma ritorna quasi subito in battaglia. Paride, vedendo Diomede spogliare un morto, lo colpisce al piede con una freccia. Allora comincia ad urlare di gioia, anche se si rammarica di non averlo ucciso. Diomede, per nulla affranto, risponde beffardamente che solo per aver colpito un piede non doveva vantarsi tanto, perché la freccia degli imbelli non fa male, ed è come una puntura di fuso. E lo sfida a duello, che però non può effettuare per la gravità della ferita. Ulisse protegge così la sua ritirata, ma alla fine rimane da solo e viene
65 procella: tempesta.
66 ferrugineo: nero e pesante come il ferro.
67 flutto: onda.
68 cortese : generoso.
69 l’umide figlie di Noto: le nubi.
70 aggira: fa girare, roteare, muovere.
71 . crebri: spessi, frequenti. Dal latino crebrum, della stessa radice di crescere, “crescere”.
72 . turbo: turbine, vortice. L’onda.
73. confuse e spesse : mischiate e a mucchi.
74. plebee : della plebe. Contrapposta ai duci, la plebe è la moltitudine dei soldati semplici. Altrove è chiamata popolo, turba.
colto da paura. Si rincuora pensando che in battaglia il vile fugge, ma il prode resta a ferire o a morire di morte onorevole. Intanto viene accerchiato dai Troiani, che non si rendono conto di aver chiuso in mezzo a loro la propria rovina. Infatti Ulisse attacca subito i nemici, uccidendone quattro. Poi ferisce Caropo, figlio di Ippaso, facendo così intervenire il fratello Soco, che, dopo averlo insultato chiamandolo «artefice famoso di frodi», gli scaglia contro il giavellotto; lo colpisce al fianco, ma Minerva non permette al ferro di addentrarsi oltre la corazza. E così
Ulisse può uccidere anche Soco.
Quando poi Ulisse si toglie il giavellotto dal fianco, sgorga il sangue. Lo vedono subito i Troiani e lo accerchiano di nuovo. Allora Ulisse chiama tre volte i suoi compagni in aiuto. Menelao ed Aiace Telamonio, accorsi in suo aiuto, lo trovano che dimena la lancia per tenere lontani i Teucri. Non appena questi vedono il torreggiante scudo d’Aiace, si dileguano.
Menelao allora porta Ulisse fuori dalla mischia per aspettare che l’auriga conduca loro i cavalli (vv. 415656).
Imprese di Paride e soccorso di Ettore
Mentre Menelao accompagna Ulisse, Aiace fa strage di Troiani. Dall’altra parte del campo di battaglia, sull’ala sinistra, Ettore è intanto accorso alla difesa. Nella mischia furibonda, ad un certo punto Paride riesce a colpire Macaone, il miglior medico dei Greci e buon comandante, e questo colpo fa tremare tutti gli Achei, che si convincono che Marte abbia invertito la fortuna.
I Greci cominciano così a ritirarsi e subito Ettore si accorge che c’è bisogno di aiuto dall’altra parte, sulla destra, dove Aiace sta facendo arretrare i Troiani. Cosicché dice al suo auriga di dirigersi verso quella parte, ed egli sferza i cavalli che sotto quei colpi si mettono a tirare la biga di gran corsa, calpestando cadaveri, elmi e scudi, e tutto il carro si sporca con gli schizzi del sangue. Ettore, appena giunto, sgomina la turba degli Achivi, sempre colpendo di lancia o di spada, oppure con enormi macigni. Evita solo di incontrare Aiace (vv. 657727).
Ma l’Eterno
altosedente75 al cor d’Aiace incusse76 tale un terror che attonito ristette, 730 e paventoso77 si gittò sul tergo la settemplice pelle78, e nel dar volta come una fiera si guatava intorno nel mezzo della turba, e tardi e lenti alternando i ginocchi79, all’inimico 735 ad or ad ora convertìa la fronte. […]
E quale intorno ad un pigro somier80, che nella messe81 750 si ficcò, s’arrabattano i fanciulli molte verghe rompendogli sul tergo, ed ei pur segue a cimar82 l’alta biada, né de’ lor colpi cura la tempesta, ché la forza è bambina, e appena il ponno
755 allontanar poiché satolla ha l’epa83; non altrimenti i Teucri e le coorti collegate84 inseguìan senza riposo il gran Telamonìde, e colle basse lance nel mezzo gli ferìan lo scudo.
760 Ma memore l’eroe di sua virtude or rivolta la faccia85, e le falangi respinge de’ nemici, or lento i passi move alla fuga: e sì potette86 ei solo che di sboccarsi87 al mar tutti rattenne.
75. l’Eterno alto-sedente : Giove.
76. incusse : verbo incutere, passato remoto.
77 paventoso: spaventato, ma qui è anche prudente.
Come i bambini intorno ad un somaro così i Teucri intorno ad Aiace
78 la settemplice pelle : lo scudo, a protezione delle spalle, formato da sette strati.
79 alternando i ginocchi: camminando, ma lentamente, in modo guardingo.
80 somier : somaro.
81 nella messe : nel campo.
82 a cimar : a rodere le cime.
83. Non riescono ad allontanarlo perché è sazio.
84 le coorti collegate : gli alleati.
85 rivolta la faccia: si gira verso il nemico. Al v. 730 dava le spalle al nemico, protette con lo scudo. La ritirata lo costringe a girarsi continuamente, per proteggersi o attaccare.
86. potette : poté. La forma verbale lirica ha grandissimo impatto, sia per il suono, ma ancor più perché si trova in un paragone: riuscì a potere così tanto benché solo, che impedì ecc.
87. sboccarsi: dirigersi.
765
Ritto in mezzo ai Troiani ed agli Achivi infurïava, e sostenea di strali una gran selva sull’immenso scudo, e molti a mezzo spazio e senza forza, pria che il corpo gustar88, perdeano il volo89 770 desïosi di sangue.
Intanto Nestore riporta Macaone nella sua tenda e la scena, vista da lontano, preoccupa Achille (vv. 771807).
Incontanente mise un grido, e chiamò dall’alta nave il compagno Patròclo: e questi appena
810 dalla tenda l’udì, che fuori apparve90 in marzïal sembianza; e dal quel punto ebbe inizio fatal la sua sventura. Parlò primiero di Menèzio il figlio: «A che mi chiami, a che mi brami, Achille?»
815 «O mio diletto nobile Patròclo,»
gli rispose il Pelìde, «or sì che spero supplicanti e prostesi91 a’ miei ginocchi veder gli Achivi, ché suprema e dura necessità li preme. Or vanne, o caro, 820 vanne e chiedi a Nestòr chi quel ferito sia, ch’ei ritragge92 dalla pugna. Il vidi ben io da tergo, e Macaon mi parve, d’Esculapio il figliuol93; ma del guerriero non vidi il volto, ché veloci innanzi 825 mi passâr le cavalle, e via spariro».
88 gustar. Intendi: gustassero.
89 perdeano il volo: cadevano. Le frecce cadevano prima di raggiungere ( gustar) il corpo di Aiace.
90. appena … apparve. Intendi: non appena l’udì, apparve.
91 . prostesi: prosternati, stesi in avanti.
92 . ritragge : ritira.
93. d’Esculapio il figliuol: seguace di Esculapio, e infatti Macaone è un medico. Esculapio, figlio di Apollo, fu istruito dal centauro Chirone nell’arte medica, nella quale divenne così abile che non solo guariva gli ammalati, ma addirittura riportava in vita i morti. Per questo fu fulminato da Giove.
Disse; e Patròclo obbedïente al cenno dell’amico diletto già correa tra le navi e le tende.
Mentre nella tenda di Nestore, l’ancella Ecamède prepara una bevanda ristoratrice per il suo padrone e per il medico Macaone ferito (vv. 828865), appare Patroclo, che spiega il motivo della sua venuta. Nestore si stupisce alquanto a sentire che Achille provi pietà e aggiunge che sicuramente non sa di quanti lutti avevano colpito gli Achei, né che alcuni duci erano stati feriti. Chiede se per caso non aspettasse, malgrado la strenua difesa dei Greci, che i Troiani appiccassero il fuoco alle navi. E si mette a raccontare una battaglia della sua gioventù, durante la quale dovette combattere per difendere il regno del padre Nelèo, e si distinse per il coraggio che fu d’esempio ai compagni e favorì la vittoria (vv. 8651022).
«Tal nelle pugne apparve il valor mio.
Ma del valor d’Achille il solo Achille 1025 godrassi, e quando consumati ahi! tutti vedrà gli Achivi, piangerà, ma indarno94 . Caro Patròclo, nel pensier richiama di Menèzio95 i precetti, onde il buon veglio t’accompagnava il giorno che da Ftia 1030 ti spediva all’Atrìde Agamennóne». […] 1055 “Figlio, il vecchio dicea, ti vince Achille di sangue, e tu lui d’anni; egli di forza, tu di consiglio. Con prudenti avvisi dunque il governa e l’ammonisci96, e all’uopo t’obbedirà”. Tal era il suo precetto; 1060 tu l’obblïasti97. Or via, l’adempi adesso, parla all’amico bellicoso, e tenta süaderlo98. Chi sa? Qualche buon Dio
Achille tiene per sé il suo valore soggetto
Prova tu a persuadere Achille con la tua amicizia
94 indarno: invano. È questo uno degli argomenti del discorso di Ulisse durante l’ambasciata ad Achille del Libro IX, cui Patroclo aveva assistito.
95. Menèzio: il padre di Patroclo.
96. il governa e l’ammonisci: controllalo e correggilo.
97. oblïasti: dimenticasti. Deriva da oblitare, composto di litare, “cancellare”.
98 . süaderlo: da suadere, “convincere per evidenza”. Più frequente è la forma persuadere, preceduta dal suffisso superlativo per.
animerà le tue parole, e l’alma
toccherà di quel fiero. Al cor va sempre 1065 l’ammonimento d’un diletto amico.
Ché s’ei99 paventa100 in suo segreto un qualche vaticinio101, se alcuno a lui da Giove la madre ne102 recò, te mandi almeno co’ Mirmidóni a confortar gli Achivi 1070 nella battaglia, e l’armi sue ti ceda. Forse ingannati dall’aspetto i Teucri ti crederan lui stesso, e fuggiranno, e gli egri103 Achei respireranno: è spesso di gran momento104 in guerra un sol respiro. 1075 E voi freschi guerrieri agevolmente respingerete lo stanco nemico dalle tende e dal mare alla cittade».
Sì disse il saggio, e tutto si commosse il cor nel petto di Patròclo. Ei corse 1080 lungo il lido ad Achille.
Patroclo piange e aiuta Euripilo
Sulla via del ritorno, giunto alla nave d’Ulisse, Patroclo incontra Euripilo, il figlio d’Evemone, che si allontana dalla battaglia vacillando perché ferito di freccia ad una coscia (vv. 10801086).
Largo105 il sudore gli discorrea dal capo e dalle spalle, e molto sangue dalla ria106 ferita, ma intrepida107 era l’alma. Il vide e n’ebbe 1090 pietade il forte Menezìade, e a lui
99 ei: egli.
100 paventa: da paventare, “temere”.
101 vaticinio: predizione. Dal latino vaticinare, composto di vates (indovino) e canere (cantare). Poiché i vaticini erano espressi in versi, con vate si indica anche il poeta.
102 ne : di esso, cioè di qualche vaticinio.
103 egri: stanchi, spossati.
104. di gran momento: una pausa ristoratrice; cfr. Libro XVI, v. 60, le parole che Patroclo dirà ad Achille: Nella pugna è spesso / una via di salute un sol respiro.
105. Largo: abbondante.
106. ria: rea, che letteralmente significa colpevole, cioè che causa colpa; e qui che causa dolore.
107 intrepida: non trepida, non timorosa, cioè ancora temeraria, coraggiosa.
lagrimando108 si volse: «Oh sventurati duci Achei! così dunque, ohimè! lontani dai cari amici e dalla patria terra de’ vostri corpi sazïar di Troia
1095 dovevate le belve? Eroe divino Eurìpilo, rispondi: Sosterranno gli Achei la possa dell’immane Ettorre, o cadran spenti dal suo ferro?» «Oh diva stirpe, Patròclo, (Eurìpilo rispose)
1100 nullo è più scampo109 per gli Achei, se scampo non ne danno le navi. I più gagliardi tutti giaccion feriti, e ognor più monta de’ Troiani la forza. Or tu cortese conservami la vita. Alla mia nave
1105 guidami, e svelli110 dalla coscia il dardo, con tepid’onda lavane la piaga e su vi spargi i farmaci salubri111 de’ quali è grido112 che imparata hai l’arte dal Pelìde, e il Pelìde da Chirone113
1110 de’ Centauri il più giusto. Or tu m’aita, ché Podalirio e Macaon son lungi; questi, credo, in sua tenda, anch’ei piagato è di medica man necessitoso114; l’altro co’ Teucri in campo si travaglia».
1115 «Qual fia dunque la fin di tanti affanni?» soggiunse di Menèzio il forte figlio, «e che faremo, Eurìpilo? Gran fretta mi sospinge ad Achille a riportargli del guardïano degli Achei Nestorre115
108 lagrimando: piangendo. Il discorso di Nestore e questo incontro hanno scosso Patroclo, che piangerà ancora davanti ad Achille e proprio il suo pianto, il pianto dell’amico, avrà il potere di far cambiare idea al Pelìde.
109. nullo è più scampo: non c’è più nessuno scampo.
110. svelli: togli.
111 . salubri: salutari, che guariscono.
112 . è grido: è risaputo da tutti.
113. Chirone : c’era una tradizione medica nella famiglia di Achille.
114. necessitoso: bisognoso.
115 guardïano degli Achei Nestorre : perché il più anziano, esperto e saggio.
1120 una risposta116: ma pietà non vuole che in questo stato io t’abbandoni117». Il cinse colle braccia, ciò detto, e nella tenda il menò118, l’adagiò sopra bovine pelli dal servo acconciamente119 stese, 1125 indi col ferro dispiccò120 dall’anca l’acerbissimo strale121, e con tepenti122 linfe la tabe123 ne lavò. Vi spresse124 poi colle palme il lenïente125 sugo d’un’amara radice. Incontanente126 1130 calmossi il duolo, ristagnossi il sangue, ed asciutta si chiuse la ferita.
116. una risposta: la risposta alla domanda di Achille chi fosse il ferito. Ma giova sottolineare che ormai la situazione è cambiata e Patroclo dovrà riferire ad Achille il messaggio, il consiglio, la preghiera di Nestore, e parlerà al suo amico senza più nemmeno usare le parole del vecchio, ma quelle che gli verranno dettate dalla fortissima commozione provata al vedere la sofferenza dei compagni d’arme.
117 ma pietà … t’abbandoni: è questa stessa pietà ad aver commosso Patroclo anche prima; e sarà con le parole di questa pietà che parlerà al suo amico Achille. Non si può evitare di tener presente che Nestore aveva appena lamentato la mancanza di pietà nel Pelìde.
118 menò: passato remoto del verbo menare, “portare”.
119 acconciamente : avverbio derivato dal verbo conciare, “preparare per bene”.
120 dispiccò: passato remoto di dispiccare, sinonimo del precedente svellere, ma qui l’accento è sulla velocità: separare velocemente
121 indi … strale : è una vera e propria operazione chirurgica, perché per estrarre lo strale Patroclo deve allargare la ferita con un ferro, un coltello apposito o la stessa spada.
122 . tepenti: tiepide.
123. tabe : ferita.
124. spresse : passato remoto irregolare di spremere.
125. lenïente : che lenisce, calmante.
126. Incontanente : ben presto.
Libro XII
Tempo: Il ventiseiesimo giorno.
Luoghi: Il campo di battaglia presso le navi, l’accampamento acheo e l’Olimpo.
Così dentro alle tende medicava d’Eurìpilo la piaga il valoroso Menezìade1. Frattanto alla rinfusa pugnan Teucri ed Achei; né scampo a questi
5 è più la fossa2 omai, né l’ampio muro che l’armata cingea.
«L’opra futura» di Nettuno e Apollo
L’avean gli Achivi
senza vittime3 eretto a custodire i navigli e le prede. Edificato dunque malgrado degli Dei, gran tempo
10 non durò. Finché vivo Ettore fue4 , e irato Achille, e Troia in piedi, il muro saldo si stette; ma de’ Teucri estinte l’alme più prodi, e degli Achei pur molte, e al decim’anno Ilio distrutto5, e il resto
15 degli Argivi tornato al patrio lido, decretâr del gran muro la caduta
Nettunno e Apollo, l’impeto sfrenando6 di quanti fiumi dalle cime idèe7 si devolvono al mar, Reso, Granìco, 20 Rodio, Careso, Eptàporo ed Esèpo e il divino Scamandro e Simoenta
1 . Menezìade : Patroclo.
2 . la fossa: il fossato che cinge la muraglia.
3. senza vittime : senza sacrificare agli dèi. Cfr. Libro VII, vv. 547 e sgg.
4. fue : fu.
5. al decim’anno Ilio distrutto: ormai distrutta Troia al decimo anno di guerra.
6. sfrenando: liberando.
7 idèe : del monte Ida. soggetto
che volge8 sotto l’onde agglomerati9 tanti scudi, tant’elmi e tanti eroi. Di questi10 rivoltò11 Febo le bocche
25 contro l’alta muraglia, e vi sospinse nove giorni la piena. Intanto Giove, perché più ratto l’ingoiasse il mare, incessante piovea12. Nettunno istesso precorrea13 le fiumane, e col tridente
30 e coll’onda atterrò le fondamenta che di travi e di sassi v’avean posto i travagliosi14 Achivi; infin che tutta al piano l’adeguò lungo la riva dell’Ellesponto. Smantellato il muro,
35 fe’ di quel tratto un arenoso lido, e tornò le bell’acque15 al letto antico.
Di Nettunno quest’era e in un16 d’Apollo l’opra futura.
Ma la pugna intorno
a quel valido muro or ferve e mugge17
40 Cigolar delle torri odi percosse le compàgi18, e gli Achei dentro le navi chiudonsi domi19 dal flagel di Giove, e paventosi20 dell’ettoreo braccio,
8 volge : rigira.
9 agglomerati: ammassati.
10 Di questi: dei fiumi.
11 rivoltò: rivolse.
12 piovea: personalizzazione del verbo piovere, alla latina. In italiano piovere è impersonale e non può avere soggetto.
13. precorrea: correva avanti a.
14. travagliosi: laboriosi. Deriva da travagliare, dal latino tripaliare, “torturare col tripalium ”, strumento di tortura formato da tre pali. È chiaramente messa in evidenza solo la fatica del lavoro, e non la sua operosità.
15 tornò le bell’acque : fece tornare i fiumi.
16 in un: insieme.
17. mugge : muggisce.
18 . compàgi: compagini, commessure, congiunzioni fra le assi. Costruisci così: Odi cigolar le compagi percosse delle torri.
19. domi: participio passato del verbo domare.
20. paventosi: timorosi. Aggettivo derivato dal nome pavento, “timore, paura”.
impetuoso artefice di fuga21;
45 perocché22 pari a turbine l’eroe sempre combatte. E qual cinghiale o bieco23 leon cui fanno cacciatori e cani densa corona24, di sue forze altero25 volve26 dintorno i truci occhi, né teme
50 la tempesta de’ dardi né la morte, ma generoso27 si rigira e guarda dove slanciarsi fra gli armati, e ovunque urta, s’arretra28 degli armati il cerchio; tal fra l’armi s’avvolge29 il teucro duce,
55 i suoi spronando a valicar la fossa. Ma non l30’ardìan gli ardenti corridori31 che mettean32 fermi all’orlo alti nitriti, dal varco spaventati arduo a saltarsi e a tragittarsi33: perocché dintorno
60 s’aprìan profondi precipizi, e il sommo margo34 d’acuti pali era munito35 , di che36 folto v’avean contro il nemico confitto un bosco gli operosi Achei, tal che passarvi non potean le rote
65 di volubile37 cocchio. Ma bramosi ardean d’entrarvi e superarlo i fanti.
Come un cinghiale o un leone generoso così Ettore
complemento oggetto
21 . artefice di fuga: autore di fuga. Ovviamente, la fuga del nemico.
22 . perocché: poiché.
23. bieco: torvo, minaccioso.
24. densa corona: lo circondano in tanti.
25. altero: che ostenta sicurezza.
26. volve : gira.
27. generoso: senza risparmiarsi.
28 s’arretra: fa arretrare.
29 s’avvolge : si gira.
30 l’: lo, ciò. Pronome complemento oggetto, che sostituisce quel che Ettore manifesta al verso precedente.
31 ardenti corridori: i cavalli.
32 mettean: emettevano.
33 dal varco … tragittarsi. Costruisci così: spaventati dal varco arduo a saltarsi e a tragittarsi
34. margo: margine. È la sponda vicino al muro, più alta della sponda su cui sono fermi i Troiani.
35. munito: dotato, difeso.
36. di che : dei quali.
37. volubile : girevole, movibile.
Allora si fa avanti Polidamante che fa notare quanto sia stolto cercare di entrare nella fossa coi cavalli, viste le acute travi che circondano il muro e che avrebbero impedito i movimenti e procurato delle ferite. Se poi gli Achei li avessero assaliti proprio mentre stavano nel fosso, li avrebbero uccisi tutti.
Propone quindi di scendere dai cocchi, che avrebbero lasciato sul margine del fosso, di addensarsi a piedi tutti in un punto e, seguendo Ettore, di attaccare tutti insieme. Di sicuro gli Achei non avrebbero retto l’urto di un gruppo così numeroso e compatto. La saggia proposta piace ad Ettore e i Troiani si dividono in cinque battaglioni. La prima squadra è condotta da Ettore, Polidamante e il suo nuovo auriga Cebrione, fratello di Ettore. La seconda da Paride, Alcatoo ed Agenore. La terza da Deifobo, Eleno ed Asio, il prode figlio d’Irtaco, proveniente da Arisba. La quarta da Enea, egregio figlio di Anchise, e dai figli di Antenore, Archiloco ed Acamante. La quinta, quella degli alleati, da Sarpedonte, Glauco ed Asteropeo. Si dotano di scudi ricoperti di pelli bovine e si muovono coraggiosamente, sperando di entrare fin dentro le navi (vv. 67126).
Folle impresa di Asio e compagni
Mentre tutti e Troiani ed alleati al consiglio obbedìan dell’incolpato38 Polidamante, il duce Asio sol esso
130 lasciar né auriga né corsier non volle, ma vêr le navi li sospinse. Insano! Que’ corsieri, quel cocchio, ond’egli esulta, nol39 torranno40 alla morte, e dalle navi in Ilio no nol torneran41. La nera
135 Parca già il copre, e all’asta lo consacra del chiaro Deucalìde Idomenèo42 . Alla sinistra del naval recinto ove carri e cavalli in gran tumulto venìan cacciando i fuggitivi Achei,
38 . incolpato: senza colpa, puro, incorrotto.
39. nol: non lo.
40. torranno: futuro del verbo torre, “togliere”.
41 . nol torneran: non lo torneranno. Si noti l’uso transitivo del verbo tornare.
42 . Deucalìde Idomenèo: Idomeneo, nobile guerriero cretese figlio di Deucalione e nipote di Minosse. Lo ritroveremo specialmente nel Libro XIII.
140 spins’egli i suoi corsier verso la porta, non già di sbarre assicurata e chiusa, ma spalancata e da guerrier difesa a scampo de’ fuggenti43. Il coraggioso flagellò drittamente i corridori
145 a quella volta, e con acute grida altri il seguìan, sperandosi che rotti, senza far testa44, nelle navi in salvo precipitosi fuggirìan gli Achivi. Stolta speranza!
Infatti a difesa di questa porta vi sono due giganteschi guerrieri del fierissimo popolo dei Lapiti (celebri per la lotta contro i Centauri), Polipete, figlio di Piritoo, e il feroce Leonteo, che difendono gagliardamente la porta, anche aiutati dai compagni appostati dietro ai merli e sulle torri. Cadono pietre come se grandinasse e frecce, tirate da entrambi, e i sassi enormi che cozzano contro gli elmi e gli scudi emettono un roco rimbombo. Durante questo furioso assalto, i Lapiti uccidono otto Troiani. Anche i combattimenti davanti alle altre porte sono molto duri e lungo tutto il muro infuria la vampa di Marte. Gli Achei sono stanchi e in cielo gli dèi sono mesti (vv. 149235).
Un’apparizione prodigiosa non ferma Ettore
Mentre che Polipète e Leontèo delle bell’armi spogliano gli uccisi, la numerosa e di gran core armata troiana gioventude, impazïente
240 di spezzar la muraglia, arder le navi, Polidamante ed Ettore seguìa, i quai repente45 all’orlo della fossa irresoluti46 s’arrestâr dubbiando di passar oltre: perocché sublime
245 un’aquila comparve, che sospeso
complemento oggetto
43. Appunto per questo, forse è la stessa porta da cui entrarono Nestore e Macaone.
44. senza far testa: senza opporre resistenza.
45. repente : immediatamente, subito.
46 irresoluti: incerti, indecisi.
tenne il campo a sinistra47. Il fero48 augello stretto portava negli artigli un drago49 insanguinato, smisurato e vivo, ancor guizzante, e ancor pronto all’offese;
250 sì che volto a colei che lo ghermìa50 , lubrico51 le vibrò tra il petto e il collo una ferita. Allor la volatrice, aperta l’ugna52 per dolor, lasciollo cader dall’alto fra le turbe, e forte
255 stridendo sparve per le vie de’ venti. Visto in terra giacente il maculato serpe, prodigio dell’Egìoco Giove, inorridîro i Teucri.
Polidamante, che è anche un indovino, interpreta l’apparizione come un cattivo augurio: anche se si riuscisse a varcare il muro, non bisognerebbe assaltare le navi, perché allora sarebbero troppi i Troiani ad essere uccisi, e così sarebbe tolto l’onore (vv. 258287).
Lo guatò bieco Ettorre, e gli rispose:
«Polidamante, il tuo parlar non viemmi
290 grato all’orecchio, e una miglior sentenza53 or dal tuo labbro m’attendea. Se parli persuaso e davvero, io ti fo certo che l’ira degli Dei ti tolse il senno, poiché m’esorti ad obblïar di Giove
295 le giurate promesse54, e all’ale erranti degli augelli obbedir; de’ quai non curo, se volino alla dritta ove il Sol nasce, o alla sinistra dove muor55. Ben calmi56 del gran Giove seguir l’alto consiglio,
47 a sinistra: le apparizioni a sinistra non erano beneauguranti.
48 fero: per fiero, “feroce, selvaggio”.
49 drago: serpente.
50 ghermìa: da ghermire, “afferrare con gli artigli”.
51 lubrico: sdrucciolevole, agile, svelto.
52 l’ugna: l’unghia.
53. sentenza: frase, affermazione.
54. le giurate promesse : fatte da Giove tramite Iri nel Libro XI (cfr. vv. 226 284).
55. alla dritta … muor : guardando il Nord. Ecco spiegato perché le apparizioni di destra sono beneauguranti e quelle di sinistra malauguranti.
56 calmi: mi cale, mi importa.
300 ch’ei de’ mortali e degli Eterni è il sommo imperadore. Augurio ottimo e solo è il pugnar per la patria. Perché tremi tu dei perigli della pugna? Ov’anco cadiam noi tutti tra le navi ancisi,
305 temer di morte tu non dei, ché cuore tu non hai57 d’aspettar l’urto nemico, né di pugnar. Se poi ti rimanendo lontano dal conflitto, esorterai con codarde parole altri a seguire
310 la tua viltà, per dio! che tu percosso da questa lancia perderai la vita».
Detto questo Ettore si slancia in avanti, seguito dagli altri. Allora Giove suscita un vento che alza una nube di polvere verso le navi per accecare i Greci e infonde maggiore ardimento ai Troiani. Il muro viene attaccato con grande vigore, ma i Greci non arretrano: avvantaggiati dalla posizione sopraelevata, continuano a ferire i Troiani. Gli Aiaci frattanto percorrono l’interno della muraglia per animare i compagni, dicendo loro che, benché non fossero tutti ugualmente valenti nel combattere, erano tutti necessari e si raccomandavano che nessuno arretrasse verso le navi (vv. 312359).
L’incoraggiamento di Sarpedonte
La battaglia è violentissima, ma sarebbe rimasta in equilibrio se Giove non avesse incitato l’ardire del figlio Sarpedonte, che incontra l’amico Glauco. Glauco e Sarpedonte sono i capi dei Licii, alleati dei Troiani (vv. 360385).
385 «Glauco,» gli disse, «perché58 siam noi di seggio, e di vivande e di ricolme tazze innanzi a tutti nella Licia onorati ed ammirati
57. ché cuore tu non hai: non hai coraggio. Lo sta insultando dandogli del codardo, del vile.
58 . perché : pone due domande che non vogliono risposta, cosiddette domande retoriche perché sono funzionali alla costruzione di un discorso persuasivo.
pur come numi? Ond’è59 che lungo il Xanto
390 una gran terra possediam d’ameno sito60, e di biade fertili e di viti?
Certo acciocché primieri andiam tra’ Licii nelle calde battaglie, onde alcun d’essi gridar s’intenda61: “Glorïosi e degni
395 son del comando i nostri re: squisita è lor vivanda, e dolce ambrosia il vino, ma grande il core, e nella pugna i primi62.”
Se il fuggir dal conflitto, o caro amico, ne partorisse63 eterna giovinezza,
400 non io certo vorrei primo di Marte i perigli affrontar, ned64 invitarti a cercar gloria ne’ guerrieri affanni. Ma mille essendo del morir le vie, né scansar nullo65 le potendo, andiamo:
405 noi darem gloria ad altri, od altri a noi». Disse, né Glauco si ritrasse indietro, né ritroso il seguì.
Essi, portandosi dietro numerosi Licii, vanno contro la torre difesa da Menesteo, che invia subito un araldo al Telamonio e al fratello Teucro perché corrano in suo aiuto. Questi accorrono e subito Aiace uccide un Troiano. Teucro, col suo arco infallibile, ferisce ad un braccio Glauco, che si ritira dal campo. Sarpedonte riesce ad aprirsi un varco nel muro, ma viene respinto dai due Telamonidi (vv. 407548).
Ettore sfonda la porta
Così de’ combattenti equilibrata si tenea la pugna,
550 finché l’ora pur venne in che66 dovea spinto da Giove superar primiero
59. Ond’è : come mai.
60. ameno sito: luogo molto bello.
61 . s’intenda: si senta.
62 . ma … primi: ma coraggiosi e i primi a combattere.
63. ne partorisse : ci procurasse.
64. ned: né.
65. nullo: nessuno.
66 in che : in cui, nella quale.
Ettore la muraglia. Alza ei repente67 la terribile voce, ed, «Accorrete,» grida, «o forti Troiani, urtate il muro, 555 spezzatelo, gittate alfin le fiamme vendicatrici nella classe68 achea». L’udîro i Teucri, ed incitati e densi avventârsi ai69 ripari, e sovra il muro montâr coll’aste in pugno. Appo70 le porte
560 un immane giacea macigno acuto71: non l’avrìan mosso agevolmente due de’ presenti mortali anche robusti per carreggiarlo72. A questo diè di piglio Ettore; ed alto sollevollo, e solo
565 senza fatica l’agitò; ché Giove in man del duce lo rendea leggiero. E come nella manca73 il mandrïano74 lieve sostien d’un arïète il vello75 , insensibile peso; a questa guisa
570 Ettore porta sollevato in alto l’enorme sasso, e va dirittamente contro l’assito76 che compatto e grosso delle porte munìa la doppia imposta, da due forti sbarrata internamente
575 spranghe traverse, ed uno era il serrame. Fattosi appresso, ed allargate e ferme saldamente le gambe, onde con forza il colpo liberar, percosse il mezzo77 . Al fulmine del sasso sgangherârsi
67 repente : all’improvviso.
68 classe : flotta. Dal latino classis, “flotta, navi”.
69 avventârsi ai: si avventarono contro i.
70 Appo: presso, vicino a. Latinismo, da apud
71 acuto: acuminato.
72 per carreggiarlo: per caricarlo su un carro e trasportarlo.
soggetto
Come il mandriano così Ettore
73 manca: la mano sinistra. Dal latino mancum, composto di manus e del suffisso -cus, che indicava difetti fisici.
74. mandrïano: custode di una mandria. Deriva dal nome latino mandriam, a sua volta derivato dal greco mandra, “ovile, recinto”.
75 vello: pelo. La lana.
76. La porta è così composta: a doppia imposta, internamente è fermata da due assi incrociate e fissate, all’incrocio, da un serrame, o chiavistello. L’assito è il tavolato di legno di cui sono fatti i due battenti.
77. il mezzo: il centro della porta.
580 i cardini dirotti; orrendamente muggîr le porte, si spezzâr le sbarre, si sfracellò l’assito, e d’ogni parte le schegge ne volâr; tale fu il pondo78 e l’impeto del sasso che di dentro
585 cadde e posò. Pel varco aperto Ettorre si spinse innanzi simigliante a scura ruinosa procella79. Folgorava80 tutto nell’armi di terribil luce; scotea due lance nelle man; gli sguardi
590 mettean lampi e faville, e non l’avrìa81 , quando ei fiero saltò dentro le porte, rattenuto82 verun83 che Dio non fosse. Alle sue schiere allor si volse, e a tutte comandò di varcar l’achea trinciera84 .
595 Obbedîro i Troiani; immantinente85 altri il muro salîr, altri innondâro86 le spalancate porte. Al mar gli Achivi fuggono, e immenso ne seguìa tumulto.
78 . pondo: peso.
79. procella: tempesta.
80. Folgorava: sfolgorava, lampeggiava.
81 . non l’avrìa: non l’avrebbe.
82 . rattenuto: trattenuto.
83. verun: alcuno.
84. l’achea trinciera: il fossato.
85. immantinente : subito, senza por tempo in mezzo.
86 innondâro: come un fiume in piena.
Libro XIII
Tempo: Il ventiseiesimo giorno.
Luoghi: Il campo di battaglia presso le navi, l’accampamento acheo e l’Olimpo.
Nettuno approfitta della distrazione di Giove
Giove, riuscito a far avvicinare Ettore e i Troiani alle navi, li lascia ai loro travagli e se ne va a visitare gli abitanti di altre terre. Evidentemente non pensa che qualcuno degli immortali sarebbe andato a prestare aiuto a Danai e Troiani (vv. 113).
Né invan si stava alla vedetta intanto
15 il re Nettunno che su l’alte assiso1 selvose cime della tracia Samo2 contemplava di là l’aspro conflitto; e tutto l’Ida e Troia e degli Achei le folte antenne3 si vedea davanti.
20 Ivi uscito dell’onde egli sedea, e del cader4 de’ Greci impietosito contro Giove fremea d’alto disdegno. Ratto5 spiccossi dall’alpestre vetta e discese. Tremâr le selve e i monti
25 sotto il piede immortal dell’incedente6 irato Enosigèo7. Tre passi ei fece, e al quarto giunse alla sua meta in Ege8 , ove d’auro corruschi9 in fondo al mare
1 assiso: seduto.
2 tracia Samo: l’isola di Samotracia, al largo della vicina Tracia, dalle cui cime si vedeva bene il conflitto.
3 antenne : gli alberi delle navi, dunque le navi.
4 cader : morire. È impietosito del durissimo momento dei Greci.
5 Ratto: rapidamente. Latino rapidum, poi contratto per caduta della i in rapdum-raptum
6. incedente : che cammina con solennità.
7. Enosigèo: scuotitor della terra. Nettuno era il dio di tutta la terra, mare compreso.
8 . Ege : località dell’Acaia dove fioriva il culto di Nettuno.
9. d’auro corruschi: scintillanti d’oro. Dal latino corruscare, “cozzare con le corna, scintillare”.
sorgono eccelsi10 i suoi palagi11 eterni.
30 Qui venuto i veloci orocriniti eripedi cavalli12 al cocchio aggioga. In aurea vesta si ravvolge tutta la divina persona, ed impugnato l’aureo flagello di gentil lavoro13
35 monta il carro, e leggier vola su l’onda. Dagl’imi14 gorghi uscite a lui dintorno, conoscendo il re lor, l’ampie balene esultano, e per gioia il mar si spiana. Così rapide volano le rote
40 che dell’asse15 né pur si bagna il bronzo; e gli agili cavalli a tutto corso16 verso le navi achee portano il Dio.
Fra Tènedo e fra l’aspra Imbro17 nell’imo s’apre dell’alto sale18 ampia spelonca19 .
45 Qui giunto il nume i corridor sostenne, e dal temo20 gli21 sciolse, e ristorati d’ambrosio cibo, gli allacciò di salde auree pastoie22 d’insolubil nodo, onde attendean lì fermi il redituro23
50 re lor che al campo degli Achei s’indrizza24
10. eccelsi: altissimi.
11 . palagi: palazzi.
12 . oro-criniti eripedi cavalli: cavalli dai piedi di bronzo e dalle criniere biondo oro.
13. flagello di gentil lavoro: una frusta di ottima fattura.
14. imi: profondissimi.
15 asse : l’assale che congiunge le due ruote.
16 corso: corsa.
17 Tènedo … Imbro: due isolette davanti alla Troade.
18 alto sale : mare. Costruisci così: nell’imo dell’alto sale
19 spelonca: grotta.
20 temo: timone. Cioè, carro.
21 gli: li.
22 pastoie : funi. Sono le funi da mettere ai piedi dei cavalli quando pascolano; dal latino pastus, “pascolo”.
23. redituro: che lì doveva tornare. Latinismo: in latino esisteva il futuro dell’infinito, per indicare un evento futuro certo.
24. s’indrizza: si dirige. soggetto
Mentre i Troiani, speranzosi in cuore di occupare le nave e di fare strage degli Achei, seguono i passi Ettore, Nettuno, prese le sembianze di Calcante, si rivolge agli Aiaci per infondere in loro il coraggio di combattere e di respingere i Troiani lontani dalle navi (vv. 5183).
Aiace d’Oilèo s’accorse il primo
85 del portento25; e al figliuol di Telamone di subito converso26, «Amico,» ei disse, «colui che ne27 parlò non egli al certo28 è l’indovino augurator Calcante, ma qualche dell’Olimpo abitatore
90 che ne29 prese le forme, e ne30 comanda di pugnar per le navi. Agevolmente si riconosce un nume, ed io da tergo lui conobbi all’incesso31 appunto in quella che32 si partiva33, e me l’avvisa il core34
95 che di battaglia più che mai bramoso mi ferve35 in petto sì, che mani e piedi brillar mi sento del desìo di pugna».
«E a me,» risponde il gran Telamonìde, «a me pur brilla intorno a questa lancia
100 l’audace destra, e il cor mi cresce in seno, e l’impulso36 de’ piè sento di sotto sì, che pur solo d’azzuffarmi anelo coll’indomito Ettorre». Era di questi tale il discorso, e tal dell’armi il caldo
25 portento: prodigio straordinario.
26 converso: rivolto, girato.
27 ne : ci.
28 al certo: certamente.
29 ne : di lui
30 ne : ci.
31 incesso: da incedere. Cfr. n. 6.
32 in quella che : nel momento in cui.
33. si partiva: si separava da noi.
34. me l’avvisa il core : è il cuore a dirmelo. Il cuore detta le parole, perché il cuore riconosce subito ciò che desidera veramente.
35. ferve : arde.
36. impulso: spinta.
105 desir37 che in petto avea lor posto38 il nume.
Nettunno intanto degli Achei ridesta l’ultime file, che scorate39 e stanche dal marzïal travaglio40 appo i navigli prendean respiro, e di gran duol cagione
110 era loro il veder41 che l’alto muro avean varcato con tumulto i Teucri. Piovea lor dalle ciglia a quella vista un largo pianto, di scampar42 perduta ogni speranza. Ma col pronto arrivo
115 le ravvivò Nettunno43; e pria Leìto e Teucro e Dëipìro e Penelèo e Merïone e Antìloco e Toante, tutti eroi bellicosi, inanimando, «Oh vergogna!» esclamò, «così combatte
120 or dell’argiva gioventude il fiore? nel valor delle vostre armi io sperava salve44 le navi: ma se voi la fiera pugna cessate, il dì supremo è questo della nostra caduta. Oh cielo! oh indegno
125 spettacolo ch’io veggo, e ch’io non mai possibile credea! fino alle navi irrompere i Troiani, essi che dianzi non eran osi45 né un momento pure far fronte ai Greci, e ne fuggìan la possa46
130 come timide cerve, che vaganti per la foresta, e imbelli e senza core47 son di linci, di lupi e leopardi
È indegno e rovinoso far arrivare i Troiani alle navi
37. dell’armi il caldo desir : l’ardente, appassionato desiderio di combattere. È lo spirito battagliero, che dà coraggio.
38 avea posto: indicativo trapassato del verbo porre
39 scorate : avvilite profondamente. È derivato di “cuore”, con s- privativa. Dunque, letteralmente, significa “senza cuore”.
40 marzïal travaglio: la crudele fatica della guerra (marzial ).
41 e di … il veder. Costruisci così: e il veder (e vedere [che i Teucri, ecc.]) era loro (per loro) cagione di gran duol.
42 . di scampar : di scampare al disastro.
43. Nettunno: sempre sotto le sembianze di Calcante.
44. salve : di salvare.
45. non eran osi: non osavano.
46. possa: potenza, forza.
47. imbelli e senza core : inette alla guerra e prive di coraggio.
l’ingorde canne a satollar serbate48 . Or ecco che lontan dalla cittade
135 fino alle navi la battaglia spingono49 colpa del duce Atrìde e noncuranza de’ guerrier che con esso incolleriti, anzi che a scampo delle navi armarsi, trucidar vi si fanno50. E nondimeno
140 benché l’Atrìde eroe veracemente sia di ciò tutto la cagion, per l’onta ch’egli fece al Pelìde, a noi non lice a verun patto abbandonar la pugna51 . Via, s’emendi l’error52: le generose
145 alme i lor falli a riparar son preste; né voi, sendo i più forti, onestamente53 il valor vostro rallentar potete; ned io col vile che pugnar ricusa54 so corrucciarmi, ma con voi mi sdegno 150 altamente, con voi che fatti or molli ed ignavi e codardi un maggior danno vi preparate55. In sé ciascuno adunque il pudor svegli e del disnor la tema56 . Grande è il certame57 che s’accese: il prode
155 Ettore è quegli che le navi assalta, e le porte già ruppe e l’alta sbarra».
Da questi di Nettunno acri conforti58
Voi potete riparare l’errore di Agamennone combattendo
Non si può sgridare un vile, ma bisogna far temere il disonore al prode
48 son … serbate. Costruisci così: sono serbate (conservate, messe da parte per servirsene poi) a satollar (saziar) l’ingorde canne (gole) di linci, di lupi e leopardi.
49. spingono: il soggetto sottinteso è i Troiani.
50. colpa … vi si fanno. Intendi: colpa di Agamennone e di quelli che si sono ritirati perché sono incolleriti con lui. È un accenno, sviluppato subito dopo, al risentimento generale degli Achei, e non solo dei capi, per l’offesa fatta ad Achille.
51 a noi … la pugna. Intendi: non ci è permesso decidere, fare patti per abbandonare il combattimento.
52 . s’emendi l’error : si corregga lo sbaglio (cioè il non combattere).
53. onestamente : secondo onestà, cioè secondo un comportamento onorevole.
54. ricusa: non accetta, rifiuta.
55. ned io … vi preparate. Intendi: non mi arrabbio con chi si è ritirato e non combatte per viltà, ma con chi è còlto da paura e per questo rischia di farsi ammazzare.
56 In sé … la tema. Costruisci così: ciascuno adunque svegli in sé il pudor e la tema (il timore) del disnor (disonore).
57. certame : combattimento. È un latinismo, da certamen.
58 . acri conforti: pungenti rinvigorimenti. Conforto deriva dal latino confortare : cum (insieme) fortis (forte), un vocabolo che sottolinea che insieme si acquista maggior forza.
incoraggiate le falangi achee si strinsero agli Aiaci in sì bel cerchio, 160 che stupito n’avrìa Marte e la stessa Minerva de’ guerrieri eccitatrice59 .
Questo fior di gagliardi il duro assalto de’ Troiani e d’Ettòr fermo attendea, come siepe stipando ed appoggiando 165 scudo a scudo, asta ad asta, ed elmo ad elmo e guerriero a guerrier; sì che gli eccelsi cimier su i coni rilucenti insieme confondean l’onda delle chiome equine. Così densati60 procedean di punta61
170 contra il nemico questi forti, ognuno nella robusta mano arditamente bilanciando il suo telo, e di dar dentro tutti vogliosi62. Fûr primieri i Teucri stretti insieme a far impeto precorsi63
175 dall’intrepido Ettòr, pari a veloce rovinoso macigno che torrente per gran pioggia cresciuto da petrosa rupe divelse e spinse al basso; ei vola precipite a gran salti, e si fa sotto
180 la selva risonar; né il corso allenta finché giunto alla valle ivi si queta immobile. Così pel campo Ettorre seminando la strage, infino al mare penetrar minacciava64, e senza intoppo
185 fra le navi cacciarsi e fra le tende.
Come siepi
così i guerrieri
Come un macigno
soggetto
così Ettore
59 Da questi … eccitatrice : le falangi achee e gli Aiaci sono confortati da questi pungenti incoraggiamenti di Nettuno, tanto che se ne stupirebbero gli stessi dèi guerrieri Marte e Minerva. Dunque, se è vero che quando il cuore ha paura impedisce di agire, è pur vero che il cuore può cambiare se qualche dio tocca la persona e le mostra per quali ragioni vale la pena di tornare a combattere.
60. densati: addensati, raggruppati fittamente.
61 . di punta: puntando.
62 . e di dar dentro tutti vogliosi: desiderando intensamente di attaccare.
63. precorsi: preceduti.
64 minacciava: da questo verbo (minacciava di) dipendono penetrare e cacciarsi
Ma come a fronte65 ei giunse della densa falange s’arrestò, vano vedendo di spezzarla ogni mezzo: e di rincontro l’appuntâr colle lance e colle spade
190 sì fieri i figli degli Achei, che a forza l’allontanâr. Respinto ei diede addietro, ed alto a’ suoi gridò: «Troiani, e Licii e Dardani, deh voi fermo tenete; ché, benché denso, lo squadron nemico
200 non sosterrammi a lungo, e all’urto io spero della mia lancia piegherà, se invano non eccitommi il più possente Iddio, l’altitonante di Giunon marito». Di ciascuno destâr la lena e il core
205 queste parole.
Prime crudeli schermaglie
soggetto
Allora Deifobo, figlio di Priamo, con grande ardire avanza a lenti passi, protetto dallo scudo. Merione lo vede e gli tira contro la lancia, ma questa si spezza contro lo scudo, e così Merione è costretto ad andare a prenderne un’altra nella sua tenda.
Intanto la battaglia cresce. Il telamonio Teucro uccide Imbrio, genero del re di Pedèo, alleato dei Troiani. Si avventa per prendere le armi, ma Ettore gli scaglia contro la lancia. Quello se ne accorge, si abbassa, e allora il telo prende in pieno petto Amfimaco, nipote di Nettuno, appena entrato nella mischia. Ettore vola a prenderne l’elmo, ma un colpo di lancia di Aiace è così forte che, seppur senza ferirlo, lo sposta, e i cadaveri sono lasciati agli Achei, che li ritirano. Aiace d’Oileo vendica Amfimaco mozzando la testa di Imbrio e gettandola ai piedi di Ettore (vv. 205270).
Nettuno fa cuore a Idomeneo
Nettuno, sdegnato per la morte del nipote, decide la rovina dei Troiani e si avvia fra le navi per animare gli Achei. Lo incontra Idomeneo, al quale Nettuno, prese le sembianze di Toante, il capo degli Etoli, chiede che fine avessero fatto le sue minacce ai Teucri (vv. 271290).
65 a fronte : di fronte.
«Nullo qui manca al suo dover,» rispose il gnossio66 duce, «nullo, per mio sentire, e sappiam tutti pugnar. Nessun da vil tema è preso,
295 nessun fiaccato da desidia67 fugge l’affanno marzïal68. Ma del possente Giove quest’è la fantasia, che lungi dalla patria perire inonorati qui debbano gli Achei. Ma tu che fosti
300 sempre un forte, o Toante, e altrui se’ uso destar coraggio, se allentar lo vedi, segui a farlo69, e rinfranca ogni guerriero». «Possa da Troia,» replicò Nettunno, «non si far più ritorno, e qui de’ cani
305 rimanersi sollazzo70 , ognun che71 cerchi in questo giorno abbandonar la pugna. Va, ti rïarma, e vieni, e tenteremo, benché due soli, di far tale un fatto ch’utile torni72. La congiunta forza
310 pur degl’imbelli è di momento, e noi ancor co’ prodi guerreggiar sappiamo».
Disse, e mischiossi il Dio nel travaglioso mortal conflitto.
soggetto
Idomeneo rientra nella sua tenda, si veste tutto quanto delle sue belle armi, prende due lance e si avvia. Incontrato Merione, il suo fedele aiutante che sta cercando un’altra lancia, lo invita a prendere una delle sue numerose lance sottratte ai Troiani in combattimento. Aggiunge che avrebbe trovato molte altre armi, perché era solito combattere i nemici da vicino per sottrar loro le armi. Merione dice che pure lui ne ha tante di spoglie dei Troiani, ma nella sua lontana tenda, e aggiunge che anche
66 gnossio: re di Gnosso, città cretese. Si riferisce a Idomeneo.
67 desidia: pigrizia, inerzia. È un latinismo
68 . l’affanno marzïal: la pena, il travaglio della guerra.
69. farlo: destare coraggio.
70. sollazzo: divertimento.
71 . ognun che : chiunque.
72 . di far … torni. Costruisci così: di fare un fatto tale (così importante) che torni utile (sottinteso: a tutti).
lui è di valore nel combattimento, anche se gli Achei non lo sanno (vv. 313351).
«Sì, lo73 conosco,» Idomenèo riprese, «ma che ridirlo or tu? L’agguato è il campo ove in sua chiarità74 splende il coraggio,
355 e dal codardo75 si discerne76 il prode77 . Color cangia78 il codardo, e il cor mal fermo79 non gli permette di tenersi immoto80 un solo istante; mancagli il ginocchio, sul calcagno s’accascia, e immaginando
360 vicino il suo morir, l’alma nel seno palpita e trema dibattendo i denti. Ma81 collocato nell’insidia il forte né cor cangia82 né volto, e della zuffa il momento sospira83. E a noi tenuti
365 tra’ più gagliardi, se l’andar ne tocchi d’un agguato al periglio, a noi pur anco e del tuo braccio e del tuo cor palese si farìa la virtù84. Se nella pugna fia che ti colga85 un qualche telo, al certo
73. lo: il valore in guerra di Merione.
74. chiarità: chiarezza, purezza, splendore.
Affermazione introduttiva
Descrizione del codardo
Descrizione del prode
75. codardo: che si ritira per pusillanimità, vigliaccheria. Dal francese antico couard, con la coda (cou) bassa.
76. si discerne : si vede distintamente. Dal latino cernere (scegliere) dis (separando).
77 prode : valoroso. Dal latino prodest, è utile ( pro ). È il contrario di codardo.
78 Color cangia: cambia colore, impallidisce.
79 mal fermo: infermo, ammalato.
80 immoto: immobile. Il codardo è irrequieto, e non riesce a stare fermo un attimo come dovrebbe, invece, per affrontare il pericolo.
81 Ma: invece. Bellissimo e utilissimo questo connettore avversativo: esso introduce l’opposizione radicale fra il codardo e il forte. Si può così schematizzare la struttura di questo brevissimo discorso, diviso in tre parti: vv. 353355, affermazione introduttiva, sinteticissima; vv. 356 361, descrizione del codardo; vv. 362364, opposta descrizione del forte. I versi cardine del discorso sono infatti tre: v. 355, dove si dichiara di cosa si parla (si discerne); v. 356, dove è subito nominato il codardo, primo della serie del verso precedente in modo da far attendere che si parli anche del forte ; v. 362, chiave di tutto il discorso perché comincia col ma, che è il punto di svolta che introduce la conclusione del discorso, e finisce con prode, che dà senso completo al ma
82 né cor cangia: né cambia il cuore. Il forte, al contrario del codardo, ha il cuore che non cambia, è sicuro di sé e si ferma a riflettere su come affrontare l’insidia, il pericolo.
83. sospira: desidera ardentemente.
84. se … virtù. Costruisci così: se ne tocchi (se ci toccasse) l’andar al periglio d’un agguato, a noi pur anco si farìa palese (si mostrerebbe) la virtù e del tuo braccio e del tuo cor.
85. fia che ti colga: ti cogliesse.
370 il tergo no ma piagheratti86 il petto, e diritto corrente all’inimico87 , e tra’ primieri avvolto, e nel più denso della battaglia. Ma non più parole; onde a caso qualcun sopravvenendo
375 di88 vanitosi cianciatori a dritto89 non ci getti rampogna90. Orsù, t’affretta nella tenda, e una forte asta ti piglia».
Merione va a prendere una lancia e raggiunge Idomeneo. Insieme si dirigono verso l’ala sinistra che pare bisognosa d’aiuto, mentre il centro è ben difeso dai due Aiaci e da Teucro, i quali avrebbero fatto pagar caro l’assalto a Ettore (vv. 378419).
420 I Troiani, veduto Idomenèo come vampa di foco alla lor volta col suo scudier venirne, orrendo ei pure di91 scintillanti arnesi, inanimando sé medesmi a vicenda, ad incontrarli
425 mossero tutti di conserto. Allora surse avanti alle poppe aspro conflitto.
A quella guisa che ne’ caldi giorni, quando copre le vie la molta polve, s’alza turbo di vento che solleva
430 sibilando di sabbia una gran nube; tali ardendo nel cor di porsi a morte co’ ferri acuti, s’attaccâr le schiere. Irto era tutto il campo (orrida vista!) di lunghe aste impugnate, e il ferreo lampo
435 degli usberghi, degli elmi e degli scudi tutti in confuso folgoranti e tersi92 facea barbaglio93 agli occhi; e stato ei fôra94
86. piagheratti: ti piagherà, ti ferirà.
Come un turbo di vento così l’attacco delle schiere
87. diritto corrente all’inimico. Intendi: mentre corri dritto contro il nemico.
88 . di: come.
89. a dritto: a buon diritto, con piena ragione.
90. non ci getti rampogna: non ci biasimi, non ci sgridi.
91 . orrendo … di: che fa orrore anche lui per.
92 . tersi: puliti.
93. barbaglio: abbagliamento prodotto da luce intensa.
94 fôra: sarebbe.
ben audace quel cor che vista avesse95 tranquillo e lieto la crudel contesa.
Giove e Nettuno in combattimento
440 Così divisi di favor li due possenti figli di Saturno, acerbe ordìan gravezze96 ai combattenti eroi. Di qua Giove ai Troiani e al forte Ettorre la vittoria desìa; non ch’egli intero
445 voglia lo scempio97 della gente achea, ma sol quanto a innalzar del grande Achille basti la gloria ed onorar la madre98: di là furtivo99 da’ suoi gorghi uscito Nettunno infiamma colla dìa100 presenza
450 degli Argivi il coraggio, e del vederli domi101 dai Teucri doloroso freme contro Giove di sdegno102. Una è d’entrambi l’origine divina e il nascimento: ma nacque Giove il primo, e più sapea.
455 Quindi il minor fratello alla scoperta103 oso non era d’aitarli104, e solo celatamente ed in sembianza umana infondea loro ardire. A questo modo l’un nume e l’altro agli uni e agli altri iniqua
460 d’aspre discordie ordiro una catena105
soggetto
complemento oggetto
complemento oggetto
95 vista avesse : avesse vista. Importante anticipazione del complemento oggetto, ottenuta tramite la concordanza del verbo con esso. Con questa anticipazione viene evidenziata l’audacia del cuore che guarda, e viene creata l’attesa per quel che seguirà. Questo tipo di accordo si chiama costruzione a senso
96 gravezze : travagli.
97 lo scempio: la rovina.
98 ma … madre : come promessole nel Libro I.
99 furtivo: nascosto. Aggettivo predicativo che concorda con Nettuno.
100 dìa: divina.
101 domi: domati.
102 . doloroso … sdegno. Costruisci così: freme, doloroso di sdegno, contro Giove.
103. alla scoperta: scopertamente.
104. oso non era d’aitarli: non osava aiutarli.
105. E infatti in tutto questo libro balza agli occhi evidente questa catena irrefrenabile, per cui da un duello se ne genera un altro.
che né spezzare si potea né sciorre106 , e che stese di molti al suol la forza.
Imprese di Idomeneo
Nonostante l’età, Idomeneo assale i Teucri con vigore giovanile, dopo aver fatto coraggio ai Greci. Uccide subito Otrioneo. Avanza per vendicarlo Asio, ma Idomeneo gli conficca la lancia nella gola sotto il mento. Interviene Deifobo contro Idomeneo per vendicare Asio e tira, ma il re di Creta para il colpo con lo scudo. La lancia rimbalza e colpisce Ipsenore sotto il collo.
Idomeneo è sempre più infiammato nel cuore dalla brama di uccidere qualche Troiano, per allontanare l’eccidio dei Greci. Si imbatte in Alcatoo, figlio della maggiore delle figlie di Anchise. Nettuno gli intorpidisce le membra e gli annebbia la vista, e così immobile e dritto come una colonna viene colpito nel petto dalla lancia di Idomeneo, che gli trafora la corazza. Alcatoo cade con strepito e il battere del cuore fa tremare tutta l’asta per la sua lunghezza, fino a quando si quieta del tutto.
Vantandosi dei guerrieri abbattuti, Idomeneo sfida Deifobo perché ha detto di essersi vendicato sui Greci: lo sfida a provare la sua discendenza da Minosse, primo re di Creta, e quindi da Giove, suo genitore (vv. 463585).
Deifobo commuove Enea
A queste parole Deifobo rimane fermo per decidere se affrontare da solo Idomeneo o richiedere l’aiuto di qualcuno. Per risolvere questo dubbio, gli pare meglio rivolgersi ad Enea, che è lì vicino immobile a rodersi il cuore perché Priamo lo vuole lasciare inonorato senza fama (vv. 586594).
595 Venne a lui dunque, e così disse: «Enea chiaro107 de’ Teucri capitan: se cura de’ congiunti108 ti tocca109, il tuo cognato esanime110 soccorri. Andiam, la morte
106. sciorre : sciogliere.
107. chiaro: illustre.
108 . congiunti: parenti.
109. ti tocca: ti colpisce il cuore.
110 esanime : che è morto. Dal latino: privo (ex ) di anima (anima).
vendichiam d’Alcatòo che un dì marito
600 di tua sorella t’educò bambino, e ch’or d’Idomenèo l’asta ti spense». Si commosse111 l’eroe racceso il petto112 del desìo della pugna, ed alla volta d’Idomenèo volò. Né già si volse
605 come fanciullo in fuga il re cretese, ma fermo stette ad aspettarlo. E quale cinghial che sente le sue forze, aspetta in solitario loco alla montagna de’ cacciator la turba: alto sul dosso
610 arriccia il pelo, e una terribil luce lampeggiando dagli occhi i denti arruota, di sbaragliar le torme impazïente degli uomini e de’ cani113: in tal sembianza fermo si stava Idomenèo, l’assalto
615 aspettando d’Enea.
soggetto
Come il cinghiale aspetta i cacciatori
così Idomeneo aspetta l’assalto d’Enea
Idomeneo chiama Ascalafo, Afareo, Deipiro, Merione ed Antiloco, maestri in guerra e loro si mettono al suo fianco con gli scudi protesi. Dall’altra parte Enea chiama a soccorso Deifobo, Pari e Agenore, tutti condottieri dei Teucri seguiti dalle loro schiere (vv. 616637). Intorno al corpo di Alcatoo si accende una zuffa orrenda, e i due famosi guerrieri bramano di ferirsi a vicenda. Enea tira per primo, ma l’avversario schiva il colpo e l’asta si conficca al suolo. Idomeneo uccide Enomao con un colpo che incide gli intestini. Questi cade nella polvere e stringe la sabbia coi pugni. Il suo vincitore svelle la lancia dal morto, ma non può rapirgli le armi perché oppresso da una tempesta di frecce, e non ha gambe veloci per riprendersi l’asta o per schivare quella nemica. Deifobo, sempre col cuore caldo di rabbia, vistolo arretrare a passi lenti, gli avventa contro la lancia, ma non
111 . Si commosse : si mosse a pietà. Dal latino: muoversi (se movere) insieme (cum). Il verbo evidenzia il cambiamento operato nel cuore di Enea dall’intervento di Deifobo: senza di lui, e senza il richiamo agli affetti, Enea sarebbe rimasto fermo a rimuginare sui suoi casi. Non si può evitare il parallelo con Achille.
112 . racceso il petto: di nuovo acceso nel petto, nel cuore.
113. di sbaragliar … de’ cani. Costruisci così: impaziente di sbaragliar le torme degli uomini e dei cani.
lo colpisce. Colpisce invece Ascalafo, figlio di Marte.
Intanto si scatena una pugna crudele sul corpo d’Ascalafo. Deifobo gli prende l’elmo e Merione lo colpisce alla mano facendoglielo cadere, poi si ritira fra i suoi. Polite soccorre il fratello Deifobo, lo fa salire su un carro e lo porta in città.
La battaglia cresce e le immense grida salgono al cielo. Enea colpisce d’asta Afareo alla gola, mentre questo lo investe frontalmente. Antiloco assalta Toone che sta fuggendo e gli recide la vena che sale al collo per la schiena. Questi cade di schiena e tende le mani ai compagni, ma Antiloco gli è addosso e lo spoglia delle armi mentre tiene d’occhio i Teucri che gli tempestano lo scudo di dardi. Ma nessuno di questi può colpire il gentil corpo del figlio di Nestore, perché Nettuno lo protegge da tutti. Egli continua a mischiarsi fra i nemici pronto a ferirli con l’asta protesa in pugno. Lo vede Adamante e lo colpisce sullo scudo, ma Nettuno gli fa spezzare la lancia, che resta metà attaccata e metà a terra. Allora si ritira, ma Merione gli spinge l’asta nel ventre, dove la ferita è mortale. Il trafitto cade sulla lancia e si contorce tutto, ma il suo penare è breve: Merione accorre e, svelta l’arma dal corpo, lo acquieta per sempre.
Eleno uccide Deipiro con un colpo di spada alla testa e Menelao, addolorato per l’amico ucciso, alza la sua lancia contro Eleno. Questi gli va incontro tendendo l’arco, e scaglia la sua freccia che tuttavia rimbalza sullo scudo del minore Atrìde. Di risposta, Menelao gli ferisce la mano che tiene l’arco e lo costringe a retrocedere fra i suoi, dove viene curato da Agenore. Pisandro va contro Menelao di punta, ma questa si spezza sullo scudo. Nondimeno, gioisce nel cuore e si proclama vincitore. Allora Menelao lo affronta di spada e quello si difende con un’ascia bipenne. Si muovono contemporaneamente: Pisandro colpisce sull’elmo, sotto il cimiero, ma inutilmente; l’altro lo coglie nella fronte, alla radice del naso. L’osso crepita e gli occhi gli cadono a terra, egli s’incurva e poi finisce a terra. Menelao gli prende le armi, calca il petto col suo piede ed esclama glorioso (vv. 638794):
795 «Ecco la via114 per cui de’ bellicosi
Dànai le navi lascerete alfine, perfidi115 Teucri ognor di sangue ingordi. Vi fu poco116 l’aver, malvagi cani, con altra fellonia117, con altre offese
800 vïolati i miei lari118, e del tonante
Giove ospital119 sprezzata120 la tremenda ira che un giorno svellerà121 dal fondo l’alta vostra città; poco il rapirmi una giovine sposa e assai ricchezza
805 da nulla ingiuria offesi, anzi a cortese ospizio accolti e accarezzati122. Or anco123 desìo vi strugge124 di gittar nel mezzo delle navi le fiamme, e degli achivi eroi far scempio125. Ma verrà chi ponga 810 vostro malgrado a furor tanto il freno126 . Giove padre, per certo uomini e Dei di saggezza tu vinci, e nondimeno da te vien tutto sì nefando127 eccesso128 , da te de’ Teucri difensor, di questa 815 sempre d’oltraggi e d’ingiustizie amica
114 la via: il modo.
115. perfidi: sleali. Composto dal latino per (al di là) e fides (fedeltà, lealtà).
116. Vi fu poco: teneste poco da conto, non vi importò. Si suggerisce una traccia per la costruzione dei versi seguenti: vi fu poco l’aver violati …, e (l’aver) sprezzata …; (vi fu) poco il rapirmi …
117. fellonia: infedeltà.
118 . lari: i Lari sono divinità latine, protettrici della casa e della famiglia. È dunque un’espressione di Monti e non di Omero.
119 del … ospital: di Giove che tutela i diritti dell’ospitalità.
120 sprezzata: da unire ad aver, “aver disprezzata”.
121 svellerà: strapperà.
122 da nulla … accarezzati. Intendi: senza motivo, perché non foste offesi da nessuna ingiuria ma, anzi, accolti con cortese ospitalità.
123. anco: addirittura.
124. desìo vi strugge : siete consumati dal desiderio.
125. scempio: strage.
126. Ma … freno. Costruisci così: Ma verrà chi ponga vostro malgrado il freno a tanto furor.
127. nefando: empio. Dal latino nefandum, “di cui non si può parlare”, composto di ne (non) e fandum (gerundio di fari, parlare).
128 eccesso: superamento della giusta misura. È la hybris, l’illimitata fiducia nelle proprie energie e capacità che non tiene conto dei confini tracciati dalla condizione umana, e che fa tentare la scalata al cielo.
razza iniqua129 che mai delle rie zuffe di Marte non si sbrama130. Il cor di tutte cose alfin sente sazietà, del sonno, della danza, del canto e dell’amore, 820 piacer più cari che la guerra; e mai sazi di guerra non saranno i Teucri?»
Ciò detto, Menelao passa le armi insanguinate ai suoi e poi va di nuovo all’assalto. Arpalione gli scaglia contro la sua lancia, ma visto fallire il colpo si ritira fra i suoi per salvarsi la vita, guardando attentamente di non essere colpito. Ed ecco una freccia scagliata da Merione lo ferisce mortalmente.
Paride si dispiace moltissimo della morte di Arpalione, che un tempo lo aveva ospitato, e libera dalla cocca una saetta mortale in direzione di Euchenorre, figlio dell’indovino Poliide. La battaglia così procede, e ancora Ettore non s’è accorto della strage che i Troiani subiscono sulla sinistra, tali sono l’impulso e l’ardire infusi da Nettuno agli Achei. Egli combatte nel punto in cui è entrato dalle porte e ha superato il muro, e con i suoi è vicino alle navi di Aiace e di Protesilao. Siccome il muro da quella parte è più basso, là è più forte la battaglia. Ftii, Beozi, Locresi, Ionii ed Epei sono tutti accorsi a tenere lontano la rovina di Ettore. Aiace d’Oileo combatte sempre al fianco del Telamonio. Molta gagliarda gioventù segue il Telamonio, ma i Locresi non seguono il figlio d’Oileo, poiché non sono protetti da armature adeguate. Costoro sono armati solo di archi e di fionde, dai quali scagliano la morte e rompono le falangi dei Troiani. In questo modo, mentre gli Aiaci sul primo fronte arginano l’impeto del fiero Ettore, nascosti dietro a loro i Locresi, saettando e frombolando con le fionde, turbano le ordinanze dei Teucri, che ormai sono smarriti e disordinati (vv. 822933).
129. di questa … razza iniqua. Costruisci così: di questa razza iniqua sempre amica d’oltraggi e d’ingiustizie. 130 non si sbrama: non si toglie la brama, non si sazia.
Allora i Troiani sarebbero stati costretti a ritirarsi se Polidamante non si fosse rivolto così ad Ettore (vv. 934938):
«Ettorre, ai saggi avvisi tu mal presti l’orecchio131. E perché Giove 940 alto ti diede militar favore, vuoi tu forse per questo agli altri ir sopra di prudenza e consiglio132? Ad un sol tempo tutto aver tu non puoi. Di Giove il senno largisce133 a questi la virtù guerriera, 945 l’arte a quei della danza, ad altri il suono e il canto delle muse, ad altri in petto pon la saggezza che i mortai governa e le città conserva; e sànne il prezzo chi la possiede. Or io dirò l’avviso134 950 che mi sembra il miglior. Per tutto, il vedi, ti cinge il fuoco della guerra. I Teucri, con magnanimo ardir135 passato il muro, parte136 coll’armi già dan volta137, e parte138 pugnano ancor, ma pochi incontro a139 molti, 955 e spersi140 tutti fra le navi. Or dunque tu ti ritraggi alquanto, e tutti aduna141 qui del campo i migliori, e delle cose consultata la somma142, si decida
131 . ai … orecchio: l’indovino Polidamante aveva invano sconsigliato Ettore di assalire il muro (cfr. Libro XII, vv. 258 287).
132 agli altri … consiglio. Intendi: sentirti maggiore degli altri per prudenza e assennatezza. Polidamante sta facendo notare ad Ettore, con una certa schiettezza, che il suo piano d’assalto non sta più tenendo conto di quanti compagni muoiono, e ciò, oltre alla dissennatezza per le perdite, sta mettendo a rischio la manovra.
133 largisce : concede generosamente.
134 l’avviso: il parere, il consiglio. È la richiesta di fermarsi a riflettere sulla situazione, è la richiesta di tornare ad essere prudente e assennato.
135. con magnanimo ardir : con l’ardimento delle grandi anime.
136. parte : alcuni.
137. dan volta: stanno lontani dalla battaglia.
138 . e parte : e altri.
139. incontro a: contro.
140. spersi: dispersi, sparpagliati.
141 . aduna: raduna.
142 . delle cose consultata la somma: fatto il punto della situazione. soggetto
se delle navi ritentar si debba
960 l’assalto, ove pur voglia un qualche iddio143 darne144 alfin la vittoria, o se più torni145 l’abbandonarle illesi. Il cor mi turba un timor che non paghi oggi il nemico il debito di ieri. In quelle navi 965 posa un guerrier terribile, che all’armi per mia credenza146 desterassi in breve147».
soggetti
Il consiglio piace molto ad Ettore, che subito fa in modo di realizzarlo. Innanzitutto va a chiamare i capi per radunarli, ma non li trova né tutti illesi né tutti in vita (vv. 967989).
Ettore vede Paride, alla sinistra, che cerca di convincere i suoi compagni a combattere. Allora gli va contro e lo sgrida, accusandolo di trascurare la battaglia. Ma lui risponde che questa volta non ha ragione di essere adirato con lui (vv. 9901012).
Or dove il cor ti dice, guidami: io pronto seguirotti, e quanto potran mie forze, ti farò, mi spero, 1015 il mio valor palese148. Oltre sua possa149 , benché abbondi il voler, nessuno è forte».
Piegâr quei detti del fratello150 il core, e di conserva151 entrambi ove più ferve la mischia s’avvïâr. […]
143. ove pur voglia un qualche iddio: nel caso in cui un dio ancora volesse.
144. darne : darci.
145. più torni: convenga.
146. per mia credenza: secondo me.
147. Achille non è nominato perché è già nell’aria il presentimento e l’incubo del suo ritorno.
148 . palese : manifesto, evidente.
149. possa: potenza, capacità di forza.
150. del fratello: di Ettore.
151 di conserva: per aiutare.
Come di venti impetuosi un turbo152 dal tuon di Giove generato piomba su la campagna, e con fracasso orrendo sovra il mar si diffonde: immensi e spessi
1030 bollono i flutti di canuta153 spuma, e con fiero mugghiar l’un l’altro incalza154 al155 risonante lido: a questa guisa in ristretti drappelli156, e gli uni agli altri succedenti i Troiani e scintillanti
1035 tutti nell’armi ne venìan su l’orme de’ condottieri, e precorreali157 Ettorre non minor del terribile Gradivo158 .
Come i flutti si susseguono e si rinforzano sotto il vento così i Troiani seguono Ettore
Egli si tiene davanti uno scudo rinforzato con molte piastre e l’elmo in testa gli lampeggia. Avanza passo passo e studia come sgominare i nemici. Ma il coraggio degli Achei non si turba, anzi Aiace gli va incontro per primo a larghi passi per provocarlo dicendogli che non è lontana l’ora in cui Troia sarà distrutta. E in alto sulla destra appare un’aquila, segno beneaugurante che rincuora i Greci.
Ma Ettore risponde dicendosi certo che è giunto il giorno della rovina degli Achei e che lui verrà ammazzato dalla sua lancia. Così detto avanza e con un urlo gli vanno dietro i Teucri.
Dall’altra parte anche i Greci emettono un alto grido e vanno all’assalto. Il clamore dei due eserciti ferisce le stelle e arriva fino a Giove (vv. 10381085).
152 turbo: vortice di vento e tempesta.
153 canuta: bianca.
154. l’un l’altro incalza: un flutto incalza l’altro.
155. al: verso, in direzione di.
156. drappelli: gruppi. Diminutivo di drappo, nel significato di insegna, passato a significare il gruppo di soldati che militano sotto la stessa insegna.
157. precorreali: li precedeva.
158 terribile Gradivo: Marte.
Tempo: Il ventiseiesimo giorno.
Luoghi: Il campo di battaglia presso le navi, l’accampamento acheo e l’Olimpo.
Nestore è preoccupato
Mentre si ristora con Macaone, Nestore sente gridare i giovani guerrieri più forte del solito proprio vicino alle navi. Si arma di scudo e di lancia ed esce. Ma appena fuori dalla tenda si ferma perché ha davanti a sé uno spettacolo penoso: i Greci cacciati e in fuga, i Teucri che li inseguono, il muro diroccato e la porta distrutta. Rimane in forse un momento fra due pensieri, se gettarsi nella mischia dei Danai, o andare da Agamennone. Gli sembra meglio andare dal re.
Durante il tragitto gli si fanno incontro Agamennone, Ulisse e Diomede, tutti e tre feriti. Le loro navi sono le più lontane dal conflitto, perché sono state tirate in secco per ultime e si trovano sulla battigia. Le altre navi sono state portate più dentro la pianura perché il lido, benché largo, non può contenerle tutte. Sono state disposte in file serrate, tanto che le schiere di soldati hanno poco spazio, e quelle più lontane dal lido sono quelle più vicine alla battaglia e intorno alle loro poppe è stato costruito il muro.
Quei duci osservano la battaglia con la tristezza nel cuore, muovendosi lentamente insieme e appoggiandosi all’asta. Agamennone si spaventa ancor più a vedere Nestore, temendo che la minaccia di Ettore di non tornare in città prima di aver ucciso tutti gli Achei e di aver bruciato tutte le navi, si stesse realizzando. Aggiunge anche che i guerrieri non hanno voglia di combattere per il rancore verso di lui (vv. 166).
I duci a consulta
«Ahi! pur troppo l’evento è manifesto,» Nestor rispose, «né disfare il fatto lo stesso tonator Giove potrebbe.
70 Il muro, che de’ legni e di noi stessi
Il muro è rotto
riparo invitto1 speravam, quel muro
cadde, il nemico ne2 combatte intorno con ostinato ardire e senza posa3: né, come che4 tu l’occhio attento volga,
75 più ti sapresti5 da qual parte il danno degli Achivi è maggior, tanto son essi alla rinfusa uccisi, e tanti i gridi di che6 l’aria risuona. Or noi qui tosto, se verun più ne resta util consiglio7 ,
80 consultiamo il da farsi. Entrar nel forte della mischia8 non io però v’esorto, ché mal combatte il battaglier9 ferito». «Saggio vegliardo,» replicò l’Atrìde, «poiché fino alle tende hanno i nemici
85 spinta la pugna10, e più non giova il vallo11 né della fossa né dell’alto muro, a cui tanto sudammo, e invïolato schermo il tenemmo12 delle navi e nostro, chiaro ne13 par che al prepossente14 Giove
90 caro è il nostro perir su questa riva lungi d’Argo, infamati15. Il16 vidi un tempo proteggere gli Achei; lui17 veggo18 adesso i Troiani onorar quanto gli stessi
Gli Achei sono uccisi alla rinfusa decidiamo cosa fare
è chiaro che Giove è contro di noi
1 riparo invitto: protezione indistruttibile. È frequente l’uso del participio passato per intendere l’aggettivo che indica la possibilità e che si forma col suffisso -bile. Per esempio: invitto per invincibile o, al v. 87, inviolato per inviolabile.
2 . ne : ci, a noi.
3. con … posa. Intendi: con tenace ardimento e senza fermarsi mai.
4. come che : basta che, non appena.
5. ti sapresti: sapresti capire.
6. di che : di cui.
7. se … consiglio. Intendi: se ci resta ancora qualche utile suggerimento.
8 . nel forte della mischia: dove la mischia è più forte.
9 il battaglier : il combattente.
10 spinta la pugna: costruzione a senso, perché il verbo hanno spinta concorda col complemento oggetto.
11 il vallo: il baluardo difensivo.
12 invïolato schermo il tenemmo. Intendi: lo considerammo un riparo inattaccabile.
13 ne : ci.
14 prepossente : prepotente, potentissimo. Il prefisso superlativo pre- è usato alla latina ed equivale al suffisso italiano issimo.
15. infamati: disonorati.
16. Il: lo.
17. lui: lo.
18 . veggo: vedo.
beati Eterni, e incatenar le nostre
95 forze e l’ardir. Mia voce adunque udite. Le navi, che ne stanno in secco al primo lembo19 del lido, si sospingan tutte nel vasto mare, e tutte sieno in alto20 sull’àncora fermate insin che21 fitta22
100 giunga la notte, dal cui velo ascosi23 varar24 potremo il resto, ove pur sia25 che ne dian tregua dalla pugna i Teucri. Non è biasmo26 fuggir di notte ancora27 il proprio danno, ed è pur sempre il meglio
105 scampar fuggendo, che restar captivo28».
Lo guatò bieco Ulisse, e gli rispose: «Atrìde, e quale ti fuggì dal labbro rovinosa parola? Imperadore fossi oh! tu di vigliacchi, e non di noi,
110 di noi che Giove dalla verde etade infino alla canuta29 agli ardui30 fatti della guerra incitò31, finché32 ciascuno vi perisca onorato. E così dunque puoi tu de’ Teucri abbandonar l’altera33
115 città che tanti già ne34 costa affanni?
Per dio! nol35 dire, dagli Achei non s’oda questo sermone36, della bocca indegno
19 primo lembo: battigia, bagnasciuga.
20 in alto: al largo.
21 insin che : fino a quando.
22 fitta: piena, profonda.
23 ascosi: nascosti.
24 varar : mettere in mare.
25 ove pur sia: sperando.
26 biasmo: biasimevole, riprovevole.
complemento oggetto Fuggiamo stanotte
soggetto
Noi siamo stati cresciuti per combattere
Il tuo discorso non è degno di un re
27 di notte ancora: magari di notte. Quando invece fuggire è ancor più disonorevole, come gli farà subito notare Ulisse.
28 . captivo: prigioniero.
29. dalla verde … canuta: Intendi: dalla giovinezza fino alla vecchiaia.
30. ardui: difficili.
31 . incitò: esortò, stimolò. Dal latino incitare, composto da in- (avanti) e citare (chiamare).
32 . finché: affinché.
33. l’altera: ricchissima.
34. ne : ci.
35. nol: non lo.
36. sermone : discorso. Dal latino serere, “mettere in serie, in ordine”.
d’uom di senno e scettrato37, e, qual tu sei, di tante schiere capitano. Io primo38
120 il tuo parer condanno. Arde la pugna, e tu comandi che nel mar lanciate sien le navi? Ciò fôra39 un far più certo de’ Troiani il vantaggio, e più sicuro il nostro eccidio: perocché40 gli Achivi
125 in quell’opra41 assaliti, anzi che fermi sostener l’inimico42, al mar terranno rivolto il viso, a’ Teucri il tergo43: e allora vedrai funesto44, o duce, il tuo consiglio». Rispose Agamennón: «La tua pungente
130 rampogna45, Ulisse, mi ferì nel core. Ma mia mente46 non è che lor malgrado47 traggan le navi in mar gli Achivi; e s’ora altri sa darne più pensato avviso48 , sia giovine, sia veglio, io l’avrò caro».
135 «Chi darallo n’è presso49 (il bellicoso Tidìde50 ripigliò), né fia mestieri51 cercarlo52 a lungo, se ascoltar vorrete, né, perché53 d’anni inferïor vi sono,
Fuggire è pericolosissimo
Serve un consiglio più ponderato
Ascoltatemi perché sono anch’io di stirpe eletta
37. scettrato: munito di scettro, che ha il potere regale.
38 . primo: per primo.
39. fôra: sarà.
40. perocché: poiché.
41 . in quell’opra: durante le operazioni per fuggire.
42 . l’inimico: il nemico.
43. il tergo: il dorso, la schiena.
44 funesto: apportatore di morte, luttuoso.
45 rampogna: rimprovero, fatto specialmente per biasimare, condannare un comportamento.
46 mente : intenzione.
47 lor malgrado: senza che lo vogliano.
48 più pensato avviso: un consiglio più ponderato, meno impulsivo di quello avuto da Agamennone.
49. Chi darallo n’è presso. Intendi: chi lo darà è vicino (sottinteso: sono io).
50. il bellicoso Tidìde : Diomede.
51 . né fia mestieri: e non è necessario.
52 . cercarlo: cercare il consiglio giusto.
53. perché : siccome.
con disdegno spregiarmi54. Anch’io mi vanto
140 figlio d’illustre genitor, del prode Tidèo, di Cadmo nel terren sepolto. […] e sapendomi voi quindi nato di sangue generoso55, a vile non terrete il mio retto e franco avviso56 . Orsù, crudel necessità ne spinge.
160 Al campo adunque, tuttoché57 feriti; e perché piaga a piaga non s’aggiunga, fuor di tiro si resti, ma propinqui58 sì, che possiamo gl’indolenti59 almeno incitar coll’aspetto e colla voce60».
165 Piacque il consiglio, e s’avvïâr precorsi61 dal re supremo Agamennón.
L’incitamento di Nettuno
Li vide
Nettunno, e tolte62 di guerrier canuto le sembianze63, e per mano preso l’Atrìde, fe’ dal labbro volar queste parole:
170 «Atrìde, or sì che degli Achei la strage e la fuga gioir fa la crudele alma d’Achille, poiché tutto l’ira gli tolse il senno. Oh possa egli in mal punto64 perire, e d’onta65 ricoprirlo un Dio!
175 Ma tutti a te66 non sono irati i numi, e de’ Teucri vedrai di nuovo i duci
54. spregiarmi: dipende da fia mestieri.
55. generoso: nobile per nascita.
Non combattiamo perché feriti, ma esortiamo a combattere soggetto complemento oggetto
56 a vile… avviso: non considererete vile (predicativo del complemento oggetto) il mio giusto e sincero consiglio.
57 tuttoché: benché.
58 propinqui: prossimi, vicini. Dal latino propinquum, da prope, “vicino”.
59 indolenti: pigri, incuranti, apatici. Dal latino indolentem, composto di in- (negativo) e dolens (dolente): “insensibile al dolore”.
60. coll’aspetto e colla voce. Intendi: con la nostra presenza e con le nostre parole.
61 . precorsi: preceduti.
62 . tolte : prese.
63. le sembianze : le fattezze, l’aspetto.
64. in mal punto: di mala morte.
65. d’onta: d’infamia, di disonore.
66. a te : con te, contro di te.
empir di polve il piano67, e dalle tende e dalle navi alla città fuggirsi». Disse, e corse, e gridò quanto di nove 180 o dieci mila combattenti alzarse potrìa68, nell’atto d’azzuffarsi, il grido: tanto fu l’urlo che dal vasto petto l’Enosigèo69 mandò. Risurse70 in seno degli Achei la fortezza a quella voce, 185 e il desìo di pugnar senza riposo.
Giunone ordisce una trama
Nel frattempo, dalle vette dell’Olimpo Giunone ha visto tutta l’operazione del fratello Nettuno, ne gioisce e pensa a un modo per aiutarlo. Poi scorge Giove, seduto sul monte Ida, e si mette a pensare a un modo per ingannarlo: lo avrebbe affascinato con tutta la sua bellezza, lo avrebbe rapito fra le sue braccia e infine lo avrebbe fatto addormentare. Allora si reca subito al suo regale talamo, vi si chiude dentro e comincia a farsi bella. Prima si cosparge d’olio profumato, poi si acconcia le belle chiome, indossa un peplo che Minerva le aveva intessuto e lo fissa con fibbie dorate, si cinge i fianchi con una cintura a frange, sospende agli orecchi i suoi rilucenti ciondoli a tre gocce, si avvolge alla fronte una benda chiara come il sole e infine si lega ai piedi i bei calzari (vv. 186226).
e tutte
abbigliate le membra uscì pomposa71 , ed in disparte Venere chiamata, così le disse: «Mi sarai tu, cara, 230 d’una grazia cortese? o meco irata72 , perch’io gli Achivi, e tu li Teucri aiti73 , negarmela vorrai?» «Parla,» rispose
67 empir di polve il piano. Intendi: riempire di polvere tutta la pianura fino alla città. La polvere alzata dalla fuga precipitosa.
68 alzarse potrìa: avrebbe potuto alzarsi.
69. Enosigèo: “scotitore della terra” Appellativo di Nettuno, ritenuto autore dei terremoti e dei maremoti.
70. Risurse : risorse.
71 . pomposa: solenne e fastosa. Derivato di pompa, “sfarzosa manifestazione di ricchezza”.
72 . meco irata: arrabbiata con me.
73 perch’io … aiti. Intendi: perché io aiuto gli Achei e tu i Troiani.
l’alma figlia di Giove «il tuo desire74 manifestami intero, o veneranda
235 Saturnia Giuno. Mi comanda il core di far tutto (se il75 posso, e se pur lice76) il tuo voler, qual sia». «Dammi» riprese la scaltra Giuno «l’amoroso incanto che tutti al dolce tuo poter suggetta77
240 i mortali e gli Dei. Dell’alma terra ai fini estremi a visitar men vado l’antica Teti e l’Oceàn de’ numi generator78, che présami da Rea, quando sotto la terra e le profonde
245 voragini del mar di Giove il tuono precipitò Saturno, mi nudrîro ne’ lor soggiorni, e m’educâr con molta cura ed affetto79. A questi io vado, e solo per ricomporne una difficil lite
250 ond’ei da molto80 a gravi sdegni in preda e di letto e d’amor stansi divisi81 . Se con parole ad acchetarli arrivo e a rannodarne i cuori82, io mi son certa che sempre avranmi83 e veneranda e cara».
255 E l’amica del riso Citerèa, «Non lice,» replicò, «né dêssi84 a quella che del tonante Iddio dorme sul petto, far di quanto ella vuol niego veruno». Disse; e dal seno il ben trapunto e vago
74. desire : desiderio.
75 il: lo.
76 lice : è permesso.
77 suggetta: assoggetta, sottomette.
complemento oggetto
78 l’antica … generator : Teti, moglie di Oceano e madre degli dèi, non la madre di Achille, che si chiama Tetide.
79 che présami … ed affetto: durante la lotta di Giove contro i Titani e contro Saturno, Rea condusse la figlia Giunone a Teti e ad Oceano, che l’allevarono amorosamente.
80. ond’ei da molto: per la quale essi da lungo tempo.
81 . Una lite fra coniugi la cui notizia, per riservatezza, non sarà circolata né giunta all’orecchio di Venere. Una scusa astuta.
82 ad acchetarli … cuori. Intendi: se riesco con le parole a rappacificarli (acchetarli ) e a riunirli (a riannodarne i cuori ).
83. sempre avranmi: mi considereranno per sempre.
84. Non lice … né dêssi: da unire a far. Costruisci così: non si può né si deve fare niego veruno di quanto ella vuol, a quella… soggetto
260 cinto85 si sciolse, in che raccolte e chiuse erano tutte le lusinghe86. V’era d’amor la voluttà87, v’era il desire88 e degli amanti il favellìo89 segreto, quel dolce favellìo ch’anco de’ saggi 265 ruba la mente.
Venere le affida il cinto augurandole di ottenere quanto desidera. Giunone sorride e in quel sorriso gli occhi lampeggiano di contentezza. Prende il cinto e se ne va (vv. 265274).
Giunone si reca nell’isola di Lemno, dove risiede il Sonno. Quando lo raggiunge lo stringe per la mano e, in cambio di un meraviglioso trono d’oro forgiato da Vulcano, lo prega di addormentare Giove non appena lei lo avesse avvinto fra le braccia.
Il Sonno non vuole addormentare Giove, poiché già un’altra volta Giunone gliel’aveva chiesto per poter contrastare indisturbata la navigazione di Ercole, figlio di Giove e di Alcmena, fortissimo eroe. Giunone, venuta a sapere che avrebbe ereditato il regno di Argo, fece in modo che lo scettro spettasse a Euristeo a cui diede il diritto di tenere in schiavitù Ercole. Il re sottopose l’eroe a dodici terribili prove, superate le quali ottenne l’immortalità e fu accolto tra gli dèi dell’Olimpo. Quella volta, quando Giove si destò, scompigliò tutto l’Olimpo. Ma Giunone convince il Sonno promettendogli di dargli in moglie una delle Grazie, di cui è perdutamente innamorato (vv. 275337). Allora, cinti da una densa nebbia, vanno verso il monte Ida e, qui giunti, cominciano la salita attraversando una selva. Lì il Sonno si ferma e si nasconde, per non farsi vedere da Giove, fra le chiome di un grande abete.
Intanto Giunone va da Giove, che non appena la vede è percorso dalla fiamma d’amore come gli accadde la prima volta. Le chiede dove stia andando e lei, scaltramente, risponde che sta andando da Teti e Oceano
85. il ben trapunto e vago cinto: la cintura bella e ben ricamata.
86. lusinghe : la lusinga è l’atteggiamento che mira a conquistare gli altri. Deriva dal francone losenge, “bugia”.
87. voluttà: piacere.
88 . desire : desiderio.
89 favellìo: chiacchierio.
per ricomporre la loro lite. Ma Giove la invita fra le sue braccia e dopo qualche altra finta ritrosia la dea accetta. Poi Giove si addormenta. Subito il Sonno corre ad avvisare Nettuno affinché si affretti ad aiutare gli Achei mentre Giove dorme (vv. 338427).
Nettuno dà ordini agli Achei
Allor Nettunno d’aitar bramoso
più che prima gli Achei, diessi90 nel mezzo
430 alle file di fronte, alto gridando: «Achivi, lascerem di Priamo al figlio noi dunque il vanto di novel trïonfo, e la gloria d’averne arse le navi?
Ei certo lo si crede, e vampo mena91 , 435 perché d’Achille neghittosa92 è l’ira.
Ma d’Achille non fia molto il bisogno93 , se noi far opra delle man sapremo, e alternarci gli aiuti94. Or su, concordi seguiam tutti il mio detto. I più sicuri
440 e grandi scudi, che nel campo sièno, imbracciamo, e copriam de’ più lucenti elmi le teste, e le più lunghe picche95 strette in pugno, marciam: io vi precedo, né96 per forte ch’ei97 sia l’audace Ettorre,
445 l’impeto nostro sosterrà. Chïunque
è guerrier valoroso, e di leggiero scudo si copre, al men valente il ceda, e allo scudo maggior sottentri ei stesso98».
Obbedîr tutti al cenno. I re medesmi
450 Tidìde, Ulisse e Agamennón, sprezzate le lor ferite, in ordinanza a gara
90 diessi: si pose.
91 lo si crede, e vampo mena: se lo crede, e se ne vanta.
92 neghittosa: pigra, lenta.
93 non fia molto il bisogno: non ci sarà molto bisogno.
soggetto
complemento oggetto
94 se noi … gli aiuti. Costruisci così: se noi sapremo far opra delle man e (sapremo) alternarci gli aiuti
95. picche : lance. Il vocabolo ha origini onomatopeiche.
96. né : e non. Intendi: e, per forte che sia …, non sosterrà.
97. ei: pleonasmo, una parola non necessaria al senso della frase.
98 . Chïunque … ei stesso. Intendi: il forte riceva le armi migliori, il debole le peggiori. È un ordine piuttosto bizzarro, perché potrebbe favorire la viltà e la fuga dei più deboli.
ponean le schiere, e via dell’armi il cambio per le file facean; le forti al forte, al peggior le peggiori. E poiché99 tutti
455 di lucido metallo la persona ebber coverta100, s’avvïâr. Nettunno li precorrea101, nella robusta mano sguäinata portandosi una lunga orrenda spada che parea di Giove
460 la folgore, e mettea nel cor paura. Misero quegli che la scontra in guerra! Dall’altra parte il troian duce102 i suoi pone ei pure in procinto103 ,
Duello fra Ettore e Aiace
e senza indugio l’illustre Ettorre ed il ceruleo104 Dio, 465 l’uno i Greci incorando105 e l’altro i Teucri una fiera attaccâr pugna crudele. Gonfiasi106 il mare, e i padiglioni innonda e gli argivi navigli107, e con immenso clamor si viene delle schiere al cozzo108
470 Non così la marina onda rimugge109 dal tracio soffio110 flagellata al lido; non così freme111 il foco alla montagna quando va furibondo a divorarsi l’arida selva; né d’eccelsa quercia
soggetto
Non così il mare
non così il fuoco
non così il vento
99. poiché: dopo che.
100. coverta: coperta.
101 precorrea: precedeva, avanzava.
102 il troian duce : Ettore.
103 procinto: assetto di guerra. Dal latino procinctum: pro- (davanti, in difesa) e cingere. Sottinteso la spada
104 ceruleo: azzurro. Dal colore del cielo.
105 incorando: incoraggiando.
106 Gonfiasi: si gonfia. Si è alzata Borea, un improvviso vento del nord.
107 i padiglioni innonda e gli argivi navigli. Inonda le tende e le navi.
108 . si viene delle schiere al cozzo. Intendi: si arriva al durissimo impatto frontale fra le schiere.
109. rimugge : muggisce continuamente.
110. tracio soffio: vento proveniente dalla Tracia. Vento settentrionale, che colpisce il lido troiano quasi frontalmente e che dunque solleva grandi flutti.
111 . freme : rumoreggia cupamente.
475 rugge112 sì fiero fra le chiome il vento, come orrende de’ Teucri e degli Achei nell’assalirsi si sentìan le grida. Contro Aiace, che voltagli113 la fronte, scaglia Ettorre la lancia, e lo colpisce
480 ove del brando e dello scudo il doppio balteo sul petto si distende114; e questo dal colpo lo salvò. Visto uscir vano Ettore il telo115, di rabbia fremendo in securo fra’ suoi116 si ritraea.
485 Mentr’ei recede117, il gran Telamonìde ad un sasso, de’ molti che ritegno delle navi118 giacean sparsi pel campo de’ combattenti al piè, dato di piglio119 , l’avventò, lo rotò come palèo120 ,
490 e sul girone dello scudo121 al petto l’avversario ferì. Con quel fragore che dal foco di Giove fulminata giù ruina122 una quercia, e grave123 intorno del grave124 zolfo si diffonde il puzzo: 495 l’arator, che cadersi accanto vede la folgore tremenda, imbianca125 e trema: così stramazza126 Ettòr; l’asta abbandona
come le grida
Come una quercia
così Ettore
112 . rugge : ruggisce.
113. voltagli: gli volta, gli dà.
114. ove … distende : la spada e lo scudo, quando questo non era usato, erano appesi ciascuno ad una cintura, il balteo, che pendeva da ciascuna spalla. L’incrocio fra i due baltei è colpito dalla lancia di Ettore.
115. il telo: la lancia. Il telo è vano, cioè inutile, perché il colpo va a vuoto.
116. in securo fra’ suoi. Intendi: al sicuro fra i suoi compagni.
117. recede : retrocede.
118 . ritegno: freno, sostegno delle navi. Per tenere dritte e ferme le navi.
119. ad un sasso … dato di piglio: preso un sasso.
120. l’avventò, lo rotò come palèo. Intendi: lo scagliò, lo fece ruotare come una trottola. Così tanto era forte.
121 sul girone dello scudo: sull’orlo dello scudo. Cosicché Ettore fu colpito dal sasso e dallo scudo, che insieme gli si abbatterono sul petto.
122 ruina: cade rovinosamente.
123. grave : insopportabile.
124. grave : denso, pesante.
125. imbianca: impallidisce.
126. stramazza: cade di schianto. Da mazza con stra-, propriamente essere abbattuto da un colpo di mazza. Stramazzare è l’effetto dell’ammazzare.
la man, ma dietro gli127 va scudo ed elmo, e rimbombano l’armi sul caduto.
500 V’accorsero con alti urli gli Achei, strascinarlo sperandosi128, e di strali lo tempestando129; ma nessun ferirlo potéo130, ché ratti131 gli fêr serra132 intorno i più valenti, Enea, Polidamante,
505 Agènore, e de’ Licii il condottiero Sarpedonte con Glauco, e nulla in somma de’ suoi l’abbandonò, ch’altri133 gli scudi gli anteposero, e lunge altri dall’armi134 l’asportâr135 su le braccia a’ suoi veloci
510 destrier che fuori della pugna a lui tenea pronti col cocchio il fido auriga136 . Volâr questi, e portâr l’eroe gemente verso l’alta città; ma giunti al guado del vorticoso Xanto, ameno137 fiume
515 generato da Giove, ivi dal carro posârlo a terra, gli spruzzâr di fresca onda138 la fronte, ed ei rinvenne, e aperte girò le luci139 intorno, e sui ginocchi suffulto140 vomitò sangue dal petto.
520 Ma di nuovo all’indietro in sul terreno riversossi141; e coll’alma ancor dal colpo doma142 oscurârsi all’infelice i lumi143 .
soggetto
127 gli: a lui, ad Ettore. Egli, cadendo, lascia la lancia, mentre scudo ed elmo gli vanno appresso.
128 strascinarlo sperandosi: sperando di trascinarlo via.
129. lo tempestando: tempestandolo.
130. potéo: poté.
131 . ratti: velocissimi, immediati.
132 . fêr serra: fecero protezione impenetrabile.
133. altri: alcuni.
134. lunge altri dall’armi: altri lontano dalla battaglia.
135. asportâr : portarono via.
136. il fido auriga: è il fratellastro Cebrione.
137. ameno: piacevole, ridente.
138 . onda: acqua.
139. le luci: gli occhi.
140. sui ginocchi suffulto: appoggiato sui ginocchi, in ginocchio.
141 . riversossi: cadde riverso, all’indietro
142 . coll’alma ancor dal colpo doma: svenuto.
143. i lumi: gli occhi.
Veduto uscire Ettore dal campo, gli Achei si fanno più baldi negli attacchi. Aiace d’Oileo infilza l’asta nei lombi di Satnio, che cade supino nella polvere. Intorno al suo corpo si accende feroce la zuffa. Polidamante riesce a vendicarlo poiché con la sua lancia passa Protenore da parte a parte. Ciò riempie di dolore gli Achei, ma più di tutti il Telamonio, che subito tira contro Polidamante, il quale schiva attentamente il colpo saltando di lato. L’asta non va a vuoto, tuttavia, perché colpisce al collo Archiloco, che stramazza al suolo. I Teucri si addolorano e il fratello Acamante si vendica fulminando con un colpo Promaco e inveendo contro gli Achei. Le sue parole sdegnano più di tutti l’acheo Peneleo, ma il suo colpo, diretto ad Acamante, prende Ilioneo, l’unico figlio di Forbante, molto amato da Mercurio. Colpito sotto l’occhio cade seduto, con le braccia tese; Peneleo estrae la spada e gli taglia la testa ancora infissa nella lancia. Poi la alza e la mostra ai nemici. Tutti impallidiscono di paura e cercano di fuggire.
Con il favore di Nettuno gli Achei rimontano: gli Aiaci, Antiloco, Merione, Teucro e Menelao uccidono molti Troiani e gli altri scappano terrorizzati (vv. 523628).
Tempo: Il ventiseiesimo giorno.
Luoghi: Il campo di battaglia presso le navi, l’accampamento acheo e l’Olimpo.
L’ira di Giove
Quando Giove si risveglia, vede i Troiani incalzati dagli Achei, vittoriosi grazie all’aiuto del dio Nettuno. Ettore prostrato e i suoi compagni addolorati suscitano la pietà del padre Giove che rimprovera Giunone per averlo ingannato, ricordandole il castigo che le aveva inflitto quando lo aveva addormentato per macchinare la rovina di Ercole. Giunone raccapriccia d’orrore a quelle parole e giura che non lei, ma Nettuno, di sua iniziativa, aveva aiutato gli Achei. Avendo capito che Giunone per timore avrebbe obbedito ai suoi ordini, Giove le impone di inviare Iri a Nettuno affinché il dio abbandoni la battaglia (vv. 166).
Queste le parole di Giove:
«Apollo all’armi
Ettore desterà, novello in petto spirandogli vigor, sì che sanato d’ogni dolore fra gli Achei di nuovo
70 sparga la vile paurosa fuga, e gl’incalzi1 così che fra le navi cadan, fuggendo, del Pelìde Achille. Questi allor nella pugna il suo diletto Patroclo manderà, che morta in campo
75 molta nemica gioventù col divo mio figlio Sarpedon2, morto egli stesso cadrà, prostrato dall’ettòrea lancia. Dell’ucciso compagno irato Achille spegnerà l’uccisore, e da quel punto
80 farò che sempre sian respinti i Teucri,
1 . gl’incalzi: incalzi loro.
2 Sarpedonte è il figlio di Giove e Laodamia, principe dei Licii e alleato dei Troiani. complemento oggetto
finché per la divina arte di Palla3
il superbo Ilïon prendan gli Achei. Né l’ire io deporrò, né che veruno degli Dei qui l’argive armi soccorra
85 sosterrò, se d’Achille in pria non veggo adempirsi il desìo. Così promisi, e le promesse confermai col cenno del mio capo quel dì che i miei ginocchi Teti abbracciando, d’onorar pregommi
90 coll’eccidio de’ Greci il suo gran figlio».
Giunone obbediente sale all’Olimpo e si presenta agli Immortali, raccolti nelle stanze di Giove. I numi al vederla si alzano e l’accolgono festosi, ma si accorgono del suo cruccio e capiscono che Giove ne è la causa. Allora Giunone dice che è vana impresa contrastare Giove e, dopo aver dato notizia a Marte della morte di suo figlio Ascalafo, chiama a sé Iri e Apollo per riferir loro il comando di Giove (vv. 91200).
Obbedì la veloce Iri, e discese dalle montagne idèe. Come sospinta da fiato d’aquilon serenatore4 dalle nubi talor vola la neve
205 o la gelida grandine: a tal guisa d’Ilio sui campi con rapido volo Iri calossi, e al divo Enosigèo5 fattasi innanzi, così prese a dire: «Ceruleo6 Nume, messaggiera io vegno
210 dell’Egìoco signore7. Ei ti comanda d’abbandonar la pugna, e di far tosto
Come la neve o la grandine
così Iri
3. Sarà Pallade a suggerire ai Greci la costruzione del famoso cavallo di legno con cui saranno ingannati e vinti definitivamente i Troiani.
4. aquilon serenatore : vento di tramontana che porta il sereno.
5. Il divo Enosigèo è Nettuno, scuotitore della terra.
6. Ceruleo propriamento significa colore del cielo, ma qui è riferito al dio del mare, che dal cielo riceve il suo colore.
7. L’Egìoco signore è Giove, armato dell’egida.
o agli alberghi celesti o al mar ritorno. Se sprezzi il cenno8, ed obbedir ricusi, minaccia di venirne egli medesmo
215 teco a battaglia. Ti consiglia quindi d’evitar le sue mani; e ti ricorda ch’ei d’etade è maggiore e di fortezza, quantunque egual vantarti oso tu sia a lui che mette agli altri Dei terrore».
220 Arse d’ira Nettunno, e le rispose: «Ch’ei sia possente il so; ma sue parole sono superbe, se forzar pretende me suo pari in onor9. Figli a Saturno tre germani10 siam noi da Rea produtti,
225 primo Giove, io secondo, e terzo il sire dell’Inferno Pluton. Tutte divise fûr le cose in tre parti, e a ciascheduno il suo regno sortì. Diede la sorte l’imperio a me del mar, dell’ombre a Pluto,
230 del cielo a Giove negli aerei campi soggiorno delle nubi. Olimpo e Terra ne rimaser comuni, e il sono ancora. Non farò dunque il suo voler; si goda pur la sua forza, ma si resti cheto
235 nel suo regno, né tenti or colla destra come un vile atterrirmi. Alle fanciulle, ai bamboli suoi figli il terror porti di sue minacce, e meglio fia. Tra questi almen si avrà chi a forza l’obbedisca».
240 «Dio del mar,» la veloce Iri soggiunse «questa dunque vuoi tu che a Giove io rechi dura e forte risposta? E raddolcirla in parte almeno non vorrai? De’ buoni pieghevole è la mente11; e chi primiero
complemento oggetto
8 sprezzi il cenno: disprezzi l’ordine.
9 se … onor. Intendi: se pretende costringere con la prepotenza me che sono pari a lui nell’onore.
10. germani: fratelli.
11 . La capacità di cambiare posizione in obbedienza a ragioni valide è considerata nell’Iliade una caratteristica dell’uomo buono.
245 nacque ha ministre, tu lo sai, l’Erinni12». «Tu parli13, o Diva, il ver, » l’altro riprese «e gran ventura è messaggier che avvisa ciò che più monta14. Ma di sdegno avvampa il cor quand’egli minaccioso oltraggia
250 me suo pari di grado e di destino. Pur questa volta porrò freno all’ira, e cederò. Ma ben vo’ dirti io pure (e dal cor parte la minaccia mia), se Giove, a mio dispetto e di Minerva
255 e di Giuno e d’Ermete e di Vulcano, risparmierà dell’alto Ilio le torri, né atterrarle vorrà, né darne intera la vittoria agli Achei, sappia che questo fia15 tra noi seme di perpetua guerra».
260 Lasciò, ciò detto, il campo e in mar s’ascose, e ne sentîro la partenza in petto i combattenti Achei.
Giove allora si rivolge ad Apollo e gli dice di recarsi da Ettore, imbracciare l’Egida e scuoterla forte per donargli vigore, affinché egli giunga fino alle navi e cacci in fuga gli Achei (vv. 263280).
Obbedì pronto Apollo, e dall’idèa16 cima disceso, simile a veloce di colombi uccisor forte sparviero de’ volanti il più ratto, al generoso
285 Prïamide17 n’andò. Dal suol già surto e risensato18 il nobile guerriero
Apollo è come uno sparviero
12 . Le Erinni, o Furie, sono le dee della vendetta che perseguitano col rimorso chi ha oltraggiato i genitori o i parenti più anziani.
13. Parli regge il vero. Si fa un uso transitivo di un verbo che solitamente non regge il complemento oggetto.
14 gran … monta. Intendi: è una grande fortuna che un messaggero porti un consiglio su ciò che è più giusto fare. Nettuno si rivela dunque buono (vedi n. 12), riconoscendo la ragionevolezza dei consigli di Iri.
15. fia: sarà.
16. idèa: del monte Ida.
17. Il Prïamide è Ettore, figlio di Priamo.
18 . Ettore si è rialzato e ha ripreso i sensi (risensato) dopo il gran colpo ricevuto da Aiace.
sedea, ripresa degli astanti19 amici la conoscenza: perocché20, dal punto che in lui di Giove s’arrestò la mente21 ,
290 l’anelito22 cessato era e il sudore.
Stettegli innanzi il Saettante, e disse: «Perché lungi dagli altri e sì spossato, Ettore siedi? e che dolor ti opprime?»
E a lui con fioca e languida favella
295 di Priamo il figlio: «Chi se’ tu che vieni, ottimo nume, a interrogarmi? Ignori che il forte Aiace, mentre che de’ suoi alle navi io facea strage, mi colse d’un sasso al petto, e tolsemi le forze?
300 Già l’alma errava su le labbra; e certo di veder mi credetti in questo giorno l’ombre de’ morti e la magion di Pluto23». «Fa’ cor,» riprese il Dio «Giove ti manda soccorritore ed assistente il sire
305 dell’aurea spada, Apolline. Son io che te finor protessi e queste mura. Or via, sveglia il valor de’ numerosi squadroni equestri, ed a spronar gli esorta24 verso le navi i corridori. Io poscia
310 li precedendo spianerò lor tutta la strada, e fugherò25 gli achivi eroi». Disse, ed al duce una gran forza infuse.
Ettore si rianima
Come destrier di molto orzo in riposo alle greppie pasciuto, e nella bella
315 uso a lavarsi correntìa del fiume, rotti i legami, per l’aperto corre insuperbito, e con sonante piede
19. astanti: presenti. Dal latino ad (presso) e stare (stare).
20. perocché: per il fatto che.
complemento di mezzo
Come un cavallo in libertà
21 . Basta che per un attimo il pensiero di Giove si rivolga a Ettore perché l’eroe si ridesti.
22 . anelito: respiro ansante.
23. la magion di Pluto: la dimora di Plutone, cioè l’Ade, il regno dei morti.
24. gli esorta: esortali.
25 fugherò: metterò in fuga.
batte il terren; sul collo agita il crine, alta estolle26 la testa, e baldanzoso
320 di sua bellezza, al pasco usato ei vola ove amor d’erbe il chiama e di puledre: tale, udita del Dio la voce, Ettorre move rapidi i passi, inanimando27 i cavalieri. Ma gli Achei, siccome
325 veltri28 e villani che un cornuto cervo inseguono, o una damma29 a cui fa schermo alto dirupo o densa ombra di bosco, poiché lor vieta di pigliarla il fato; se a lor grida s’affaccia in su la via
330 un barbuto leon colle sbarrate mascelle orrende, incontanente30 tutti, benché animosi, volgono le terga: così agli Achei, che stretti infino allora senza posa inseguito aveano i Teucri
335 colle lance ferendo e colle spade, visto aggirarsi tra le file Ettorre, cadde a tutti il coraggio. Allor si mosse Toante Andremonìde, il più gagliardo degli etòli guerrieri. Era costui
340 di saetta del par che di battaglia a piè fermo perito31, e degli Achivi pochi in arringhe32 lo vincean, se gara fra giovani nascea nella bell’arte del diserto parlar. «Numi! qual veggo
345 gran prodigio?» dicea questo Toante «Dalla Parca scampato, e di bel nuovo risurto Ettorre! E speravam noi tutti che per le man d’Aiace egli giacesse.
così Ettore rinvigorito
Come dei cacciatori spaventati da un leone
così gli Achei spaventati da Ettore
26. estolle : alza. Si tratta di un latinismo, cioè di una parola appartenente al lessico latino (extollere) trasferita in un testo in italiano.
27 inanimando: incoraggiando.
28 veltri: cani da caccia.
29 damma: daino.
30 incontanente : immediatamente.
31 perito: esperto. Dal latino ex periri, “imparare facendo esperienza”. Della stessa famiglia di parole: esperto, esperimento, perizia.
32 . in arringhe : nei discorsi, nell’arte oratoria, detta poi la bella arte del diserto (ordinato e chiaro) parlare.
Certo qualcuno de’ Celesti i giorni
350 preservò di costui, che molti al suolo degli Achivi già stese, e molti ancora ne stenderà, mi credo; ché non senza l’altitonante Giove egli sì franco alla testa de’ Teucri è ricomparso.
355 Tutti adunque seguiamo il mio consiglio. La turba ai legni si raccosti33; e noi, quanti del campo achivo i più valenti ci vantiamo, stiam fermi e coll’alzate aste vediam di repulsarlo34. Io spero
360 che quantunque animoso, ei nella calca entrar non ardirà di scelti eroi».
A queste parole tutti obbediscono di buon grado. I più valorosi si schierano di fronte ai Troiani e i meno forti si avviano alle navi. Allora i Teucri attaccano per primi, guidati da Ettore e Apollo avvolto nella nebbia. Un urlo si leva da entrambi gli schieramenti e riprende la battaglia (vv. 361384).
Assalto alla muraglia
Finché Apollo tiene ferma l’egida, le sorti della battaglia sono pari, ma non appena il dio agita lo scudo, si gela nel petto degli Achei l’ardire e la forza, così i Troiani si esaltano facendo strage dei nemici. Mentre i vincitori sottraggono le armi agli uccisi, gli Achei fuggono da ogni parte, cercando riparo al di là della muraglia. Ettore intanto grida alle sue schiere di lasciar le spoglie sanguinolente e di piombare sulle navi (vv. 384422):
«Qualunque scorgerò ristarsi dalle navi lontan, di propria35 mano 425 l’ucciderò, né morto il metteranno su la pira i fratei né le sorelle, ma innanzi ad Ilio strazieranlo i cani».
Sì dicendo, sonar fe’ su le groppe
33. La turba ai legni si raccosti. Intendi: i combattenti si portino presso le navi.
34. repulsarlo: respingerlo. Dal latino repelle ˘ re.
35 propria: mia.
de’ cavalli il flagello e li sospinse
430 per le file, animando ogni guerriero. Dietro al lor duce minacciosi i Teucri con immenso clamor drizzâro36 i cocchi.
Iva Apollo davanti, e col leggiero urto del piede lo ciglion del cupo
435 fosso37 abbattendo il riversò nel mezzo, e ad immago di ponte un’ampia strada spianovvi, e larga così d’asta il tiro, quando a far di sue forze esperimento un lanciator la scaglia. Essi a falangi
440 su questa via versavansi, ed Apollo sempre alla testa, sollevando in alto l’egida orrenda, degli Achivi il muro atterrava con quella agevolezza che un fanciullo talor lungo la riva
445 del mar per giuoco edifica l’arena, e per giuoco co’ piedi e colle mani poco poi la rovescia e la rimesce. Tale tu, Febo arcier, l’opra in che tanto sudâr gli Achivi, dispergesti, e loro
450 del gelo della fuga empiesti il petto. Così spinti fermârsi appo38 le navi, e a vicenda incuorandosi, e le mani ai numi alzando, ognun porgea gran voti. Ma più che tutti, degli Achei custode,
455 il Gerènio Nestorre39 allo stellato cielo le palme sollevando orava: «Giove padre, se mai nelle feconde piagge argive40 o di tauri o d’agnellette sacrifici offerendo ti pregammo
460 di felice ritorno, e tu promessa ne festi41 e cenno, or deh! il ricorda, e lungi, dio pietoso, ne tieni il giorno estremo,
36 drizzâro: indicativo passato remoto di drizzare
complemento oggetto
La strada aperta da Apollo è larga come un tiro d’asta
Il muro viene abbattuto come se fosse di sabbia
37. lo ciglion del cupo fosso: l’argine di terra innalzato ai lati del fossato.
38 . appo: presso. Latinismo, da apud.
39. Nestore è chiamato Gerenio da Gerenia, città della Messenia, nella quale andò a vivere dopo la distruzione di Pilo, sua patria.
40. feconde piagge argive : fertili terre della Grecia.
41 ne festi: ci facesti.
né voler sì da’ Troi domi gli Achivi». Così pregava. L’udì Giove, e forte
465 tuonò. Ma i Teucri dell’Egìoco Sire udito il segno si scagliâr più fieri contro gli Achivi, ed incalzâr la pugna. Come del mar turbato un vasto flutto da furia boreal cresciuto e spinto
470 rugge e sormonta della nave i fianchi; tali i Teucri con alti urli salîro la muraglia, e, cacciati entro i cavalli, coll’aste incominciâr sotto le poppe un conflitto crudel, questi su i cocchi, 475 quei sul bordo de’ legni colle lunghe, che dentro vi giacean, stanghe commesse42 , ed al bisogno di naval battaglia accomodate colle ferree teste.
Come un’onda ingrossata dal vento boreale
così i Troiani all’assalto della muraglia
Finché Teucri e Achei combattono intorno al muro, Patroclo rimane presso la tenda di Euripilo, ma quando vede i Troiani abbattere il muro e sente le urla degli Achei in fuga, lascia l’amico per andare a pregare Achille di tornare in battaglia (vv. 479498).
Gli Achivi intanto tentano di frenare l’assalto dei Teucri, ma non riescono ad allontanarli dalle navi. Intorno a una nave combattono Ettore e Aiace. Colpito dall’asta di Aiace cade Caletore, cugino di Ettore, che per vendicarlo tira al Telamonio, ma ne colpisce lo scudiero, Licofrone. Chiamato da Aiace accorre Teucro, abile arciere, il quale dopo aver dato la morte a Clito, auriga di Polidamante, tende l’arco verso Ettore, ma Giove gli spezza la corda. Teucro allora è costretto a dirigersi verso l’accampamento per rifornirsi di lancia e scudo (vv. 498601). Intanto Ettore, viste cadere le saette di Teucro, così grida per incoraggiare le sue schiere (vv. 602603):
42 . I Greci si difendono utilizzando aste adatte al combattimento navale, cioè più lunghe, formate da vari pezzi giunti insieme (commesse) e con la punta uncinata di ferro.
«Teucri, Dardani, Licii, ecco il momento
605 d’esser prodi, e mostrar fra queste navi il valor vostro, amici. Infrante ha Giove d’un gran nemico (con quest’occhi il vidi)
le funeste quadrella43. Agevolmente si palesa del Dio l’alta possanza, 610 sia ch’esalti il mortal, sia che gli piaccia abbassarne l’orgoglio, e l’abbandoni: siccome appunto degli Achivi or doma la baldanza, e le nostre armi protegge. Pugnate adunque fortemente, e stretti
615 quelle navi assalite. Ognun che colto o di lancia o di stral trovi la morte, del suo morir s’allegri. È dolce e bello morir pugnando per la patria, e salvi lasciarne dopo sé la sposa, i figli
620 e la casa e l’aver, quando gli Achei torneran navigando al patrio lido».
Fûr quei detti una fiamma ad ogni core. Dall’una parte i suoi conforta anch’esso Aiace, e grida: «Argivi, o qui morire,
625 o le navi salvar. Se fia che alfine il nemico le pigli, a piè tornarvi forse sperate alla natìa contrada? E non udite di che modo Ettorre d’incenerirle tutte impazïente
630 i suoi guerrieri istiga? Egli per certo non alla tresca, ma di Marte al fiero ballo gl’invita44. Né partito adunque né consiglio sicuro altro che questo, menar le mani, e di gran cor. Gli è meglio
635 pure una volta aver salute o morte, che a poco a poco in lungo aspro conflitto qui consumarci invendicati e domi per mano, oh scorno! di peggior nemico».
43. quadrella: frecce.
44. Egli … gl’invita. Intendi: Ettore non invita i suoi a una danza festosa, ma al feroce ballo di Marte, cioè alla battaglia.
Incitati dai loro duci, i guerrieri si rincuorano e da entrambe le parti si fa strage di nemici. Cade il troiano Dolope, ucciso da Meneleao; Antiloco, il giovane figlio di Nestore, abbatte Melanippo, ma, mentre sta per spogliarlo delle sue armi, vede sopraggiungere Ettore e fugge sgomento (vv. 639747).
Ultimo furioso assalto alle navi
Qui fu che i Teucri un furïoso assalto diêro alle navi, ed adempîr di Giove
750 il supremo voler, che vie più sempre lor forza accresce, ed agli Achei la scema45; togliendo a questi la vittoria, e quelli incoraggiando, perché tutto s’abbia Ettor l’onore di gittar ne’ curvi
755 legni le fiamme, e tutto sia di Teti adempito il desìo. Quindi il veggente nume il momento ad aspettar si stava che il guardo gli ferisse alfin di qualche incesa nave lo splendor, perch’egli
760 da quel punto volea che de’ Troiani cominciasse la fuga, e degli Achei l’alta vittoria. In questa mente il Dio sproni aggiungeva al cor d’Ettorre, e questi furïando parea Marte che crolla
765 la grand’asta in battaglia, o di vorace fuoco la vampa che ruggendo involve una folta foresta alla montagna. Manda spume la bocca, e sotto il torvo ciglio lampeggia la pupilla: ai moti
770 del pugnar, la celata46 orrendamente si squassa intorno alle sue tempie, e Giove il proteggea dall’alto, e di lui solo tra tanti eroi volea far chiaro il nome
Ettore è come Marte o un incendio.
45 scema: diminuisce. Scemare viene da exsemare, termine del latino parlato composto da ex e semus (mezzo), che significa “togliere la metà”. Scemo è dunque ciò o colui a cui è stata tolta la metà.
46 celata: elmo.
a ricompensa di sua corta vita.
775 Perocché già Minerva il dì supremo, che domar lo dovea sotto il Pelìde, gl’incalzava alle spalle. Ove più dense egli vede le file, e de’ più forti folgoreggiano l’armi, oltre si spigne
780 di sbaragliarle impazïente, e tutte ne ritenta le vie; ma tuttavolta gli esce vano il desìo, ché stretti insieme resistono gli Achei siccome aprico immane scoglio che nel mar si sporge,
785 e de’ venti sostiene e del gigante flutto la furia che si spezza e mugge: tali a piè fermo sostenean gli Achei l’urto de’ Teucri. Finalmente Ettorre scintillante di foco nella folta
790 precipitossi. Come quando un’onda gonfia dal vento assale impetuosa un veloce naviglio, e tutto il manda ricoperto di spuma: il vento rugge orribilmente nelle vele, e trema
795 ai naviganti il cor, ché dalla morte non son divisi che d’un punto solo: così tremava degli Achivi il petto; ed Ettore parea crudo lïone che in prato da palude ampia nudrito
800 un pingue assalta numeroso armento. Ben egli il suo pastor vorrìa da morte le giovenche campar; ma non esperto a guerreggiar col mostro, or tra le prime s’aggira ed or tra l’ultime; alfin l’empio
805 vi salta in mezzo, ed una ne divora, e ne van l’altre impaurite in fuga: così davanti ad Ettore ed a Giove fuggìan percossi da divin terrore tutti allora gli Achei.
Come uno scoglio esposto al vento (aprico)
così gli Achei che si stringono per resistere
Come il cuore tremante dei naviganti sorpresi da un’ondata
così il cuore degli Achei Ettore è come un leone
Gli Achei sono come giovenche impaurite
Mentre fugge, il miceneo Perifete, uomo saggio e valoroso guerriero, inciampa nel suo stesso scudo e viene ucciso dalla lancia di Ettore. Abbandonato il primo ordine di navi, gli Achei atterriti si fermano al
secondo, più vicino al mare, dove si incoraggiano a vicenda urlando. Nestore li richiama ad essere forti, a non fuggire, a pensare alle loro donne, ai figli e ai padri. Alle parole del saggio gli Achei si rincuorano, e guardano con più coraggio le navi, il campo, la battaglia, il prode Ettore e tutti i suoi guerrieri (vv. 810855).
Il valoroso Aiace
Non soffrì47 d’Aiace il magnanimo cor di rimanersi con gli altri Achivi indietro, ed impugnata una gran trave da naval conflitto
860 con caviglie connessa48, e ventidue cubiti lunga, la scotea, per l’alte de’ navigi corsìe49 lesto balzando a lunghi passi, simigliante a sperto50 equestre saltator che giunti insieme
865 quattro scelti destrier gli sferza e spigne per le pubbliche vie: maravigliando stassi la turba, ed ei sicuro e ritto dall’un passando all’altro il salto alterna sui volanti cavalli; a tal sembianza
870 alternava l’eroe gl’immensi passi per le coperte delle navi, e al cielo la sua voce giugnea sempre gridando terribilmente, e confortando i suoi delle tende e de’ legni alla difesa.
875 E né pur esso di rincontro Ettorre tra’ Teucri in turba si riman; ma quale aquila falba che uno stormo invade o di cigni o di gru che lungo il fiume van pascolando; a questa guisa il prode
47. soffrì: sopportò.
Aiace è come un acrobata equestre
Come un’aquila fulva (falba)
così Ettore
48 . Aiace impugna una smisurata asta da combattimento navale, saldata da giunture (caviglie) metalliche, lunga circa dieci metri (ventidue cubiti ).
49. de’ navigi corsìe : ponti delle navi .
50 sperto: esperto.
880 di schiera uscito avventasi di punta contra una nave di cerulea prora. Lo stesso Giove colla man possente il sospinge da tergo, e gli altri incita, e un novello vi desta aspro certame51 .
885 Detto avresti che fresca allora allora s’attaccava la mischia, e che indefesse52 eran le braccia: l’impeto è cotanto de’ combattenti con opposti affetti. Nella credenza di perirvi tutti
890 pugnavano gli Achei; nella lusinga di sterminarli i Teucri, ed in faville mandar le navi. Ed in cotal pensiero gli uni e gli altri mescean la zuffa e l’ire. Ettore intanto colla destra afferra
895 d’una nave la poppa. Era la bella veloce nave che di Troia al lido Protesilao53 guidò senza ritorno. Per questa si facea di Teucri e Achei un orrido macello, e questi e quelli
900 d’un cor medesmo, non con archi e dardi fan pugna da lontan, ma con acute mannaie a corpo a corpo, e con bipenni e con brandi e con aste a doppio taglio, e con tersi coltelli di forbito
905 ebano indutti54 e di gran pomo; ed altri ne cadean dalle spalle, altri dal pugno de’ guerrieri, e scorrea55 sangue la terra.
Dell’afferrata poppa Ettor tenendo forte il timone colle man, gridava:
51 certame : gara, contesa. Latinismo, da certamen
52 indefesse : instancabili. Il termine latino fessus, da cui deriva il nostro aggettivo “fesso”, significa “stanco, sfinito”.
53. Protesilao era un duce della Tessaglia, il primo a sbarcare sui lidi troiani, il primo a morire per mano di Ettore, come ci viene detto nel Libro II (catalogo delle navi). La sua nave, giunta per prima sui lidi troiani, era situata nella fila più prossima al fronte di battaglia.
54 coltelli di forbito ebano indutti: coltelli provvisti di impugnature di ebano liscio sormontate da pomi metallici.
55. La terra scorreva sangue: si noti l’uso transitivo del verbo “scorrere”, solitamente intransitivo.
910 «Foco, o Teucri, accorrete, e combattete; ecco il dì che di tutti il conto adegua56 , il dì che Giove nelle man ci mette queste navi, a Ilïon contra il volere venute degli Dei, queste che tanti
915 ne recâr danni per codardi avvisi de’ nostri padri che mi fean divieto di portar qui la guerra57. Ma se Giove confuse allor le nostre menti, or egli, egli stesso n’incalza all’alta impresa».
920 Disse, e i Teucri maggior contro gli Argivi impeto58 fêro. Degli strali allora più non sostenne Aiace la ruina, ma giunta del morir l’ora credendo, lasciò la sponda del naviglio, e indietro
925 retrocesse alcun poco ad uno scanno sette piè di lunghezza59. E qui piantato osservava il nemico, e sempre oprando l’asta, i Troiani, che di faci60 ardenti già s’avanzano armati, allontanava, 930 e sempre alzava la terribil voce: «Dànai di Marte alunni, amici eroi, non ponete in obblìo vostra prodezza. Sperate forse di trovarvi a tergo chi ne soccorra, od un più saldo muro 935 che ne difenda? Non abbiam vicina città munita che ne61 salvi, e nuove falangi ne fornisca. In mezzo a fieri inimici noi siam, chiusi dal mare, lungi dal patrio suol. Nell’armi adunque,
56 ecco … adegua. Intendi: è giunto il giorno del redde rationem, in cui i Greci pagheranno il conto di tutti i danni che ci hanno inflitto.
57. Ettore giudica codardo il consiglio degli anziani di Troia di non inoltrarsi a combattere presso le navi achee. La saggezza di tale consiglio si comprenderà solo in seguito.
58 . maggior impeto è un unico sintagma, retto da fêro (fecero).
59. Aiace retrocede di un paio di metri (sette piè) e sale su un sedile del rematore (scanno).
60. faci: fiaccole.
61 ne : ci.
940 non nella fuga, ogni salute è posta».
Così dicendo, colla lunga lancia furïoso inseguìa qualunque osava da Ettore sospinto avvicinarsi colle fiamme alle navi. E di costoro
945 dodici dall’acuta asta trafitti pose a giacer davanti alle carene62 .
62 . La carena è la parte della nave che si immerge nell’acqua. Qui carene sta per “navi” (sineddoche).
La terza battaglia, iniziata nel Libro XI, volge a favore dei Troiani, secondo il volere di Giove. I migliori degli Achei sono feriti, il fuoco è stato appiccato alle navi greche: l’unica speranza risiede nel rientro di Achille in battaglia. All’inizio del Libro XVI il giovane Patroclo, consigliato da Nestore, si reca quindi alla tenda dell’eroe al fine di ottenere almeno il permesso di indossare le sue armi, così da spaventare i Troiani e di concedere un po’ di riposo ai guerrieri. Implacabile nel suo desiderio di vedere prostrati i guerrieri di Agamennone, Achille si mostra in tutta la sua crudeltà, inesorato anche di fronte alle lacrime dell’amico. Tanto l’orgoglio e l’accecante volontà di vendetta possono irrigidire il cuore. Solo il timore di veder bruciare la sua nave, unica speranza per il ritorno, riesce a convincere il Pelìde che dà il permesso a Patroclo di indossare le sue armi. Ma a una condizione: una volta messi in fuga i Troiani, il giovane dovrà fare ritorno all’accampamento e non dovrà per nessun motivo, neanche se i numi lo rendessero superbo per il successo, condurre le schiere sotto le mura di Troia. Poi Achille incita i Mirmidoni a combattere compatti al fianco di Patroclo e rivolge le sue preghiere a Giove perché dia gloria all’impresa dell’amico e lo scampi dalla morte. Ma il dio ascolta tali preci solo in parte, infatti Patroclo non riuscirà a frenare il suo impeto, accresciuto dalla vittoria su Sarpedonte, figlio diletto di Giove, e su Cebrione, auriga e fratellastro di Ettore. Il giovane Patroclo si lascerà trasportare dalla baldanza, anticipando così la triste fine dei suoi giorni: un dio, Apollo, lo stordisce con un grave colpo di mano, Euforbo lo ferisce con l’asta e gli dà il colpo di grazia Ettore, che si mostra in questo frangente un guerriero spietato nei confronti della sua vittima, della quale non esita a oltraggiare il cadavere.
Nel Libro XVII si scatena la lotta sul corpo di Patroclo, una lotta senza tregua, che vede coinvolti i più forti di entrambi gli schieramenti. E su tutto domina il pianto, espressione del dolore dei compagni e anticipo del terribile lamento di Achille che si dispiegherà in tutta la sua forza nel Libro XVIII. Persino gli immortali destrieri Balio e Xanto si immobilizzano e sciolgono le loro lacrime sul morto eroe, attirando la pietà
di Giove che li compiange in quanto, pur destinati all’immortalità, sono costretti a partecipare alla misera sorte degli uomini. Il libro si conclude con l’affannosa fuga di Menelao e Merione che si caricano il cadavere di Patroclo sulle spalle e, protetti dagli Aiaci, lo portano in salvo nell’accampamento acheo. Una corsa faticosa e irta di ostacoli che evidenzia da una parte l’accanimento del vincitore sul corpo dell’ucciso, per oltraggiarlo, per impossessarsi delle sue armi, magari per usarlo come merce di scambio, dall’altra il desiderio dei compagni di assicurarsi il corpo del vinto per sottrarlo all’impietoso sfogo dell’ira nemica e per dargli onorata sepoltura.
La sacralità del corpo umano, inviolabile anche dopo la morte, è uno dei temi ricorrenti nell’Iliade e in tutta la letteratura greca. Uno dei personaggi che meglio incarnano tale valore è Antigone, protagonista di una tragedia di Sofocle (V secolo a.C.), la quale, pur di dare sepoltura al fratello morto in duello, trasgredisce il divieto posto dal re di Tebe, Creonte, sapendo di andare incontro a morte sicura. Ella intende far prevalere sulla giustizia regolata dalla legge scritta, l’amore per il fratello e la pietà per il suo corpo defunto. Perché ci sono delle «leggi non scritte, inalterabili, fisse degli dèi: quelle che non da oggi, non da ieri vivono, ma eterne: quelle che nessuno sa quando comparvero» (da una battuta di Antigone, Secondo episodio). La sacralità del corpo è dunque una delle leggi poste nel cuore di ogni uomo, magari non codificata, ma da tutti riconosciuta come vera e indelebile, tanto che non vi è chi non inorridisca davanti allo scempio perpetrato sull’uomo, che purtroppo ci offrono gli scenari di guerra e di terrorismo, così tragicamente attuali. Perché «L’esistere del mondo è uno stupore infinito, ma nulla è più dell’uomo stupendo» (Sofocle, Antigone, I strofa del coro del Primo stasimo).
Tempo: Il ventiseiesimo giorno.
Luoghi: L’accampamento acheo e il campo di battaglia.
Mentre Troiani e Achei combattono presso la nave di Protesilao, Patroclo giunge lacrimando da Achille che impietosito esclama:
«Perché piangi1, Patròclo? Bamboletta sembri che dietro alla madre correndo
10 torla2 in braccio la prega, e la rattiene attaccata alla gonna, ed i suoi passi impedendo piangente la riguarda finch’ella al petto la raccolga. Or donde3 questo imbelle4 tuo pianto? Ai Mirmidóni
15 o a me medesmo d’una ria novella sei forse annunziator? Forse di Ftia5 la ti giunse segreta? E pur la fama vivo ne dice ancor Menèzio, e vivo tra i Mirmidón l’Eàcide6 Pelèo,
20 d’ambo i quali d’assai grave a noi fôra7 certo la morte8. O per gli Achei tu forse le tue lagrime versi, e li compiagni9 là tra le fiamme delle navi ancisi10 ,
predicativo del soggetto “tu”
1 Perché piangi? : nel Libro XI (vv. 819 821) Achille manda Patroclo a prendere delle informazioni sull’identità di un ferito. Ma, lungo il tragitto, egli soccorre Euripilo e si trattiene a curarlo nella sua tenda. Altro terrore si aggiunge quando assiste al secondo assalto al muro (Libro XV, vv. 486 e sgg.) che lo porta al pianto.
2 torla: prenderla.
3 donde : da dove, qual è la ragione.
4 imbelle : “non adatto alla guerra” (in latino bellum), qui significa “vile”.
5 Ftia è la patria di Achille e di Patroclo, ove ancora vivono i loro padri Peleo e Menezio.
6 Eàcide : figlio di Eaco, discendente a sua volta da Giove.
7. fôra: sarebbe.
8 . d’ambo … la morte. Intendi: la morte di entrambi i quali per noi sarebbe sicuramente molto dolorosa.
9. compiagni: compiangi.
10 ancisi: uccisi.
e dell’onta puniti che mi fêro11?
25 Parla, m’apri il tuo duol, meco il dividi12». E tu dal cor rompendo alto un sospiro così, Patròclo, rispondesti: «O Achille, o degli Achei fortissimo Pelìde, non ti sdegnar del mio pianto13. Lo chiede
30 degli Achei l’empio fato. Oimè, che quanti eran dianzi i miglior, tutti alle navi giaccion feriti, quale di saetta, qual di fendente. Di saetta il forte Tidìde Dïomede, e di fendente
35 l’inclito Ulisse e Agamennón; trafitta ei pur di freccia Eurìpilo ha la coscia. Intorno a lor di farmaci molt’opra fan le mediche mani, e le ferite ristorando ne vanno. E tu resisti
40 inesorato14 ancora? O Achille! oh mai non mi s’appigli15 al cor, pari alla tua, l’ira, o funesto valoroso! E s’oggi sottrar nieghi gli Achivi a morte indegna, chi fia che poscia da te speri aita16?
45 Crudel! né padre a te Pelèo, né madre Tetide fu: te il negro mare o il fianco partorì delle rupi, e tu rinserri cuor di rupe nel sen. 17 Se doloroso ti turba un qualche oracolo la mente; 50 se di Giove alcun cenno a te la madre
11 . e … fêro. Costruisci così: e puniti dell’onta che mi fêro (fecero). In queste parole si sente un’eco dell’ansia per la sorte degli Achei, che già Achille manifestò nel Libro XI (vv. 800 sgg).
12 m’apri … dividi. Intendi: dimmi le ragioni del tuo dolore e condividilo con me. Le stesse parole disse Teti ad Achille nel Libro I (v. 477).
13 non … pianto: è un’affermazione ironica, dettata dalla rabbia.
14. inesorato: insensibile, “che non si lascia smuovere dalle preghiere”. Dal latino exorare, che significa “pregare fino in fondo”.
15. appigli: verbo “appigliarsi”, dal latino ad (prefisso della vicinanza) e piliare, “mettere oggetti in sovrapposizione” per la costruzione del piedritto, il pilastro che sorregge il ponte; e dunque “calcare fortemente”.
16. chi … aita? Intendi: chi poi si aspetterà aiuto da te?
17. Da qui fino al verso 66, il discorso di Patroclo riporta quello di Nestore nel Libro XI (10661077). soggetto soggetto
veneranda recò18, me tosto almeno invìa nel campo; e al mio comando i forti Mirmidoni concedi, ond’io, se puossi, qualche raggio di speme ai travagliati19
55 compagni apporti. E questo ancor mi assenti, ch’io, delle tue coperto armi le spalle20 , m’appresenti al nemico, onde ingannato dalla sembianza, in me comparso ei creda lo stesso Achille, e fugga, e l’abbattuto
60 Acheo respiri. Nella pugna è spesso una via di salute21 un sol respiro; e noi di forze intégri agevolmente ricaccerem la stanca oste22 alle mura dalle navi respinta e dalle tende».
65 Così l’eroe pregò. Folle! ché morte perorava23 a se stesso e reo destino24 .
E a lui gemendo di corruccio25 Achille: «Che dicesti, o Patròclo? In questo petto terror d’udite profezie non passa,
70 né di Giove alcun cenno a me la diva madre recò. Ma il cor mi rode acerba doglia in pensando che rapirmi il mio26
18 Se doloroso … recò: Achille aveva riferito (Libro IX, vv. 527 e sgg.) ai legati che tentavano di persuaderlo a ritornare in battaglia l’oracolo di gloria e morte precoce, e in quel brano si accenna anche a Teti, madre di Achille. A quell’ambasciata aveva assistito Patroclo, il quale ora, pur sapendo che Achille non teme la morte, tenta di indurlo a riprendere la battaglia accusandolo di codardia (argomento suggeritogli da Nestore).
19. travagliati: affaticati, tormentati. Cfr. n. a Libro XII, v. 32.
20. delle tue … le spalle : rivestito dalle tue armi. “Coperto le spalle” è un accusativo di relazione, o alla greca.
21 salute : salvezza, scampo.
22 oste : nemico.
23 perorava: chiedeva (nel testo greco “stava a supplicare”). Il termine “perorazione” viene usato in ambito forense per indicare un discorso di difesa. Viene dal latino orare preceduto dal rafforzativo per-.
24. ché … destino: nel Libro VIII (vv. 651 655) Giove, per mostrare alla moglie Giunone quanto la sopravanzi, le comunica il fato di Patroclo.
25 corruccio: dolore e sdegno. Il termine probabilmente deriva dal latino cor ruptus (cuore spezzato).
26. il mio: Achille si riferisce alla sottrazione di Briseide, ricordando così il motivo personale, egoistico. soggetto
un mio pari s’ardisce, e del concesso premio spogliarmi prepotente. È questo,
75 questo il tormento, il dispetto, la rabbia onde27 l’alma è angosciata28 .
Ma certo l’ira non deve vivere eterna. Io promisi di smettere la collera solo quando guerra e strage fossero giunte alle mie navi (vv. 7687).
Ma tu le mie ti vesti armi temute29, e alla battaglia guida
90 i bellicosi Tessali30; ché fosco di Teucri e fiero un nugolo31 vegg’io circondar già le navi, e al lido stringersi in poco spazio i Greci, e su lor tutta Troia versarsi32, audace fatta e balda
95 perché vicino balenar non vede dell’elmo mio la fronte. Oh fosse meco stato re giusto Agamennón! Ben io t’affermo che costoro avrìan fuggendo de’ lor corpi ricolme allor le fosse.
100 Or ecco che n’han33 chiuso essi d’assedio: perocché nella man di Dïomede, a tener lunge dagli Achei la morte, l’asta più non infuria, né d’Atrìde la voce ascolto io più dall’abborrita34
105 bocca scoppiante; ma sol quella intorno dell’omicida Ettorre mi rimbomba animante35 i Troiani. E questi alzando
27. onde : per cui, da cui.
28 . In questo … angosciata: Achille non sta negando quello che Patroclo stesso ascoltò durante la visita dei legati (cfr. nn. ai vv. 48 51), sta invece affermando che non lo frena la paura dell’oracolo, bensì l’umiliazione subita da Agamennone.
29 Ma tu … temute : in questo modo Achille non verrà meno al suo giuramento, di cui tuttavia si lamenta appena dopo.
30. Tessali: i Mirmidoni provenivano dalla Tessaglia.
31 . nugolo: forma popolare di “nuvolo”, che sta per “addensamento”.
32 . circondar … versarsi: i verbi circondar, stringersi e versarsi dipendono da vegg’io, di v. 91.
33. n’han: ci hanno.
34. abborrita: ripugnante, che suscita odio.
35 animante : concorda con quella (v. 105).
liete grida guerriere il campo tutto tengon già vincitori. E nondimeno
110 va’, ti scaglia animoso, e dalle navi quella peste allontana, né patire36 che le si strugga il fuoco37, e ne38 sia tolta del desïato ritornar la via. Ma, quale in mente la ti pongo, avverti39
115 de’ miei detti alla somma40, e m’obbedisci, se vuoi che gloria me ne torni, e grande dai Greci onore, e che la bella schiava con doni eletti alfin mi sia renduta. Cacciati i Teucri, fa’ ritorno: e s’anco
120 l’altitonante di Giunon marito ti prometta vittoria, incauta brama di pugnar senza me con quei gagliardi non ti seduca, né voler ch’io colga di ciò vergogna e disonor41: né42 spinto
125 dall’ardor della pugna alle fatali dardanie mura avvicinar le schiere della strage de’ Teucri insuperbito43; onde non scenda dall’Olimpo un qualche Immortale a tuo danno. Essi son cari,
130 non obblïarlo, al saettante Apollo. Posti in salvo i navili, immantinente dunque da’ volta44, e lascia ambo45 a vicenda struggersi i campi. Oh Giove padre! oh Pallade! e tu di Delo arciero Iddio46, deh fate
36 né patire : e non permettere.
37 che … fuoco: che il fuoco le distrugga.
38 ne : ci.
39 avverti: lat. ad-vertere, “volgere l’animo, la mente”.
40 avverti … somma: ascolta bene tutte le mie parole.
41 né … disonor : “mi toglieresti onore”, nel testo greco. Ripete quanto altrimenti detto al v. 116.
42 né : e non volere.
43 insuperbito: come spinto di v. 124, concorda con il sottinteso “tu”.
44 immantinente … volta: torna subito indietro.
45 ambo: Greci e Troiani.
46 di Delo arciero Iddio: il dio nato nell’isola di Delo è Apollo. Achille implora contemporaneamente Minerva, favorevole ai Greci, e Apollo, che sta dalla parte dei Troiani, così che derivi danno a entrambi gli eserciti.
135 che nessun possa né Troian né Greco schivar morte, nessuno; onde del sacro ilïaco muro la caduta sia di noi due soli preservati47 il vanto».
predicativo del soggetto
Mentre Achille discorre con Patroclo, Aiace è costretto a ritirarsi dalla battaglia. Finalmente i Troiani possono gettare sulla nave il fuoco.
A questa vista Achille grida a Patroclo di far presto a vestire le sue armi, mentre lui raduna il suo esercito (vv. 139183).
Patroclo «si vestìa dell’armi»
Disse: e Patròclo si vestìa dell’armi
185 folgoranti48. Alle gambe primamente i bei schinieri si ravvolse adorni d’argentee fibbie. La corazza al petto poscia si mise del veloce Achille screzïata di stelle49. Indi la spada
190 di bei chiovi d’argento aspra50 e lucente dall’omero sospese. Indi lo scudo saldo e grande imbracciò: la valorosa fronte nell’elmo imprigionò, su cui d’equine chiome orrendamente ondeggia
195 una cresta. Alfin prese, atte51 al suo pugno, valide lance; ed unica d’Achille l’asta non prese, immensa, grave e salda cui nullo palleggiar Greco potea52 , tranne il braccio achillèo: massiccia antenna53
47 di noi … preservati. Intendi: solo di noi due, che ci teniamo lontani dai pericoli. Preservati: lat. pre- (prefisso di anteriorità temporale) e servare, “conservare”.
48 folgoranti: che lampeggiano. Le armi d’Achille hanno la caratteristica di essere d’oro. Gli furono donate dal padre Peleo (cfr. Libro XVII, vv. 236 e sgg.).
49. Screziata di stelle : anche le borchie erano d’oro e d’argento, splendenti come le stelle. Screziata: parola usata nel descrivere le decorazioni che si differenziano dal fondo su cui sono inserite, dal lat. discretio, “differenza”.
50. aspra: ruvida, perché così più aderente alla mano.
51 . atte : adatte.
52 . cui … potea: che nessun Greco poteva maneggiare.
53. antenna: dunque un tronco, poiché lo stesso termine è usato per indicare l’albero delle navi.
200 sulle cime del Pèlio un dì recisa
dal buon Chirone54, ed a Pelèo donata, perché fosse in sua man strage d’eroi.
Comanda ei quindi che i cavalli al cocchio
subito aggioghi Automedon55, guerriero
205 cui dopo Achille rompitor di squadre sovra ogni altro ei pregiava56: ed in battaglia nel sostener gl’impetuosi assalti del nemico, ad Achille era il più fido.
Rotti adunque gl’indugi, Automedonte
210 i veloci corsieri al giogo addusse
Balio e Xanto57 che un vento eran nel corso, e partoriti a Zefiro gli avea
l’Arpia Podarge58 un dì ch’ella pascendo iva nel prato lungo la corrente
215 dell’Oceàn. Dall’una banda ei poscia
Pedaso aggiunse59, corridor gentile, cui seco Achille un dì dalla disfatta città d’Eezïon60 s’avea condotto; e quantunque61 mortale iva del paro62 co’ destrieri immortali.
54. Il centauro Chirone era stato il maestro di Achille. Donò questa lancia a Peleo nel giorno delle nozze con Teti.
55 Automedonte è l’auriga di Achille.
56 pregiava: è derivato dal sostantivo lat. pretium, “prezzo”: apprezzare, stimare. È transitivo, ma qui regge il cui poetico, sostitutivo di che (cfr. v. 198).
57. Balio e Xanto, cavalli immortali figli del vento Zefiro e di un’arpia furono donati da Nettuno a Peleo il giorno delle sue nozze con Teti. Erano velocissimi e dotati del dono della parola. I loro nomi, derivanti dal colore del mantello, significano “pezzato” e “biondo”. A loro si accompagna un altro cavallo, Pedaso, bottino di guerra di Achille. Anche un cavallo di Ettore si chiama Xanto (cfr. Libro VIII, v. 242).
58 Podarge : una giumenta il cui nome vuol dire “dai piedi veloci”.
59 Pedaso aggiunse : il testo greco dice “al bilancino”, cioè di rinforzo. Pedaso è il cavallo “che salta”.
60. Eezione, il padre di Andromaca, era il re di Tebe Ipoplacia. Fu ucciso da Achille durante la distruzione della città.
61 . quantunque : sebbene.
62 iva del paro: reggeva il paragone, uguagliava.
Achille i Mirmidoni armava
220 Intanto Achille su e giù scorrendo per le tende, tutti di tutto punto i Mirmidóni armava. Quai crudivori lupi il cor ripieni63 di molta gagliardìa, prostrato avendo
225 sul monte un cervo di gran corpo e corna, sel trangugiano a brani, e sozze a tutti rosseggiano di sangue le mascelle: quindi calano in branco ad una bruna fonte a lambir colle minute lingue
230 il nereggiante umor, carne ruttando mista col sangue: il cor ne’ petti audaci s’allegra, e il ventre ne va gonfio e teso: tali dintorno al bellicoso amico del gran Pelìde intrepidi si affollano
235 i mirmidonii capitani; e in mezzo a lor s’aggira il marzïale Achille i cavalli animando e i battaglieri. Cinquanta eran le prore che veloci avea condotte a Troia il caro a Giove
240 Tessalo64 prence, e carca iva ciascuna di cinquanta guerrieri.
Come un branco di lupi che divorano un cervo
così i duci mirmidoni
Achille schiera in ordine i 250 soldati dietro ai cinque capitani cui aveva dato il comando delle navi: Menestio, Eudoro, Pisandro, Fenice, Alcimedonte. A tutti costoro, che finora non hanno mai combattuto, subito fa un breve discorso per animarli alla battaglia, perché è finalmente giunto il momento del gran conflitto che essi bramavano sempre (vv. 242298).
Sì dicendo, destò d’ogni guerriero
300 e la forza e l’ardir. Strinser più densa tosto le schiere l’ordinanza65, uditi
63. lupi … ripieni: accusativo di relazione.
64. Il Tessalo è Patroclo, proveniente dalla Tessaglia.
65 Strinser … ordinanza. Intendi: le schiere si serrarono subito le une alle altre, in modo da formare una massa più compatta e dunque più resistente. La compattezza dello schieramento è importante in battaglia quanto l’audacia del singolo eroe. Ordinanza: una schiera di soldati posta in ordine di battaglia.
del lor sire gli accenti. E in quella guisa che industre architettor66 l’una su l’altra le pietre ammassa, e insieme le commette67
305 acconciamente68 a costruir d’eccelso palagio la muraglia all’urto invitta69 del furente aquilon70: non altramente addensati venìan gli elmi e gli scudi. Scudo a scudo, elmo ad elmo, e uomo ad uomo
310 s’appoggia; e al moto delle teste vedi l’un coll’altro toccarsi i rilucenti cimieri e l’onda delle chiome equine: sì de’ guerrier serrate eran le file. Iva71 il paro72 d’eroi dinanzi a tutti
315 Patroclo e Automedonte, ambo d’un core e d’una brama di dar dentro ei primi.
Come un palazzo ben architettato così l’insieme degli elmi e degli scudi
Achille torna nella sua tenda e compie la sacra liturgia per rivolgere la più solenne preghiera a Giove: gli chiede di inviare la vittoria a Patroclo e di farlo tornare illeso. Ma il Padre concederà una cosa e negherà l’altra (vv. 317360).
L’assalto dei Mirmidoni
L’apparizione di Achille (che è Patroclo) e dei Mirmidoni crea lo scompiglio fra i Troiani, che fuggono in disordine e allora Patroclo ne approfitta per spegnere l’incendio. Ma non tutti i Teucri smettono di combattere e così, come lupi che si avventano su capri e agnelle, i Danai ne fanno strage. Lo stesso Ettore viene incalzato da Patroclo che per raggiungerlo deve farsi largo fra i nemici, massacrandone molti (vv. 361598).
66. industre architettor : abile architetto.
67. commette : dal lat. cum “con” + mittere “mandare”: congiungere.
68 . acconciamente : avverbio da acconcio: idoneo, appropriato.
69. all’urto invitta: resistente all’urto.
70. aquilon: vento del nord.
71 . Iva: è il verbo “ire”, usato, al di fuori del linguaggio poetico, anche in diversi dialetti italiani.
72 paro: paio.
Tal Sarpedonte rovinò
Ma Sarpedonte73 visto de’ compagni
600 per le man di Patròclo un tale e tanto scempio, i suoi Licii rincorando, e insieme rampognando, «Oh vergogna! o Licii,» ei grida, «dove, o Licii, fuggite? Ah per gli Dei rivolate alla pugna! Io di costui
605 corro allo scontro, per saper chi sia questo fiero campion che vi diserta74 , che sì nuoce ai Troiani, e già di molti forti disciolse le ginocchia». Disse, e via d’un salto a terra in tutto punto 610 si lanciò dalla biga. Ed a rincontro come Patroclo il vide, ei pur nell’armi si spiccò dalla sua. Qual due grifagni ben unghiati avoltoi forte stridendo sovra un erto dirupo si rabbuffano, 615 tal vennero quei due gridando a zuffa.
Come due rapaci (grifagni) avvoltoi in lotta
così Sarpedonte e Patroclo
Li vede Giove, che, colto da pietà per l’imminente sorte del figlio, chiede consiglio alla moglie perché vorrebbe tenerlo in vita. Ma Giunone osserva che allora molti Eterni vorrebbero salvare i loro figli coinvolti nelle battaglie. Può tuttavia fare in modo che il suo corpo venga ricondotto fra la sua gente licia per onorarlo con degna sepoltura. Patroclo uccide l’auriga di Sarpedonte e questi risponde scagliando un telo che manca Patroclo ma uccide il cavallo Pedaso. Balio e Xanto si imbizzarriscono e Sarpedonte trova il tempo per scagliare una seconda lancia, che va anch’essa a vuoto. La seconda asta tirata da Patroclo coglie invece Sarpedonte in pieno petto, facendolo crollare al suolo. Egli riesce ancora a parlare (vv. 616698).
E Glauco il suo dolce amico per nome a sé chiamato, 700 «Caro Glauco,» gli disse «or t’è mestieri75
73 Sarpedonte, il capitano dei Lici alleato dei Troiani, è figlio di Giove e di Laodamia, cugino di Glauco. Si è distinto per il suo valore dando per primo l’assalto al muro (Libro XII, vv. 492 e sgg.), ma Giove aveva predetto la sua morte (Libro XV, v. 76).
74. vi diserta: semina la strage tra di voi, vi distrugge.
75 or t’è mestieri: ora spetta a te il compito di, devi.
buon guerriero mostrarti, e oprar le mani audacemente. Tu dell’aspra pugna se magnanimo sei, l’incarco assumi: corri, vola, e de’ Licii i capitani
705 alla difesa del mio corpo accendi. Difendilo tu stesso, e per l’amico combatti: infamia ti deriva eterna se me dell’armi mie spoglia il nemico, me pel certame76 delle navi ucciso; 710 tien saldo adunque e pugna, e di coraggio tutte infiamma le squadre». In questo dire le narici affilò77, travolse78 i lumi, e la morte il coprì. Col piede il petto calcògli il vincitor, l’asta ne trasse, 715 e il polmon79 la seguìa, sì che dal seno il ferro a un tempo gli fu svelto e l’alma.
L’addolorato Glauco allora implora Apollo di risanargli la ferita causata da una freccia di Teucro durante l’assalto al muro e di dargli forza per incitare i Licii al conflitto. Apollo lo esaudisce e Glauco raggiunge i duci, ma anche gli altri Troiani, Polidamante, Agenore, Enea ed Ettore, gridando a tutti di scagliarsi alla difesa dell’estinto. I Teucri muovono subito contro il nemico, ed Ettore li precede.
Anche Patroclo sprona i suoi a prendersi le armi del morto, per vendicare così l’assalto che per primo fece al muro. E Giove favorisce l’accanimento dello scontro sul corpo del figlio (vv. 717886).
Quale è il romor che fanno i legnaiuoli in montana foresta, e lunge il suono va gli orecchi a ferir, tale il rimbombo
890 per la vasta pianura si solleva di celate80, di scudi e di loriche81 ,
76. certame : latinismo di certamen, “combattimento”.
77. affilò: assottigliò.
78 . travolse : stravolse, strabuzzò.
79. polmon: poiché è al singolare, va inteso come sede dei sentimenti.
80. celate : elmi.
81 loriche : corazze.
Come il rumore che fanno i taglialegna così il rimbombo della zuffa
altre di duro cuoio, altre di ferro, ripercosse dall’aste e dalle spade: ned82 occhio il più scernente83 affigurato84
895 avrìa l’illustre Sarpedon: tant’era negli strali, nel sangue e nella polve sepolto tutto dalla fronte al piede. Senza mai requie al freddo corpo intorno facean tutti baruffa: e quale è il zonzo85
900 con che soglion le mosche a primavera assalir susurrando entro il presepe86 i vasi pastorali, allor che pieni sgorgan di latte; di costor tale era la giravolta intorno a quell’estinto.
905 Fissi intanto tenea nell’aspra pugna Giove gli sguardi lampeggianti, e seco87 sul fato di Patròclo omai maturo severamente88 nell’eterno senno consultando venìa, se il grande Ettorre
910 là sul giacente Sarpedon l’uccida, e dell’armi lo spogli; o se preceda al suo morire di molt’altri il fato89 .
E questo parve lo miglior pensiero, che del Pelìde Achille il bellicoso
915 scudier ricacci col lor duce i Teucri alla cittade, e molte vite estingua. Però90 d’Ettore al cor tale egli mise una vil tema91, che montato il cocchio ratto in fuga si volse, ed alla fuga
920 i Troiani esortò, chiaro scorgendo
82 . ned: neppure.
Come il ronzio delle mosche sul latte
così l’agitazione intorno a Sarpedonte
83. il più scernente : superlativo relativo, part. pres. di scernere, dal lat. “scegliere separando”.
84. affigurato: riconosciuto.
85. zonzo: onomatopea .
86. presepe : stalla. Dal lat. prae- (prima) + saepire (circondare con una siepe): “ogni recinto chiuso”.
87 seco: con sé, fra sé e sé.
88 severamente : avverbio di venìa consultando, derivato di severo, “di rigidi principi morali”, contrario di “indulgente”.
89. e seco … fato: Giove è indeciso se Patroclo debba morire subito o dopo che abbia compiuto un altro eccidio.
90. Però: per questo. Dal latino per hoc.
91 tema: paura. Dal verbo “temere”.
inclinarsi di Giove a suo periglio
le fatali bilance92. Allor piè fermo neppur de’ Licii lo squadron non tenne, ma tutti si fuggîr visto il trafitto
925 re lor giacente sotto monte orrendo di cadaveri: tante su lui caddero anime forti quando della pugna a Giove piacque esasperar gli sdegni. Così le corruscanti93 arme gli Achivi
930 trasser di dosso a Sarpedonte, e altero alle navi invïolle il vincitore.
Sarpedonte torna in Licia
Giove chiede ad Apollo di sottrarre il corpo di Sarpedonte dai dardi, lavarlo dal sangue nella corrente del fiume, ungerlo di ambrosia e vestirlo con vesti immortali. Poi lo affiderà alla Morte e al Sonno, che lo riportino infine nelle ricche terre di Licia, tra i suoi cari, dove gli verranno resi gli onori funebri (vv. 932954).
L’audace Patroclo
955 In questo mentre di Menèzio il figlio i cavalli e l’auriga inanimando ai Licii dava e ai Dardani la caccia. Stolto! ché in danno gli tornò dassezzo94 . Se d’Achille obbedìa saggio al comando, 960 schivato ei certo della Parca avrebbe il decreto fatal95: ma più possente è di Giove il voler, che de’ mortali. Arbitro della tema96 ei mette in fuga
92 . Le fatali bilance sono le bilance d’oro utilizzate da Giove per decretare il destino degli uomini. Già usate nel Libro VIII (v. 87) per soppesare il destino di Troiani e Achei, verranno usate ancora prima del duello finale fra Ettore e Achille: esse esprimono e confermano una decisione che Giove ha già preso.
93 corruscanti: splendenti.
94 dassezzo: da ultimo, composto di “da” e “sezzo”, dal lat. secius, “più tardi”.
95 Se … fatal: cfr. vv. 114 e sgg. L’audacia di Patroclo, inebriato dal successo del suo attacco, si trasforma in sventatezza: trasgredendo al limite impostogli da Achille, il giovane eroe va incontro al suo danno.
96 tema: timore, paura. È Giove che dà e toglie il coraggio. soggetto
i più forti a suo senno, e allor pur anco
965 ch97’egli medesmo a battagliar li sprona, lor toglie la vittoria; e questo ei fece d’audacia empiendo di Patròclo il petto.
Patroclo fa strage di eroi troiani avanzando fin sotto le mura della città, che potrebbe conquistare se Apollo in persona non si opponesse minacciandolo. Lo stesso Apollo si avvicina a Ettore, che presso le porte
Scee sta per decidere di ritirare l’esercito dentro le mura, e lo incita a inviare invece contro Patroclo i suoi destrieri (vv. 9671019).
1020 Ettore al franco Cebrïon98 fe’ cenno di sferzargli i destrieri alla battaglia: ed Apollo per mezzo ai combattenti scorrendo occulto99 seminava intanto tra gli Achei lo scompiglio e la paura, 1025 e fea vincenti100 col lor duce i Teucri.
Sdegnoso Ettorre di ferir sul volgo de’ nemici, spingea solo in101 Patròclo i gagliardi cavalli, e ad incontrarlo diè il Tessalo dal cocchio un salto in terra 1030 coll’asta nella manca, e colla dritta un macigno afferrò aspro che tutto empiagli il pugno, e lo scagliò di forza. Fallì la mira il colpo, ma d’un pelo; né però vano uscì, ché nella fronte 1035 l’ettòreo auriga Cebrïon percosse, tutto al governo delle briglie intento, Cebrïon che nascea del re troiano valoroso bastardo. Il sasso acuto l’un ciglio e l’altro sgretolò, né l’osso 1040 sostenerlo poteo. Divelti al piede
aggettivo predicativo del soggetto “Apollo”
97 pur anco che (cioè “non solo”) è una congiunzione coordinativa correlativa la cui correlata (“ma”) è sottintesa, e da collocare prima di lor toglie.
98 . Cebrione è fratellastro e auriga di Ettore. Ha preso il posto del fratello Archepolemo, ucciso da Teucro nel Libro VIII (vv. 426 sgg).
99. occulto: perché ha assunto la figura di un guerriero troiano, Asio.
100. fea vincenti: li convinceva che avrebbero vinto.
101 in: contro.
gli schizzâr gli occhi nella sabbia, ed esso, qual suole il notator, fece cadendo dal carro un tòmo102, e l’agghiacciò la morte. E tu, Patròclo, con amari accenti
1045 lo schernisti così: «Davvero è snello questo Troiano: ve’ ve’103 come ei tombola con leggiadria! Se in pelago104 pescoso capitasse costui, certo saprebbe saltando in mar, foss’anche in gran fortuna105 , 1050 dallo scoglio spiccar conchiglie e ricci da saziarne molte epe106: sì lesto saltò pur or dal carro a capo in giuso107 . Oh gli eccellenti notator che ha Troia!» Sì dicendo, avventossi a Cebrïone
1055 come fiero lïon che disertando108 una greggia, piagar109 si sente il petto, e dal proprio valor morte riceve. Ma ratto contra a quel furor si slancia Ettore dalla biga; e i due superbi
1060 incomincian col ferro a disputarsi l’esangue Cebrïon. Qual due lïoni che per gran fame e per gran cor feroci s’azzuffano d’un monte in su la cima per la contesa d’una cerva uccisa; 1065 non altrimenti i due mastri di guerra, l’intrepido Patròclo e il grande Ettorre, ardono entrambi del crudel desìo di trucidarsi. Il teucro eroe la testa del cadavere afferra, e lo ghermisce110
1070 il Tessalo d’un piede, e la sua presa né quei né questi di lasciar fa stima111 .
Patroclo è come un feroce leone
Come due leoni in lotta così Patroclo ed Ettore
102 tòmo: caduta, da tomare. Cfr. il francese tombér e quindi tombola di v. 1046.
103 ve’ ve’: vedi vedi.
104 pelago: alto mare, dal gr. pelagos
105 fortuna: tempesta.
106 molte epe : molti ventri, intesi quelli dei compagni d’equipaggio. Epa è parola comico spregiativa.
107. giuso: giù.
108 . disertando: seminando la strage (v. nota al v. 606).
109. piagar : ferire, colpire.
110. ghermisce : dal longobardo krimmjan, “afferrare”.
111 fa stima: fa conto, valuta.
112Allor Troiani e Achivi una battaglia appiccâr disperata: e qual gareggiano d’Euro e di Noto i forti fiati a svellere
1075 nelle selve montane il faggio e il frassino ed il ruvido cornio113; e questi all’aere dibattendo le lunghe e larghe braccia con immenso ruggito le confondono, finché li vedi fracassarsi, e opprimere 1080 fragorosi la valle: a questa immagine l’un su l’altro scagliandosi combattono Troiani e Dànai del fuggir dimentichi. Dintorno a Cebrïon folta conficcasi una selva d’acute aste e d’aligeri
1085 dardi114 guizzanti dalle cocche; assidua d’enormi sassi una tempesta crepita su gli ammaccati scudi; ed ei nel vortice della polve giacea grande cadavere in grande spazio, eternamente, ahi misero! 1090 dei cari in vita equestri studi immemore115 .
«la Parca del viver tuo raccolse il filo estremo»
Finché del sole ascesero le rote verso il mezzo del ciel, d’ambe le parti uscìano i colpi con egual ruina, e la gente cadea. Ma quando il giorno 1095 su le vie dechinò116 dell’occidente117 , prevalse il fato118 degli Achei che alfine
Come i venti che combattono contro gli alberi
così Troiani e Achei in lotta
112 . Il brano che segue, fino al v. 1090, è quasi tutto composto di endecasillabi sdruccioli (cioè con accento sempre sulla 10° sillaba, ma in terzultima posizione), dall’andamento più solenne.
113. Il corniolo è un albero montano dal legno duro, i cui frutti rossastri sono simili alle olive. 114 aligeri dardi: frecce alate.
115. Tutto è grande nella morte di Cebrione: la selva d’aste e dardi, la tempesta d’enormi sassi, il cadavere, lo spazio che ricopre cadendo, l’eternità del suo giacere; perché grande sia la tristezza. Un velo di oblio ricopre le care occupazioni che aveva in vita: la grande passione (studi, dal lat. studium, applicazione, sollecitudine, desiderio) di cavalcare e guidare il cocchio del magnanimo Ettore.
116. dechinò: scese gradatamente.
117. È iniziato il pomeriggio e sta volgendo al termine questa ventiseiesima giornata di battaglia, la più densa di eventi e la più decisiva, come si vedrà, per smuovere l’animo di Achille. 118 fato: qui è la fortuna, che per Patroclo sarà breve.
dall’acervo119 dei teli, e dalla serra de’ Troiani involâr120 di Cebrïone la salma, e l’armi gli rapîr di dosso.
1100 Qui fu che pieno di crudel talento121 urtò Patròclo i Troi. Tre volte il fiero con gridi orrendi gli 122assalì, tre volte spense nove guerrier; ma come il quarto impeto fece, e parve un Dio, la Parca
1105 del viver tuo raccolse il filo estremo, miserando garzon123, ché ad incontrarti venìa tremendo nella mischia Apollo: né camminar tra l’armi alla sua volta l’eroe lo vide, ché una folta nebbia
1110 le divine sembianze ricoprìa.
Vennegli a tergo124 il nume, e colla grave125 palma sul dosso tra le late126 spalle gli dechinò127 sì forte una percossa, che abbacinossi al misero la vista
1115 e girò l’intelletto128. Indi dal capo via saltar gli fe’ l’elmo il Dio nemico, e l’elmo al suolo rotolando fece sotto il piè de’ corsieri un tintinnìo, e si bruttaro del cimier le creste
1120 di sangue e polve; né di polve in pria129 insozzar quel cimiero era concesso quando l’intatto capo e la leggiadra130 fronte copriva del divino Achille.
Ma in quel giorno fatal Giove permise
119. acervo: cumulo, moltitudine.
120 involâr : involarono, che significa sottrassero
121 crudel talento: brama di uccidere.
122 gli: li.
123 miserando garzon: giovane da commiserare. Garzon, dal francese gar ç on Miserando è il gerundivo (un modo verbale della lingua latina) del verbo miserari, “compatire, compiangere”.
124 a tergo: da dietro, alle spalle.
125 grave : pesante.
126 late : larghe. Lat. latus, “spazioso”.
127. dechinò: abbassò, calò.
128 . abbacinossi … intelletto: l’accecamento e lo stravolgimento della mente non dipendono tanto dalla forza, quanto dal prodigio della volontà divina nemica.
129. in pria: prima, fino ad allora.
130. leggiadra: dal lat. levarius, “leggero”, derivato di levis, “lieve”: bella, nobile.
1125 che d’Ettore passasse 131in su le chiome vicino anch’esso al fato estremo. Allora tutta a Patròclo nella man si franse la ferrea, lunga, ponderosa e salda smisurata sua lancia132, e sul terreno 1130 dalla manca gli cadde il gran pavese133 rotto il guinzaglio134. Di sua man l’usbergo135 sciolsegli alfine di Latona il figlio, e l’infelice allor del tutto uscìo di sentimento; gli tremâro i polsi, 1135 ristette immoto, sbalordito, e in quella tra l’una spalla e l’altra lo percosse coll’asta da vicin di Panto136 il figlio l’audace Euforbo, un Dardano che al corso e in trattar lancia e maneggiar destrieri 1140 la pari gioventù137 vincea d’assai. La prima volta che sublime138 ei parve139 su la biga a imparar dell’armi il duro mestier, venti guerrieri al paragone140 riversò da’ lor cocchi; ed or fu il primo 1145 che ti ferì, Patròclo, e non t’uccise. Anzi dal corpo ricovrando141 il ferro si fuggì pauroso142, e nella turba si confuse il fellon143, che di Patròclo benché piagato e già dell’armi ignudo 1150 non sostenne la vista. Da quel colpo
131 passasse : sogg. è l’elmo. Trofeo di vittoria, ma anche segno di morte imminente: armi dunque fatali, quelle di Achille.
132 . lancia: è la stessa che al v. 197 viene detto non essere presa. Non è una dimenticanza, ma in entrambi i passi una voluta glorificazione di Achille, le cui armi non vanno prese, o cadono e si spezzano indosso ad altri.
133 pavese : scudo.
134 guinzaglio: è la cintura, descritta nel Libro XIV, vv. 480 e sgg.
135 usbergo: corazza.
136 Panto, era, all’inizio del III libro, tra i vecchion gravi alla torre seduti presso le porte Scee insieme a Priamo, per assistere al duello fra Paride e Menelao.
137. la pari gioventù: i coetanei.
138 . sublime : in alto, sopraelevato.
139. parve : apparve.
140. paragone : confronto, combattimento.
141 . ricovrando: recuperando.
142 . pauroso: anche lui subisce la cupa misteriosità che circonda Patroclo.
143. fellon: traditore, in quanto ha colpito Patroclo alle spalle ma non osa affrontarlo.
e più dall’urto dell’avverso Dio
abbattuto144 l’eroe si ritirava fra’ suoi compagni ad ischivar la morte. Ed Ettore145, veduto il suo nemico 1155 retrocedente e già di piaga offeso, tra le file vicino gli si strinse, nell’imo casso146 immerse l’asta e tutta dall’altra parte rïuscir la fece. Risonò nel cadere, ed un gran lutto 1160 per l’esercito achivo si diffuse.
Ettore si vanta col moribondo eroe (11611171):
«Ecco, dicea, ecco, o Patròclo, la città che dianzi atterrar ti credesti, ecco le donne che ti sperasti di condur captive147 1175 alla paterna Ftia. Folle! e non sai che a difesa di queste anco i cavalli d’Ettòr son pronti a guerreggiar co’ piedi148?
E che fra’ Teucri bellicosi io stesso non vil guerriero maneggiar so l’asta 1180 e preservarli da servil catena?
Tu frattanto qui statti orrido pasto d’avoltoi149. Che ti valse, o sventurato, quel tuo sì forte Achille? Ei molti avvisi ti diè certo al partire: “O cavaliero 1185 caro Patròclo, non mi far ritorno alle navi se pria dell’omicida
144 Da … abbattuto: messi così insieme i due colpi, anche il secondo risulta guidato da Apollo.
145 Ed Ettore : e anche Ettore è strumento di questo potere sovrannaturale, poiché diversamente dalla sua solita bellicosità in battaglia, non affronta sicuro un nemico gagliardo, ma vacillante.
146. nell’imo casso: nella parte inferiore del petto. Casso è la cavità, la cassa toracica.
147. captive : prigioniere. Il pensiero va alle parole dette ad Andromaca (cfr.Libro VI, vv. 594 e sgg.).
148 co’ piedi: con gli zoccoli.
149. I versi richiamano il Proemio: la morte di Patroclo è infatti una delle tragiche conseguenze dell’ira funesta di Achille che travolse all’Orco molte anime di eroi, morti prematuramente, cioè nel fiore della loro gioventù.
Ettòr sul petto non avrai spezzato il sanguinoso usbergo”… Ei certo il disse, e a te, stolto che fosti! il persuase150».
1190 E a lui così l’eroe languente: «Or puoi menar gran vampo151, Ettorre, or che ti diêro di mia morte la palma Apollo e Giove. Essi, non tu, m’han domo152; essi m’han tratto l’armi di dosso. Se pur venti a fronte
1195 tuoi pari in campo mi venìan, qui tutti questo braccio gli avrìa prostrati e spenti. Ma me per rio destin qui Febo uccide fra gl’Immortali, e tra’ mortali Euforbo, tu terzo mi dispogli. Or io vo’ dirti
1200 cosa che in mente collocar ben devi: breve corso a te pur resta di vita153: già t’incalza la Parca, e tu cadrai sotto la destra dell’invitto Achille». Disse e spirò. Disciolta dalle membra
1205 scese l’alma a Pluton la sua piangendo sorte infelice e la perduta insieme fortezza e gioventù. Sovra l’estinto arrestatosi Ettorre, «A che mi vai profetando, dicea, morte funesta?
1210 Chi sa che questo della bella Teti vantato figlio, questo Achille a Dite colto dall’asta mia non mi preceda?» Così dicendo, lo calcò d’un piede, gli svelse il telo dalla piaga, e lungi
1215 lui supino gittò. Poi ratto addosso all’auriga d’Achille si disserra, di ferirlo bramoso. Invan; ché altrove gl’immortali sel portano corsieri, che in bel dono a Pelèo diêro gli Dei.
150. … il disse, e a te … il persuase : lo disse, e persuase te di ciò.
151 . menar gran vampo: gloriarti, vantarti.
152 . domo: domato.
153. Era credenza degli antichi che i moribondi potessero vedere chiaramente il futuro. soggetto
Libro XVII
Tempo: Il ventiseiesimo giorno (pomeriggio).
Luoghi: Il campo di battaglia.
Visto cadere Patroclo, Menelao si pone alla difesa del morto, pronto ad ammazzare chiunque osi avvicinarsi.
Gli si presenta Euforbo, che gli grida (vv. 112):
«Duce di genti, di Giove alunno1 Menelao, recedi;
15 quell’estinto abbandona, e a me le spoglie sanguinose ne2 lascia, a me che primo tra tutti e Teucri ed alleati in aspra pugna il percossi. Non vietarmi adunque quest’alta gloria fra’ Troiani; o ch’io
20 col ferro ti trarrò l’alma dal petto». «Eterno Giove,» gli rispose irato il biondo Menelao «dove s’intese più sconcio millantar3? Né di pantera né di lïon fu mai né di robusto
25 truculento cinghial tanto l’ardire quanta spiran ferocia i Pantoìdi4 .
Menelao esorta Euforbo ad andarsene, perché non lo uccida come uccise suo fratello. Euforbo risponde che vuole invece vendicarlo (vv. 2749).
50 Ferì, ciò detto, nel rotondo scudo, ma nol passò, ché nella salda targa5
1 di Giove alunno: cfr. Libro II, v. 131.
2 ne : di lui.
3 millantar : vantarsi esageratamente. Derivato da mille + suff. -anta, quindi “ingigantire mille volte”.
4. Pantoìdi: figli di Panto, cioè Euforbo, Polidamante e Iperenore, già caduto per mano di Menelao nel Libro XIV, v. 621.
5 nella salda targa: nello scudo resistente.
si ritorse la punta. Impeto fece, Giove invocando, dopo lui l’Atrìde, e al nemico, che in guardia si traea,
55 nell’imo gorgozzul6 spinta la picca7 , ve l’immerge di forza, e gli trafora il delicato collo. Ei cadde, e sopra gli tonâr l’armi; e della chioma, a quella delle Grazie simìl, le vaghe anella
60 d’auro avvinte e d’argento8 insanguinârsi. Qual d’olivo gentil pianta9 nudrita in lieto d’acque solitario loco bella sorge e frondosa: il molle fiato l’accarezza dell’aure, e mentre tutta
65 del suo candido fiore si riveste, un improvviso turbine la schianta dall’ime barbe10, e la distende11 a terra; tal l’Atrìde prostese12 il valoroso figliuol di Panto Euforbo, e a dispogliarlo
70 corse dell’armi.
soggetto
Come una delicata pianta d’olivo schiantata
così Euforbo che cade morto
Ma Apollo incita contro di lui Ettore, cui si presenta come Mente duce dei Cìconi, e poi ritorna nella mischia (vv. 7094).
95 Alto dolore l’ettòreo petto circondò: rivolse l’eroe lo sguardo per le file in giro, e tosto dell’esimie13 armi veduto il rapitore, e l’altro al suol giacente
100 in un lago di sangue, oltre si spinse
6. nell’imo gorgozzul: alla base della gola.
7. picca: lancia, l’arma in asta munita di acuta punta.
8 . le vaghe … d’argento: i bei ricci tenuti da fermagli d’oro e d’argento. Le Grazie, tre sorelle figlie di Giove, erano le dee della bellezza e della leggiadria.
9 gentil pianta: giovane germoglio. Questo è un delicatissimo confronto, che sottolinea la morte di un ragazzo.
10. ime barbe : profonde radici.
11 . distende : dal lat. stendere di qua e di là (dis-): mette a giacere.
12 . prostese : dal lat. pro (davanti) + stendere : stese in avanti o davanti a sé.
13. esimie : ragguardevoli, insigni, eccellenti. Dal lat. eximium, “messo da parte”, “che si stacca dagli altri”.
scintillante nel ferro14 come lingua del vivo fuoco di Vulcano, e mise acuto un grido. Udillo, e sospirando nel segreto suo cor disse l’Atrìde:
105 «Misero che farò? Se queste belle armi15 abbandono e di Menèzio il figlio per onor mio16 qui steso, alla mia fuga gli Achei per certo insulteran; se solo, da pudor vinto, con Ettòr mi provo
110 e co’ suoi forti, io sol da molti oppresso cadrò, ché tutti il condottier troiano seco i Teucri ne17 mena a questa volta. Ma che dubbia il mio cor? Chi con avversi numi un guerrier, che sia lor18 caro, affronta, 115 corre alla sua ruina. Alcun non fia dunque de’ Greci che con me s’adiri se davanti ad Ettorre, a lui che pugna per comando d’un nume, io mi ritraggo. Pur se avverrà che in qualche parte io trovi
120 il magnanimo Aiace, entrambi all’armi ritorneremo allor, pur contra un Dio, e a sollievo de’ mali opra faremo di trar salvo ad Achille il morto amico». Mentre tai cose gli ragiona il core, 125 da Ettore precorse19 ecco de’ Teucri sopravvenir le schiere. Allora ei cesse20 , e il morto abbandonò, gli occhi volgendo tratto tratto all’indietro,
Ettore lampeggia come una lingua di fuoco complemento oggetto soggetto
in cerca del grande Aiace Telamonio. Lo raggiunge e lo convince ad andare insieme a prelevare il corpo di Patroclo, che Ettore ha già privato delle armi (vv. 129145).
14. nel ferro: nell’armatura.
15. queste belle armi: di Euforbo.
16. per onor mio: perché difenderlo mi arrechi onore.
17. ne : pleonasmo.
18 . lor : a loro, ai numi. Menelao riconosce nel fulgore di Ettore il favore di un Dio.
19. precorse : precedute.
20 cesse : cedette.
Turbâr la generosa alma d’Aiace queste parole: s’avvïò, si spinse tra i guerrieri davanti, in compagnia di Menelao. Per l’atra21 polve intanto
150 strascinava di Pàtroclo la nuda salma il duce troiano, onde troncarne dagli omeri la testa, e far del rotto corpo ai cani di Troia orrido pasto22 . Ma gli fu sopra col turrito23 scudo
155 il Telamònio: retrocesse Ettorre nella torma de’ suoi, d’un salto ascese il cocchio, e le rapite armi famose dielle ai Teucri a portar nella cittade, d’alta sua gloria monumento. Allora
160 coll’ampio scudo ricoprendo il figlio di Menèzio, fermossi il grande Aiace, come lïon, cui, mentre al bosco mena i leoncini, sopravvien la turba de’ cacciatori: si raggira il fiero,
165 che sente la sua forza, intorno ai figli, e i truci occhi rivolve, e tutto abbassa il sopracciglio che gli copre il lampo delle pupille: a questo modo Aiace circuisce e protegge il morto eroe.
soggetto
Come un leone difende i suoi cuccioli
così Aiace difende la salma di Patroclo
Dall’altro lato si apposta Menelao, gonfio nel cuore di pena. Glauco si approssima ad Ettore e lo rimprovera di fuggire per paura del confronto con Aiace, mentre rapire il corpo di Patroclo avrebbe consentito di scambiarlo con quello di Sarpedonte. E per non aver difeso la salma di quest’ultimo, lo minaccia di ritirare i suoi Licii dall’alleanza.Risponde Ettore di temere solo Giove che ogni forza eccede e nei conflitti toglie o dona la vittoria. Così lo invita a rimanere tutto il resto del giorno al suo fianco, per vederlo fermare gli Achei e prelevare Patroclo (vv. 170225).
21 . atra: scura, nera di sangue.
22 . Il verso richiama il Proemio, in cui si preannunciava la tragedia conseguente all’ira di Achille (cfr. Libro XVI, v. 1182).
23. Lo scudo di Aiace è alto come una torre.
Quindi le schiere inanimando24 grida: «Teucri, Dardani, Licii, or vi mostrate uomini, e il petto vi conforti, amici, dell’antico valor la rimembranza,
230 mentre l’armi d’Achille, da me tolte all’ucciso Patroclo, io mi rivesto». Disse, e corse e raggiunse in un baleno delle bell’arme i portatori, e date a recarsi25 nel sacro Ilio le sue,
235 fuor del conflitto ed a’ suoi prodi in mezzo le immortali si cinse armi d’Achille, dono de’ numi al genitor Pelèo, che poi vecchio le cesse al suo gran figlio: ma il figlio in quelle ad invecchiar non venne.
240 Come il sommo de’ nembi adunatore26 del Pelìde indossarsi le divine armi lo vide, crollò27 il capo, e seco nel suo cor favellò: «Misero! al fianco ti sta la morte, e tu nol28 pensi, e l’armi
245 ti vesti dell’eroe che de’ guerrieri tutti è il terrore, a cui tu il forte hai spento mansueto compagno, armi d’eterna tempra a lui tolte con oltraggio. Or io d’alta vittoria ti farò superbo,
250 e compenso sarà del non doverti Andromaca, al tornar dalla battaglia, scioglier l’usbergo del Pelìde Achille29». Disse; e l’arco de’ negri sopraccigli abbassando, d’Ettorre alla persona
255 adattò l’armatura. Al suo contatto infiammossi l’eroe d’un bellicoso
24 inanimando: incoraggiando.
25 date a recarsi: dopo aver dato da portare.
26. Il dio che viene nominato con l’epiteto sommo adunatore delle nubi è Giove.
27 crollò: v. “crollare”, muovere in qua e in là in segno di disapprovazione.
28 nol: non lo.
29. La vittoria di Ettore su Patroclo ha un caro prezzo, infatti l’eroe non tornerà più a casa da Andromaca perché troverà la morte in battaglia: solo Achille può indossare armi divine (armi d’eterna tempra). soggetto
orribile furor, tutte di forza sentì inondarsi e di valor le vene.
Quindi Ettore si rivolge agli alleati e li infiamma alla battaglia, promettendo premi a chi metta in fuga Aiace e tragga il corpo di Patroclo entro Troia (vv. 259283).
Al fin delle parole alzâr le lance
285 tutti, e al nemico s’addrizzâr di punta con grande in core di strappar speranza dalle mani del gran Telamonìde il morto: folli! ché sul morto istesso quell’invitto dovea farne macello.
Aiace esprime a Menelao il timore di soccombere e lo invita a chiamare di rinforzo i più valorosi. Giungono allora Aiace d’Oileo, Idomeneo e Merione.
La battaglia per il possesso del corpo di Patroclo diventa violentissima, con continui cambiamenti di fronte e numerosi morti da entrambe le parti e non si risolve neanche quando Apollo in persona incita Enea a rianimare gli scoraggiati compagni. La disputa è talmente accanita, che una nube di polvere copre questa battaglia di tutti i più forti eroi, tanto densa da non potersi capire se esistano ancora il sole e la luna. Lontano da questo punto, gli altri Achei e Troiani si combattono invece alla luce del sole (vv. 290486).
Ma il conflitto maggior ferve dintorno al valoroso del Pelìde amico, terribile conflitto, e senza posa 490 fino al tramonto della luce. A tutti dissolve la stanchezza e gambe e piedi e ginocchia; il sudore a tutti insozza e le mani e la faccia; e quale30, allora
“con grande speranza” è un unico sintagma soggetto
Come i ragazzi conciano il cuoio
30. quale … cuoio. Viene qui descritto il modo di conciare le pelli: il coreggiaio (fabbricante di corregge, le strisce di cuoio ritagliate dalla pelle) affida la pelle di un toro a dei garzoni che dapprima la cospargono di grasso per rammollirla e poi, dovendola spianare e farla diventare più estesa, si dispongono a cerchio e la tirano. In questo tirare ognuno verso di sé la pelle si sostanzia la similitudine col povero corpo di Patroclo.
che a robusti garzoni il coreggiaio
495 la pingue pelle a rammollir commette31 di gran tauro; disposti essi in corona la stirano di forza; immantinente32 l’umidor ne distilla, e l’adiposo succo le fibre ne penètra33, e tutto
500 a quel molto tirar si stende il cuoio: tale in piccolo spazio i combattenti gareggiando traean34 da opposti lati il cadavere, questi nella speme di strascinarlo entro le mura, e quelli
505 alle concave navi. Ognor più fiera sull’estinto sorgea quindi la zuffa, tal che Marte35 dell’armi eccitatore nel vederla e Minerva36 anche nell’ira commendata l’avrìa37. Tanta in quel giorno
510 di cavalli e d’eroi Giove diffuse sul corpo di Patròclo aspra contesa.
così i guerrieri si contendono il corpo di Patroclo
Achille, intanto, ancora non sa che è morto il suo amico più caro, né lo sospetta, poiché la profezia rivelatagli dalla madre mancava di questa informazione. Ma il tumulto sul cadavere imperversa tanto che il suono dei ferri arriva fino in cielo (vv. 512539).
540 D’Achille intanto i corridor38, veduto il loro auriga dall’ettòrea lancia
31 commette : affida, dà in lavorazione.
32 immantinente : subito.
33 l’umidor … penètra: il grasso viene spalmato sopra, cosicché durante la stiratura l’umidore cola da sotto e il grasso viene assorbito da sopra.
34 traean: indicativo imperfetto di trarre.
35. Marte : prevale l’essere il dio della guerra sul parteggiare per i Troiani: Marte riconosce sempre il valore dei combattenti, in entrambi i fronti.
36. Minerva anche nell’ira: Minerva (che parteggia per i Greci) sarebbe meno capace di imparzialità, ma perfino lei (anche nell’ira) saprebbe riconoscere valore (commendata l’avrìa) ai combattenti troiani.
37. commendata l’avrìa: l’avrebbe apprezzata, lodata.
38 . i corridor : Balio e Xanto, gli immortali destrieri di Achille, guidati dall’auriga Automedonte.
nella polve disteso, allontanati39 dalla pugna piangean. Di Dïorèo il forte figlio Automedonte invano
545 or con presto flagello40, ora con blande parole, ed ora con minacce al corso gli41 stimola. Ostinati essi né vonno42 alla riva piegar43 dell’Ellesponto, né rïentrar nella battaglia. Immoti
550 come colonna sul sepolcro ritta di matrona o d’eroe, starsi44 li vedi giunti al bel carro colle teste inchine, e dolorosi del perduto auriga45 calde stille versar dalle palpebre.
555 Per lo giogo46 diffusa al suol cadea la bella chioma, e s’imbrattava47. Il pianto ne vide il figlio di Saturno, e tocco di pietà scosse il capo, e così disse: «O sventurati! perché mai vi demmo48
560 ad un mortale, al re Pelèo, non sendo49 voi né a morte soggetti né a vecchiezza? Forse perché partecipi de’ mali foste dell’uomo di cui nulla al mondo, di quanto in terra ha spiro e moto, eguaglia
Come colonne funebri così i cavalli stanno
predicativo (sogg. sott. “voi”)
39 allontanati: dopo che Patroclo è sceso dalla biga (Libro XVI, v. 612), Automedonte li ha portati a lato del campo di battaglia.
40. presto flagello: con rapidi colpi di frusta.
41 . gli: li.
42 . vonno: vogliono.
43. piegar : ripiegare, ritornare.
44. starsi: che (si) stanno (in quel modo). Il verbo “stare” è qui usato nel suo significato proprio, che è quello di “rimanere fermo, ritto in piedi”.
45 perduto auriga: Patroclo.
46 giogo: propriamente, il giogo è un’asta di legno che unisce all’attaccatura del collo i bovini da lavoro, ma qui indica il complesso di corregge (la bardatura) che avvolge i cavalli dal morso al petto e con cui vengono tenuti insieme, attaccati al timone del carro e guidati dall’auriga. La relazione linguistica fra giogo e bardatura riguarda la qualità della funzione, dunque si tratta di metonimia .
47. giunti … s’imbrattava: i cavalli compongono una figura continua ( giunti ) col carro, e dalle loro teste inchinate le criniere (la bella chioma) si diffondono come lacrime (diffusa al suol cadea). Il pianto, che qui è umanizzato, evidenzia il dolore dei cavalli immortali per il giovane eroe ucciso e anticipa quello di Achille (Libro XVIII), che sarà una terribile esplosione di dolore, disperazione e ira.
48 . vi demmo: cfr. n. a Libro XVI, v. 211.
49. sendo: essendo.
565 l’alta miseria50? Ma non fia per certo che da voi sia portato e da quel cocchio il Prïâmide Ettorre: io nol consento. E non basta che l’armi ei ne possegga, e gran vampo51 ne meni? Or io nel petto 570 metterovvi e ne’ piè forza novella, onde fuor della mischia a salvamento adduciate52 alle navi Automedonte. Ch’io son fermo53 di far vittorïosi per anco54 i Teucri insin che fino ai legni55 575 spingan la strage, e il Sol tramonti, e il sacro velo dell’ombre le sembianze asconda56». Così detto, spirò tale un vigore ne’ divini corsier, che dalle chiome scossa la polve, in un balen portâro 580 fra i Teucri il cocchio e fra gli Achei.
complemento oggetto
Ettore ha visto i divini destrieri e chiama Enea perché lo aiuti a prenderli. A loro si uniscono altri due Troiani e insieme vanno all’attacco, che tuttavia non riesce poiché in soccorso di Automedonte arrivano Alcimedonte e gli Aiaci.La battaglia continua sempre più violenta e la nube si fa sempre più densa. Perfino Giove si coinvolge nella mischia spedendo alcuni dèi in campo, poiché si commuove per i dolori che mettono a dura prova gli eroi, e favorisce ora un guerriero ora il guerriero avverso. Menelao infatti riesce, animato da Minerva, a portare Patroclo nelle file achee, ed Ettore, affiancato da Apollo, sferra un attacco formidabile.
Giove, che aveva comunque deciso di dar momentanea vittoria ai Teucri, supporta l’attacco di Ettore con un fulmine, che viene da tutti inteso come segno di vittoria dei Troiani (vv. 581795).
50 Forse … miseria. Nulla di tutto ciò che respira e si muove nel mondo, dice Giove, eguaglia la miseranda sorte dell’uomo. Misero è l’uomo perché ha coscienza della sproporzione tra il bene che desidera e il male che compie o che gli accade: questo è il significato delle umane lacrime.
51 vampo: vanto.
52 adduciate : congiuntivo presente di “addurre”.
53 io son fermo: io ho deciso, ho stabilito.
54 per anco: ancora.
55 legni: navi (è detto il materiale per indicare l’oggetto: sineddoche). Secondo l’intenzione espressa più volte, Giove concede ancora poco tempo ai Troiani, fino al tramonto ormai prossimo, ma vuole che i destrieri mettano in salvo Automedonte.
56 le sembianze asconda: nasconda gli aspetti delle cose.
795 Scorsero anch’essi il magnanimo Aiace e Menelao, che Giove ai Teucri concedea l’onore dell’alterna vittoria; onde proruppe in questi accenti il gran Telamonide: 800 «Anche uno stolto, per mia fé57, vedrìa che pe’ Teucri sta58 Giove: ogni lor strale59 , sia vil, sia forte il braccio che lo spinge, porta ferite, e il Dio li drizza60. I nostri van tutti a voto. Nondimen si pensi
805 qualche sano partito, un qualche modo di salvar quell’estinto, e di tornarci salvi noi stessi a rallegrar gli amici, che con gli sguardi qua rivolti e mesti stiman che lungi dal poter le invitte 810 mani d’Ettorre sostener, noi tutti cadrem morti alle navi61. Oh fosse alcuno qui che ratto portasse al grande Achille del periglio l’avviso! A lui, cred’io, ancor non giunse dell’ucciso amico
815 la funesta novella; e tra gli Achei ancor non veggo al doloroso ufficio acconcio ambasciator, tanta nasconde caligine i cavalli e i combattenti. Giove padre, deh togli a questo buio
820 i figli degli Achei, spandi il sereno, rendi agli occhi il vedere, e poiché spenti ne62 vuoi, ci spegni nella luce almeno». Così pregava. Udillo il padre, e visto il pianto dell’eroe, si fe’ pietoso, 825 e, rimossa la nebbia, in un baleno il buio dissipò. Rifulse il Sole,
57 per mia fé : in fede mia, sono convinto e certo.
58 . sta: parteggia.
59. strale : freccia, ma anche colpo in generale.
60. li drizza: li dirige.
61 . alle navi: va inteso che i loro compagni potrebbero pensare che l’impeto di Ettore potrebbe giungere fino alle navi.
62 ne : ci.
e tutta apparve la battaglia. Aiace disse allora all’Atrìde: «Or guarda intorno, diletto Menelao, vedi se trovi
830 di Nestore ancor vivo il forte figlio
Antiloco63, e di volo al grande Achille nunzio del fato del suo caro il manda».
A malincuore il bellicoso Menelao si separa da Patroclo.Fra le turbe scorge Antiloco e gli si avvicina. Gli dà la triste notizia da portare ad Achille, insieme alla richiesta di venire ad aiutarli a portare in salvo il corpo, benché nudo poiché le armi sue le ha Ettore. Antiloco è sconvolto dalla notizia, ma parte di gran volo. Menelao torna dagli Aiaci, ai quali dice che non c’è da aspettarsi che Achille, nudo delle armi, venga ad aiutarli. Insieme decidono che Merione e Menelao solleveranno Patroclo per portarlo via definitivamente, e che i due Aiaci combatteranno per proteggerli (vv. 833913):
L’estinto sottratto al furore nemico
e quelli da terra alto levâro il morto tra le braccia. A cotal vista
915 urlò la troica turba, e difilossi64 furibonda, di cani a simiglianza che precorrendo i cacciator65 s’avventano a ferito cinghial, desiderosi di farlo in brani: ma se quei repente66 920 di sua forza securo in lor converte l’orrido grifo67, immantinente tutti dan volta68 e per terror piglian la fuga chi qua spersi, chi là: tali i Troiani inseguono attruppati69 il fuggitivo 925 stuol70, coll’aste il pungendo e colle spade.
così i Troiani inseguono gli Aiaci
63 Antiloco: un guerriero molto veloce nella corsa e particolarmente caro ad Achille.
64 difilossi: si slanciò in avanti.
65 precorrendo i cacciator : correndo davanti ai cacciatori.
66. repente : improvvisamente.
67. grifo: muso. Dal greco gripós, che significa “ricurvo”, qui usato per indicare la paurosa e pericolosissima zanna che sporge da entrambi i lati del muso.
68 . dan volta: si voltano, cambiano direzione di marcia.
69. attruppati: in truppa, in gruppo.
70 il fuggitivo stuol: il gruppo di Achei che sta portando in salvo il corpo di Patroclo. Come i cani inseguono un cinghiale
Ma come rivolgean fermi sul piede gli Aiaci il viso, di color cangiava l’inseguente caterva71, e non ardìa niun farsi avanti, e disputar l’estinto, 930 che di mezzo al conflitto audacemente venìa portato da quei forti al lido, benché fiera su lor cresca la zuffa. Come fuoco che involve all’improvviso popolosa cittade, e ruinosi72
935 sparir fa i tetti nella vasta fiamma, che dal vento agitata esulta e rugge; tale alle spalle dell’acheo drappello de’ guerrieri incalzanti e de’ cavalli rimbombava il tumulto. E a quella guisa 940 che per aspero calle73 giù dal monte traggon74 due muli di robusta lena o trave o antenna da volar sull’onda75 , e di sudore infranti e di fatica studian la via: del par que’ due gagliardi
945 portavano affannati il tristo incarco difesi a tergo dagli Aiaci. E quale steso in larga pianura argin selvoso de’ fiumi affrena il vïolento corso, e respinta devolve per lo chino76
950 l’onda furente che spezzar nol puote77; così gli Aiaci l’irruente piena rispingono de’ Troi che tuttavolta78 gl’inseguono ristretti, Enea tra questi principalmente e il non mai stanco Ettorre.
955 Con quell’alto stridor che di mulacchie79 fugge una nube o di stornei vedendo
71 caterva: moltitudine, nell’accezione che ne evidenzia il disordine.
72 ruinosi: rovinosi, cadenti perché distrutti.
73 aspero calle : ripido sentiero.
74 traggon: portano.
Come un incendio
così il tumulto dei Troiani
Come due muli
così Menelao e Merione
Come l’argine del fiume
così i due Aiaci
Come lo stridore di uccelli spaventati
75 trave … onda: per la costruzione delle navi, la trave è un elemento della struttura; per l’antenna, cfr. n. a Libro XVI, v. 199.
76. devolve per lo chino: rovescia verso il piano.
77. spezzar nol puote : non può spezzarlo (l’argine).
78 . tuttavolta: senza interruzione.
79 mulacchie : cornacchie.
venirsi incontro lo sparvier che strage fa del minuto volatìo80; con tali acute grida innanzi alla ruina81
960 de’ due troiani eroi fuggìa dispersa82 la turba degli Achei, posto83 di pugna ogni pensier. Di belle armi, cadute ai fuggitivi, ingombra era la fossa84 e della fossa il margo85; e il faticoso
965 lavor di Marte non avea respiro.
così le grida degli Achei
80 minuto volatìo: piccoli uccelli.
81 . ruina: inseguimento precipitoso: una metonimia .
82 . dispersa: perduta, ormai irraggiungibile.
83. posto: sta per deposto. Smesso, abbandonato.
84. la fossa: il fossato. Hanno raggiunto il fossato e dunque il campo acheo, ma il cadavere di Patroclo non è ancora in salvo.
85 margo: margine.
Ciò che nessun discorso, nessuna supplica, nessun ambasciatore era riuscito a ottenere presso Achille avviene: la morte dell’amico Patroclo smuove l’eroe, lo fa uscire dall’isolamento da lui voluto in nome di un’idea di giustizia che non regge di fronte alla realtà dolorosa dei fatti. Alla notizia dell’accaduto Achille cade in una profonda disperazione (Libro XVIII) e il suo grido di dolore è così acuto e lacerante, che la madre, dal fondo del mare, accorre per consolarlo e per offrirgli il suo aiuto. Ancora una volta si fa tramite tra il figlio e gli dèi. Questa però, non per chiedere la vendetta direttamente a un dio, ma per procacciare le armi al figlio, affinché lui stesso possa vendicare di sua mano la morte dell’amico. Un grande sacrificio per Tetide, la quale sa che il ritorno del figlio in battaglia ha come prezzo la sicura e presta morte dell’eroe. Ciononostante si reca da Vulcano affinché forgi armi divine, che, come tutte le opere del fabbro degli dèi, coniugano in sé stesse la funzionalità e la bellezza. Notevole la descrizione dello scudo, sul quale è istoriato il cosmo: il mare, il cielo, la terra. E poi l’uomo, che si sposa, combatte, discute, lavora, fa festa. Uno spaccato di vita che si apre improvviso e solare dopo i sanguinosi libri dedicati alla terza battaglia e che pare poco adeguato a uno scudo, sul quale ci si aspetterebbe di vedere raffigurate scene di guerra e di gesta eroiche. Ma nell’Iliade c’è spazio per la vita intera, perché ogni guerriero è un uomo e porta con sé nel presente bellicoso tutta la trama di rapporti del suo passato e la speranza di un futuro di pace.
All’alba del ventisettesimo giorno Tetide va a consegnare le armi al figlio (Libro XIX). Lo trova piangente sulla salma di Patroclo, timoroso che gli insetti possano corromperla, e gli promette di renderla incorruttibile. Quasi che il mantenersi intatto del corpo possa alleviare la pena del distacco. Il Pelìde poi, convocata l’assemblea, si riconcilia con Agamennone invocando l’obblio sull’ira che l’ha tenuto in disparte dalla battaglia, causa di tante morti nemiche e amiche. Agamennone accetta di buon grado la proposta di rappacificazione, poiché riconosce di essere stato accecato da Ate e di aver seguito Contesa. Si risolve
così, in poche battute, la lite che ha generato conseguenze tanto nefaste, delle quali entrambi i contendenti si assumono la responsabilità. Sciolta l’assemblea, ognuno torna alle sue tende, tranne i Mirmidoni e alcuni duci che non lasciano Achille preda della sua stessa disperazione, la quale non gli permette di toccare cibo, e del suo rimorso per non aver soccorso l’amico. Il pianto bagna gli occhi di molti, persino di Briseide, ricondotta alla tenda dell’eroe, che aveva sempre trovato in Patroclo conforto nella prigionia. E alle lacrime di lutto si mescola il pianto delle prigioniere, le quali hanno ben altri motivi per cui soffrire, lontano dalle loro case e dai loro affetti. La morte di Patroclo diviene così segno di tutto il dolore che la guerra porta con sé: lutti, sofferenze, separazioni, distruzioni, di cui è difficile comprendere il senso, tanto appare insignificante la causa che li ha generati.
Il libro XX si apre con un’altra assemblea: qui però sono riuniti gli dèi, convocati da Giove, il quale annuncia la prossima disfatta dei Troiani, ma per procrastinarla propone ai numi di combattere: la furia di Achille è così terribile da coinvolgere il Cielo e farlo scendere sulla terra, per coinvolgersi nel destino degli uomini. Si formano infatti gli schieramenti degli dèi a favore chi dei Troiani chi dei Greci e, mentre Giove dall’alto tuona terribilmente e Nettuno scatena un violento terremoto, si accende la mischia. Ha inizio così la quarta battaglia del poema che vede duellare Achille contro il coraggioso Enea, tratto in salvo da Nettuno, e poi contro l’incosciente Polidoro, un giovane fratello di Ettore, sottratto alla furia del Pelìde da Apollo. Ettore si tiene in disparte per consiglio divino, ma arde in lui il desiderio di affrontare l’eroe nemico, la cui furia cresce sempre più nella battaglia, durante la quale fa orrenda strage di Troiani.
La strage si fa sempre più cruenta nel Libro XXI, nel quale Achille mostra il suo valore bellico e la sua impietosa ferocia contro il nemico: cattura i dodici giovinetti da sacrificare sulla pira di Patroclo, non si lascia piegare dalla supplica di Licaone, figlio di Priamo, che lo prega di non ucciderlo e di tenerlo come prigioniero. Anzi, insuperbito, si fa beffe di lui, lo uccide con un colpo di spada e getta il suo cadavere ai pesci. A questa vista il dio del fiume Xanto, sdegnato per il sangue che imbratta le sue acque e per le parole empie di Achille, si erge contro l’eroe. Inizia così una lotta tanto irruente e travolgente da chiamare in causa gli dèi: sarà Vulcano a spegnere l’ira del Fiume con le fiamme divoratrici, avviluppando in un incendio devastante il campo, i cadaveri, le piante. Persino l’acqua del fiume ribol
le, finché Xanto non si piega e non implora Giunone di intervenire. Ma la battaglia non è finita: imperversa ancora tra gli dèi, che alla fine si ritirano sull’Olimpo, chi vittorioso, chi battuto. Solo Apollo rimane nel campo in difesa delle mura di Troia.
Il vecchio Priamo vede che i Troiani stanno soccombendo e ordina di aprire le porte della città per permettere il rientro dei guerrieri. Apollo, assunte le sembianze del troiano Agenore, si fa inseguire da Achille, agevolando così la ritirata.
Tempo: Sera e notte del ventiseiesimo giorno. Luoghi: L’accampamento acheo, il fondo del mare, la reggia di Vulcano.
Tutta così qual fiamma arde la pugna. Veloce messaggier correa frattanto Antìloco ad Achille. Anzi1 all’eccelse sue navi il2 trova, che nel cor già volge3
5 l’accaduto disastro, e nel segreto della grand’alma sospirando, dice: «Perché di nuovo, ohimè! verso le navi fuggon gli Achivi con tumulto, e vanno spaventati pel campo? Ah! non mi cómpia4
10 l’ira de’ numi la crudel sventura che un dì la madre profetò, narrando che, me vivente ancor, de’ Mirmidóni il più prode guerrier dai Teucri ucciso del Sol la luce abbandonato avrìa5 .
15 Ah! certo di Menèzio il forte figlio morì. Infelice! E pur gl’imposi io stesso che risospinta la nemica fiamma ritornasse alle navi, e con Ettorre cimentarsi in battaglia oso non fosse6».
soggetto
1. Anzi: davanti. Dal lat. antea
2. il: lo.
3. nel cor già volge : presentisce, inizia già a sospettare, ad alimentare nel suo cuore. Volgere animo in lat. significa “riflettere”, “agitare in petto”.
4. mi cómpia: Il pronome mi rivela la partecipazione e l’interessamento dell’eroe alla sorte del suo amico, ha funzione di complemento di interesse e deriva da un uso latino del pronome (dativo di interesse). Anche in italiano si usa per mettere in luce il coinvolgimento del soggetto con il contenuto della frase, ad esempio “Stam mi bene”, “Ora mi mangio un bel gelato”, “Non mi cadrai proprio sull’ultima domanda?”.
5. avrìa: avrebbe.
6. oso non fosse : non osasse. Il compito di predicare qui è assunto dall’aggettivo che deriva dal verbo (oso, da “osare”). Vi sono nel linguaggio contemporaneo molti casi simili, come “essere solito” (da “solere”), “essere bisognoso” (da “bisognare”).
20 In questo rio pensier l’aggiunse7 il figlio di Nestore piangendo, e, «Ohimè!» gli disse «magnanimo Pelìde; una novella tristissima ti reco, e che nol fosse8 oh piacesse agli Dei! Giace Patròclo;
25 sul cadavere nudo si combatte; nudo; ché l’armi n’ha rapito Ettorre». Una negra a que’ detti il ricoperse nube di duol; con ambedue le pugna9 la cenere afferrò, giù per la testa
30 la sparse, e tutto ne bruttò il bel volto e la veste odorosa. Ei col gran corpo in grande spazio nella polve steso giacea turbando colle man le chiome e stracciandole a ciocche. Al suo lamento
35 accorsero d’Achille e di Patròclo l’addolorate ancelle, e con alti urli si fêr10 dintorno al bellicoso eroe percotendosi il seno, e ciascheduna sentìa mancarsi le ginocchia e il core.
40 Dall’altra parte Antìloco pietoso lagrimando dirotto, e di cordoglio spezzato il petto11 rattenea d’Achille le terribili mani, onde col ferro non si squarciasse per furor la gola.
45 Udì del figlio l’ululato orrendo la veneranda Teti che del mare
soggetto
7. l’aggiunse : lo raggiunse, lo trovò.
8. nol fosse : non fosse mai accaduto. Il verbo essere ha qui funzione di predicato verbale, predica cioè l’esistere, l’accadere di un fatto. Si vuole in questo modo dar risalto alla gravità di quanto accaduto, per preparare il lettore alla tragica reazione di Achille che darà una svolta decisiva alle sorti della guerra.
9. le pugna: le mani serrate. È il plurale di “pugno”, al genere femminile come spesso si usa nella lirica, per ingentilire. Achille dà sfogo al suo dolore compiendo dei gesti contro di sé, ma che erano forme rituali presso gli antichi per soffrire e manifestare il dolore e il lutto.
10. si fêr : si fecero, si avvicinarono.
11. spezzato il petto: accusativo di relazione (cfr. n. a Libro I, v. 731).
sedea ne’ gorghi al vecchio padre accanto12 . Mise un gemito, e tutte a lei dintorno si raccolser le Dee, quante ne serra
50 il mar profondo, di Nerèo figliuole.
Ad esse Teti dice che andrà a consolare il figlio Achille, e quelle piangendo la seguono (vv. 5192).
A lui che in gravi si struggea sospiri la diva madre s’appressò, proruppe
95 in acuti ululati, ed abbracciando l’amato capo, e lagrimando, disse: «Figlio, che piangi? Che dolore è questo? Nol mi celar, deh parla. A compimento mandò pur13 Giove il tuo pregar: gli Achivi
100 son pur, siccome14 supplicasti, astretti15 ripararsi alle navi, e del tuo braccio aver mestiero16, di sciagure oppressi». Con un forte sospir rispose Achille: «O madre mia, ben Giove a me compiacque17 105 ogni preghiera: ma di ciò qual dolce18 me ne procede, se il diletto amico, se Pàtroclo è già spento? Io lo pregiava sovra tutti i compagni; io di me stesso al par l’amava, ahi lasso! e l’ho perduto.
110 L’uccise Ettorre, e lo spogliò dell’armi, di quelle grandi e belle armi, a vedersi maravigliose, che gli eterni Dei, dono illustre, a Pelèo diêro quel giorno che te nel letto d’un mortal locâro19 .
115 Oh fossi tu dell’Oceàn rimasta
12. Teti … accanto: Per stare più vicina al figlio, Teti vive lontano dal marito Peleo e risiede insieme al padre Nereo fra le isole di Samotracia e Imbro.
13. pur : eppure.
14. siccome : così come.
15. astretti: part. pass. di astringere, “costringere”. È transitivo, e costruito alla latina, cioè seguito dall’infinito (ripararsi, aver mestiero).
16. mestiero: bisogno.
17. compiacque : ind. pass. rem. di compiacere, che è intransitivo.
18. qual dolce : quale conforto, quale motivo di gioia.
19. locâro: collocarono, consegnarono (per il matrimonio). Verbo denominale dal latino locus, “luogo”.
fra le divine abitatrici, e stretto
Pelèo si fosse a una mortal consorte! Ché d’infinita angoscia il cor trafitto or non avresti pel morir d’un figlio
120 che alle tue braccia nel paterno tetto non tornerà più mai, poiché il dolore né la vita né d’uom più mi consente la presenza soffrir20, se prima Ettorre dalla mia lancia non cade trafitto,
125 e di Patròclo non mi paga il fio».
«Figlio, nol dir (riprese lagrimando la Dea), non dirlo, ché tua morte affretti: dopo quello d’Ettòr pronto è il tuo fato». «Lo sia» (con forte gemito interruppe
130 l’addolorato eroe), «si muoia, e tosto, se giovar mi fu tolto21 il morto amico. Ahi che lontano dalla patria terra il misero perì, desideroso del mio soccorso nella sua sciagura.
135 Or poiché il fato riveder mi vieta di Ftia le care arene22, ed io crudele né Pàtroclo aitai né gli altri amici de’ quai molti domò l’ettòrea lancia, ma qui presso le navi inutil peso
140 della terra mi seggo, io fra gli Achei nel travaglio dell’armi il più possente, benché me di parole altri pur vinca23, pera24 nel cor de’ numi e de’ mortali la discordia fatal, pera lo sdegno
145 ch’anco il più saggio a inferocir costrigne,
20. poiché … soffrir. Costruisci così: poiché il dolore non mi consente più soffrir (sopportare) né la vita né la presenza d’uom.
21. se giovar mi fu tolto. Intendi: se non mi è stato concesso di soccorrere, di salvare.
22. arene : sabbie. Poiché si intende il materiale di cui son fatte le spiagge, è sineddoche di coste
23. benché … vinca. Intendi: benché altri mi vincano, siano più bravi di me con le parole.
24. pera: si estingua. Con le seguenti parole Achille manifesta la sua volontà di mettere fine all’ira contro Agamennone, di dimenticare lo sdegno e di rientrare in battaglia per vendicare l’amico. Ha inizio così la seconda parte dell’Iliade, che vede il Pelìde indiscusso protagonista. soggetto
che dolce più che miel le valorose anime investe come fumo e cresce. Tal si fu l’ira che da te mi venne, Agamennón25. Ma su l’andate cose,
150 benché ne frema il cor, l’obblìo si sparga, e l’alme in sen necessità ne26 domi. Del caro capo27 l’uccisore Ettorre or si corra a trovar; poi quando a Giove e agli altri Eterni piacerà mia morte,
155 venga pur, ch’io l’accetto. Il forte Alcide28, dilettissimo a Giove e suo gran figlio, Alcide stesso vi soggiacque, domo29 dalla Parca e dall’aspra ira di Giuno. Così pur io, se fato ugual m’aspetta,
160 estinto giacerò. Questo frattanto tempo è di gloria. Sforzerò qualcuna delle spose di Dardano e di Troe30 ad asciugar con ambedue le mani giù per le guance delicate il pianto, 165 e a trar dal largo petto alti sospiri. Sappiano alfin che il braccio mio dall’armi abbastanza cessò; né dalla pugna tu, madre, mi svïar, ché indarno il tenti». E a lui la Diva dall’argenteo piede: 170 «Giusta, o figlio, è l’impresa e d’onor degna, campar da scempio31 i travagliati amici. Ma le tue scintillanti armi divine son fra’ Troiani, ed Ettore, quel fiero
25. Tal … Agamennòn: Achille sta condannando l’ira che lo ha travolto, e non più Agamennone; sta accusando sé stesso di aver assecondato la discordia e lo sdegno che dall’ira conseguono. Riconoscendo che la necessità lo ha domato e riscattato da questa costrizione, può accettare liberamente il suo destino.
26. ne : ci.
27. caro capo: Patroclo.
28. Il forte Alcide è Ercole, al quale, pur essendo amatissimo figlio di Giove, non fu risparmiata la morte.
29. domo: domato, vinto.
30. spose di Dardano e di Troe : le donne troiane. Dardano e Troe furono gli antichissimi re capostipiti della gente troiana. Dardani e Troiani nel poema vengono solitamente considerati indifferentemente, ma i Dardani erano propriamente il contingente di soldati guidati da Enea e provenienti da un distretto settentrionale della Troade.
31. campar da scempio: salvare dall’oltraggio.
dell’elmo crollator32, sen fregia il dosso33,
175 e dell’incarco34 esulta. Ma fia breve, lo spero, il suo gioir, ché negra al fianco già l’incalza la Parca. Or tu di Marte per anco non entrar nel rio tumulto, se tu qua pria venir non mi riveggia35.
180 Verrò dimani al raggio mattutino, e recherotti io stessa una forbita36 bella armatura di Vulcan lavoro».
Così detto, dal figlio alle sorelle ripiegò la persona, e, «Voi,» soggiunse
185 «rïentrate del mar nell’ampio grembo, e del marino genitor canuto rendetevi alle case, e tutto dite che37 vedeste ed udiste. Al grande Olimpo io salgo a ritrovar l’inclito fabbro
190 Vulcano, e il pregherò che luminose armi stupende al figlio mio conceda». Disse; e quelle del mar tosto nell’onde discesero, e la Dea dal piè d’argento avvïossi all’Olimpo a procacciarne
195 al diletto figliuolo armi divine.
L’urlo tremendo
Mentre Teti sale al cielo, giungono all’accampamento gli Achivi con il corpo di Patroclo, ma rischiano di non entrarvi poiché Ettore glielo impedisce.
La situazione è talmente critica che Giunone manda la dea messaggera Iride da Achille perché intervenga, anche solo mostrandosi senza le armi (vv. 196268).
Così disse, e disparve. In piedi allora
270 rizzossi Achille amor di Giove, e tutto
32. crollator : scuotitore.
33. il dosso: la schiena.
34. incarco: peso, carico.
35. riveggia: riveda.
36. forbita: lucida, elegante. Il termine deriva dalla parola francone forbian, “pulire le armi”.
37. tutto dite che : dite tutto ciò che. Teti vuol far sapere al padre perché non torna con le sorelle. soggetto
coll’egida38 Minerva il ricoperse. D’un’aurea nube gli fasciò la fronte, ed una fiamma dalla nube uscìa, che dintorno accendea l’aria di luce.
275 Siccome quando al ciel s’innalza il fumo d’isolana città, cui d’aspro assedio cinge il nemico: con orrendo Marte39 combattono dal muro i cittadini finché gli alluma il Sol; poi quando annotta,
280 destan fuochi frequenti alle vedette40 , e al ciel ne sbalza uno splendor che manda ai convicini del periglio il segno, se per sorte41 venir con pronte antenne42 volessero in aita: a questo modo
285 dalla testa d’Achille alta alle stelle quella fiamma salìa. Varcato il muro, sul primo margo43 s’arrestò del fosso, né mischiossi agli Achei, ché della madre al precetto obbedìa. Lì stando, un grido
290 mise, e d’un altro da lontan gli fece eco Minerva, ed un terror ne’ Teucri immenso suscitò. Come sonoro d’una tuba talor s’ode lo squillo, quando d’assedio una città serrando
295 armi grida terribile il nemico44 , così chiara d’Achille era la voce. N’udîro i Teucri il ferreo suono, e a tutti tremâro i petti; si rizzâr sul collo
Come i fuochi di segnalazione su un’isola
così la fiamma sulla testa di Achille
Come lo squillo di una tromba (tuba)
così la voce di Achille
38. L’Egida è il principale attributo di Minerva, ed è la materializzazione della potenza divina che sparge il terrore, connessa con il nembo temporalesco da cui partono i fulmini. Poiché la parola greca significa sia “tempesta” che “pelle di capra”, Minerva è rappresentata ricoperta da un mantelletto di pelle villosa bordata di serpenti, con al centro la maschera della Gorgone. È riconducibile all’usanza antica di ricoprirsi con una pelle animale a scopo magico o difensivo.
39. con orrendo Marte : con terribile accanimento. Il nome proprio del dio viene qui a indicare per antonomasia la durezza e l’affanno della battaglia di difesa.
40. fuochi … vedette. Intendi: numerosi fuochi nei punti più elevati.
41. per sorte : per caso.
42. pronte antenne : veloci navi (sineddoche).
43. margo: margine, ciglione.
44. quando … nemico. Costruisci così: quando il nemico, serrando d’assedio una città, terribile (con voce che incute timore) grida armi (chiama alle armi).
ai destrieri le chiome, e d’alto affanno
300 presaghi45 addietro rivolgean le bighe. Gli aurighi sbigottîr, vista la fiamma che da Minerva di repente46 accesa orrenda e lunga su la fronte ardea del magnanimo eroe. Tre volte Achille
305 dalla fossa gridò: tre volte i Teucri e i collegati47 sgominârsi48, e dodici de’ più prestanti fra i riversi cocchi trafitti vi perîr dal proprio ferro49 . Pronti intanto gli Achei di sotto ai densi
310 strali sottratto di Menèzio il figlio, il locâr50 nella bara51, e gli fêr cerchio lagrimando i compagni. Anch’ei veloce v’accorse Achille, e si disciolse in pianto nel feretro mirando il fido amico
315 d’acuta lancia trapassato il petto. Egli stesso con carri, armi e destrieri l’avea spedito alla battaglia, e freddo lo rïebbe al ritorno e sanguinoso.
Giunone costringe il sole a tramontare perché più lunga sia la notte in cui fabbricare le nuove armi d’Achille e così cessano i combattimenti.
I Troiani si radunano per decidere il da farsi, ora che è riapparso Achille. Polidamante propone di tornare al sicuro dentro la città perché, come nei nove anni precedenti, siano le mura a scoraggiare la bellicosità di Achille. Ma Ettore propone invece di rimanere e di sferrare un attacco all’alba, perché se è vero che Achille è tornato a combattere, lui
45. presaghi: tutti i cavalli, non solo quelli di Achille (per i quali cfr. Libro XVII, v. 540, ma soprattutto Libro XIX, v. 417), paiono presentire la battaglia (alto affanno) che li attende.
46. di repente : all’improvviso. Latinismo di repente, che si trova più spesso senza la preposizione di
47. collegati: alleati.
48. sgominârsi: furono sgominati, fatti fuggire in disordine. “Sgominare”: dal lat. excombinare, composto di ex- e combinare “unire, mettere insieme”.
49. dal proprio ferro: dalle loro stesse armi.
50. il locâr : lo collocarono. Cfr. n. a v. 114.
51. nella bara: nel testo originale greco, su un letto
lo vuole finalmente affrontare. Con acclamazioni, tutti accettano questa stolta proposta, rigettando l’altra più saggia (vv. 319424).
425 Mentre col cibo a rivocar52 le forze intendono53 i Troiani, in alti lai54 l’intera notte dispendean gli Achivi sovra il morto Patròclo, e prorompea fra loro in pianti sospirosi Achille,
430 la man tremenda sul gelato petto dell’amico ponendo, e cupi e spessi i gemiti mettea, come talvolta ben chiomato lïone a cui rapìo55 il cacciator nel bosco i lïoncini.
435 Crucciato il fiero del suo tardo arrivo56 , tutta scorre la valle, e l’orme esplora del predator, se mai di ritrovarlo in qualche lato gli rïesca; e orrenda gli divampa nel cor la rabbia e l’ira:
440 tal si cruccia il Pelìde, e con profondi sospiri in mezzo ai Mirmidóni esclama: «Oh mie vane parole il dì ch’io diedi a Menèzio il conforto, e la promessa che in Opunta57 gli avrei carco di gloria
445 e di gran preda ricondotto il figlio dall’atterrata Troia! Ahi che non tutti Giove i disegni de’ mortali adempie! Sotto Troia il destino ambo ne danna58 a far vermiglia una medesma terra,
450 ché me neppure abbraccerà tornato il buon vecchio Pelèo nel patrio tetto, né Teti genitrice; ma sepolcro mi darà questo lido. Or poi che deggio59
Come un leone a cui hanno rapito i cuccioli
così Achille
52. rivocar : richiamare, rinvigorire. Dal latino vocare, che significa “chiamare”.
53. intendono: sono intenti, sono impegnati.
54. lai: lamenti.
55. rapìo: rapì.
56. tardo arrivo: arrivo in ritardo. Proprio come Achille, il quale si cruccia di non aver portato soccorso a Patroclo.
57. Opunta: città della Locride, a sud della Tessaglia, patria di Patroclo e del padre Menezio.
58. ambo ne danna: ci condanna entrambi.
59. deggio: devo.
dopo te, mio fedel, scender sotterra, 455 tu, no, sul rogo non andrai, lo giuro, se non t’arreco in prima io qui d’Ettorre, del tuo crudo uccisor l’armi e la testa; e dodici d’illustri iliaci figli60 troncheronne davanti alla tua pira.
460 Giaci intanto così, caro compagno, qui presso alle mie navi; e le troiane e le dardanie ancelle il largo seno tutte discinte61 intorno al tuo ferètro notte e dì faran pianto, e ploreranno62 .
465 Esse ne fûr63 comun fatica e preda quando noi colla forza e colle lunghe aste domando le nemiche genti l’opime64 n’atterrammo ampie cittadi».
Il Pelìde comanda ai compagni di preparare il corpo di Patroclo per le esequie. Poi tutti si raccolgono intorno al mesto Achille e tornano a piangere per tutta la notte.
Nel frattempo Giove rimprovera la sposa Giunone di aver preso l’iniziativa di avere mandato Iri da Achille (vv. 469502).
Vulcano, l’esimio fabbro
Teti giunge da Vulcano, mentre egli con occhio esperto e mani abilissime sta lavorando intensamente ad attaccare i manici a venti tripodi che poi si muoveranno da soli su ruote d’oro, meravigliosi a vederli! (vv. 503518)
60. Achille promette di vendicare l’amico recandogli oltre alle armi e alla testa di Ettore, dodici giovani nobili troiani da sacrificare quali vittime davanti al rogo di Patroclo. I rituali greci storicamente documentati non prevedevano il sacrificio umano, che ricorre invece nel contesto di vari miti.
61. discinte : senza cintura, riferito alla veste che così cadrà dritta, senza pieghe (seno). Dal lat. discingere, comp. di dis (prefisso che indica separazione) + cingere “cingere”.
62. ploreranno: le donne prigioniere di guerra parteciperanno al dolore acheo piangendo e lamentandosi ( ploreranno) giorno e notte, come era uso presso gli antichi, poiché le schiave prendevano parte a ogni momento della vita dei loro signori.
63. ne fûr : furono. Il ne sta per “a noi, per noi” (dativo di interesse), e serve a sottolineare che le ancelle furono il premio per la “nostra” (degli Achei) fatica della conquista.
64. opime : ricche.
Carite65, moglie di Vulcano, accoglie con parole ospitali Teti. Al sentir dalla sposa chi lo cerca, il dio è felice della visita di colei che per nove anni l’ospitò e nascose nel mare dopo che la madre Giunone lo aveva gettato dal cielo, rifiutandolo per la sua bruttezza (vv. 519560).
Disse, e dal ceppo dell’incude66 il mostro abbronzato67 levossi zoppicando. Moveansi sotto a gran stento le fiacche gambe sottili. Allontanò dal fuoco
565 i mantici ventosi: ogni fabbrile68 istrumento raccolse, e dentro un’arca li ripose d’argento. Indi con molle spugna ben tutto stropicciossi il volto affumicato ed ambedue le mani
570 e il duro collo ed il peloso petto. Poi la tunica mise; ed il pesante scettro69 impugnato, tentennando uscìo70 . Seguìan l’orrido rege, e a dritta e a manca il passo ne reggean forme e figure
575 di vaghe ancelle71, tutte d’oro, e a vive giovinette simìli, entro il cui seno avea messo il gran fabbro e voce e vita e vigor d’intelletto e delle care arti insegnate dai Celesti il senno72 .
580 Queste al fianco del Dio spedite e snelle
65. Nell’Iliade si dice che la moglie di vulcano è Carite, una delle tre Grazie, mentre nell’Odissea si legge essere Venere e nella Teogonia di Esiodo Aglaia, la più giovane delle Grazie. È comunque interessante il connubio tra il fabbro storpio e la sposa aggraziata, col che si allude miticamente al rapporto fra la durezza del lavoro artigianale e la finezza del suo prodotto, l’opera d’arte; quasi a dire che la bellezza si accompagna sempre alla dura fatica.
66. ceppo dell’incude : sostegno su cui poggia l’incudine.
67. mostro abbronzato: straordinario per bruttezza e grandezza, e dalla pelle scurita (il volto affumicato, dirà subito dopo) dal lavoro.
68. fabbrile : aggettivo derivato dal nome fabbro. Il suffisso -ile esprime l’idea dell’appartenenza e della pertinenza, quindi gli strumenti fabbrili sono gli strumenti che appartengono e riguardano il fabbro.
69. scettro: lo scettro ci ricorda che questo affaticato e storpio lavoratore è pur sempre un dio.
70. tentennando uscìo: uscì con passo incerto, quasi barcollando.
71. forme e figure di vaghe ancelle : non sono ancelle vive, ma automi che si muovono, agiscono, parlano e hanno sentimenti come gli uomini. Una delle tante opere del fabbro degli dèi, come le ruote semoventi dei venti tripodi (cfr. vv. 503 e sgg.) e i mantici che lavorano da soli (cfr. vv. 649 e sgg.).
72. il senno: la conoscenza. Regge delle care arti insegnate dai Celesti. Le varie arti vengono agli uomini da dèi corrispondenti, quelle femminili da Minerva.
camminavano; ed egli a tardo73 passo avvicinato a Teti, in un lucente trono s’assise, e la sua man ponendo nella man della Dea, così le disse:
585 «Qual mai sorte t’adduce a queste soglie, o sempre cara e veneranda Teti, in quell’ampio tuo peplo ancor più bella? Troppo rado ne74 fai di tua presenza contenti e lieti. Or parla, e il tuo desire
590 libera esponi. A soddisfarlo il grato cor mi sospinge, se pur farlo io possa, e il farlo mi s’addica»
Teti in lacrime esprime a Vulcano la pena per il figlio avuto da Peleo, il cui destino è infelice, racconta la sventura della morte di Patroclo e il dolore che ora affligge Achille. Infine supplica il fabbro degli dèi che provveda Achille di nuove armi, affinché la sua corta vita possa trovare conforto. Il mal fermo Dio risponde che appronterà delle armi così splendenti che al vedere l’eroe ogni sguardo si stupirà (vv. 593648).
Lo scudo di Achille
Vulcano torna impaziente ai mantici, comanda loro di muoversi e si mette subito al lavoro (vv. 649663);
e primamente un saldo ei fece smisurato scudo75 665 di dèdalo rilievo76, e d’auro intorno
73. tardo: lento.
74. ne : ci.
75. Inizia qui uno dei passi più celebri di tutto il poema, e una delle descrizioni di oggetti artistici più notevoli della letteratura di ogni tempo. Bisogna notare il valore dell’operazione di tecnica poetica che lo riguarda: lo sguardo d’insieme sul complesso delle immagini che ricoprono lo scudo è tradotto in una sequenza verbale di scene che si distendono nel tempo della narrazione epica. Va ricavato da questa descrizione che alcune scene siano suddivise in quadri, corrispondenti a quanto contenuto, ovvero ai diversi momenti delle azioni in esse rappresentate. Lo scudo è detto smisurato, enorme, infatti per contenere tutta la complessa raffigurazione descritta doveva avere una notevole estensione. Inoltre, l’enormità va riferita anche al peso, poiché lo scudo era composto interamente di metallo.
76. dèdalo rilievo: eseguito con la tecnica artistica (degna di Dedalo; cfr. n. a v. 824) dello sbalzo
tre bei fulgidi cerchi vi condusse77 , poi d’argento al di fuor mise la soga78 .
Cinque dell’ampio scudo eran le zone79 , e gl’intervalli, con divin sapere, 670 d’ammiranda scultura avea ripieni80 .
Piastra centrale
Ivi81 ei fece la terra, il mare, il cielo e il Sole infaticabile, e la tonda
Luna, e gli astri diversi onde sfavilla incoronata la celeste volta,
675 e le Pleiadi, e l’Iadi, e la stella d’Orïon tempestosa, e la grand’Orsa che pur Plaustro si noma. Intorno al polo ella si gira ed Orïon riguarda, dai lavacri del mar sola divisa82 .
Terra, mare, cielo (due quadri)
77. e d’auro condusse : si tratta dell’orlo dello scudo.
78. d’argento … soga: la cinghia per imbracciare lo scudo. Essa solitamente è di cuoio, ma per questo scudo è una catena d’argento.
79. le zone : il testo originale greco dice lamine, che sono in effetti gli strati di metallo di cui lo scudo è composto. Monti traduce con zone per dare un’impostazione alla visione dello scudo, come detto nella n. al titolo “Lo scudo di Achille”, e nella n. seguente.
80. e gl’intervalli … ripieni: circa la dislocazione sullo scudo delle varie scene descritte, il testo originale non consente di raggiungere alcuna certezza, anche perché la descrizione epica è esclusivamente interessata ai contenuti di esse. Aggiungiamo che neppure sulla forma dello scudo e sulla tecnica di raffigurazione (a intarsio o a sbalzo) vi è certezza: studi recenti di filologia e archeologia propendono per una forma rotonda (scartando quelle a torre e a otto), e sono orientati verso una disposizione per fasce concentriche delle scene; esse ricoprirebbero la lamina più esterna e quindi visibile al nemico. Ad ogni modo, interessa osservare che Monti, non potendo avvalersi dei risultati delle ricerche moderne, intese che lo scudo fosse di forma rotonda e suddiviso in cinque zone, ricavate dalle cinque lamine (che egli chiama piastre) rastremate verso il centro; la fascia lasciata scoperta ( gl’intervalli ) da ciascuna piastra più piccola e sovrapposta alle altre sarebbe stata scolpita a sbalzo (d’ammiranda scultura avea ripieni ).
81. Nel centro dello scudo sta la piastra più piccola, la cui scena è divisa in due semicerchi (quadri): nel superiore il cielo, nell’inferiore terra e mare. In essa sono raffigurate alcune costellazioni importanti per i Greci: le Pleiadi sorgevano a metà di maggio e segnalavano la stagione propizia alla navigazione; le Iadi erano considerate portatrici delle piogge; Orione, visibile in autunno, dava l’avvio alla stagione fredda; Plaustro, che significa “carro” è l’Orsa maggiore, costellazione che indicando sempre il nord, serviva da bussola.
82. dai lavacri … divisa: l’Orsa è l’unica che non s’immerge in mare, cioè non tramonta mai per chi la guarda, verso nord e il mare, dall’emisfero boreale.
Seconda piastra
680 Ivi83 inoltre scolpite avea due belle popolose città. Vedi nell’una conviti e nozze. Delle tede84 al chiaro per le contrade ne venìan condotte dal talamo le spose, e «Imene, Imene»
685 con molti s’intonava inni festivi85 . Menan carole86 i giovinetti in giro dai flauti accompagnate e dalle cetre, mentre le donne sulla soglia ritte stan la pompa87 a guardar maravigliose.
690 88D’altra parte nel fòro una gran turba convenir si vedea. Quivi contesa era insorta fra due che d’un ucciso piativano89 la multa. Un la mercede già pagata asserìa; l’altro negava.
695 Finir davanti a un arbitro la lite chiedeano entrambi, e i testimon produrre. In due parti diviso era il favore del popolo fremente, e i banditori sedavano il tumulto. In sacro circo
700 sedeansi i padri su polite pietre, e dalla mano degli araldi preso il suo scettro ciascun, con questo in pugno
Città in pace (un quadro)
83. La scena della città in pace può essere composta di un quadro, mentre è evidente che la rappresentazione della città assediata si suddivide in quadri successivi, corrispondenti ai diversi momenti dell’azione.
84. tede : fiaccole.
85. conviti … festivi: le cerimonie nuziali avevano inizio con la processione che conduceva la sposa dalla casa paterna (talamo) a quella dello sposo, accompagnata dai canti in onore di Imene, dio del matrimonio.
86. Menan carole : danzano. Il nome italiano carola ha una lunga storia: dal greco choráules, composto di chóros (coro) e aulêin (suonare il flauto), passa nel termine latino chorāules (flautista del coro), da cui giunge al provenzale carole (ballo in tondo accompagnato dalla musica).
87. pompa: festa.
88. Il brano che segue, fino al v. 706, è di grande importanza per la storia del diritto greco arcaico. È raffigurata una contesa sull’ammenda che deve essere pagata dall’assassino ai familiari della vittima: quello sostiene di averla pagata, gli altri negano. Alla lite assiste un giudice, arbitro di una commissione di saggi esperti di diritto (i padri ), affinché sia risolta secondo giustizia. Che la città sia in pace non significa che non vi siano motivi di attrito tra i cittadini, ma che le contese sono risolte affidandosi alla saggezza degli anziani, alla forza della parola e alla ragione.
89. piativano: reclamavano, in via giudiziaria. Verbo denominale da piato, dal lat. plactu, “sentenza”.
sorgeano, e l’uno dopo l’altro in piedi lor sentenza dicean. Doppio talento
705 d’auro90 è nel mezzo da largirsi a quello che più diritta91 sua ragion dimostri. Era l’altra città dalle fulgenti armi ristretta di due campi in due parer divisi92, o di spianar del tutto
710 l’opulento castello, o che di quante son là dentro ricchezze in due partito sia l’ammasso. I rinchiusi alla chiamata non obbedìan per anco, e ad un agguato armavansi di cheto93. In su le mura
715 le care spose, i fanciulletti e i vegli fan custodia e corona94; e quelli95 intanto taciturni s’avanzano. Minerva li precorre e Gradivo96 entrambi d’oro, e la veste han pur d’oro, ed alte e belle 720 le divine stature, e d’ogni parte visibili: più bassa iva la torma97 . Come in loco all’insidie atto98 fûr giunti presso un fiume, ove tutti a dissetarse venìan gli armenti, s’appiattâr que’ prodi99 725 chiusi nel ferro, collocati in pria due di loro in disparte, che de’ buoi spïassero la giunta100 e delle gregge. Ed eccole arrivar con due pastori
Città assediata (quattro quadri)
90. doppio talento d’auro: due monete d’oro, sborsate dai contendenti e che il giudice darà in premio (da largirsi ) all’anziano che avrà emesso la sentenza migliore.
91. più diritta: più capace di soddisfare entrambi i contendenti e di riportare la pace fra loro.
92. Era … divisi: Intorno alla città assediata vi sono due parti dello stesso esercito (due campi ) di parere opposto (due parer) sul da farsi: radere al suolo la città o risparmiarla pretendendo la metà (in due partito) delle ricchezze (l’ammasso) in essa contenute.
93. I rinchiusi … cheto: gli assediati (i rinchiusi ) non accettano la seconda proposta, anzi stanno segretamente (di cheto) preparando un agguato.
94. In su le mura … corona: gli inetti alle armi, le donne e i vecchi stanno lì solo a vedere, come sulle mura di Troia nel Libro III.
95. quelli: i soldati della città assediata.
96. Gradivo: Marte.
97. Minerva … la torma: le figure degli dèi Minerva e Marte sono più grandi e più luminescenti rispetto a quelle degli uomini (la torma).
98. in loco atto: in luogo adatto.
99. que’ prodi: è il gruppetto di soldati uscito in segreto dalla città, per tendere l’agguato che ha lo scopo di recuperare del bestiame necessario all’approvvigionamento durante l’assedio.
100. la giunta: l’arrivo. Nome deverbale derivato da “giungere”.
che, nulla insidia suspicando101, al suono
730 delle zampogne si prendean diletto. L’insidiator drappello alla sprovvista102 gli assalìa, ne predava in un momento de’ buoi le mandre e delle bianche agnelle, ed uccidea crudele anco i pastori.
735 Scossa all’alto rumor l’assediatrice oste a consiglio tuttavia seduta, de’ veloci corsier subitamente monta le groppe, i predatori insegue, e li raggiunge. Allor si ferma, e fiera
740 sul fiume appicca la battaglia. Entrambe si ferìan coll’acute aste le schiere. Scorrea nel mezzo la Discordia, e seco era il Tumulto e la terribil Parca che un vivo già ferito e un altro illeso
745 artiglia colla dritta103, e un morto afferra ne’ piè coll’altra, e per la strage il tira. Manto di sangue tutto sozzo e rotto le ricopre le spalle: i combattenti parean vivi104, e traean de’ loro uccisi
750 i cadaveri in salvo alternamente.
Terza piastra
Vi sculse poscia105 un morbido maggese spazïoso, ubertoso e che tre volte del vomero la piaga106 avea sentito. Molti aratori lo venìan solcando, 755 e sotto il giogo in questa parte e in quella stimolando107 i giovenchi. E come al capo
101. suspicando: sospettando.
102. alla sprovvista: di sorpresa.
103. dritta: destra.
Aratura (un quadro)
104. parean vivi: sembravano vivi, poiché la rappresentazione dell’artista è particolarmente veritiera. Cfr. vv. 763 764.
105. Vi sculse poscia: vi scolpì poi. Sulla terza fascia Vulcano scolpisce un campo coltivato. Il maggese propriamente è un campo da dissodare in primavera, estate e autunno, così da renderlo più ubertoso, cioè fertile, l’anno successivo.
106. tre volte … piaga: il campo era stato solcato dall’aratro per tre volte, per questo il terreno è detto morbido. Ora si ara per la semina.
107. stimolando: dipende da venìan
giungean del solco, un uom che giva in volta108 , lor ponea nelle man spumante un nappo109 di dolcissimo bacco110; e quei tornando
760 ristorati al lavor, l’almo terreno fendean, bramosi di finirlo tutto. Dietro nereggia la sconvolta gleba: vero arato sembrava, e nondimeno tutta era d’òr. Mirabile fattura!
765 Altrove un campo effigïato avea111 d’alta messe già biondo. Ivi le destre d’acuta falce armati112 i segatori mietean le spighe; e le recise manne113 altre in terra cadean tra solco e solco,
770 altre con vinchi114 le venìan stringendo tre legator da tergo, a cui festosi tra le braccia recandole i fanciulli senza posa porgean le tronche ariste115 . In mezzo a tutti colla verga in pugno
775 sovra un solco sedea del campo il sire116 , tacito e lieto della molta messe. Sotto una quercia i suoi sergenti intanto imbandiscon la mensa, e i lombi117 curano d’un immolato bue, mentre le donne
780 intente a mescolar bianche farine, van preparando ai mietitor la cena.
Seguìa quindi un vigneto oppresso e curvo sotto il carco dell’uva. Il tralcio è d’oro, nero il racemo118, ed un filar prolisso119
Raccolta (un quadro)
Vendemmia (un quadro)
108. giva in volta: andava verso il punto in cui l’aratro svoltava (al capo).
109. spumante un nappo: complemento oggetto.
110. bacco: vino. Il nome proprio del dio viene utilizzato per antonomasia per indicare ciò che gli pertiene, il vino, come a volte “Marte” sta per “battaglia”.
111. effigïato avea: il soggetto è Vulcano.
112. le destre … armati: accusativo di relazione
113. manne : spighe.
114. vinchi: vimini, giunchi.
115. le tronche ariste : spighe mietute.
116. il sire : il re. In questa scena è dunque raffigurata la mietitura nella tenuta del re, presenziata dal monarca in persona.
117. lombi: fianchi, ma indica più in generale le carni del bue che sta arrostendo (sineddoche).
118. racemo: grappolo.
119. prolisso: lungo. Il termine deriva dal verbo latino liquēre, che significa “essere liquido”. Ora lo si usa per indicare una persona che si dilunga nei discorsi.
785 d’argentei pali sostenea le viti. Lo circondava una cerulea fossa e di stagno una siepe. Un sentier solo al vendemmiante ne schiudea l’ingresso.
Allegri giovinetti e verginelle
790 portano ne’ canestri il dolce frutto, e fra loro un garzon tocca la cetra soavemente. La percossa corda con sottil voce rispondeagli, e quelli con tripudio di piedi sufolando120
795 e canticchiando ne seguìano il suono.
Quarta piastra
Di giovenche una mandra anco vi pose con erette cervici121. Erano sculte in oro e stagno, e dal bovile uscièno mugolando e correndo alla pastura
800 lungo le rive d’un sonante fiume che tra giunchi volgea l’onda veloce. Quattro pastori, tutti d’oro, in fila gìan122 coll’armento, e li seguìan fedeli nove bianchi mastini. Ed ecco uscire
805 due tremendi lïoni, ed avventarsi tra le prime giovenche ad un gran tauro, che abbrancato, ferito e strascinato lamentosi mandava alti muggiti. Per rïaverlo i cani ed i pastori
810 pronti accorrean: ma le superbe fiere del tauro avendo già squarciato il fianco, ne mettean dentro alle bramose canne123 le palpitanti viscere ed il sangue. Gl’inseguivano indarno124 i mandrïani
815 aizzando i mastini. Essi co’ morsi attaccar non osando i due feroci, latravan loro addosso, e si schermivano.
120. sufolando: fischiettando.
121. cervici: colli.
122. gìan: camminavano.
123. bramose canne : avide gole.
124. indarno: invano, inutilmente.
Fecevi ancora il mastro ignipotente125 in amena convalle126 una pastura 820 tutta di greggi biancheggiante, e sparsa di capanne, di chiusi e pecorili. Poi vi sculse una danza a quella eguale che ad Arïanna dalle belle trecce nell’ampia Creta Dedalo compose127 . 825 V’erano garzoncelli e verginette di bellissimo corpo, che saltando teneansi al carpo delle palme128 avvinti. Queste un velo sottil, quelli un farsetto129 ben tessuto vestìa, soavemente 830 lustro qual bacca di palladia fronda130 . Portano queste al crin belle ghirlande, quelli aurato trafiere131 al fianco appeso da cintola d’argento. Ed or leggieri danzano in tondo con maestri passi, 835 come rapida ruota che seduto al mobil torno il vasellier132 rivolve, or si spiegano in file. Numerosa stava la turba a riguardar le belle carole133, e in cor godea. Finìan la danza 840 tre saltator che in varii caracolli134 rotavansi, intonando una canzona.
Gregge al pascolo (un quadro)
Danza (un quadro)
Il farsetto è lucente come un’oliva
Così i giovani (sott.)
come il tornio
125. ignipotente : dominatore del fuoco. È uno degli epiteti del dio Vulcano. Dal lat. ignipōtens, composto di ignis “fuoco” e potens “potente”.
126. amena convalle : ridente vallata.
127. a quella … compose: si fa qui riferimento a un’opera probabilmente molto nota ai tempi di Omero, una danza scolpita dall’artista Dedalo per celebrare la vittoria riportata da Teseo sul Minotauro con l’aiuto di Arianna, la figlia di Minosse, re di Creta.
128. carpo delle palme : polso. Perifrasi: il carpo è la parte ossea compresa fra avambraccio e palmo della mano.
129. farsetto: qui da intendersi una corta tunica.
130. di palladia fronda: dell’albero (sineddoche) sacro a Pallade Atena.
131. aurato trafiere : pugnale d’oro.
132. vasellier : vasaio, che coi piedi fa girare velocemente il tornio (torno) su cui sta l’argilla da modellare.
133. carole : danze. Vedi n. a v. 686.
134. caracolli: evoluzioni e giravolte.
Quinta piastra
Il gran fiume Oceàn l’orlo chiudea dell’ammirando scudo135 .
Oceano
Terminato lo scudo, Vulcano fa la corazza, l’elmo e gli schinieri. Poi consegna le armi a Teti, che scende dall’Olimpo per andare subito da Achille (vv. 843854).
135. L’unica rappresentazione ad essere localizzata con precisione nel testo. L’Oceano sarebbe dunque, secondo il cosmo raffigurato in questo scudo, la struttura portante di tutto l’universo, che racchiude con la sua corrente circolare tutto ciò che esiste sulla terra.
Tempo: Il mattino del ventisettesimo giorno. Luoghi: L’accampamento acheo.
Uscìa del mar l’Aurora in croceo1 velo, alla terra ed al ciel nunzia di luce, e co’ doni del Dio Teti giungea. Singhiozzante da canto2 al morto amico
5 trovò l’amato figlio a cui dintorno ploravano i compagni. Apparve in mezzo l’augusta Diva, e strettolo per mano, «Figlio,» disse «poiché piacque agli Dei la sua morte, lasciam, benché dolenti,
10 che questi qui si giaccia; e tu le belle armi ti prendi di Vulcan, che mai mortal non indossò». Così dicendo, le depose al suo piè. Diêr quelle un suono che terror mise ai Mirmidóni: il guardo
15 non le sostenne, e si fuggîr. Ma come le vide Achille, maggior surse l’ira3 , e sotto le palpèbre orrendamente gli occhi qual fiamma balenâr. Godea trattarle, vagheggiarle4; e dilettato
20 del mirando5 lavor, si volse, e disse: «Madre, son degne del divino fabbro quest’armi, né può tanto arte terrena.
1. croceo: di color giallo aranciato, come lo zafferano. L’aggettivo è derivato dal nome del fiore, “croco”.
2. da canto: di lato, accostato al fianco. Canto viene dal greco kanthòs, “angolo dell’occhio”. Nella lingua parlata si usa “accanto” (lat. ad + canthum) o “daccanto”, come al v. 5 dintorno per “intorno” (in + torno, “giro”).
3. l’ira: questa è la collera vendicatrice della morte di Patroclo, maturata durante il colloquio con la madre Teti di cui si parla nel libro XVIII ai vv. 129 168; nuova rispetto all’ira funesta del Libro I, v. 2 che produsse la fatal lite di cui Achille parla, al v. 57, ad Agamennone.
4. Mentre i Mirmidoni fuggono (si fuggîr) spaventati alla vista (il guardo) delle armi, Achille si compiace di maneggiarle e di ammirarle.
5. mirando: meraviglioso.
Or le mi vesto6; ma timor mi grava7 che nelle piaghe di Patròclo intanto
25 vile insetto non entri, che di vermi generator la salma (ahi! senza vita!) ne guasti sì che tutta imputridisca». «Pensier di questo non ti prenda, o figlio,» gli rispose la Dea «l’infesto sciame
30 divoratore de’ guerrieri uccisi io ne terrò lontano. Ov’anco8 ei giaccia intero un anno, farò sì che il corpo incorrotto9 ne resti, e ancor più bello. Or tu raccogli in assemblea gli Achivi,
35 e, placato all’Atrìde10, àrmati ratto11 per la battaglia, e di valor ti cingi». Disse, e spirto audacissimo gl’infuse. Indi ambrosia all’estinto, e rubicondo nèttare, a farlo d’ogni tabe12 illeso,
40 nelle nari stillò.
Lunghesso13 il lido
l’orrenda voce intanto alza il Pelìde; né soli i prenci achei, ma tutte accorrono le sparse schiere per le navi, e quanti di navi han cura, remator, piloti
45 e vivandieri e dispensier14, van tutti a parlamento, di veder bramosi
6. le mi vesto: me le indosso. Il mi è un complemento di interesse, che esprime tutto il compiacimento di Achille nel rivestirsi delle ambite armi.
7. timor mi grava: temo. “Temo”, in questi versi, regge “non” (di non entri ) perché riproduce la costruzione latina timeo ne, ma è da intendersi: temo che un vile insetto entri nelle ferite di Patroclo.
8. Ov’anco: anche se (congiunzione con valore concessivo).
9. incorrotto: è predicativo di corpo
10. placato all’Atrìde : dopo esserti rappacificato con Agamennone.
11. ratto: rapido, veloce. Predicativo del soggetto sottinteso “tu”.
12. tabe : corruzione.
13. Lunghesso: lungo.
14. e quanti … dispensier : è il personale addetto ai servizi navali, che di solito è escluso dalle assemblee perché costituito di non combattenti. L’eccezione è dovuta alla solenne occasione del ritorno di Achille nell’esercito.
dopo un lungo cessar15 l’apparso Achille. Barcollanti v’andâro anche i due prodi Dïomede ed Ulisse, per le gravi
50 piaghe all’asta appoggiati, e ne’ primieri seggi adagiârsi. Ultimo giunse il sommo Atrìde, in forte mischia ei pur dal telo di Coon Antenòride ferito16 . Tutti adunati, Achille surse e disse:
55 «Atrìde, a te del par che a me sarìa meglio tornato17 che tra noi non fusse mai surta la fatal lite che il core sì ne róse18 a cagion d’una fanciulla. Dovea Dïana saettarla il giorno
60 ch’io saccheggiai Lirnesso19, e mia la feci, ché tanti non avrìan trafitti Achivi, mentre l’ira io covai, morso20 il terreno. Ettore e i Teucri ne gioîr, ma lunga rimarrà tra gli Achei, credo, ed amara
65 de’ nostri piati21 la memoria. Or copra obblìo le andate cose, e il cor nel petto necessità ne domi22. Io qui depongo l’ira, né giusto è ch’io la serbi eterna. Tu ridesta le schiere alla battaglia.
70 Vedrò se i Teucri al mio venir vorranno presso le navi pernottar23. Di gambe, spero, fia lesto volentier chïunque
soggetto
15. un lungo cessar : la lunga assenza. Achille è mancato dalla battaglia diciassette giorni, ma sembra passato un lungo periodo, tanto gravi sono i fatti accaduti.
16. Barcollanti … ferito: il ferimento di Diomede, Ulisse e Agamennone è avvenuto il giorno prima, ed è raccontato nel Libro XI.
17. a te … tornato. Intendi: sarebbe stato meglio sia per me che per te.
18. il core sì ne róse : tormentò così tanto i nostri cuori.
19. Dovea … Lirnesso: le saette di Diana erano considerate la causa di morti improvvise, dunque Achille avrebbe preferito che Briseide fosse morta di schianto il giorno della sua cattura nella città della Troade.
20. non avrìan morso: non avrebbero morso. Mordere il terreno è una perifrasi spesso usata nel poema per indicare l’agonia della morte violenta.
21. piati: contese.
22. necessità ne domi: la necessità ci vinca, che la nuova collera vendicatrice vinca in noi la collera antica.
23. vedrò … pernottar : Achille usa consapevolmente la retorica del sarcasmo per mostrare di non essere più in collera ( placato, v. 75), e ottiene l’effetto desiderato di far gioire ( giubilâr, v.74) tutti gli ascoltatori.
potrà sottrarsi in campo alla mia lancia». Disse: e gli Achivi giubilâr vedendo
75 alfin placato il generoso Achille. Surse allora l’Atrìde, e dal suo seggio, senza avanzarsi24, favellò: «M’udite, eroi di Grecia, bellicosi amici, né turbate il mio dir, ché lo frastuono
80 anche il più sperto dicitor25 confonde. E chi far mente, chi parlar potrebbe in cotanto tumulto26, ove la voce la più sonora verrìa meno? Io volgo le parole ad Achille, e voi porgete
85 attento orecchio27. Con rimprocci ed onte28 spesso gli Achivi m’accusâr d’un fallo cui29 Giove e il Fato e la notturna Erinni30 commisero, non io. Essi in consiglio quel dì la mente m’offuscâr, che il premio 90 ad Achille rapii. Che farmi? Un Dio così dispose, la funesta a tutti Ate31, tremenda del Saturnio figlia. Lieve ed alta dal suolo ella sul capo de’ mortali cammina, e lo perturba.
24. senza avanzarsi: chi prende la parola in assemblea deve andare al centro, per essere meglio udibile; ma Agamennone è ferito e non si può muovere.
25. sperto dicitor : esperto oratore.
26. cotanto tumulto: si riferisce al giubilo di v. 74.
27. attento orecchio: grande attenzione. Agamennone sta per fare un importante discorso, necessario per rispondere ad Achille e terminare la lite, e vuole essere ben ascoltato da tutti. In esso fa riferimento alla stessa dinamica fra colpevole e vittima di cui si è parlato nel libro XI, e in cui sono coinvolte forze che l’uomo, per colpa della sua debolezza, non può controllare (sul capo dei mortali cammina) e che lo costringono (lo perturba) a compiere azioni irragionevoli (mi tolse il senno: v. 136).
28. rimprocci ed onte : rimproveri e offese.
29. cui: che.
30. notturna Erinni: infernale Erinni, figlia della Notte, sorella del Fato nel recare all’uomo la sciagura e la morte.
31. Ate : la dea Cecità, figlia della dea Contesa. È seguita dalle Preghiere che, col favore di Giove, mitigano il male che essa procura, se l’uomo che si riconosce colpevole si affida ad esse ascoltandole.
Ate abitava nell’Olimpo, ma poiché accecò il padre Giove tanto da non permettergli di accorgersi di venire ingannato da Giunone, egli la scaraventò sulla terra e giurò che mai più l’avrebbe riaccolta in cielo (vv. 95132).
E a me pur anco, quando alle navi Ettòr struggea gli Achivi,
135 lacerava il pensier la rimembranza di questa Diva che mi tolse il senno. Ma poiché Giove il volle, io vo’ del pari32 farne l’emenda33 con immensi doni.
Sorgi Achille alla pugna, e gli altri accendi.
140 Tutto, che ieri nella tenda Ulisse ti promise, io darotti34: e se t’aggrada, l’ardor sospendi che a pugnar ti sprona, e dal mio legno35 farò tosto i doni recar, che visti placheranti il core».
145 «Duce de’ prodi glorïoso Atrìde,» rispose Achille «il dar que’ doni a norma di tua giustizia o ritenerli, è tutto nel tuo poter. Ma tempo non è questo da parole: sia d’armi ogni pensiero, 150 né più s’indugi, ché il da farsi è assai.
Uop’è36 che Achille in campo rieda e sperda le troiane falangi, e ch’altri il vegga, e l’esempio n’imiti».
complemento oggetto
Interviene Ulisse per convincere Achille a rimandare l’attacco così da consentire a tutti di mangiare, perché i soldati digiuni non resisterebbero a combattere un giorno intero. Propone ad Agamennone di
32. del pari: a entrambi.
33. farne l’emenda: farne ammenda, ripagare. Il colpevole può placare la vittima o l’offeso con preghiere di perdono e offerte di riscatto, come è richiamato nel libro I e come Agamennone stesso fa tramite i suoi ambasciatori Fenice, Ulisse ed Aiace nel libro XI, annullando in questo modo gli effetti nefasti di Ate. Durante quella visita, tuttavia, Achille rimase ostinato nella sua ira e dunque la Cecità (Ate) continuò ad operare in lui fino al punto da causare la morte al suo più caro amico, Patroclo, e a tanti altri.
34. tutto … io darotti: Ulisse aveva proposto ad Achille come ammenda sette tripodi, dieci talenti d’oro, venti lebeti (vasi), dodici cavalli, sette ancelle e la restituzione di Briseide.
35. legno: nave. Sineddoche.
36. Uop’è: è necessario, è d’uopo. Dal lat. opus est, “c’è un lavoro da fare”.
mostrare ad Achille e agli Achei i doni promessi, di invitare il Pelìde nella sua tenda per onorarlo con un banchetto e infine di giurare il giuramento solenne di non aver toccato Briseide. Agamennone approva i saggi consigli di Ulisse.
Ma Achille afferma che bisogna attaccare subito per vendicare i corpi che ancora giacciono in terra dei compagni morti e che lui non mangerà nulla finché non avrà vendicato la morte di Patroclo. Al che Ulisse risponde che è necessario mantenere l’animo saldo, ristorarsi dalla fatica e piangere i morti solo un giorno.
Poi Ulisse va al padiglione dell’Atrìde a prelevare i doni promessi e Briseide. Viene deposto il tutto nell’assemblea, Agamennone compie il solenne sacrificio e i Mirmidoni s’avviano con i doni verso le tende di Achille (vv. 154279).
Così piange Briseide
280 Di beltà simigliante all’aurea Venere come vide Brisëide del morto
Pàtroclo le ferite, abbandonossi sull’estinto, e ululava e colle mani laceravasi il petto e il delicato
285 collo e il bel viso, e sì dicea plorando37: «Oh mio Patròclo! oh caro e dolce amico d’una meschina! Io ti lasciai qui vivo partendo; e ahi quale al mio tornar ti trovo! Ahi come viemmi un mal su l’altro! Vidi
290 l’uomo a cui diêrmi i genitor, trafitto dinanzi alla città, vidi d’acerba morte rapiti tre fratei diletti; e quando Achille il mio consorte uccise e di Minete la città distrusse38 , 295 tu mi vietavi il piangere, e d’Achille farmi sposa dicevi39, e a Ftia condurmi tu stesso, e m’apprestar fra’ Mirmidóni
37. plorando: piangendo.
38. Vidi … distrusse : Briseide era stata data in sposa (il mio consorte) a Minete, figlio del re Eveno e principe di Lirnesso, la città della Misia conquistata da Achille. Durante il saccheggio morirono anche (d’acerba morte rapiti ) i tre fratelli di Briseide.
39. dicevi: promettevi. Da questo verbo dipendono farmi, condurmi, e m’apprestar (apprestarmi).
il nuzïal banchetto. Avrai tu dunque, o sempre mite eroe, sempre il mio pianto».
300 Così piange: piangean l’altre donzelle
Pàtroclo in vista, e il proprio danno in core40 .
Stretti intanto ad Achille i senïori41 lo confortano al cibo, ed egli il niega42 gemebondo: «Se restami un amico
305 che mi compiaccia, non m’esorti, il prego, a toccar cibo in tanto duol: vo’ starmi fino a sera, e potrollo, in questo stato». Tutti, ciò detto, accomiatò, ma seco restâr gli Atridi e Nestore ed Ulisse
310 e il re cretese43 e il buon Fenice, intenti a stornarne44 il dolor: ma il cor sta chiuso ad ogni dolce45 finché l’apra il grido della battaglia sanguinosa. Or tutto col pensier nell’amico alto sospira
315 e prorompe così: «Caro infelice!
Tu pur ne’ giorni di feral conflitto degli Achivi co’ Troi m’apparecchiavi con presta cura46 nelle tende il cibo. Or tu giaci, e digiuno io qui mi struggo
320 del desìo di te sol; né più cordoglio mi graverìa47 se morto il padre udissi (misero! ei forse or per me piange in Ftia, per me fatto campione in stranio lido
40. piangean … core : le ancelle, prigioniere di guerra, piangono in pubblico la morte di Patroclo, ma nel loro cuore vi è un dolore più profondo, quello per i loro cari perduti e per la loro sorte.
41. senïori: i maggiori, gli ottimati, i capi anche se più o meno anziani. Dal latino senior, comparativo di maggioranza di senex, “vecchio”, da cui anche senato.
42. il niega: lo rifiuta.
43. il re cretese : Idomeneo.
44. a stornarne : ad allontanarne, a distoglierne.
45. dolce : conforto, motivo di gioia.
46. con presta cura: con sollecitudine.
47. né … graverìa: e non sarei oppresso da un dolore maggiore di questo.
dell’abborrita Argiva48), o morto il mio
325 di divina beltà figlio diletto, che a me si edùca, se pur vive, in Sciro49 . Ahi! mi sperava di morir qui solo; sperava che tu salvo a Ftia tornando su presta nave, un dì da Sciro avresti
330 teco addutto il mio Pirro, e mostri50 a lui i miei campi, i miei servi e l’alta reggia51; perocché52 temo che Pelèo pur troppo o più non viva, o di dolor sol viva, aspettando ogni dì veglio cadente
335 l’amaro annunzio della morte mia53». Così geme: gemean gli astanti eroi ricordando ciascun gli abbandonati suoi cari pegni54 .
Giove rimprovera Minerva di aver abbandonato Achille al pianto e all’inerzia e le raccomanda di nutrirlo con ambrosia e nèttare affinché non perda il vigore. Ella prontamente obbedisce (vv. 338355).
Achille si arma
355 Gli Achivi intanto tutti in procinto55 dalle navi a torme versavansi nel campo; e a quella guisa che fioccano dal ciel, spinte dal soffio
Come la neve fitta
48. ei … Argiva: egli forse a Ftia piange per me, che sono qui a combattere ( fatto campione) in terra straniera (in stranio lido) per causa di Elena (dell’aborrita Argiva).
49. il mio … Sciro: Achille aveva un figlio (Pirro, v. 330, o Neottolemo) dalla bellissima (di divina beltà) Deidamia, la figlia del re di Sciro, ove aveva soggiornato prima di partire per Troia Evidentemente non ne ha notizie (se pur vive), ma spera che venga educato per prendere il trono di Ftia (a me si educa).
50. mostri: mostràti.
51. Ahi … reggia: non sapendo che Patroclo sarebbe morto in questa guerra (mi sperava di morir qui solo), Achille aveva incaricato il suo amico di andare a Sciro a prelevare il figlio per portarlo (avresti addutto) nella sua patria (a Ftia) per governare al posto del padre Peleo.
52. perocché: poiché.
53. aspettando … mia: Peleo conosce la profezia della morte prematura del figlio Achille e se è ancora vivo l’attesa della notizia (l’amaro annunzio) rende penosa (cadente) la sua vecchiaia.
54. cari pegni: affetti. Il pegno, nel diritto, è una garanzia che il debitore dà al creditore al posto del denaro; è dunque un obbligo. La relazione fra i significati (obbligazione/affetto, legame) è qualitativa: metonimia .
55. in procinto: pronti a combattere, già armati.
serenatore d’aquilon56, le nevi,
360 così dai legni uscir densi allor vedi i lucid’elmi, i vasti scudi, e i forti concavi usberghi57 e le frassinee lance. Folgora ai lampi dell’acciaro il cielo e ne brilla il terren, che al calpestìo
365 delle squadre rimbomba. In mezzo a queste armasi Achille. Gli strideano i denti, gli occhi eran fiamme, di dolore e d’ira rompeasi il petto; e tale egli dell’armi vulcanie si vestìa. Strinse alle gambe
370 i bei stinieri58 con argentee fibbie, pose al petto l’usbergo, e di lucenti chiovi59 fregiato agli omeri sospese il forte brando; s’imbracciò lo scudo, che immenso e saldo di lontan splendea
375 come luna, o qual foco ai naviganti sovr’alta apparso solitaria cima, quando lontani da’ lor cari il vento li travaglia nel mar: tale dal bello e vario60 scudo dell’eroe saliva
380 all’etra61 lo splendor. Stella parea su la fronte il grand’elmo irto d’equine chiome, e fusa62 sul cono tremolava l’aurea cresta. In quest’armi il divo Achille tenta se stesso, e vi si vibra, e prova
385 se gli son atte; e gli erano qual piuma ch’alto il solleva63. Alfin dal suo riservo64 cavò l’immensa e salda asta paterna,
così gli eroi armati
Come la luna o il fuoco
così lo splendore dello scudo
56. soffio serenatore d’aquilon: il vento freddo del nord, detto anche borea o tramontana, sopraggiunto dopo (spinte) le nevi, sgombra e rasserena il cielo.
57. concavi usberghi: corazze bombate.
58. stinieri: gambali.
59. chiovi: borchie che ornano l’impugnatura della spada ( brando).
60. vario: variegato, per le molteplici raffigurazioni effigiate da Vulcano.
61. all’etra: al cielo.
62. fusa: diffusa, sparsa.
63. In quest’armi … solleva: è la prima volta che Achille indossa le nuove armi e dunque prova a muoversi (tenta sé stesso) compiendo i movimenti (si vibra) dell’attacco e della difesa, e scoprendo che gli facilitano i movimenti ( gli erano qual piuma ch’alto il solleva).
64. riservo: deposito, la cassa che custodisce l’unica arma rimasta di quelle portate dalla patria ( pelìache vette, v. 391).
cui nullo Achivo palleggiar potea tranne il Pelìde, frassino d’eroi
390 sterminatore, da Chiron reciso su le pelìache vette, e dato al padre.
Xanto e Balio
Alcìmo65 intanto e Automedonte aggiogano di belle barde66 adorni e di bei freni i cavalli: e allungate ai saldi anelli
395 le guide, e tolta nella man la sferza, salta sul cocchio Automedón. Vi monta dopo, raggiante come Sole, Achille tutto presto alla pugna, e con tremenda voce ai paterni corridor sì grida:
400 «Xanto e Bàlio a Podarge incliti figli67 , sia vostra cura in salvo ricondurre sazio di stragi il signor vostro; e morto nol lasciate colà come Patròclo». Chinò la testa l’immortal corsiero
405 Xanto: diffusa per lo giogo andava fino a terra la chioma, ed ei da Giuno fatto parlante udir fe’ questi accenti: «Achille, in salvo questa volta ancora ti trarremo noi, sì; ma ti sovrasta
410 l’ultim’ora, né fia nostra la colpa, ma di Giove e del Fato. Se dell’armi spogliâr Patroclo i Troi, non accusarne nostra pigrizia e tardità, ma il forte di Latona figliuolo. Ei nella prima
415 fronte l’uccise, e dienne a Ettòr la palma68 . Noi Zefiro sfidiamo, il più veloce de’ venti, al corso; ma nel Fato è scritto che un Dio te domi ed un mortal69…» Troncâro
65. Alcìmo: Alcimedonte.
66. barde : bardature.
67. Xalio … figli: cfr. nn. a Libro XVI, vv. 211 e sgg.
68. Ei … palma: Achille viene così a sapere come è morto il suo caro amico.
69. un dio … mortal: questa profezia sarà completata dalla rivelazione di Ettore, fatta ad Achille in punto di morte (cfr. Libro XXII, vv. 458 e sgg.).
l’Erinni i detti. E a lui l’irato Achille: 420 «Xanto, a che morte mi predir? Non tocca questo a te. Qui cader deggio lontano, lo so, dai cari genitor; ma pria trarrò tutta di guerre a’ Troi la voglia». Disse, e gridando i corridor sospinse. complemento oggetto
Le gesta di Achille in battaglia
Tempo: Il ventisettesimo giorno.
Luoghi: L’Olimpo e il campo di battaglia.
Gli dèi scendono in campo
Gli eserciti sono schierati e pronti a dar battaglia.
Ma prima di farli cominciare, Giove convoca un importante consiglio degli dèi, poiché il ritorno in battaglia di Achille potrebbe portare a una conclusione prematura della guerra, andando contro il destino stabilito che Achille debba morire prima della caduta di Troia. Esorta allora i numi a scendere in campo per bilanciare le forze.
Dalla parte degli Achei si schierano Giunone, Minerva, Mercurio, Nettuno e Vulcano; dalla parte dei Troiani Marte, Apollo con la madre Latona e la sorella Diana, il fiume Xanto e Venere.
I Troiani, che prima erano stati terrorizzati dal ritorno di Achille, adesso sono aizzati dalla Furia potente.
Le terribili grida di Minerva da una parte e di Apollo dall’altra scuotono e infiammano gli eserciti e, dall’alto, il grande urlo di Giove dà inizio alla quarta battaglia del poema (vv. 194).
95 Ma di scagliarsi fra le turbe in cerca del Priàmide Ettorre arde il Pelìde, ché innanzi a tutto gli comanda il core di far la rabbia marzïal satolla di quel sangue abborrito1. Allor destando
100 le guerriere faville2 Apollo spinse contro il tessalo eroe d’Anchise il figlio, e presa la favella3 e la sembianza del Prïameio Licaon gl’infuse
1. ché … abborrito. Intendi: poiché (ché ) il cuore gli comanda innanzitutto di saziare ( far satolla) l’impeto di vendetta (la rabbia marzial ) con il sangue di Ettore (di quel sangue abborrito).
2. le guerriere faville : le fiamme, gli ardori (metonimia) di guerra.
3. favella: voce. soggetto complemento oggetto
ardimento e valor con questi accenti:
105 «Illustre duce Enea dove n’andâro le fatte tra le tazze4 alte promesse al re de’ Teucri, che pur5 solo avresti contro il Pelìde Achille combattuto?» «Prïamìde, e perché, contro mia voglia,»
110 Enea rispose «ad affrontar mi sproni quell’invitto guerrier? Gli stetti a fronte pur altra volta6, ed altra volta in fuga la sua lancia dall’Ida mi sospinse, quando, assaliti i nostri armenti, ei Pèdaso7
115 e Lirnesso atterrò. Giove protesse il mio ratto fuggir: senza il suo nume8 m’avrìa domo9 il Pelìde, esso e Minerva che il10 precorrendo lo spargea di luce11 , e de’ Teucri e de’ Lèlegi alla strage
120 la sua lancia animava. Alcun non sia dunque che pugni col Pelìde. Un Dio sempre va seco12 che il difende, e dritto13 vola sempre il suo telo, e non s’arresta finché non passi del nemico il petto.
125 Se della guerra si librasse eguale dai Sampiterni la bilancia14, ei certo, fosse tutto qual vantasi di ferro15 , non avrìa meco agevolmente il meglio». «E tu pur prega i numi, o valoroso,»
130 rispose Apollo «ché tu pure, è fama16 ,
soggetto
soggetto
4. tra le tazze: mentre bevevi. Qui le tazze stanno per l’atto di bere: è una forma di metonimia .
5. pur : anche, addirittura.
6. altra volta: Enea aveva mandrie (armenti ) e terre presso Pedaso e Lirnesso a sud del monte Ida, nella Troade. Achille distrusse (atterrò) le due città (la seconda è la città di Briseide) e s’impossessò delle mandrie. Questo accadde mentre stava andando a combattere a Troia.
7. Pèdaso: la capitale dei Lelegi, nominati al v. 119.
8. il suo nume : la sua presenza, la sua potenza.
9. domo: domato.
10. il: lo (Achille).
11. lo spargea di luce : gli infondeva forza.
12. seco: con lui.
13. dritto: a segno.
14. Enea sostiene che non temerebbe Achille se costui non fosse aiutato dagli dèi, i quali non sono imparziali (se si librasse eguale la bilancia) rispetto alle sorti della battaglia.
15. fosse … ferro: anche se fosse tutto di ferro, come si vanta di essere.
16. è fama: è noto, si sa.
di Venere nascesti, ed ei di Diva inferïor17, ché quella a Giove, e questa al marin vecchio18 è figlia. Orsù dirizza in lui l’invitto acciaro19, e non lasciarti 135 per minacce fugar20 dure e superbe». Fatto animoso a questi detti il duce, processe21 di lucenti armi vestito tra i guerrieri di fronte.
Visto Enea avanzare così ardito, Giunone si preoccupa e propone ai numi suoi alleati di intervenire in soccorso di Achille. Ma Nettuno la invita alla prudenza e propone di aspettare, seduti accanto al campo, una mossa falsa di Marte o Apollo, prima di scendere in campo. Anche gli altri dèi allora si ritirano in disparte, senza che alcuno ardisca aprire la pugna (vv. 138190).
Enea ed Achille
E già tutto d’armati il campo è pieno, e di lampi che manda il riforbito22 bronzo de’ cocchi e de’ guerrieri, e suona sotto il fervido piè de’ concorrenti
195 eserciti la terra. Ed ecco in mezzo affrontarsi di pugna desïosi due fortissimi eroi, d’Anchise il figlio ed Achille. Avanzossi Enea primiero minacciando e crollando23 il poderoso
200 elmo, e proteso24 il forte scudo al petto, la grand’asta vibrava. Ad incontrarlo
soggetto
17. Diva inferior : Tetide è considerata inferiore a Venere perché la seconda ha come padre Giove
18. marin vecchio: Nereo.
19. acciaro: acciaio. Sineddoche per spada. Vale la pena però ricordare che l’acciaio (come il ferro di v. 127) era sconosciuto a quei tempi e che le spade erano fabbricate con il bronzo.
20. fugar : mettere in fuga.
21. processe : procedette.
22. riforbito: lucidato a fondo. Composto dal prefisso ri + forbito. Forbire deriva dall’antico francone forbian, che vuol dire “pulire le armi”.
23. crollando: scuotendo.
24. proteso: teso in avanti.
mosse il Pelìde impetuoso, e parve truculento lïone alla cui vita denso stuol di garzoni, anzi l’intero
205 borgo si scaglia25: incede egli da prima sprezzatamente26; ma se alcun de’ forti assalitor coll’asta il tocca, ei fiero spalancando le fauci si rivolve colla schiuma alle sanne27; la gagliarda
210 alma in cor gli sospira, i fianchi e i lombi flagella colla coda, e sé medesmo alla battaglia irrita28: indi repente con torvi sguardi avventasi ruggendo, di dar morte già fermo29 o di morire:
215 tal la forza e il coraggio incontro al franco
Enea sospinser l’orgoglioso Achille, e giunti a fronte, favellò primiero il gran Pelìde: «Enea, perché tant’oltre fuor della turba ti spingesti? Forse
220 meco agogni pugnar perché su i Teucri di Prìamo speri un dì stender lo scettro30?
Ma s’egli avvegna ancor che31 tu m’uccida, ei non porrallo alle tue mani, ei padre di più figli, e d’età sano e di mente:
225 o forse i Teucri, se mi metti a morte, un eletto poder bello di viti ti statuiro32 e di fecondi solchi? Ma dura impresa t’assumesti, io spero; ch’altra volta33, mi par, ti pose in fuga
230 questa mia lancia.
Come un truculento leone
così Achille
complemento oggetto
25. alla cui vita … scaglia: contro cui si scaglia, per ucciderlo (alla cui vita), uno stuolo di ragazzi o addirittura l’intero villaggio ( borgo).
26. sprezzatamente : con disprezzo.
27. sanne : zanne.
28. irrita: stimola, sprona, aizza.
29. già fermo: avendo già deciso, essendo già fermo nell’intenzione di.
30. stender lo scettro: regnare.
31. Ma … che: ma se anche avvenisse che.
32. ti statuiro: decisero di offrirti.
33. altra volta: cfr. n. a v. 112.
E gli ricorda quando lo aveva inseguito dalle pendici del monte Ida fino a Lirnesso, città che poi distrusse catturandone molte donne (tra cui Briseide). Ma Enea risponde che queste parole non lo spaventano. Anzi, menziona la breve stirpe di Achille e la confronta con tutti i nobili e divini nomi della propria, imparentata con quella di Priamo. Aggiunge che l’esito del precedente duello fu stabilito, come sempre, da Giove (vv. 230308).
Il duello
E così detto, la ferrea lancia fulminò nel vasto
310 terribile brocchier34 che dell’acuta cuspide al picchio rimugghiò. Turbossi il Pelìde, e dal petto colla forte mano lo scudo allontanò, temendo nol trafori la lunga ombrosa35 lancia
315 del magnanimo Enea. Di mente uscito eragli, stolto! che mortal possanza difficilmente doma armi divine. Non ruppe la gagliarda asta troiana il pavese36 achillèo, ché la rattenne
320 dell’aurea piastra l’immortal fattura, e sol due falde ne forò di cinque che Vulcano v’avea l’una sull’altra ribattute; di bronzo le due prime, le due dentro di stagno, e tutta d’oro
325 la media37 che il crudel tronco38 represse. Vibrò secondo la sua lunga trave il Pelìde, e colpì dell’inimico l’orbicolar rotella all’orlo estremo, ove sottil di rame era condotta
34. brocchier : scudo.
35. ombrosa: che forma una lunga ombra.
36. pavese : scudo.
37. dell’aurea piastra … la media: in questo passo viene aggiunta un’informazione sulla struttura dello scudo, rispetto a quella data nel libro XVIII. Veniamo così a sapere che, diversamente dagli scudi normali composti di vari strati di cuoio sui quali veniva steso un ultimo strato di bronzo, lo scudo di Achille è composto di cinque strati ( falde) di metallo.
38. tronco: l’asta fatta con un tronco di frassino. Sineddoche
330 una falda, e sottile il sovrapposto cuoio taurino39. La pelìaca antenna40 da parte a parte lo passò. La targa41 rimbombò sotto il colpo: esterrefatto rannicchiossi e scostò dalla persona
335 Enea lo scudo sollevato; e l’asta, rotti i due cerchi42 che il cingean, sul dorso trasvolò furïosa, e al suol si fisse. Scansato il colpo, si ristette, e immenso duol di paura gli abbuiò le luci,
340 sentita la vicina asta confitta43 . Pronto il Pelìde allor tratta la spada, con terribile grido si disserra contro il nemico. Era nel campo un sasso d’enorme pondo44 che soverchio fôra
345 alle forze di due quai la presente età produce45. Diè di piglio46 Enea a questo sasso, e agevolmente solo l’agitando, si volse all’aggressore.
Nettuno, pur parteggiando per gli Achei, nasconde Enea con una nube e così lo salva da morte sicura, perché lo ritiene estraneo alle sorti della famiglia di Priamo, nonostante la lontana parentela (vv. 349406).
39. l’orbicolar … taurino: lo scudo rotondo (orbicolar rotella) di Enea è composto di due strati ( falda): quello esterno è di cuoio e leggermente più stretto di quello interno, che è di rame.
40. pelìaca antenna: l’asta di Achille era stata costruita con legno del monte Pelio (cfr. Libro XVI, vv. 199 e sgg.).
41. targa: scudo.
42. rotti i due cerchi: trapassati i due strati.
43. sentita … confitta: avendo sentito l’asta conficcarsi vicino a lui.
44. pondo: peso.
45. che … produce : che sarebbe stato troppo pesante (soverchio fôra) anche per la forza di due uomini (due) contemporanei (quai la presente età produce). Non è la prima volta che Omero parla di simili incredibili prestazioni atletiche: già Diomede sollevò un enorme macigno con cui colpì Enea (Libro V, vv. 394 e sgg.); ma anche Aiace Telamonio ne scagliò uno contro Ettore (Libro XIV, vv. 485 e sgg.).
46. Diè di piglio: afferrò.
Achille, stupito per l’accaduto, non si perde d’animo, anzi si getta tra le schiere dei suoi rincuorandoli con queste parole (vv. 406424):
«Prestanti Achei,
425 non vogliate discosto or più tenervi da’ nemici: guerrier contra guerriero scagliatevi, e pugnate ardimentosi. Per forte ch’io mi sia, m’è dura impresa sol con tutti azzuffarmi ed inseguirli.
430 Né Marte pure immortal Dio né Palla a tanti armati reggerìan47. Ma quanto queste man, questi piedi e questo petto potranno, io tutto48 vel consacro, e giuro di non posarmi un sol momento. Io vado
435 a sfondar quelle file, e non fia lieto chi la mia lancia scontrerà, mi penso». Così gli49 sprona. E minaccioso anch’esso Ettore i suoi conforta, e contro Achille ir50 si promette: «Del Pelìde, o prodi,
440 non temete le borie: anch’io saprei pur co’ numi combattere a parole, coll’asta, no, ch’ei son più forti assai. Né tutti avran d’Achille i vanti effetto: se l’un pieno gli andrà, l’altro gli fia
445 tronco nel mezzo51. Ad incontrarlo io vado s’anco la man di fuoco egli s’avesse, sì, di fuoco la man, di ferro il polso». Da questo dire accesi, alto levâro l’aste avverse52 i Troiani, e con immenso 450 romor le forze s’accozzâr.
soggetto
47. reggerìan: reggerebbero, saprebbero resistere.
48. tutto: pronome da mettere in correlazione con quanto.
49. gli: li, loro.
50. ir : ire. Latinismo di “andare”.
51. se … mezzo: se gli riuscirà di compiere ( pieno gli andrà) una delle cose (l’un) di cui si vanta, lascerà ( fia tronco) a metà (nel mezzo) l’altra.
52. avverse : volte contro il nemico.
Ma Apollo si avvicina ad Ettore e gli consiglia di attendere il Pelìde rimanendo nascosto tra le schiere. Ettore, spaventato, torna indietro (vv. 450457).
Achille uccide Polidoro
Intanto Achille si getta nel mezzo della mischia e inizia a far strage di Troiani. Cadono Ifizione, principe di Lidia, Demoleonte, figlio di Antenore, e Ippodamante (vv. 458495).
S’avventò dopo questi a Polidoro. Era costui di Prìamo un figlio: il padre gli avea difeso53 di pugnar, siccome54 il minor de’ suoi nati e il più diletto, 500 che tutti al corso li vincea. Di questa sua virtute di piè con fanciullesca demenza55 vanitoso egli tra’ primi combattenti correa senza consiglio56 , finché morto vi cadde. Il colse a tergo57
505 in quei trascorsi Achille ove la cinta dall’auree fibbie s’annodava, e doppio scontravasi l’usbergo58. Il telo acuto rïuscì di rimpetto all’ombilico: ululò quel trafitto, e su i ginocchi
510 cascò: curvato colla man compresse le intestina, e mortal nube59 lo cinse.
Ettore e Achille
Come in quell’atto miserando il vide il suo germano60 Ettorre, una profonda
53. difeso: proibito.
54. siccome : siccome era. La frase è costruita intorno a un verbo che non viene espresso (ellissi del verbo).
55. demenza: stoltezza. Derivato da de + mente, “mancante di mente, privato della mente”.
56. consiglio: avvedutezza, senno.
57. a tergo: nella parte posteriore.
58. ove … usbergo: nel punto di sovrapposizione, dove la cintura di bronzo era affibbiata alla corazza.
59. mortal nube : tenebra mortale.
60. germano: fratello. Deriva, infatti, dal latino germen, “germe, seme”.
nube di duolo gl’ingombrò le luci,
515 né gli sofferse il cor di più ristarsi61 dentro la turba; ma crollando immensa una lancia, volò contro il Pelìde come fiamma ondeggiante. A quella vista saltò di gioia Achille, e baldanzoso, 520 «Ecco l’uom» disse «che nel cor m’aperse sì gran piaga, colui che il mio m’uccise caro compagno: or più non fuggiremo l’un l’altro a lungo pei sentier di guerra». Disse, e al divino Ettòr bieco guatando, 525 gridò: «T’accosta, ché al tuo fin62 se’ giunto». «Non pensar,» gli rispose imperturbato l’eroe troiano «non pensar di darmi per minacce63 terror come a fanciullo, ché oprar64 so l’armi della lingua io pure, 530 e conosco tue forze, e mi confesso men valente di te: ma in grembo ai numi sta la vittoria, ed avvenir può forse ch’io men prode dal sen l’alma ti svelga65 . Affilata ha la punta anche il mio telo».
535 Disse, e l’asta scagliò: ma dal divino petto d’Achille la svïò Minerva con levissimo soffio. Risospinta dall’alito immortal66, l’asta ritorno fece ad Ettorre, e al piè gli cadde. Allora 540 con orribile grido disserrossi67 furibondo il Pelìde, impazïente di trucidarlo. Ma gliel tolse Apollo, lieve impresa ad un Dio, tutto coprendo di folta nebbia Ettòr. Tre volte Achille
545 coll’asta l’assalì, tre volte un vano fumo trafisse, e con furor venendo
61. ristarsi: rimanere nascosto.
62. al tuo fin: alla tua morte.
63. per minacce : con le minacce, minacciandomi.
64. oprar : adoperare, usare.
65. svelga: congiuntivo presente di svellere, “togliere, strappare”.
66. dall’alito immortal: dal soffio della dea.
67. disserrossi: si avventò. composto da dis + serrare. Dis- è un prefisso che indica la negazione del verbo a cui è legato.
il divino guerriero al quarto assalto, minaccioso tuonò queste parole: «Cane troian, di nuovo ecco fuggisti
550 l’estremo fato che t’avea raggiunto, e Febo ti scampò, quel Febo a cui tra il sibilo dei dardi alzi le preci. Ma s’altra volta mi darai nell’ugna68 , e se a me pure assiste un qualche iddio,
555 ti finirò. Di quanti in man frattanto mi verranno de’ tuoi farò macello69».
Così dicendo uccide in breve tempo dieci nemici, infilzandoli dal carro con la lancia e con la spada (vv. 557602).
Quale infuria talor per le profonde valli d’arido70 monte un vasto fuoco
605 che divora le selve, e in ogni lato l’agita e spande di Garbino il soffio71; tale in sembianza d’un irato iddio d’ogni parte si volve furibondo il Pelìde, ed insegue e uccide e rossa
610 fa di sangue la terra. E come quando nella tonda e polita72 aia il villano due tauri accoppia di ben larga fronte di Cerere a trebbiar le bionde ariste73 , fuor del guscio in un subito saltella
615 di sotto al piede de’ mugghianti il grano74: del magnanimo Achille in questa forma
68. mi darai nell’ugna: mi cadrai tra le mani. Ugna sta per unghia
69. macello: strage.
70. arido: senz’acqua, e dunque più facilmente infiammabile.
Come un vasto fuoco
così il Pelìde
Come due tori aggiogati calpestano il grano
così i cavalli di Achille calpestano i cadaveri
71. di Garbino il soffio: Garbino è il nome che alcune regioni italiane della costa adriatica danno al vento caldo che soffia da sud ovest. Il nome deriva dalla parola araba che significa occidentale. È noto anche come Libeccio (“dalla Libia”, nome antico dell’Africa). Il testo greco originale dice genericamente vento
72. polita: dopo la trebbiatura l’aia risulterà ben pulita.
73. bionde ariste : spighe di grano.
74. Si tratta di un modo primitivo di trebbiare: le spighe mietute venivano sparse per il campo e poi le si faceva calpestare da una coppia di buoi, così che i chicchi del grano fuoriuscissero dalla spiga.
gl’immortali cornipedi75 sospinti i cadaveri calcano e gli scudi.
L’orbe tutto del cocchio e tutto l’asse76 620 gronda di sangue dalle zampe sparso de’ cavalli a gran sprazzi e dalle rote. Desìo di gloria il cuor d’Achille infiamma, e l’invitte sue mani tutte sozze son di polve, di tabe e di sudore77 .
75. cornipedi: dai piedi di corno. Si riferisce agli immortali destrieri di Achille.
76. L’orbe … l’asse : la pedana semicircolare del carro e l’asse delle ruote.
77. di polve, di tabe e di sudore : di polvere, di sangue rappreso e putrido, e di sudore.
Libro XXI
Il superbo Achille in lotta contro il fiume Xanto
Tempo: Il ventisettesimo giorno.
Luoghi: Il campo di battaglia e l’Olimpo.
Tra i flutti di Xanto
I Teucri in fuga, giunti presso il fiume Xanto, vengono raggiunti e separati in due gruppi dal Pelìde: uno cerca rifugio verso la città, l’altro si getta nel fiume per attraversarlo (vv. 112).
La rotta onda rimbomba, ne gemono le ripe, e quei mettendo cupi ululati, nuotano dispersi
15 come il rapido vortice li gira1 . Qual cacciate dall’impeto del fuoco alzan repente le locuste il volo sul margo del ruscello: arde veloce l’inopinata fiamma, e quelle in fretta
20 spaventate si gettano nel rio2: tal dinanzi al Pelìde la sonante corsìa di Xanto3 rïempìasi tutta di guerrieri e cavalli alla rinfusa. Su la sponda del fiume allor poggiata
25 alle mirìci4 la pelìaca antenna, strinse l’eroe la spada, e dentro il flutto come demón lanciossi, rivolgendo5
Come le locuste
così la corrente (corsia) dello Xanto
1. la rotta … li gira: i guerrieri (quei ) si gettano, anche con carri e cavalli, nell’acqua (onda), che si increspa rumorosamente (rotta, rimbomba) e poi si frange ( gemono) sulle sponde (ripe). Ma la corrente è forte (il rapido vortice), alcuni di loro vengono travolti (li gira) e urlano disperatamente (cupi ululati ) mentre lottano per non annegare.
2. cacciate … ruscello: le invasioni di locuste che devastavano i raccolti venivano affrontate col fuoco. Qui si rappresenta uno sciame che fugge le fiamme e che si getta nelle acque di un ruscello (rio) per salvarsi, annegando.
3. Xanto: è il nome divino del fiume che gli uomini chiamano Scamandro. L’altro fiume che scorre sotto Troia è il Simoenta.
4. mirìci: le tamerici, che crescono sui greti dei corsi d’acqua.
5. rivolgendo: meditando.
opre orrende nel cor. Menava a cerchio6 il terribile acciar7; s’udìa lugùbre
30 dei trafitti il lamento, e tinta in rosso l’onda correa. Qual fugge innanzi al vasto delfin la torma del minuto pesce, che di tranquillo porto8 si ripara nei recessi atterrito, ed ei n’ingoia
35 quanti ne giunge9: paurosi i Teucri così ne’ greti10 s’ascondean del fiume. Poiché stanca d’ucciderli il Pelìde sentì la destra, dodici ne prese vivi e di scelta gioventù11, che il fio
40 dovean pagargli dell’estinto amico12 . Stupidi13 per terror come cervetti14 fuor degli antri ei li tira, e co’ politi cuoi15 di che strette avean le gonne16, a tutti dietro annoda le mani, e a’ suoi compagni
45 onde trarli alle navi li commette17 .
Come la torma di pesciolini
così i paurosi Troiani
Achille raggiunge Licaone, uno dei figli di Priamo, che tempo addietro aveva venduto come schiavo e che poi era stato liberato ed aveva raggiunto Troia pochi giorni prima. Questi gli si avvicina per supplicarlo di risparmiargli la vita e, nel piegarsi per abbracciargli le ginocchia, schiva la lancia scagliata dal Pelìde (vv. 4696).
6. Menava a cerchio: faceva roteare.
7. acciar : acciaio, qui da intendere “spada” (sineddoche).
8. di tranquillo porto: dipende da nei recessi (nel fondo) del verso seguente.
9. giunge : raggiunge.
10. ne’ greti: propriamente, i greti sarebbero le sponde asciutte del letto di un fiume; il testo originale greco dice “sotto le rocce”.
11. scelta gioventù: giovani che, dall’aspetto, gli sembravano di nobile nascita (scelta).
12. che … amico: “pagare il fio” vuol dire subire la giusta punizione. Achille cattura dodici giovani Troiani che sgozzerà sulla tomba di Patroclo (l’estinto amico).
13. Stupidi: stupiditi, sbalorditi.
14. cervetti: cerbiatti.
15. politi cuoi: le cinture di cuoio liscio.
16. gonne : tuniche.
17. commette : consegna.
Supplichevole18 allor coll’una mano
le ginocchia gli stringe il meschinello, coll’altra gli rattien l’asta confitta,
100 né l’abbandona, e tuttavia pregando, «Deh ferma,» ei grida «umilemente io tocco le tue ginocchia, Achille: ah, mi rispetta; miserere di me19: pensa che sacro tuo supplice son io, pensa, o divino
105 germe di Giove20, che nudrito fui del tuo pane quel dì che nel paterno poder tua preda mi facesti, e tratto lungi dal padre e dagli amici in Lenno, di cento buoi ti valsi il prezzo, ed ora
110 tre volte tanti io ti varrò redento.
È questa a me la dodicesma aurora21 che dopo molti affanni22 in Ilio giunsi, ed ecco che crudel fato mi mette in tuo poter: ciò chiaro assai mi mostra
115 che in odio a Giove io sono. Ahi! che a ben corta vita la madre a partorir mi venne, la madre Laotòe d’Alte figliuola, di quell’Alte che vecchio ai bellicosi Lelegi impera, e tien suo seggio al fiume
120 Satnïoente nell’eccelsa Pèdaso.
Di questo ebbe la figlia il re troiano fra le molte sue spose, e due nascemmo di lei23, serbati a insanguinarti il ferro24 . E l’un tra i fanti della prima fronte
125 già domasti coll’asta, il generoso
18. supplichevole : predicativo di meschinello.
Io fui tuo ospite
Per me potrai chiedere un grosso riscatto
Il Fato e Giove sono contro di me
19. miserere di me : abbi pietà di me. Miserere è l’imperativo del verbo latino misereri, “provare compassione”.
20. germe di Giove : Achille è il pronipote di Giove. Questo richiamo alla discendenza mira a far sentire vincolato l’eroe al rispetto dei supplici, di cui Giove è garante e protettore.
21. dodicesima aurora: dodici giorni.
22. dopo molti affanni: Licaone fu fatto schiavo da Achille durante l’assalto a Pedaso, fu venduto una prima volta e fu riscattato infine da un re alleato di Priamo, che per proteggerlo dalla guerra lo aveva recluso. Ma egli eluse la sorveglianza e scappò per andare a combattere.
23. due nascemmo da lei: Priamo ebbe da Laotoe due figli, entrambi destinati ad essere uccisi da Achille, Licaone e Polidoro. Laotoe è figlia di Alte, re dei Lelegi, che abitava la città di Pedaso, presso il fiume Satnioente.
24. serbati … ferro: Polidoro è appena stato ucciso, alla fine del libro XX.
mio fratel Polidoro, ed or me pure ria sorte attende; ché non io già spero, poiché nemico mi vi25 spinse un Dio, le tue mani sfuggir. E nondimeno
130 nuovo un prego26 ti porgo, e tu del core la via gli schiudi. Non volermi, Achille, trucidar: d’uno stesso alvo io non nacqui con Ettor che t’ha morto27 il caro amico».
Così pregava umìl di Prìamo il figlio;
135 ma dispietata la risposta intese. «Non parlar, stolto, di riscatto, e taci. Pria che Patròclo il dì fatal compiesse28 , erami dolce il perdonar de’ Teucri alla vita, e di vivi assai ne presi,
140 ed assai ne vendetti: ora di quanti fia che ne mandi alle mie mani Iddio, nessun da morte scamperà, nessuno de’ Teucri, e meno del tuo padre i figli. Muori dunque tu pur. Perché sì piangi?
145 Morì Patròclo che miglior ben era. E me bello qual vedi e valoroso e di gran padre nato e di una Diva, me pur la morte ad ogni istante aspetta, e di lancia o di strale un qualcheduno
150 anche ad Achille rapirà la vita».
Sentì mancarsi le ginocchia e il core a quel dir l’infelice, e abbandonata l’asta, accosciossi coll’aperte braccia. Strinse Achille la spada, e alla giuntura
155 lo percosse del collo. Addentro tutto gli si nascose l’affilato acciaro29 , e boccon egli cadde in sul terreno steso in lago di sangue. Allor d’un piede presolo Achille, lo gittò nell’onda, 160 e con acerbo insulto, «Or qui ti giaci»
25. vi: tra le mani di Achille.
26. un prego: una preghiera.
27. t’ha morto: ti ha ucciso.
28. Pria che … compiesse : prima che Patroclo morisse.
29. acciaro: sineddoche per spada.
soggetto
Non sono fratello di sangue di Ettore soggetto
disse «tra’ pesci che di tua ferita30 il negro sangue lambiran securi31 .
Né te la madre sul funereo letto piangerà, ma del mar nell’ampio seno
165 ti trarrà lo Scamandro impetuoso, e là qualcuno del guizzante armento32 ti salterà dintorno, e sotto l’atre crespe dell’onda l’adipose polpe33 di Licaon si roderà. Possiate
170 così tutti perir finché del sacro Ilio sia nostra la città, voi sempre fuggendo, e io sempre colle stragi al tergo34 . Né gioveranvi35 i vortici di questo argenteo fiume a cui di molti tori
175 fate sovente sacrificio, e vivi gettar solete i corridor nell’onda36 .
Né per questo sarà che non vi tocchi di rio37 fato perir, finché la morte di Patroclo sia sconta38 e in un39 la strage
180 che, me lontano, degli Achei faceste».
Dagl’imi40 gorghi udì Xanto d’Achille le superbe parole, e d’alto sdegno fremendo, divisava41 in suo pensiero
30. di tua ferita: dipende da il negro sangue
31. securi: predicativo di pesci
32. guizzante armento: branco di pesci.
33. adipose polpe : le grasse carni.
34. colle … tergo: lasciandomi i morti alle spalle.
soggetto
35. gioveranvi: vi gioveranno. Queste parole iniziano il brano in cui Achille mostra un atteggiamento sacrilego nei confronti della divinità fluviale che protegge Troia. Egli continuerà a vantarsi di essere più forte perché più importante del fiume, in quanto discendente diretto di Giove, di cui è pronipote.
36. a cui … onda: per propiziare la protezione dello Xanto, i Troiani vi sacrificavano tori e cavalli, gettandoli vivi tra le sue onde.
37. rio: avverso, malvagio.
38. sia sconta: sia scontata, vendicata.
39. in un: nello stesso momento, attraverso lo stesso atto.
40. imi: bassi, profondi.
41. divisava: immaginava, pensava, esaminava.
come alla furia dell’eroe por modo42 , 185 e de’ Teucri impedir l’ultimo danno43 .
Xanto infonde animo e forza nel cuore di Asteropeo, il giovane nipote del fiume Assio, e quando Achille lo va ad affrontare lo trova pronto a combattere. Ma prima di iniziare gli chiede chi sia e quello gli rivela la parentela col fiume. La lotta impegna alquanto Achille che tuttavia, dopo averlo ucciso, vanta la propria discendenza da Giove e afferma che contro la stirpe di Giove la forza dei fiumi non può nulla, minimizzando anche quella del più grande fiume della Grecia antica, l’Acheloo, e addirittura quella di Oceano. Poi si scaglia contro gli altri Troiani e ne uccide sette (186273),
e più n’avrìa trafitti il valoroso,
275 se irato il fiume dai profondi gorghi non levava in mortal forma44 la fronte con questo grido: «Achille, tu di forza45 ogni altro vinci, è ver, ma il46 vinci insieme47 di fatti indegni, e troppo insuperbisci
280 del favor degli Dei che sempre hai teco48 . Se ti concesse di Saturno il figlio di tutti i Troi la morte, dal mio letto cacciali, e in campo almen fa tue prodezze. Di cadaveri e d’armi ingombra è tutta
285 la mia bella corrente, ed impedita da tante salme aprirsi al mar la via più non puote; e tu segui a farle intoppo di nuova strage49. Orsù, desisti, o fiero
complemento oggetto
42. por modo: porre un limite, una misura.
43. ultimo danno: la sconfitta.
44. mortal forma: il fiume mostra (levava) la fronte, poiché ha assunto umane sembianze (mortal forma).
45. di forza: in quanto a forza. Dipende da vinci, come di fatti indegni, e sono entrambi complementi di limitazione.
46. il: lo, riferito a ogni altro
47. insieme : anche.
48. teco: con te.
49. intoppo di nuova strage : Achille uccidendo altri Troiani impedisce sempre di più al fiume di scorrere. Strage è una metonimia , in quanto esprime la causa per la conseguenza (cadaveri).
prence, e ti basti il mio stupor50». «Scamandro
290 figlio di Giove,» gli rispose Achille «sia che vuoi; ma non io degli spergiuri Teucri l’eccidio51 cesserò, se pria dentr’Ilio non li chiudo, e corpo a corpo non mi cimento con Ettòr. Qui deve
295 restar privo di vita od esso od io52». Sì dicendo, coll’impeto d’un nume avventossi ai Troiani.
Achille lotta con il Fiume
Visto il diniego di Achille, Xanto lamenta ad Apollo di non intervenire in soccorso dei Troiani. Ma intanto Achille si getta in mezzo al fiume (vv. 297304).
305 Il fiume allor si rabbuffò, gonfiossi, intorbidossi, e furïando sciolse a tutte l’onde il freno: urtò la stipa53 de’ cadaveri opposti54, e li respinse55 , mugghiando come tauro, alla pianura,
310 servati i vivi ed occultati in seno a’ suoi vasti recessi56. Orrenda intorno al Pelìde ruggìa la torbid’onda, e gli urtava lo scudo impetuosa, sì ch’ei fermarsi non potea su i piedi.
315 A un eccelso e grand’olmo alfin s’apprese57 colle robuste mani, ma divelta
50. stupor : nome deverbale (dal lat. stupēre, da cui deriva anche stupido), usato nel senso proprio di “essere colto da forte sensazione di meraviglia e sorpresa, tale da togliere quasi la capacità di parlare e di agire”. Il fiume intende dire che ad Achille deve bastare (ti basti ) la comunicazione appena ricevuta.
51. eccidio: dal lat. excidium, composto di ex e scindere «lacerare». Uccisione in massa, strage.
52. ma … od io: in questi versi è contenuto il programma di Achille, che vuole eliminare i Troiani (li chiama spergiuri per insultarli) uccidendoli o costringendoli a rifugiarsi in Ilio, per sgombrare il campo al duello con l’uccisore di Patroclo, Ettore. Negli stessi versi è annunciata la trama del poema, che infatti si conclude con l’uccisione di Ettore e non con la distruzione della città.
53. stipa: mucchio. Nome deverbale dal verbo stipare, “ammucchiare”.
54. opposti: che si opponevano al suo corso.
55. respinse : espulse, gettandoli, scaraventandoli.
56. vasti recessi: luoghi appartati, quelli di v. 36.
57. s’apprese : si afferrò, si aggrappò, si avvinghiò.
dalle radici ruinò la pianta, seco trasse la ripa, e coi prostrati folti rami la fiera onda rattenne,
320 e le sponde congiunse come ponte58 . Fuor balza allor l’eroe dalla vorago59 , e, messe l’ali al piè, nel campo vola sbigottito60. Né il Dio perciò si resta61 , ma colmo e negro rinforzando il flutto
325 vie più gonfio l’insegue, onde di Marte rintuzzargli le furie62, e de’ Troiani l’eccidio allontanar. Diè un salto Achille quanto è il tratto d’un’asta, ed il suo corso somigliava63 il volar di cacciatrice
330 aquila fosca che i volanti tutti di forza vince e di prestezza. Il bronzo dell’usbergo gli squilla orribilmente sul vasto petto; con obliqua fuga scappar dal fiume ei tenta, e il fiume a tergo
335 con più spesse e sonanti onde64 l’incalza. Come quando per l’orto e pe’ filari di liete piante il fontanier deduce65 di limpida sorgente un ruscelletto, e, la marra66 alla man, sgombra gl’intoppi
340 alla rapida linfa67 che correndo i lapilli68 rimescola, e si volve giù per la china gorgogliando, e avanza pur chi la guida69: così sempre insegue
La corsa somiglia al volo
Come un ruscello libero da intoppi
così l’alto flutto dello Xanto
58. e coi … ponte: e con i rami rovesciati ( prostrati ) costituì un impedimento (rattenne) ai flutti (la fiera onda), formando come un ponte tra le due sponde.
59. dalla vorago: dalla voragine, dai turbini del fiume.
60. sbigottito: profondamente turbato e spiacevolmente sorpreso.
61. si resta: si placa, si ferma.
62. onde … le furie : in modo da reprimere i suoi bellicosi furori.
63. somigliava: sembrava (somigliare regge un sintagma preposizionale, ma qui è usato in modo transitivo).
64. più spesse e sonanti onde : onde più frequenti e rumorose.
65. il fontanier deduce : l’idraulico; ma in questo contesto il significato è esteso e identifica un uomo che per coltivare l’orto crea delle canalette per irreggimentare l’acqua da una sorgente e condurla (deduce) ad irrigare il terreno.
66. marra: specie di zappa.
67. linfa: acqua limpida, chiara.
68. lapilli: pietruzze.
69. e … guida: e supera anche chi la guida tracciando il solco.
l’alto flutto il Pelìde, e lo raggiunge
345 benché presto70 di piè: ché non resiste mortal virtude all’immortal. Quantunque volte la fronte gli71 converse il forte, mirando se giurati a porlo in fuga tutti fosser gli Dei, tante il sovrano
350 fiotto del fiume gli avvolgea le spalle. Conturbato72 nell’alma egli non cessa d’espedirsi73 e saltar verso la riva, ma con rapide ruote74 il fiero fiume sottentrato gli snerva le ginocchia75 ,
355 e di costa aggirandolo, gli ruba di sotto ai piedi la fuggente arena76 .
Achille si lamenta con gli dèi di essere stato illuso dalla madre che sarebbe morto, come gli precisò il suo cavallo Xanto, colpito dalle frecce di Apollo combattendo sotto le mura di Troia. E denuncia questa morte spregevole che gli sembra imminente. Accorrono Nettuno e Minerva, la quale lo rincuora che non morirà così, anzi che riuscirà ad uccidere Ettore. Poi lo consiglia di combattere fino a quando non avrà fatto rientrare i Troiani nella loro città.
Imbaldanzito di nuovo ardore, Achille riesce a opporsi alla forza di Xanto, che allora chiede rinforzo al fiume fratello Simoenta: uniti, è certo che né la forza né la bellezza potranno salvare Achille dall’essere travolto dalle acque e seppellito con tutto lo scudo sotto un monte di sabbia e di ghiaia.
A questo punto deve intervenire Giunone, che ordina al figlio Vulcano di combattere Xanto col fuoco perché questa lotta fra dèi sia allo stesso livello, mentre lei farà spirare venti caldi meridionali per alimentarlo. Le fiamme di Vulcano si spandono quindi sul campo di battaglia bruciando le salme dei guerrieri, poi si avventano alle sponde. A nulla
70. presto: veloce.
71. gli: al fiume, fermatosi a guardare (mirando, v. 348) per controllare.
72. Conturbato: turbato fortemente, molto spaventato.
73. espedirsi: rendersi spedito, liberarsi. Deriva dal latino expedire, composto da ex + pedis; letteralmente “liberare i piedi”.
74. rapide ruote : veloci turbini, gorghi, vortici.
75. sottentrato … ginocchia: gli fiacca le ginocchia passandogli sotto i piedi.
76. gli ruba … arena: gli toglie la terra da sotto i piedi. soggetto
vale l’implorazione di Xanto che chiede a Vulcano di cessare l’incendio e allora Xanto dice a Giunone che si fermerà se anche Vulcano si fermerà. Giunone ordina quindi a Vulcano di cessare di colpire un immortale per colpa di un mortale e di spegnere l’incendio (vv. 357497).
Cessata questa contesa, se ne accende immediatamente un’altra fra tutti gli altri dèi e il tumulto della zuffa è talmente grande che tutta la terra ne risuona e il cielo manda squilli di tromba. Ma Giove dall’Olimpo ride di gusto quando vede gli dèi schierati venirsi incontro per lottare. Essi combattono in diversi modi e per scopi diversi: Marte vuole vendicarsi con Minerva della ferita ricevuta nel precedente scontro, ma lei lo atterra con una sassata sul collo; accorre Venere per aiutarlo, ma Minerva atterra anche lei con una manata sul petto, su suggerimento di Giunone. Nettuno e suo nipote Apollo si mettono a litigare su chi debba combattere per primo; Apollo si allontana sdegnato, allora sua sorella Diana lo offende dandogli del bamboccio; cosicché interviene la madre Giunone, che le toglie le frecce e la picchia in faccia con queste; Diana allora va a piangere sulle ginocchia del padre Giove. Tutti gli dèi, irati i vinti, festosi i vincitori, fanno poi ritorno all’Olimpo: solo Apollo resta alla difesa del sacro muro di Ilio (vv. 498665).
Priamo apre le porte
Il Pelìde struggea77 pel campo intanto i Troiani, e stendea confusamente78 cavalli e cavalier. Come fra densi globi di fumo che si volve al cielo
670 un gran fuoco, in cui soffia ira divina, una cittade incende79, e a tutti arreca travaglio e a molti esizio80; a questa immago dava Achille ai Troiani angoscia e morte. 81Stava sull’alto d’una torre82 il veglio
675 Prìamo, e visti fuggir senza ritegno,
Come un gran fuoco così Achille
77. struggea: struggeva, distruggeva, uccideva uno dopo l’altro.
78. stendea confusamente : abbatteva indistintamente.
79. incende : incendia.
80. esizio: morte.
81. L’episodio seguente, di Agenore e Apollo e Achille, prepara il libro seguente in cui si narra la morte di Ettore.
82. torre : è la torre sopra le porte Scee in vista del campo di battaglia, e dalla quale spesso guardavano i combattimenti gli anziani e le donne.
senza far più difesa, i Troi davanti
al gigante guerrier, mise uno strido83 , e calò dalla torre, onde ai custodi degli ingressi lasciar lungo le mura
680 questi avvisi: «Alle man tenete, o prodi, spalancate le porte84 insin che tutti nella città sien salvi i fuggitivi dal diro85 Achille sbaragliati. Ahi giunto forse è l’ultimo danno! Come86 dentro
685 siensi messe87 le schiere, e ognun respiri, riserrate le porte, e saldamente sbarratele; ch’io temo non irrompa88 fin qua dentro il furor di questo fiero». Al comando regal schiusero quelli
690 tosto le porte, e ne levâr le sbarre. Onde una via s’aperse di salute89 .
Fuor delle soglie allor lanciossi Apollo in soccorso de’ Troi che dritto al muro90 fuggìan da tutto il campo arsi di sete, 695 sozzi di polve. E impetuoso Achille, come il91 porta furor, rabbia, ira e brama di sterminarli, gl’inseguìa coll’asta; ed era92 questo il punto in che gli Achei dell’alta Troia avrìan fatto il conquisto93 , 700 se Febo Apollo l’antenòreo figlio Agènore, guerrier d’alta prestanza, non eccitava alla battaglia. Il Dio gli fe’ coraggio, gli si mise al fianco, onde lungi tenergli della Parca
83. strido: grido angoscioso.
complemento oggetto
84. le porte : è solo la porta Scea, probabilmente la maggiore della città e rivolta verso l’Egeo e l’Ellesponto, costituita da due grossi battenti (perciò sempre il plurale le porte Scee).
85. diro: crudele, spietato.
86. Come : non appena.
87. siensi messe : si siano riparate.
88. temo non irrompa: temo che irrompa. È la costruzione latina per cui cfr. n. a Libro XIX, v. 23.
89. salute : salvezza. Salvezza e salvo derivano entrambi dal lat. salus, che significa salute.
90. dritto al muro: verso le mura.
91. come il: siccome lo.
92. era: sarebbe stato.
93. il conquisto: la conquista.
705 i gravi artigli, ed appoggiato a un faggio, di caligine tutto si ricinse94 .
Agenore contro Achille
Come Agènore il truce ebbe veduto guastator di città, fermossi, e molti pensier volgendo, gli ondeggiava il core95 ,
710 e dicea doloroso in suo segreto: «Misero me! se dietro agli altri io fuggo per timor di quel crudo, egli malgrado la mia rattezza prenderammi, e morte non decorosa mi darà. Se mentre
715 ei va questi inseguendo, io d’altra parte m’involo, e d’Ilio traversando il piano, dell’Ida ai gioghi mi riparo, e quivi nei roveti m’appiatto, indi la sera lavato al fiume, e rinfrescato a Troia
720 mi ritorno… Oh che penso? Egli non puote non veder la mia fuga, e arriverammi96 precipitoso con più presti97 piedi.
E allor dall’ugna98 di costui, che tutti vince di forza, chi mi scampa? Or dunque,
725 poiché certa è mia morte, ad incontrarlo vadasi in faccia alla cittade. Ei pure ha corpo che si fora99, e un’alma sola; e benché Giove glorïoso100 il renda, mortal cosa101 lo dice il comun grido».
730 Verso Achille, in ciò dir102, volta la fronte, e desïoso di pugnar l’aspetta. Come da folto bosco una pantera sbucando affronta il cacciator, né teme
94. di caligine si ricinse : si rese invisibile ricoprendosi di nebbia.
complemento oggetto soggetto soggetto
Come una pantera
95. gli ondeggiava il cuore : il cuore era titubante, ondeggiava tra più risoluzioni.
96. arriverammi: mi raggiungerà.
97. più presti: più veloci (sott. dei miei ).
98. dall’ugna: dall’unghia. Sineddoche per dalla mano.
99. corpo che si fora: un corpo vulnerabile.
100. glorioso: predicativo, tramite il sintagma verbale renda, del complemento oggetto il.
101. mortal cosa: predicativo, tramite il sintagma verbale dice, del complemento oggetto lo.
102. in ciò dir : mentre dice ciò.
i latrati, né fugge, e s’anco avvegna
735 ch’ei l’impiaghi primier103, la generosa104 il furor non rallenta, innanzi ch’ella105 o gli si stringa addosso, o resti uccisa: così ricusa106 di fuggir l’ardito d’Antènore figliuol, se col Pelìde
740 pria non fa prova di valor. Protese dunque al petto lo scudo, e nel nemico tolta107 la mira, alto gridò: «Per certo de’ magnanimi Teucri, illustre Achille, atterrar ti speravi oggi le mura.
745 Stolto! n’avrai penoso affare ancora, ché là dentro siam molti e valorosi che ai cari padri, alle consorti, ai figli108 difendiam la cittade, e tu, quantunque guerrier tremendo, giacerai qui steso».
così l’ardito figliuolo d’Antènore
Agenore colpisce lo schiniero divino di Achille con la lancia, senza tuttavia poterlo ferire. Interviene Apollo, che prima sottrae il suo protetto alla vista e poi prende le sue sembianze. In questo modo si fa inseguire da Achille verso lo Scamandro e tutti i guerrieri troiani hanno agio di salvarsi dentro le mura della propria città (vv. 750771).
In un momento tutta di lor fu piena la città, ché nullo rimanersene fuori non sostenne109 , né il compagno aspettar, né dei campati110 775 dimandar, né de’ morti. Ognun che snelle a salvarsi ha le piante111, alla rinfusa dentro si getta, e dal terror respira.
103. e s’anco … primier : e anche se accade che egli la ferisca per primo.
104. la generosa: la nobile belva. Dal lat. genus, «nascita, stirpe».
105. innanzi ch’ella: prima che essa.
106. ricusa: non accetta, non acconsente. È il sinonimo più aulico di rifiutare.
107. tolta: fissata.
108. ai … figli: sono tutti complementi di vantaggio.
109. ché nullo … sostenne : dato che nessuno ebbe il coraggio di rimanere fuori.
110. campati: sopravvissuti.
111. le piante : i piedi.
Achille, svelato l’inganno di Apollo, si appressa furente alle mura di Troia, e, apparendo in tutto il suo fulgore, terrorizza lo sguardo del vecchio Priamo, preoccupato per le sorti di Ettore rimasto solo fuori dalla città. Il duce troiano è deciso ad affrontare il nemico da solo, appare fermo come una statua nel suo coraggioso e onorevole proposito, ma anch’egli cede quando si trova faccia a faccia con il minaccioso Pelìde, armato di tutto punto. È qui che il dubbio lo assale: fuggire o restare? Ma il panico non ha l’ultima parola, ancora una volta prevalgono il senso dell’onore e la coscienza del compito che hanno sempre contraddistinto Ettore. E comunque il suo destino è già stato decretato: la bilancia del Fato pende a sfavore del duce troiano. Dunque Minerva, assunte le sembianze del fratello Deifobo, lo inganna promettendogli aiuto. Ha inizio così il terribile duello tra i due eroi, giganti nelle loro azioni, taglienti nelle parole: impietoso l’uno, Achille; capace di gratitudine verso gli dèi anche nel momento fatale, l’altro. Ettore muore sotto i colpi di Achille e non gli è risparmiato nemmeno sapere lo strazio che toccherà al suo cadavere: Achille infatti gli nega, nonostante egli lo supplichi, di restituire il corpo ai Troiani affinché gli diano sepoltura. Con quest’atto feroce ha soddisfazione la furia vendicatrice del Pelìde, rientrato in battaglia per uccidere l’uccisore dell’amico, nei confronti del quale non intende provare alcuna pietà (Libro XXII).
L’intero libro XXIII è dedicato ai funerali di Patroclo, che appare in sogno all’amico Achille chiedendogli di essere sotterrato, così che la sua anima smetta di vagare tra le ombre. Commosso e addolorato Achille tenta di abbracciarlo, tentativo vano, perché non è dato all’uomo oltrepassare il confine tra la vita e la morte se non con il desiderio. Al mattino si dà inizio al rituale delle esequie. Tutto parla di dolore e di distacco: i lamenti e gli addii, le azioni dell’eroe e dei guerrieri, la fiamma che brucia il cadavere, i sacrifici e le libagioni. E una volta seppellito il defunto si celebrano in suo onore i ludi, nei quali ogni eroe mette in mostra le sue doti atletiche per conquistare i premi messi in palio dallo stesso Pelìde, il quale si tiene in disparte, arbitro e spettatore.
Eppure né la morte di Ettore, né le esequie di Patroclo riescono a placare il dolore di Achille, il quale, interrompendo il sonno agitato, si desta per infierire crudelmente sul cadavere di Ettore, a cui non ha concesso neanche di ardere sulla pira di Patroclo, destinandolo ad essere preda di cani e avvoltoi. Lo strazio del cadavere muove a pietà gli dèi, così che Tetide viene inviata da Giove al figlio per convincerlo a restituire la salma, e Mercurio si offre a Priamo come scorta per recarsi supplice alla tenda di Achille. Ha qui luogo uno dei dialoghi più commoventi di tutto il poema: il vecchio Priamo, re da tutti riverito, in ginocchio, supplicante la restituzione del figlio; Achille, cuore di ferro, intenerito dalle parole del vecchio, si placa e obbedisce a quella legge pietosa che, pur non essendo scritta, alberga nel cuore di ogni uomo. È infatti il rispetto per il dolore di un uomo che potrebbe essere suo padre a cambiare la posizione dell’inesorato Achille; è vedere il più nobile dei suoi nemici affidarsi interamente a lui che risveglia la parte più pietosa del suo cuore. Dopo aver mostrato tutta la sua crudeltà e ferocia in battaglia, Achille di fronte a Priamo rivela il suo volto umano e pietoso. Tra le lacrime delle donne troiane, ultime anche quelle della bella Elena, causa di sì grande soffrire, si conclude il Libro XXIV e il poema dell’Iliade, con la profezia della vittoria achea e la consegna alla memoria dei posteri, alla nostra memoria, del nobile Ettore, domatore di cavalli.
Tempo: Il ventisettesimo giorno.
Luoghi: Intorno e sulle mura di Troia.
Così, quai1 cervi paurosi, i Teucri nella città fuggìan confusamente, e davano appoggiati agli alti merli al sudor refrigerio ed alla sete,
5 mentre gli Achei con inclinati2 scudi si fan sotto alle mura. Ma la Parca3 dinanzi ad Ilio su le porte Scee rattenne immoto, come astretto in ceppi4 , lo sventurato Ettòr. Fece ad Achille
10 l’arciero Apollo allor queste parole: «Perché mortale5 un Immortal persegui, o figlio di Pelèo? Non anco avvisi6 , cieco furente, che un Celeste io sono? Dei fugati Troiani e nel riparo
15 d’Ilio già chiusi ogni pensier ponesti7 , e qua svïasti il tuo furor. Che speri? uccidermi? Son nume». «E nume infesto, e di tutti il peggior» (rispose acceso di grand’ira il Pelìde). «A questa parte 20 m’hai devïato dalle mura, e tolto8 che molti, prima d’arrivar là dentro, mordessero la polve9. Ah mi rapisti
1. quai: come.
2. inclinati: obliqui sopra la testa, per proteggersi dalle frecce o da quant’altro potesse essere scagliato dalle mura.
3. Parca: divinità che presiede alla vita e alla morte.
4. ceppi: blocchi di legno usati per immobilizzare ai piedi i prigionieri.
5. mortale : tu che sei mortale.
6. Non anco avvisi: non ti sei ancora accorto.
7. Dei fugati … ponesti. Costruisci così: Ponesti ogni pensier (ti dimenticasti) dei Troiani fugati (ora fuggiti) e già chiusi al riparo d’Ilio.
8. tolto: impedito, non concesso.
9. mordessero la polve : fossero uccisi.
un gran vanto, e quei vili in salvo hai messo perché non temi la vendetta mia;
25 ma la farei ben io, se la potessi».
Dalle mura
Tacque, e drizzossi alla città volgendo10 terribili pensieri, e il piè movea rapido come vincitor de’ ludi
animoso destrier che per l’arena
30 fa le ruote volar. Primo11 lo vide precipitoso correre pel campo
Prìamo12, e da lungi folgorar13 , siccome l’astro che cane d’Orïon s’appella14 , e precorre l’Autunno15: scintillanti
35 fra numerose stelle in densa notte manda i suoi raggi16; splendissim’astro, ma luttuoso e di cocenti morbi ai miseri mortali apportatore17 .
Tal del volante eroe sul vasto petto
40 splendean l’armi. Ululava, e colle mani alto levate si battea la fronte
il buon vecchio18, e chiamava a tutta voce l’amato figlio supplicando19: e questi fermo innanzi alle porte altro non ode
45 che20 il desìo di pugnar col suo nemico.
10. volgendo: meditando.
11. Primo: per primo.
Veloce come un cavallo
Come l’astro
così le armi di Achille
12. Priamo: non si è mosso dalla torre presso le porte Scee (cfr. Libro XXI, v. 674). Il seguente paragone fra Achille e Sirio, un astro splendente e luttuoso, è come creato dal terrore del padre di Ettore.
13. folgorar : lampeggiare, brillare di vivida luce.
14. l’astro … s’appella: Orione è un mitico cacciatore, bellissimo, amato da Aurora. Ucciso per gelosia da Diana, fu assunto in cielo, con il suo cane Sirio, a formare una costellazione.
15. precorre l’Autunno: poiché è una costellazione equatoriale, Orione si alza dall’orizzonte sul finire dell’estate.
16. scintillanti … raggi: Sirio è la stella più luminosa del cielo e si trova nella costellazione del Cane maggiore, accanto a quella di Orione.
17. luttuoso … apportatore : quando il sole in estate ha appena oltrepassato la costellazione del Cane maggiore provoca il maggior caldo. È il momento del giorno chiamato “canicola”. E causa le febbri malariche (cocenti morbi ) letali (luttuoso) agli uomini (miseri mortali ).
18. il buon vecchio: Priamo.
19. supplicando: supplicandolo di rientrare.
20. non ode che : non sente altro che.
Allor le palme il misero gli stese, e questi profferì pietosi accenti21: «Mio diletto figliuolo, Ettore mio, deh lontano da’ tuoi da solo a solo22
50 non affrontar costui che di fortezza d’assai t’è sopra. Oh fosse in odio il crudo23 agli Dei quanto a me! Pasto di belve ei giacerìa24 qui steso (e del mio petto avrìa fine l’angoscia), ei che di tanti
55 orbo mi fece valorosi figli25 , quale ucciso, qual tratto alle remote rive e venduto. Ed or fra i qui rinchiusi Teucri i due figli, ahi lasso! ancor non veggo che l’esimia consorte Laotòe
60 a me produsse, Polidoro io dico e Licaon26. Se prigionieri ei sono, con auro e bronzo ne farem riscatto, ch’io n’ho molte conserve27, e molto avere diè l’egregio vegliardo Alte alla figlia28 .
65 Se poi ne’ regni già passâr di Pluto, alto sarà su la lor morte il pianto della madre ed il mio, ma brevi i lutti del popolo, ove29 spento tu non cada dal Pelìde, tu pur. Rïentra adunque,
70 mio dolce figlio, nelle mura, e i Teucri conservane e le spose. Al diro30 Achille non lasciar sì gran lode: abbi pensiero della cara tua vita, abbi pietade
soggetto
21. pietosi accenti: pietose parole. Accento, “inflessione della voce”, è una metonimia
22. da solo a solo: uno contro uno.
23. il crudo: il crudele Achille.
24. giacerìa: giacerebbe. Come il successivo avrìa (v. 54): avrebbe.
25. ei che … figli. Costruisci così: egli che mi fece orbo (mi privò) di tanti valorosi figli.
26. Polidoro … Licaon: ad aumentare l’intensità drammatica delle parole di Priamo si aggiunge il fatto che il lettore già conosce la sorte dei due ragazzi. Alla fine del Libro XX, Achille uccide Polidoro, il più giovane dei figli di Priamo; all’inizio del XXI Licaone, che incontrò di nuovo dopo averlo fatto schiavo a Pedaso e venduto.
27. conserve : riserve.
28. e molto … figlia: il padre di Laotoe ( Alte) le aveva dato (diè) una dote ricchissima (molto avere) quando sposò Priamo. Da notare che Priamo è poligamo.
29. ove : nel caso in cui. Il lutto del popolo per la morte di Polidoro e Licaone sarebbe breve nel caso in cui Ettore scampasse alla morte.
30. diro: crudele, spietato.
di me meschino a cui non tolse ancora
75 la sventura il sentir31, di me che misi già nelle soglie di vecchiezza il piede, dall’alta condannato ira di Giove di ria morte a perir, vista di mali prima ogni faccia32, trucidati i figli,
80 rapite le fanciulle, i casti letti contaminati, crudelmente infranti contro terra i bambini, e strascinate dall’empio braccio degli Achei, le nuore. Ed ultimo me pur su le regali
85 porte33 trafitto e spoglia34 abbandonata voraci i cani sbraneran35, que’ cani che custodi io nudrìa del regio tetto alla mia mensa io stesso; e allor da ingorda rabbia sospinti disputar vedransi36
90 il mio sangue37; e di questo alfin satolli ne’ portici sdraiarsi. Ah, bello è in campo del giovine il morir! Coperto il petto d’onorate ferite, onta non avvi, non offesa che morto il disonesti38 .
95 Ma che ludibrio sia degli affamati mastini il capo venerando e il bianco mento d’un veglio indegnamente ucciso, che sia bruttato il nudo e verecondo suo cadavere, ah! questo, è questo il colmo
100 dell’umane sventure39». E sì dicendo, strappasi il veglio dall’augusto capo
31. il sentir : il sentimento e il senno, l’affetto e la coscienza.
soggetto
32. vista … faccia. Intendi: non prima di aver visto ogni faccia del male. Inizia adesso la visione profetica della distruzione di Ilio per mano degli Achei: Priamo descrive tutte le brutalità di cui sarà spettatore prima della sua stessa morte.
33. le regali porte : le porte del palazzo reale.
34. spoglia: cadavere.
35. Ed ultimo … sbraneran. Costruisci così: i cani voraci sbraneran (per) ultimo pur me, trafitto su le porte regali, ormai spoglia abbandonata.
36. vedransi: si vedranno (si passivante).
37. il mio sangue : le mie membra insanguinate.
38. onta … disonesti. Intendi: non c’è disonore (onta), non c’è offesa che possa disonorare (disonesti ) il morto (il ).
39. Ma che … sventure. Costruisci così: Ah! Ma questo, è questo il colmo delle umane sventure: che il venerando capo e il bianco mento di un veglio ucciso indegnamente sia il ludibrio dei mastini affamati, che il suo cadavere nudo e verecondo sia bruttato.
i canuti capei; ma non si piega l’alma d’Ettorre.
Anche la madre, temendo desolata che sia dato in pasto ai cani, implora Ettore di non farsi ammazzare (vv. 103116).
In attesa dello scontro
Ma Ettore attende Achille a piè fermo e animato da odio inesausto. E nel suo cuore volge questi pensieri (vv. 117129):
«Che farò? Se metto
130 là dentro il piè40, Polidamante il primo41 rampognerammi acerbo, ei che la scorsa notte esortommi alla città ritrarre42 , comparso Achille, i Teucri; ed io nol feci: e sì quest’era il meglio43. Or che la mia
135 pertinacia fatal tutti li trasse nella ruina, sostener l’aspetto44 più non oso de’ Troi né dell’altere Troiane, e parmi già i peggiori udire: “Ecco là quell’Ettòr che di sue forze
140 troppo fidando il popolo distrusse”. Così diranno, e meglio allor mi fia combattere, e redir45, prostrato Achille, nella cittade, o per la patria mia aver qui morte glorïosa io stesso».
Ettore pensa anche di andare disarmato da Achille a proporgli la resa, cioè la restituzione di Elena e della intera dote, più metà di tutte le ricchezze presenti a Troia. Ma si rende conto che conversare con lui è impossibile (vv. 145166).
40. Se metto … il piè: se rientro in città.
41. il primo: per primo.
42. ritrarre : trarre in salvo.
43. Polidamante … meglio: Ettore si riferisce al diverbio fra lui e Polidamante (cfr. Libro XVIII, vv. 319 424).
44. l’aspetto: lo sguardo.
45. redir : ritornare, rientrare.
L’un fuggendo, l’altro inseguendo
Così seco ragiona, e fermo aspetta. Ed ecco Achille avvicinarsi, al truce dell’elmo agitator Marte simìle.
170 Nella destra scotea la spaventosa pelìaca trave46; come viva fiamma, o come disco di nascente Sole balenava47 il suo scudo. Il riconobbe Ettore, e freddo corsegli per l’ossa
175 un tremor, né aspettarlo ei più sostenne48 , ma lasciate le porte, a fuggir diessi49 atterrito. Spiccossi ad inseguirlo fidato50 Achille ne’ veloci piedi; qual ne’ monti sparvier che, de’ volanti
180 il più ratto51, si scaglia impetuoso su pavida52 colomba: ella sen fugge obbliquamente, e quei doppiando53 il volo vie più l’incalza con acuti stridi, di ghermirla bramoso: a questa guisa54
185 l’ardente Achille difilato55 vola dietro il trepido Ettòr che in tutta fuga mena il rapido piè56 rasente il muro. Trascorsero57 veloci la collina delle vedette, oltrepassâr, lunghesso
190 la callaia58, il selvaggio aereo fico59
soggetto
Come uno sparviero
così l’ardente Achille
46. pelìaca trave : si tratta, come già sappiamo, dell’asta costruita da Chirone sul monte Pelio.
47. balenava: lampeggiava. Verbo denominale da “baleno”, derivante da “balena”, che nell’antichità era considerata un essere misterioso guizzante per l’aria.
48. sostenne : sopportò, resse.
49. diessi: si diede.
50. fidato: confidando. Regge ne’ veloci piedi.
51. ratto: veloce, rapido. Dal lat. rapidum
52. pavida: paurosa, spaventata. Dal lat. pavēre, “aver paura”.
53. doppiando: verbo del linguaggio marinaro che significa “oltrepassare”. Monti intende che, poiché la colomba fugge obbliquamente, cioè compiendo delle virate per cambiare traiettoria, il falco fa anch’esso delle virate cercando di intercettarla.
54. a questa guisa: in questo modo.
55. difilato: dritto, rapido.
56. mena il rapido piè: conduce, agita il veloce piede. È una perifrasi per “corre”.
57. Trascorsero: oltrepassarono.
58. callaia: carraia, la strada che corre lungo le mura.
59. aereo fico: il fico posto su un’altura vicino alle mura. È il caprifico di Libro VI, v. 564.
sempre sotto alle mura; e già venuti son dell’alto Scamandro alle due fonti. Calida60 è l’una, e qual di fuoco acceso spandesi intorno di sue linfe61 il fumo:
195 fredda come gragnuola62 o ghiaccio o neve scorre l’altra di state: ambe son cinte d’ampii lavacri di polita pietra, a cui, pria che l’Acheo venisse i giorni della pace a turbar, solean de’ Teucri
200 liete le spose e le avvenenti figlie i bei veli lavar. Da questa parte volano i due campion, l’uno fuggendo, l’altro inseguendo. Il fuggitivo è forte, ma più forte e più ratto è chi l’insegue,
205 e d’un tauro non già, né della pelle si gareggia d’un bue, premio a veloce di corsa vincitor, ma della vita del grande Ettorre. E quale a vincer usi63 giran le mete64 corridori65 ardenti, 210 a cui proposto è di gentil donzella o d’un tripode il premio, ad onoranza d’alcun defunto eroe; così tre volte dell’ilìaca città fêr questi il giro velocemente.
Come corridori ardenti così questi (Achille ed Ettore)
Giove è dispiaciuto per l’imminente fine di Ettore, che sempre gli è stato fervidamente devoto, e chiede agli altri dèi se sia il caso che muoia. Gli risponde Minerva che non si può andare contro la stabilita morte crudele. Detto questo, scende impaziente dall’Olimpo (vv. 214238).
60. Calida: calda.
61. linfe : acque.
62. gragnuola: grandine.
63. a vincer usi: abituati a vincere.
64. mete : sono i traguardi degli stadi da oltrepassare per tornare al punto di partenza e terminare così la gara.
65. corridori: il testo originale greco dice “solidunghi cavalli”.
Alla dirotta66 intanto incalza Achille il fuggitivo Ettorre.
240 Come veltro cerviero67 alla montagna giù per convalli e per boscaglie insegue dalla tana destato68 un caprïuolo: sotto un arbusto il meschinel s’appiatta tutto tremante, e l’altro ne ritesse
245 l’orme69, e corre e ricorre irrequïeto finché lo trova: così tutte Achille del sottrarsi70 ad Ettòr tronca le vie. Quante volte sfilar diritto71 ei tenta alle dardanie porte72, o delle torri
250 sotto gli spaldi, onde co’ dardi aita73 gli dìan di sopra i suoi, tante il Pelìde lo previene e il ricaccia alla pianura, vicino alla città74 . Come nel sogno talor ne sembra con lena affannata
255 uom che fugge inseguir75, né questi ha forza d’involarsi, né noi di conseguirlo76; così né Achille aggiugner77 puote Ettorre, né questi a quello dileguarsi78. E intanto come schivar potuto avrìa la Parca
260 di Prìamo il figlio, se l’estrema volta79 nuovo al petto vigor non gli porgea propizio Apollo, e nuova lena al piede? Accennava col capo il divo Achille
66. Alla dirotta: con grande impeto, sfrenatamente.
67. veltro cerviero: cane addestrato alla caccia del cervo.
soggetto
Come un cane da caccia
così Achille
Come in sogno è impossibile così né Achille può né Ettore può
soggetto soggetto
68. dalla tana destato: svegliato, scosso dalla tana. È una perifrasi per “stanato”.
69. ritesse l’orme : ripete il cammino.
70. sottrarsi: sfuggire, liberarsi.
71. sfilar dritto: sfilarsi, filare dritto.
72. dardanie porte : le porte Scee.
73. co’ dardi aita: aiuto con le frecce. Se Ettore riuscisse a star sotto le mura, Achille ne starebbe lontano ed esposto così al tiro degli arcieri soprastanti.
74. vicino alla città: rasente alle mura (sogg. il Pelìde). È Achille ad impedire (lo previene) la manovra di Ettore e dunque è Ettore a rimanere lontano dalle mura (alla pianura).
75. talor … inseguir. Intendi: a volte ci sembra di inseguire con fatica (lena affannata) un uomo che fugge.
76. involarsi: letteralmente prendere il volo, scappare; conseguirlo: raggiungerlo.
77. aggiugner : raggiungere.
78. dileguarsi: sottrarsi.
79. l’estrema volta: per l’ultima volta.
alle sue genti di non far co’ dardi
265 al fuggitivo offesa, onde veruno80 , ferendolo, l’onor non gli precida81 del primo colpo.
Ma venuti entrambi
la quarta volta alle scamandrie fonti, l’auree bilance sollevò nel cielo
270 il gran Padre, e due sorti entro vi pose di mortal sonno eterno82, una d’Achille, l’altra d’Ettorre: le librò nel mezzo83 , e del duce troiano il fatal giorno cadde, e vêr l’Orco dechinò84. Dolente
275 Febo allora lasciollo in abbandono;
Atena, avvicinatasi al Pelìde, gli dice che Ettore non può più sottrarsi alla loro vittoria e che può riprendere fiato. Intanto si trasforma in Deifobo e va a confortare Ettore, perché con il suo aiuto riusciranno a respingere Achille. Ettore lo ringrazia dell’intervento e va sicuro contro Achille (vv. 276317).
«Più non fuggo, o Pelìde. Intorno all’alte ilìache mura mi aggirai tre volte,
320 né aspettarti sostenni. Ora son io che intrepido t’affronto, e darò morte, o l’avrò. Ma gli Dei, fidi custodi de’ giuramenti, testimon ne sièno, che se Giove l’onor di tua caduta
325 mi concede, non io sarò spietato
80. veruno: nessuno.
81. precida: sottragga.
82. due sorti di mortal sonno eterno: i destini di morte.
83. le … mezzo: le alzò tenendole al centro.
84. vêr l’Orco dechinò: declinò verso il regno dell’Orco, della morte. Giove soppesa i destini anche nel Libro VIII.
col cadavere tuo85, ma renderollo, toltene solo le bell’armi, intatto a’ tuoi. Tu giura in mio favor lo stesso». «Non parlarmi d’accordi, abbominato
330 nemico,» ripigliò torvo il Pelìde «nessun patto fra l’uomo ed il lïone, nessuna pace tra l’eterna guerra dell’agnello e del lupo, e tra noi due né giuramento né amistà86 nessuna,
335 finché l’uno di noi steso col sangue l’invitto Marte non satolli87. Or bada, ché n’hai mestiero88, a richiamar la tutta tua prodezza, e a lanciar dritta la punta89 . Ogni scampo è preciso90, e già Minerva
340 per l’asta mia ti doma. Ecco il momento che dei morti91 da te miei cari amici92 tutte ad un tempo sconterai le pene». Disse, e forte avventò la bilanciata lunga lancia. Antivide93 Ettorre il tiro, 345 e piegato il ginocchio e la persona, lo schivò. Sorvolando il ferreo telo si confisse nel suol, ma ne lo svelse invisibile ad Ettore Minerva, e tornollo94 al Pelìde. «Errasti il colpo,»
350 gridò l’eroe troian «né Giove ancora, come dianzi cianciasti, il mio destino ti fe’ palese. Dëiforme sei,
85. se Giove … tuo: già Ecuba (vv. 103 116) era convinta che Achille non avrebbe restituito il corpo di Ettore. E anche Ettore è cosciente del pericolo. Lo sdegnoso rifiuto di Achille a restituire il corpo (vv. 229 e sgg.) dà inizio al tema della sepoltura negata, che dominerà gli ultimi tre libri del poema, conferendogli un tono luttuoso e disperato.
86. amistà: amicizia.
87. finché … satolli. Costruisci così: finché l’uno di noi steso (chi di noi due morirà) non satolli (sazi, appaghi) l’invitto Marte col sangue Satolli l’invitto Marte col sangue è una perifrasi per muoia
88. mestiero: bisogno, necessità.
89. la punta: della lancia. Sineddoche
90. è preciso: è precluso.
91. dei morti: degli uccisi.
92. miei cari amici: non si può non pensare a Patroclo, ma Achille ancora non riesce a pronunciarne il nome. Ci riuscirà quando avrà ucciso Ettore (v. 422).
93. Antivide : vide prima, intuì.
94. tornollo: lo fece tornare, lo restituì.
ma cinguettiero95, ché con vani accenti atterrirmi ti speri, e nella mente
355 addormentarmi la virtude antica. Ma nel dorso96 tu, no, non pianterai l’asta ad Ettorre che diritto viene ad assalirti, e ti presenta il petto; piantala in questo se t’assiste un Dio.
360 Schiva intanto tu pur la ferrea punta di mia lancia. Oh si possa entro il tuo corpo seppellir tutta quanta, e della guerra ai Teucri il peso allevïar, te spento, te lor funesta principal rovina».
365 Disse, e l’asta di lunga ombra squassando97 , la scagliò di gran forza, e del Pelìde colpì senza fallir lo smisurato scudo nel mezzo. Ma il divino arnese98 la respinse lontan. Crucciossi Ettorre, 370 visto uscir vano99 il colpo, e non gli essendo pronta altra lancia, chinò mesto il volto, e a gran voce Dëìfobo chiamando, una picca100 chiedea: ma lungi egli era. Allor s’accorse dell’inganno, e disse:
375 «Misero! a morte m’appellâr101 gli Dei. Credeami aver Dëìfobo presente; egli è dentro le mura, e mi deluse102 Minerva. Al fianco ho già la morte, e nullo v’è più scampo per me. Fu cara un tempo
380 a Giove la mia vita, e al saettante suo figlio, ed essi mi campâr cortesi103 ne’ guerrieri perigli. Or mi raggiunse la negra Parca. Ma non fia per questo
95. cinguettiero: chiacchierone, sbruffone.
96. nel dorso: nella schiena. Ettore non ha intenzione di fuggire.
97. squassando: scuotendo in modo violento.
98. arnese : dall’antico francese herneis, “equipaggiamento di un soldato”.
99. uscir vano: andare a vuoto.
100. picca: lancia.
101. appellâr : chiamarono, destinarono.
102. deluse : ingannò.
103. cortesi: anche in procinto di morire Ettore non si lascia andare a violente ire, ma ricorda con rispetto l’aiuto che più volte Apollo e Giove gli hanno dato.
che da codardo io cada: periremo104 ,
385 ma glorïosi, e alle future genti105 qualche bel fatto porterà il mio nome».
L’estremo danno
Ciò detto, scintillar dalla vagina106 fe’ la spada che acuta e grande e forte dal fianco gli pendea. Con questa in pugno
390 drizza il viso al nemico, e si disserra107 com’aquila che d’alto per le fosche nubi a piombo sul campo si precipita a ghermir una lepre o un’agnelletta: tale, agitando l’affilato acciaro,
395 si scaglia Ettorre. Scagliasi del pari gonfio il cor108 di feroce ira il Pelìde impetuoso. Gli ricopre il petto l’ammirando brocchier109: sovra il guernito di quattro coni fulgid’elmo ondeggia
400 l’aureo pennacchio che Vulcan v’avea sulla cima diffuso110. E qual sfavilla nei notturni sereni in fra le stelle Espero111 il più leggiadro112 astro del cielo; tale l’acuta cuspide lampeggia
405 nella destra d’Achille che l’estremo danno in cor volge dell’illustre Ettorre, e tutto con attenti occhi spïando
Come un’aquila
così Ettore
Come Espero
così la punta
104. periremo: perirò. Pluralis maiestatis (plurale di maestà): la prima persona plurale –al posto di quella singolare – è solitamente usata da persone importanti (papi o sovrani) ed ha la funzione di solennizzare i discorsi ufficiali. Qui infatti Ettore, che ha appena deciso di affrontare con coraggio il suo tragico destino, sembra rivolgere le sue parole a un uditorio universale.
105. alle future genti: ai posteri. È questo, come nel Libro XIX, v. 65, il presentimento dell’immortalità della propria poesia che ha Omero.
106. vagina: guaina.
107. si disserra: scatta, si lancia.
108. gonfio il cor : con il cuore gonfio. Accusativo di relazione
109. brocchier : scudo.
110. sovra … diffuso: sul risplendente elmo, rinforzato ( guernito) con quattro coni (l’originale greco dice strati ), ondeggia il pennacchio d’oro che Vulcano vi aveva collocato.
111. Espero: il pianeta Venere, al tramonto prima stella ad accendersi, ultima a spegnersi all’alba.
112. leggiadro: bello, elegante.
il bel corpo, pon mente ove al ferire più spedita è la via113. Chiuso il nemico
410 era tutto nell’armi luminose che all’ucciso Patròclo avea rapite. Sol, dove il collo all’omero114 s’innesta, nuda una parte della gola appare, mortalissima parte. A questa Achille
415 l’asta diresse con furor: la punta il collo trapassò, ma non offese115 della voce le vie, sì che precluso fosse del tutto alle parole il varco116 .
Achille, cuore di ferro
Cadde il ferito nella sabbia, e altero117
420 sclamò sovr’esso il feritor divino: «Ettore, il giorno che spogliasti il morto Patroclo, in salvo ti credesti, e nullo terror ti prese del lontano Achille. Stolto! restava sulle navi al mio
425 trafitto amico un vindice118, di molto più gagliardo di lui: io vi restava, io che qui ti distesi. Or cani e corvi te strazieranno turpemente, e quegli avrà pomposa119 dagli Achei la tomba».
430 E a lui così l’eroe languente: «Achille, per la tua vita, per le tue ginocchia120 , per li tuoi genitori io ti scongiuro, deh non far che di belve io sia pastura alla presenza degli Achei: ti piaccia
435 l’oro e il bronzo accettar che il padre mio e la mia veneranda genitrice
113. e tutto … via. Intendi: cerca attentamente con gli occhi e osserva con la mente il punto in cui sia più facile ferirlo.
114. omero: spalla.
115. offese : lacerò, danneggiò.
116. sì che … varco. Intendi: nonostante sia ferito alla gola, Ettore può ancora parlare.
117. altero: fiero, maestoso.
118. vindice : vendicatore.
119. pomposa: fastosa.
120. per le tue ginocchia: per il tuo onore.
ti daranno in gran copia121, e tu lor rendi questo mio corpo, onde l’onor del rogo dai Teucri io m’abbia e dalle teucre donne».
440 Con atroce cipiglio gli rispose il fiero Achille: «Non pregarmi, iniquo122 , non supplicarmi né pe’ miei ginocchi né pe’ miei genitor. Potessi io preso dal mio furore minuzzar le tue
445 carni, ed io stesso, per l’immensa offesa che mi facesti, divorarle crude. No, nessun la tua testa al fero morso de’ cani involerà123: né s’anco dieci e venti volte mi s’addoppii il prezzo
450 del tuo riscatto, né se d’altri doni mi si faccia promessa, né se Prìamo a peso d’oro il corpo tuo redima124 , no, mai non fia125 che sul funereo letto la tua madre ti pianga. Io vo’ che tutto
455 ti squarcino le belve a brano a brano126». «Ben lo previdi che pregato indarno127 t’avrei», riprese il moribondo Ettorre «Hai cor di ferro, e lo sapea. Ma bada che di qualche celeste ira cagione
460 io non ti sia quel dì che Febo Apollo e Paride, malgrado il tuo valore, t’ancideranno su le porte Scee128». Così detto, spirò. Sciolta dal corpo prese l’alma il suo vol129 verso l’abisso,
121. copia: quantità, abbondanza.
122. iniquo: malvagio.
123. involerà: sottrarrà.
124. redima: riscatti.
125. fia: accadrà.
126. brano: brandello. Deriva dal francese braon ,“pezzo di carne”.
127. indarno: invano.
128. Ma bada … Scee. Costruisci così: Ma bada che io non ti sia cagione di qualche celeste ira quel dì che, malgrado il tuo valore, Febo Apollo e Paride ti ancideranno (uccideranno) su le porte Scee. Ettore, che in punto di morte acquista doti profetiche, predice così ad Achille le circostanze precise della sua morte (cfr. n. a Libro XIX, v. 418). Ma questa profezia si trasforma in minaccia, nel tentativo estremo di insinuare il timore superstizioso di una ritorsione del destino, che potrebbe far subire al corpo di Achille la stessa sorte.
129. vol: volo.
465 lamentando il suo fato ed il perduto fior della forte gioventude. E a lui, già fredda spoglia, il vincitor soggiunse: «Muori; ché poscia la mia morte io pure, quando a Giove sia grado e agli altri Eterni130 ,
470 contento accetterò». Così dicendo, svelse dal morto la ferrata lancia, in disparte la pose, e dalle spalle l’armi gli tolse insanguinate.
complemento oggetto
Accorrono gli altri Achei, cui Achille comanda di intonare il canto vittorioso mentre tornano alle navi, dove bisogna dedicarsi a Patroclo, ancora insepolto (vv. 473505).
Disse, e contra l’estinto opra crudele131 meditando, de’ piè gli fora i nervi dal calcagno al tallone132, ed un guinzaglio insertovi bovino, al cocchio il lega,
510 andar lasciando strascinato a terra il bel capo133. Sul carro indi salito con l’elevate glorïose spoglie134 , stimolò col flagello a tutto corso i corridori che volâr bramosi.
515 Lo strascinato cadavere un nembo sollevava di polve onde la sparta negra chioma agitata e il volto tutto bruttavasi135, quel volto in pria sì bello, allor da Giove abbandonato all’ira 520 degl’inimici nella patria terra.
130. quando … Eterni: quando sarà gradito a Giove e agli altri Eterni.
131. opra crudele : atti empi.
132. tallone : il testo originale greco dice “malleolo”.
133. andar … capo. Costruisci così: lasciando andare il bel capo strascinato a terra.
134. con … spoglie : tenendo alzate le gloriose (perché sue, di Achille) armi, che gli ha appena tolto (v. 473).
135. Lo strascinato … bruttavasi. Costruisci così: Lo strascinato cadavere sollevava un nembo di polve onde (a causa del quale) la sparta e negra chioma (i capelli neri e sciolti) e tutto il volto si bruttavano.
All’atroce spettacolo si svelse la genitrice136 i crini, e via gittando il regal velo, un ululato137 mise, che alle stelle n’andò. Plorava138 il padre
525 miseramente, e gemiti e singulti per la città s’udìan, come se tutta dall’eccelse sue cime arsa cadesse. Rattenevano a stento i cittadini il re canuto139, che di duol scoppiando
530 dalle dardànie porte a tutto costo fuor voleva gittarsi. S’avvolgea il misero nel fango, e tutti a nome chiamandoli e pregando, «Ah! vi scostate, lasciatemi,» gridava «è intempestivo140
535 ogni vostro timor; lasciate, amici, ch’io me n’esca, ch’io vada tutto solo alle navi nemiche. Io vo’141 cadere supplichevole ai piè di quell’iniquo violento uccisor. Chi sa che il crudo
540 il mio crin bianco non rispetti e senta pietà di mia vecchiezza142. Ei pure ha un padre d’anni carco, Pelèo che generollo e de’ Teucri nudrillo alla ruina143 , soprattutto alla mia, tanti uccidendo 545 giovinetti miei figli: né mi dolgo sì di lor tutti, ohimè! quanto d’un solo,
136. la genitrice : Ecuba, madre di Ettore.
137. ululato: acuto lamento.
138. Plorava: piangeva.
139. canuto: dai capelli bianchi.
140. intempestivo: inopportuno, ormai inutile.
141. vo’: voglio. Elisione.
soggetto
142. Io vo’ … vecchiezza: il progetto qui formulato non può essere realizzato ora, perché Achille lo ammazzerebbe. Ma con l’intercessione degli dèi andrà ad effetto nel Libro XXIV. Inoltre, questa lamentazione apre il giro di quelle rituali, che concludono il presente libro e che sono straordinarie perché connotate da uno strazio di particolare intensità, cui partecipa tutto il popolo: esse non avvengono, infatti, accanto al morto, ma sono provocate dallo sfregio del cadavere di Ettore.
143. generollo e nudrillo alla ruina. Intendi: lo generò e lo nutrì perché fosse causa della rovina di Troia. Priamo vede la rovina di Troia come ciò a cui Achille era predestinato fin dalla nascita.
quanto d’Ettòr, di cui trarrammi in breve l’empia doglia alla tomba144. Oh fosse ei morto tra le mie braccia almen! così la madre, 550 che sventurata partorillo, e io stesso sfogo avremmo di pianti e di sospiri». Questo ei dicea piangendo, e co’ lamenti facean eco al suo pianto i cittadini.
Circondata dalle donne troiane, la madre Ecuba lamenta con pianto accorato di non poter più vivere senza il figlio. Andromaca, mentre sta tessendo un mantello per il marito, ordina alle ancelle che gli si prepari un caldo bagno ristoratore per quando tornerà dalla battaglia. Ma giungono i forti lamenti e con un infausto presagio che le angustia la mente corre alla torre. Quando vede lo scempio del marito cade svenuta. Non appena rinvenuta piange (vv. 554624):
«Ai regni
625 tu di Pluto discendi entro il profondo sen della terra, e me qui lasci al lutto vedova in reggia desolata. Intanto del figlio, ohimè! che fia? Figlio infelice di miserandi genitor, bambino
630 egli è del tutto ancor, né tu puoi morto più farti suo sostegno, Ettore mio.
Se pure scamperà la morte, gli verranno sottratte le ricchezze paterne. Essere orfano di padre gli procurerà le ingiurie e l’abbandono dei coetanei». Infine Andromaca promette che, in segno di onore, brucerà gli eleganti e preziosi abiti suoi (vv. 632672).
Così dicea piangendo, ed al suo pianto co’ sospiri facean eco le donne.
144. di cui … alla tomba. Intendi: l’empio dolore per la perdita di Ettore mi porterà alla morte.
Tempo: Dalla sera del ventisettesimo giorno al ventinovesimo. Luoghi: L’accampamento acheo.
Il lamento funebre
Mentre in Troia si piange1, all’Ellesponto2 giungon gli Achivi, e spargesi ciascuno alla sua nave. Ma l’andar dispersi non permise il Pelìde ai bellicosi
5 suoi Mirmidóni, da cui cinto3 disse: «Miei diletti compagni e cavalieri, non distacchiamo per ancor4 dai cocchi i corridori: procediam con questi a piagnere Patròclo, a tributargli
10 l’onor dovuto ai trapassati. E quando avrem del pianto al cor dato il diletto, sciolti i destrieri, appresterem le cene». Disse, e tutti innalzâr ristretti insieme il fùnebre lamento, Achille il primo.
15 Corser tre volte colle bighe intorno all’estinto ululando, e ne’ lor petti destò Teti di pianto alto desìo. Si bagnava di lagrime l’arena, di lagrime gli usberghi5; cotant’era
20 il desiderio6 dell’eroe perduto. Ma fra tutti piagnea dirottamente Achille, e poste le omicide mani dell’amico sul cor, «Salve,» dicea
soggetto
1. Mentre … piange : come raccontato alla fine del libro precedente, per la morte di Ettore.
2. all’Ellesponto: le rive troiane dello stretto che separa l’Asia Minore dall’Europa.
3. da cui cinto: circondato dai quali.
4. per ancor : per ora.
5. di lagrime gli usberghi: sottointeso il verbo si bagnavano.
6. desiderio: rimpianto. Nome deverbale dal latino desiderare, che significava “cessare (de-) di contemplare le stelle (sideris) a scopo augurale”, inteso nel linguaggio comune “dolore di cosa che non si ha più”, “sentire la mancanza di”, “bramare”. In relazione con considerare (cum + sideris): “osservare gli astri”.
«salve, caro Patròclo, anco sotterra.
25 Tutto io voglio compir che ti promisi7 . D’Ettore il corpo al tuo piè strascinato farò pasto de’ cani, e alla tua pira dodici capi troncherò d’eletti figli de’ Teucri8, di tua morte irato».
30 Disse; ed opra crudel contra il divino Ettor volgendo in suo pensiero, il9 trasse per la polve boccon10 presso al ferètro del figliuol di Menèzio.
Tutti ora si danno da fare per preparare il banchetto funebre, ma Achille, straziato e disperato, non intende parteciparvi. Allora alcuni capi cercano di distrarlo portandolo nella tenda di Agamennone, che, oltre a offrirgli il banchetto funebre, gli offre di lavarsi il sangue degli uccisi. Egli rifiuta il bagno, perché lasciare incolta la persona è dimostrazione di lutto, ma si lascia convincere a rispettare il rito del banchetto funebre, che onora l’amico defunto. Durante il banchetto Achille chiede ad Agamennone che l’indomani sia apprestata una catasta di legna per il rogo dell’illustre defunto (vv. 3370).
Del cibarsi e del ber spenta la voglia, tutti sbandârsi11 alle lor tende, e al sonno cesser12 le membra. Ma del mar sonante lungo il lido si stese in mezzo ai folti
75 Tessali Achille su la nuda arena, di cui l’onda gli estremi orli lambìa13 . Ivi stanco di gemiti e sospiri
complemento oggetto soggetto soggetto
7. Tutto … promisi. Costruisci così: io voglio compir tutto (ciò) che ti promisi.
8. dodici … Teucri: sono quei dodici guerrieri nobili (eletti ) che Achille ha fatto prigionieri durante le stragi presso lo Xanto. Cfr. Libro XXI, vv. 37 e sgg.
9. il: lo (Ettore).
10. boccon: faccia a terra.
11. sbandârsi: uscirono confusamente dai ranghi prendendo direzioni diverse. Derivato di banda, “drappello”, con s- sottrattivo.
12. cesser : cedettero, abbandonarono.
13. lambìa: lambiva.
e della molta in perseguendo14 Ettorre sostenuta fatica, il dolce sonno
80 alleggiator dell’aspre cure15 il prese, soavemente circonfuso16. Ed ecco comparirgli del misero Patròclo in visïon17 lo spettro, a lui del tutto ne’ begli occhi simìle e nella voce,
85 nella statura, nelle vesti, e tale sovra il capo gli stette, e così disse: «Tu dormi, Achille, né di me più pensi. Vivo m’amasti, e morto m’abbandoni. Deh tosto mi sotterra, onde mi sia
90 dato nell’Orco penetrar. Respinto io ne son dalle vane18 ombre defunte, né meschiarmi con lor di là dal fiume19 mi si concede. Vagabondo io quindi m’aggiro intorno alla magion di Pluto20 .
95 Or deh porgi la man, ché teco io pianga anco una volta: perocché consunto21 dalle fiamme del rogo a te dall’Orco non tornerò più mai22. Più non potremo vivi entrambi, e lontan dagli altri amici
100 seduti in dolci parlamenti aprire23 i segreti del cor: ché preda io sono della Parca crudele a me nascente un dì sortita24. E a te pur anco, Achille,
14. in perseguendo: nell’inseguire, perseguitando.
complemento oggetto
15. il dolce … cure. Intendi: il sonno, che rende più leggeri (alleggiator) i duri affanni.
16. circonfuso: diffuso intorno a lui. Concordato con sonno
17. visïon: sogno.
18. vane : inconsistenti, senza corpo.
19. fiume : lo Stige, o l’Acheronte, confine del regno dei morti.
20. Deh … Pluto: questa affermazione di Patroclo, che cioè l’anima di un insepolto sia costretta a vagare (vagabondo) senza poter entrare (respinto io ne son) nel regno dei morti (Orco, e la magion di Pluto), è un’importante eccezione, poiché non si trova nei poemi omerici la necessità del rito funebre per dare accesso al mondo sotterraneo. Dunque questo passo del sogno di Achille è sicuramente stato inserito in un momento successivo alla prima stesura dei poemi, quando entrò nella cultura greca questa credenza.
21. consunto. Intendi: dopo che sarò stato consunto.
22. a te … mai: secondo la credenza, il defunto poteva presentarsi in sogno ai viventi solo fino a che il suo corpo veniva consunto. Dopo non gli era più permesso.
23. aprire : forma un sintagma verbale con il servile potremo di v. 98.
24. ché … sortita. Intendi: poiché io sono preda di un destino crudele (Parca crudele) che mi fu assegnato (un dì sortita) fin dalla nascita (a me nascente).
a te che un Dio somigli25, è destinato
105 il perir sotto le dardanie mura. Ben ti prego, o mio caro, e raccomando che tu non voglia, se mi sei cortese, dal tuo disgiunto il cener mio26. Noi fummo nella tua reggia allor nudriti insieme
110 che Menèzio27 d’Opunte a Ftia menommi giovinetto quel dì che per la lite degli astragali irato e fuor di senno d’Anfidamante a morte misi il figlio, mio malgrado. M’accolse il re Pelèo
115 ne’ suoi palagi umanamente, e posta nell’educarmi diligente cura, mi nomò tuo donzello. Una sol’urna chiuda adunque le nostre ossa, quell’urna che d’ôr ti diè la tua madre divina».
120 «A che28 ne vieni, o anima diletta?» gli rispose il Pelìde «e a che m’ingiungi partitamente29 queste cose? Io tutto che30 comandi farò: ma deh t’appressa, ch’io t’abbracci, che stretti almen per poco
125 gustiam la trista voluttà31 del pianto». Così dicendo, coll’aperte braccia amoroso avventossi, e nulla strinse, ché stridendo32 calò l’ombra sotterra,
25. somigli: il verbo somigliare nella lingua parlata è usato intransitivamente, in quella poetica spesso transitivamente.
26. che … mio. Costruisci così: che tu, se mi sei cortese, non voglia il cener mio disgiunto dal tuo. Disgiunto è aggettivo predicativo dell’oggetto. Patroclo chiede che le ceneri di Achille, quando anche lui morirà, siano poste nella stessa tomba.
27. Noi fummo … Menèzio. Costruisci così: Noi fummo nudriti (cresciuti) insieme allor che (dal momento in cui) Menezio… Patroclo, quando era bambino, in seguito ad uno scatto d’ira (irato e fuor di senno) durante il gioco dei dadi (astragali ), contro la sua stessa volontà (mio malgrado) aveva ucciso (a morte misi ) un suo coetaneo, il figlio di Anfidamante. In caso di omicidio, si andava in esilio per evitare la vendetta dei parenti dell’ucciso e nella speranza di trovare qualche signore disposto ai rituali di rieducazione e purificazione ( posta nell’educarmi diligente cura). Per questo Patroclo fu trasferito (menommi ) dalla città di Opunte in quella di Ftia, dove fu affidato (m’accolse) dal padre Menezio alle cure di Peleo, divenne paggio (donzello) e poi amico inseparabile di suo figlio Achille.
28. A che : per quale motivo.
29. partitamente : con così tanta precisione.
30. tutto che : tutto ciò che.
31. voluttà: piacere intenso. Trista voluttà è un ossimoro.
32. stridendo: gemendo.
e svanì come fumo. In piè rizzossi
130 sbalordito il Pelìde, e palma a palma battendo, in suono di lamento disse: «Oh ciel! dell’Orco gli abitanti han dunque spirito ed ombra33, ma non corpo alcuno?
Del misero Patròclo in questa notte
135 sovra il capo mi stette il sospiroso spettro piangente, tutto desso34 al vivo, e più cose m’ingiunse ad una ad una».
Ridestâr delle lagrime la brama queste parole: raddoppiossi il lutto
140 sul miserando corpo, e l’Alba intanto col roseo dito l’Orïente aprìa35 .
soggetto
Achille dispone che si vada sul monte Ida a tagliare tronchi di quercia per allestire la pira del rito funebre e poi avvia il corteo funebre. In mezzo al corteo viene portato il cataletto di Patroclo, su cui i compagni gettano le proprie chiome, recise in segno di lutto. Anche Achille compie lo stesso gesto. Poi invita Agamennone a congedare il popolo: la cura delle esequie di Patroclo spetta ora solo ai duci achei (vv. 142217).
Essi36 una pira cento piedi sublime in ogni lato37 innalzâr primamente, e sovra il sommo38 , 220 d’angoscia oppressi, collocâr l’estinto; poi davanti alla pira una gran torma scuoiâr di pingui agnelle e di giovenchi, e traendone l’adipe39 il Pelìde coprìane40 il morto dalla fronte al piede, 225 e le scuoiate vittime dintorno
33. spirito ed ombra: anima e sembianze umane.
34. desso: somigliante.
35. aprìa: apriva, schiudeva alla luce del sole.
36. Essi: i duci achei.
37. una pira … lato: il testo originale greco dice una pira di cento piedi per lato (circa trenta metri).
38. il sommo: la sommità.
39. l’adipe : il grasso. Il cadavere era coperto di grasso affinché bruciasse più facilmente.
40. coprìane : ne copriva.
gli accumolò. Da canto indi gli pose colle bocche sul fèretro inclinate41 due di miele e d’unguento urne ricolme42 . Precipitoso ei poscia e sospiroso
230 sulla pira gittò quattro corsieri d’alta cervice43, e due smembrati cani di nove che del sir nudrìa la mensa44 . Preso alfin da spietata ira, le gole di dodici segò prestanti figli
235 de’ magnanimi Teucri45, e sulla pira scagliandoli, destò del fuoco in quella l’invitto spirto struggitor, che il tutto divorasse, e chiamò con dolorosi gridi l’amico: «Addio, Patròclo, addio
240 ne’ regni anche di Pluto. Ecco adempite le mie promesse: dodici d’illustre sangue Troiani si consuman teco in queste fiamme, ed Ettore fia pasto delle fiamme non già, ma delle belve».
Ma Venere aveva unto il corpo di Ettore per proteggerlo dalle offese recategli da Achille; Apollo invece lo preservava dai raggi del sole con una nube (vv. 245256).
Poiché il rogo di Patroclo ancora non avvampava, Achille supplica i venti Borea e Zefiro di alimentare le fiamme (vv. 257284).
e quei levârsi
285 con immenso stridor, densate innanzi a sé le nubi. Si sfrenâr46 soffiando sulla marina, sollevaro i flutti, e di Troia arrivati alla pianura,
41. inclinate : le anfore (urne) erano inclinate per motivi simbolici e rituali che ignoriamo.
42. due … ricolme : offerte rituali e viatico per il viaggio all’Ade.
43. quattro corsieri d’alta cervice : quattro cavalli dal grosso collo, quattro grossi e nobili cavalli.
44. due smembrati cani … mensa: due cani smembrati, dei nove che la mensa del sire (Patroclo) nutriva.
45. le gole … Teucri: si tratta dei dodici fanciulli catturati presso lo Xanto (cfr. Libro XXI, vv. 38 e sgg.).
46. Si sfrenâr : si tolsero i freni, si lanciarono.
ruinâr47 su la pira; e strepitoso
290 immane incendio si destò. Dai forti soffii agitata divampò sublime48 tutta notte la fiamma, e tutta notte il Pelìde da vasto aureo cratere49 il vino attinse con ritonda coppa,
295 e spargendolo al suol devotamente, n’irrigava la terra, e l’infelice ombra invocava dell’estinto amico. Come un padre talor piange bruciando l’ossa d’un figlio che morì già sposo,
300 e morendo lasciò gli sventurati suoi genitori di cordoglio oppressi; così dando alle fiamme il suo compagno, geme il Pelìde, e crebri50 alti sospiri traendo, intorno al rogo si strascina.
305 Come51 poi nunzio della luce al mondo Lucifero52 brillò, dopo cui stende sul pelago l’Aurora il croceo velo53 , morì la vampa sul consunto rogo, e per lo tracio mar, che rabbuffato
310 muggìa, tornâro alle lor case i venti.
Come un padre
così Achille
soggetto
Finalmente Achille, spossato dalla fatica, può ritirarsi e dormire. Ma viene subito svegliato per un raduno di capitani da Agamennone, ai quali dispone, dando seguito al desiderio dello stesso amico apparsogli in sogno, che quando sarà morto le sue ceneri e le sue ossa vengano chiuse nella stessa urna di quelle di Patroclo, che ordina di andare a recuperare. Poi chiede che si inizi la costruzione di un modesto tumulo, che verrà poi alzato quando anche lui sarà morto (vv. 311346).
47. ruinâr : rovinarono, si abbatterono.
48. sublime : altissima.
49. cratere : ampio vaso di bronzo usato per servire acqua e vino nei banchetti.
50. crebri: frequenti.
51. Come : quando.
52. nunzio … Lucifero: Lucifero è l’epiteto letterario del pianeta Venere (Espero di Libro XXII, v. 403), l’astro che annuncia l’arrivo del giorno. Lucifero infatti deriva dal latino lucifer, “portatore di luce”, composto di lux (luce) e ferre (portare).
53. il croceo velo: velo di colore giallo (la luce mattutina).
Achille fa quindi radunare tutto il popolo e comanda che si portino i premi per i ludi funebri in onore di Patroclo: tripodi, vasi, destrieri, giumenti, tori, forbite armature e giovani schiave (vv. 346352).
Achille fissa i premi per la corsa più importante. Al primo una dolce ancella esperta in bei lavori e un grande tripode al vincitore. Al secondo una giumenta di sei anni. Un lebete al terzo auriga. Un doppio talento d’oro al quarto, e una coppa al quinto. Quindi chiede ai concorrenti di farsi avanti.
Si presentano Eumelo, figlio d’Admeto, eccellente nell’arte equestre; il Tidìde Diomede con i divini destrieri di Troe tolti ad Enea; Menelao, che aggioga il suo Podargo ed Eta, velocissima puledra donatagli da Agamennone; e Antiloco che, siccome ha dei cavalli vecchi e lenti, riceve alcuni consigli dal saggio padre Nestore (vv. 353412):
« son tardi al corso i tuoi destrieri, e qualche danno io temo. Destrier più ratti han gli altri, ma non arte
415 né scienza maggior. Dunque, o mio caro, tutti richiama al cor gli accorgimenti, se vuoi che il premio da tue man non fugga. L’arte più che la forza al fabbro è buona; coll’arte in mar da venti combattuto
420 regge il piloto la sua presta nave, e coll’arte il cocchier passa il cocchiero. Chi sol del cocchio e de’ corsier si fida, qua e là54 s’aggira senza senno; incerti divagano55 i cavalli, ed ei non puote
425 più governarli. Ma l’esperto auriga, benché meno valenti i suoi56 sospinga, sempre ha l’occhio alla meta, e volta stretto, e sa come lentar, sa come a tempo
Premi in palio e ordine di partenza
54. qua e là: senza direzione.
55. divagano: vagano senza una direzione precisa.
56. i suoi: cavalli.
con fermi polsi rattener le briglie57 , 430 ed osserva il rival che lo precede».
Nestore conosce anche la lontanissima mèta da aggirare indicata da Achille, e la descrive al figlio perché la riconosca prima degli altri. Nel frattempo si aggiunge Merione con una superba coppia di corsieri. Achille getta le sorti dell’ordine di partenza, perché chi sta a sinistra è più avvantaggiato nel girare la mèta per primo: Antìloco è primo, quindi Eumelo, Menelao, Merione e infine il fortissimo Diomede. Come ultima disposizione, Achille incarica il vecchio Fenice di andare alla mèta a far da giudice di eventuali scorrettezze durante l’aggiramento (vv. 431474).
475 Stavano tutti colle sferze58 alzate su gli ardenti59 destrieri, e dato il segno, lentâr tutti le briglie, e co’ flagelli e co’ gridi animâro i generosi corsier che ratti si lanciâr nel campo,
480 e dal lido sparîro in un baleno. Sorge sotto i lor petti alta la polve che di nugolo a guisa o di procella si condensa60, ed al vento abbandonate svolazzano le giubbe61. Or vedi i cocchi
485 rader bassi la terra, ed or sublimi balzarsi, né perciò perde mai piede62 degli aurighi veruno, e batte a tutti per desiderio della palma63 il core; e in un nembo di polve ognun dà spirto 490 a’ suoi volanti alipedi64 .
57. e sa come … briglie : sa in quale momento allentare e in quale tirare le briglie, per far rispettivamente correre o rallentare i cavalli.
58. sferze : fruste, chiamate anche flagelli.
59. ardenti: scalpitanti.
60. che di nugolo … condensa. Costruisci così: che si condensa a guisa di nugolo (nube) o di procella (tempesta).
61. giubbe : criniere. Vocabolo letterario, dal latino iuba, che indica le criniere dei leoni e dei cavalli.
62. perde mai piede : perde l’equilibrio.
63. palma: premio. Il ramo di palma presso gli antichi Greci e Romani era un segno di vittoria.
64. ognun … alipedi. Intendi: ognuno sprona i suoi cavalli che sembrano avere ali ai piedi.
Varcata
la meta, e preso il rimanente corso di ritorno alle mosse65, allor rifulse di ciascun la prodezza, allor si stese66 nello stadio ogni cocchio. Innanzi a tutti
495 le puledre volavano veloci del Ferezìade67 Eumelo; e dopo queste, ma di poco intervallo, i corridori di Troe, guidati dal Tidìde, e tanto imminenti68 che ognor parean sul carro
500 montar d’Eumelo, a cui co’ fiati ardenti69 già scaldano le spalle, e già le toccano colle fervide teste. E oltrepassato forse l’avrebbe, o pareggiato almeno, se al figlio di Tidèo Febo la palma
505 invidïando70, non gli fea sdegnoso balzar dal pugno la lucente sferza. Lagrime d’ira e di dolor le gote inondâr dell’eroe, vista d’Eumelo lontanarsi più rapida la biga,
510 e per difetto71 di flagel più lenta correr la sua. Ma Pallade d’Apollo scorta72 la frode, e del Tidìde il danno, presta73 a lui corse, e alla sua man rimessa la sferza, aggiunse ai corridor la lena74 .
515 Indi al figlio d’Admeto avvicinossi irata, e il giogo75 gli spezzò. Turbate si svïar le cavalle, andò per terra il timon, riversossi76 il cavaliero
soggetto
65. mosse : sono i punti da cui si muovono i cavalli lungo la linea di partenza.
66. si stese : si distese, che è il verbo con cui si indica che il cavallo viene abbandonato a tutta corsa verso il traguardo.
67. Ferezìade : nipote di Ferete.
68. imminenti: prossimi, vicini.
69. fiati ardenti: il fiato caldo per l’ardore della corsa.
70. la palma invidïando: volendo sottrargli la vittoria. Dunque Eumelo aveva girato la mèta per primo, pur essendo alla partenza il secondo da sinistra, fra Antiloco e Menelao.
71. difetto: mancanza. Deriva dal latino de-facere, “venir meno”.
72. scorta: vista e riconosciuta.
73. presta: veloce.
74. la lena: il fiato e per estensione la capacità di produrre uno sforzo intenso.
75. giogo: strumento usato per legare i cavalli alla biga.
76. riversossi: si rovesciò, cadde.
presso alla ruota, e il cubito77 e la bocca
520 lacerossi e le nari78, e su le ciglia n’ebbe pesta la fronte: le pupille s’empîr di pianto, s’arrestò la voce, e Dïomede il trapassò79 sferzando gli animosi destrier che innanzi a tutti
525 scappan di molto, perocché Minerva gli afforza, e vincitor vuole il Tidìde.
Dietro questi viene Menelao, seguito da Antiloco, che incita i suoi destrieri a volare e progetta un’astuzia per superare Menelao (vv. 527547).
V’era una frana ove l’acqua invernal, raccolta in copia, dirotta avea la strada, e tutto intorno
550 affondato il terren80. Per quella parte si drizzava81 l’Atrìde, onde il concorso ischivar delle bighe82. Ivi si spinse
Antìloco pur esso; e devïando dalla carriera83 un cotal poco, e forte
555 flagellando i corsier, lo stringe, e tenta prevenirlo84. Temettene l’Atrìde, e gridò: «Dove vai, pazzo? rattieni, Antìloco, i destrier: stretta è la via. Aspetta che s’allarghi, e trapassarmi
560 potrai: qui entrambi romperemo i cocchi». Antìloco non l’ode, e stimolando più veemente85 i corridor, s’avanza.
Quanto è il tratto d’un disco da robusto
77. il cubito: il gomito.
78. le nari: le narici, il naso.
79. il trapassò: gli passò oltre. Dunque ora è primo.
Quanto è la distanza coperta dal lancio di un disco
80. l’acqua … terren: l’acqua aveva fatto franare il terreno sulla strada e poi s’era accumulata impaludando (avea affondato) il terreno.
81. si drizzava: si indirizzava, si dirigeva a tutta velocità.
82. onde … bighe : per evitare di arrivare insieme agli altri carri alla strettoia provocata dalla frana.
83. devïando dalla carriera: allontanandosi dalla strada che devono seguire per tornare. È questa l’astuzia: uscire dalla strada per accostarsi a lui e poi tagliargli la traiettoria per costringerlo a rallentare.
84. prevenirlo: superarlo.
85. veemente : con più veemenza.
giovin scagliato per provar sue forze, 565 tanto trascorse86 la nestòrea biga. Iscansossi87 l’Atrìde, e volontario88 i suoi destrieri rallentò, temendo che da quegli altri urtati in quello stretto non gli versino89 il cocchio, e al suol stramazzino
570 essi medesmi nel voler per troppo amor di lode acccelerarsi. Intanto dietro al figlio di Nèstore l’Atrìde gridar s’udiva: «Antìloco, non avvi90 il più tristo91 di te: va’ pure: a torto
575 noi saggio ti tenemmo92: ma tu premio non toccherai, per dio! se pria non giuri93». Quindi animando i suoi corsier, dicea: «non v’impigrite, non mi state afflitti; pria di voi perderan quelli la lena, 580 ch’ei94 son vecchi ambidue». Così lor grida, e docili i destrieri alla sua voce doppiâro il corso, e tosto li raggiunsero.
tanto spazio percorse la nestorea biga
Intanto, i principi seduti sugli spalti cercano di vedere i lontanissimi corridori e di capire chi sia il primo. Idomeneo, re dei Cretesi che parteggia per Merione, sale in alto, riconosce la voce di Diomede e uno dei suoi cavalli, ed esclama (vv. 583594):
«O degli Achei
595 prenci amici, m’inganno, o ravvisate quei cavalli voi pure? Altri mi sembrano da quei di prima95, ed altro il condottiero. Le puledre che dianzi eran davanti96
86. trascorse : corse oltre, andò più avanti.
87. Iscansossi: si scansò.
88. volontario: volontariamente.
89. versino: rovescino.
90. non avvi: non vi è.
91. tristo: colui che prova compiacimento nel far male agli altri.
92. saggio ti tenemmo: ti ritenemmo saggio.
Sugli spalti
93. se pria non giuri: Menelao avvisa Antiloco che denuncerà la sua scorrettezza e, poiché non ci sono testimoni, che lo vincolerà al giuramento.
94. ei: essi.
95. di prima: di quando sono partiti, dell’ordine di partenza.
96. Le puledre … davanti: quelle di Eumelo.
forse sofferto han qualche sconcio97. Al certo
600 girar primiere le vid’io la meta; or come che98 pel campo il guardo io volga, più non le scorgo. O che scappâr di mano all’auriga le briglie, o ch’ei non seppe rattenerne la foga, e non fe’ netto99
605 il giro della meta. Ei forse quivi cadde, e infranse la biga, e le cavalle deviâr furïose. Or voi pur anco alzatevi e guardate: io non discerno abbastanza; ma parmi esser quel primo
610 l’ètolo prence argivo Dïomede». «Che vai tu vaneggiando?» aspro riprese Aiace d’Oilèo. «Quelle che miri da lungi a noi volar son le puledre100 . Più non sei giovinetto, o Idomenèo: 615 la vista hai corta, e ciance assai, né il farne molte t’è bello ov’altri è più prestante101 . Quelle davanti son, qual pria102, d’Eumelo le puledre, e ne regge esso le briglie». E a lui cruccioso de’ Cretesi il sire:
620 «Malèdico rissoso103, in questo solo tra noi valente104, ed ultimo nel resto, villano105 Aiace, deponiam106 su via un tripode o un lebète, e Agamennóne giudichi e dica che corsier sian primi, 625 e pagando il saprai». Sorgea parato107 a far risposta con acerbi detti lo stizzito Oilìde, e la contesa
97. sconcio: disavventura, incidente.
98. come che : per quanto, sebbene, nonostante.
99. netto: pulito, in modo preciso, senza urtarla.
100. le puledre : quelle di Eumelo. Ma Aiace si sbaglia.
soggetto
101. Più … prestante. Intendi: sei un vecchio che ci vede poco e dice sciocchezze (ciance) e non è bello che tu le dica dove (ov’ ) ci sono persone (altri ) migliori ( più prestante) di te. Indirettamente Aiace dice di essere lui stesso quello “più prestante”.
102. qual pria: come prima, cioè nello stesso ordine di partenza.
103. Malèdico rissoso: capace solo di dir male e di suscitare risse.
104. in questo … valente : solo in questo sei più valente. È la risposta al “più prestante”.
105. villano: rozzo e incivile, maleducato.
106. deponiam: scommettiamo.
107. parato: pronto.
crescea: ma grave la precise108 Achille: «Fine, o duci, a un ontoso ed indecoro109 630 parlar che in altri biasmereste110. In pace sedetevi e guardate. I gareggianti corridori son presso, e voi ben tosto chi sia primo saprete, e chi secondo».
L’arrivo e la premiazione
Diomede arriva primo e subito va a ritirare il premio. Intanto arriva secondo Antiloco, al quale è attaccato Menelao (che l’avrebbe superato se la corsa fosse stata più lunga). Distanziato quanto un tiro di lancia arriva quarto Merione. Per ultimo, trascinandosi dietro il carro e spingendo in avanti i cavalli, arriva Eumelo. Impietosito, Achille donerebbe il secondo premio a Eumelo, ma Antiloco, che si vede sottrarre la giumenta, protesta, affermando che se il carro gli si è rotto è perché Eumelo non ha compiuto gli atti rituali per propiziarsi gli dèi e dunque una divinità lo ha giustamente danneggiato. Così Achille consegna la cavalla a Antiloco e per compensarne il valore dona a Eumelo la corazza che tolse ad Asteropeo. Ma Menelao si infuria e invita Antiloco a giurare su Nettuno di non averlo sorpassato compiendo una scorrettezza. Antiloco non può farlo, perché diverrebbe spergiuro, e dunque consegna la giumenta a Menelao. Il quale, sollevato dall’onestà del ragazzo e desideroso di mostrarsi riconoscente, tramite lui, verso ognuno dei partecipanti alla guerra che combattono per causa sua, gliela restituisce. E si prende il lebete, terzo premio. Merione riscuote il quarto, i due talenti d’oro.
Il quinto premio, la coppa non assegnata, Achille la consegna inaspettatamente a Nestore (vv. 634781).
«Tieni, illustre vegliardo, e questo dono ricordanza111 ti sia delle funebri pompe112 del nostro Patroclo, cui113, lasso!
785 non rivedrem più mai. Questo vogl’io che gratuito sia, poiché del cesto, e dell’arco il certame e della lotta,
Un premio gratuito
108. precise : interruppe. Dal latino praecidëre, composto di prae- (pre ) e caedëre (tagliare).
109. ontoso e indecoro: vergognoso e indecoroso.
110. biasmereste : biasimereste, condannereste.
111. ricordanza: memoria.
112. funebri pompe : cerimonie e onoranze funebri.
113. cui: che.
e del corso pedestre a te si vieta dalla triste vecchiezza che ti grava114».
790 Tacque, e la coppa fra le man gli mise. Lieto il veglio accettolla, e sì rispose: «Ben parli, o figlio: le mie forze tutte sono inferme, o mio caro: il piè va lento: dispossato115 mi pende dalle spalle
795 l’un braccio e l’altro. Oh! giovine foss’io e intero di vigor siccome il giorno che […]»
E racconta alcune delle sue grandi imprese atletiche.
«Tal fui già tempo: or lascio siffatte imprese ai giovinetti, e forza
815 m’è l’obbedire alla feral vecchiezza116 . Ma tra gli eroi fui chiaro anch’io. Tu segui117 del morto amico ad onorar la tomba co’ funebri certami. II tuo bel dono m’è caro, e il prendo. Mi gioisce il core 820 al veder che di me, che t’amo, ognora sei memore, e sai quale al mio canuto crine118 si debba dagli Achivi onore: di ciò ti dien gli Dei larga mercede».
Il pugilato
Achille propone la gara del pugilato. Per premi una mula forzuta al vincitore, una coppa a due manici al vinto. Si alza subito l’alto e possente Epeo, notoriamente esperto di pugilato (vv. 824841):
«S’accosti chi vuol la coppa, ché la mula è mia. Niun degli Achivi vincerammi, io spero,
I contendenti
114. poiché … ti grava. Intendi: a te non è consentito (si vieta), poiché l’età ti opprime (dalla triste vecchiezza che ti grava), partecipare alle gare (il certame) di pugilato (cesto), di tiro con l’arco, di lotta e di corsa a piedi (corso pedestre).
115. dispossato: spossato, privo di forza e di energia.
116. e forza … vecchiezza: e devo obbedire per forza alla vecchiaia che porta (in sé) la morte ( feral ).
117. segui: prosegui.
118. canuto crine : capello bianco.
nel certame del cesto119, in che mi vanto
845 prestantissimo. E che? forse non basta che agli altri io ceda in battagliar? Non puote a verun patto un solo esser di tutte arti maestro120. Io vel dichiaro, e il fatto proverà ciò che dico: al mio rivale 850 spezzerò il corpo e l’ossa».
Solo il fortissimo Eurialo si presenta, accompagnato da Diomede, comandante della spedizione di cui fa parte: lo incita con la parola e lo aiuta a prepararsi al combattimento (vv. 851864)
865 Come in punto121 si fûro, ambi nel mezzo presentârsi gli atleti, e sollevate l’un contra l’altro le robuste pugna, si mischiâr fieramente. Odesi122 orrendo sotto i colpi il crosciar123 delle mascelle, 870 e da tutte le membra il sudor piove. Il terribile Epèo con improvvisa furia si scaglia all’avversario, e mentre questi bada a mirar dove ferire, Epèo la guancia gli tempesta in guisa 875 che124 il meschin più non regge, e balenando125 con tutto il corpo si rovescia in terra. Qual di Borea al soffiar l’onda sul lido gitta il pesce talvolta, e lo risorbe126; tale l’invitto Epèo stese al terreno 880 il suo rivale, e tosto generosa la man gli porse, e il rïalzò. Pietosi accorsero del vinto i fidi amici
Il combattimento
Come l’onda
così Epeo
119. cesto: sono strisce di cuoio con le quali i pugili si fasciavano le mani, con la stessa funzione dei guantoni di oggi.
120. Non puote … maestro. Intendi: non è certo possibile che un uomo sia provetto in tutte le arti.
121. in punto: pronti.
122. Odesi: si ode.
123. crosciar : crosciare, il rumore che fanno le cose che si rompono cadendo con violenza.
124. in guisa che : in modo tale che, domodoché.
125. balenando: saltando via con la velocità di un baleno.
126. l’onda … lo risorbe : l’onda espelle il pesce e poi lo riassorbe, lo riprende. Come farà Epeo, che dopo aver gettato a terra l’avversario, lo vorrà riavvicinare a sé tendendogli la mano perché si rialzi.
che fuor del circo lo menâr127 gittante atro sangue, e i ginocchi egri traente128 885 col capo spenzolato, ed in disparte condottolo, il posâr de’ sensi uscito: ed altri intorno gli restâro, ed altri a tôr ne gîro129 la ritonda coppa.
Per il gioco della lotta, Achille mette in palio un grande tripode, del valore di dodici tori, per il vincitore, e un’ancella esperta nei lavori di casa, stimata del valore di quattro tori, per il vinto. Si fanno avanti l’immane Aiace Telamonio e lo scaltro Ulisse, esperto in tranelli. Essi subito si afferrano saldamente per le mani (vv. 889908).
Allo stirar de’ validi polsi intrecciati scricchiolar si sentono 910 le spalle130, il sudor gronda, e spessi appaiono pe’ larghi dossi e per le coste i lividi rosseggianti di sangue131. Ambi del tripode a tutta prova la conquista agognano132 , ma né Ulisse può mai l’altro dismuovere 915 e atterrarlo133, né il puote il Telamònio, ché del rivale la gran forza il vieta.
Il pubblico si annoia e allora Aiace propone di risolvere la sfida sollevandosi. Subito alza Ulisse, che prontamente gli sferra un colpo con il tallone proprio dietro il ginocchio, facendolo cadere. Cerca allora di sollevare il pesante Aiace, ma invano. Achille teme che lo scontro si prolunghi troppo e che impedisca le altre gare. Così li ferma e li dichiara entrambi vincitori, assegnando loro un premio di egual valore (vv. 917943).
127. fuor … menâr : sostenendolo da sotto le ascelle, lo trascinarono (menâr) via ( fuor del circo).
128. e … traente : ed egli trascinante (traente) i ginocchi infermi (egri ). Accusativo di relazione.
129. a tôr ne gîro: gli (ne) andarono ( gîr) a prendere (a tôr).
130. Allo stirar … le spalle. Intendi: non appena si tirano per i polsi, si sentono scricchiolare le spalle.
131. e spessi … sangue. Intendi: gli sforzi enormi producono voluminosi versamenti di sangue sotto la pelle delle spalle ( pe’ larghi dossi ) e del torace (le coste). Fenomeno evidentemente prodigioso, proporzionato alla grandezza dei contendenti.
132. agognano: desiderano fortemente. Derivato dal greco agónía, “lotta, angoscia”.
133. atterrarlo: è la regola classica che fa vincere la lotta.
La corsa pedestre
Al vincitore dell’importante corsa a piedi Achille promette un ampio cratere d’argento, finemente cesellato da artisti fenici e appartenuto a Patroclo. Al secondo un alto e grasso bue, al terzo mezzo talento d’oro. Si presentano il veloce Aiace d’Oileo, lo scaltro Ulisse e Antiloco, il più veloce fra i giovani. Aiace scatta subito, e rimane primo per tutta la gara. Lo segue col fiato sul collo Ulisse, che in prossimità dell’arrivo invoca l’aiuto di Minerva (vv. 944981):
«Odimi, o Dea, e soccorri al mio piè». La Dea l’intese, gli fe’134 lievi le membra, i piè, le braccia; e come fur per avventarsi entrambi
985 ad un tempo sul premio, l’Oilìde da Minerva sospinto sdrucciolò in lubrico135 terren sparso del fimo136 de’ buoi mugghianti dal Pelìde uccisi di Pàtroclo alla pira. Ivi il caduto
990 nari e bocca insozzossi.
Nonostante la scivolata, Aiace giunge secondo, tra le risa della folla. Antiloco accetta la sconfitta e loda la freschezza fisica di Ulisse, dei tre il più anziano ma secondo per velocità solo al Pelìde. Per questo elogio il Pelìde aggiunge mezzo talento d’oro al premio di Antiloco (vv. 9911012).
Il duello
Achille promette poi di assegnare in parti uguali le armi che Patroclo aveva tolto a Sarpedonte a chi combatterà in un duello al primo sangue, armati di spada, scudo e corazza. A chi vince, promette inoltre la spada tolta da Achille stesso ad Asteropeo, duce dei Peoni. Subito lo smisurato Aiace Telamonio e l’invitto Diomede avanzano in mezzo al campo e si assaltano impetuosamente, finché il Tidìde riesce ad appuntare la spada alla gola dell’avversario, ferendolo. Si alza allora un grido di spavento tra gli Achei. Tutti chiedono la fine del duello e un premio uguale, ma Achille dichiara giustamente vincitore Diomede (vv. 10131047).
134. fe’: fece.
135. lubrico: scivoloso.
136. fimo: letame.
Il lancio del peso
Un grosso pezzo di ferro, molto prezioso perché molto raro, Achille consegnerà a chi riuscirà a gettarlo più lontano. Era stato di proprietà del re di Tebe Eezione, il padre di Andromaca, e Achille se ne era impossessato quando lo aveva ucciso e aveva conquistato la città. Esso fornirà al vincitore ferro sufficiente a fabbricare attrezzi agricoli per cinque anni. Per primo lo scaglia Epeo, ma è così maldestro da suscitare le risa di tutti; per secondo Leonteo; terzo Aiace Telamonio, che supera gli altri segni; quarto Polipete, che lo scaglia con l’agilità con cui un pastore lancerebbe il proprio bastone. Lo manda fuori dalla spianata e si aggiudica la vittoria (vv. 10481079).
Il tiro con l’arco
Quindi Achille espone dieci asce a doppio taglio e dieci accette: le prime come premio per chi riuscirà a colpire una colomba legata con una cordicella a un’asta; le seconde per chi colpirà solo la corda. Teucro e Merione sono i contendenti: la sorte dà a Teucro il primo colpo, ma questi non si vota al dio Apollo e colpisce solo la corda. Subito Merione gli prende l’arco, e, dopo aver promesso al saettante dio un’ecatombe, scocca la freccia, che colpisce la colomba uccidendola. Allora Merione prende le asce e Teucro le accette (vv. 10801116).
Il lancio dell’asta
Per la prova della lancia si fanno avanti il re Agamennone e Merione. Allora Achille, ben conoscendo la forza dell’Atrìde, propone che i premi siano distribuiti senza disputare la gara (vv. 11171130).
Acconsentì l’Atrìde. A Merïone diede Achille la lancia137, ed all’araldo d’Agamennón lo splendido lebète138 .
137. la lancia: la stessa lancia con cui avrebbero gareggiato.
138. lo splendido lebète : splendido perché intatto dal fuoco, del valore di un bue.
Libro XXIV
Gli estremi
Tempo: Dalla notte del ventinovesimo giorno al cinquantesimo.
Luoghi: La tenda di Achille e la città di Troia.
L’insaziabile dolore di Achille
Finiti i ludi, s’avviâr le sciolte turbe1 alle navi per diverse vie, e preso il cibo, a placido riposo s’abbandonâr. Ma memore il Pelìde
5 dell’amato compagno, in nuovo pianto scioglieasi, né serrar poteagli il sonno, di tutte cure domator, le ciglia.
Di qua, di là si rivolgea membrando2 il valor di Patròclo, e la grand’alma,
10 e le comuni imprese, e i tollerati guerrieri affanni insieme, e i perigliosi trascorsi flutti3. E in queste ricordanze dirottamente lagrimava, ed ora giacea su i fianchi, or prono, ora supino4;
15 poi di repente in piè balzato errava mesto sul lido. E quando i campi e l’onde illumina l’Aurora, egli di nuovo, aggiogati i corsier, di retro al cocchio Ettore avvince5, e trattolo tre volte
20 di Pàtroclo dintorno al monumento, a riposar si torna entro la tenda, boccon6 lasciando nella polve steso
soggetto soggetto
1. sciolte turbe : gruppi sparsi e in disordine.
2. si rivolgea membrando: si girava e rigirava nel letto rimembrando, ricordando.
3. i perigliosi trascorsi flutti: pericolosi viaggi in mare.
4. giacea … supino. Stava sdraiato, ma continuava a girarsi stando un po’ sui fianchi, un po’ sul ventre ( prono), un po’ sul dorso (supino), come chi è molto irrequieto perché sopraffatto dal dolore, e non riesce a pensare ad altro.
5. avvince : lega. Dal latino ad-vincere, “legare”.
6. boccon: bocconi, cioè disteso sul ventre a faccia in giù, con la bocca che aderisce al terreno.
l’esangue corpo7. Ma del morto eroe impietosito Apollo ogni bruttura8
25 ne tien rimossa, e tutto coll’aurata egida9 il copre, perché nulla offesa lo strascinato corpo ne riceva.
Visto del divo Ettòr lo strazio indegno, pietà ne venne ai fortunati Eterni,
30 e il vegliante Argicida ad involarlo incitando venìan10. Questo di tutti era il vivo desìo, ma non di Giuno, né di Nettunno, né dell’aspra vergine dall’azzurre pupille11. Alto riposta
35 nella mente12 sedea di queste Dive di Paride l’ingiuria, e la sprezzata lor beltade quel dì che a lui venute nel suo tugurio13, ei preferì lor quella che di funesto amor contento il fece.
40 Quindi l’odio immortal delle superbe contro le sacre ilìache mura, e Prìamo e tutta insieme la dardania gente14 .
soggetto
soggetti
7. di nuovo … corpo: come viene detto più avanti, è il dodicesimo giorno che Achille compie questa che Apollo chiamerà “efferatezza” e che, per la ripetitività, la precisione e il luogo in cui è fatta, assume il carattere dell’atto rituale. Ma già Aristotele e Callimaco dicevano che tra III e IV secolo a.C. ancora c’era questa usanza fra gli abitanti della Tessaglia, appunto la patria di Achille.
8. ogni bruttura: sfregi e sporcizia.
9. egida: la protezione divina. Ma cfr. anche n. a Libro XVIII, v. 271.
10. vegliante … venìan. Costruisci così: e venìan incitando il vegliante Argicida ad involarlo (rubarlo, sottrarlo). Mercurio, che uccise il mostro Argo, è detto vegliante (vigile, dallo sguardo acuto) perché abile e scaltro nel portare a termine le missioni affidategli.
11. dell’aspra … pupille : Minerva, occhicerulea.
12. Alto riposta nella mente : tenuta in alta considerazione. È un sintagma da attribuire ai due soggetti.
13. tugurio: la misera capanna sul monte Ida, dove Paride era stato nascosto e pascolava le pecore.
14. Alto riposta … gente. Proprio nel finale, Omero fa l’unica allusione di tutto il poema all’origine della guerra: nei cuori di Giunone e Minerva, giudicate inferiori per bellezza a Venere (cioè quella che di funesto amor, ovvero Elena, contento il fece), è ancora vivo (immortal ) l’odio contro Paride e la sua gente, colui che disprezzò la loro beltà (sprezzata lor beltade).
Achille prosegue a straziare il corpo di Ettore per altri giorni. Giunti dunque al dodicesimo dalla sua morte, Apollo insorge (vv. 4349):
«Che furor s’è questo
50 di non renderne il corpo alla consorte, alla madre, al figliuolo, al genitore, al popol tutto, acciò che tosto ei s’abbia15 l’onor del rogo e della tomba? E tante onte16 a qual fine? Per servir d’Achille
55 alle furie; d’Achille a cui nel seno17 né amor del giusto né pietà s’alberga, ma cuor selvaggio di lïon che spinto dall’ardir, dalla forza e dalla fame il gregge assalta a procacciarsi il cibo.
60 Tale il Pelìde gittò via dal petto ogni senso pietoso18, e quel pudore19 che l’uom castiga co’ rimorsi e il giova20 . Perde taluno ancor più cari oggetti21 , il fratello od il figlio. E nondimeno,
65 finito il pianto, al suo dolor dà tregua; ché nell’uom pose il Fato alma soffrente22 . Ma non sazio costui della già spenta vita d’Ettorre23, al carro il lega, e morto pur24 dintorno alla tomba lo strascina
70 dell’amico. Non è questo per lui né utile né bello: e badi il crudo
15. acciò … abbia: affinché egli possa presto avere.
16. onte : oltraggi.
17. seno: petto, cuore.
18. senso pietoso: sentimento, avvertimento, consapevolezza di pietà.
19. quel pudore : quella vergogna.
Come un leone
così Achille
20. che … giova. Costruisci così: che castiga (corregge e aiuta) l’uomo coi rimorsi, e il (gli, all’uomo) giova
21. oggetti: affetti. La parola oggetti è usata perché deriva dal lat. obiectum, nome deverbale di ob (contro, davanti) + iacere (porre, gettare), e in italiano ha l’importante significato di “persona o cosa verso cui sono rivolti un sentimento o un pensiero, o è diretta un’azione”.
22. al suo dolor … soffrente. Intendi: l’uomo non può eliminare il dolore, ma la voglia e la necessità di vivere riescono a far cessare il pianto e a dare una tregua alle sofferenze. Sul bene che c’è nella vita – e che è sotteso a questo discorso di Apollo, il dio che provoca nell’uomo l’intuizione del bello e del bene, anche artistica, e odia i malvagi cfr., nel prossimo discorso di Achille, i vv. 661 670.
23. non sazio … Ettorre. Intendi: non soddisfatto dall’aver ucciso Ettore. Costui è usato in senso dispregiativo.
24. pur : ancora.
che, quantunque sì prode, egli le nostre ire non desti infuriando e tanta onta25 facendo a un’insensibil terra26».
A queste affermazioni, Giunone risponde stizzita con argomenti che innescherebbero una lite. Allora la interrompe il tonante Giove. Egli, dispiaciuto per la mancanza di pietà di Achille verso colui che gli offrì con costanza sacrifici, libagioni e banchetti, manda Iri messaggera a convocare Teti, cui ordina di convincere Achille a restituire il cadavere a Priamo. Ella prontamente ubbidisce e si reca dal figlio. E Achille acconsente al volere di Giove. Allo stesso modo Giove istruisce Iri, affinché inviti il re troiano, ormai sfibrato dal dolore, a recarsi nella tenda del Pelìde con ricchi doni per riscattare la salma del figlio (vv. 75202).
L’intervento degli dèi
Ratta, come del turbine le penne27 , partì la Diva messaggiera, e a Prìamo
205 giunta, il trovò tra pianti e grida. I figli dintorno al padre doloroso accolti28 inondavan di lagrime le vesti.
Stavasi in mezzo il venerando veglio tutto chiuso nel manto, ed insozzato
210 il capo e il collo dell’immonda polve di che bruttato di sua mano ei s’era sul terren voltolandosi. La turba delle misere figlie e delle nuore empiea29 la reggia d’ululati, e quale 215 ricordava il fratel, quale il marito30 , ché valorosi e molti eran caduti
25. tanta onta: tanta ingiuria, tanto disprezzo.
26. insensibil terra: il cadavere di Ettore. L’intero passo (da e badi ) sottintende il seguente ragionamento: poiché è riprovevole l’uomo che si accanisce (infuriando e tanta onta facendo) contro un morto; e poiché è impossibile a un morto parlare (terra muta) per invocare l’aiuto e la protezione degli dèi da costui (il crudo, il crudele); è necessario che gli dèi intervengano spontaneamente. E dunque Achille deve stare attento ( badi ) a non provocare questo intervento (le nostre ire non desti ).
27. Ratta … penne : veloce, come le ali del vento.
28. accolti: raccolti.
29. empiea: riempiva.
30. e quale … marito: e c’era chi ricordava il fratello e chi il marito.
sotto le lance degli Achei. Comparve improvvisa davanti al re canuto la ministra31 di Giove, e a lui che tutto
220 al vederla tremò, dicea sommesso32: «Prìamo, fa’ core33, né timor ti prenda. Nunzia di mali non vengh’io, ma tutta del tuo meglio bramosa34. A te mi manda l’Olimpio Giove che lontano ancora
225 su te veglia pietoso. Ei ti comanda di redimere il figlio, e recar molti doni ad Achille per placarlo. A lui vanne35 adunque, ma solo, e che nessuno t’accompagni de’ Troi, salvo un araldo
230 d’età provetta36, reggitor del plaustro37 che il corpo trasportar del figlio ucciso ti dee38 qua dentro: né temer di morte o d’altra offesa. Condottiero avrai l’Argicida39 che te fino al cospetto
235 d’Achille scorterà. Lungi l’eroe dal trucidarti, terrà gli altri a freno. Ei non è stolto né villan né iniquo, e benigno farassi40 a chi lo prega». Disse, e sparve.
Riscosso dal suo dolore e rinfrancato dall’attenzione del dio, Priamo si reca nelle sue stanze, per informare la moglie Ecuba dell’apparizione e delle indicazioni ricevute (vv. 239253).
31. ministra: messaggera, Iride. Dal latino minister, “servitore”, a sua volta derivato da minus, “meno”.
32. sommesso: sommessamente, sotto voce.
33. fa’ core : fatti coraggio.
34. bramosa: intensamente, veramente desiderosa.
35. vanne : va’. Il pronome ne è pleonastico (superfluo) perché ripete a lui, ma rafforza e intensifica l’espressività della comunicazione.
36. d’età provetta: anziano.
37. reggitor del plaustro: che guidi il carro.
38. dee : deve, servile di trasportar.
39. Condottiero … l’Argicida: fra le varie caratteristiche di Mercurio, c’è quella di essere l’accompagnatore dei viandanti e delle anime dei morti nel loro viaggio verso l’Ade.
40. benigno farassi: si dimostrerà benigno.
Ululò la consorte, e gli rispose:
255 «Misera! ahi dove ti fuggì quel senno che alle tue genti e alle straniere un giorno glorïoso ti fea? Solo alle navi inimiche avviarti? esporti solo alla presenza di colui che tanti
260 figli t’uccise? oh cuor di ferro! e quale, s’ei ti scopre, se cadi in suo potere, qual mai pietade o riverenza41 speri da quell’alma crudele e senza fede42? Deh piangiamlo qui soli».
Ma Priamo è tuttavia fermissimo nel seguire il volere di Giove, che gli si era manifestato in modo così chiaro.
Va allora nei suoi forzieri e toglie tesori a lui molto cari e di enorme valore, tanto grande è il desiderio di riscattare il figlio. Fa poi preparare il suo cocchio e il carro, sul quale fa mettere una grande arca in cui riporre e nascondere i tesori.
Prima di partire, Ecuba, spaventata ma nel contempo ammirata della certezza che vede in quest’uomo, padre, re e suo marito, lo invita a compiere la libagione propiziatoria, durante la quale Priamo chiede un segno a Giove, che gli manda il più perfetto degli augurii: l’aquila cacciatrice, che tutti guardano con grande meraviglia.
Allora il dolorante re monta sul cocchio e, preceduto dal vecchio Ideo, che guida il carro, lascia la città pronto ad affrontare qualunque pericolo gli si presenterà (vv. 264420).
Mercurio scorta Priamo fino alla tenda d’Achille
Giove è mosso a pietà per i due pellegrini e incarica di scortarli Mercurio, sempre così premuroso con i viandanti. Gli raccomanda di non farsi riconoscere e di nascondere i due fino a quando Priamo non sarà alla presenza di Achille.
Mentre la notte scende sulla piana, Mercurio, sotto le sembianze di un giovane mirmidone, si accosta ai due viandanti, li rassicura sulle proprie intenzioni e promette di scortarli sani e salvi fino alla tende del Pelìde. Poi sale sul carro e lo guida verso l’accampamento.
41. riverenza: il rispetto dovuto a un supplice.
42. senza fede : infido.
Quando vi giungono, Mercurio addormenta le sentinelle e conduce il carro fino alla tenda di Achille. Infine rivela a Priamo la sua natura divina e di aver portato a termine il compito che gli era stato affidato da Giove. Poi scompare, e risale sull’Olimpo (vv. 421589).
Prìamo scese43, ed alla cura
590 de’ cavalli lasciato e delle mule l’araldo44, s’avvïò dritto d’Achille alle stanze riposte45. Avea di Giove l’eroe diletto in quel medesmo punto dato fine alla cena. I suoi sergenti46
595 in disparte sedean. Soli al guerriero ministravano in piedi Automedonte ed Alcimo, di Marte almo rampollo47 . Tolta non era ancor la mensa, e ancora sedeavi Achille. Il venerando veglio 600 entrò non visto da veruno, e tosto48 fattosi innanzi, tra le man si prese le ginocchia d’Achille, e singhiozzando la tremenda baciò destra omicida49 che di tanti suoi figli orbo lo fece50 .
43. scese : dal carro.
44. l’araldo: il vecchio e fidato Ideo.
45. stanze riposte : stanze interne e private, delle numerose di cui è composto il complesso accampamento costruito intorno e sopra la nave.
46. sergenti: sono gli ufficiali, ma qui è rispettata anche l’etimologia della parola, dal lat. servientem (“servitore”), part. pres. del verbo servire
47. Soli … rampollo. Costruisci così: Automedonte ed Alcimo, almo (nobile) rampollo di Marte, soli in piedi, ministravano (servivano) al guerriero.
48. tosto: velocemente, rapidamente.
49. tra le man … omicida. Intendi: poggiò, come per prenderle (si prese), entrambe le mani (tra le man) sulle ginocchia di Achille e scoppiando in un pianto singhiozzante (singhiozzando) sporse la testa per andare a baciare la mano assassina (la tremenda omicida). Il rituale che Priamo mostra di stare attuando è quello della supplica, che è fissato dalla tradizione. Esso prevede che il supplice abbracci le ginocchia con la sola mano sinistra e protenda la destra verso il mento del supplicato. Priamo stupisce tutti, perché il bacio della mano non fa parte del rituale.
50. che … orbo. Intendi: che lo rese privo (orbo), e mancante, di tanti suoi figli.
605
Come51 avviene talor se un infelice reo del sangue d’alcun del patrio suolo fugge in altro paese52, e ad un possente s’appresentando53, i riguardanti ingombra d’improvviso stupor; tale il Pelìde 610 del deïforme54 Priamo alla vista stupì. Stupîro e si guardâro in viso gli altri con muta maraviglia, e allora il supplice così sciolse la voce: 55«Divino Achille, ti rammenta56 il padre, 615 il padre tuo da ria vecchiezza oppresso qual io mi sono57. In questo punto58 ei forse da’ potenti vicini assedïato non ha chi lo soccorra, e all’imminente periglio il tolga59. Nondimeno, udendo 620 che tu sei vivo, si conforta60, e spera ad ogn’istante riveder tornato da Troia il figlio suo diletto61. Ed io, miserrimo62! io che a tanti e valorosi figli fui padre, ahi! più nol sono, e parmi
Come un’apparizione divina così Priamo
Ricorda tuo padre
Peleo ha ancora te Senza Ettore non ho più figli
51. La seguente similitudine svolge una doppia funzione: dice lo stupore provato da Achille e da tutti gli altri, ma soprattutto inquadra il fatto che sta per accadere nell’alveo di una tradizione rituale, in modo che risalti maggiormente la straordinarietà del gesto: Priamo non è un assassino in esilio, ma si comporta come tale.
52. come … paese : è richiamata l’usanza di esiliarsi ( fugge in altro paese) dopo aver commesso omicidio (reo del sangue d’alcun).
53. s’appresentando: rendendosi improvvisamente e inaspettatamente presente.
54. deïforme : come un dio, nella percezione di Achille; perché si è presentato con la stessa rapidità con cui un dio è solito apparire.
55. Il discorso che segue è un esempio di alta e commossa eloquenza, che è stato molto ammirato e lodato. Notevole il fatto che si apra e si chiuda con lo stesso argomento.
56. ti rammenta: rammentati (richiama alla mente), ricordati (richiama dal cuore, che per gli antichi era la sede della memoria).
57. Divino Achille … mi sono. Costruisci così: Divino Achille, rammentati il padre, il padre tuo oppresso da ria vecchiezza, quale io mi sono. Gli sta dicendo che in lui deve vedere suo padre. Questo esordio è in contraddizione col gesto di supplica.
58. In questo punto: in questo momento.
59. e … tolga: e lo scampi dal pericolo imminente.
60. si conforta: si incoraggia, riferito sia all’oppressione della ria (malvagia, colpevole) vecchiaia, sia all’assedio militare dei potenti vicini.
61. udendo … diletto. Costruisci così: udendo (sapendo) che tu sei vivo, spera ad ogni istante (di) rivedere il suo figlio diletto tornato da Troia. Intende dire che la speranza di rivedere il figlio gli dà forza, appoggio e ristoro (si conforta). Bisogna notare che Priamo non conosce la profezia della morte di Achille e dunque all’eroe viene esacerbata la ferita del cuore di sapere che Peleo soffrirà come l’uomo che ha davanti.
62. miserrimo: superlativo assoluto di misero.
625 già di tutti esser privo. Di cinquanta lieto io vivea de’ Greci alla venuta63 . Dieci e nove di questi eran d’un solo alvo prodotti64; mi venìano gli altri da diverse consorti65, e i più ne spense
630 l’orrido Marte66. Mi restava Ettorre67 , l’unico Ettorre, che de’ suoi fratelli e di Troia e di tutti era il sostegno; e questo pure per le patrie mura combattendo cadéo dianzi al tuo piede68 .
635 Per lui supplice io vegno, ed infiniti doni ti reco a riscattarlo, Achille! Abbi ai numi rispetto, abbi pietade di me: ricorda il padre tuo: deh! pensa ch’io mi sono più misero69, io che soffro
640 disventura che mai altro mortale non soffrì70, supplicante alla mia bocca la man premendo che i miei figli uccise71».
Ettore era un sostegno per tutti
Sono qui per Ettore
Sono sventurato più di tuo padre
63. Di cinquanta … venuta. Costruisci così: alla venuta de’ Greci (quando i Greci arrivarono), io viveva lieto di cinquanta (sottinteso figli ).
64. d’un solo alvo prodotti: figli di Ecuba.
65. diverse consorti: diverse mogli.
66. l’orrido Marte : l’orribile guerra.
67. mi restava Ettorre : è questa la frase ellittica , allusiva (che cioè lascia intendere chiaramente), con cui Priamo dichiara chi è senza dire il proprio nome, perché vuole che Achille consideri di lui l’unica cosa che gli interessa in questo momento e non il rango regale.
68. cadéo … piede : cadde alcun tempo fa ai tuoi piedi.
69. più misero: di suo padre (neanche Peleo in questo discorso è mai nominato), perché ha il figlio ancora vivo, mentre a lui ne sono morti tanti. Ma su Achille, che sa che lui e suo padre Peleo non si rivedranno mai più, queste parole hanno un effetto ben più intenso di quello che Priamo può immaginare.
70. io che … non soffrì. Intendi: a me è capitata un sciagura (disventura) che non è capitata (non soffrì) mai a nessun altro (altro mortale). È così che Priamo spiega perché si sta comportando in modo così apparentemente contrario alle consuetudini.
71. supplicante … uccise : Priamo sembra umiliarsi fino al punto di baciare ( premendo) la mano che uccise i suoi figli. I suoi gesti, in realtà, sono accorati e dignitosi, e sono anche compiuti con una spontaneità che attua una rivoluzione, perché la sofferenza di Priamo sovverte tutto. Davanti ad Achille la dinamica fra colpevole supplice e vittimasupplicato è rovesciata: qui è la vittima che sta supplicando il colpevole. E questo rovesciamento è un contraccolpo che cambia il cuore di Achille, fatto capace, dalla sofferenza a cui assiste, di intendere benissimo le sventure del cuore (v. 655).
Achille si commuove
A queste voci intenerito Achille, membrando72 il genitor, proruppe in pianto, 645 e preso il vecchio per la man, scostollo dolcemente. Piangea questi il perduto Ettorre ai piè dell’uccisore, e quegli or il padre, or l’amico, e risonava di gemiti la stanza. Alfin satollo73
650 di lagrime il Pelìde, e ritornati tranquilli i sensi, si rizzò dal seggio, e colla destra sollevò il cadente veglio74, il bianco suo crin commiserando ed il mento canuto75. Indi rispose:
655 76«Infelice! per vero alte sventure il tuo cor tollerò. Come potesti venir solo alle navi ed al cospetto dell’uccisore de’ tuoi forti figli?
Hai tu di ferro il core77? Or via, ti siedi, 660 e diam tregua a un dolor che più non giova78 . Liberi i numi d’ogni cura al pianto condannano il mortal79. Stansi di Giove sul limitar due dogli80, uno del bene, l’altro del male. A cui d’entrambi ei porga, 665 quegli mista col bene ha la sventura81 .
72. membrando: ricordando.
73. satollo: sazio.
Riconosco la stupefacente forza con cui affronti la tua infelicità
Cessiamo di subire il dolore
L’infelicità è ineliminabile
74. si rizzò …veglio: si alza in piedi, in segno di rispetto e di ospitalità, sottintendendo l’assenso. E alza Priamo dalla posizione di prostrazione: Achille riconosce che lui, suo padre e l’uomo che gli sta davanti sono resi uguali dalla stessa esperienza di dolore.
75. il bianco … canuto: Achille lo accarezza (commiserando: manifestando sensibilità per la stessa miseria), come vorrebbe accarezzare Peleo, sui capelli ( bianco crin) e sulla barba (mento canuto), che hanno il colore dovuto all’età: bianco e canuto sono sinonimi
76. Quello che segue è il più antico esempio di discorso consolatorio, il cui argomento portante è il mito delle due giare in casa di Giove.
77. Hai tu di ferro il core? Sono le stesse parole che gli ha rivolto la moglie Ecuba (v. 260), ma lì ferro voleva dire “insensibile”, e qui vuol dire “forte”. Forte e coraggioso, perché andato a incontrare il peggiore dei nemici, che avrebbe mille motivi per ucciderlo.
78. non giova: non è opportuno, non serve a nulla.
79. Liberi … mortal. Costruisci così: i numi, liberi d’ogni cura (preoccupazione), condannano al pianto il mortal.
80. dogli: giare, grandi vasi di creta usati per conservare cereali, vino, olio.
81. A cui … sventura. Costruisci così: quegli a cui ei porga d’entrambi, ha la sventura mista col bene
A cui sol porga del funesto vaso, quei va carco d’oltraggi82, e lui la dura calamitade su la terra incalza, e ramingo lo manda e disprezzato
670 dagli uomini e da’ numi. Ebbe Pelèo al nascimento suo molti da Giove illustri doni. Ei ricco, egli felice sovra tutti i viventi, il regno ottenne de’ Mirmidóni, e una consorte Diva
675 benché mortale83. Ma lui pure il nume d’un disastro gravò. Nell’alta reggia prole negògli84 del suo scettro erede, né gli concesse che di corta vita un unico figliuolo, ed io son quello85;
680 io che di lui già vecchio esser non posso dolce sostegno, e negl’ilìaci campi seggo86 lontano dalla patria, infesto87 a’ tuoi figli e a te stesso. E te pur anco udimmo un tempo, o vecchio, esser beato
685 posseditor di quanta hanno ricchezza Lesbo sede di Màcare, e la Frigia ed il lungo Ellesponto88. All’opulenza di queste terre numerosi figli la fama t’aggiungea89. Ma poiché i numi 690 in questa guerra ti cacciâr, meschino! ch’altro vedesti intorno alle tue mura che perpetue battaglie e sangue e morti?
soggetto
Peleo ebbe del bene
ma di me verrà privato
Tu avesti il bene
ma anche innumerevoli sventure
82. carco d’oltraggi: carico, oppresso da offese che oltrepassano il limite delle capacità umane di comprensione.
83. una consorte … mortale. Intendi: ottenne una dea in moglie (Teti), nonostante lui fosse mortale.
84. negògli: gli negò.
85. Nell’alta … quello. Costruisci così: Gli negò (sottinteso: di avere) nell’alta reggia prole erede del suo scettro, né (e) gli concesse un unico figliuolo (che) di corta vita, ed io son quello. Achille sta rivelando la profezia della sua morte, per mostrare di comprendere il dolore di Priamo, perché è comune a quello di Peleo.
86. seggo: me ne sto.
87. infesto: causa di mali, dannoso; ostile e nemico.
88. Lesbo … Ellesponto: tutti territori soggetti a Troia, probabilmente l’elenco dei confini: l’Ellesponto è detto lungo forse perché il controllo della città si estendeva alla Propontide ( pro = prima e ponto = mare: prima del Mar Nero), oggi chiamata Mar di Marmara.
89. All’opulenza … t’aggiungea. Costruisci così: la fama ti aggiungeva (ti attribuiva oltre) all’opulenza (alla ricchezza) di queste terre numerosi figli
Pur datti pace, né voler ch’eterno ti consumi il dolor. Nullo è il profitto
695 del piangere il tuo figlio, e pria che in vita richiamarlo, ti resta altro soffrire90».
«Deh non far ch’io mi segga91, almo guerriero» l’antico sire ripigliò «là dentro senza onor di sepolcro il mio diletto
700 Ettore giace: rendilo al mio sguardo; rendilo prontamente, e i molti doni che ti rechiamo, accetta, e ne fruisci92 , e dìati il ciel di salvo ritornarti93 al tuo loco natìo, poiché pietoso
705 e la vita mi lasci e94 i rai del Sole95».
«Non m’irritar co’ tuoi rifiuti, o veglio96» bieco97 Achille riprese. «Io stesso avea statuito98 nel cor, che alfin renduto ti fosse il figlio, perocché la diva 710 Nerëide99 mia madre a me di Giove già fe’ chiaro il voler100. Né si nasconde al mio vedere, al mio sentir, che un nume ti fu scorta alle navi a cui veruno mortal non fôra d’inoltrarsi ardito101 , 715 né le guardie ingannar, né delle porte avrìa le sbarre disserrar potuto
Non bisogna lasciarsi consumare dal dolore
90. altro soffrire : la distruzione di Troia.
91. non far ch’io mi segga: Priamo si riferisce all’invito fattogli da Achille al v. 659.
92. ne fruisci: possa tu goderne.
93. dìati … ritornarti. Intendi: il cielo ti conceda di ritornare salvo.
94. e… e…: sia… sia….
95. e … Sole. Intendi: mi lasci in vita, a vedere la luce del sole. È il ringraziamento per avergli spontaneamente risparmiato la vita.
96. Non … veglio. Intendi: nell’insistenza (rendilo … rendilo) e nell’impazienza ( prontamente) Achille sente un rimprovero al suo comportamento, poiché aveva già deciso di cedere alla supplica.
97. bieco: minaccioso.
98. statuito: deciso.
99. Nerëide : Teti, figlia di Nereo.
100. perocché … voler. Costruisci così: perocché (visto che) mia madre, la diva Nereide, già fe’ chiaro a me (mi manifestò) il voler di Giove.
101. a cui … ardito: alle quali nessun uomo sarebbe stato così ardito di inoltrarsi.
neppur di tutto il suo vigor nel fiore102 . Con querimonie103 adunque il mio corruccio104 non rinfrescarmi, se non vuoi ti metta, 720 benché supplice mio105, fuor della tenda, e del Tonante trasgredisca il cenno».
Il vecchio obbedisce.
Il Pelìde, fatto prelevare il riscatto, ordina alle ancelle di rendere presentabile il corpo di Ettore affinché il padre non soffra troppo nel vederlo. Poi depone lui stesso la salma sul feretro. Rientrato nella tenda, offre a Priamo e a Ideo da mangiare e da dormire. Prima di coricarsi Achille e Priamo si accordano per undici giorni di armistizio, il tempo necessario a compiere in tranquillità i funerali di Ettore (vv. 722858).
Il ritorno a Troia
Tutti dormìan sepolti in dolce sonno
860 i guerrieri e gli Dei, ma non l’amico de’ mortali Mercurio, che venìa pur divisando106 in suo pensier la guisa107 di trarre, dalle guardie inosservato, fuor del dorico vallo108 il re troiano.
865 Stettegli adunque su la fronte109, e disse: «Re, così dormi fra’ nemici? e nulla ti cal del rischio in che ti trovi, uscito dagli artigli d’Achille? A caro prezzo redimesti l’amato estinto figlio.
870 Ma per te che sei vivo, Agamennóne se qui sapratti, e tutto il campo acheo,
102. né le guardie … fiore. Intendi: nessuno (veruno mortal ) avrebbe potuto ingannare le guardie, né avrebbe potuto aprire (disserrar) le pesantissime sbarre delle porte, neanche se fosse stato un uomo nel pieno (nel fiore) del suo vigore. Tutte operazioni che infatti furono compiute dal dio Mercurio.
103. querimonie : lagnanze.
104. corruccio: risentimento misto a sdegno e dolore. Ricordiamo che Ettore gli ha ucciso Patroclo.
105. supplice mio: mio ospite e supplice.
106. divisando: progettando.
107. la guisa: la maniera.
108. dorico vallo: il muro e il fossato che circondavano l’accampamento dei Greci.
109. Stettegli … fronte : gli apparve in sogno.
tre volte tanto110 chiederanno ai figli che rimasti ti sono». E più non disse. Destasi il vecchio sbigottito, e sveglia
875 l’araldo: aggioga l’Argicida istesso i cavalli e le mule, e presto presto spinti i carri, invisibile traversa gli accampamenti. Alla corrente giunti del genito111 da Giove ondoso Xanto112
880 nell’ora che sul mondo il suo vermiglio velo dispiega di Titon l’amica113 , volò Mercurio al cielo, e i due canuti con gemiti e lamenti alla cittade celeravan la via114. Grave115 del caro
885 cadavere davanti iva il carretto, né d’uomo orecchio, né di donna ancora il fragor ne sentìa. L’udì primiera la vergine Cassandra116, e su la rocca di Pergamo117 salita, il suo diletto
890 padre e l’araldo riconobbe eccelsi sovra i carri, e la spoglia inanimata che sul plaustro giacea.
soggetto
Le sue alte grida fanno accorrere tutta la città. Priamo ordina che la salma sia condotta nella reggia (vv. 892914).
110. tre volte tanto: tre volte il valore del riscatto che hai dato ad Achille.
111. genito: generato.
112. Alle correnti … Xanto. Intendi: giunti alle correnti dell’ondoso Xanto generato da Giove. È lo stesso punto in cui li aveva incontrati.
113. di Titon l’amica: Aurora, sposa di Titone.
114. celeravan la via: acceleravano il passo.
115. Grave : pesante, gravato.
116. Cassandra: è la figlia di Priamo dotata di virtù profetiche, che infatti ha intuito (udì) che il padre sta tornando.
117. la rocca di Pergamo: l’acropoli, il punto più alto della città, da cui può vedere meglio e verificare la sua intuizione, e farsi udire da tutti.
915 S’aprì la folta118, passò il carro, e giunse negl’incliti119 palagi. Ivi deposto il cadavere in regio cataletto120 , il lugubre sovr’esso incominciâro inno i cantori de’ lamenti121, e al mesto 920 canto pietose rispondean le donne: fra cui plorando122 Andròmaca, e strignendo d’Ettore il capo fra le bianche braccia, fe’ primiera sonar queste querele123: «Eccoti spento, o mio consorte, e spento 925 sul fior degli anni! e vedova me lasci nella tua reggia, ed orfanello il figlio124 di sventurato amor misero frutto, bambino ancora, e senza pur la speme che pubertade la sua guancia infiori125 . 930 Perocché dalla cima Ilio sovverso ruinerà tra poco or che tu giaci, tu che n’eri il custode, e gli servavi i dolci pargoletti e le pudiche
118. folta: folla, calca.
119. incliti: illustri, gloriosi.
120. in regio cataletto: su un regale letto funebre.
121. il lugubre … lamenti. Costruisci così: i cantori dei lamenti incominciarono sovr’esso il lugubre inno. Il compianto funebre avveniva in due fasi. Nei vv. 918 920 è descritta la prima: gli aedi intonano canti più elaborati, di livello professionistico; ad essi rispondono i lamenti corali delle donne presenti, con ritornelli rituali e grida di dolore.
122. fra cui plorando: fra le quali piangendo. È l’inizio della seconda fase del compianto funebre, descritta fino al v. 990: le parenti più strette del defunto piangono, improvvisando in maniera spontanea grazie all’uso di formule tradizionali e seguendo le precise norme che regolano il rito. Ad esse segue il gruppo, che intona il canto di risposta (vv. 955 956; v.971; vv. 989 990). Ai nostri giorni, persistono forme molto simili a queste nelle cerimonie funebri della civiltà contadina greca e albanese.
123. querele : lamenti.
124. Eccoti … spento: queste prime parole del pianto di Andromaca ricalcano quelle che disse vedendolo dalle mura (cfr. Libro XXII, vv. 624 e sgg.). Ma la scena finale del presente libro non è, come sembra, una ripetizione dei pianti del libro XXII: una cosa è la lamentazione irrefrenabile che si alza dalle mura alla vista di un povero corpo trascinato per la pianura e privato del diritto delle esequie; altra cosa è la lamentazione rituale in presenza del morto, che precede la sepoltura.
125. senza … infiori. Intendi: senza la speranza che raggiunga l’adolescenza, età che porta la prima lanugine (la sua guancia infiori ).
spose126, che tosto ai legni achei n’andranno
935 strascinate in catene, ed io con esse. E tu, povero figlio, o ne verrai meco in servaggio127 di crudel signore che ad opre indegne128 danneratti, o forse qualche barbaro Acheo dall’alta torre
940 ti scaglierà sdegnoso129, vendicando o il padre, o il figlio, od il fratel dall’asta d’Ettor prostrati; ché per certo molti di costoro per lui130 mordon la terra. Terribile ai nemici era il tuo padre
945 nelle battaglie, e quindi è131 il duol che tragge da tutti gli occhi cittadini il pianto. Ineffabile angoscia, Ettore mio, tu partoristi132 ai genitor, ma nulla si pareggia al dolor dell’infelice
950 tua consorte. Spirasti, e la mancante mano133 dal letto, ohimè! non mi porgesti, non mi lasciasti alcun tuo savio avviso, ch’or giorno e notte nel fedel pensiero dolce mi fôra richiamar piangendo134».
955 Accompagnâr co’ gemiti le donne d’Andròmaca i lamenti, e li seguiva il compianto d’Ecùba in questa voce135: «O de’ miei figli, Ettorre, il più diletto! Fosti caro agli Dei mentre vivevi, 960 e il sei, qui morto, ancora. Il crudo Achille
126. Perocché … spose. Intendi: poiché Ilio sarà distrutto (sovverso ruinerà) dalla cima fra poco tempo da ora che tu sei morto (tra poco or che tu giaci ), tu che eri il suo (n’=ne : di Ilio) custode e conservavi, proteggevi a esso ( gli: a Ilio) i bambini e le spose.
127. servaggio: schiavitù.
128. indegne : non degne di un principe.
129. qualche … sdegnoso. Intendi: o più probabilmente qualche barbaro Acheo ti getterà con disprezzo dalla torre delle porte Scee. Così, infatti, morirà Astianatte: sarà scaraventato dalle mura da un guerriero greco.
130. per lui: a causa di Ettore.
131. e da quindi è: e da ciò deriva.
132. partoristi: morendo, tu facesti nascere, provocasti.
133. mancante mano: la mano che pian piano perdeva le forze per il sopraggiungere della morte.
134. ch’or … piangendo. Costruisci così: che ora mi fôra (sarebbe) dolce richiamar piangendo nel fedele pensiero, giorno e notte.
135. in questa voce : con queste parole.
di Samo e d’Imbro e dell’infida Lenno su le remote tempestose rive136 quanti a man gli venìan, tutti vendeva gli altri miei figli; e tu dal suo spietato
965 ferro trafitto, e tante volte intorno strascinato alla tomba dell’amico che gli prostrasti (né per questo in vita lo ritornò137), tu fresco e rugiadoso or mi giaci davanti, e fior somigli
970 dai dolci strali della luce ucciso138». A questo pianto rinnovossi il lutto, ed Elena fe’ terza il suo lamento: «O a me il più caro de’ cognati, Ettorre, poiché139 il Fato mi trasse a queste rive
975 di Paride consorte! oh morta io fossi pria che venirvi! Venti volte il Sole il suo giro compì da che lasciato ho il patrio nido140, e una maligna o dura sola parola sul tuo labbro io mai
980 mai non intesi. E se talvolta o suora141 o fratello o cognata, o la medesma veneranda tua madre (ché benigno a me fu Prìamo ognor) mi rampognava142 , tu mansueto, con dolce ripiglio
985 gli ammonendo143, placavi ogni corruccio. Quind’io te piango e in un144 la mia sventura, ché in tutta Troia io non ho più chi m’ami o compatisca, a tutti abbominosa145».
136. Samo, Imbro e Lenno sono isole dell’Egeo, tutti territori soggetti a Troia. Lenno è detta infida perché l’approdo non era facile.
137. lo ritornò: lo fece ritornare.
138. e fior somigli … ucciso. Intendi: somigli a un fiore fresco ( fior somigli ) e bagnato dalle gocce della rugiada ucciso dai dolci raggi del sole. Le sembra, cioè, che sia morto senza dolore per un colpo apoplettico, di quelli che provenivano da una freccia di Apollo, se maschi, e di Diana, se femmine.
139. poiché: da quando.
140. Venti volte … nido: Elena è già da vent’anni a Troia, da dieci prima che iniziasse la guerra.
141. suora: sorella (di Ettore).
142. mi rampognava: mi rimproverava.
143. con dolce … ammonendo: riprendendoli dolcemente.
144. e in un: e insieme.
145. a tutti abbominosa: ripugnante, respinta e rifiutata da tutti. Perché è la causa prima della guerra.
Così sclamava lagrimando, e seco146
990 il popolo gemea147 .
Gli estremi onori
Si volse alfine
Prìamo alla turba, e favellò: «Troiani, si pensi al rogo. Andate, e dalla selva qua recate il bisogno148, né vi prenda timor d’insidie. Mi promise Achille, 995 nel congedarmi, di non farne149 offesa anzi che spunti il dodicesmo Sole». Disse; e muli e giovenchi in un momento sotto il giogo fur pronti, e dalle porte proruppero. Durò ben nove interi
1000 giorni il trasporto delle tronche selve150 . Come rifulse su la terra il raggio della decima aurora, lagrimando dal feretro levâr del valoroso
Ettore il corpo, e postolo sul rogo, 1005 il foco vi destâr. Rïapparita151 la rosea figlia del mattin152, s’accolse il popolo dintorno all’alta pira, e pria con onde153 di purpureo vino tutte estinser le brage. Indi per tutto 1010 queto il foco, i fratelli e i fidi amici pieni il volto di pianto e sospirosi raccolsero le bianche ossa, e composte in urna d’oro le coprîr d’un molle cremisino154. Ciò fatto, in cava buca 1015 le posero, e di spesse e grandi pietre
146. seco: con lei.
147. il popolo gemea: il popolo rispondeva coi lamenti formulari, come abbiamo detto in n. a v. 921.
148. il bisogno: il legname necessario per la pira, come fu fatto per le esequie di Patroclo.
149. farne : farci.
150. tronche selve : legna tagliata.
151. Rïapparita: riapparsa.
152. la rosea figlia del mattin: l’Aurora.
153. onde : getti, fiotti.
154. d’un molle cremisino: con un drappo purpureo.
un lastrico vi fêro, e prestamente il tumulo elevâr. Le scolte155 intanto vigilavan dintorno, onde un ostile non irrompesse repentino assalto
1020 pria che fosse al suo fin l’opra pietosa. Innalzato il sepolcro dipartîrsi tutti in grande frequenza156, e nella vasta di Prïamo adunati eccelsa reggia funebre celebrâr lauto convito.
1025 Questi fûro gli estremi onor renduti157 al domatore di cavalli Ettorre.
155. Le scolte : le sentinelle.
156. in grande frequenza: in folti gruppi.
157. renduti: resi.
Libro I: L’aspra contesa
Tra Achille e Agamennone, rispettivamente l’eroe più valoroso e il re che comanda la spedizione achea a Troia, è sorta una furiosa lite, che porterà l’esercito greco a subire numerose perdite. La ragione di tale conflitto risale al trattamento riservato da Agamennone a Crise, sacerdote troiano di Apollo. Egli si è recato nel campo nemico a reclamare la figlia Criseide, rapita da Agamennone e diventata la sua schiava prediletta; ma il re, nonostante il parere avverso di tutti gli Achei, rifiuta di riconsegnarla al padre e lo scaccia in malo modo. Il sacerdote troiano, allora, supplica Apollo di vendicarlo e il dio scatena nel campo acheo una terribile pestilenza che dura nove giorni. Al decimo, Achille convoca l’assemblea e suggerisce di interrogare un indovino: si alza Calcante, il quale rivela che l’unico modo per placare l’ira di Apollo è che Agamennone restituisca Criseide al padre. Agamennone, seppur controvoglia, acconsente a restituire la schiava prediletta per amore del popolo Argivo, ma a condizione di ricevere una ricompensa. Sbeffeggiato da Achille per la sua avidità, Agamennone minaccia di rapire la schiava di qualche altro re acheo, Achille compreso, non potendo restare lui, il comandante della spedizione, senza alcun premio. Achille si infuria, rinfacciando ad Agamennone che la ragione per cui lui ed altri re greci sono venuti in guerra è solo quella di acquietare la sete di vendetta dei due Atrìdi, Agamennone e Menelao; inoltre si lamenta del fatto che, seppur il merito delle vittorie contro i Troiani sia per la maggior parte suo, quando si tratta di spartirsi i bottini è Agamennone a farla da padrone. Dichiarandosi offeso, minaccia di abbandonare la guerra e far ritorno a Ftia, sua patria. Allora il re, con tono sprezzante, si dimostra indifferente alla sua decisione: pur riconoscendo la sua forza divina, egli sa di poter contare sul valore di altri eroi; quindi ordina che gli venga portata, in cambio di Criseide, proprio la schiava prediletta di Achille, Briseide. A questo punto Achille, furente di ira, sta per colpire Agamennone con la spada, quando sopraggiunge Minerva, inviata da Giunone a fermarlo. La dea gli promette che, se si asterrà dal duello, riceverà doni tre volte superiori a Briseide. Achille accetta di sottomettersi al volere degli dèi,
ma non per questo placa il suo sdegno e, dopo aver accusato con dure parole Agamennone, giura sul suo scettro di re che si ritirerà dalla battaglia, pregustando il momento in cui la forza di Ettore farà sentire agli Achei la sua mancanza. Interviene allora il saggio Nestore, ma neanche le sue parole riescono a placare il loro sdegno.
Sciolta l’assemblea, Agamennone affida a Ulisse il compito di riportare Criseide al padre e poi invita gli Achei a fare un rito di purificazione. Nel frattempo l’Atrìde ha inviato due araldi, Euribate e Taltibio, a prelevare Briseide dalla tenda di Achille, il quale, mentre consegna la schiava, ribadisce la sua decisione di non voler più aiutare i Greci in battaglia.
Ritiratosi in solitudine sulla spiaggia, Achille profonde un pianto doloroso che ode la madre Teti, la quale accorre e viene messa a parte della vicenda. Achille chiede alla madre di convincere Giove a volgere le sorti della battaglia a favore dei Troiani, per umiliare Agamennone. Piangendo sulla sorte del figlio, destinato a morire giovane, Teti promette ad Achille che andrà da Giove dodici giorni dopo, non appena questi sarà tornato dalla terra degli Etiopi, ove si è recato per un convito con gli altri dei.
Intanto Ulisse approda a Crisa e restituisce Criseide al padre. Il vecchio l’accoglie con gioia e subito innalza al dio Apollo la preghiera di placare la sua ira contro gli Achei. Dopo aver compiuto un rito in favore del dio, e aver banchettato insieme, gli Achei fanno ritorno all’accampamento.
Passati dodici giorni, Teti si reca sull’Olimpo, dove gli dèi stanno banchettando. La dea rivolge a Giove la supplica del figlio, e il re degli dèi, pur sapendo che avrebbe suscitato l’ira di Giunone, promette che volgerà le sorti della battaglia a favore dei Troiani. Sopraggiunge Giunone che, scoperta la verità, rimprovera il marito di tenerle nascoste le sue decisioni, ma il dio, in nome della sua suprema autorità regale, la zittisce in modo brusco. Gli dèi sono rattristati per la tensione che le parole di Giove e Giunone hanno creato, ma Vulcano interviene a riportare l’allegria: dapprima cerca di convincere Giunone a sopportare in pace la superiorità di Giove, poi suscita il riso degli dèi raccontando di quando Giove lo afferrò per un piede e lo scaraventò giù dal cielo, facendolo precipitare per un giorno intero; infine si improvvisa cameriere, mescendo agli dèi divertiti il nettare nelle coppe. Terminato il banchetto, gli dèi si ritirano nei loro giacigli.
Libro II: La rassegna degli eserciti
Nella notte Giove escogita un piano per realizzare la vendetta di Achille: invia ad Agamennone il Sogno ingannatore che lo invita a schierare
il giorno successivo tutte le squadre degli Achei poiché gli dèi hanno concordemente deciso la sconfitta di Troia.
All’alba Agamennone riferisce ai capi degli Achei le parole del sogno divino e la volontà di porre in armi gli Achei per riprendere la battaglia. Ma, dubitando dell’umore dei guerrieri, vuole saggiarli con un inganno: fatto radunare il popolo in armi, Agamennone finge di essere persuaso che, dopo nove anni di assedio, non sia più possibile vincere la guerra e sia ora di arrendersi. Non comprendendo l’inganno del loro re, stanchi della guerra, desiderosi di riabbracciare i loro cari e di rimettere piede nella loro patria, i guerrieri si dirigono in festa verso le navi, ma vengono fermati dalle parole e dalle minacce di Ulisse che li raduna in assemblea. Qui prende la parola Tersite, un vecchio grottesco e deforme, sgradevole nel parlare e nell’atteggiarsi; egli accusa Agamennone di avidità e superbia e invita gli Achei ad abbandonarlo e tornare in patria. Gli fa da contraltare Ulisse, che, dopo aver denunciato la sua viltà, lo bastona con il suo scettro, suscitando il riso di tutti. Prende poi la parola e, ricordando un prodigio inviato dagli dèi, annuncia che la vittoria è vicina e risveglia il desiderio di gloria degli Achei, che rispondono con un grido di approvazione. Tocca poi a Nestore invitare gli Achei a mettere da parte la viltà e Agamennone a guidare senza indugi il suo esercito, minacciando di morte chiunque osi mettere piede sulle navi per il ritorno. È infine lo stesso Agamennone a incitare gli Achei per quella che, secondo lui, sarà la giornata campale della guerra, suscitando l’entusiasmo dei suoi. Dopo aver compiuto i debiti sacrifici propiziatori, gli Achei sono richiamati a schierarsi in battaglia, mentre Minerva accende di furore i loro animi. Vengono passati in rassegna i duci e le navi degli Achei: in tutto vengono elencate 1186 navi; tra i capi achei, elogiati per la loro prodezza, per le armi e per i valorosi al loro seguito, vengono citati alcuni che si distingueranno per valore nella battaglia che va a incominciare: Aiace d’Oileo, veloce nella corsa, condottiero dei valorosi della Locride, minuto di corporatura, più basso di Aiace Telamonio, eppure a tutti i greci superiore nel lancio dell’asta; Stenelo, Diomede, Eurialo alla guida di un drappello di giovani che lasciò gli scogli d’Egina e di Masete; Ulisse, con dodici navi al seguito. Solo i Mirmidoni, capeggiati da Achille, non si preparano per la guerra.
Nel frattempo Iri, messaggera di Giove, assunte le sembianze di Polite, uno dei figli di Priamo, avvisa i Troiani che è il momento di dispiegare le loro forze: Enea ed Ettore, al quale spetta il comando dell’esercito, passano in rassegna uomini e capitani, tra le cui file militano anche popoli alleati provenienti dall’Asia Minore.
Libro III: Duello di Paride e Menelao
Gli eserciti si schierano fronte a fronte sul campo di battaglia. Paride sfida a duello gli eroi achei, ma non appena si fa avanti Menelao, fugge spaventato tra le fila dei suoi. Redarguito da Ettore per la sua viltà, accetta di combattere con Menelao a patto che al vincitore siano concessi in premio Elena e le sue ricchezze. Ettore, entusiasta, propone ad Agamennone che le sorti della guerra siano decise da questo duello. Menelao chiede che sia Priamo a sancire il patto.
Nel frattempo Elena, sotto consiglio di Iride, si è assisa sulle mura della città per osservare il combattimento insieme a Priamo ed altri anziani Troiani. Da lì Elena indica al suocero tutti i più valorosi combattenti greci. Intanto un messaggero informa Priamo che è atteso dagli
Achei: raggiunto il campo nemico, il vecchio re troiano assiste alla cerimonia religiosa, durante la quale Agamennone pronuncia il solenne giuramento.
Nel duello Menelao ha la meglio, ma Venere interviene in soccorso del suo diletto Paride e lo sottrae al colpo fatale del nemico, trasportandolo a palazzo nascosto da una nube. Elena, avvertita dalla dea medesima, viene a ritrovarlo e ne biasima la viltà.
Sul campo di battaglia Agamennone dichiara vincitore Menelao e chiede l’adempimento dei patti.
Libro IV: Il tradimento dei patti
Gli dèi sono a consiglio nella reggia di Giove, il quale li interroga su quale debba essere il destino della guerra. Di fronte alla possibilità che Elena torni a Sparta con Menelao e la guerra finisca con una pace, Giunone si infuria e pretende la distruzione di Troia. Allora Giove, acconsentendo al piano della consorte, invia Minerva nel campo e le ordina di far sì che i Troiani siano i primi ad offendere i Greci, in modo da violare l’accordo. La dea, quindi, induce l’arciere Pandaro a scagliare una freccia contro Menelao, ma il colpo, deviato dalla stessa Minerva, ferisce solo superficialmente l’Atrìde. Intanto Agamennone, credendo che Menelao sia in punto di morte, prorompe in un lungo lamento. Poi confortato da Menelao, chiama Macaone affinché lo medichi. Mentre i Troiani approfittano di questa occasione per prepararsi a riprendere la guerra, Agamennone si aggira per il campo ordinando le schiere, pronto a confortare gli uomini se mai fossero presi dalla stanchezza. A piedi scorre le file e rincuora quanti vede affrettarsi all’armi: giunto in mezzo ai Cretesi, incita il loro re Idomeneo a mostrare il suo valore; si rallegra alla vista dell’ardore delle falangi degli Aiaci; osser-
va ammirato la strategia con cui il vecchio e saggio Nestore ordina le schiere dei Pilii. Proseguendo la rivista, si infuria con le schiere dei Cecropii e quelle dei Cefaleni, guidate da Ulisse, che, non avendo udito il grido di guerra, attendono il nemico invece che gettarsi in battaglia tra i primi. Vede Stenelo e Diomede ancora nelle retrovie e, ricordando le loro gesta durante la guerra contro Tebe, ottiene che non tardino a dimostrare il loro valore.
La battaglia incomincia feroce e numerose sono le morti da ambo le parti: Antiloco uccide il teucro Taliside Echepolo, trafiggendogli l’elmo e la fronte con la sua lancia. Allora Elefenorre, desideroso di spogliare il cadavere delle preziose armi, cerca di trascinarlo fuori dalla battaglia: vedutolo, il troiano Agenore lo trafigge nel fianco lasciato scoperto. Sorge una zuffa tra Troiani e Achei per la salma del guerriero. Aiace Telamonio uccide il giovane Simoesio e lo dispoglia delle armi. Allora contro Aiace si scaglia Antifo, figlio di Priamo, ma fallisce il colpo, uccidendo invece Leuco, amico di Ulisse. Questi nel tentativo di vendicare l’amico, uccide Democoonte, accorso a difesa di Antifio. Spinti dal valore dei loro condottieri i Greci avanzano mentre i Troiani indietreggiano. Apollo, dalla rocca di Priamo, a gran voce rincuora i Troiani assicurando che Achille, il più valoroso guerriero acheo, non è in campo. Lo stesso fa Atena, scesa tra le fila achee, ridando animo a coloro che vede scoraggiati. Piro, un tracio alleato dei Troiani, uccide il greco Diore prima colpendolo con un enorme masso che gli fracassa la tibia, poi conficcandogli l’asta nel petto. L’Etolo Troante, re degli Epei, si getta allora sull’irruente Piro e gli trafigge il petto all’altezza del polmone: avvicinatosi gliela sfila dal petto e gliela conficca nel ventre, uccidendolo. Intorno al corpo del vinto eroe si accende una zuffa per impossessarsi delle sue armi: muoiono sia il re dei Traci, il famoso Etolo, che Troante, re degli Epei. Numerose sono le morti da ambo le parti.
Libro V: L’impetuoso Diomede
Minerva infonde forza e coraggio a Diomede che, nel mezzo della mischia, dà prova del suo valore trafiggendo con la sua lancia Fegeo, figlio di Darete. Intanto Atena convince Marte ad abbandonare il campo di guerra, lasciando così le sorti della battaglia nelle mani di Zeus.
I Danai mettono in fuga i Teucri ed ognuno dei duci achei uccide un fuggitivo troiano, ma è Diomede a procurare le maggiori stragi tra i nemici. Fino a che Pandaro, vedendolo, lo ferisce alla spalla destra con una freccia e si vanta al cospetto dei Troiani, credendo di averlo ucciso. Ma Minerva dona nuovo vigore a Diomede e gli concede la facoltà di
distinguere le sembianze divine da quelle mortali: gli suggerisce di non cimentarsi con gli dèi, ma lo invita a ferire Venere qualora la incontri.
L’eroe si getta nella battaglia con rinnovato ardore e fa strage di Troiani. Allora Enea, per tentare di fermarlo, chiama Pandaro, il quale, accorgendosi di non aver ucciso l’eroe acheo, si lamenta di aver troppo confidato nel suo arco e di non avere un cocchio su cui salire per affrontare Diomede. Enea, quindi, lo invita a salire sul suo cocchio ed egli si appresta a colpire il Tidìde con una lancia. Vedendoli arrivare insieme, Stenelo invita Diomede a fuggire, ma egli, nonostante sia appiedato, decide di non sottrarsi al duello, speranzoso di impossessarsi dei divini cavalli che trainano il cocchio di Enea. L’asta scagliata da Pandaro non ferisce Diomede, che si protegge con il suo scudo. Il colpo del Tidìde invece, guidato da Minerva, uccide Pandaro trapassandogli la gola e sbalzandolo dal cocchio. Enea cerca di protegge il corpo del compagno dagli assalti achei, ma Diomede gli getta contro un enorme masso che gli spezza una gamba e lo fa cadere a terra. Lo salva dalla morte solo l’intervento della madre Venere, che lo protegge dai colpi nemici con il suo manto. Mentre Stenelo si impossessa dei cavalli di Enea, Venere porta il figlio fuori della mischia. Ma Diomede insegue la dea e, vedendola indifesa, la ferisce ad un braccio. Al colpo Venere emette un forte grido ed abbandona il figlio, alla cui difesa corre Apollo, che lo nasconde dentro una nube, mentre Iri conduce la dea sull’Olimpo. Al cospetto di sua madre, Diona, Venere si lamenta dell’intervento di Minerva in battaglia, e la madre, curandole la ferita, la rassicura preannunciando la disgrazia di Diomede, che ha osato cimentarsi con una dea.
Nel frattempo Diomede affronta per tre volte il dio Apollo, desideroso di uccidere Enea ed impossessarsi delle sue armi. Al quarto tentativo, Apollo lo respinge, ammonendolo a non tentare il paragone con gli dèi, di cui è inferiore per natura. Quindi porta Enea in salvo, affinché sia curato da Latona, e crea un simulacro dell’eroe che continua a combattere al suo posto.
Allora Apollo invita Marte ad intervenire in favore dei Troiani: prese le sembianze di Acamante, del capo dei Traci, il dio li incoraggia. Sarpedonte ed Ettore guidano la riscossa dei Troiani mentre Marte, diffondendo momentaneamente la notte intorno alla battaglia, permette ad Apollo di riportare Enea di nuovo in mezzo ai compagni. Gli Aiaci, Ulisse e Diomede incitano alla battaglia: Agamennone per primo uccide un compagno di Enea, che si vendica facendo strage tra i nemici. Ma Menelao ed Antiloco, figlio di Nestore, lo mettono in fuga e, recuperate le salme dei caduti, si mettono a far strage tra le file troiane. Come li vede
Ettore, con al fianco Marte, si getta nella mischia creando scompiglio. Sarpedonte e Tlepòlemo, rispettivamente il figlio e il nipote di Giove, si affrontano in battaglia: il primo, pur riportando una grave ferita alla coscia, uccide il secondo. Ulisse allora si scaglia fra le fila dei Lici per vendicare la morte di Tlepòlemo: solo l’intervento di Ettore evita la strage. Mentre Sarpedonte viene portato fuori della battaglia, gli Achei, assaliti da Marte e Ettore, indietreggiano.
Vedendo una così grande strage di Achei, Giunone e Pallade decidono di scendere in battaglia per opporsi alla furia di Marte: ottenuto il permesso di intervenire da Giove, le due dee si mescolano tra i combattenti infondendo loro coraggio. Minerva rimprovera Diomede che, disonorando la fama e il coraggio di suo padre Tideo, sta fuori dalla battaglia a tergersi la ferita infertagli da Pandaro. Quindi, preso il posto di Stenelo sul cocchio, istiga Diomede contro Marte. Questi, vedendoli arrivare, scaglia la sua lancia, che viene deviata da Minerva; il colpo di Diomede invece, guidato dalla dea, raggiunge e ferisce Marte al ventre. Il Dio, mugghiando per il dolore, sale al cielo, ed è redarguito da Giove, che poi lo affida a Peone per essere guarito. Infine, dopo aver represso la strage del crudele Marte, anche Giunone e Minerva risalgono sull’Olimpo.
Libro VI: Ettore e Andromaca
Ritiratisi gli dèi dalla battaglia, i Greci mettono a morte molti dei Troiani: Telamonio Aiace per primo ne sgomina una squadra intera, quindi ferisce il fortissimo Acamante, duce dei Traci; Diomede uccide Assilo e il suo auriga Calesio, unico tra i suoi a cercare di soccorrerlo. Incitati dalle parole di Agamennone e Nestore, gli Achei incalzano i Troiani, che retrocedono verso le mura della città. Allora l’indovino Eleno, figlio del re troiano, si rivolge a Ettore ed a Enea e li esorta a impedire la ritirata dei loro uomini; quindi suggerisce ad Ettore di recarsi, ciò fatto, a Troia, per ottenere che sua madre Ecuba offra un peplo a Minerva e le prometta dei sacrifici affinché allontani dalla battaglia il terribile Diomede. Questi, nel frattempo, è stupito dall’ardore con cui gli si fa incontro Glauco; timoroso di cimentarsi in duello con un dio, il Tidìde gli chiede conto delle sue origini e Glauco allora racconta di discendere da Bellerofonte, di cui ricorda le peripezie. Diomede riconosce nell’avo di Glauco un ospite di suo nonno, Enèo, e in nome del sacro vincolo dell’ospitalità i due eroi decidono di rinunciare a combattere e si scambiano le armi in segno di reciproco rispetto.
Nel frattempo Ettore raggiunge il palazzo reale e, comunicate alla madre le indicazioni di Eleno, si dirige da Paride, infuriato per la sua
codardia. Ecuba raduna le matrone e, scelto il peplo da donare alla dea, compie il rito invocando l’intervento di Minerva, che però non ascolta le suppliche. Ettore trova Paride nel talamo intento a lucidare le sue armi e lo riprende con dure parole, invitandolo a tornare in guerra. Anche Elena si lamenta della viltà dello sposo, dolendosi con Ettore della sofferenze riservate ai Troiani a causa sua.
Ettore, prima di tornare in battaglia, vuole salutare la moglie Andromaca e il figlio Astianatte, non sapendo se li potrà più rivedere. Li incontra di ritorno dalle mura della città, dove Andromaca si era recata per assistere alla battaglia. Commosso alla vista del figlioletto, Ettore ascolta il pianto della moglie che cerca di trattenerlo dalla battaglia, ricordandogli che, essendo orfana di madre e padre, non sopporterebbe di perdere anche il marito. Ma l’eroe ricorda alla moglie che nessuno può sottrarsi al fato e che il suo dovere è quello di combattere fino all’ultimo per la difesa della patria. Toltosi l’elmo, prende in braccio il figlio e prega Giove che possa concedergli di compiere gesta più valorose delle sue. Quindi, raggiunto da Paride, fa ritorno sul campo di battaglia.
Libro VII: Il duello di Ettore e Aiace
Ettore e Paride fanno strage degli Achei. Minerva allora si precipita per soccorrerli, ma Apollo le suggerisce di quietare il combattimento e di rimandare così all’indomani lo scontro campale. Così ispirano l’indovino Eleno affinché consigli ad Ettore che, fatta cessare la battaglia, sfidi a singolar tenzone il più valente dei Greci. Ettore accoglie la proposta e ferma le falangi dei Troiani; così fa Agamennone con quelle degli Achei. In mezzo alle due schiere Ettore propone che la guerra sia decisa da un duello tra lui e chi tra i Greci vorrà sfidarlo. Menelao, vedendo che nessuno osa accettare la disfida, si fa avanti, ma viene convinto da Agamennone a non cimentarsi in uno scontro impari. Allora, in seguito ai rimproveri di Nestore, nove achei si offrono pronti a combattere: poste le sorti, esce quella di Aiace Telamonio.
Aiace ed Ettore, dopo essersi scherniti vicendevolmente, iniziano il duello: il primo si difende con lo scudo dalla lancia scagliata da Ettore, il quale, a sua volta, riesce a schivare la risposta di Aiace, avendo la lancia trapassato il suo scudo. Dopo aver fallito un secondo assalto, si scagliano addosso due massi. A questo punto estraggono le spade, ma prima che si gettino l’uno contro l’altro, gli araldi, messaggeri di Giove e dei mortali, sospendono il duello per il sopraggiungere della notte. Ettore, riconoscendo il valore dell’avversario, gli offre in segno di stima la sua spada e Aiace la sua cintura.
I Greci, per consiglio di Nestore, decidono di sospendere il combattimento per il giorno successivo in modo da poter celebrare le esequie dei morti e costruire una muraglia per difesa del campo. Anche i Troiani, riuniti in assemblea, decidono di inviare Idèo nel campo greco a proporre condizioni di pace e a domandare una tregua per seppellire i morti. Le prime sono rigettate, la seconda è accordata. Così, ambo gli eserciti raccolgono le loro salme. Gli Achei, compiuti i riti funebri, erigono una muraglia circondata da un largo fossato a protezione del loro accampamento. Sull’Olimpo Nettuno si adira, ritenendo l’opera un affronto alla sua maestà, ma Giove gli promette che, partiti gli Achei, potrà raderla al suolo.
Greci e Troiani si accingono alle mense e, durante tutta la notte, Giove manda segni infausti.
Libro VIII: L’avanzata dei Troiani
All’alba Giove raduna gli dèi sull’Olimpo e vieta loro di combattere al fianco dei mortali; invitato da Minerva ad essere mite con gli Achei, si reca sul monte Ida a rimirare la battaglia, che procede con eguale fortuna. Allora soppesa i fati dei due eserciti su una bilancia e, prevalendo quello dei Troiani, scaglia un fulmine che costringe tutti i Greci alla ritirata dentro le mura appena costruite. Diomede, restìo ad abbandonare il campo, è persuaso da un altro fulmine.
È l’occasione per Ettore di preparare il suo esercito all’assalto, convinto di poter superare le mura e incendiare le navi. Minerva, vedendo gli Achei schiacciati tra le navi e le mura dall’impeto dei Troiani, ispira Agamennone: salito sulla nave di Ulisse, parla a tutto l’esercito e rivolge una preghiera a Giove il quale non nega ai Greci un presagio favorevole. Tra gli Achei rincuorati si distingue l’arciere Teucro, che da dietro lo scudo di Aiace fa strage con le sue frecce. L’unica che non va a segno è quella destinata al grande Ettore, il quale lo atterra con un masso, poi, sempre alla testa dei suoi, si mette all’inseguimento degli Achei e li spinge fin sotto alle navi, dove si fermano tutti a pregare.
Giunone, impietosita, convince Minerva ad intervenire per bloccare Ettore. Vedendo le due dee armate, Giove invia Iri a fermarle. Giunone e Minerva, sconsolate, abbandonano il proposito di aiutare i mortali, e si rassegnano a lasciare al senno e alla giustizia di Giove il destino di tutti i guerrieri in campo. Insieme alle due dee anche Giove ritorna sull’Olimpo.
Calata l’oscurità, la battaglia cessa ed Ettore fa accampare i suoi sulle rive dello Scamandro per passarvi la notte, speranzoso di sconfiggere
gli Achei il giorno successivo. Per suo ordine si accendono dei fuochi nelle case della città e i vecchi e i giovanetti vegliano alla custodia delle mura: i guerrieri accendono essi pure dei fuochi e, dopo aver mangiato, si preparano a passare la notte armati per impedire che i Greci fuggano di soppiatto col favore delle tenebre.
Libro IX: L’inesorabile Achille
Mentre i Troiani vegliano fiduciosi, il cuore degli Achei è sconvolto da una tempesta. Agamennone, tra tutti il più addolorato per l’evidente avversione degli dèi, raduna i duci, ai quali in lacrime propone di desistere dall’impresa. Tutti ammutoliscono, finché Diomede sdegnato contro la viltà dell’Atrìde rompe il silenzio per dichiararsi pronto, qualora anche tutti gli altri vogliano andarsene, a continuare da solo quella guerra della cui vittoria è certo. Tutti applaudono ammirati, ma Nestore propone che Agamennone inviti a banchetto i capi e quindi si discuta sul da farsi. Il vecchio, infatti, pur intimorito come tutti dai fuochi sparsi per il campo, teme che le parole di Diomede, forte ma giovane, scatenino una deplorevole guerra interna all’esercito. Nestore sa che sarà una notte decisiva per l’esercito acheo.
Tutti i capi, quindi, si radunano e Nestore propone ad Agamennone di riparare l’offesa fatta ad Achille, restituendogli Briseide ed elargendogli copiosi doni, al fine di placare il suo animo adirato.
Agamennone accetta di buon grado, riconoscendo i torti e promettendo di dare ad Achille molti onorevoli doni perché si plachi: oggetti preziosissimi, dodici cavalli, sette bellissime schiave, la stessa Briseide e, al ritorno, una delle sue figlie in sposa e sette città popolosissime e ricchissime. Nestore designa i membri dell’ambasceria: Fenice, che fu tutore di Achille, Ulisse e Aiace Telamonio, cari al Pelìde, e gli araldi di questi due, Odio e Euribate. Poi si invocano Giove e Nettuno, che concedano agli Achei pietà, affinché il cuore di Achille si pieghi. Lungo la strada il buon vecchio dispensa avvertimenti a ciascuno, soprattutto ad Ulisse, e si raccomanda che tentino ogni via per ammansire Achille. Giunti alle tende dei Mirmidoni, gli ambasciatori trovano Achille che si ricrea cantando le gloriose gesta degli eroi con la cetra arguta e gentile. Accanto a lui vi è solo Patroclo, in riverente attesa che Achille finisca il bellicoso canto. Ed ecco che, preceduti da Ulisse, al cospetto dell’eroe, si presentano i legati. Achille al vederli si alza stupito, imitato da Patroclo, e porgendo la mano agli ospiti li saluta cordialmente, poiché li preferisce fra tutti gli Achei, benché irato. Li invita all’interno, li fa sedere, poi chiede a Patroclo di preparare vino e cibo per un lauto banchetto.
Una volta sazi, Ulisse prende la parola: ringrazia Achille della bella ospitalità, gli ricorda le sue origini divine e la sua fortezza in battaglia aggiungendo, però, la minaccia dell’orrenda sciagura che pende sul capo di tutti, visto che i Troiani stanno per incendiare le navi achee e ricacciare tutti in mare. A questo punto lo implora di rivestirsi delle armi e di tornare in battaglia perché Ettore, fiducioso dell’aiuto di Giove, sta aspettando l’alba per attaccare, incendiare e distruggere le navi. Per convincerlo usa come argomenti il grande rimorso che Achille proverebbe in futuro per aver abbandonato i suoi amici in battaglia, l’ammonimento di suo padre Peleo di non cedere alla superbia e i doni promessi da Agamennone. Ma Achille ribadisce che nulla potrà ricompensarlo delle fatiche che ha già affrontato in guerra e dell’onta subita da Agamennone che gli ha sottratto l’ancella. Non si fida più dell’Atrìde e non vuole combattere al suo fianco. Tanto meno gli interessano i suoi doni, perché la sua vita non ha prezzo e la sua ira è implacabile.
Queste parole lasciano sbigottiti i presenti e cala il silenzio, finché prende la parola Fenice. Egli ha seguito Achille alla guerra per volere di Peleo, che lo ha messo come maestro e guida al fianco del figlio giovinetto, e per tale ragione non lo lascerà nemmeno se ora volesse partirsene. Il suo discorso fa leva sui ricordi, essendo stato ospite di Peleo e precettore di Achille. Ora per questo amore lo supplica di domare il suo animo orgoglioso e di piegarlo al perdono, che anche gli dèi e gli antichi eroi offesi sanno concedere a chi si pente e chi implora. Anche a Fenice Achille risponde con un diniego ostinato, dicendosi desideroso di vendetta più che di onore. Inoltre chiede a Fenice, come prova del bene che gli vuole, di non sostenere i suoi nemici.
Da ultimo prende la parola il terzo ambasciatore, Aiace, il quale constata l’implacabilità di Achille e gli chiede almeno di onorare i suoi ospiti, che sono anche i suoi migliori compagni. Achille ribadisce la sua ira e annuncia che tornerà a combattere solo per difendere la sua tenda, qualora il nemico giunga sin lì.
Patroclo fa preparare il giaciglio per Fenice, il quale si ferma presso Achille, mentre gli ambasciatori tornano nella tenda di Agamennone. Qui Ulisse riferisce in breve sul fallimento della missione: tutti i duci tacciono sgomenti, ma Diomede, con la fierezza e l’ardire consueti, lamenta l’offerta dei doni che hanno ancor più insuperbito Achille; quindi li esorta a non pensare più al Pelìde che solo un Dio potrà smuovere, ma solo a ristorarsi con il cibo e il riposo, per essere pronti l’indomani mattina a riprendere il combattimento. Tutti approvano e fatte le libagioni s’abbandonano al dolce dono del sonno.
Libro X: Dolone, il traditore
Cala il sonno nel campo acheo ma Agamennone veglia senza trovar pace: vede i fuochi nel campo troiano, sente i canti festosi del nemico e ciò gli rende ancor più angoscioso il silenzio del campo acheo. Si alza e si arma per raggiungere la tenda di Nestore, quando gli si fa incontro il fratello Menelao, il quale parimenti non riesce a dormire. Agamennone lo invia a svegliare Aiace e Idomeno e a incitare le sentinelle affinché facciano buona guardia. Intanto lui si sarebbe recato da Nestore, Ulisse, Diomede per convocare l’assemblea dei duci.
I duci riunitisi decidono di organizzare un’azione di spionaggio nel campo troiano per capire le intenzione del nemico. Si offre Diomede e sceglie come compagno della spedizione Ulisse. I due si armano e, dopo aver invocato la protezione di Minerva, si avviano.
Contemporaneamente i Troiani decidono di andare a spiare gli Achei. Allettato dalla ricompensa promessa, il cocchio e i cavalli di Achille, si offre come spia un tal Dolone, brutto di aspetto, avido di bottino e lesto di piede. Messosi in cammino, ben presto incappa in Ulisse e Diomede che lo fanno prigioniero. Incalzato dalle loro domande, perde subito la baldanza e offre loro, in cambio della sua vita, una ricca ricompensa. Ulisse gli promette salva la vita in cambio di importanti informazioni sulle condizioni e le intenzioni dei Troiani. Da vile, Dolone, tradendo i suoi compagni, risponde nel dettaglio alle domande e addirittura indica ai due achei il luogo più sicuro per entrare nell’accampamento troiano: il quartiere in cui sono accampati i Traci, esercito alleato dei Troiani capitanato da Reso.
Diomede, non appena Dolone finisce di parlare, non esita ad ucciderlo impietosamente e insieme a Ulisse lo spoglia delle sue armi, che vengono appese a un albero e consacrate a Minerva, anche come segno per orientarsi sulla via del ritorno. Poi i due penetrano facilmente nel campo nemico e fanno strage dei Traci, a cui sottraggono i preziosi cavalli. Diomede, non pago del bottino, vorrebbe infierire sul nemico, ma Minerva consiglia di ritirarsi velocemente. Per l’intervento di Apollo infatti vien dato l’allarme tra i Troiani.
Tornati all’accampamento acheo in sella agli splendidi cavalli traci, Diomede e Ulisse vengono accolti con onore e l’impresa si conclude con un lauto banchetto.
Libro XI: Aristia di Agamennone
All’alba la Discordia dalla nave di Ulisse incita gli eserciti a riprendere la guerra.
Agamennone si arma e si getta nella mischia facendo strage di nemici. Per consiglio di Giove Ettore si fa da parte, in attesa che qualcuno ferisca l’Atrìde. Sarà la freccia di Coóne, fratello di una delle vittime di Agamennone, a colpirlo. Il re, dopo essersi vendicato, si ritira dalla battaglia ferito e dolorante. Ettore può dunque rientrare nel campo e mietere a sua volta vittime tra gli Achei, finché non gli si parano davanti Diomede e Ulisse. Atterrato da un colpo inferto da Diomede sull’elmo, Ettore cade sulle ginocchia, ma riesce a schivare un altro colpo mortale, si salva balzando sul cocchio e fugge.
Anche Diomede viene ferito da una freccia lanciata da Paride e si ritira nella sua tenda. Similmente Ulisse, dopo aver dato prova di valore, è costretto a invocare aiuto perché ferito e accerchiato dai nemici. Sarà Menelao a tirarlo fuori dalla pugna e Aiace a proteggerne la ritirata.
Ettore intanto è rientrato in battaglia e fa strage di Achei. Viene ferito da una freccia di Paride anche il medico Macaone, tratto in salvo da Nestore che con il suo cocchio lo porta al riparo.
Aiace, mentre combatte strenuamente, viene colto da sgomento per volere di Giove e abbandona il campo di battaglia continuando però a volgersi indietro per difendere l’accampamento dall’avanzata troiana e impedire che il nemico irrompa verso il vallo, al muro, fino alle navi. Euripilo si accorge del nobile e generoso tentativo di Aiace e va in suo soccorso, ma colpito da una freccia di Paride è costretto a ritirarsi. Il sacrificio di Aiace però non è vano perché riaccende nei petti degli Achei il desiderio di combattere al suo fianco e di difendersi.
Intanto Achille dalla sua nave osserva la disfatta degli Achei e non nasconde la sua soddisfazione per la vendetta che si sta compiendo. Incuriosito dalla vista di Nestore che reca nella sua tenda un eroe ferito, manda Patroclo a informarsi su chi possa essere. Così Patroclo ha l’occasione di parlare con il saggio Nestore, il quale lo sprona a convincere Achille a tornare in battaglia o almeno a farsi prestare le sue armi e a condurre in campo i Mirmidoni per seminare il terrore tra i nemici e avere la meglio. Patroclo, entusiasta del piano di Nestore, corre verso la tenda di Achille, ma nel tragitto incontra Euripilo ferito e si attarda a soccorrerlo e medicarlo.
Libro XII: L’assalto della muraglia
Mentre Patroclo è dentro la tenda di Euripilo per curargli una ferita, i Troiani giungono sotto il muro acheo. Sembra che né il muro né il fossato possano fermare l’avanzata troiana.
Omero ci anticipa un evento futuro: quel muro, costruito dagli Achei senza l’approvazione divina, rimarrà in piedi solo finché Troia sarà conquistata; allora Nettuno e Apollo lo distruggeranno: Nettuno scaglierà le acque dei mari contro la palizzata, mentre Apollo, per nove giorni, gonfierà le acque dei fiumi e inonderà la costruzione; Zeus, per far salire il livello del mare più velocemente, farà piovere incessantemente per tutto il tempo. Distrutto il muro, gli dèi calmeranno fiumi e mari e faranno diventare la piana, dove prima si ergeva la maestosa palizzata, un calmo lido.
Ma ora intorno a quel valido muro ferve la battaglia. Ettore, infuriato come un leone o un cinghiale avvolto tra le armi nemiche, sprona i suoi ad attraversare il fossato, che spaventa troppo i cavalli perché profondo e pieno di pali aguzzi. Polidamante fa notare che entrare nel fossato con i cavalli è un’idea stolta, poiché i destrieri si ferirebbero con i pali infissi nel fossato: meglio, invece, procedere a piedi, compatti. La saggia proposta piace a Ettore, che divide i soldati in cinque battaglioni. Solo Asio disobbedisce e sprona i cavalli verso una porta del campo acheo che non è ancora stata chiusa, sperando che gli Achei si ritirino senza resistere. Stolta speranza, infatti a difendere la porta ci sono i Lapiti, che, tirando i massi dall’alto di una torre, uccidono otto Troiani.
L’impresa è assai ardua, ma Ettore continua ad avanzare minaccioso, anche quando nel cielo appare un funesto presagio: dalla parte sinistra del cielo appare un’aquila che tiene tra gli artigli un serpente ancora vivo e guizzante. Questi ferisce l’aquila nel petto e nel collo, tanto che l’uccello è costretto a lasciar cadere il serpente. L’indovino Polidamante interpreta l’apparizione come un cattivo augurio per i Troiani e invita Ettore a desistere dall’impresa, ma il principe troiano non lo ascolta: egli, infatti, è certo che riuscirà a superare la palizzata e a raggiungere le navi achee, poiché Giove gliel’ha promesso. Quindi Ettore si slancia in avanti. Giove, per favorire i Troiani suscita un forte vento che alza una nuvola di nube verso le navi dei Greci, che rimangono così accecati. I Troiani possono assaltare con agio il muro, ma i Greci resistono. I due Aiaci, soprattutto, non si perdono d’animo e continuano ad incitare i compagni dall’interno della muraglia perché non demordano.
La battaglia è molto equilibrata e violenta, e resterebbe in equilibrio
se Giove non istigasse l’ardire del figlio Sarpedonte. Costui, incontrato l’amico Glauco, rinnova la certezza della ricerca della gloria nel combattimento e non demorde nell’attacco. Con tale determinazione, Sarpedonte riesce ad aprire un varco nel muro, ma viene respinto dai due Telamonidi, Aiace e Teucro: è Ettore colui che è destinato a superare per primo la muraglia. Egli infatti, avvistato un enorme macigno, con incredibile forza lo solleva e lo scaraventa contro la porta del muro. Scardinati i battenti, si apre un varco dal quale irrompono i Troiani. Agli Achei non resta altro che fuggire verso il mare.
Libro XIII: Una zuffa orrenda
Giove distoglie momentaneamente lo sguardo da Troia; ne approfitta subito Nettuno per incitare, sotto le false spoglie di Calcante, i due Aiaci, ai quali infonde vigoria divina, suscitando in loro una brama di battaglia tale che si sentono brillare mani e piedi per il desiderio di combattere.
Poi le parole convincenti di Nettuno trasformano lo sconforto nelle retrovie achee in rinnovato coraggio, così che attorno ai due Aiaci si raccoglie una fitta schiera di combattenti, che ferma attende il duro assalto dei Troiani e di Ettore.
Numerosi sono i caduti nell’uno e nell’altro campo; il re cretese, Idomeneo, alleato dei Greci, semina la morte tra i nemici (è la sua aristia), sotto gli occhi degli dèi Giove e Nettuno, che elargendo il proprio favore ai due diversi schieramenti, aumentano la strage.
A Idomeneo si oppone validamente il troiano Enea, alla testa di un gruppo di valorosi. Scatenando tutta la sua rabbia, Menelao sostiene un’accesa schermaglia con Eleno, figlio di Priamo, finché questi ferito a una mano è costretto a ritirarsi. Contro Menelao si scaglia allora Pisandro, ma l’Atrìde lo uccide con un colpo di spada e sul suo cadavere pronuncia una terribile invettiva contro tutti i Troiani.
Ettore incalza all’ala destra dove il muro è più basso e più forte la lotta: trattengono validamente il suo impeto i due Aiaci, che gettano scompiglio tra le fila troiane. Vista la dispersione delle forze (chi ancora è presso il muro, chi invece già alle navi) ed avendo già ottenuto molto per un giorno, Ettore, dietro consiglio di Polidamante, si pone in cerca dei capi troiani per discutere se tentare l’assalto definitivo alle navi o accontentarsi del successo ottenuto e ristorarsi.
Quando, però, viene informato da Paride che molti duci troiani sono morti o feriti, Ettore non meno battagliero di Marte rientra nella mischia con il fratello.
Mentre Aiace gli rivolge parole sprezzanti, si manifesta in cielo un prodigio favorevole ai Greci, ma Ettore noncurante ribatte con sanguinosi insulti e continua con più accanimento la lotta.
Libro XIV: L’inganno di Giunone
Udendo il clamore della battaglia, Nestore esce allarmato dalla sua tenda e incontra i tre duci feriti: Agamennone, Ulisse e Diomede. L’Atrìde, perduta ormai ogni speranza, consiglia di ritornare in patria, ma Ulisse lo rimprovera aspramente per la sua viltà. Diomede propone di scendere ugualmente in campo, seppur feriti, per rianimare con la loro presenza e la loro voce l’animo dei combattenti. Nettuno, assunte le sembianze di un vecchio guerriero, incoraggia l’Atrìde e lancia un terribile urlo pari a quello di diecimila combattenti all’assalto per infondere coraggio ai Greci.
Intanto Giunone, a sostegno dell’iniziativa di Nettuno, ordisce uno stratagemma per impedire a Giove di intervenire nuovamente a favore dei Troiani: ottiene con la menzogna da Venere la cintura che contiene tutti gli inganni dell’amore per sedurre Giove e poi, con l’aiuto del Sonno, addormentarlo.
Subito Nettuno ne approfitta per riordinare le schiere degli Achei e guidarle all’attacco. Ulisse, Agamennone e Diomede, benché feriti, si danno da fare per riorganizzare le schiere e i guerrieri più valorosi si apprestano alla battaglia scegliendo le armi migliori. La battaglia si riaccende fiera e crudele, e per la seconda volta Ettore e Aiace si trovano a duellare. Ettore scaglia la lancia e colpisce Aiace, ma non lo ferisce. Il Telamonio invece, scagliando contro l’avversario un enorme macigno, lo atterra. Sull’eroe si scagliano i Greci per finirlo, ma i suoi riescono a portarlo in salvo sulle rive dello Xanto. Alla vista della sconfitta di Ettore gli Achei si fanno più baldi negli attacchi, si gettano con più accanimento nella lotta, causando gravi perdite ai Troiani che si danno alla fuga.
Libro XV: L’assalto alle navi achee
Come Giove si sveglia e vede i Troiani volti in fuga da Nettuno, comprende di essere stato ingannato da Giunone e la rimprovera duramente; per mezzo di Iride, quindi, intima a Nettuno di ritirarsi subito dalla lotta. Il dio si allontana protestando e giurando guerra eterna a Giove se Troia non cadrà distrutta. Nel frattempo Apollo, per volere di Giove, va da Ettore, lo rianima e lo conduce in battaglia. I Greci, già convinti della sua morte, sono terrorizzati alla sua vista, però ben presto si riprendono e tornano a combattere.
La battaglia si fa aspra e le sorti rimangono incerte finché Apollo, al fianco di Ettore, scuote la sua egida, il terribile scudo divino, davanti ai Greci e questi si danno alla fuga inseguiti dai Troiani che infieriscono su di loro. Con l’aiuto di Apollo i Troiani con i carri arrivano fino al primo ordine di navi dalle quali gli Achei continuano a difendersi.
Patroclo, vista la fuga dei compagni, lascia l’amico Euripilo e corre da Achille per esortarlo ad aiutare gli Achei; intanto si accende una terribile lotta tra Ettore e Aiace che a vicenda rivolgono ai rispettivi uomini parole di incitamento. I Greci però, sotto l’impeto di Ettore reso glorioso da Giove, sono costretti ad abbandonare il primo ordine di navi: presso il secondo viene organizzata una nuova e disperata resistenza per merito soprattutto di Aiace, che, impugnata una lunga pertica e balzando di ponte in ponte, cerca di tenere lontani i Troiani. I Greci combattono nella convinzione di dover tutti perire, i Troiani con il desiderio di raggiungere le navi per incendiarle e la battaglia si fa sempre più cruenta.
Libro XVI: L’audace Patroclo
Patroclo giunge alla nave d’Achille e narra, piangendo, all’eroe la rovina degli Achei. Lo prega di concedere a lui le sue armi e le schiere dei Mirmidoni, così che cedano i Troiani e abbiano breve tregua gli Achei. Achille assente alla preghiera dell’amico: lo ammonisce a non lasciarsi trascinare da incauta brama di gloria, a difendere dalle insidie la vita.
Intanto i Troiani vittoriosi appiccano il fuoco a una nave greca e, vistala, Achille sollecita Patroclo ad armarsi e a volare in soccorso dei compagni. Achille anima i suoi guerrieri e li saluta, poi innalza a Giove una fervida preghiera per il felice ritorno dell’amico. Le nuove schiere dei Mirmidoni scendono, serrate e dense, contro il nemico e ne scompigliano le file baldanzose; e tutti i Troiani, credendo tornato Achille, cercano fuga e salvezza. Molti eroi cadono sotto i colpi di Patroclo.
Sarpedonte, all’orrendo scempio che Patroclo fa dei compagni, gli si mette davanti pieno d’ira e di sdegno; lo provoca al combattimento, ma cade colpito dall’asta dell’eroe greco. Intorno al suo corpo si accende una fiera mischia fra Achei e Troiani per contendersi le armi e il corpo del figlio di Giove, il quale incarica Apollo di toglierlo segretamente dal campo, per farlo involare dalla Morte e dal Sonno verso la Libia, dove abbia esequie degne di lui.
Intanto, dimentico dei consigli d’Achille, Patroclo dà tre volte l’assalto alle mura troiane e tre volte Apollo lo respinge minaccioso. Poi, fattosi incontro ad Ettore, gli uccide l’auriga Cebrione e, reso audace
dal colpo fortunato, si slancia a spogliarne il cadavere; ma Ettore salta veloce dalla biga. Segue una lunga contesa fra le schiere nemiche; e mentre Patroclo, impetuoso e incauto, uccide i guerrieri nemici, Apollo lo raggiunge alle spalle, con una forte percossa gli leva le armi fatali; poi lo sventurato eroe viene prima colpito da Euforbo e quindi viene finito dall’asta di Ettore. E morendo, agli insulti di questo risponde annunciandogli la sua morte vicina.
Libro XVII: In lotta per il corpo di Patroclo
Menelao si pone a difesa del corpo di Patroclo, lo ricopre con lo scudo e minaccia con l’asta chiunque osi avvicinarsi: uccide Euforbo, deciso a ottenere le spoglie del nemico che egli aveva per primo colpito. La morte di Euforbo spaventa e trattiene gli altri Troiani e facilmente potrebbe Menelao salvar le armi del caduto amico, se Apollo non incitasse Ettore contro di lui. Menelao, alla vista di Ettore, corre in cerca di Aiace: e insieme i due eroi tornano a combattere alla difesa della salma di Patroclo.
Ettore intanto la trascina per il campo, per mozzarne la testa e dare ai cani il corpo deturpato. Dinanzi ai due grandi eroi retrocede Ettore, strappa le armi al caduto e vola, sul cocchio, a indossarle. Giove, che con le armi d’Achille indosso gli vede mettersi intorno la morte, gli concede ancora, ultimo conforto, una larga vittoria sui nemici e gli spira vigore nell’animo e nel braccio. E così Ettore incita i compagni a strappare il morto eroe dalle mani d’Aiace e di Menelao, i quali si danno a più ostinata difesa.
Intorno alla salma di Patroclo cadono più e più guerrieri: sul campo faticosa è la pugna, orrenda la strage e tutto è coperto da una densa caligine. Dopo una lunga lotta prevalgono i Troiani.
Aiace addolorato leva preghiere a Giove perché tolga la densa caligine che nasconde ogni cosa: così che egli possa rintracciare chi possa annunciare ad Achille il nuovo e grave lutto. Giove ascolta la preghiera, rimuove la nebbia e il sole illumina la lotta. Menelao e Aiace, rintracciato Antiloco, figlio di Nestore, lo incaricano di recare la fatale notizia al Pelìde, di pregarlo che venga a trarre in salvo il combattuto corpo, perché ormai perdute sono le sue armi. Intanto Merione e Menelao caricano sulle spalle la salma dell’estinto, lo trasportano verso il lido del mare, protetti dai due Aiaci. Enea ed Ettore cogli altri Troiani, fatti più audaci dal favore di Giove, incalzano i Greci fuggitivi.
Libro XVIII: Le nuove armi di Achille
Antiloco giunge alle navi di Achille e reca all’eroe il triste annuncio che Patroclo è morto e che Ettore s’è impossessato delle sue armi. Questa notizia getta la disperazione nell’animo di Achille. I suoi alti lamenti fanno uscire dal mare la madre Tetide, che corre a confortare il figlio. Achille narra alla madre la morte dell’amico, la rovina dei compagni ed esprime il forte desiderio di andare ad uccidere Ettore. Lei lo convince a non scendere in campo finché non gli porti delle nuove armi. Subito s’avvia per chiederle a Vulcano.
Ancora dura ostinata la lotta sul corpo di Patroclo ed Ettore riuscirebbe a conquistarlo, ma Giove spedisce Iride da Achille per invitarlo a mostrarsi, anche senza armi, al nemico. Egli, così inerme, si affaccia sul campo di battaglia e con tre grida amplificate da Minerva getta nel panico i nemici, che si ritirano. Gli Achei possono sottrarre il corpo di Patroclo e comporlo per le esequie.
Scesa la notte, i Troiani, per consiglio di Ettore, deliberano di ristorare le forze e di dare l’assalto alle navi nemiche all’alba del nuovo giorno. Intanto, Achille piange accanto alla salma del morto amico e giura su quella la morte dell’uccisore.
Tetide, giunta alla fucina di Vulcano, gli racconta del dolore del figlio e lo prega di preparare nuove armi. Vulcano acconsente e s’affretta ad esaudire la richiesta.
Libro XIX: La riconciliazione
Alla nuova aurora, Tetide reca le nuove armi forgiate da Vulcano al figlio, che piange ancora accanto al morto amico. Achille gode nel trattare le armi, degne del fabbro divino. Quindi Tetide infonde nell’eroe nuova audacia e nuovo vigore. Alla chiamata del forte condottiero, accorrono tutte le sparse schiere, bramose di combattere al suo comando. Egli raccoglie i Greci in assemblea ed annuncia che depone l’ira, dimentica l’offesa ed è soltanto desideroso di vittoria .
Agamennone chiede perdono del fallo commesso e, poiché Achille vorrebbe subito attaccare battaglia, il prudente Ulisse consiglia che prima ognuno ristori le sue forze, che al Pelìde si restituisca Briseide con i doni promessi e che si compiano i dovuti sacrifici. L’assemblea assente al saggio consiglio: i doni sono recati, le giuste cerimonie sono compiute. Sciolta l’assemblea, gli Achei si disperdono per le navi e si ristorano di cibo. Briseide piange il caro Patroclo.
Ma Achille rifiuta il cibo e ogni conforto e, ripensando al perduto amico, rinnova i pianti e i lamenti. Giove, mosso a pietà, invia Minerva
al desolato eroe per infondergli nel petto il nettare e l’ambrosia, e ridonargli l’usata vigoria.
Intanto gli Achei, tutti preparati, si versano dalle navi nel campo, e in mezzo ad essi si arma Achille, che, impugnata la grande asta e aggiogati i divini destrieri, li sospinge alla guerra.
Libro XX: Le gesta di Achille in battaglia
Mentre gli Achei e i Troiani si preparano alla nuova lotta, Giove raccoglie a parlamento gli dèi e ordina loro di prender parte alla battaglia. Giunone, Minerva, Mercurio, Nettuno, Vulcano si mettono dalla parte dei Greci; da quella dei Troiani Marte, Apollo, Diana, Venere e lo Scamandro.
Comincia la battaglia: Achille arde dal desiderio di misurarsi con Ettore. Confortato da Apollo, gli si fa incontro Enea, che perderebbe la vita se, accorso Nettuno che diffonde una nube intorno agli occhi del Pelìde, non lo strappasse alla sua ira. Da una parte, Achille incita alla battaglia le sue schiere, ne accresce l’ardimento e l’audacia; dall’altra, Ettore conforta i suoi e promette loro di misurarsi presto con Achille. Questi, orrendo nelle sue armi, balza in mezzo ai Troiani e, tra molti altri guerrieri, uccide Polidoro, il figlio minore di Priamo. Di questo sdegnato e impietosito, Ettore più non indugia, vola contro l’odiato nemico e gli tira, pieno d’ira, la lancia. Ma Minerva allontana l’arma dal petto dell’eroe e la ricaccia ai piedi di Ettore. Impaziente d’ucciderlo, Achille gli si scaglia addosso: tre volte l’assale e tre volte Apollo copre d’una folta nebbia l’eroe troiano. E, poiché un dio gli contrasta la suprema e desiderata gloria, Achille si volta a far orrendo macello degli altri Troiani.
Libro XXI: Il superbo Achille in lotta con il fiume Xanto
I Troiani, incalzati dalla furia di Achille, giungono alla riva del fiume Xanto: una parte ripara dentro le mura della città, una parte si getta nelle onde della corrente. L’eroe greco, lanciatosi nei flutti, vi semina dolore e morte; poi, in un momento di riposo, prende vivi dodici giovinetti e li affida ai compagni perché li portino alle navi. E mentre, desideroso di nuove stragi, sta per gettarsi ancora in mezzo alle acque, gli viene incontro un altro figlio di Priamo, Licaone, che lo scongiura di lasciarlo in vita. L’eroe inesorato lo uccide e lo getta nell’onda. Xanto infonde coraggio e valore in un altro giovane, Asteropeo, nipote del fiume Assio. Ucciso anche questo, Achille lo lascia sulla riva e insulta la sua discendenza, dichiarando che nulla può, contro la stirpe
di Giove, qualunque fiume osi affrontarla. Poi insegue e uccide molti altri guerrieri, e riempie di cadaveri lo Xanto facendone rosse le onde. Il fiume si sdegna, gonfia le sue acque e insegue il Pelìde, ingaggiando con l’eroe una lotta mortale. Nel punto di esser sopraffatto dal fiume è salvato per opera di Giunone, la quale fa disseccare da Vulcano col fuoco le correnti dell’acqua.
Sorge una tremenda contesa tra i numi che muove al riso Giove. Quelli, divisi in due parti, sdegnosi e corrucciati, s’avanzano gli uni contro gli altri: si feriscono con le armi, si picchiano, si insultano.
Priamo, dinanzi all’orrenda strage di Achille, ordina di aprire le porte Scee per concedere una via di salvezza ai guerrieri in fuga dalla furia di Achille. Apollo eccita il troiano Agenore a combattere contro Achille: il nume, presa la sua figura, delude l’eroe, che tenendogli dietro si disvia dal combattimento. Intanto la città si riempie dei guerrieri troiani.
Libro XXII: Il fatale duello
Mentre i Troiani si affollano nella città, gli Achei si fanno impetuosi sotto le mura. Apollo tenta di frenare Achille rivelandosi a lui, ma l’eroe non desiste. Ettore è il solo ad esser rimasto davanti alle porte Scee e attende Achille a piè fermo. Lo vede Priamo e lo scongiura lacrimando a non voler affrontare il tremendo Achille.
Appena Ettore vede arrivare Achille con le sue armi splendenti si dà alla fuga. Ma Achille lo insegue e tre volte girano attorno alla città; al quarto giro il Pelìde spinge il rivale alle rive dello Scamandro. Giove soppesa i destini: la bilancia segna che è giunta l’ora di Ettore. Apollo abbandona Ettore e Minerva prende le sembianze di Deifobo, uno dei figli di Priamo, per incitare il troiano a sfidare a duello il greco. Ettore cade sotto l’asta di Achille, che ne lega il cadavere al cocchio e lo trascina sfigurandolo.
All’orrendo spettacolo, la madre Ecuba si straccia le chiome e confonde i suoi agli alti lamenti dell’addolorato consorte e del popolo. Andromaca, poiché ode il suono confuso di ululati e di pianti, esce forsennata dalla reggia e giunta alla torre, alla vista indegna, unisce il suo al prolungato lamento dei congiunti.
Libro XXIII: Le esequie di Patroclo
Tornati gli Achei all’accampamento, Achille, insieme ai Mirmidoni, gira tre volte con le bighe intorno al corpo di Patroclo e confonde i suoi lamenti con quelli dei compagni. Come aveva promesso all’amico, depone ai piedi del suo feretro il cadavere di Ettore. Dopo aver preso par-
te a un solenne e mesto convito nella tenda di Agamennone, si corica lungo il lido e si addormenta sulla sabbia.
Allontanatosi dai suoi Mirmidoni si addormenta, dopo aver dato sfogo al suo dolore, lungo la riva del mare. Nel sonno gli appare l’ombra di Patroclo, che gli ricorda la costante e dolce amicizia, le durate fatiche, le comuni imprese; lo prega di seppellirlo e gli esprime il desiderio che una sola urna raccolga un giorno le loro ceneri. Achille allora si desta e decide di dare inizio alle esequie: ordina subito ai guerrieri di far legna nel bosco e di preparare il rogo. Innalzata la pira e postovi l’estinto, Achille stesso attende a tutte le solenni cerimonie. Estinta la fiamma, i compagni raccolgono l’ossa dell’eroe e le compongono nell’urna. Poi, per onorare il diletto amico, Achille ordina i giochi funebri, descritti nel dettaglio da Omero: la corsa dei carri, il pugilato, la lotta, la corsa, la scherma, il lancio del disco, il tiro con l’arco, il lancio dell’asta.
Libro XXIV: Gli estremi onori resi a Ettore
Finiti i giochi, le turbe dei Greci tornano alle tende e, preso il cibo, s’abbandonano al riposo. Ma non riposa Achille, che ripensa sempre al perduto amico: vinto dal dolore, trascina di nuovo dietro al cocchio e intorno al monumento di Patroclo, il corpo dell’eroe troiano, che Apollo custodisce e sottrae a ogni bruttura. Lo strazio indegno fatto all’eroe troiano, muove a pietà gli dèi; Giove manda Teti ad Achille perché renda il corpo di Ettore e spedisce Iri da Priamo, per invitarlo a recare egli stesso i doni al duce greco e riscattare così il figlio.
Il re dei Troiani, non curando le rimostranze della moglie, obbedisce al consiglio divino e senza indugio fa preparare un carro; vi depone i più eletti doni che egli ha in casa e muove al campo dei Greci. Giove gli manda come augurio l’aquila e come compagno Mercurio, il quale lo scorta lungo il viaggio e poi si allontana.
Il vecchio re si presenta solo nella tenda di Achille e questi lo accoglie umanamente. Il loro intenso dialogo si conclude con il permesso da parte di Achille di riavere il corpo del figlio Ettore e la promessa di una tregua alle armi per dedicarsi ai riti funebri in suo onore. Priamo, ancora guidato da Mercurio, torna con la salma dell’eroe a Troia e, tra i lamenti di Andromaca, di Ecuba, di Elena, ordina la cerimonia del rogo e della sepoltura.
Giorno Libro Versi
Avvenimenti
1 I 1-67 Il sacerdote Crise va al campo greco per riprendersi la figlia. Agamennone lo scaccia. Apollo lo vendica scatenando la peste nel campo greco.
1-9 I 68-69
10 I 70-643
11-20 I 644-650
21 I 651-810
La peste miete vittime tra gli Achei.
Si raduna l’assemblea dei duci. Si accende la contesa tra Agamennone e Achille, del quale il re vuole l’ancella se deve restituire la sua a Crise. Criseide viene restituita e Briseide sottratta ad Achille. Achille piange e la madre Teti gli promette vendetta
Gli dèi vanno presso il popolo degli Etiopi. Achille smette di combattere.
Gli dèi tornano all’Olimpo. Giove promette vendetta a Teti e litiga con Giunone. Vulcano riporta l’armonia tra gli dèi e si consuma un banchetto.
22 II 1-640 Il Sogno visita Agamennone e lo sprona a incitare gli achei alla fuga per sondare i loro intenti. Ulisse frena l’esercito. Rassegna dei due eserciti, greco e troiano.
III 1-519 I due eserciti si schierano uno di fronte all’altro. Paride fugge quando vede Menelao. Duello tra Paride e Menelao. Venere mette in salvo Paride.
IV 1-688 Pandaro, su consiglio di Minerva, scocca una freccia contro Menelao. La battaglia riprende.
V 1-1193 Diomede si distingue in battaglia. Pandaro viene ucciso. Enea colpito viene salvato da Venere. Venere viene ferita. Apollo combatte contro Diomede. Marte viene ferito. Gli dèi tornano all’Olimpo.
VI 1-687 I Troiani cedono ed Ettore li sprona a combattere. Incontro tra Diomede e Glauco. Ettore rientra nella città di Troia. Incontro tra Ettore e Andromaca. Ettore e Paride ritornano nel campo di battaglia.
VII 1-379 La battaglia imperversa. Apollo e Minerva decidono di farla cessare. Duello tra Ettore e Aiace che viene interrotto al calar della notte.
23 VII 380-464 Nella notte: Ettore rientra in città. Gli Achei fanno un banchetto in onore di Aiace. Nestore propone di fare una tregua per seppellire i morti e di costruire il muro. I Troiani deliberano una proposta di pace.
Giorno Libro Versi
Avvenimenti
VII 465-532 Di giorno: I Greci respingono proposta di pace dei Troiani e si stabilisce una tregua. Riti funebri.
24 VII 533-600
25 VIII 1-669
26 VIII 670-776
IX 1-880
X 1-717
Costruzione del muro. Gli dèi sono stupiti e invidiosi. Banchetto dei Greci e dei troiani. Giove tuona.
Battaglia senza dèi. I Greci, incalzati da Ettore, si ritirano verso le navi.
Nella notte: Consiglio dei Troiani. Si aumenti la sorveglianza in città, si accendano i fuochi e si vegli affinché i Greci non fuggano.
Assemblea dei Greci: inviati ambasciatori Ulisse, Fenice, Aiace per convincere Achille a tornare a combattere. Achille non accetta.
Agamennone insonne. Assemblea dei duci Achei: inviati Diomede e Ulisse a spiare i Troiani. Dolone, spia troiana, interrogata e uccisa da Diomede e Ulisse. La strage dei Traci.
XI 1-1120 Di giorno: La Discordia incita gli Achei a combattere. Agamennone si distingue nel combattimento. Imprese belliche degli eroi achei: vittorie e sconfitte. I Greci si ritirano protetti da Aiace Telamonio. Achille manda Patroclo da Nestore per sapere chi è ferito. Nestore consiglia Patroclo di entrare in battaglia con le armi di Achille
XII 1-595 I Greci si ritirano dietro il muro. Ettore incita i Troiani a oltrepassare il fossato e assaltare il muro. Scagliando un enorme macigno apre una breccia nel muro. I Troiani irrompono nel campo acheo.
XIII 1-1084 Achei e Troiani combattono indefessamente tra il muro e le navi.
XIV 1-560 Nestore incita Ulisse, Agamennone e Diomede a riprendere la battaglia anche se feriti. Nettuno conforta Agamennone e gli Achei. Giunone inganna Giove. I Greci, al cui fianco combatte Nettuno, hanno il sopravvento. Ettore, colpito da Aiace viene tratto in salvo dai suoi.
XV 1-931 Giove redarguisce Giunone. Nettuno si ritira dalla battaglia. Apollo aiuta i Troiani che arrivano fino al primo ordine di navi. Patroclo corre da Achille. Aiace difende le navi.
XVI 1-1180 Patroclo ottiene il permesso di indossare le armi di Achille. I Troiani spaventati si ritirano. Morte di Sarpedonte. Patroclo fermato da Apollo sotto le mura di Troia. Ettore affronta Patroclo. Morte di Patroclo.
Giorno Libro Versi
XVII 1-960
XVIII 1-323
XVIII 323-852
27 XIX 1-382
XX 1-612
Avvenimenti
Mischia intorno al cadavere di Patroclo. Menelao manda Antiloco da Achille, poi con Merione trae in salvo il corpo di Patroclo.
Achille si dispera per la morte di Patroclo. Tetide gli promette nuove armi. L’urlo di Achille fa fuggire i Troiani.
Nella notte: Assemblea dei Troiani. Achille giura vendetta. Vulcano prepara nuove armi per Achille.
All’aurora Tetide porta le armi ad Achille. Assemblea dei Greci. Riconciliazione tra Achille e Agamennone. L’esercito greco si raduna.
Concilio degli dèi, che scendono sulla terra. Inizia la battaglia. Achille combatte con Enea, messo in salvo da Nettuno, e con Ettore, messo in salvo da Apollo; uccide Polidoro.
XXI 1-766
XXII 1-668
XXIII 1-70
XXIII 71-140
28 XXIII 140-290
XXIII 290-304
29 XXIII 305-1132
XXIV 1-16
30 XXIV 16-42
30-39 XXIV 43
39 XXIV 43-444
XXIV 445-870
40-49 XXIV 871-992
Troiani in fuga. Achille combatte con il fiume Xanto. Battaglia degli dèi. I Troiani rientrano in città, difesi da Apollo che tiene lontano Achille.
Duello tra Ettore e Achille. Morte di Ettore, compianto da Andromaca, Priamo, Ecuba e tutti i Troiani.
Gli Achei ritornano alle navi. Banchetto funebre in onore di Patroclo.
Nella notte: Patroclo appare in sogno ad Achille che dorme sulla riva del mare.
All’alba si prepara il rogo per Patroclo. La fiamma si accende solo dopo l’intervento di Borea e Zefiro.
Nella notte: il rogo di Patroclo arde vegliato da Achille.
Estinte le braci del rogo di Patroclo, si raccolgono le sue ceneri in un’urna d’oro. Achille ordina di preparare i ludi funebri in suo onore.
Nella notte: Achille insonne.
Strazio del cadavere di Ettore. Gli dèi sono indignati.
Gli dèi soggiornano presso gli Etiopi.
Concilio degli dèi. Giove stabilisce la restituzione del corpo di Ettore e invia Tetide da Achille. Priamo si prepara ad andare da Achille.
Nella notte: Mercurio, inviato da Giove, guida Priamo alla tenda di Achille. Dialogo tra Achille e Priamo. Priamo ottiene il corpo del figlio Ettore.
Priamo rientra a Troia. Compianto di Cassandra, Andromaca, Ecuba, Elena sul corpo di Ettore. Priamo ordina di raccogliere la legna per il rogo.
Giorno Libro Versi
50 XXIV 993-997
51 XXIV 997-1018
Avvenimenti
Dopo nove giorni di raccolta della legna si costruisce il rogo. Il corpo di Ettore vi arde tutta la notte.
Estinte le braci del rogo di Ettore, si raccolgono le sue ceneri in un’urna d’oro, la si depone in una fossa e la si ricopre di un tumulo di pietre. Banchetto funebre in onore di Ettore.
Versioni dell’Iliade
Omero, Iliade, trad. di Vincenzo Monti, a cura di O. Castellino, V. Peloso, Sei 1941.
Omero, Iliade, trad. di Vincenzo Monti, a cura di E. Treves, La Nuova Italia 1950.
Omero, Iliade, trad. di Vincenzo Monti, a cura di M. Valgimigli e C. Muscetta, Riccardo Ricciardi Editore 1953.
Omero, Iliade, trad. di Vincenzo Monti, a cura di G. Morpurgo, Petrini 1959.
Omero, Iliade, trad. di Vincenzo Monti, a cura di A. Cavalli Dell’Ara, Fratelli Fabbri editori 1960.
Omero, Iliade, trad. di Giovanni Cerri, Rizzoli Classici 1966.
Omero, Iliade, trad. di Giuseppe Tonna, Garzanti 1974.
Omero, Iliade, trad. di Vincenzo Monti, a cura di M. Mari, Biblioteca Universale Rizzoli 1990.
Omero, Iliade, trad. di Rosa Calzecchi Onesti, Einaudi 1991.
Cultura greca
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Virgilio, Eneide, trad. di Adriano Bacchelli, Paravia 1977.
Stenelo e Diomede 85
Lo scontro 86
Diomede affronta Venere e Apollo 88
I Troiani riprendono coraggio 89
Duello tra Sarpedonte e Tlepolemo 91
Atena e Giunone
soccorrono i Greci 93
Diomede e Minerva affrontano Marte 95
Libro VI
Ettore e Andromaca 98
La battaglia senza gli dèi 98
Ettore rinvigorisce i soldati 99
Glauco e Diomede 100
Ettore ed Ecuba
Preghiera ad Atena
Ettore e Paride
Ettore e Andromaca
Il pianto di Andromaca
La risposta di Ettore
Il caro figlio
I doveri dell’acerba guerra 110
Libro VII
Il duello di Ettore e Aiace
L’urto troiano
La disfida di Ettore
La sorte sceglie Aiace
Scambio di parole fra i duellanti
Il duello
I saggi araldi interrompono il duello
Consulte di Greci e di Troiani
Ambasciata di Ideo
Le esequie
La costruzione del muro
Sezione 4
Riscossa troiana (seconda battaglia)
Libro VIII L’avanzata dei Troiani
L’intervento di Giove
e Minerva si armano
redarguisce le dive
notturna
Sezione 5
La notte 135
Libro IX
L’inesorabile Achille 137
L’interna tempesta 137
Agamennone vuole fuggire 137
L’orgoglioso discorso di Diomede 138
Nestore ribatte a Diomede 139
Nestore ammonisce Agamennone 140
Agamennone riconosce il suo errore 141
L’ambasciata ad Achille 142
Il discorso di Ulisse 143
La risposta di Achille 144
La supplica di Fenice 148
L’ostinazione di Achille 150
Il risentimento di Aiace 151
Achille ribadisce la sua ira 152
Libro X
Dolone, il traditore 154
Aspri pensieri tengono sveglio
Agamennone 154
Menelao palpita insonne 155
Agamennone sveglia Nestore 156
Agamennone e Nestore
svegliano i duci 158
Le scolte travagliose 158
La consulta dei capi 159
La spia troiana 159
Ulisse e Diomede incontrano Dolone 161
Dolone prigioniero 162
Dolone traditore 163
«Di scampo non aver lusinga» 165
Nel campo dei Traci 166
La fuga 168
Il ritorno 169
Sezione 6
La sofferta avanzata
troiana
(terza battaglia) 171
Libro XI
Aristia di Agamennone 173
La Discordia
all’alba suscita la battaglia 173
Agamennone si arma 174
I duci schierano gli eserciti 175
Si scatena la battaglia 177
Imprese di Agamennone 178
Interviene Giove 179
Agamennone è ferito 180
Ettore riaccende la battaglia 180
Imprese di Diomede e di Ulisse 181
Imprese di Paride e soccorso di Ettore 182
Difesa di Aiace 183
Soddisfazione di Achille 184
Commovente discorso di Nestore 185
Patroclo piange e aiuta Euripilo 186
Libro XII
L’assalto della muraglia 189
«L’opra futura» di Nettuno e Apollo 189
Strategia di Polidamante 190
Folle impresa di Asio e compagni 192
Un’apparizione prodigiosa non ferma Ettore 193
Momenti che precedono
l’irruzione troiana 195
L’incoraggiamento di Sarpedonte 195
Ettore sfonda la porta 196
Libro XIII
Una zuffa orrenda 199
Nettuno approfitta
della distrazione di Giove 199
Nettuno fa cuore agli Aiaci 201
La muraglia umana 204
Prime crudeli schermaglie 205
Nettuno fa cuore a Idomeneo 205
Idomeneo e Merione 206
Giove e Nettuno in combattimento 209
Imprese di Idomeneo 210
Deifobo commuove Enea 210 Una zuffa orrenda 211
E mai sazi di guerra non saranno? 213 Il contrattacco acheo 214 Polidamante consiglia Ettore 215 Paride piega il cuore di Ettore
Il clamor feria le stelle
Libro XIV L’inganno di Giunone
Nestore è preoccupato
I duci a consulta
proposta di Diomede
L’incitamento di Nettuno
Giunone ordisce una trama
Il sonno di Giove
Nettuno dà ordini agli Achei 226
Duello fra Ettore e Aiace 227 Vendette 230
Libro XV L’assalto alle navi achee
L’ira di Giove
Giunone tra gli dèi
Iri e Nettuno
Apollo fa cuore a Ettore
Ettore si rianima
Assalto alla muraglia
Patroclo lascia Euripilo
La mischia presso le navi 239
Ultimo furioso assalto alle navi 241
Il valoroso Aiace 243
Fuoco alle navi 243
Sezione 7
Il generoso tentativo di Patroclo (terza battaglia) 247
Libro XVI
L’audace Patroclo
La richiesta di Patroclo
Il consenso di Achille
La nave di Protesilao in fiamme 254
Patroclo «si vestìa dell’armi» 254
Achille i Mirmidoni armava 256
La preghiera di Achille
L’assalto dei Mirmidoni 257
Tal Sarpedonte rovinò 258
La lotta sul corpo di Sarpedonte 259
Sarpedonte torna in Licia 261
L’audace Patroclo 261
«la Parca del viver tuo
raccolse il filo estremo» 264
Ultimo dialogo tra Ettore e Patroclo 267
Libro XVII
In lotta per il corpo di Patroclo 269
La morte di Euforbo 269
Alla ricerca del magnanimo Aiace 270
In difesa del morto eroe
272
Ettore indossa le armi di Achille 273
La lotta intorno al corpo di Patroclo 274
I divini destrieri 275
Aiace vuole avvisare Achille 278
L’estinto sottratto al furore nemico 279
Sezione 8
Il ritorno di Achille
(quarta battaglia) 283
Libro XVIII
Le nuove armi di Achille 286
Una novella tristissima 286
Il conforto della madre 287
Propositi di vendetta
L’urlo tremendo
Notte d’angoscia
Vulcano, l’esimio fabbro
Lo scudo di Achille
Libro XIX
La riconciliazione
Armi degne di un fabbro divino
La fine dell’aspra contesa
Così piange Briseide
Il lamento funebre di Achille
Achille si arma
Xanto e Balio
Libro XX
Le gesta di Achille in battaglia
Gli dèi scendono in campo 317
Apollo spinge Enea
ad affrontare Achille 317
Gli dèi in attesa
Enea ed Achille
Il duello
Nettuno salva Enea
Il conforto dei duci 323
Achille uccide Polidoro 324
Ettore e Achille 324
Il furore di Achille 326
Libro XXI
Il superbo Achille in lotta
contro il fiume Xanto 328
Tra i flutti di Xanto 328
La vana supplica di Licaone 329
Lo sdegno di Xanto 332
Achille lotta con il Fiume 334
Gli dèi intervengono nella lotta fra Achille e Xanto 336
Priamo apre le porte 337
Agenore contro Achille 339
Sezione 9
La gloria, la pietà e gli onori 341
Libro XXII
Il fatale duello 343
Dentro e fuori le mura 343
Dalle mura 344
In attesa dello scontro 347
L’un fuggendo, l’altro inseguendo 348
Il destino di Ettore 351
L’estremo danno 354
Achille, cuore di ferro 355
Il pianto di Priamo 358
Il pianto di Ecuba e di Andromaca 359
Libro XXIII
Le esequie di Patroclo 360
Il lamento funebre 360
Il banchetto funebre 361
Patroclo appare in sogno ad Achille 361
I riti funebri 364
I ludi funebri 367
Libro XXIV
Gli estremi onori resi a Ettore 379
L’insaziabile dolore di Achille 379
La pietà degli dèi 380
L’intervento degli dèi 382
Priamo decide di partire 383
Mercurio scorta Priamo
fino alla tenda d’Achille 384
La supplica di Priamo 385
Achille si commuove 388
Il ritorno a Troia 391
I pianti delle donne 393
Gli estremi onori 396
Libro I: L’aspra contesa 399
Libro II: La rassegna degli eserciti 400
Libro III: Duello di Paride e Menelao 402
Libro IV: Il tradimento dei patti 402
Libro V: L’impetuoso Diomede 403
Libro VI: Ettore e Andromaca 405
Libro VII: Il duello di Ettore e Aiace 406
Libro VIII: L’avanzata dei Troiani 407
Libro IX: L’inesorabile Achille 408
Libro X: Dolone, il traditore 410
Libro XI: Aristia di Agamennone 411
Libro XII: L’assalto della muraglia 412
Libro XIII: Una zuffa orrenda 413
Libro XIV: L’inganno di Giunone 414
Libro XV: L’assalto alle navi achee 414
Libro XVI: L’audace Patroclo 415
Libro XVII: In lotta per il corpo di Patroclo 416
Libro XVIII: Le nuove armi di Achille 417
Libro XIX: La riconciliazione 417
Libro XX: Le gesta di Achille in battaglia 418
Libro XXI: Il superbo Achille in lotta con il fiume Xanto 418
Libro XXII: Il fatale duello 419
Libro XXIII: Le esequie di Patroclo 419
Libro XXIV: Gli estremi onori resi a Ettore 420
Illustrazioni
pagina 66: Achille cura Patroclo ferito da una freccia pittura vascolare di Sosia, inizio V secolo a.C.
Staatliche Museen, Berlino
pagina 122: Achille e Aiace giocano in presenza di Atena anfora greca, 510 a.C.
The J. P. Getty Museum, Los Angeles
pagina 282: figure di guerrieri greci anfora greca, 500-480 a.C.
The J. P. Getty Museum, Los Angeles
pagina 398: Crise tenta di riscattare la figlia Criseide da Agamennone cratere pugliese a figure rosse, 360-350 a.C. Musée du Louvre, Parigi
L’Iliade è uno dei classici sui quali si è formata la cultura occidentale. Essa ci introduce nell’affascinante, perché sempre vero, mondo omerico.
Alla base del racconto vi è la realtà storica, gli ultimi cinquanta giorni della guerra tra Achei e Troiani. Ma Omero va oltre. La guerra di Ilio, a cui partecipano uomini e dèi, entra nella mitologia, in quel mondo alimentato dalla storia e dalla fantasia, a cui i Greci facevano riferimento per spiegare la realtà, per trovare esempi, valori, riferimenti con cui paragonarsi e su cui fondare la loro cultura. In Grecia i poemi omerici avevano funzione di testo scolastico a cui era affidata la paideia, cioè l’educazione dei giovani, la formazione del cittadino.
Dall’esigenza di apprestare uno strumento che salvaguardasse l’integralità della trama, la bellezza della versificazione, la fruibilità del testo, è nata questa Iliade che alcuni insegnanti hanno curato per i loro studenti e che ora viene proposta a chiunque desideri essere accompagnato nella lettura di questo capolavoro.
Contenuti digitali integrativi su www.itacascuola.it/odissea
in copertina Guerriero morente V secolo a.C. Monaco, Gliptoteca
itacascuola.it Sul sito www.seleggo.org la versione digitale ottimizzata del libro per facilitare la lettura