Riviera n° 16 del 18 aprile 2021

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EDITORIALE www.larivieraonline.com

Stampa e Procure, Libertà e arbitrio

“Ed a Locri a guidare la Procura è tuttora ben saldo quel magistrato omonimo di un noto cantautore napoletano che, pur essendo il titolare dell’inchiesta, andò in tv per annunciare urbi et orbi che Mimmo Lucano dei soldi destinati agli ultimi della terra ben tre milioni se li era messi in tasca per fini personali e anche politici” PIETRO MELIA Trentatrè sono gli anni di Cristo. Trentatrè i giornalisti “intercettati” sugli sviluppi (quali? Ce lo dirà a settembre il Tribunale…) della colossale (!) inchiesta sul “modello Riace” e sul suo portabandiera (equiparato ad un Totò Riina di noantri…) Mimmo Lucano. Si ribellano alcuni parlamentari del Pd (fino all’altro ieri come le tre scimmiette sul comò: non vedo, non sento, non parlo)…forse per non dispiacere al militar-ministro Marco Minniti, da qualche mese dimissionario dal Parlamento, rifugiatosi nelle braccia economicamente generose e salvifiche di Leonardo, che non pochi interessi ha (è una semplice coincidenza, o la scelta ha un senso preciso? Nella Libia assai cara all’ex lothar calabro-dalemiano…); l’Ordine nazionale dei colleghi attende buone nuove dalla ministra della giustizia Marta Cartabia, ma dalle parti di piazza dei Marescialli, a Roma, non si muove foglia. Tutto normale per quel CSM fatto a pezzi da Luca Palamara e Alessandro Sallusti nel loro volume? Eppure – così, tanto per ricordare – a Locri c’è una Procura che, alla pari di quella di Trapani, andrebbe quanto meno “ispezionata”. È stata Locri, spinta da un intervento dell’ex prefetto di Reggio Michele Di Bari (a proposito, ministra Lamorgese, cosa aspetta a rimuoverlo? Costui, non certo una “eccellenza”, sta ancora, immeritatamente, in quel posto di grande responsabilità cui l’ha “promosso”, con fanfara al seguito, il suo predecessore Matteo Salvini, grato per l’avvio della demolizione di quel “modello Riace” assai inviso al capo del Carroccio e pericolosissimo per la sua politica di respingimento…), a dare fiato alle trombe ed a catapultare nel modesto borgo di Riace centinaia di finanzieri con l’ordine di rivoltare come un calzino il paese caro anche a Wim Wenders e a Papa Francesco, alla caccia esasperata (anche “orecchiando” i cronisti…) di “prove” per crocifiggere quanti si dannavano per fare dei migranti una risorsa e non un problema. Ed a Locri a guidare la Procura è tuttora ben saldo quel magistrato omonimo di un noto cantautore napoletano che pur essendo il titolare dell’inchiesta andò in tv per annunciare urbi et orbi che Mimmo Lucano dei soldi destinati agli ultimi della terra ben tre milioni se li era messi in tasca per fini personali e anche politici…Le prove vere hanno fin qui dimostrato che Lucano non ha mai rubato nemmeno un centesimo, ha rifiutato candidature certe ai Parlamenti, nazionale ed europeo (la sua ambizione, condivisibile o meno, resta quella di ripartire dal Municipio di Riace) e che le accuse messe in piedi contro di lui sono risultate costruite (e per fortuna che i supertestimoni hanno anche la dignità di ritrattare pubblicamente, in dibattimento non in tv…) e false. Sì, false. Ma qualcuno prima o poi dovrà pur pagare? Noi, come i cinesi, siamo sulla riva del fiume…

“Ma nella vita, e tanto più nel processo, non tutto quello che è utile è anche giusto? La risposta «è utile alle indagini» non può soddisfarci. Perché ciò che secondo la nostra Costituzione costituisce l’eccezione non può diventare la regola”

Giornalismo, intercettazioni

e libertà personali CARLO MARIA MUSCOLO Ritengo inconcepibili ed intollerabili le intercettazioni che hanno coinvolto alcuni giornalisti nei casi, oggi in cronaca, di Trapani e Riace. Ma, purtroppo, non stupiscono e non sono contrarie alla legge, al momento della loro acquisizione e non sono affatto inusuali. Sono state intercettate persone non indagate, che erano in contatto con indagati, al fine di raccogliere notizie penalmente rilevanti su questi ultimi. Il codice lo consente. Ma non basta invocare di aver fatto una cosa rispettando la legge per poter dimostrare di aver fatto una cosa giusta. A nessuno verrebbe in mente di contestare il fatto che si intercetti il telefono dei parenti o amici di famiglia di una vittima di un sequestro di persona, che potrebbero essere contattati dai sequestratori. O che si controlli il telefono di un imprenditore, vittima di estorsione e indotto alla reticenza dalla forza di intimidazione dei criminali. Quindi, sarebbe impensabile invocare una legge che consenta di intercettare soltanto persone indagate. Ma la legge andrebbe applicata con buon senso. E ai magistrati, che ogni giorno invocano il diritto-dovere di applicare la legge in modo «costituzionalmente orientato», andrebbe ricordato che esiste un articolo 15 della Costituzione che consacra come «inviolabile» la libertà e segretezza di ogni forma di comunicazione. Certo, anche quel diritto di libertà può essere limitato con un atto motivato dell’autorità giudiziaria. Ma chi è chiamato ad esercitare questo potere dovrebbe farlo soltanto dopo un ponderato bilanciamento dei princìpi in gioco: da un lato il dovere di esercitare l’azione penale di fronte ad un reato; dall’altro, la libertà di comunicare. E non farebbe male a meditare quanto sia costato, in passato, nella storia italiana, il sacrificio di questa libertà. E quanto sia costato, ai nostri padri, riconquistarla. Ho avuto modo di ascoltare, in anni passati, le parole di un anziano collega che, commentando i successi di una

indagine, mi disse che questo era avvenuto a seguito di un sistema di intercettazioni a tappeto sul territorio. E da quel commento, passò a parlarmi del necessario bilanciamento fra diversi diritti. Si trattava di comprendere fino a che punto le indagini potevano spingersi nel limitare la segretezza delle comunicazioni di altre persone, probabilmente non coinvolte nei reati. Si trattava di trovare il punto di equilibrio. La posta in gioco era chiara a tutti. Di questo si discuteva e magari si litigava e sono passati molti anni senza che si sia intervenuto a normare una situazione senza confini certi. Se penso alla facilità con cui oggi vengono chieste, autorizzate e lungamente prorogate intercettazioni per reati infinitamente meno gravi del sequestro di persona a scopo di estorsione, a volte provo nostalgia per le accese discussioni ideologiche di quarant’anni fa. Sento spesso dire: “Ma l’uso estensivo delle intercettazioni è utile.” Ma nella vita, e tanto più nel processo, non tutto quello che è utile è anche giusto? La risposta «è utile alle indagini» non può soddisfarci. Perché ciò che secondo la nostra Costituzione costituisce l’eccezione non può diventare la regola. Questa è la strada a cui porta l’uso smodato delle intercettazioni; in particolare quelle col mezzo informatico del “trojan” che la riforma di due anni fa ha reso possibile per una gamma molto ampia di delitti, consentendone l’utilizzabilità anche per provare reati diversi da quelli per cui il giudice le ha autorizzate ed emersi nel corso degli ascolti (il cosiddetto utilizzo «a strascico»). La stampa, a mio parere, ha le sue gravi responsabilità: per troppi anni ha stimolato la curiosità dei lettori con la pubblicazione di intercettazioni piene di pettegolezzi e particolari assolutamente irrilevanti per le indagini. Ed ora anche i giornalisti cominciano a pagare il prezzo di questa deriva culturale. E’ necessario porre limiti e regole, con prioritario riferimento al principio della libertà personale, che può e deve trovare limiti, solo in presenza di determinate e precise situazioni.


CARRIERE

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Marco Minniti

L’ex militar-politico ora al servizio di Leonardo…

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L’OPINIONE www.larivieraonline.com

“E, più da militare che da politico, ha pensato che agire contro coloro che operavano nel campo dell'accoglienza avrebbe prosciugato il brodo di cui si nutriva la narrazione leghista. Peccato che l'effetto è stato invece quello di spianargli un'autostrada” SASÀ ALBANESE In questi giorni sono venute fuori due notizie gravissime. Le intercettazioni a tappeto di giornalisti, ed altri soggetti da parte della procura di Trapani, non per contrastare la Mafia ma per tenere sotto controllo chi ha fatto inchieste giornalistiche sul traffico di esseri umani in Libia. Su chi ha denunciato i trafficanti che hanno avuto relazioni con pezzi dei nostri servizi segreti e con pezzi dello Stato Italiano che li hanno foraggiati con decine di milioni di euro, e continuano a farlo. E poi è riemerso lo stesso modulo nell'inchiesta condotta su Riace e Mimmo Lucano. Questa volta riguarda la procura di Locri. In tutti e due i casi sono stati intercettati, abusivamente, persone che nulla c'entravano con le indagini. Queste storie minano lo Stato di diritto di questo paese, rappresentano una ferita mortale alla nostra democrazia. Però, tutte e due le vicende hanno due comuni denominatori: l'accoglienza dei migranti e il rispetto dei diritti umani da una parte ed il ruolo dell'ex ministro Marco Minniti dall’altra. L'accoglienza ed il rispetto dei diritti umani, in questi anni, sono diventati la fobia della parte più ignorante ed egoista del Paese tanto da costruire tutta la sua narrazione populista che ha fatto diventare la Lega il primo partito italiano. Ed allora Minniti che c'entra? C'entra, perché l'origine di queste storie prendono le mosse durante il periodo in cui è stato Ministro dell’Interno. Lui è un uomo schivo, molto bravo a tessere trame sotterranee, ha accresciuto il suo potere all'ombra di D'Alema, di cui è stato uno dei delfini. Lo stesso D'Alema lo ha definito più un militare che un politico. E, più da militare che da politico, ha pensato che agire contro coloro che operavano nel campo dell'accoglienza avrebbe prosciugato il brodo di cui si nutri-

va la narrazione leghista. Peccato che l'effetto è stato invece quello di spianargli un'autostrada. Minniti è stato quello che ha promosso gli accordi con le "bande" libiche dotandole di mezzi e riempendole di soldi, legittimando lager, sequestri, stupri, omicidi in barba a tutti i trattati umanitarie e a tutti gli allarmi lanciati dall'ONU. Se tratti con uno come Bija, trafficante di esseri umani, dai la misura del tuo valore. Sono queste alcune delle ragioni che chiamano in causa Minniti su queste vicende. La Calabria ha espresso poche personalità in campo politico ma, nel bene e nel male, tutti hanno qualcosa di positivo per cui essere ricordati, penso a Riccardo Misasi, a Giacomo Mancini, penso al lascito culturale di uno come Sisinio Zito per rimanere in questo territorio, al suo "Roccella Jazz". Minniti oggi è (è stato, ora che è passato a Leonardo, alla grande impresa, lo possiamo dire…) l'uomo calabrese più potente in politica, con il suo tratto semioscuro, non lo vedevi ma c'era e in futuro sarà ricordato più come uomo dei servizi che non come politico a favore della sua gente. Questo scandalo delle intercettazioni ha fatto emergere solo la punta dell'iceberg della violazione dei diritti umani e civili in questo Paese. La Calabria è una terra accogliente, aperta, che poteva e doveva contrastare il razzismo con atteggiamenti forti e coraggiosi, attraverso il carattere naturale, storico della sua gente. Minniti ne ha minato le fondamenta, spingendo il suo partito in un angolo, incapace di schierarsi senza sé e senza ma dalla parte dei diritti e dei valori umani. E poi, completata l’opera di devastazione, è scappato dal Parlamento rifugiandosi, peraltro in aperto conflitto d’interesse, tra le braccia di chi ha tanti interessi economico-militari da tutelare anche nella “sua” Libia. No, decisamente, Minniti non mi rappresenta.

AMARA ITALIA MIA…

Censura per…fascia d’età! “Chi censurava era bigotto in pubblico e lussurioso in privato. Finalmente tutto sparito, grazie al nostro Dario”

I SINISTRATI Nei giorni scorsi, accompagnata da adeguato clamore mediatico, è venuta meno la censura, nata nel lontano 1913. Ne ha dato il triste annuncio il Ministro della Cultura, l’Onorevole Dario Franceschini. Non assisteremo più ai tagli di baci sensuali, potremo rivedere il burro spalmato (non proprio sulla fetta di pane) da Marlon Brando e le nudità che tanto turbavano i prelati presenti alle anteprime (salvo poi scoprire che non pochi di loro erano profondi conoscitori specie di quelle maschili). Chi censurava era bigotto in pubblico e lussurioso in privato. Finalmente tutto sparito, grazie al nostro Dario. Ma leggiamo che con il medesimo sacrosanto provvedimento il Ministro, di professione Politico Governativo (D’Alema II, Amato II, Letta, Renzi, Gentiloni,

Conte II, Draghi), ha istituito una nuova commissione composta da ben 49 esperti (di cosa non è dato sapere, ma una commissione non si nega a nessuno e l’ex democristiano lo sa bene). Tale assise avrà il gravoso compito di verificare che “i films siano adeguatamente classificati per fasce di età”. Ovviamente non si classificherà per colore (rosso, arancione, giallo, bianco), ma il concetto è quello, e senza alcuna delega alle Regioni per dare velocità alle decisioni ed evitare che i films rimangano in sospeso a divinis. Alcune fonti bene informate dicono che con questo provvedimento il Franceschini voglia dimostrare la sua abilità nel decidere, tanto da essergli sfuggito “Io al posto di Speranza avrei fatto meglio”. Dopotutto, somministrare pellicole e vaccini è lo stesso. Sempre di fasce di età si tratta.

Paese in sicurezza? Non ci pare… REDAZIONE ROMANA Il 13 febbraio scorso, forte di “una larga maggioranza non riconducibile ad alcuna formula politica”, si è insediato il governo Draghi con il compito di affrontare le tre drammatiche emergenze che stavano spingendo il Paese sulla soglia di una pericolosa crisi di sistema. La formula fortemente voluta dal Presidente Mattarella aveva lo scopo dichiarato di mettere in sicurezza il Paese con un governo in grado di affrontare la profonda crisi pandemica, economica e sociale e contemporaneamente offrire alle forze politiche un’occasione di rigenerarsi dopo la manifesta dimostrazione di incapacità di proporre una soluzione alla crisi di governo aperta da oltre un mese. Il forte rimescolamento delle posizioni di maggioranza e di opposizione avvenuto con la nascita del nuovo governo e il consolidarsi della sua attività, tuttavia ha messo a nudo tutta la profondità della crisi delle forze politiche. A due mesi dalla data della crisi appare più che opportuno chiedersi a che punto sia l’opera di rigenerazione delle forze politiche. Se non altro perché incombe una nuova campagna elettorale che interessa le principali città e la nostra regione. Il Partito Democratico, dopo le improvvise e sdegnate dimissioni di Zingaretti, ha avviato una decisa operazione di (ri)costruzione del partito che si distingue per la riscoperta di alcune questioni fortemente identitarie da tempo trascurate: le donne, i giovani, lo ius soli, la centralità dei circoli e la lotta alle correnti. Non manca la contrastata questione del rapporto con i Cinque Stelle da costruire nell’ambito di una sinistra plurale pur attenuato dall’espressione da “posizioni autonome”. I Cinque Stelle, a loro volta, non sembrano avere superato lo shock della fine dei governi Conte e faticano a trovare un’accordo sulla forma (partito o movimento), consci che la prima scelta presuppone l’abbandono dei principi identitari che nel 2018 hanno conferito al movimento la maggioranza relativa e l’indicazione del premier in entrambi i governi. Il centro-destra, divisosi sulla fiducia al governo (con due partiti in maggioranza e uno all’opposizione) fa fatica a tenere una linea unitaria anche all’interno della maggioranza a causa dell’ambigua collocazione della Lega in Europa prima ancora che nel Paese. Fratelli d'Italia, lucrando sul vantaggio di essere l’unica forza politica di opposizione, erode il consenso a danno dei propri partners. In prima battuta sembrerebbe un cantiere aperto con prospettive evolutive di una stabilizzazione di un certo interesse, tuttavia, alla prova dei fatti, le proposte sembrano essere, ancora una volta, cedevoli. Nelle grandi città interessate dalla prossima tornata elettorale l’attenzione resta polarizzata sui nomi dei presunti candidati e non su progetti e proposte. Nel caso (emblematico) di Roma, il Partito Democratico non accetta la candidatura della Raggi (5 Stelle) e quest’ultima con l’appoggio del suo movimento non intende rinunciare alla candidatura. In Calabria, altro caso emblematico, con il Consiglio Regionale sciolto da mesi per la tragica morte della Presidente Santelli, è calato un muro di silenzio e smarrimento. A farla breve: le aspettative di autoriforma dei partiti politici sembrano mal riposte o almeno fuori portata. Alla scomparsa dei partiti strutturati sul territorio ci si è affidati o a “fusioni a freddo” di formazioni politiche disciolte oppure a formazioni estemporanee frutto della protesta e dell’approssimazione. Per non parlare del fatto che l’elezione diretta di Sindaci e Presidenti di Regione ha di fatto indebolito la capacità della direzione unitaria della linea politica, determinando una deriva personalistica delle Istituzioni locali. Femia-Scali


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TESTIMONIANZA www.larivieraonline.com

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LOCRIDE CAPITALE DELLA CULTURA 2025

R Il nostro Oro ATTUALITÀ www.larivieraonline.com

“Se la candidatura della Locride Capitale Italiana della Cultura 2025 va in questa direzione, coinvolgendo le comunità locali, stimolando l’ingegno, l’impegno e la voglia di riscatto dei cittadini, è indubbiamente un’occasione da sostenere” PIERPAOLO BOMBARDIERI* Grazie, nuovamente, a La Riviera per l’ospitalità e per l’attenzione che ci concede. Vengo subito al dunque, salutando con apprezzamento il tam tam per candidare la Locride Capitale Italiana della Cultura 2025. Intanto, sgomberiamo il campo da alcuni giudizi della politica profondamente sbagliati, pensando allo slogan “con la cultura non si mangia”. Lo abbiamo ribadito recentemente, supportando le iniziative di richiesta d’attenzione del mondo dello spettacolo e della cultura, i cui lavoratori sono stati tra i più penalizzati in questa fase pandemica. L’economia collegata alla cultura nel nostro Paese produce circa il 6% del PIL, mentre l’intera filiera culturale col turismo come principale beneficiario di questo effetto volano, “pesa” oltre sedici punti percentuali di PIL, ossia oltre 250 miliardi di euro. Qualcuno dei lettori de La Riviera ricorderà la felice espressione coniata diversi decenni fa “giacimenti culturali”. Fu un’intuizione collegata ad un piano di intervento per la disoccupazione giovanile ed imperniata sulla consapevolezza che possediamo un patrimonio unico al mondo monumentale, archeologico, artistico, ben superiore alla nostra capacità di saperlo adeguatamente conservare e gestire e magari ottimizzare come se fosse il nostro “oro nero”. E, a ben vedere, anche rileggendo l’articolo 9 della nostra Costituzione si conviene che

l’investimento culturale non solo serve a tenere giustamente viva la memoria delle nostre radici, rinsaldando la coscienza nazionale, ma può produrre un prezioso ritorno economico, ed occupazionale, aggiungerei. Sarebbe inimmaginabile che un Paese produttore di petrolio riducesse gli investimenti per la ricerca del greggio. Seguendo lo stesso ragionamento, noi che vantiamo un tesoro culturale così imponente ed eterogeno dovremmo aumentarne l’investimento e renderlo il carburante della nostra ripartenza, dentro ad una nuova idea di Paese dal respiro lungo. Tornando nell’alveo della discussione sulla Capitale della Cultura, basti fotografare il recente esempio di Matera sebbene questi si muovesse su una dimensione europea. Il suo bilancio nel solo anno 2019 è stato estremamente positivo, con circa un milione di presenze. Sono stati 41 i Paesi nel mondo che hanno parlato di Matera e le hanno dedicato articoli e servizi. Oltre 1300 le produzioni televisive realizzate nella città dei Sassi. Numeri impressionanti a cui vanno aggiunti i 17mila studenti coinvolti, i 1500 i volontari, le 18mila persone che hanno partecipato alle produzioni culturali in 37 progetti di comunità. In totale si sono svolti oltre 1228 eventi, di cui 410 sono stati organizzati in tutto il territorio regionale. Un risultato che parla la lingua di un protagonismo costituito da partecipazione e sviluppo. Se guardiamo all’esperienza del capoluogo

lucano si può riflettere su due elementi di cui fare tesoro. Matera, come Procida oggi, ce l’hanno fatta perché i rispettivi territori sono stati in grado di fare sistema. Si sono abbandonati i campanilismi, le rivalità tra vicinati, i localismi esasperati. Ha prevalso l’ingrediente decisivo del gioco di squadra, della sinergia progettuale. In secondo luogo, vi è la necessità di pensare prima cosa sarà il dopo, nel senso che gli sforzi infrastrutturali di preparazione non devono avere una scadenza al 2025 per poi consumarsi o essere dismessi, ma devono rappresentare le fondamenta di una costruzione solida e più duratura da cui ripartire nel 2026. Quando tempo fa mi è stato chiesto cosa pensassi dell’idea di candidare la Locride Capitale Italiana della Cultura 2025: ho immediatamente pensato alla bellezza dei nostri 42 comuni che sintetizzano un paesaggio straordinario che include 90 chilometri di coste e monti, un territorio rurale splendido e testimonianze storiche ed archeologiche senza eguali. Le nostre incredibili produzioni artigianali ed enogastronomiche, le tracce artistiche e della cultura con padri come Tommaso Campanella ed altri sono punti di forza che ci invidiano in tutto il mondo. Ma, soprattutto, il calore delle persone dal carattere forte che si inserisce nella storia della Magna Grecia ed accogliente coerentemente con la posizione strategica alle porte del Mediterraneo.

Questi elementi possono costituire gli assi portanti di una sfida per trasformare una terra ingiustamente trascurata e martoriata da luoghi comuni e illegalità in un luogo attrattivo capace di trattenere e valorizzare i tantissimi giovani che ogni anno sono costretti a cercare fortuna altrove. E se la candidatura della Locride Capitale Italiana della Cultura 2025 va in questa direzione, coinvolgendo le comunità locali, stimolando l’ingegno, l’impegno e la voglia di riscatto dei cittadini, è indubbiamente un’occasione da sostenere. Ma serve anche un colpo immediato e forte da parte del Governo per lo sviluppo del Sud e della Regione Calabria. Lo abbiamo fatto presente alla Ministra Carfagna. E abbiamo ribadito con chiarezza anche nei giorni scorsi al presidente Draghi che il dossier del Recovery Plan è sparito dall’Agenda della politica malgrado i tempi per la presentazione siano sempre più stretti. Urge un segnale significativo per l’ammodernamento infrastrutturale del Mezzogiorno e della Calabria ed un sostegno progettuale, economico ed occupazionale fatto meno di tabelle previsionali e più di azioni concrete e strutturali. E’ scaduto il tempo degli annunci e delle attese, la politica batta un colpo e noi tutti, insieme, rimbocchiamoci le maniche per ridisegnare una Calabria diversa che faccia leva sulle innumerevoli potenzialità che possiede. *Segretario Generale Uil


LOCRIDE CAPITALE DELLA CULTURA 2025

È questo il momento della svolta. Se ci faremo sfuggire questa opportunità, gli effetti della pandemia porteranno ad un ulteriore incremento delle disuguaglianze sociali, economiche e geografiche. Con esiti strutturali devastanti. Ben venga, allora, l’ambizione di candidare la Locride a Capitale Italiana della Cultura 2025

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Recovery, ultimo tram per il Sud LUIGI SBARRA* A 160 anni esatti dall’Unità d’Italia, il Sud è ancora distante dal resto dell’Italia e del Continente, incapace di esprimere quelle potenzialità che farebbero ripartire l’intero motore nazionale. Se il nostro Paese non corre è infatti perché procede con un motore spento a metà. Per accenderlo bisogna rilanciare crescita e occupazione, spezzando diseconomie antiche, combattendo contro pregiudizi radicati che associano il Mezzogiorno a un vuoto a perdere. Niente di più sbagliato: perché senza un meridione riscattato alla crescita, neanche le aree del Centro-Nord ripartono. Eppure tutti i dati denunciano una divergenza sempre più accentuata negli ultimi anni e nei mesi della pandemia. Le disuguaglianze aumentano in ogni ambito: nel sociale, con un incremento verticale della povertà e della marginalità; nella salute pubblica e nei diritti di cittadinanza; nell’assenza di reti fisiche, viarie e digitali, che taglia fuori milioni di persone anche solo dalla possibilità di lavorare o studiare a distanza; nell’ambito produttivo, con migliaia di aziende di ogni dimensione in crisi. E poi c’è la ferita più bruciante: quella di una disoccupazione vasta, profonda, che offende la giustizia sociale e frena la ripartenza. Una piaga che ha portato via

quasi un milione di posti di lavoro negli ultimi 12 mesi e che colpisce in modo furibondo le donne e i giovani che abitano nel nostro meridione, dove il lavoro precario e parasubordinato è molto più diffuso, le famiglie sono tendenzialmente monoreddito, l’economia sommersa dilaga e con essa il potere della criminalità. La Calabria rappresenta la quintessenza di queste criticità, come ben denuncia il lucido appello al premier Draghi dell’Associazione dei Sindaci della Locride. C’è, nel grido dei primi cittadini, la determinazione di chi vuole spezzare le catene di un sottosviluppo che offende i precetti della Carta Costituzionale. Ma anche la consapevolezza di chi sa come come questa ambizione si sia infranta a lungo su politiche nazionali divisive e insufficienti. Oggi, finalmente, ci misuriamo con un clima politico che fa della coesione la propria cifra distintiva e con un’Europa che parla il linguaggio della solidarietà. Abbiamo, dalla nostra, strumenti di convergenza mai visti prima, a cominciare naturalmente dal Recovery Plan. Non è retorica affermare che non ci sarà più data un’altra opportunità di questa portata. È questo il momento della svolta. Se ci faremo sfuggire questa opportunità, gli effetti della pandemia porteranno ad un

ulteriore incremento delle disuguaglianze sociali, economiche e geografiche. Con esiti strutturali devastanti. Ben venga, allora, l’ambizione di candidare la Locride a Capitale Italiana della Cultura 2025. Al di là dell’esito, come per le altre comunità in gara, sarà occasione per mettere mano a una progettazione partecipata, capace di avviare processi di sviluppo e integrazione. Più in generale, però, bisogna imprimere questa priorità nelle politiche ordinarie nazionali di convergenza. Serve una discontinuità di merito e di metodo nella strategia di coesione, nel solco di una impostazione che metta il riscatto delle zone deboli al centro della strategia di sviluppo nazionale. Dobbiamo fare come ha fatto la Germania, che in appena 20 anni, dal 1989 al 2008, ha investito oltre 1.500 miliardi nelle proprie aree sottoutilizzate dell’Est guadagnandole allo sviluppo e rilanciando la produttività dell’intero sistema nazionale. Per l’Italia vuol dire, in concreto, costruire quella rete di infrastrutture materiali che devono ricollegare - non solo fisicamente la Calabria e il Sud al resto del Paese, dell’Europa, allo scenario euro-mediterraneo. Significa garantire a tutti il pieno esercizio dei diritti di cittadinanza e dunque tornare ad investire sulla salute, sulla scuola, sulle prestazioni socio-sanitarie, sul

sostegno alla marginalità e alla non autosufficienza. Occorre sbloccare investimenti, avviare nuova e buona programmazione partecipata, stimolare nuovi capitali privati con una potente fiscalità di sviluppo pluriennale. Occorre vigilare attentamente su quantità e qualità della spesa avviando patti territoriali per lo sviluppo e la legalità che diano forti affidamenti alle parti sociali. Bisogna collegare e mettere a sistema le eccellenze produttive, promuovere e connettere filiere e vocazioni, investire sul patrimonio ambientale, forestale, storico e paesaggistico, supportare l’artigianato, l’agroalimentare, il turismo, sostenere la transizione verde e tecnologica attirando investimenti freschi nei settori più innovativi. Perché questo accada dobbiamo aprire un cantiere-Sud che metta tutti gli attori sociali e istituzionali in condizioni di dare un contributo in termini di competenza, monitoraggio sulla qualità della spesa, tempi certi di realizzazione dei progetti. Ci vuole concertazione: questo chiediamo oggi al Governo rispetto alla buona implementazione sia del “Next Generation Italia”, sia del Piano Sud 2030. Insieme, la svolta è possibile. Perché l’Italia si salva tutta intera. *Segretario Generale Cisl


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CASA DELLA SALUTE

Un movimento a Siderno, per una Sanità sul territorio DIALOGHI www.larivieraonline.com

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Dialogo complesso tra Franco Martino e Salvatore Albanese, i due promotori di questa iniziativa, sulla nascita e lo sviluppo di questa manifestazione di protesta per far riaprire l’ospedale di Siderno che va avanti dal mese di novembre FRANCO MARTINO Francesco: Salvatore, io quando tu hai inserito l’invito su Facebook, di partecipare la presidio per la Casa della salute onestamente, all’inizio, ero rimasto perplesso, in quanto mi sembrava una iniziativa isolata. Salvatore : La mia idea era quella di segnalare il problema, capire se altri sentivano questa stessa indignazione, non nascondo il dubbio che mi ritrovassi là da solo. Però, poi, già il fatto di esserci ritrovati, in un primo momento, una ventina di persone, dimostrava che, comunque, c’era l’esigenza di reagire a questa situazione di sanità disastrata della nostra zona. La mia idea non era quella di fare un’iniziativa finalizzata a qualche mobilitazione di massa, avevo intenzione di segnalare che c’era una struttura che poteva erogare servizi, invece di aprire ospedali di campo. Francesco: Io, quando sono arrivato, ho visto che c’erano i soliti nostri amici, molti conoscenti, però malgrado un po’ di disillusione, se ti ricordi, ti ho detto: “Perché non proviamo altre domeniche”? All’inizio, se ricordi ti avevo proposto di ritrovarci ogni 15 giorni, poi ho detto proviamo ogni settimana, così possiamo anche uscire da casa, senza problemi, causa restrizioni per il virus. Salvatore : Iniziativa che poi si è sviluppata in maniera utile, diciamo in compartecipazione con tutti gli altri cittadini. Abbiamo avuto anche picchi importanti di partecipazione. Quando abbiamo visto arrivare il vescovo Oliva, la commissaria straordinaria del Comune, Stefania Caracciolo, a testimoniare la solidarietà, ci ha dato forza. Aver trovato, diciamo, anche nelle forze dell’ordine una sponda di solidarietà, è perché tutti abbiamo sentito, che fosse una battaglia di civiltà. Francesco: Io penso che la cosa più positiva è che tutti, insieme alla persone venute, abbiamo contribuito, di nuovo, a far crescere una partecipazione attiva. Non parliamo, poi, delle varie iniziative che sono state trasmesse in televisione, siamo stati presenti su RaiTrre, sulle reti e giornali locali e regionali, è venuta anche un giornalista olandese.

La nostra lotta non è rimasta chiusa nell’ambito locale, abbiamo diffuso l’idea che la gente deve protestare, per assurdo, per ottenere qualcosa. Salvatore: E la spontaneità di questa iniziativa, seguita con molta attenzione dalla stampa e sotto i riflettori della TV, ha aiutato anche noi per metterci in contatto con altre realtà di lotta che ci sono sul territorio regionale. Ci ha fatto comprendere che la situazione era molto più grave di come sembrava, perché noi pensavamo che c’era solo a Siderno una situazione di un ospedale chiuso, in realtà gli ospedali chiusi in Calabria sono 18. Mentre noi stavamo, insieme ad altri, ai presidi, c’è chi aveva il compito di dare delle risposte, invece procedeva, ancora, con altre chiusure di consultori, ambulatori, reparti di ospedale, nonostante che abbiamo scoperto che c’era una montagna di denaro a disposizione della sanità

non speso. Il fatto di essere riusciti a sbloccare la situazione di Siderno rappresenta un punto di partenza in una situazione drammatica, quale è quella della sanità della Locride e della Calabria tutta. Francesco: Quello che dici tu è vero, ci siamo coordinati con tante realtà calabresi e Comunità Competente. Adesso, vogliamo chiaramente andare oltre le nostre intenzioni di partenza. Vogliamo, a partire da questa iniziativa da Siderno, coinvolgere tutte le realtà in movimento, perché abbiamo una proposta sulle strutture che mancano sul territorio locale e regionale. Salvatore : Si tratta di entrare nel merito dei contenuti che riguardano la Casa della Salute. Il contenitore ora dovrebbe essere messo nelle condizioni di poter funzionare, vogliamo capire quali strutture verranno attivate.

Adesso stiamo aprendo un confronto con i responsabili dell’ASP e il commissario di governo Longo. Poi, dobbiamo mettere sul tavolo, anche, la questione dell’ospedale di Locri, perché la Casa della Salute è propedeutica alla funzionalità dell’ospedale. Come si intende utilizzarli? Noi dobbiamo avere una sanità che sia in grado di rispondere a tutti i bisogni del territorio. Per questo, oltre la Casa della Salute, che è una specie di struttura preliminare, rispetto all’ospedalizzazione, deve essere affiancato un ospedale che sia in grado di offrire servizi specialistici. I malati del nostro territorio migrano, in questo momento, per ottenere risposte sanitarie. Noi vogliamo che la Locride sia attrezzata per evitare questo, oppure debba rivolgersi ai privati che, in questo momento, sono quelli che ci stanno guadagnando in questa destrutturazione della sanità pubblica. Francesco: A Siderno siamo riusciti a coinvolgere tutti i movimenti o partiti presenti o che si volevano presentare alle elezioni e quindi siamo un movimento unitario, che sta lottando per il bene comune, la Sanità, che è fondamentale nelle nostra realtà disastrata in tutti i settori. Salvatore: Io penso che quello che abbiamo fatto a Siderno vada inquadrato in un piano più ampio, anche perché a Siderno sono arrivati, come testimonianza, tanti soggetti dei territori vicini. Dobbiamo cercare di far diventare questo movimento, che lotti non solo per la Casa della Salute di Siderno, ma per tutta la Locride, per un servizio sanitario del comprensorio, per riutilizzare tutte strutture del territorio. Poi, intensificare i rapporti con le altre realtà di lotta che ci sono nella Piana, nel catanzarese, nel cosentino. In giro per la Calabria, ci sono tante situazioni in agitazione, devono diventare una rete comune, per riuscire, in qualche modo, a cambiare la storia sanitaria calabrese, che è vergognosa, perché i fondi ci sono e devono essere solamente spesi. Se tutto questo si realizzasse, i cittadini calabresi non avrebbero l’esigenza di emigrare al Nord o curarsi dai privati.

La sanità, deve tornare ad essere un diritto L’esperienza del Covid, ci insegnava (qualora ce ne fosse stato bisogno), che la salute non è solo un bene primario individuale, ma è un bene sociale da difendere e tutelare come interesse generale dell’intero paese. Si ritorni parlare di riforme del sistema nazionale sanitario e si ritorni a parlare di rafforzamento della medicina territoriale!

“Un anno fa, in questo periodo, non c’era trasmissione televisiva o articolo sui quotidiani, in cui non si sentivano o leggevano riflessioni da parte di opinionisti, costituzionalisti, politici, sul sistema sanitario e sulle differenze dei vari sistemi sanitari regionali alla prova del Coronavirus. Tutti (o quasi) erano concordi nel dire che i modelli sanitari improntati al criterio della massima produttività, dove si era privilegiata la concentrazione ed il potenziamento dei settori a più alta redditività, mentre si erano “abbandonati” quelli a più alto rischio o basso rendimento (tipo le terapie intensive) erano collassati su se stessi. Infatti, alla prova, avevano retto, di più e meglio, quei modelli in cui il pubblico era più forte, dove si privilegiava l’erogazione del servizio e la distribuzione sul territorio ed in cui il privato agiva ad integrazione del pubblico e

non in sua sostituzione. Tutti (o quasi) d’accordo nel dire che il servizio sanitario nel suo complesso, la sua regionalizzazione, non avesse portato a dei miglioramenti al sistema globalmente inteso, in quanto aveva solo trasferito servizi e risorse da alcune zone già povere e depresse, ad altre realtà c. d. (per autodefinizione) virtuose: insomma, maggiore confusione e sovrapposizione di competenze tra Stato e Regioni! Quell’esperienza, quindi, ci insegnava (qualora ce ne fosse stato bisogno), che la salute non è solo un bene primario individuale, ma è un bene sociale da difendere e tutelare come interesse generale dell’intero paese. Ed era per questi motivi che tutti discutevano e sottolineavano la necessità di una organica riforma legislativa, sia per il ruolo del Governo che per il ruolo delle Regioni (rimanendo a queste ultime la

gestione – in termini rigorosamente esecutivo-amministrativi – ma il sistema pianificato e normato a livello nazionale), in modo tale da avere procedure uniformi e snelle su tutto il territorio nazionale. Oggi però, non si sente più parlare di tutto ciò: non si sente più parlare di necessità di riforme! Oggi si sente parla tanto di vaccini e della loro (dis)organizzazione. Si sente parlare di ricoveri ma non si sente più parlare di medicina del territorio. Quella che fino allo scorso anno è stata la “salvezza” per molte persone. Oggi (per fortuna dico io) la maggior parte dei malati sono asintomatici. Ma il punto di domanda è: chi si occupa di loro? Adesso che ogni sforzo è teso a vaccinare, chi pensa alle terapie sul territorio? Il Senato, lo scorso 8 aprile, ha approvato un proto-

collo per la gestione domiciliare del Covid. Purtroppo però non è sufficiente, perché molto spesso i centralini suonano invano (così come anche le visite domiciliari dei medici di famiglia). Se è vero quanto annunciato dall’ONU (“arriverà un’era di pandamie”) cioè che ci sono 1,7 milioni di virus non scoperti in uccelli e mammiferi di cui 827.000 potrebbero infettare l’uomo, è più che mai necessario ed urgente essere “preparati”: si ritorni parlare di riforme del sistema nazionale sanitario e si ritorni a parlare di rafforzamento della medicina territoriale! La sanità, deve tornare ad essere un diritto, e come tale, deve essere garantita, per tutti i cittadini e su tutto il territorio nazionale. Mariateresa Fragomeni


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SENATORE ERNESTO MAGORNO (ITALIA VIVA)

Rispondo, ma non a tutto

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L’INTERVISTA www.larivieraonline.com

Intervista al senatore e sindaco di Diamante Ernesto Magorno, di Italia Viva, che ha scelto di rispondere a tre domande su cinque, perché su alcune cose il Senatore preferisce non rispondere

PIETRO MELIA Le domande, inviate sua esplicita richiesta per mail, erano cinque ma le risposte puntualmente pervenute sono state tre. “Buongiorno Pietro – mi scrive il cortesissimo collaboratore Antonio Modaffari, già sentito anche al telefono -, ti giro le risposte del Sen. Magorno. Su alcune cose il Senatore preferisce non rispondere. Un caro saluto”. E allora, avanti con l’intervista (sul modello che non gradisco, poiché abituato al botta e risposta a caldo tra intervistatore e intervistato…) al Senatore, e tuttora Sindaco di Diamante (Cosenza), Ernesto Magorno. A chi esprime perplessità e riserve sulla costituzione dell’ intergruppo parlamentare IV-FI-Lega cosa rispondi? “L’intento è chiaro, ovvero unirsi quando c'è da lavorare per il bene comune. Nella fattispecie si trattava di un'infrastruttura sostenibile e che potrebbe far compiere un salto in avanti alla Calabria e all'intero Sud, in termini di nuove opportunità economiche e di sfide per la modernità. Siamo in una fase cruciale, acutizzata dall'emergenza sanitaria, ed io auspico che anche su altri temi – a partire dalla sanità - prenda forma un gruppo interforze all'interno del Parlamento, come luogo istituzionale nel quale lavorare insieme a soluzioni rapide per la Calabria. Soltanto uno sforzo congiunto e partecipato potrà fornire alla Calabria risposte adeguate alla domanda di cambiamento che ci arriva da cittadini, articolazioni sociali, tessuto imprenditoriale”. Una delle priorità di quell’accordo (da finanziare col

Recovery Fund) era il ponte sullo stretto di Messina: ma il ministro Giovannini, a cui si sollecitano invece interventi per l’Alta velocità fino a Reggio e una nuova statale jonica 106 che sarebbero più funzionali allo sviluppo della Calabria, si è già pronunciato per il no e ciò potrebbe mettere una pietra tombale sul progetto. La tua opinione? “Resto convinto che l’attraversamento stabile dello Stretto, pensato come una grande opera sostenibile e che garantisca un corridoio unico Nord Sud, Europa settentrionale-Europa meridionale rappresenti un’opportunità in termini di sviluppo economico e di emancipazione logistica, soprattutto per quanto riguarda la circolazione delle merci. Vediamo come si evolverà il dibattito e la discussione parlamentare, fermo restando che l’Alta velocità vera fino a Reggio Calabria e l’ammodernamento della rete stradale pubblica in Calabria rappresentano investimenti molto importanti e attesi al Sud da almeno dieci anni. La novità dell’oggi è che attraverso il Recovery plan i primi lotti sono finanziati e potranno vedere la luce nell’arco di pochissimo”. Veniamo alle questioni regionali. Sei stato Segretario del Pd nei cinque anni del governo di centro-sinistra di Mario Oliverio: hai rimproveri da muovere al tuo operato e a quello del Presidente della giunta? E se potessi tornare indietro cosa modificheresti o cambieresti di quella stagione che ha avuto il disastroso epilogo, per voi, di riconsegnare la Calabria al centro-destra? “Sono stati anni complessi e di grande tensione politica e come in ogni esperienza non sono abituato a esprimere giudizi autoassolutori. Sicuramente sono stati com-

piuti anche da me errori di valutazione eppure nel mio mandato alla guida del Pd regionale – uno dei pochi mandati ad essere stato portato a compimento senza fini anticipate – abbiamo registrato sconfitte ma anche vittorie. A partire proprio da quella delle regionali che hanno eletto Oliverio. In corso d’opera molte dinamiche interne al Pd e alla coalizione e in generale dentro alla Calabria sono cambiate. Quel passo di riformismo vero che pure aveva connotato l’inizio dell’esperienza Oliverio è venuto meno, si è affievolito e si è assistito a una torsione su se stessi, a un rinchiudersi che alla lunga non solo ha sfilacciato i rapporti ma ha prodotto nell’immaginario collettivo dei calabresi la convinzione che quell’esperienza non fosse più adeguata a far fronte al dramma Calabria e vi fosse bisogno di un nuovo e diverso progetto politico. D’altro canto, è stata la segreteria nazionale del Pd e di Zingaretti a stabilire perentoriamente la linea, quando io avevo già intrapreso una diversa militanza in Italia viva”. E – vi chiederete – le altre due domande, quelle rimaste inevase? Eccole. A settembre-ottobre, quando sarà, Italia Viva è intenzionata ad affrontare in autonomia la competizione elettorale oppure sceglierà (a quali condizioni e con chi) di stare in coalizione? Vale qui ricordare che, al momento, i candidati in campo sono tre: Luigi De Magistris e Carlo Tansi alla testa dello schieramento civico che comprende anche una larga fetta di 5Stelle ed ex pentastellati; Nicola Irto per il Pd (con eventuali alleati allo stato ignoti…) e Roberto Occhiuto, lanciato da Forza Italia ma ancora privo del “bollino” ufficiale di Fratelli

d’Italia e Lega… Infine: in che misura inciderà in Calabria sulla “tenuta” del tuo partito il polemico abbandono di Stefania Covello, Bianca Rende e altri dirigenti che di fatto lasciano te e la tua collega Silvia Vono quasi in splendida solitudine? Le “risposte”, statene certi, le avremo tra qualche mese. Basta avere solo la pazienza di aspettare…


GIOVANI

La studentessa della Locride Eccelle nel Certamen Mutycense Maria Giulia Alia studentessa del liceo classico “Oliveti-Panetta” di Locri si è classificata al secondo posto, unica vincitrice del sud Italia, nel “Certamen Mutycense”, gara accreditata dal MIUR

Il 31 marzo scorso si è conclusa la decima edizione on line (vista la situazione pandemica) del “Certamen Mutycense”, gara accreditata dal MIUR, rivolto a studenti del biennio e del triennio di tutti i licei del territorio nazionale ed organizzato dall’Istituto di Istruzione Superiore “GalileiCampailla” di Modica, con il patrocinio del Comune di Modica, ed in collaborazione con l’Associazione “Amici del

Campailla”. Per gli alunni vincitori vi è la possibilità di accedere alle Olimpiadi Nazionali di Lingue e Civiltà Classiche, con l’intento di promuovere e rivitalizzare gli studi classici. Per poter partecipare, gli studenti (scelti tra 10 alunni al massimo per ogni Istituto), dovevano aver ottenuto, alla fine del I quadrimestre/trimestre dell’anno scolastico in corso, una valutazione in Latino non inferiore a 8/10. Il Certamen è stato articolato in 2 sezioni riservate la prima agli studenti del secondo e del terzo anno, la seconda agli studenti del quarto e del quinto anno. Per la prima sezione, la prova consisteva nella traduzione in lingua italiana di un brano in prosa, con relativo commento guidato sul contenuto del testo corredato da considerazioni a carattere retorico e linguistico. Per la seconda sezione, la prova consisteva nella elaborazione di un testo argomentativo-espositivo di interpretazione, analisi e commento dei passaggi fondamentali presenti nelle riflessioni di tre autori latini (Cicerone, Seneca, Quintiliano) attualizzandone il contenuto sulla base di una citazione tratta dal libro “Il complesso di Telemaco” del professore Massimo Recalcati, psicoanalista, saggista e accademico italiano.Un’edizione che, sebbene online, è riuscita a coinvolgere ben 35 scuole da tutta Italia e 257 studenti distribuiti tra le due sezioni previste dal bando. Prestigiosi i componenti della Commissione giudicatrice: la studiosa del mondo antico professoressa Eva Cantarella, la professoressa Laura Pepe (Università di Milano), il professore Marco Formisano (Università di Gand in Belgio) ed il professore Mauro Bonazzi (Università di Utrecht in Olanda) La premiazione è stata preceduta ed arricchita dalla conversazione di 4 studentesse del liceo classico di Modica con la conduttrice e scrittrice Daria Bignardi, che ha presentato il suo ultimo e interessantissimo romanzo “Oggi faccio azzurro”, edito Mondadori. Alla fine la stessa Bignardi ha comunicato i nominativi dei vincitori. Tra i licei partecipanti anche il Liceo classico “Oliveti - Panetta” di Locri con i seguenti alunni: Maria Giulia Alia, Flavia Mazzaferro, Giuseppe Lia, Elisa Macrì, Maria Antonietta Panetta, Antonio Lupo, Claudia Pedullà e Alessandra Nati coordinati dalle professoresse Mariateresa Scordo e Filomena Sgambelluri. Con grande

orgoglio, tra i partecipanti della seconda sezione si è classificata al secondo posto assoluto Maria Giulia Alia (della 5ª D), unica vincitrice del sud Italia, con la seguente motivazione: “L'elaborato si distingue per la scrittura immaginifica e dotta, piena di riferimenti sia a testi antichi sia ad autori moderni. Ma non è tutto. Lo scritto, che è puntellato da cenni etimologici e caratterizzato dall'attenzione alla lingua, offre una discussione tanto serrata quanto originale non solo dei testi antichi proposti (Cicerone, Seneca e Quintiliano) ma anche della citazione, tratta dal Complesso di Telemaco di M. Recalcati. Sull'assunto di quest'ultimo l'elaborato si sofferma con particolare efficacia e vi aggiunge un tocco personale che ripropone in modo sofisticato la tesi dello psicanalista, con il quale sembra quasi voler competere” Questo uno stralcio del bellissimo testo premiato : “Se le generazioni passate tramandarono un’eredità di motivi ispiratori ed orientamenti valoriali che si manifestano come conquiste inestimabili, punti cardine nell’orizzonte patrimoniale umano, la nuova linfa vitale del tessuto sociale si appella alla distruzione nichilistica delle certezze tradizionali ed alla trasvalutazione dei valori, in una prospettiva di annebbiamento per cui il confine tra giusto e sbagliato si delinea a fatica, a tratti scompare. Il figlio moderno non è, come Telemaco, alla ricerca del padre, ma piuttosto è alla ricerca di se stesso in un mare fluttuante che si riedifica costantemente perché ha abbandonato le ancore del passato. In un certo senso, l’eredità antica, in inglese ‘’Legacy’’, appare come un legame sfilacciato, una dote che si disfà da sé, inadeguata per la perpetuazione. Da tale prospettiva, non esiste un erede giusto in quanto il concetto di eredità è labile e sfaccettato. Telemaco sonda il mare perché associa la figura del padre ad una legge a cui si ancora in cerca di una risposta di fronte alla brutale anarchia dei Proci. Ma soltanto appropriandosi di tale legge, la propria eredità, e sopprimendola nella sua interiorizzazione e nel conseguente superamento, il figlio si libera del fardello dell’Altro e accede a se stesso. L’eredità, in conclusione, è un legame con il passato che

traccia la strada della propria identità.” Grande orgoglio per il nostro territorio che continua ad eccellere nella cultura nel solco di un’antica tradizione. Le nostre felicitazioni e congratulazioni a Maria Giulia Alia per l’eccellente risultato conseguito. Mimmo Futia

DA NORD A SUD

Alessandro: da studente a Mantova ad apprendista pasticcere a Siderno La storia di Alessandro Battista, giovane studente di Mantova, che ha deciso di conoscere meglio la pasticceria italiana venendo nella Locride, esattamente presso la Pasticceria Strati di Siderno Marina. Da questa esperienza, nasce l’idea di unire un dolce tipico di Mantova: “La Sbrisolona” e ciò che rappresenta il Sud dell’Italia: “Il Bergamotto” L’Istituto Santa Paola di Mantova, nel settore della Pasticceria è sempre stato avanti nello “Sfornare“ talenti pasticceri grazie alla lungimiranza della direzione e ai suoi straordinari Professori. Questa che vi vogliamo raccontare è l’esperienza di un ragazzo che vive con la sua famiglia a Porto Mantovano e frequenta il 4 ’anno nel settore Pasticceria dell’ Istituto Santa Paola, Alessandro Battista. Dopo tre anni di stage presso la Pasticceria Bertoli di Roberto e Federica, che hanno insegnato ad Alessandro tutti i segreti dell’ arte pasticciera mantovana, decide che è arrivato il momento di scoprire i segreti della pasticceria italiana e sceglie non a caso il Sud Italia e più in particolare la Calabria. Quindi fa una proposta coraggiosa alla segreteria del suo Istituto...andare tre mesi fuori casa, in Calabria, per fare lo stage presso la Pasticceria Strati di Siderno Marina in provincia di Reggio Calabria , diretta per tanti anni dall'indimenticabile Raffaele Trimboli, ed ora da suo figlio Fabio. La pasticceria Strati è nota nella zona Jonica come una delle migliori nel suo genere, con creazioni uniche, che vantano numerosi riconoscimenti nazionali ed internazionali. Dopo aver avuto il permesso della propria famiglia e della dirigenza dell’ Istituto Alessandro, con la sua divisa ufficiale e con il suo cappello da pas-

ticcere parte e, dopo aver percorso 1200 km, si ritrova a lavorare in un laboratorio che solo per Pasqua impasta e sforna una marea di colombe di Pasqua e pasticcini tipici. Il titolare, Fabio Trimboli vede in Alessandro un bravo ragazzo volenteroso e capace e dal buon rapporto tra datore e stagista nasce un idea... Creare qualcosa di unico unendo le due tradizioni... un dolce tipico di Mantova: “La Sbrisolona” e ciò che rappresenta il Sud dell’ Italia: “Il Bergamotto”. È così dopo una notte ad impastare e a cuocere nasce “LO SBRISOLOTTO.” Una base di Sbrisolona infarcita è arricchita da essenze e creme al Bergamotto. Il gusto è ottimo e ve lo assicuriamo, perché nel giro della mattinata sono sparite tutte le torte fatte. Questi i commenti ufficiali sui social del titolare Fabio Trimboli: "Finisce sempre così, che basta niente per creare qualcosa di nuovo. Questo è il bello del nostro lavoro! SBRISOLOTTO, il semifreddo al bergamotto di Reggio Calabria, incontra la sbrisolona Mantovana, in un abbraccio delicato e deciso. Lo stage si concluderà a breve, perché Alessandro dovrà tornare a Mantova per prepararsi per gli esami del quarto anno. Il ragazzo ritornerà a casa con un bagaglio d’esperienza in più e siamo sicuri che questa collaborazione aprirà la strada a futuri scambi di

esperienze tra queste due terre così lontane, ma così ricche di tradizioni . Gaetano Marando


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CONCETTA INFANTINO

Il sequestro che scatenò la faida di Motticella CRONACA www.larivieraonline.com

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Il rapimento della farmacista di Brancaleone Concetta Infantino, avvenuto il 25 gennaio 1983 e la sua liberazione, avrebbe creato delle divergenze nella ‘ndrangheta scaturite in tanti omicidi e che sfoceranno nella clamorosa esecuzione nel Municipio di Africo Nuovo COSIMO SFRAMELI Era un “Mafioso di pace”, Bruno De Maria, 72 anni, uno degli ultimi patriarca a capo di una famiglia di ‘ndrangheta. Nel suo territorio preferiva fare affari senza sentire il rumore della lupara. Aveva, per la sua indiscussa autorità e il suo prestigio, il compito di far da paciere all’interno delle cosche. Svolgeva il ruolo di giudice per dirimere liti insorte tra mafioso e mafioso, tra clan e clan. Eppure, non morì nel suo letto, fu abbattuto un giovedì sera da una scarica di pallettoni. Ai familiari era arrivata una telefonata: “A don Bruno è capitata una disgrazia”. L’anziano capo mafia si era recato ad un appuntamento nella boscaglia aspromontana, al confine tra i Comuni di Staiti e Brancaleone, in località “Campolico”. Avrebbe tentato di appianare delle divergenze createsi nella ‘ndrangheta a seguito del rapimento, avvenuto il 25 gennaio 1983 e la liberazione della farmacista di Brancaleone, Concetta Infantino. Una storia complessa, strana e non decifrata del tutto, iniziata col sequestro, il riscatto pagato di 200 milioni di lire e proseguita con tanti omicidi: più di sessanta. Tre spontanee costituzioni ai Carabinieri da parte di due insospettati incensurati, che si autoaccusarono del sequestro e di un pregiudicato, già inquisito e assolto per quel delitto, che confessò ai magistrati di aver fatto parte del commando dell’Anonima. De Maria, boss di Staiti, sarebbe intervenuto per far liberare la farmacista. Per il Sostituto procuratore della Repubblica di Locri, Carlo Macrì e per i Carabinieri, diventò un’ipotesi investigativa nel tentare di spiegare il “Rosario” di morti passato alla cronaca giudiziaria come “La faida di Motticella”. Le indagini si muo-

vevano in un terreno che era una palude e l’omicidio di De Maria gettava luce sinistra su tutta la vicenda. Dopo la liberazione della Infantino, le indagini puntarono decisamente sui Mollica, famiglia di Bruzzano che aveva dimostrato interessi nel traffico di droga e nei sequestri di persona. Successivamente al processo, in cui i latitanti Domenico e Antonio Mollica vennero condannati a 28 anni di carcere, tutto sembrava essere caduto nel silenzio. Ma nell’agosto del 1985, ad Africo, venne assassinato il macellaio Antonio Spadaro. I sicari lo raggiunsero nella macelleria e portarono a compimento la loro missione di morte, senza testimoni, con una crudeltà usuale nelle guerre di mafia. Spadaro era stato implicato nel sequestro Infantino, toccando interessi più grandi di lui. Nel mese di gennaio del 1986, a Bruzzano, venne eliminato Pietro Scriva di 36 anni, considerato il capo della cosca. Sempre nel mese di maggio 1986, lungo la strada che portava a Motticella, furono barbaramente uccisi due fratelli, Saverio e Fortunata Pezzimenti, studenti universitari di medicina a Messina. Anche la loro morte era legata alla sanguinosa faida. Antonio Spadaro, il macellaio ucciso ad Africo, aveva sposato una loro sorella. Continuò lo scontro a fuoco, il 2 ottobre in Aspromonte, a Motticella di Bruzzano, una decina di persone, appartenenti alle cosche di Africo e di San Luca, si incontrarono per un chiarimento. Morirono, uccisi sotto i colpi di fucili e pistole, Antonio Mollica e Giuseppe Vottari. Poco prima delle 8,30 dell’11 maggio 1988, ad Africo Nuovo, come nel Far West, i killers entrarono in municipio armati di fucile a canne mozze. Salirono una rampa di scale, si fecero largo fra le

persone, che a quell’ora affollavano sale e corridoi del Comune, entrarono nella stanza del ragioniere del Comune e cominciarono a sparare all’impazzata. In tutto, dieci colpi di lupara che massacrarono Leo Mollica di 42 anni e ferirono in maniera lieve il Vigile urbano Antonio Condemi di 44 anni. Terminata la missione di morte, come se nulla fosse, ridiscesero le scale, uscirono dal portone principale del municipio, dove un complice faceva la guardia armato di fucile e scapparono con una macchina guidata da un quarto uomo. Il tutto in meno di cinque minuti. Il feroce delitto era riconducibile alla faida di Motticella e Leo Mollica, morto sul colpo, era colpevole di essere imparentato con una delle due famiglie da anni in guerra. Condemi, medicato all’ospedale di Locri, fu dimesso con una prognosi di otto giorni, per lievi ferite di striscio ad un braccio. Nessuno in paese parlava, nessuno aveva visto niente, i killers avevano agito con il volto incappucciato. I Carabinieri della Compagnia di Bianco non riuscivano a ricavare un solo elemento utile per continuare le indagini, nonostante le decine di persone condotte in caserma e interrogate. La mattina dell’omicidio, la piazza principale di Africo, dove sorge il municipio, pullulava di persone in festa per San Leo, il santo protettore del paese e decine erano le bancarelle che a quell’ora presero posto. In Comune era un viavai di persone, ma per i Carabinieri restava la macchina usata dai quattro del commando, una Fiat Uno risultata rubata una settimana prima a Reggio Calabria e che fu ritrovata nella tarda mattinata nei pressi della fiumara “La Verde”, lungo la strada provinciale che da Africo Nuovo porta a Caraffa del Bianco. I Carabinieri rastrellarono l’Aspromonte orientale, ma degli

assassini nessuna traccia. Oramai la faida aveva coinvolto quasi tutto il paese, con intrecci familiari che facevano crescere la paura. Leo Mollica era cugino di Santo Palamara, uno dei personaggi chiave di tutta la vicenda, ucciso l’anno prima. Santo Palamara apparteneva al gruppo dei MollicaMorabito, contrapposto a quello dei PalamaraScriva. Le “Rappresaglie” mietevano morti ammazzati a partire dal 28 maggio 1984. I Carabinieri collocarono la faida in relazione al sequestro di persona della farmacista Concetta Infantino da Brancaleone, paese dove Cesare Pavese fu mandato al confino. Un sequestro anomalo compiuto il 25 gennaio 1983 con l’ostaggio che venne liberato dopo ventuno giorni, si diceva, senza il pagamento di alcun riscatto. Un gioco al massacro fra le cosche di Africo Nuovo, Bruzzano Zeffirio, Motticella di Brancaleone, Staiti, San Luca, Bova, Roghudi, Roccaforte del Greco, tutti paesi che dall’Aspromonte scendono verso lo Jonio. Il 16 aprile del 1987 era giovedì santo, quattro morti ammazzati in un giorno solo. Era una guerra vera e propria combattuta per il predominio fra cosche rivali per i tanti motivi tra cui la supremazia nella gestione del traffico internazionale di sostanze stupefacenti, investendo i soldi dei sequestri di persona. Una vera e propria industria che fatturava centinaia e centinaia di milioni di lire. Fu una terra dove gli affari e le sentenze del tribunale della ‘ndrangheta si eseguivano alla luce del sole, in maniera plateale, senza badare a niente e a nessuno. Per educare ed incutere nell’animo del cittadino il terrore, come dimostrò la clamorosa esecuzione nel Municipio di Africo Nuovo.


IL CASO ZAKI

Il conflitto tra sovranità nazionale e diritti umani DIRITTI

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Il 5 aprile la Corte d’Assise del Cairo ha prolungato di altri 45 giorni il mandato di carcere preventivo pendente su Patrick Zaki, lo studente egiziano dell’Università Alma Mater di Bologna e attivista per i diritti umani, arrestato il 7 febbraio del 2020 con l’accusa di propaganda sovversiva e istigazione al terrorismo. Patrick rischia di morire se l’Italia, l’Europa e le Organizzazioni internazionali non intraprendono misure diplomatiche più incisive Il 5 aprile la Corte d’Assise del Cairo ha prolungato di altri 45 giorni il mandato di carcere preventivo pendente su Patrick Zaki, negando la prospettiva di un cambio dei giudici che seguono il caso. Patrick Zaki è uno studente egiziano presso il Master in Studi di genere dell’Università Alma Mater di Bologna e attivista per i diritti umani, presso l’Organizzazione Non Governativa Egyptian initiative for personal rights. Al termine del primo semestre del Master è partito per il Cairo spinto dal desiderio di spendere due settimane, insieme alla propria famiglia. Il 7 febbraio del 2020 è atterrato all’aeroporto del Cairo dove è stato prelavato dall’Agenzia di sicurezza nazionale egiziana e sottoposto ad una sparizione forzata di 24 ore. Il giorno dopo la magistratura egiziana si è pronunciata a favore della carcerazione preventiva di Patrick, con l’accusa di propaganda sovversiva e istigazione al terrorismo. Attività praticate tramite la pubblicazione di diversi post dal presunto profilo facebook di Zaki. Da allora lo studente bolognese non ha affrontato alcun processo e la sua detenzione viene continuamente prolungata, inizialmente con una scadenza di 15 giorni, poi di 45. Il 5 aprile la Corte d’Assise del Cairo ha confermato la linea della magistratura egiziana, condannandolo ad altri 45 giorni di carcere e respingendo la richiesta della difesa di un cambio dei giudici preposti al caso. Il fatto che Zaki sia uno studente italiano ha coinvolto l’Italia sul piano internazionale, il cui tessuto sociale è esploso in una serie di proteste e manifestazioni popolari. Mentre la vicenda si sta europeizzando, sempre di più, a seguito dell’incarcerazione di Ahmed SamirAbdelhay Ali, studente egiziano presso la Center European University di Vienna, arrestato il 1° febbraio di quest’anno, all’aeroporto del Cairo mentre rientrava in patria per le vacanze. La solidarietà e la rabbia popolare non bastano per salvare la vita di Patrick e Ahmed, perciò deve essere la diplomazia ad intervenire tramite canali bilaterali e multilaterali. Il 16 dicembre del 2020 il Parlamento Europeo ha approvato una risoluzione sul deterioramento della situazione dei diritti umani in Egitto, segnatamente il caso degli attivisti dell’organizzazione non governativa EgyptianInitiative for Personal Life, in cui “Deplora” i fatti relativi anche al caso Giulio Regeni, chiede la limitazione di fondi europei ai soli attori democratici, invita l’UE a ridefinire i parametri della collaborazione EU-Egitto, affinché quest’ultima venga subordinata ad una riforma democratica delle istituzioni egiziane

e chiede la scarcerazione di Patrick Zaki. L’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) tramite il proprio Consiglio per i diritti umani ha rilasciato, il 12 marzo del 2021, una dichiarazione in cui condanna le persecuzioni inflitte dal regime egiziano a giornalisti, avvocati, attivisti e oppositori politici. In particolare la dichiarazione evidenza negativamentela prassi delle autorità egiziane di classificare quali atti di terrorismo, ogni azione pacifica ma critica nei confronti del regime di Al-Sisi intrapresa dalla società civile. Nonostante gli sforzi intrapresi dagli stati tramite l’Unione Europa e l’ONU, l’efficacia dei risultati è inesistente. Sia la risoluzione del Parlamento europeo, che la dichiarazione del Consiglio ONU sono di natura non vincolanti, ossia non esercitano alcun potere coercitivo sull’Egitto. Di fatti, all’interno della comunità internazionale, il principio della sovranità nazionale garantisce a qualsiasi stato un potere di governo esclusivo e libero nelle forme, nei modi e nei contenuti. Il Diritto Internazionale tenta di limitare il potere di governo specialmente tramite la promozione della tutela della dignità umana, coinvolgendo gli stati in una serie di prassi consuetudinarie, dichiarazioni, carte e convenzioni universali volte alle protezioni dei diritti umani. Ma l’esclusività e la libertà di uno stato di esercitare il potere di governo sul proprio suolo nazionale gode di una forza coercitiva superiore rispetto a quella del Diritto internazionale. Per cui nei regimi militari, come quello egiziano, gravi e continue violazioni dei diritti umani risultano inevitabili e l’arbitrarietà del regime vince sui valori della comunità internazionale, il cui potere è limitato dal principio di non ingerenza negli affari interni di uno stato. Dunque Patrick e Ahmed insieme ad altre 1600 persone, le quali secondo le stime di Amnesty International sono detenute nelle prigioni egiziane senza aver affrontato un processo, continueranno a rimanere in carcere dove rischiano di morire se l’Italia, l’Europa e le Organizzazioni internazionali non intraprendono misure diplomatiche più incisive. Molti attivisti e parlamentari hanno suggerito il conferimento della cittadinanza italiana a Zaki e un conseguente intensificarsi delle trattive tra le rispettive ambasciate. Il tempo risulta un elemento fondamentale nella vicenda, strumento che ci permetterà anche di capire se l’Italia sarà in grado di acquisire autorevolezza nelle relazioni con l’Egitto, principale cliente per l’industria italiana delle armi e dell’energia. Carla Macrì


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POKER HOLD’EM

GIOCO

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É calabrese il Re del Poker Hold’em GIORGIO DE FILIPPIS Per sapere tutto di tutto sul Texas Poker Hold’em non serve andare in Nevada, basta fare rotta su Chiaravalle Centrale, nello studio di un architetto imprenditore che ha acquisito fama mondiale sedendosi ai tavoli di vari continenti: Salvatore Donato, indicato, da alcune riviste specializzate, come “il Fiorentino Donato” Come mai? Ho studiato a Firenze e in Toscana mi sono formato anche per quanto riguarda il gioco, ero conosciuto nei circoli fiorentini. Da universitario il giovedì mi dilettavo partecipando a dei tornei che all’epoca rappresentavano, in Italia, una novità. Erano gli anni 2000 e le trasmissioni televisive sul poker hold’em venivano seguite da moltissime persone, con grande interesse.

Per il poker sportivo è stata avanzata anche la proposta di inserimento tra le discipline olimpiche. Il Texas hold’Em è una variante del classico gioco del poker? E’ una versione molto particolare, una competizione nella quale ci si destreggia tra matematica e psicologia. Un vero e proprio gioco di abilità dove è fondamentale anche saper leggere le espressioni del volto. I più bravi diventano frequentatori abituali dei tavoli più importanti e sono conosciuti dal grande pubblico, come gli atleti delle altre attività sportive. Nel vostro gergo lei è un “Fish occasionale”, che sfida gli esperti professionisti facendosi valere ed ottenendo belle soddisfazioni. Tra i professionisti ci sono soprattutto gli statunitensi che, anche grazie ad una specifica normativa fiscale,

possono detrarre i costi e le spese vive. Per quelli come me, al contrario, si tratta di un hobby. Riceviamo piccoli contributi dagli sponsor che, in realtà, sono soprattutto amici che scommettono sulle nostre capacità. A Campione d’Italia sono iniziati i suoi successi importanti. Dopo alcune vittorie in ambito locale, arrivando primo in alcuni “Tornei satellite” ho vinto il “Ticket d’ingresso” per una competizione EPT paragonabile calcisticamente ad una gara di Champions League, la cui quota di iscrizione corrispondeva a 5.300 euro. Poi sono andato a premio e, a Campione d’Italia, ho vinto delle somme importanti. Così, mantenendo sempre basso il target della quota d’iscrizione, ho partecipato acampionati italiani ed internazionali. La vittoria più prestigiosa è stata quella di Londra, con premio in

denaro di parecchie migliaia di euro, che mi ha permesso l’accesso, tramite l’ambito Platinum Pass, al PSPC (Poker Stars PlayersHold’em Championship) tenuto alle Bahamas, una sorta di Campionato del Mondo; una manifestazione molto importante, il cui costo di accesso era quantificabile in circa 30.000 euro. In Italia, questo risultato lo hanno ottenuto soltanto in cinque, due dei quali calabresi. Una vera e propria attività sportiva con tanto di stress e tensione; infatti in precedenza, a Barcellona, solo un malore aveva fermato Salvatore. Era l’agosto del 2018, Stavo per qualificarmi quando, a causa di alcune Tapas che avevo mangiato, sono stato costretto al ritiro. D’estate, in Spagna, evitate di mangiare le Tapas (un sorriso illumina il volto di Salvatore,n.d.r.).


POKER HOLD’EM

Il Texas hold’Em è una versione molto particolare del classico gioco del poker, una competizione nella quale ci si destreggia tra matematica e psicologia. Per sapere tutto su questo gioco basta fare rotta su Chiaravalle Centrale, nello studio di un architetto imprenditore, che ha acquisito fama mondiale sedendosi ai tavoli di vari continenti: Salvatore Donato

E alle Bahamas come è andata? Eravamo oltre 1100 giocatori, il primo premio ammontava a Cinque milioni e mezzo di dollari. Ognuno riceve una “Resta” e quando finisci le “Fiches” sei fuori. Il primo giorno ho giocato in maniera straordinaria, ero quinto nella classifica generale, primo degli italiani. Il giorno successivo non ho avuto fortuna e poco prima di “Entrare in bolla”, cioè di essere nel gruppo che andava a premio, con delle vincite minime da 50.000 dollari in su, sono uscito. Mi è dispiaciuto tantissimo. Mio fratello, ogni Natale mio avversario a poker, afferma che “Il bravo giocatore” vien fuori proprio quandonon arrivano le carte. Nel mio caso si è trattato di un vero e proprio cedimento mentale, dopo tante ore di gioco a volte è possibile. Come negli altri sport, in alcuni momenti conta più la concentrazione che la tecnica. Tornando alla vittoria di Londra lei ha sconfitto un cinese che andava per la maggiore, il favoritissimo Wenbin Chen; il forte avversario come ha reagito? Avevo l’aereo alle sei di mattina ed alle due stavamo ancora giocando. Ho utilizzato molto l’arma psicologica (spesso punto a far “Tiltare” l’avversario) usando sia le carte che la parola: alla fine è caduto in trappola. Ho fatto una giocata “Alla Ronaldo o alla Messi”, fingendo di non avere nulla mentre avevo una mano fortissima: il mio avversario è stato una specie di topolino attirato dal formaggio.(“Ho limpatodue K … lui ha chiuso una doppia… ho settato i K chiamandolo al river …”) Com’ è vista la sua attività sportiva dal mondo esterno? Il poker viene spesso collegato al gioco d’azzardo e questo genera molta diffidenza. In realtà, soprattutto il Texas hold’em è una sana competizione, che fa sviluppare molte qualità e consente di conoscere tante persone: ho fatto amicizie, ho incontrato ed affrontato molti personaggi famosi, del mondo del calcio e della televisione. C’è un preciso codice di comportamento al tavolo di gioco, dove i comportamenti corretti sono apprezzati. Ho imparato a conoscere le persone dallo sguardo e dall’espressione del volto e questo mi è sempre utile anche nella vita di ogni

giorno. Dopo le Bahamas, noi del poker giocato live, siamo stati fermati dal Coronavirus: uno come me che vive queste esperienze quasi come una vacanza rigenerante, non vede l’ora di iniziare di nuovo. Ottenere un nuovo Platinum Pass, il secondo, sarebbe un risultato eccezionale. Spero di riuscirci, così come vorrei, un giorno, disputare le World Series a Las Vegas. I suoi rapporti con il pubblico? In sala è già sufficiente la presenza di varie centinaia, a seconda dell’importanza del torneo, di giocatori; il pubblico segue, attraverso un circuito televisivo interno, i tavoli principali. Nel torneo di Londra, dove eravamo soli, io e due miei amici che mi avevano accompagnato, alla fine, per scaricare l’adrenalina e rispondere ai londinesi che avevano tifato contro, abbiamo cantato l’inno di Mameli! Su YouTube deve esserci ancora il video. In Italia quanti sono i bravi i giocatori di Hold’em? Tanti. A Vibo c’è un mio amico, Salvatore Bonavena (nato a Cessaniti n.d.r.), che è stato il primo italiano a vincere un torneo EPT, nel 2008. Inoltre sono molti i giovanissimi diciottenni che si allenano giocando milioni di mani on – line; poi al tavolo si riconoscono per convinzione e capacità di gestione delle partite, qualità decisiva per partecipare ad un torneo. E’ necessario saper affrontare le varie fasi: alla fine, il montepremi viene ripartito tra un numero limitato di giocatori (il 10/15% dei partecipanti a seconda degli eventi), bisogna saper variare ed adeguare il proprio comportamento seguendo diverse strategie. Ne serve una precisa nella fase iniziale, una diversa per il momento in cui si sta per formare “la bolla dei premiati”, oppure ai tavoli finali. Come si svolge, in pratica, il gioco? Ogni giocatore ha due carte, al centro del tavolo ce ne sono cinque, le prime tre chiamate flop, la quarta turn e, l’ultima, River, in base alle quali si punta e si valuta se e come continuare a giocare. L’ultima domanda, quella dell’”Allinn”: si può dire, ad un giocatore dihold’em, in bocca al lupo? Si preferisce “Good Luck”, buona fortuna, da ridurre, poi a: “GL!”


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GIUSEPPE COLOSIMO

Un “Tesoro” sotto la Mole CULTURA

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GIUSEPPE FIORENZA Giuseppe ha un cruccio: la figlia ha preso un accento tosco-ligure o una cadenza ligure-toscana, il che è lo stesso. Però la figlia vive per i fatti suoi da più di quindici anni e non è che prima parlasse con una cadenza che Giuseppe avrebbe voluto, e cioè almeno un pochino con quella di suo nonno, che era calabro e parlava ancora in dialetto dopo chissà quanti anni trascorsi in Piemonte. Sì, Giuseppe avrebbe voluto che la lingua riconoscesse l’origine della sua famiglia, sì ma, e questo è il colmo, Giuseppe non è… calabrese. È nato a Torino ma è cresciuto col nonno. E il nonno gli ha trasmesso lingua e cultura calabre. E amore per la natura. E la passione per lo scrittore che la Calabria rappresenta più di ogni altro: Corrado Alvaro Nasce così la passione bibliofila, culturale e, diremmo, antropologicamente positiva per il grande scrittore di San Luca, passione che ha portato il nostro eroe a “collezionare” nel corso della sua esistenza volumi e testi rari e introvabili, autentiche rarità bibliofile, che competono degnamente con le più dotate biblioteche in materia. Possiede testi di autori calabresi e meridionali, reperti giornalistici e documenti storici e tutte le prime edizioni delle opere di Corrado Alvaro. Non basta. Ce lo facciamo spiegare da lui. Giuseppe, come è nata questa passione? Quando rubai un libro in una libreria di via Po, era Gente in Aspromonte – Garzanti – 1972. Veramente, era un esproprio proletario, come si diceva allora. Mi aveva avvinto la storia della rivolta del pastore Antonello Argirò contro i Mezzatesta di San Luca. Questa passione affonda le radici in qualcos’altro. Che cosa? Affonda nel vissuto di mio nonno Peppe, il poeta contadino che partì da Soveria Mannelli, un paese della Sila piccola, per non patire la miseria che dilaniava la vita della sua Calabria e non subire le ingiustizie sociali. Allora, Alvaro per te cosa rappresenta? Corrado Alvaro rappresenta il riscatto dalla povertà culturale, sociale dal Sud. Suo padre Antonio, maestro elementare, fu il primo ad aprire il varco dell’emigrazione per studio. Corrado Alvaro con i suoi due fratelli furono mandati a studiare fuori dalla regione. La tua passione, e quindi Alvaro stesso, è uno specchio del calabrese reale o ideale? E’ uno specchio del calabrese reale perché da allora molti giovani lasciano la Calabria per realizzare i loro sogni, per conquistarsi la dignità che perdono quando optano per la “restanza”. Giuseppe, qual è stato il giorno più bello della tua vita (a parte quello relativo ad affetti familiari)? Quando dopo quarant’anni di ricerca sono riuscito a far entrare nella mia collezione il libro “Gente in Aspromonte – Edizione Le Monnier – 1930 di Corrado Alvaro” Qual è il testo più raro che possiedi in quella che tu preferisci chiamare la mia collezione (e non biblioteca), come se fosse una vera collezione quasi di antiquariato di veri reperti storici? Le poesie Grigioverdi del 1917 edite da B.Luc – Roma con dedica di Corrado Alvaro alla Contessa Ottavia Puccini sua madrina di guerra, poiché Alvaro prese parte al primo conflitto mondiale del 19151918. Quel libro ha il suo pregio perché apparteneva alla libreria di Umberto Saba di Trieste. Solo dieci anni fa, Vito Teti, Gilberto Floriani e Massimo Alvaro scoprirono nel Fondo Lico alcune lettere di Alvaro che anticipava l’uscita della sua raccolta di poesie che le avrebbe donato: questa copia in mio possesso è quella della Contessa Ottavia Puccini di Impruneta. Nel Sistema Bibliotecario Vibonese viene custodita la lettera, nella mia biblioteca il libro oggetto di dono. E poi sono in possesso di un biglietto autografo di Corrado Alvaro, in cui si scusa di non poter aderire ad un invito causa la precarietà della sua salute. Alvaro morirà otto mesi dopo. Giuseppe Colosimo è nato a Torino ma le sue radici sono calabresi ed è orgoglioso di mantenerle. Vorremmo che qualche iniziativa, magari istituzionale, provvedesse a valorizzare quel vero e proprio tesoro che ha accumulato nel corso della sua vita, attraverso la passione di cui abbiamo detto, ma dubitiamo. Le istituzioni sono affaccendate in altre faccende ben più importanti!

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Quando rubai un libro in una libreria di via Po, era Gente in Aspromonte – Garzanti – 1972. Veramente, era un esproprio proletario, come si diceva allora.Mi aveva avvinto la storia della rivolta del pastore Antonello Argirò contro i Mezzatesta di San Luca.

ER TRILUSSA DI STILO

LI PENZIERI DER PAPA Er Papa dà erbongiorno a la giornata co un penziero più granne d’un colosso. Scegne dar letto addolorato e scosso perché la gente ha l’anima addannata. Poi va in pianelle e co ’no sciallo addosso se fa ’napisciatina risicata, pe via che cià la pròstata abbottata, e in prèscia in prèscia smove er culo grosso. E va a dì messa, prega in ginocchione e azzecca che je frulla in ner cervello ner mentre che sta a dà le commugnone!? Pe métte a posto l’animacce sporche penza a piazza der Popolo e a Castello ar tempo che s’arzaveno le forche. Giorgio Bruzzese

Calabresi, brava gente Ogni forestiero che parla, scrive, dice del calabrese e della Calabria o che parlava, scriveva, diceva del calabrese e della Calabria corrisponde e corrispondeva a un vero e proprio pregiudizio. Ora noi vorremmo rovesciare questo schema, offrendo ritratti di calabresi che si sono distinti e si distinguono in ogni campo del sapere o della vita civile, sociale e culturale italiana o internazionale

Tempo fa abbiamo collaborato con la Riviera nel delineare una cronaca che tendeva a definire un luogo comune stereotipato, da parte di ogni forestiero che parla, scrive, dice del calabrese e della Calabria o che parlava, scriveva, diceva del calabrese e della Calabria e che corrisponde e corrispondeva a una definizione astrusa, ma ben radicata come un vero e proprio pregiudizio che in un abstract della pubblicazione che poi ha costituito l’oggetto di quegli articoli, ci inquadrava in uno schema di questo tipo: Siamo “Vivi ed elastici o facinorosi per esser mal governati”? Siamo “Pittoreschi o i fustigatori di Cristo”? Siamo “Rozzi, queruli di mala fede, servi degradati, fieri, iracondi testardi e impavidi o pieni di senso estetico delicatissimo”? Siamo “Vilissimi o dottissimi”? Ci è capitato spesso di sentire, sempre sull’onda di quel pregiudizio di cui sopra, commenti salaci e fastidiosamente tragici specie per noi che viviamo fuori dalla nostra terra di origine di quanto siano bravi i calabresi, anzi di come si possa essere bravi nonostante si sia calabresi. Ora noi vorremmo rovesciare questo schema ed, senza fare facile ironia, esporre una giusta e misurata provocazione, dare ritratti di calabresi appunto bravi, ovvero figure regionali che si sono distinti e si distinguono in ogni campo del sapere o della vita civile, sociale e culturale italiana e/o internazionale. Ma questo nella vita normale di ogni individuo, che svolge la propria attività con professionalità e responsabilità, non perché è balzato ai remunerativi in ogni senso onori della cronaca per qualche fatto non sempre, ma solo formalmente eccezionale. Siamo sempre stati affascinai da una definizione di quello che dovremmo essere, noi figli di questa terra, coniata dal Professore Augusto Placanica, che è quella di sentirsi “Calabresi in idea”, una felice espressione che identifica la calabresità non come un limite, ma come un carattere positivo. Ecco, questa rubrica avrà per noi il valore di rilanciare tutto ciò che è la nostra Storia con la S maiuscola, perché ci faccia riconoscere appunto tali: Calabresi in idea! GF


GIORNATA PER L’UNIVERSITÀ CATTOLICA

Un secolo di storia davanti a noi

Oggi si celebra la 97.ma Giornata per l’Università Cattolica del Sacro Cuore, che avrà come tema la frase, logo del centenario, “UN SECOLO DI STORIA DAVANTI A NOI”, un augurio per quel che l’Università potrà realizzare ancora. La celebrazione di questa giornata mira a richiamare il ruolo e l’importanza dell’Università Cattolica nel terzo millennio, nella certezza che continuerà l’affascinante compito di educare e formare le nuove generazioni Oggi si celebra la 97.ma Giornata per l’Università Cattolica del Sacro Cuore, come sempre promossa dall’Istituto Giuseppe Toniolo, ente fondatore dell’Ateneo e questo anno avrà come tema la frase, logo del centenario, “UN SECOLO DI STORIA DAVANTI A NOI”. Qualcuno potrebbe chiedersi che senso ha la celebrazione di questa giornata nell’attuale momento storico, fortemente segnato da una pandemia che ha sconvolto il mondo. È indiscutibile che questo anno celebreremo la Giornata dell’Università Cattolica con uno stato d’animo particolare; Il Covid-19 ha determinato uno sconvolgimento epocale, creato disorientamento in tutti e consapevolezza che nulla sarà come prima, ma proprio per questo bisogna guardare oltre l’emergenza e creare modelli innovativi sociali, economici e soprattutto educativi come l’Università Cattolica ha sempre fatto nei suoi 100 anni di storia . Alla legittima domanda dà risposta la frase scelta per il logo del centenario “Un secolo di storia davanti a noi”, che se apparentemente potrebbe apparire conclusiva di un percorso, in realtà segna l’inizio di un nuovo secolo di storia e rappresenta un augurio per quel che l’Università potrà realizzare ancora e anche consapevolezza delle responsabilità nuove che si profilano per il futuro, per la svalutazione sociale delle conoscenze e dalle nuove forme di umanesimo, determinate dai cambiamenti del nuovo contesto. Anche i Vescovi italiani nel loro messaggio per la Giornata universitaria 2021 ci aiutano a comprendere il significato e l’importanza della celebrazione; essi, infatti sottolineano che, proprio in questo tempo, “Fare tesoro dell’esperienza passata costituisce la migliore premessa per affrontare il futuro che si presenta incerto e gravido di trasformazioni epocali“,ed evidenziano la necessità della formazione di professionisti che “Con profonde convinzioni morali e con qualificate competenze scientifiche possano contribuire a realizzare quello sviluppo sostenibile di cui il nostro paese e l’intera umanità hanno bisogno” . L’istituzione della Giornata per l’Università Cattolica è stata voluta dal Papa Pio XI, che da arcivescovo di Milano, il 7 dicembre del 1921 aveva tenuto il discorso per l’ inaugurazione dell’Università, a lungo sognata e desiderata dai cattolici italiani, in modo particolare dal beato

Giuseppe Toniolo, figura storica del movimento cattolico italiano, che nel settembre del 1918, sul letto di morte, affidò l'impegno di fondare, "Una Università dei cattolici italiani", a padre Agostino Gemelli e ad Armida Barelli. Padre Gemelli, accogliendo la richiesta del Toniolo e con la benedizione di Papa Benedetto XV, insieme a Monsignor Francesco Olgiati, Ludovico Necchi e,soprattutto, con iI determinante supporto di Arnmida Barelli, creò le condizioni per la nascita del nuovo Ateneo; superando lo scetticismo che aleggiava nei confronti dell’ambizioso progetto, istituì le prime due facoltà: Scienze sociali e Filosofia e il 7 dicembre 1921 inaugurò, nell’Aula Magna, della nuova sede, l’Ateneo dei cattolici italiani. Fu proprio la lungimiranza di Armida Barelli, cassiera dell’Ateneo, a proporre al papa Pio XI l’istituzione della Giornata per l’Università Cattolica, alla luce dell’esperienza già fatta a Milano. Pio XI approvò la proposta e indisse ufficialmente, a partire dal 1924, la prima «Giornata universitaria», volta alla raccolta di fondi per sostenere l’Università Cattolica; da quella data, per decisione e volontà di tutti i Papi che si sono avvicendati sulla cattedra di Pietro, in tutte le Diocesi d’Italia, ogni anno

si celebra la Giornata per l’Università Cattolica del Sacro Cuore. Oggi, quell’Ateneo che, a cento anni dalla fondazione, ha 5 sedi, 12 facoltà e oltre 45 mila studenti e rappresenta una delle istituzioni accademiche e culturali più importanti non solo a livello nazionale ed europeo, ma anche a livello internazionale, testimonia concretamente che nei 100 anni di vita, di fronte alle sfide, confidando sul sostegno economico dei cattolici italiani, ma soprattutto sul Sacro Cuore di Gesù, grazie alla lungimiranza e alla straordinario impegno dei suoi fondatori e di tanti cattolici italiani, non si è mai arreso; infatti, inaugurato nel 1921, ha saputo passare dalla triste fase iniziale degli anni Venti all’entusiasmo del dopoguerra, dal radicamento nella realtà italiana negli anni sessanta, alla internazionalizzazione degli anni Duemila. La celebrazione della Giornata Universitaria di questo anno ha però una connotazione particolare per la felice coincidenza con la beatificazione di Armida Barelli nella ricorrenza dei 100 anni della fondazione dell’Ateneo; essa non vuole affatto essere rievocazione nostalgica di un passato glorioso o compiacimento trionfalistico per iI traguardo raggiunto, ma occasione privilegiata

per riflettere sul ruolo svolto dall’Ateneo Cattolico e quanto dallo stesso realizzato in tempi difficili, potrà essere d’insegnamento dal passato e riaffermare nel presente, con lo sguardo rivolto alle mutate condizioni, i valori, la qualità del servizio, gli obiettivi educativi e formativi, per affrontare il futuro che presenta scenari impensati e radicali trasformazioni, partendo dai tradizionali punti di forza, nella consapevolezza che i traguardi raggiunti sono certamente il frutto della qualità dell’offerta formativà, ma anche del legame costitutivo che unisce l’Ateneo alla Chiesa cattolica. Celebrare la giornata dell’Università Cattolica significa anche rinsaldare il profondo legame tra la Chiesa e l’Ateneo cattolico che tetestimonia con le sue scelte in campo pedagogico, sociologico e scientifico di aver recepito anchele istanze del Papa riguardo il Patto Educativo globale e il Patto per ripensare l’economia, per sviluppare una visione antropologica integrale, per contrastare la frammentazione e la disgregazione sociale che, purtroppo, caratterizzano questo nostro tempo a livello individuale, familiare sociale, per continuare a rivolgere la propria azione educativa e formativa soprattutto ai giovani, che cercano maestri che sappiano aiutarli a maturare dal punto di vista umano, professionale, culturale e sprituale per essere protagonisti del futuro. Il tempo della pandemia, difficile è necessaria la presenza di Istituzioni quali l’Università Cattolica che, ancorata al passato, ma radicata nell’oggi della storia, rinnova l’impegno pedagogico e didattico e la ricerca scientifica per formare uomini e donne capaci di cogliere le sfide del mutato contesto storico, preparandoli a rifuggire, come afferma Papa Francesco, “La tentazione della rigidità che nasce dalla paura del cambiamento”. La celebrazione di questa giornata mira a richiamare il ruolo e l’importanza dell’Università Cattolica nel terzo millennio, nella certezza che continuerà l’affascinante compito di educare e formare le nuove generazioni, sarà sempre palestra di sapienza dove il sapere si trasmette non per finalità esclusivamente accademiche, ma per diventare ragione di vita e fonte di scelte coraggiose, indispensabili nell’attuale contesto storico e sociale. Maria Carmela Ferrigno Delegata per l’UniversitàCattolica Diocesi di Locri-Gerace

FRUTTI DIMENTICATI

Pero Garofano e Cannella di Motticella PIRUS COMMUNIS L. FAMIGLIA ROSACEE In riferimento alle varietà dei peri, ogni territorio, anche quello più circoscritto aveva una propria particolarità, ed offriva ai propri abitanti delle specialità non presenti altrove. Alcune varietà poi riuscivano ad occupare spazi più ampi, marcandoli con il proprio nome, anche se talvolta poteva capitare che esse variavano nel nome, ma non nelle caratteristiche del frutto, spostandosi addirittura di pochi chilometri. Questo era il caso del pero Maluni tipico di Brancaleone, Staiti, Bruzzano, Motticella e Ferruzzano, ma spostandosi più ad est, già nel comune di Caraffa del Bianco, Sant’Agata, Casignana e Bianco, lo stesso veniva denominato pero Conte; a Samo veniva chiamato con ambedue i nomi. Nel comprensorio di Bova, che comprendeva anche Africo, era assente tale varietà, mentre quella più diffusa, tra la Bovesia, fino all’area di Bovalino, era la Licciardùni denominata anche d’inverno, i cui frutti prima della diffusione della mosca della frutta, quando maturavano, stesi sulle incannicciate nei bassi, erano deliziosi. Da Brancaleone la bella varietà Carampulellu avanzava con pochi esemplari verso le contrade di Palizzi, Bova, poi si infittiva nelle campagne di Condofuri diventando frequentissima sull’altipiano di San Pantaleone, frazione di San Lorenzo insinuandosi in

tutta la vallata del Tuccio, raggiungendo tra le varie contrade l’altipiano di Egua. La varietà che più era diffusa, in provincia di Reggio, sulla fascia ionica, dall’area di Bovalino fino oltre Condofuri, era la Spinella i cui frutti erano colti in autunno, al tempo della vendemmia, che cominciava ai primi di ottobre e venivano stesi nei bassi su incannicciate e sulle “Prazzìne” costituite da steli di ginestra stretti fra coppie di canne. A Motticella, naturalmente, numerose erano le varietà presenti anche in altri territori, però alcune la tipicizzavano per la loro unicità, bontà e bellezza. Questa volta, la nostra indagine parte da Motticella e raggiunge la provincia d’Imperia e specificamente l’orto preziosissimo del bravo specialista in acquerelli Mico Marino, che ha lavorato in passato nel settore dei fumetti con una società editrice francese, poi ha collaborato con l’editore Sergio Bonelli e ha addirittura meritato una scheda biografica sul famoso fumetto Tex Willer. Il suo orto di 800 metri quadri è denso di biodiversità e tra le varietà di peri calabresi, spiccano il pero Maluni, l’Angelica e la Garofano e Cannella. Esse sono amate e diffuse da Mico tra i suoi amici liguri e si stanno facendo onore per la loro squisitezza e dell’ultima ha voluto raccontarmi la storia ed inviarmi la foto. Da bambino con i suoi coetanei andava a caccia di frutta in estate, come era consuetudine fino agli inizi degli anni sessanta e ciò era tollerato da tutti i padri, perché sapevano che tra le bande di cacciatori c’era-

no anche i propri figli. I bambini conoscevano già il periodo di maturazione dei frutti che variavano dai peri, alle more, ai meli, all’uva eccetera. Mico si ricorda un percorso interessante, che partendo da Motticella s’indirizzava verso i bagni termali creati dai monaci basiliani più di mille e duecento anni addietro e rimasti attivi e frequentati fino agli inizi degli anni cinquanta del Novecento.

Appena si usciva dal paese, iniziava una serie di vigne che ospitavano anche tante piante da frutto e in particolare si ricordava il podere dell’insegnante Domenico Barbaro, ora in pensione. Esso era il più interessante e ricco di ogni ben di Dio, un vero e proprio Eden o secondo il detto popolare, un vero e proprio “ Ortu d’u Dragu”, in quanto secondo le fiabe nell’orto dell’Orco, cresceva ogni pianta desiderabile. Il podere era recintato con siepi di piante spinose, fitte e impenetrabili, ma i bambini trovavano sempre un piccolo varco in cui s’infilavano e la prima pianta che incontravano, densa di frutti nel tempo dovuto, era un esemplare splendido di Garofano e Cannella. Essa era rimasta nei suoi ricordi, per cui una decina di anni addietro pregò un suo amico di procurargli un innesto, che inserito in un buon portainnesto, si è trasformato in una bella pianta di pero. Le pere, di piccola pezzatura maturano nella seconda quindicina di giugno, hanno talvolta una forma non omogenea e sono colorate di un rosso tendente al rosa e di un giallo molto intenso; possiedono un lungo peduncolo non sempre regolare, mentre la loro polpa è compatta, dolce, croccante e molto aromatica. Attualmente il podere è stato rilevato dalla famiglia Strati, che ha duplicato la pianta nel pezzo di terra delimitato dalla provinciale, poco più di un centinaio di metri prima di arrivare nel paese. La foto è stata scattata da Mico Marino. Orlando Sculli


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NUOVI CALABRESI

Dal Sacro Monte all'Aspromonte STORIE

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Natale Bianchi, ormai ex parroco della chiesa di San Rocco a Gioiosa Jonica, è stato animatore delle prime comunità di base in Calabria. Da prete imperfetto si trasformò in organizzatore di cooperative dove, negli anni, hanno lavorato circa 200 persone, raccontato nel giornale della sua Città

«Il coraggio uno non se lo può dare», dice don Abbondio nel capitolo XXV dei Promessi Sposi. E per scegliere di restare nella Calabria degli anni '70, soffocata dalle nuove generazioni di picciotti che stavano modellando un volto più feroce che mai alla 'ndrangheta, un po' di coraggio bisognava averne in proprio. Soprattutto se il "Don" in questione, che non si chiamava Abbondio, ma Natale, era varesino di nascita, aveva studiato a Ivrea dai Salesiani, a 20 anni aveva fatto il missionario in Asia. E nel declinare di quegli anni '70, sospeso "a divinis", divenne un prete spretato, un prete "imperfetto". Non bisognava essere necessariamente un don Abbondio, a quel punto, per desiderare di mollare tutto e magari tornarsene nella più confortevole Varese della Ignis e della Mazzucchelli. Invece don Natale Bianchi (che ogni tanto a Varese ci ritorna a trovare i fratelli sparsi tra Morosolo, Besozzo e Capolago), ormai ex parroco della chiesa di San Rocco a Gioiosa Jonica e animatore delle prime comunità di base in Calabria (era arrivato nel 1968) decise di restare. Da prete imperfetto si trasformò in organizzatore di cooperative dove negli anni hanno lavorato circa 200 persone confezionando camicie («Nei tempi d'oro - ricorda adesso - ne producevamo fino a 50mila al mese per Benetton»), creando un'alternativa concreta all’economia di marca mafiosa. Oggi a 74 anni, pensionato, sposato, padre di un figlio, radicato più che mai nella sua Gioiosa Jonica dice di quella scelta: «Venir via sarebbe stato come abbandonare il campo di battaglia e tradire quelli che avevano creduto nell'esperienza che avevamo avviato. Anche se non è mai stato facile vivere accerchiati». Quella del prete imperfetto di Gioiosa Jonica è una storia che riemerge a tratti come un fiume carsico da libri e vecchi filmati. Così qualche giorno fa Rai Storia ha ritrasmesso un'inchiesta del 1977 sulla 'ndrangheta realizzata in Aspromonte per "Tg2 Dossier" dal giornalista Giuseppe Marrazzo. Tra i tanti testimoni ripresi dalle telecamere c'era anche lui, don Natale, attorniato dai suoi parrocchiani, in pantaloni e maglietta («Non ho mai portato la tonaca», rivendica adesso) davanti all'altare della chiesa dalla quale aveva promosso una delle prime comunità di base in Italia che cercava di opporsi alla sempre più opprimente sottocultura mafiosa: «Avevo

portato le donne in piazza a parlare pubblicamente - racconta - soprattutto nei giorni della festa patronale che era (ma è ancora oggi in tanti paesi del Sud) un'occasione di visibilità per i capibastone. Noi abbiamo cercato di emarginare quelle persone dalla gestione della festa e ne abbiamo subito le conseguenze, con minacce e attentati come quando ci hanno bruciato un pullmino». A quell'epoca a don Natale era stato intimato dal vescovo di Locri di lasciare la chiesa che invece lui, con i suoi parrocchiani, aveva occupato: «A un certo punto - rammenta - vennero i carabinieri a sgomberarci». Un paio d’anni dopo quel servizio di "Tg2 Dossier" l’avventura di don Natale, oppositore delle cosche, trovò spazio nel libro-inchiesta di Corrado Stajano, Africo, (Einaudi 1979). E poi in pubblicazioni recenti come il volume scritto a quattro mani da don Giacomo Panizza (altro prete antimafia di origini bresciane) e Goffredo Fofi, Qui ho conosciuto purgatorio, inferno e paradiso, (Feltrinelli - 2011) e nei preti e i mafiosi, storia dei rapporti tra mafie e Chiesa cattolica di Iasaia Sales (Baldini Castoldi Dalai - 2010). Erano, quegli anni 70, l'epoca di

un altro prete, don Giovanni Stilo, parroco di Africo Nuovo, controverso personaggio ritenuto colluso con le cosche, molto influente nella Chiesa della Locride (don Stilo venne arrestato nel 1984 per associazione mafiosa: fu condannato in primo e secondo grado, ma le sentenze vennero annullate in Cassazione. Nel maggio 1989 fu assolto con formula ampia dalle accuse nel successivo processo a Catanzaro). Di don Stilo, il prete imperfetto Natale Bianchi ha un ricordo personale molto vivace: «Diceva che la mafia non esisteva, che l'avevano inventata i comunisti per imbrogliare la povera gente. A me in un'occasione disse che, se voleva, avrebbe potuto schiacciarmi come una formica. Una frase pronunciata davanti ad altri sacerdoti nella sede della diocesi. Rimasi stupefatto dal silenzio generale che ne seguì». E nel libro di don Giacomo Panizza (a pagina 220) si legge a questo proposito: “ (...) don Natale Bianchi accusava don Stilo di trafficare con potenti corrotti e io mi meravigliavo che la Chiesa li lasciasse scontrare senza prendere posizione. Io riflettevo tra me se non fosse perché don Natale veniva da fuori e, pertanto, come me, aveva particolari diffi-

coltà a cogliere certe peculiarità della mentalità locale». Certo venire da fuori e aver fatto esperienza in Tailandia e in India poteva avere un suo riflesso: «In Oriente - spiega oggi Natale Bianchi - mi confrontavo con altre religioni che erano maggioritarie, mentre io venivo considerato come un corpo estraneo. Il che mi costringeva a verifiche e a interrogarmi sul mio cattolicesimo, mentre in Italia la Chiesa faceva bottega del sacro». Ma quelli non erano solo gli anni di don Stilo e di qualche pulmino bruciato. Il 12 marzo di 35 anni fa, proprio a Gioiosa Jonica, venne assassinato a colpi di lupara Rocco Gatto, un mugnaio, lui sì comunista, che non voleva pagare il "pizzo" e che firmò la sua condanna a morte denunciando gli estorsori. Don Natale lo conosceva bene: «Organizzai delle manifestazioni per far sì che questo delitto non cadesse nel silenzio, così come feci quando ero vicerettore del seminario di Locri per altri delitti di ’ndrangheta, cercando anche di coinvolgere i ragazzi delle scuole dove insegnavo. E attirandomi le proteste dei presidi». Oggi, in pensione, Natale Bianchi non ha smesso di lottare. Lo fa attraverso alcuni blog in Internet (il più aggressivo si chiama "Civitas Gioiosa-cittadini attivi") nei quali alterna segnalazioni sul degrado urbano a notizie commentate sui fenomeni di criminalità locale, attirandosi spesso strali e invettive da anonimi dissuasori. Dagli anni ’70 ad oggi la 'ndrangheta è diventata una delle organizzazioni criminali più potenti al mondo e ha messo solide radici anche nella provincia di Varese come hanno certificato alcune clamorose inchieste della magistratura (da "Isola Felice" della metà degli anni '90 all'ultima operazione, "Infinito", di un anno e mezzo fa) e come confermano i lampi quotidiani della cronaca spicciola tra arresti e sequestri di beni. «La ’ndrangheta in passato è stata sottovalutata. Intanto lei si adeguava ai cambiamenti e ai posti nuovi come Varese, il Nord Italia o il resto d’Europa - sospira Natale Bianchi -. Qui se ti rubano la macchina, parlando con la persona giusta magari la ritrovi. Al politico che vuole andare in Parlamento e ha bisogno di voti, fa trovare i voti. E a chi ragiona in termini di affari, fa trovare buoni affari». La Prealpina Quotidiano di Varese (30 marzo 2012)


COVID E D’INTORNI

Siamo un paese di ingrati POSTA

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Un anno fa arrivò una squadra di medici cubani per offrire il proprio aiuto al nostro paese colpito, in modo violento dal coronavirus. A un anno di distanza, la riconoscenza per la solidarietà dimostrata, espressa a parole, da parte del governo italiano si traduce in ingratitudine votando, insieme ad altri paesi dell’UE, contro la risoluzione sulle ripercussioni negative delle sanzioni economiche applicate da alcuni paesi ad altri, tra cui figura anche Cuba E’ proprio vero che la memoria degli italiani è molto ristretta e serba solo il ricordo del risultato dell’ultima partita della squadra del cuore. Siamo un popolo di ingrati e buontemponi e i politici che governano il paese sono una casta di parolai e ciarlatani superpagati alle dipendenze delle grandipotenze del capitalismo mondiale e, soprattutto in tema di politica estera non si è sufficientemente autodeterminati. Era appena un anno fa, in piena pandemia quando in Italia, sebbene il virus colpiva anche loro, sotto lo slogan coniato dalComandante Fidel Castro ‘Medici non bombe’, arrivò una squadra di medici cubani per offrire spontaneamente il proprio aiuto e la propria solidarietà al nostro paese colpito, in modo violento dal coronavirus in particolar modo in Lombardia. La Brigata Henry Reeve composta da un gruppo di 53 tra medici e infermieri era giunta per sostenere e collaborare con i colleghi professionisti italiani colti impreparati con una sanità collassata, negli anni, per colpa di scelte politiche scellerate, in questa dura battaglia che persiste ormai da oltre un anno. Per amore di verità, bisogna dire che l’isola caraibica i suoi medici li manda dappertutto dove c’è bisogno, nonostante da più di 60 anni sia sottoposta a un blocco economico spietato e disumano da parte dell’imperialismo yankee. Perché la piccola grande Cuba incarna lo spirito dell’umanesimo, lasciato in eredità dal grande medico

rivoluzionario Ernesto Guevara convinto, che la salute deve essere un diritto prioritario che richiede politiche sociali, solidarietà e soprattutto gratuità e la grande formazione sanitaria dei cubani con cure e programmi di prevenzione è stata riconosciuta e attestata dall’OMS. Pur ammettendo che i medici di base e la medicina sul territorio è l’unica soluzione di lungo termine in fatto di cura e prevenzione, è altrettanto difficile per gli occidentali ammettere che la sanità cubana ne è una eccellenza planetaria. A un anno di distanza, la riconoscenza per la solidarietà dimostrata, espressa a parole, da parte del governo italiano, probabilmente sull’onda della paura del virus, non viene rinnovata nei fatti, ma si traduce, addirittura in ingratitudine, votando, insieme ad altri paesi dell’UE e nel silenzio assoluto della grande comunicazione asservita, contro la risoluzione presentata al Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite sulle ripercussioni negative delle sanzioni economiche applicate da alcuni paesi ad altri tra cui figura anche Cuba. La sottomissione agli interessi degli Stati Uniti è da tempo sotto gli occhi di tutti e non ha limiti. L’Italia e questa ne è la dimostrazione, è solo una colonia del padrone USA e l’Europa è una fedele alleatanella nuova guerra fredda contro i nemici storici. Perdonaci Cuba! Pasquale Aiello

Mafioinquisitori e dintorni I mafioinquisitori si sono, da anni, riuniti in cosche antimafia. Attraverso strutture create dallo Stato per assicurare Giustizia e sicurezza ai Cittadini, trattano, rimettono in libertà, finanziano con centinaia di migliaia di euro, assassini, rapinatori, spacciatori di stupefacenti in cambio delle loro calunnie per colpire uomini e partiti politici. Nel SUD, i mafioinquisitori non hanno limiti nella gestione di un potere coloniale con quotidiani rastrellamenti, arresti e immediata applicazione della tortura della gogna: Magnificati in conferenze stampa, sempre quotidiane per evitare crisi di astinenza, che esaltano e fanno dimenticare per qualche ora ai mafioinquisitori i propri complessi di inferiorità. Che si estrinsecano in particolare negli attacchi agli Avvocati, ai Magistrati con funzioni giudicanti, ai Giornalisti e a tutti i Cittadini che continuano a denunciare gli abusi delle cosche antimafia operanti nel MEZZOGIORNO d’ITAGLIA, ultima colonia europea. L’inconsistenza umana e culturale della classe politica attuale ha reso possibile lo strapotere giudiziario degli inquisitori. Mascherate da antimafia, le cosche inquisitorie nel SUD sono il più efficiente braccio armato del potere. Prevaricano sul Parlamento e favoriscono la definitiva presa del potere dei mafioinquisitori. Con l’uso delle truppe scelte di pentitisti

associati a delinquere, strapagati e armati di lupare caricate a calunnie invece che a pallettoni. Tra le prime vittime ci sono i Giudici che svolgono funzioni giudiziarie e respingono gli inviti a schierarsi con la dittatura mafioinquisitoria. Quei Giudici, respingendo l’offerta di immediati benefici, continuano orgogliosamente e tra difficoltà crescenti ad assicurare una Giustizia indipendente e imparziale. Il quadro che si presenta vede i mafioinquisitori porre definitivamente fuori gioco il Parlamento e la Democrazia, violare la Costituzione anche amnistiando direttamente - usurpando ancora così le funzioni del Parlamento - sicuri responsabili di migliaia di crimini, messi in libertà e comunque pagati e beneficati con sconti di pena e trattamenti di favore per le calunnie contrattate con le cosche antimafia. Contro politici scomodi, Avvocati, Giudici indipendenti e imparziali, Giornalisti, Cittadini ancora capaci di indignarsi e di denunciare lo strapotere illegale delle cosche antimafia, l’uso strumentale del potere di arresto dei Cittadini e di richiedere- stroncandone la carriera- quello di parlamentari ancora capaci di una reazione di dignità. Sono le cosche antimafia che hanno elaborato e attuato la strategia per una totale presa del potere in ITAGLIA, partendo dal SUD e oggi impediscono al Parlamento di votare un’amnistia generale con una

Legge uguale per tutti. Un Parlamento capace di riappropriarsi della propria Dignità non dovrebbe tollerare ulteriormente una tale situazione. A pena della propria sopravvivenza. L’amnistia generale può essere una prima tappa per la rinascita della Democrazia e della Libertà con la riaffermazione della dignità del Parlamento. Eventualmente con la previsione, per i casi più gravi, anziché dell’estinzione dei reati per l’intervenuta amnistia, di una revisione speciale delle sentenze emesse sulla base di dichiarazioni di pentitisti o prevalentemente sulla base delle dichiarazioni di pentitisti. E’ forse un’ultima occasione che si presenta, per la Libertà e per la Democrazia. E per impedire che continuino in ITAGLIA le esecuzioni di condanne a morte mediante suicidio anche di Cittadini che non sono stati neppure giudicati in primo grado o che, scontata la pena, avrebbero dovuto essere liberati. Invece di finire in un circuito di degrado carcerario e giudiziario che condanna ed esegue, mediante suicidio, condanne a morte a costo zero. Un’amnistia generale è la soluzione anche per quegli scempi e non solo e non tanto per riparare ai gravissimi disastri provocati dalla mafia degli inquisitori associati in cosche antimafia supportate da quella dei forcaioli di professione, ma anche perché il Parlamento, unico titolare del potere legislativo per-

ché democraticamente eletto, si riappropri delle funzioni sovrane usurpategli e rioccupando quei territori che gli sono stati sottratti dai mafioinquisitori nascosti nel potere giudiziario. Arrivati al punto da imbastire, ad esempio a Palermo con comica perversione, un processo a “politici” e “mafiosi” per una “trattativa” mai esistita. Ma freudianamente creata per tenere sotto scacco i politici che avessero voluto controllare le trattative effettivamente svolte da trent’anni dalle cosche antimafia con mafiosi, a spese dello Stato. Solo una classe politica di analfabeti o peggio di vili può accettare ancora di farsi sottomettere dalle cosche antimafia dello strapotere giudiziario. Eppure per reagire basterebbe costituire da subito una Commissione Parlamentare d’inchiesta per indagare sugli abusi quotidiani perpetrati, specie nel SUD, con i rastrellamenti e le torture, i patteggiamenti in cambio di calunnie, l’abbandono dei Cittadini ai colpi della normale delinquenza quotidiana contro la quale non trovano alcuna tutela. Dalle indagini della Commissione Parlamentare potrebbe partire la rivolta democratica per il ripristino della Giustizia e della divisione costituzionale tra poteri dello Stato. Giuseppe Lupis Avvocato

Riceviamo e pubblichiamo, pur nell’assoluto rispetto delle posizioni qui manifestate che sono personali e, come tali, non coinvolgono la linea del giornale


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GIOVANNI COSA DICIAMO AI NOSTRI FIGLI? Venerdì mattina la Locride si è fermata per accogliere il Viceministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibile, Alessandro Morelli. Così tutti i sindaci come da copione hanno aspettato con la classica ora di ritardo il nuovo eroe. In primis, il padrone di casa Giovanni Calabrese - qui con il sindaco di Gerace, Giuseppe Pezzimenti, e con la testa che fa capolino il consigliere metropolitano Domenico Mantegna -. Dopo che hanno fatto i loro interventi i vari responsabili della Regione, dell’Anas e il viceministro, e dato che non hanno detto niente di nuovo da vent’anni a questa parte, il sindaco di Locri si è alzato ed ha chiesto al Ministro: Cosa dirò oggi a mio figlio? Che c’è stata fatta sempre la stessa promessa?

THE BLOB www.larivieraonline.com

Il prossimo sindaco di Reggio potrebbe essere donna

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I decani della politica della Locride Sicuramente Cesare De Leo è il sindaco che da più anni ricopre questa carica istituzionale, mentre Giorgio Imperitura è stato il presidente dell’assemblea più duraturo tra tutti i sindaci nella Locride. Per cui possiamo dargli la medaglia di decani dei sindaci di questo territorio, e ad essere onesti anche con loro, visto che tante volte li abbiamo criticati, sono due politici che ci hanno sempre messo la faccia e oggi possono camminare a testa alta.

Ci piace pensare che questa foto, rivista tra qualche anno, possa avere significati diversi. Magari vedremo invertite la parti con la simpatica Tilde Minasi sindaco e il giovane Giuseppe Falcomatà consigliere regionale. Chissà! Oggi li abbiamo visti a Locri e nella Locride, dobbiamo ammettere che tutti e due in questo ultimo periodo sono molto presenti nel territorio. Che sia questo di buon auspicio per un futuro sempre migliore.

Franco sempre sull’attenti

Gabriele ed il virologo

Pubblichiamo questa foto di Franco Candia ripresa da Facebook, perché ci ha colpito la posa e la tenuta seriosa del presidente dell’Anci Calabria come rappresentante della comunità della Locride e di Stignano. Franco ha il merito di avere memoria, così ha ricordato al dirigente dell’Anas, venuto a Locri per la visita del viceministro, che l’accordo di programma di cui parlavano era stato firmato a Roma il 12 aprile del 1999. Si doveva andare avanti e non tornare indietro come invece vorrebbe fare l’Anas. Bravo Franco.

Ci sono persone che si distinguono per le proprie virtù, in questo caso la virtù di Gabriele Alvaro, medico instancabile di Roccella è sicuramente la gentilezza di animo, riconosciuta da tutti. Questa dote gli viene riconosciuta anche da persone famose, come il grande medico dell'Anestesia e della Rianimazione, ormai famoso, Alberto Zangrillo - volto talmente noto da essere già diventato una delle imitazioni preferite di Crozza.

Auguri nonno Trilussa

Vaccino con il sorriso

Auguri a Giorgio Bruzzese, poeta e cantore della nostra terra, della poesia dialettale e della bellezza della parola e della terra di origine. Da oggi anche nonno, con in braccio il suo nipotino Leonardo Bruzzese che molta gioia ha portato nella vita del nostro caro Er Trilussa, poeta che scrive in romanesco come la migliore tradizione della capitale.

Succede anche questo davanti al centro vaccini di Siderno, in una mattina tranquilla che arrivi da Antonimina Mimmo detto “U Priuri”, qui accolto da Sabrina Santacroce in missione come volontaria. Succede che una ventata di allegria sollevi tutti dalla serietà di una pandemia che ci consuma, anche psicologicamente. Quindi viva Mimmo e la sua allegria, perché ci sono personaggi che possono rappresentare più di altri il loro paese e le loro origini, e U Priuri è uno di questi. Storico.

La cacciatrice “Diana”

Il palazzetto dello sport di Siderno prende vita

Questa settimana vi presentiamo “Diana” la cacciatrice del canile di Sant’Ilario, una bellissima cagnolona di 7 anni, sempre attenta e pronta a partire. Diana è un tipico cane che può stare in casa e in giardino o anche all’aperto perché sa come muoversi sempre. Invitiamo chi vuole, a farci pervenire le foto per pubblicizzare i nostri amici a quattro zampe. Nella speranza di ricevere molte mail, ecco l’indirizzo a cui inoltrarle info@larivieraonline.com

La protezione civile ben rappresentata in questo caso dal presidente Maria Bizzantini, con Agostino Baggetta, ex consigliere comunale, sempre attento a promuovere e sostenere le iniziative che vengono portate avanti a Siderno. In questa foto ricordo sono davanti al Palazzetto dello sport, mai aperto ancora, che si sta trasformando in centro vaccini per volontà dell’esercito, della Protezione civile e della regione Calabria. Da martedì dovrebbe partire ed effettuare almeno 700 vaccini al giorno con 10 diverse postazioni.

Registrata al Tribunale di Locri (RC) N° 1/14 EDITORE - No così srl - via D.Correale, 5 - Siderno STAMPA: Se.Sta srl: 73100 Lecce INFO-MAIL REDAZIONE: 0964342198 larivieraonline@gmail.com / www.larivieraonline.com

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DIRETTORE EDITORIALE

ROSARIO VLADIMIR CONDARCURI

HANNO COLLABORATO

Carlo Maria Muscolo, Salvatore Albanese, Francesco Femia, Mario Scali, Pierpaolo Bombardieri, Luigi Sbarra, Franco Martino, Mariateresa Fragomeni, Mimmo Futia, Gaetano Marando, Cosimo Sframeli, Carla Macrì, i Sinistrati, Rosalba Topini, Giuseppe Clemente, Effemme, Vincenzo Amidei, Giorgio Bruzzese, Orlando Sculli, Bluette Cattaneo, Giorgio De Filippis, Giuseppe Fiorenza, Maria Carmela Ferrigno, Pasquale Aiello, Giuseppe Lupis, Giuseppe Romeo e Giuseppe Roma.

Le COLLABORAZIONI non precedute dalla sottoscrizione di preventivi accordi tra l’editore e gli autori sono da intendersi gratuite. FOTOGRAFIE e ARTICOLI inviati alla redazione, anche se non pubblicati, non verranno restituiti. I SERVIZI sono coperti da copyright diritto esclusivo per tutto il territorio nazionale ed estero. GLI AUTORI delle rubriche in cui si esprimono giudizi o riflessioni personali, sono da ritenersi direttamente responsabili.


CALABRESE PER CASO

Alla Fiera della salute RUBRICHE www.larivieraonline.com

GIUSEPPE ROMEO 18 aprile 2021 Ci si anima sempre quando si discute di Sud, a patto di intendersi di quale Sud si parli. Ci sono, infatti, Sud e Sud, mezzogiorni di fuoco o mezzidì offuscati da nebbie perenni, dove nell’indistinto velo disteso da tempo ogni certezza diventa miraggio, apparente manifestazione di una volontà sincera che poi frana quando ci si avvicina troppo al muro del problema non risolto. In questi porti delle nebbie che sembrano aprirsi solo nei mercati elettorali, non vi sono sconti perché tutto è ormai in saldo. Dai trasporti al mondo del lavoro e, per non mancare l’appuntamento con il banco più gettonato visto il periodo, la sanità. In questo assalto ad un banco che sembra non offrire ciò che si intenderebbe trovare, mi sembra che le proteste non siano poi così capaci di penetrare a sufficienza per cercare un po' di luce. D’altra parte ci si dovrebbe chiedere quali luminose e chiare strade sono state percorse nel passato e nel presente, al netto dei commissari di varia estrazione, soprattutto di fronte a chi inforca la via della protesta popolare in una città calabrese che di sanità ne capisce, a quanto metaforicamente sembra, senza chiedersi dove si trovasse negli anni precedenti. In una fiera dai tanti colori, in attesa che si decida in quale banco fare

Mare custode GIUSEPPE ROMA Mosso mare senza squali - prendi questo ricordo lacerante - prima che ribolli nei suoi giorni futuri - e fallo diventare visibile ed eterno - come persecuzione e preghiera - Mare di cartolina - prendi questa spina dorsale - e prima che si spezzi - fanne uno scudiscio peloso di animale mitologico - per i miei pensieri di sesso Mare drogheria - lasciaci un pò di lattuga - non ci ridurre a bestie - e cosi sia. È una colossale bufala che il mare restituisce le cose perdute, dimenticate, affondate, tralasciate. In mezzo alla distesa d’acqua salata, in qualche parte ci sono il mio astuccio portaocchiali e un bracciale d’argento ricordo di un mio remoto onomastico. Sono li tra alghe cozze, pesci fluttuanti, vortici pericolosi e barriere coralline. Non mi è tornato nulla indietro finora. Dobbiamo essere noi attenti, vigili a non perdere le cose, a non lasciarci sfuggire le persone, scivolarci gli attimi o eludere gli incontri. Dobbiamo stare più attenti, di sentinelle in garitta, non solo agli oggetti personali, ma anche alle persone che ci stanno attorno o ci camminano accanto. Sorvegliare i sogni che ci fanno compagnia nelle notti di pioggia e fuori infuria la bufera, scarpe rotte eppur bisogna andare, continuare a procedere il giorno seguente. Manteniamo i sorrisi di chi ci vuole più sfrontati a muovere i

primi baci e carezze, cavolo ora considerati fuorilegge, negati in questo festival macabro di contagio, Non scordiamoci neppure le orme, tutte le orme che lasciamo sulla spiaggia davanti al mare. Ognuno poi fa il suo mestiere, le onde cancellano, le profondità marine nascondono, conservano e noi alle volte perdiamo le cose non solo per distrazione o noncuranza, ma anche per negligenza. C’è poi il non luogo, la zona limite, non più terra, sabbia o battigia, ma neanche ancora mare: la riva. Il confine fra ciò che possiamo essere, siamo o speriamo di diventare. Pensare, credere di essere tutto o niente, soli o parte di un mirabolante creato, Quel luogo dove c’è ancora riva e camminiamo assorti, specie al tramonto, nei nostri pensieri più intimi, più reconditi. Lasciamo orme, segni precisi, ordinati, allineati mentre continuiamo a camminare. Nostra presenza, nostro alito vitale che poi un mare capriccioso repentinamente occulterà, forse ruberà per sempre. Credo, però, che noi, le nostre cose, vicissitudini vengono solo presi in custodia temporanea dall’involucro acquoso, restano cimeli preziosi in teca nelle profondità marine. Ritorneranno, magari rivoltate assieme ad altre cose, nella prossima mareggiata. Resteranno, a futuro monito, solo le cose più belle della vita. La vita nostra, vera che è tempo che passa. Assieme. Insieme.

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l’acquisto migliore, ognuno vende ricette future a chi, oggi, guarda ad un’emergenza che miete vittime dimentico che vittime vi erano anche nel passato, ma l’emergenza probabilmente era considerata rassegnazione affidando alla scaramantica possibilità che toccasse sempre a qualcun altro la speranza di non acquistarne il prodotto sbagliato. In questo triste gioco di proteste, accuse, promesse si consuma quella recita da commedia dell’arte che supera il dramma e che, paradossalmente, rende anche insignificante il nascondersi dietro una sorta di eterogenesi dei fini, grande espressione, dal momento che diventa difficile credere sul quanto di non intenzionalità vi sia stato in azioni intenzionali. D’altra parte, doveva essere il mercato a decidere e sarà il mercato delle prestazioni e delle possibilità diagnostiche a decidere anche in futuro. Un mercato al quale ciò che era pubblico si è piegato da anni ad altre eccellenze senza che gli acquirenti cambiassero banco ma, anzi, tollerassero man mano l’impoverimento dei prodotti offerti da chi incentivava la vendita altrui. In questa fiera tutta calabrese, le piazze sembrano non voler ospitare simili venditori. Ma, dovremmo chiederci come se fossimo Gesù nel tempio, se i farisei della sanità siano ancora tra i sacerdoti a cui vorremmo affidare domani, sulla scorta di nuove offerte, la salute di una terra malata da anni.

la bottiglia del naufrago Francesco Femia L’ucronìaè un genere di narrativa che si basa sostanzialmente sulla premessa che la storia abbia seguito un corso diverso rispetto a quello reale. I precedenti di questa particolare narrazione sono illustri e risalgono addirittura all’opera Ab Urbe condita,nella quale Tito Livio ipotizza che Alessandro Magno per le sue conquiste abbia proceduto verso ovest anziché verso est. Più recentemente lo scrittore Philip K. Dick scrive “La svastica sul sole”, da cui è stata tratta la bella serie “The Man in the High Castl”e (Amazon Prime Video). La tentazione di cimentarsi in un racconto ucronico è forte e, quindi, proviamo a fare partire una storia italiana alternativa. Iniziando dal discorso famoso di Bettino Craxi al Parlamento, riguardo il finanziamento illecito dei Partiti. In quel discorso invitò tutti ad una assunzione di responsabilità e di onestà intellettuale. Nessuno ebbe il coraggio di farlo. Ebbene l’ucronìa parte dall’ipotesi che tutti invece abbiano confessato che il sistema venuto alla luce dalle indagini della Procura di Milano riguardava tutti i partiti. Cosa sarebbe successo in questo caso? Dal punto di vista politico si sarebbe preso atto che una stagione era finita e che bisognava voltare pagina, trovando delle soluzioni politiche e non giudiziarie. Ne sarebbe conseguita una fase non cruenta e non devastante per le Istituzioni, che viceversa ne sarebbero uscite rafforzate senza lasciare ad un altro potere, in quel caso quello giudiziario, un enorme arbitrio nel Paese. Tutti i Partiti, nessuno escluso, avrebbero avuto la possibilità di eliminare le storture ponendo rimedio alla prassi comune della spartizione delle tangenti. Sarebbero spariti gli apparati elefantiaci al

centro come in periferia, i fantasmagorici congressi e i costi della politica assai ridimensionati. E non sarebbe folle immaginare un grande partito socialista dove sarebbero magari confluiti i compagni che a seguito della caduta del muro si dichiararono non più comunisti ma sinceri riformisti. Non ci sarebbe stato un partito creato da un procuratore della Repubblica che invocava i valori, salvo poi scoprire che all’interno valevano poco. Il tycoon milanese avrebbe gridato “Forza Italia” solo allo stadio di calcio e Mubarak non avrebbe mai avuto una lolita per nipote. Di conseguenza, si sarebbe aperta una grande stagione di riforme, compresa quella giudiziaria, che non avrebbe trovato più alibi per non rimodernarsi. Dal punto di vista industriale sarebbero emersi finalmente i capitani coraggiosi che avevano la visione del futuro. Come Raul Gardini, che aveva capito, primo fra tutti, l’importanza dell’Europa. Con lui la chimica italiana avrebbe svolto un ruolo di primo piano, avendo già le strutture necessarie per trasformarsi in chimica pulita. Con lui l’assetto idrogeologico del territorio sarebbe iniziatoe il Paese avrebbe avuto un’industria proiettata in campo internazionale e nel futuro, anziché perdurare nell’impresa fordista. Dal punto di vista sociale non avremmo assistito ad una spaccatura radicale tra i cittadini e la politica con tutto quello che ne è conseguito. E sicuramente Beppe Grillo avrebbe continuato a fare il comico e non il politico comico. Ma soprattutto oggi non staremmo neppure a discutere se era meglio Giuseppi al posto di Mario, perché il primo farebbe l’avvocato e il secondo l’economista. francesco.femia@me.com


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