RIVIERA Nº 18 DEL 02/05/2021

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1 Maggio

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EDITORIALE www.larivieraonline.com

Ieri è stato il Primo Maggio, forse il modo migliore per festeggiarlo sarebbe stato quello di mettere in piedi qualche idea seria sul Recovery Fund, confrontandosi con la gente e con la parte più viva ed impegnata della società. Invece, ancora una volta, saranno gli altri a discutere del nostro futuro anche, perché non esistono più i luoghi di elaborazione e di incontro ILARIO AMMENDOLIA eri è stato il Primo Maggio ed, involontariamente, ho ripensato alle tante giornate trascorse in un clima di festa e di lotta. Molto più spesso la seconda che la prima. Alle vittorie ed alle sconfitte. Ed, a volte, a quelle che ci son sembrate vittorie si sono trasformate in rovinose sconfitte. Ho rivisto le piazze piene e sentivo l'eco lontana dell'Inno dei lavoratori o dell'Internazionale. Il Primo Maggio del 1969 a Melissa per il ventesimo anniversario dell'eccidio. E poi passavano veloci tanti fotogrammi delle tante "Feste del lavoro" a gridare "Nord e Sud uniti nella lotta", "I soldi della NATO al Sud sfruttato", "Il fascismo non passerà", "No al fermo di polizia". Ho rivissuto soprattutto le giornate trascorse sui cantieri di lavoro della forestale, dei consorzi di bonifica (e non solo). Eravamo studenti e così giovani che raggiungevamo i cantieri a piedi o a passaggi. L'impegno politico avveniva in regime rigoroso "Digiuno" . A volte, quando i nulla osta della prefettura arrivavano con calcolato ritardo oppure le assemblee si arroventavano, trascorrevamo la giornata anche a digiuno vero. Poi puntuale arrivava la denuncia alla procura della Repubblica. Erano gli anni ‘60. Quei braccianti aggrappati alla terra, perché non volevano emigrare, nella nostra mente, si trasformava o negli artefici del nostro comune riscatto. E con noi giovani studenti , loro figli, insieme a loro, avremmo costruito un'altra società. In una regione con il 90% del territorio collinare e montano i "Forestali", gli ultimi braccianti prima del grande esodo, avrebbero reso moderne e produttive le nostre vallate. Non è stato così. La malapolitica, un sindacato decisamente inadeguato e, spesso col-

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luso, la mafia (con il concorso di tutti i corpi dello Stato, che hanno fatto finta di non vedere) hanno trasformato anni di lotta disinteressata in un pozzo di clientele, di sprechi e di consenso elettorale inquinato. Con il placet del governo nazionale si riuscì a stroncare ed a gettare alle ortiche oltre 20 anni di elaborazione culturale e di lotta, assegnando alla Calabria il ruolo di colonia interna. Oggi siamo al Primo Maggio del 2021. Forse il modo migliore per arrivarci sarebbe stato quello di mettere in piedi qualche idea seria sul Recovery Fund, confrontandosi con la gente e con la parte più viva ed impegnata della società. Invece, ancora una volta, saranno gli altri a discutere del nostro futuro anche, perché non esistono più i luoghi di elaborazione e di incontro. Così, ancora una volta, la nostra classe dirigente recita a soggetto. I più sgambettano dietro il governo per dire che ci sono e, come i bambini con le bandierine, agitano qualche tema per farsi notare. Ed, invece, sono chiari i segni premonitori a dirci che anche questi soldi rischiano di essere sprecati esattamente come si è fatto con le immense risorse della forestazione, della 488 e di altri provvedimenti analoghi. Sinceramente, mi sembra frutto di una grande pigrizia mentale la pietosa lamentela che si ripete sempre per dire i fondi destinati al Sud sono pochi. Forse è vero. Ma è più probabile che li sprecheremo, oppure ci daranno solo qualche infrastruttura Non è, o non dovrebbe essere, questo il senso del Recovery. Noi avremmo avuto il dovere di immaginare un'altra Calabria da consegnare alle future generazioni. Una Regione nuovamente produttiva e recuperata alla sua grande bellezza. Un grande Piano Verde da cui scorgere "Un mare d'un intenso colore azzurro" (Bregantini) Non sono assolutamente contro le ferrovie, le strade o l''alta velocità. E neanche contro l'assunzione di cancellieri o applica-

ti. Ma dubito che così si possa cambiare veramente la Calabria. Faccio un esempio: dieci anni fa in una partecipata assemblea di tutti gli eletti della Jonica abbiamo approvato "Il progetto d'urto della Locride" individuando un'altro modello di sviluppo. Ed il Ministero dell'Interno, attraverso la ministra Cancellieri, ha recepito e garantito la bontà del nostro "Progetto" facendosi carico d'un tavolo permanente presso il ministero. Cito solo qualche punto: un'unica area per tutta la Locride, destinata ai Piani degli insediamenti produttivi ed alimentata da energie alternative. "Lotti' ed energia da dare gratuitamente o quasi alle aziende che avrebbero voluto investire nella nostra zona, privilegiando i progetti di valorizzazione dei prodotti locali o di trasformazione dei rifiuti. Il recupero dei borghi storici e delle terre incolte in una Locride dichiarata terra di accoglienza. La centralità della sanità, partendo dal territorio. L' acqua pubblica. La programmazione delle risorse. La fine della criminalizzazione calcolata della nostra terra. Mi sono limitato ai punti essenziali, che non erano e non sono la Bibbia ma solo uno sforzo di creatività dal basso. Ci siamo confrontati con tutti i parlamentari calabresi in una tesa riunione nella sala del consiglio comunale di Siderno. Mi limito a ricordare gli importanti contributi del senatore Luigi De Sena, già intelligente prefetto di Reggio Calabria, del senatore Pietro Fuda, di Sisinio Zito in qualità di sindaco di Roccella e di tanti altri, che non nomino singolarmente per non dimenticare qualcuno. Festeggiare il Primo Maggio in una regione, che ha il tasso più alto di disoccupati, ed una oligarchia "politico-burocratica" tra le più pagate e le più imbelle d'Europa, significa riprendere l'iniziativa (direi la lotta) da dove più volte è stata interrotta.


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Nuovo razzismo o ignoranza diffusa?

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L’OPINIONE www.larivieraonline.com

Domenica, 25 aprile, un peschereccio con oltre cento persone e parecchi bambini è attraccato nel porto di Roccella Jonica. Da questo avvenimento, sono emerse espressioni di solidarietà ed altrettante di becero razzismo. In passato, i calabresi, hanno vissuto il razzismo sulla loro pelle; il libro di Mimmo Gangemi, “Il Popolo di mezzo” aiuterebbe a ricordare queste storie e ad imparare ad essere più comprensivi verso il prossimo CARLO MARIA MUSCOLO Domenica, 25 aprile, un peschereccio con oltre cento persone e parecchi bambini, dopo una navigazione particolarmente difficile e solo grazie al lavoro di tre motovedette della Guardia Costiere di Siracusa, Catania e Roccella, è riuscito ad attraccare nel porto di Roccella Jonica. Il tutto è stato seguito in diretta da una tv locale che consentiva agli spettatori di esprimere commenti al riguardo. Si è letto di tutto, espressioni di solidarietà ed altrettante di becero razzismo, espressioni di un malessere diffuso ed inaccettabile, perché contrario alle più elementari regole del convivere civile, della cultura dell’accoglienza e solidarietà, che è fondante la nostra comunità. Viene obbligato chiedersi le ragioni, darsi una chiave di lettura. La crisi economica amplifica il risentimento? Insomma, ci stiamo scoprendo razzisti? La reazione contro gli immigrati c’è sempre stata, ma era accompagnata da una crescita continua. Quando arrivavano in Inghilterra persone dal Pakistan e dall’India o dalle Indie occidentali, in Francia dal Marocco e dall’Algeria, in Germania dalla Turchia e dall’Africa del Nord, potevano anche verificarsi episodi di razzismo, che comunque restavano circoscritti. In Italia, l’immigrazione è un fenomeno molto più recente ed è maturato in un momento di diffuse difficoltà economiche, complesse e pesanti per molte zone della società, che in molti casi amplifica il risentimento sociale rivolto verso l'immigrato. Questo, secondo me, spiega un po’ la ragione dell'insorgenza di forme di razzismo più evidente che altrove. Non è una questione di quantità di persone. I Paesi più razzisti in questo momento sono l’Ungheria e la

Polonia, dove i tassi di immigrazione sono bassissimi, ma l’odio verso l’altro è determinato dalla costruzione di una identità ungherese e polacca, dopo l’uscita dal sistema sovietico. Credo vada, invece, richiamata l’attenzione sul concetto di luogo: chi emigra lascia il posto dov'è sempre stato con tutte le certezze annesse, seppur negative, che contiene. Parte, va verso l’ignoto, rischiando anche la vita. In un certo senso, i migranti rifiutano il concetto stesso di luogo per andare verso l’avventura. È una scelta che spiazza e scompensa chi, invece, resta arroccato alle certezze del proprio posto, vedendo arrivare persone, che hanno operato una scelta inversa. E su questo fuoco di contraddizioni, soffiano i “Cacciatori di voti". L’Italia non è per nulla speciale in questo campo. Dopo tutto, il 30 per cento dei francesi ha votato per Marie Le Pen, le cui politiche non sono

molto diverse da quelle di Salvini e in Gran Bretagna, probabilmente, le stesse inclinazioni politiche avranno ottimi risultati, senza contare quello che è stato Trump che addirittura voleva fare un muro per bloccare i messicani, in un Paese che senza gli immigrati neanche esisterebbe. La realtà è che si va a caccia di voti nel modo peggiore possibile. Necessario risulta capire e far capire che anche se ci fosse un calo massiccio dell’emigrazione in Europa, la crisi economica ci sarebbe lo stesso e che le sue ragioni vanno cercate altrove. In questo contesto generale, come non preoccuparsi delle voci razziste e prive di sentimento che hanno accompagnato l’ultimo sbarco? E che fare per far riflettere chi esprime opinioni oltranziste che forse non gli appartengono? Credo la miglior cosa sia ricordare chi siamo stati tutti noi, gli anni dell’emigrazione verso terre lontanissime prima; verso terre più vicine dopo. Ad esempio, cosa è stata l’immigrazione degli anni cinquanta e sessanta, dal sud verso Torino. Nell’immaginario di chi emigrava Torino assumeva i contorni di una realtà capace di offrire casa e lavoro, ponendo fine alla miseria ed agli stenti nella terra natia. In realtà, l’incontro tra le genti del sud ed i torinesi, assunse contorni frastagliati e spigolosi. Discriminazione dura, cartelli affissi alle porte pieni di insulti e rifiuto, un comportamento, all’epoca, alimentato anche dal giornale locale “La Stampa”, che, lontana dallo svolgere un ruolo di avvicinamento, alimentava sulle proprie pagine il fuoco dell’emarginazione. Ecco, se avete voglia di capire davvero, prima di scrivere l’assurdo dettato dalla rabbia e dall’ignoranza, fatevi raccontare dagli anziani che avete in casa, qualcuna di queste tristi storie o, prendete in mano un buon libro, ad esempio vi aiuterebbe molto il “Popolo di mezzo” dell’Amico Mimmo Gangemi, da poco pubblicato.

Dal ricatto al riscatto

La sede degli uffici amministrativi della Regione Calabria è stata, nel pomeriggio del 25 aprile, presidio simbolico di una mobilitazione finalizzata ad una rivoluzione democratica. Si tratta della prima uscita pubblica della coalizione, che sostiene la candidatura di Luigi De Magistris. I partecipanti, tra i quali Mimmo Lucano, si sono disposti in un grande cerchio umano che, al segnale di Carlo Tanzi, si è disseminato nel piazzale alludendo, metaforicamente, alla “Liberazione” della Calabria FRANCESCA LABONIA Non un’iniziativa istituzionale, però, né un corteo celebrativo della Liberazione: la sede degli uffici amministrativi della Regione Calabria è stata nel pomeriggio Del 25 aprile presidio simbolico di una mobilitazione denominata “Libera la Calabria: dal ricatto al riscatto” e finalizzata ad una rivoluzione democratica. Nei fatti, la prima uscita pubblica della coalizione che sostiene la candidatura di Luigi De Magistris alla presidenza della regione; un fronte civico che include anche amministratori e militanti provenienti dalla politica: “Luigi de Magistris per la Calabria”, “DemA Calabria”, “Calabria Resistente e Solidale”, “Movimento 24 agosto - Equità territoriale”, “Carlo Tansi per la Calabria” e “Primavera della Calabria”. L’evento è stato composito e sincronico ad una live web, partita già alle 12 su Facebook sulla pagina “Libera la Calabria” e quelle delle forze di coalizione. Nel pomeriggio il raduno nel parcheggio antistante il polo attrattivo della vita politica e istituzionale della Regione. Niente cortei o assembramenti, ma, sulle note di “A mano a mano” e “Nun te regghe più” di Rino Gaetano, alle 17.30, un flashmob durante il quale i partecipanti, circa 300 tra i quali Mimmo Lucano, si sono disposti in un grande cerchio umano

che, al segnale di Carlo Tanzi, nelle vesti di speaker e organizzatore-intrattenitore, si è spezzato e disseminato nel piazzale alludendo metaforicamente alla “Liberazione” della Calabria. A seguire, gli interventi di Luigi de Magistris, dello stesso Tansi, di alcuni referenti dei gruppi di coalizione e di cittadini e cittadine presenti; tutti col microfono del noto giornalista Michele Cucuzza, che indossava per l’occasione un singolare berretto da baseball “Brandizzato” Platania! Dichiarano di essere già la maggioranza, De Magistris e Tanzi, perché “La maggioranza dei Calabresi è fatta da uomini liberi e perbene che vogliono creare un futuro nuovo”. È energico e persuasivo, il sindaco di Napoli, quando sceglie parole ed espressioni afferenti alla sfera emotivo-relazionale nel prendere il proprio impegno con gli elettori calabresi, specie quelli del “Partito” numericamente prevalente, l’astensione. Incita ad “Un’insurrezione culturale, una ribellione pacifica, una rivoluzione sentimentale di cuore, amore, gioia e tenerezza”. Nel contempo, online, Anna Falcone, Pino Aprile, referenti rispettivamente di “Primavera della Calabria” e di “Equità territoriale”, sono intervenuti per spiegare le ragioni della manifestazione e di quella che definiscono una rivoluzione pacifica e democratica dei Calabresi e delle Calabresi che non tollerano più la mortificazione dei

PILLOLE scelte da effemme

Le nostre valigie erano di nuovo ammucchiate sul marciapiede; avevamo molta strada da fare. Ma non importava, la strada è la vita. Jack Kerouac L’amore della verità e la pietà, che sempre devono risiedere nel cuore di un giudice, brillino nel suo sguardo, affinché le sue decisioni non possano mai sembrare dettate da cupidigia e crudeltà. Bernardo Gui Se vuoi esser felice per un giorno, dai una festa; per due settimane, fai un viaggio; per un anno, fai un giardino; per la vita, trova uno scopo degno. Frank Tibolt

QUISQUILIE

diritti e del futuro, in una terra soggiogata dal ricatto. La manifestazione si è conclusa con l’augurio di incanalare l’indignazione per i soprusi da sempre vissuti dalla Calabria in un costruttivo desiderio di giustizia e di futuro di una terra piena di talenti, propositi e bellezza.

Meloni: senza Speranza. Recovery fund: Draghi: Eccellente in Economia; Scarso in Geografia. Recovery USA: ma com’è vecchio Biden, ancora Keynes, ancora strade, ponti, ferrovie, aeroporti, condotte d’acqua, reti elettriche. Riaperture: Matrimoni: solo in Bianco. Procure alla Milanese: Amara Magistratura. Vincenzo Amidei


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TESTIMONIANZA www.larivieraonline.com

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SuperLega: tutti contro, perfino Salvini. Giustizia sulla giustizia.

Com’è bravo Draghi, si fa tamponare tra la gente, in mezzo alla strada.

VINCENZO AMIDEI


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Celebrate l’odio, fratres

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Quando vedo celebrare una Resistenza, che durante il ventennio fascista non aveva mai dato segni di vita, mi domando il motivo per cui in Italia si persista a rievocare episodi, che non tornano certo a nostro onore. L’avrei apprezzata se si fosse fatta viva a Piazza Venezia, mentre il Duce proclamava l’impero tra gli osanna degli italiani. Quella che si manifestò dopo, quando gli Alleati erano già arrivati ed i Tedeschi erano in fuga, quella, scusatemi, per me più che profumare d’eroismo, puzza d’opportunismo MARIO NIRTA In Italia ogni momento è buono per celebrare qualcosa: alcuni celebrano anniversari, altri feste varie, i preti la messa e Berlusconi, in mancanza d’altro e di meglio, celebra se stesso. Insomma, tutti rievochiamo qualcosa. Per cui non mi meravigliai quando sceso alla stazione di una cittadina veneta e arrivato su una piazza, vidi la banda e il sindaco con regolare fascia tricolore che parevano aspettare me. Volsi la testa ad elevati pensieri, pensai alla gioia dei miei parenti quando avrebbero saputo di quegli onori, stavo per dire al sindaco che lo ringraziavo però non pensavo di meritare tanto, ma rientrai in me stesso quando la banda attacco “Una mattina mi son svegliato ….” e mi resi conto che io con quella faccenda non c’entravo niente. A parte ciò, la realtà è che, forse per sfuggire ad un amaro presente, in Italia si celebrano le ricorrenze più svariate che, di solito, sono poco piacevole giacché riguardano spesso eventi nefasti per la nostra storia e per quella mondiale. Non so perché, ma quando vedo celebrare una Resistenza, che durante il ventennio fascista non aveva mai dato segni di vita, mi domando il motivo per cui in Italia si persista a rievocare episodi, che non tornano certo a nostro onore. Non ho mai creduto, ed ancor meno ci credo adesso, nella celebrata Resistenza. L’avrei apprezzata se si fosse fatta viva a Piazza Venezia, mentre il Duce proclamava l’impero tra gli osanna degli italiani. L’avrei stimata se i tanti che ora denigrano il Fascismo si fossero ribellati quando Mussolini impose la tessera obbligatoria anche per i docenti universitari e di questi solo 12 la rifiutarono. Ma non successe, non vi fu resistenza all’epoca: forse era pericoloso. Quella che si manifestò dopo, quando gli Alleati erano già arrivati ed i Tedeschi erano in fuga, quella, scusatemi, per me più che profumare d’eroismo, puzza d’opportunismo. Comunque, sarà per la mia naturale propensione a stare sempre dalla parte dei perdenti; sarà perché credo ancora nei valori umani e aborro l’odio sia di classe che di parte; sarà perché non capisco niente di niente, ma io questa tanto celebrata Resistenza non riesco proprio a celebrarla. Forse perché imposta, forse perché per molto tempo ha nascosto episodi non proprio onorevoli, forse perché se la sono accaparrata quelli che non l’avevano vissuta e che poi diventarono i resistenti della terza, della quarta e talora della ultima ora, forse perché maleodora troppo di aiuto in soccorso di un vincitore che di aiuto non aveva proprio bisogno alcuno, io questa festa la trovo forzata. Sia perché quando ci sono tanti morti, da una parte e dall'altra, penso che non ci sia nulla da celebrare; e sia perché, a sentirne i soliti tromboni intrisi di retorica, si ha l’impressione che a sconfiggere i tedeschi siano stati i partigiani, col secondario e marginale contributo degli Alleati. Ma soprattutto, aborro questa resistenza quando penso a Piazzale Loreto, una manifestazione d’odio talmente esecranda, talmente bestiale, talmente contro natura, talmente avulsa da

quei valori umani per i quali i partigiani dicevano di battersi, da essere stata tramandata come “Roba da macelleria messicana” e da indurre Pertini a commentare “La resistenza è disonorata”. E lì, insieme a tanti altri, appeso anche lui per i piedi, c’era Nicola Bombacci, di cui i fascisti, in anni precedenti, avevano cantato: “Con la barba di Bombacci, noi faremo spazzolini, per lustrare gli stivali di Benito Mussolini.” Tra i fondatori del Partito Comunista, dopo la vittoria del Fascismo era andato in Russia a trovare il suo amico Lenin. Ma quando dopo Lenin arrivò Stalin e si accorse, anche lui, come el Campesino e Dolores Ibarruri la famosa Pasionaria, che il comunismo era tutt’altra cosa da quello da lui vagheggiato, tornò in Italia, dove chiese la protezione di Mussolini e lo farà anche Nenni, che lo seguì a Salò e qui tra i moschettieri del Duce trovò anche un certo Dario Fo e finì appeso per i piedi a Piazzale Loreto. Sapeva che nella vita c’è posto per una sola conversione e lui l’aveva già avuta, perciò volle morire per quelle idee che non erano certo le sue. Un grande uomo Bombacci, come tanti altri morti, i migliori, che si rivolteranno nella tomba nel vedere com’è ridotta quest’Italia per la quale hanno voluto morire. Troppi morti, troppi ventenni morirono da una parte e dall’altra. Troppi ragazzi scelsero Salò perché, educati dal Fascismo al senso dell’onore ed all’amor di patria, decisero di morire per quei valori, anche perché, probabilmente, non ne avevano potuto conoscere altri. Ed a Salò, piaccia o no, morirono i peggiori, ma anche i migliori fascisti. Morirono quei ragazzi che vollero morire convinti di essere nel giusto e che poi furono vilipesi, disprezzati e messi alla gogna anche da morti. E chi li uccise non tenne conto che a vent’anni non si ha il diritto, ma forse anche il dovere di sbagliare. Purtroppo, in Italia odiamo tutte le guerre, tranne quelle civili. E quella combattuta negli anni quaranta e finalmente la storia l’ha riconosciuto, fu una guerra civile. Perciò non posso e non riesco a festeggiare, proprio perché ad una dubbia vittoria preferisco un’onorata sconfitta. E non m’importa se nessuno li onora quei ragazzi, onorando, magari, quanti di loro cambiarono bandiera all’ultimo momento per poi spacciarsi per antifascisti; e non m’importa se tante persone gongolano per quella vittoria. Io mi tengo cara la sconfitta, io mi tengo caro il dolore per quelle vittime che, disprezzate da quanto successe dopo, furono uccise due volte. Ed avevano solo vent’anni, come magari tanti altri ragazzi caduti dall’altra parte. E perciò non riesco a festeggiare la Resistenza, sia perché fu una guerra civile, e sia perché ad una poco onorevole vittoria, preferirò sempre una dignitosa sconfitta. Scriveva Eschilo, mi pare, “Se rispettano i templi e gli dèi dei vinti, i vincitori si salveranno”. Purtroppo i vincitori non rispettarono né i templi, né gli dei e nemmeno i morti dei vinti, e non so se si sono salvati, ma le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti.


Recovery e Locride: se non ora, quando?

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Il Piano Nazionale di ripresa e resilienza, inoltrato dal Governo al Parlamento, conferma le sei macro aree di intervento. La Riviera, nelle scorse settimane, ha promosso un incontro, con alcuni sindaci della fascia jonica, i quali si sono trovati d’accordo sull’opportunità, offerta dal PNRR e sulla necessità di presentare pochi, ma validi progetti per evitare che la nostra zona rimanga ancora una volta tagliata fuori REDAZIONE ROMANA Il Piano Nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) inoltrato dal Governo al Parlamento, accompagnato dal consenso informale della commissione Europea, conferma sostanzialmente le anticipazioni di buona fonte, delle quali avevamo dato ampia notizia già nelle settimane precedenti. In buona sostanza risultano confermate le sei macro aree di intervento, il riparto delle risorse finanziarie assegnate a ciascuna di esse ed infine il vincolo di destinazione del 40% di ciascuno stanziamento per interventi nelle aree del mezzogiorno in ritardo di sviluppo. Quest’ultima questione, assunta dall’Europa come precondizione per l’erogazione delle risorse, costituisce un punto di forza imprescindibile delle strategie di rilancio del Mezzogiorno. Sull’ampiezza della gamma degli interventi da finanziare con questa irripetibile ingente massa finanziaria, l’azione 1.6.3. del PNRR intitolata “Ridurre il divario di cittadinanza” non lascia margini di dubbio e una attenta let-

tura del testo integrale ne dà ampiamente conto. D’altra parte la griglia stretta delle verifiche di coerenza attuativa con gli obiettivi comunitari preordinate all’erogazione delle risorse costituiscono forte elemento di pedissequo persegui-

mento dell’obiettivo primario Europeo di mitigazione del sottosviluppo. Dunque tutto a posto? Finalmente davvero la fascia jonica da Catanzaro a Reggio Calabria avrà quanto le spetta e potrà finalmente aprire al turismo le sue splendide spiagge, l’incanto dei meravigliosi borghi affacciati sul mare, il proprio clima temperato per tre quarti dell’anno, l’eccellenza dell’agroalimentare, l’accattivante serenità del verde delle montagne? Si! non c’è alcun dubbio. Questo ed altro ancora è alla nostra portata e la sua realizzazione concreta e veloce dipende SOLO DA NOI. Dalla nostra capacità di cittadini di pretendere, se necessario anche con la mobilitazione, che si faccia bene, in fretta e che nulla vada sprecato. Dallo sforzo unitario che le nostre amministrazioni comunali, nelle forme che riterranno più opportune, sapranno mettere in campo per costituire forte massa critica capace di confrontarsi senza subalternità e con certezza dei propri diritti con tutti i soggetti attuatori (pubblici e privati). Dalla loro capacità di avvalersi delle tante competenze delle nostre

Svimez Il 19 aprile 2021 è avvenuto un incontro presso il cinema nuovo di Siderno, alla presenza di Mario Scali; il sindaco di Ardore, Giuseppe Campisi; il sindaco di Bova Marina,Saverio Zavettieri; il direttore e il direttore editoriale di “Riviera”, rispettivamente Pietro Melia e Rosario Vladimir Condarcuri. Argomento dell’incontro lo SVIMEZ, un'associazione che include nel suo statuto lo scopo di promuovere lo studio delle condizioni economiche del Mezzogiorno d'Italia, al fine di proporre concreti programmi di azione e di opere intesi a creare e a sviluppare le attività industriali. Le proposte avanzate durante quell’incontro sono state: 1. Infrastrutture materiali che riguardano esattamente: completamento della 106, tratta ferroviaria Taranto

Reggio Calabria. Elettrificazione e nuovo tracciato AV. 2. Progetti che riguardano i comuni: corsi di formazione del personale in servizio (transizioni), adeguamento pianta organiche con figure tecniche in grado di affrontare la transizione ecologica e quella digitale. 3. Terzo e ultimo progetto riguarda l’università: adeguamento offerta mediante istituzione dei corsi tecnici post laurea. Tutti i partecipanti, concordi nel realizzare i progetti elencati, utili per la rinascita della Calabria e del Sud; sono stati altrettanto concordi nel dire che sarà possibile realizzarli solo se tutti i sindaci calabresi, per la prima volta nella storia, saranno veramente uniti, altrimenti mancherà la forza politica necessaria per il raggiungimento di questi obiettivi.

Università e delle tantissime eccellenze dei nostri conterranei che, nei più svariati campi del sapere, del lavoro, della sanità, delle professioni, delle imprese e del sindacato, ovunque esercitino la propria attività, sarebbero ben lieti di mettere a disposizione senza nulla chiedere. Per quanto generoso, tuttavia, lo stanziamento non sarà sufficiente per fare tutto e ovunque. Ci sarà sempre un problema di scelte prioritarie vere o presunte e sarà dunque necessaria una forte iniziativa delle amministrazioni locali che dovranno ricordare a se stessi e ad ogni altro interlocutore che i Sindaci sono espressione diretta del consenso popolare e, dunque, sono i soggetti titolari del potere/dovere di “Ottimizzare la localizzazione dei progetti ed includere le istanze del territorio e delle comunità locali nei progetti infrastrutturali”. E tutto ciò a più forte ragione nei confronti di Anas e Ferrovie dello Stato che soggiacciono a “Envision”. A quest’ultima grande azienda, infine, sembra proprio inevitabile chiedere a quale logica di sviluppo della zona jonica da Catanzaro a Reggio

Calabria risponde il progetto di Alta velocità Taranto/ Reggio Calabria se, all’altezza di Catanzaro, devia sulla dorsale AV tirrenica Roma/Reggio Calabria e come si concilia con le prescrizioni del PNRR. E ancor di più si rende inevitabile chiedersi se l’elettrificazione dell’attuale rete ferroviaria Taranto/Reggio Calabria, con il suo anacronistico binario unico, favorisca in qualche modo lo sviluppo del territorio oppure se, al contrario, non vada classificato più opportunamente fra le tante insopportabili ingiustizie che affliggono la nostra terra. La Riviera, nelle scorse settimane ha promosso un incontro, presso la propria sede di Siderno (ne riferiamo in questo numero ndr), con alcuni sindaci della fascia jonica, i quali si sono trovati d’accordo sull’opportunità (irripetibile) offerta dal PNRR e sulla necessità di presentare pochi ma validi (oltre che compatibili ed opportuni) progetti per evitare che la nostra zona rimanga ancora una volta tagliata fuori. Se non ora, quando?

Non capisce ma con grande autorità e competenza! IL CRITICONE "Se l'Azienda Sanitaria e l'Assessore regionale alla Sanità aggiustano la strada (ex) provinciale (sic... ) , arriviamo prima all'ospedale di Locri" . Al cittadino che fa confusione sulle competenze, il consigliere comunale (vestito da consigliere comunale) risponde: "Te lo prometto, lo faranno!" (doppio sic...)! Se ci tiene proprio a "bussare" alle porte del "rione Sanità", qualcuno gli dica che il nostro assessore è Speranza. Si, il ministro, Palazzo Chigi, Roma, perché in Calabria siamo in Piano di Rientro. La Città Metropolitana: lì si deve risolvere il problema cruciale dei rifiuti (nuova, pesante crisi alle porte) non a Roma. Sempre per "quei due" che vogliono scaricare a Largo Chigi i camion con la spazzatura. Possiamo dirla con il folk: "È amaru lu carduni ", ma "cchiú amaru lu fannu li perzuni". Oppure con Longanesi: "Non capisce, ma non capisce con grande autorità e competenza". Metafore, la rappresentazione icastica della confusione che attraversa la politica e che si propaga nella società civile. O viceversa. Una luce: Draghi, che del Recovery Plan ha appena accennato a qualche ministro, per nulla con i partiti e con i consigli regionali, ora dovrà vedersela con quel sindaco che i colleghi della Locride hanno segnalato per la Cabina di regia(!) della C. M. (...)


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I calabresi hanno provato a cambiare

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Senza ‘Normalità’ la Calabria non si disincaglia, resta terra, per dirla con le parole dello scrittore Mimmo Nunnari, marcia in un Paese fradicio e io ribadisco, per colpe non sue. Perché i calabresi hanno provato a cambiare, almeno alla Regione, votando alternativamente, una volta a destra e l’altra a sinistra, senza che le loro vite siano migliorate FILIPPO DIANO Ho gradito l’invito di Rosario Condarcuri e Pietro Melia di scrivere – ovviamente a titolo gratuito – su “La Riviera”, un ‘Piccolo’ giornale che ha il merito grande di proporre all’attenzione dell’opinione pubblica di questa provincia e di questa regione temi che riguardano i diritti e le libertà, di ognuno e di tutti. In queste settimane, il dibattito sul funzionamento della Giustizia in tutto il Paese, sul rapporto tra difese e magistratura, tra informazione e fatti giudiziari, è stato indubbiamente “Turbato” dal librodenuncia di Luca Palamara, magistrato di primo piano per i numerosi incarichi istituzionali ricoperti, ‘licenziato’ dal Csm, scritto a quattro mani con Alessandro Sallusti, direttore del Giornale. Il libro ha già venduto decine di migliaia di copie provocando squarci inquietanti nella coscienza civile per le vicende descritte, che non riguardano solo l’Ordinamento della Giustizia o le lacerazioni tra i magistrati e le ‘Correnti’ sui criteri di selezione e assegnazione degli incarichi direttivi, ma la società nazionale tutta. Non è comunque bastata la radiazione di Luca Palamara per mettere la sordina a tutta una serie di discussioni, sopite nel tempo ma solo rimandate, come il tema della separazione delle carriere tra magistratura requirente e magistratura decidente, durata dei processi (penali e civili), organizzazione della Giustizia. Addirittura, come si legge nelle prese di posizione di questi giorni (Henry Jhon Woodcock e altri), il problema della separazione delle carriere viene nuovamente posto all’attenzione dell’opinione pubblica, pur con motivazioni opposte per fini, ed opinabili nei contenuti. C’è chi perora persino la modifica costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale e chi invece,a mio modo di vedere giustamente, argomenta che l’istituto rappresenti una forma avanzata e tutt’ora valida, di protezione dello Stato verso cittadini inermi di fronte ad un

abuso, ad un atto di violenza criminale. Io ho avuto il privilegio, come corrispondente di Italia Radio, l’ex emittente del Pci, di intervistare Giovanni Falcone proprio sull’argomento a Reggio Calabria, in occasione di un convegno alla fine degli anni ’80 organizzato dalla corrente “Movimenti”, tenutosi al cine-teatro Odeon. Falcone mi disse di non essere pregiudizialmente contrario ad affrontare la questione, anche se, aggiunse, ogni cosa deve trovare posto nel contesto della realtà che viviamo. Sono però passati oltre trent’anni da quel mio incontro e i vari interventi ‘riformisti’ del Parlamento sull’Ordinamento non hanno affrontato la questione, spesso agitata a destra e a manca come una bandiera per imbonire gli elettori, una sfida dai toni…calcistici, mai veramente oggetto di un approfondimento, determinando una difficoltà di avviare con tranquillità una prospettiva critica senza correre il rischio di finire pregiudizialmente tra i ‘Fiancheggiatori’ della mafia, o tra i ‘Difensori’ dei magistrati.

Leoni e Gazzelle d’Italia

I vari governi succedutisi hanno dunque scientemente evitato di affrontare compiutamente una vera riforma della Giustizia – e non mi riferisco solo al penale – badando più a proteggere interessi di gruppi di pressione e corporativi, spesso contro gli interessi della comunità nazionale, anziché decidere una strada da prendere. Non sto qui a ricordare bicameraline, commissioni tecniche all’uopo insediate, con risulti uguali a zero! Di conseguenza, le ‘Innovazioni’ innestate via via, sono risultate peggiori del male da risolvere: basta leggere il numero di processi pendenti in ogni ramo dell’amministrazione della Giustizia. Al quadro normativo frammentato, si sono aggiunti nel frattempo i guai dovuti all’insufficiente quantità degli investimenti, per il personale e le strutture, prova ne siano i ritardi nel completamento dei Palazzi di Giustizia di Reggio Calabria e Locri, la vetustà delle strutture di detenzione. Non vi è dubbio che in questi anni lo Stato abbia messo in campo in Calabria uno schieramento imponente di forze investigative che ha permesso

Ogni Mattina in Africa, al sorgere del sole, una gazzella si sveglia e sa che dovrà correre più veloce del leone per non restarne uccisa. Ogni mattina ........un leone sa che dovrà correre più veloce della gazzella o morirà di fame. Nella politica Italiana nessuno sa chi tra Enrico Letta e Matteo Salvini pensa di essere il leone, ma è evidente che entrambi ritengono che i cittadini italiani siano le Gazzelle. Ogni giorno, infatti, all’uscita dei giornali, i nostri intrepidi leoni si sfidano a colpi (innocui) di roboanti dichiarazioni stampa basati sul nulla, convinti di

risultati importanti nel contrasto alla ndrangheta e verso tutte le forme criminali che allignano endemiche sui nostri territori, che soffocano l’economia legale e condizionano la vita delle istituzioni, dei cittadini. Un’azione forte di magistratura e forze di polizia cui non è finora seguita quella che considero la ‘fase 2’: cioè la produzione di quelle azioni di buona governance pubblica in grado di dissaldare gli “interessi di normalità” (servizi sanitari, diritto al lavoro, libertà di intraprendere etc.) delle nostre popolazioni dalla mediazione mafiosa. Oggi, e prima di ogni cosa, è necessario quindi ricostruire nelle persone, nei calabresi, quel senso di fiducia nello Stato che è assente, e non per colpa loro. Lo dovrebbero fare i partiti, la politica, ma quando? E intanto il cittadino è inerme e bisognoso, dinanzi ad una burocrazia che spesso si svela lenta e pigra, ‘nemica’ di chi non ha peso sociale, che induce le persone a richiedere la raccomandazione quando non anche la “Protezione” del potente di turno per risolvere problemi di ordinaria quotidianità. Senza ‘Normalità’ la Calabria non si disincaglia, resta terra, per dirla con lo scrittore Mimmo Nunnari – marcia in un Paese fradicio, e io ribadisco, per colpe non sue. Perché i calabresi hanno provato a cambiare, almeno alla Regione, votando alternativamente, una volta a destra e l’altra a sinistra, senza che le loro vite siano migliorate. Tutt’altro! Vogliamo ricordare gli ultimi venti anni di regionalismo? Chiaravalloti (cdx 2001), Loiero (csx 2005), Scopelliti (cdx 2010), Oliverio (csx 2015)… Svuotare l’acqua del disagio sociale, dunque, è una via da battere in fretta, visto il quadro economico sempre più deteriorato, aggravato dal Covid, dal depauperamento dovuto alla ripresa della migrazione di tanti nostri giovani formati e qualificati che in Calabria non hanno prospettive. Risposta giudiziaria e securitaria, dunque, e questione sociale, devono diventare facce della stessa medaglia. Finora, i calabresi hanno conosciuto solo la ‘Bilancia della Giustizia’, fino a quando resisteranno?

conquistarsi i favori degli elettori. È urgente che qualcuno spieghi loro con garbo e pazienza, due semplici fatti: l’Italia non è la savana e i cittadini non sono gazzelle, tuttavia scappano più veloci delle gazzelle quando si sentono presi in giro. All’epoca della Presidenza Letta un ipocrita consiglio fu “Enrico, stai sereno”. Non vorremmo che avesse esagerato nell’accettare l’invito, perchè piuttosto che sereno sembra stare molto sereno, più di quanto le circostanze imporrebbero. I Sinistrati


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GRATTERI A MILANO O ROMA? PRO E CONTRO

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Parliamo con il consigliere Regionale Raffaele Sainato degli argomenti scottanti dell’ultimo periodo: dall’emergenza Covid alla sanità calabrese. Consigliere Raffaele Sainato: reparto Covid all’ospedale di Locri, se ne discute da giorni, con continui cambi, che disorientano i cittadini. Qual è la sua posizione? Fin dalle prime settimane dell’emergenza Covid ho ritenuto che fosse necessario creare dei posti letto dedicati covid o presso gli ex uffici amministrativi dell’Ospedale di Locri o alla Casa della Salute di Siderno. Si tratta di soluzioni che consentirebbero di avere sul territorio un’adeguata risposta in termini di ricoveri, specie in questa fase di aumento dei contagi e delle ospedalizzazioni. Inoltre, si alleggerirebbe il peso sul GOM di Reggio Calabria e non si impatterebbe sull’ordinaria attività del presidio ospedaliero della Locride. Tuttavia, penso che si possa aprire un reparto Covid interno all’ospedale, in sicurezza e senza compromettere l’operatività del nosocomio. Questa soluzione era voluta anche dalla compianta Presidente Jole Santelli, che qualcuno, però, fece saltare, senza offrire, X come al solito, alcuna alternativa. L’atteggiamento, che mi pare quanto mai improvvisato e improvvido, di chi ha la responsabilità della guida dell’Ospedale di Locri sta causando non pochi danni, alla struttura e alle azioni da porre in essere contro il Covid. Non si può prima disporre l’interruzione delle attività del reparto di Pneumologia, che coinvolge anche Allergologia e a distanza di poche ore fare marcia indietro. Gli effetti di questo balletto sulla pelle dei cittadini e dei malati ha causato, di fatto, la chiusura di altri reparti e l’ulteriore indebolimento dell’Ospedale della Locride. Rimaniamo ancora sull’emergenza epidemiologica. Perché ritiene utile che il territorio abbia un reparto Covid dedicato? Perché la situazione è particolarmente critica. I posti letto in Calabria sono al limite e in caso di ulteriori ricoveri occorrerà trasferire i nostri malati a Palermo o a Brindisi. Credo, invece, che nel rispetto di tutte le norme di sicurezza e salvaguardando l’operatività dell’Ospedale di Locri, i cittadini abbiano il diritto ad essere curati e assistiti nel loro territorio e non a centinaia di chilometri di distanza. Per questo non accetto che si giochi su queste vicende, perché stiamo trattando della vita delle persone. Posizioni ondivaghe, dettate dal tornaconto politico-elettorale sono incomprensibili e non fanno altro che indebolire, ulteriormente, i servizi offerti ai cittadini, specie i più fragili. Nell’ultima riunione del Consiglio Regionale è stato ascoltato il Commissario ad acta per la sanità in Calabria, Guido Longo. Che giudizio ne da? Ribadisco la posizione espressa nel mio intervento in Aula a Palazzo Campanella. Il commissariamento della sanità calabrese è stato un fallimento. Dopo undici anni di gestione straordinaria la Regione si presenta comune un ammalato in fin di vita. Nessun problema è stato risolto e molti, invece, si sono aggravati. Bilanci fuori controllo. Ospedali non costruiti o non rinnovati. Finanziamenti fermi. Assunzioni non fatte. Un disastro. Lo Stato in Calabria x haX mostrato il suo volto peggiore. Al Commissario Longo ho chiesto un deciso cambio di passo, in tutte le direzioni, ulteriori perdite di tempo determinerebbero la morte definitiva del sistema sanitario regionale.Un’ultima domanda sulla Casa della Salute di Siderno. A che punto siamo? Anzitutto lasciatemi evidenziare come la Casa della Salute sia già una realtà. Grazie a quella struttura, infatti e a chi la dirige e vi opera si è potuto avviare la campagna vaccinale anti Covid. Oggi abbiamo altri centri: l’hub di Siderno, l’ospedale di Locri e poi Bianco, Monasterace e Bivongi, ma la prima e decisiva risposta conto la pandemia c’è stata proprio alla Casa della Salute di Siderno. Sul futuro posso dire che negli scorsi giorni, in occasione di una seduta della Commissione Sanità del Consiglio Regionale, ho incalzato sul punto e chiesto delucidazioni in merito. Allo stato attuale delle cose, grazie al notevole impulso dato alle procedure dal Commissario dell’ASP di Reggio Calabria, Gianluigi Scaffidi, posso comunicare che lo scorso 18 marzo 2021 è stato sottoscritto il Piano delle Azioni e ai primi di maggio Invitalia dovrebbe pubblicare la gara per la progettazione esecutiva. I lavori, salvo imprevisti, dovrebbero partire per l’inizio del 2022.

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SAINATO

Il commissariamento della sanità calabrese è stato un fallimento

MAGISTRATURA E SOCIETÀ, IN UNA CHAT AI COLLEGHI DI MD

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Incontriamo il Consigliere Regionale Raffaele Sainato per parlare della sanità calabrese in questo periodo di emergenza Covid. Dopo undici anni di gestione straordinaria la Regione Calabria si presenta come un ammalato in fin di vita, con queste parole in Aula a Palazzo Campanella, Sainato ha chiesto al commissario Longo un decisivo cambio di passo.


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Quando il Pm va oltre le sue competenze…

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ATTUALITÀ www.larivieraonline.com

Il processo contro Mimmo Lucano, ex sindaco di Riace, è caratterizzato da azioni che dimostrano come si siano una serie di pregiudizi intorno alla sua persona, che meritano approfondimenti da parte degli organi preposti: il Consiglio Superiore della Magistratura e il Ministro Guardasigilli Quanto denuncia Mimmo Lucano nella sua dichiarazione all’Ansa, che pubblichiamo di seguito, è accaduto all’udienza, in Tribunale a Locri, di lunedì 26 aprile 2021. E conferma, incontrovertibilmente, che nei suoi confronti vi è un intollerabile “Pregiudizio”, che merita approfondimenti da parte degli organi preposti: il Consiglio Superiore della Magistraturae il Ministro Guardasigilli. Il primo attraverso una doppia azione disciplinare nei confronti del sostituto Permunian, per la inusuale (e incredibile) richiesta, che interferisce sui diritti politici della persona, formulata in aula e correttamente respinta dal Presidente Accurso, perché non pertinente con la materia del dibattimento e nei confronti del suo diretto superiore, il procuratore capo D’Alessio: questi deve ancora chiarire perché è andato in televisione (al Tg1), confermando poi in altre interviste successive, per accusare

Lucano di aver fatto sparire 3 milioni delle somme destinate alla gestione dei migranti, dandogli quindi del ladro, pur consapevole di essere il titolare dell’inchiesta e che in questa veste prima di aprire bocca, per lanciare sospetti su chicchessia, avrebbe dovuto quantomeno raccogliere prove e testimonianze a sostegno della sua tesi, dimostratasi poi senza alcun riscontro e assolutamente infondata; la seconda (a via Arenula siede una donna, Marta Cartabia, già alla Corte Costituzionale), disponendo un’ ispezione sulla Procura di Locri non più differibile, per accertare se e perché vi siano stati interessi di parte (ispirati dalla politica del tempo e anche dopo?) nella gestione delle indagini su Lucano e il modello Riace. Non dimentichiamo di ricordare che quella Procura, che ha la più alta percentuale di omicidi impuniti (e questo giornale quanto prima li ricostruirà uno per uno…), disperatamente alla caccia di elementi per mettere spalle al muro l’ex sindaco e il suo progetto di accoglienza e integrazione, ordinò anche le intercettazioni su 33 giornalisti calabresi e italiani la cui tessera professionale, e la Cartabia dovrebbe esserne a conoscenza, porta anche e indelebilmente il timbro del Ministero di Grazia e Giustizia (p.m.) (ANSA) - RIACE, 27 APR - "È una cosa assurda tutta questa storia. È un reato occuparsi di politica? Faccio parte di una sinistra antagonista, anticapitalista e antigiustizialista. Considero preoccupante il tentativo della procura di inserire nel processo una mia intervista in cui annuncio la mia candidatura. In questo modo non si riconoscono e non si rispettano i diritti costituzionalmente garantiti". Ad affermarlo è l'ex sindaco di Riace Mimmo Lucano commentando quanto accaduto ieri nell'udienza del processo "Xenia" che si sta celebrando a Locri e che lo vede imputato per la gestione dei progetti di accoglienza. Prima della chiusura dell'istruttoria dibattimentale, il pm della Procura di Locri Michele Permunian ha chiesto di acquisire agli atti un articolo, di alcune settimane fa, in cui Lucano annunciava la sua candidatura alle prossime regionali al fianco del sindaco di Napoli Luigi de Magistris. La richiesta è stata rigettata dal presidente del tribunale Fulvio Accurso perché "Sono fatti che non ci riguardano ed estranei al processo". "Mi riferisco, prosegue Lucano, al mio diritto di fare politica, di seguire I miei ideali che sono quelli di una giustizia sociale e di sperare in una Calabria libera dalle mafie e da ogni forma di oppressione. I nostri paesi sono paesi fantasma che stanno morendo. Quali sono le soluzioni? Non ho altri interessi. Mi chiedo se avere questi ideali è un reato. Ringrazio il presidente Accurso che ha evitato tutto questo, ma non posso non chiedermi se l'atteggiamento della Procura nei miei confronti sarebbe stato lo stesso se fossi stato candidato con la Lega o con il centrodestra". Mimmo Futia

De Magistris: inaccettabile interferenza al processo Lucano LUIGI DE MAGISTRIS Apprendiamo dalla stampa che nel processo in corso a Locri, in cui Mimmo Lucano è imputato, il pubblico ministero d’udienza abbia provato ad inserire nel fascicolo del dibattimento un’intervista dell’imputato in cui annunciava la candidatura alle regionali, tra l’altro al mio fianco. Abbiamo apprezzato la decisione del Tribunale di Locri che ha rigettato l’istanza. La politica non interferisca nel processo in corso a garanzia dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura e delle stesse garanzie difensive degli imputati. Grave anche, qualora fondato ciò che riportato dai media, che si provi ad inserire, come elemento a carico dell’imputato, un’intervista dal contenuto politico. Anche la libera manifestazione del pensiero politico deve essere preservata da ogni tentativo di strumentalizzazione. Ci vuole autonomia reciproca e rispetto reciproco tra magistratura e politica. Approfitto per esprimere nuovamente solidarietà istituzionale e vicinanza umana a Mimmo Lucano, uomo giusto.

Chi aveva dubbi è servito! La procura di Locri, nell’udienza del 26 aprile del processo a Mimmo Lucano, ha chiesto che fosse acquisita agli atti un’intervista di qualche tempo fa con la quale lo stesso annunciava, com’è suo pieno ed insindacabile diritto, la propria candidatura alle prossime elezioni regionali calabresi, in una coalizione guidata da Luigi De Magistris. Un atto che appare come un tentativo estremo per cercare di dimostrare uno degli assunti del teorema del processo imbastito da quella procura a Lucano, secondo il quale l’attività profusa dallo stesso nelle politiche di accoglienza ed inclusione era finalizzata alla cura dei suoi interessi. Venuta meno la possibilità di trovare neanche uno straccio di prova a dimostrazione che Lucano avesse personalmente lucrato un centesimo da quelle attività, la procura aveva sostenuto che in realtà l’interesse che perseguiva l’imputato Lucano fosse non quello dei soldi ma quello della carriera politica. Ma anche questa fragile e misera teoria fu subito seccamente smentita dai fatti. Lucano rinunciò alla candidatura offertagli dai partiti di tutte le aree politiche della sinistra, con garanzia di successo, nelle elezioni europee dello scorso 2019. Al contrario quest’anno Lucano ha scelto di non tirarsi indietro. E, com’è nel suo pieno insindacabile diritto, ha deciso che quell’esperienza di Riace dovesse essere tradotta in propos-

ta politico-programmatica regionale e che fosse giunto il momento di dare una mano, senza alcuna garanzia di elezione, alla battaglia per la rigenerazione e la rinascita della sua terra. Una terra ridotta allo stremo da politiche sbagliate e da un intreccio perverso di interessi reso possibile dalla penetrazione in tanti gangli decisivi della pubblica amministrazione regionale di una temibile e pervasiva borghesia di natura “criminale”. Ma questa dichiarazione di candidatura di Lucano è apparsa a questo zelante PM, la prova della validità del teorema accusatorio della sua procura. Grande correttezza ha mostrato, nell’occasione, il presidente del Tribunale Fulvio Accurso, nel respingere seccamente la richiesta del pubblico ministero. Un atto, quello del PM, che è sembrato un tentativo disperato di riacciuffare qualche filo, già tagliato, di un’istruttoria sbriciolata da vari giudici che definivano il quadro accusatorio del processo “inconsistente perché fondato su elementi congetturali o presuntivi”. A tutto questo si aggiunge l’andamento del processo i cui capisaldi sono stati via via abbattuti dagli stessi testimoni chiave dell’accusa. Quest’ultimo atto mostra, però, in maniera preoccupante, il permanere di dubbi gravi e legittimi sulla natura stessa di questo procedimento. Chiediamo pertanto alla ministra Cartabia che si

renda promotrice di un’azione ispettiva che faccia luce sulla natura di questo processo intentato dalla procura di Locri verso un uomo esemplare, un pubblico amministratore attento, competente ed onesto, eletto sindaco per tre mandati consecutivi e colpevole , finora, solo del reato di “umanità e solidarietà”. Attività praticate entrambe dichiaratamente nel rispetto delle leggi e dei principi della Costituzione. I comitati Comitati 11 giugno, “Riace Nobel per la Pace 2019” e la sinistra Plurale che si riconosce nella storia di Riace, stigmatizzano questo ulteriore atto che presenta i tratti di una vera e propria iniziativa persecutoria. Un’iniziativa che esula dal processo e si configura come attacco alla libertà politica e ai diritti costituzionali di un cittadino. Gli stessi esprimono a Mimmo Lucano la più piena, affettuosa e militante solidarietà e l’impegno a sostenerlo in tutte le iniziative che deciderà di intraprendere per dare alla Calabria la stessa speranza di rigenerazione e rinascita che aveva dato alla sua Riace. Comitato 11 Giugno Comitato Riace Nobel per la Pace 2019 Sinistra plurale nel segno di Riace


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DOMENICO GIANNETTA

la Locride merita la ribalta Domenico Giannetta, consigliere regionale della Regione Calabria, dice la sua sulla campagna di vaccinazione e sulla candidatura della Locride a Capitale della Cultura italiana 2025 e, a questo proposito, ha dichiarato: “La Locride merita la ribalta nazionale ed internazionale per la sua natura, la sua storia e il suo patrimonio culturale. L’isolamento che ha subito storicamente è una ferita aperta che dobbiamo rimarginare, ma che ha creato anche un humus particolare, quasi a preservare questa sua attitudine alla bellezza”

Sulla campagna di vaccinazione abbiamo ingranato finalmente la marcia giusta. Siamo soddisfatti della risposta dei Vax Day, da programmare con sempre maggiore frequenza, dell’adesione delle farmacie alla campagna vaccinale, con la percentuale più alta della media nazionale, che attendono solo di essere messe nelle condizioni di partire. Bene la disponibilità dei medici di famiglia, degli specialisti, delle imprese a vaccinare nei luoghi di lavoro. Abbiamo bisogno dell’aiuto di tutti, perché solo aumentando in modo esponenziale il numero di vaccinatori e i punti vaccinali si può incrementare la percentuale di immunizzazione dei cittadini. E’ importante che la struttura commissariale dia seguito, e presto, a queste disponibilità per metterle in condizione di operare. Dobbiamo partire da un assunto doveroso, che è quello che la sanità in Calabria si ritrova ad essere commissariata da 12 anni. La pandemia ha infierito su una situazione sanitaria debolissima. Con problemi atavici e irrisolti da una gestione commissariale fallimentare. Dobbiamo riconoscere al commissario ad acta Guido Longo il merito di avere accettato un ruolo scomodo, che altri hanno rifiutato in modo indecoroso, e di essersi preso carico di una struttura che ha completamente fallito nelle sue funzioni, considerato che il debito non è rientrato e si è invece ingrossato negli anni. La gestione della campagna vaccinale è un onere di fondamentale importanza che non ammette più errori. Per

questo, sul tema, ho formulato richieste di chiarimento al Commissario Longo nella seduta straordinaria del Consiglio e convocato la Commissione speciale di Vigilanza del Consiglio regionale che si è tenuta mercoledì. Dai dati emersi, sembra sia finalmente rodata la macchina che prima camminava a rilento e a macchia di leopardo, con disfunzioni sul sistema di prenotazione, somministrazione e tracciamento dei vaccini. Ma dobbiamo fare di più e meglio per arrivare prima possibile alla immunizzazione di massa e programmare la ripartenza. Questi sono gli obiettivi primari su cui il Governo ha lanciato il guanto di sfida e noi lo dobbiamo raccogliere, con tutte le nostre forze. La pandemia ha creato una crisi profonda che ha colpito la nostra sanità, la nostra società, la nostra economia. Ci ha messo di fronte a nuove disoccupazioni, soprattutto delle donne, nuove povertà, aziende costrette ad arrendersi. E’ stata una maledizione. Che però ci offre una possibilità storica: utilizzare il Recovery fund per recuperare il ritardo nello sviluppo della nostra Regione e realizzare, finalmente, le opere necessarie al progresso, per le quali si parla e si combatte da anni, ma che sono sempre state rinviate. Potremo rendere virtuoso questo momento perché, come ci insegna la storia, dalle situazioni di crisi possono nascere opportunità inesplorate e vantaggiose. Il piano di ripresa e resilienza ci consente di guardare al futuro con speranza, visione e progettualità: il

completamento della Strada Statale 106 Jonica, l’Alta Velocità, il Porto di Gioia Tauro sono tornati prepotentemente sui tavoli delle trattative politiche per la Calabria. Certo, non avremmo voluto rinunciare al Ponte sullo Stretto, opera che ho rivendicato con forza e che Forza Italia ha sempre sostenuto, ma che non è stato inserito nel piano perché il Pd ha fatto un passo indietro, facendo venir meno la convergenza politica sul finanziamento del progetto. Un errore, a mio avviso, considerato che anche l’Unione Europa ha riconosciuto l’importanza strategica dell’opera. Con il piano di ripresa e resilienza, inoltre, potranno essere realizzati su tutto il territorio regionale 120 progetti entro il 2026. Il Recovery plan però destina solo una quota parte alla sanità. La pandemia ha invece reso evidente a tutti che la sanità è il motore di tutto. Anche dell’economia. Nessuna progettualità, come abbiamo visto, può avere senso, se prima non si garantiscono ai cittadini le condizioni di salvaguardia della salute. Perciò ho chiesto alla Giunta di utilizzare il Recovery Plan per realizzare gli ospedali i cui progetti erano stati avviati ma mai continuati: l’ospedale della Piana di Gioia Tauro, di Vibo e della Sibaritide. Ed ecco perché la Regione ha stanziato ulteriori 175 milioni di euro di fondi Por, per personale, strumentazioni e strutture e medicina territoriale. Siamo dunque a un punto di svolta. È questo il momento per sviluppare le potenzialità dell’ospedale di Locri, pre-

sidio fondamentale per i 42 comuni della Locride, programmare la riapertura di presidi nelle montagne, nei piccoli comuni isolati. È questo il momento per assumere il personale sanitario. Lunedì, il commissario Longo ha preso un impegno con il Consiglio regionale. Ha promesso le assunzioni del personale e che non si chiuderanno più ospedali. Come dicevo, dobbiamo considerare questo come un punto di svolta. Dobbiamo avere fiducia, collaborare con le istituzioni, ma allo stesso tempo pretendere che il passato non si ripeta più. Locride Capitale della Cultura 2025. Bellissima iniziativa di ripartenza. La Locride è una terra di fascino e storia e di bellezza incontaminata. Una terra che esploro quasi quotidianamente, con tanti amici, ma che sorprende sempre e sembra sempre diversa. E’ un luogo che amo profondamente e che amava profondamente anche Jole Santelli, che conservava tra i suoi ricordi più belli, i momenti trascorsi qui. La Locride merita la ribalta nazionale ed internazionale per la sua natura, la sua storia e il suo patrimonio culturale. L’isolamento che ha subito storicamente è una ferita aperta che dobbiamo rimarginare, ma che ha creato anche un humus particolare, quasi a preservare questa sua attitudine alla bellezza.


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IL BORGO

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Tradizioni

La rete che saremo capaci di costruire contri di una Calabria unita. "Tutta un'altra st l'indovinato slogan di Locrid

CASIGN R O F ITALI

Il BORGO ANTICO DI CASIGNANA Un importante quotidiano pubblica da mesi contributi tematici prodotti dall'Università Mediterranea di Reggio Calabria per il dibattito sui borghi calabresi. Si tratta di "interventi di spessore scientifico, per indirizzare ad un approccio multidisciplinare e inquadrare una possibile strada di valorizzazione dei borghi". Si cerca un metodo "plurale" per la ricerca e per la "classifica", dopo le polemiche insorte per i finanziamenti dei borghi da parte della Regione. Non convince neppure il voto online ( il meccanismo stesso dei Social) per decretare i "Borghi più belli d'Italia", fatto salvo il primato, riconosciuto da tutti, di Tropea. LE PIETRE PARLANO. MA CHE DICONO? A Casignana, dal Borgo Antico, di recente, siamo stati anche in collegamento con Italians ( giorni prima è stata La C a fare un servizio splendido) , il format TV crossmediale molto apprezzato : abbiamo parlato con gli italiani d'America, ascoltato testimonianze della vita che c'era lì , che, se non può ritornare come prima, può certamente vedere le porte delle case riaperte. "I Borghi: visite, ritorno" , la pertinente scritta che compariva nella parte

inferiore dello schermo televisivo mentre si andava in onda. Ci siamo presentati come donne e uomini curiosi dei "paesani" e delle storie che hanno "abitato" quelle viuzze. Ogni pietra arenaria, ogni scalino "apre" un "libro" . Nessuna pietra è muta, come non lo sono i libri, "della biblioteca di casa non hai letto tutti i libri, ma sono lì, e sono un 'silenzio' che parla, in ogni momento puoi andare a vedere cosa accade(va)" . Le pietre parlano, è vero (saxa locuntur, lo sapevano già i romani), ma che dicono? Il marmoraro di Via Margutta a Roma ( se vi capita. andateci... ) incide su piastre di

marmo lucide (se le fa arrivare da Massa Carrara, diventano arredi in casa o in giardino) massime e "racconti" di duetre riga, malinconici e/o divertenti. A Leonardo Di Caprio che voleva incisa una frase di Nerone, rispose "No, grazie, nun racconto cose di chi a Roma ha fatto der male". Invece, una frase bene in vista, all'ingresso della bottega, dispensa buon umore "Il vino è nemico dell'uomo, un uomo non deve scappare davanti al nemico". Ma in Via Margutta ci sono altre figure e botteghe (Roberto Tomei, ndr compagno di Liceo in Ciociaria di F. Crinò, ci ha scritto un libro e fa amichevolmente da guida): il Corniciaio, il Macellaio Annibale Mastroddi, tutto mestiere, ricette e amicizie ( da Gassman con il grembiule dietro il bancone, recitando intanto la Divina Commedia, a Sordi che voleva consegnata la spesa a casa, per far aprire la porta alla sua amante del momento, mandando in confusione Annibale). Ecco, quelle botteghe sono state e sono

fascino, tradizione, "proposte" per rilan ciare i luoghi. Quella via, che ha visto gira re le scene di un noto film, Vacanze roma ne, è poi diventata meta dei turisti, per l sue botteghe ed i suoi ristoranti. Ha ragio ne Antonio Blandi, Project manager d Officine delle Idee : tiriamo fuori tutti punti di attrazione dei paesi e dell Locride, mettiamoli insieme, per aver una narrazione nuova, reale, e otterrem un grande risultato. Non ci "nascondia mo" dietro il problema delle infrastruttu re, che pure c'è, ma che non è ostativo. L rete che saremo capaci di costruire contr buirà a formare il patrimonio di un Calabria unita. "Tutta un'altra storia insomma, come chiede l'indovinato slo gan di Locride Capitale della Cultur 2025. NOI SIAMO IL RISULTATO DELLA NOSTRA STRADA, DELLE NOSTRE STRADE Rilanciare i Borghi. Del nostro, d Casignana, vogliamo ricordare le storie diffondere la bellezza del luogo e de panorama , "vivere" "a casa i Donn Gioconda", "u largu du Spiziu", "a Chiesí vecchia", allestire le "vetrine" con i nostr prodotti. Un piede "nel passato", su que le pietre, e "lo sguardo dritto e aperto ne


ibuirà a formare il patrimonio toria", insomma, come chiede de Capitale della Cultura 2025

NANA IANS

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futuro", direbbe Pierangelo Bertoli. Nelle nostre campagne ci deve essere un incremento dei prodotti tipici (i vini, gli insaccati ed i formaggi, il bergamotto sono di grande qualità ) per conquistare una fetta di mercato significativo. Tessuti e ricami molto pregiati non debbono rimanere in eterno invenduti - se non utilizzati - nei bauli delle case. Attività formative, punti ristoro e botteghe di gadget, la sede della biblioteca comunale e una sala convegni "apparecchiate" (per come proposto da Agata Mazzitelli, coerentemente con la Delibera del Cipe sulle strutture di supporto al turismo culturale ) nel Palazzo Moscatello, ma la scommessa più immediata del progetto riguarda l'organizzazione della ospitalità nei 36 posti letto disponibili nelle case ristrutturate. Guardiamo

Autore Salvatore Rocco Reale

Rocco Celentano Sindaco di Casignana

allo sviluppo, onoriamo la storia: dirimpetto al Borgo Antico c'è contrada Croci, dove il 21 settembre 1922 carabinieri e fascisti aprirono il fuoco e fecero vittime. Non si deve solo ricostruire un tempo. In programma anche la realizzazione di un prodotto cinematografico che racconti la grande cultura rurale non solo di Casignana ma di tutta la Locride, una cultura che ha le sue radici nella storia antica che si rappresenta non solo nella Villa Romana, ma anche, prendendo spunto dal libro di Mario La Cava su I fatti di Casignana, per lanciare un messaggio forte di rinascita, di speranza, di bellezza, di futuro. Noi siamo il risultato della nostra strada, delle nostre strade. Vogliamo aprirne di nuove e migliori. Per tutti.

Villa Romana di Casignana, una cura di comunità Alla Villa Romana di Casignana le scuole di restauro dovrebbero lavorare con maggiore continuità: farebbero "luccicare" tanti altri mosaici mozzafiato. Si stanno riprogrammando i lavori. Le stagioni teatrali da organizzare una "sfida" : qui hanno recitato Vanessa Gravina e Michele Placido, Eleonora Brigliadori e Gabriele Lavia, Caterina Misasi e Peppe Barra, Domenico Pantano e tanti altri nomi di primo piano. Localmente, l'interesse per il sito sembra essere diminuito. Pertanto, è indispensabile una "cura di comunità": partecipazione e coinvolgimento di esperienze, giovani che vogliano studiare, orientati, alcuni di loro, a fare da guida, o i titolari di un punto ristoro, di un negozio di gadget, dello sportello delle agenzie turistiche. Si debbono ritrovare intensità" ed ampiezza ( usiamo due termini che sembrano essere diventati esclusiva del gergo calcistico) per rilanciare il sito: nuovi finanziamenti, la piena intesa con la Soprintendenza, interventi, servizi, la realizzazione della rotatoria sulla Statale 106, che darà una maggiore sicurezza nell'accesso al sito. Iniziative, opportunità non racchiuse all'interno dell'area archeologica. L'interesse del turista non termina con l'incantevole visita, si completa degustando in prossimità la cucina tipica, apprezzando l'artigianato, la bellezza dei luoghi vicini, "rispondendo" alle "curiosità". La "Nereide" della Villa Romana di Casignana, i mosaici, gli impianti, i ruderi e le "ricostruzioni" come elementi di vivacità culturale, di percorsi stupendi. Per fortuna, non è mai venuto meno, neppure con il sito gestito negli ultimi anni in maniera precaria, l'interesse dei visitatori di ogni parte d'Italia. Certamente si poteva fare ancora meglio come

risultato finale nel recente 10° censimento "I luoghi del cuore" promosso dal Fai . Ed infatti vorremo dimostrare appieno l'amore per questo patrimonio culturale: così nel progetto finanziato per la Villa Romana di Casignana si realizzerà una sala multimediale che non esclude nessuno dalla fruizione, una consonanza tra lo scenario del sito ed intorno e le cose che si riporteranno alla luce ( come anticipato dalle indagini geoarcheogiche; fin qui è stato scavato meno di un ettaro, a fronte dei quindici interessati), il riordino e la valorizzazione degli edifici e delle opere decorative. Rafforzare la cura: dobbiamo avere la capacità di costruire spazi culturali, organizzare appuntamenti di studio, promozione e ricerca alla Villa e nella splendida cornice del Borgo Antico, "sfruttare" al meglio l'inclusione ( insieme ad altri undici siti) nel Virtual tour deliberato dalla Regione. Con la Comunicazione stiamo facendo uno lavoro coerente. Si sta aggiornando il Web. Si pensa ad attività formative, si sta trattando per far mettere in campo una linea di gioielli con i "motivi" dei mosaici. Abbiamo avviato il Percorso dell'archeologia romano. In questo "disegno" così articolato, Keynes è una delle "scie" che si consiglia: valorizzare l'arte ed i luoghi ad un alto livello farà guadagnare più di quanto si spende e si avranno più occupati e meno assistiti. Il territorio non va "guardato" a "pezzi", ma nel suo insieme. Come un sistema che produce ricchezza e sapere. L'arte, la Villa Romana e il Borgo antico di Casignana vogliono partecipare fattivamente a costruire questa realtà seguendo questa "visione". A cura dell'Amministrazione comunale di Casignana


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Aurelio D’Amico: il coraggio di combattere per la democrazia STORIA

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Il 6 maggio 1939 moriva a Siderno, a soli 51 anni, Aurelio D’Amico, uomo poliedrico e di grande spessore, che si è distinto per le sua battaglie per la democrazia Aurelio D’Amico nasce a Reggio Calabria il 22 gennaio 1888, ma di discendenza siciliana. Aurelio diventa insegnante elementare (il padre era ingegnere) e, più tardi, viene abilitato anche alle funzioni di segretario comunale, attività che svolse a Canolo e Gerace. Dal 1928 è stato anche funzionario di banca, agente della Banca Popolare di Canolo, unica del comprensorio, della quale era azionista, già dal 1924, con le sue azioni all’epoca di lire diecimila, dopo la guerra divenute carta straccia. La sua vita è stata sempre un’avventura: il 28 dicembre 1908, in seguito al terremoto che ha distrutto Reggio Calabria e Messina, Aurelio è rimasto per sette giorni sotto una rete, riuscendo, con tenacia, a resistere e a sopravvivere. In seguito è diventato scrittore e giornalista per varie testate locali e nazionali, corrispondente già nel 1919 da Romano Lombardo per “L’idea Nazionale”e prima ancora, da Canolo, nel 1912 per i quotidiani “La Tribuna” e “Il Mattino”, successivamente per il quotidiano “Roma” e, nel 1938, corrispondente da Siderno per il “Popolo di Roma” e per “Il Messaggero”. Scriveva, infine, anche per il “Gazzettino Rosso” settimanale della federazione socialista circondariale, pubblicato a Siderno nel 1920. Uomo di grande cultura che ha scritto su svariati argomenti: di politica, arte, scienze

mediche, tra cui: “I fattori della delinquenza giovanile” pubblicato nel 1911. Sempre impegnato nella difesa della democrazia e contro i soprusi e le angherie, nel 1919 è stato arrestato dalla polizia, insieme al cognato avvocato Pietro De Agostino, che poi divenne il primo sindaco di Locri, insieme ad altri, che avevano fatto un comitato di azione per gli interessi dei canolesi, contro il commissario Marino dell’epoca. Dopo il loro arresto, il popolo insorse, così gli arrestati furono liberati e il commissario Marino fuggì protetto dalle ombre della notte. È morto il 6 maggio 1939, la sue morte, ancora oggi, è avvolta nel mistero: chi dice che gli è stata curata male un otite; chi sostiene, invece, che sia stato avvelenato, ma la verità non è mai venuta a galla. È certo che in pieno regime fascista, chi era antifascista veniva allontanato dalle istituzioni, con il rischio concreto di perdere la vita. Anche la moglie e i figli sono stati costretti a lasciare la Calabria senza poter far ritorno per anni. Una delle figlie, fu una delle prime donne chirurghe e già nel 1952 era medico affermato presso il General Hospital di Ottawa in Canada e prima ancora a New York. Aurelio D’Amico è stato un uomo coraggioso e determinato, che ha sempre lottato per la giustizia e la libertà e, ad 82 anni dalla sua prematura morte, merita di essere ricordato e valorizzato. Rosario Condarcuri

In ricordo di Aurelio D’Amico, mio nonno AURELIO BUMBACA Io non ti ho mai conosciuto, ma porto il tuo stesso nome, Aurelio. Sei mio nonno, il padre di mia madre, la maestra Lydia D’Amico. Non sono alla tua altezza, ma come te ho sempre lottato e lotterò contro i soprusi e le angherie, ed era giusto che dopo tanti anni, nell’anniversario della morte, ti commemorassi e ricordassi a tutti chi eri, chi sei stato e come è facile per la gente dimenticare chi ha lottato per loro. In me c’è rammarico, perché non ho avuto la possibilità di crescere insieme a te, ma i tuoi insegnamenti e i tuoi gesti concreti, volti a migliorare la società, sono sempre stati presenti nella mia memoria.

ESTRATTO AVVISO PUBBLICO VENDITA TERRENO EDIFICABILE IN LOCRI LA FONDAZIONE OPERA DI RELIGIONE DELLA DIOCESI DI GERACE-LOCRI rende noto che con Deliberazione del Consiglio di Amministrazione del 23 aprile 2021, approvata in data 26 aprile 2021 dal Vescovo della Diocesi di Locri-Gerace, è stata autorizzata la vendita, mediante asta, del sotto elencato bene immobile: TERRENO EDIFICABILE SITO NEL COMUNE DI LOCRI ALLA VIA G. GARIBALDI, TV. III, CATASTALMENTE INDIVIDUATO COME SEGUE: FOGLIO DI MAPPA N. 25 - P.LLA 2663 - CATEGORIA B1 / CLASSE 2 / SUPERFICIE 1430 M2. SITUAZIONE URBANISTICA. In base allo strumento urbanistico vigente nel Comune di Locri, il terreno ricade in zona B1 di completamento e dista circa 600 (seicento) mt dal centro cittadino. PREZZO A BASE D’ASTA E SOGGETTI CHE POSSONO PARTECIPARE. IL PREZZO A BASE D’ASTA È STABILITO IN EURO 150.000,00 (CENTOCINQUANTAMILA/00). Sono ammesse solo offerte in aumento, con rialzo obbligatorio minimo del 5% del prezzo a base d’asta. La vendita verrà effettuata a corpo e non a misura, nello stato di fatto e di diritto in cui l’immobile si trova, con espressa rinuncia ai rimedi previsti dagli articoli 1538 e 1540 del codice civile. Essa è soggetta alla vigente imposta di registro. Non saranno prese in considerazione offerte di importo pari od inferiore al prezzo base indicato, condizionate o espresse in modo indeterminato o determinabile solo mediante riferimento ad altre offerte, propria o di terzi. La Fondazione è disponibile, qualora vi sia interesse, a far visionare il terreno. La visita deve essere prenotata mediante mail da inviare all’indirizzo operareligione@diocesilocri.it. Possono partecipare all’asta tutti i soggetti (persone fisiche o giuridiche) in possesso dei requisiti di ordine etico e morale contenuti nell’Avviso pubblico e conformi alla Dottrina Sociale della Chiesa Cattolica. GARANZIE L’offerente dovrà costituire, pena l’esclusione della procedura, un deposito cauzionale pari al 2% del prezzo a base d’asta, ammontante a Euro 3.000,00 (tremila/00) Il deposito cauzionale potrà essere effettuato mediante bonifico o assegno circolare, non trasferibile, intestato a: Fondazione Opera di Religione della Diocesi di Gerace-Locri. Relativamente ai concorrenti non aggiudicatari, il deposito cauzionale sarà restituito all’esito dell’asta mediante bonifico o tramite restituzione dell’assegno. Per l’aggiudicatario il deposito cauzionale costituisce principio di pagamento e quindi viene trattenuto come deposito cauzionale infruttifero. Nessun interesse spetta ai concorrenti sulle somme costituenti il deposito cauzionale. COMPOSIZIONE DEL PLICO CONTENENTE L’OFFERTA L’OFFERTA DEVE PERVENIRE ENTRO E NON OLTRE LE ORE 12,00 DEL GIORNO 07 GIUGNO 2021. L’offerta deve essere presentata mediante inserimento in plico chiuso, sigillato e controfirmato sui lembi di chiusura, e all’esterno dovrà indicare la seguente dicitura: “Offerta acquisto terreno Locri”.

Detta busta dovrà contenere al suo interno la seguente documentazione: Offerta di acquisto redatta secondo il modello allegato al presente avviso; Assegno circolare non trasferibile, relativo al deposito cauzionale o quietanza dell’avvenuto bonifico; Copia documento di identità dell’offerente o del rappresentante legale in caso di partecipazione per conto di persona giuridica; Il plico, come sopra confezionato, dovrà essere inviato al seguente indirizzo: FONDAZIONE OPERA DI RELIGIONE DELLA DIOCESI DI GERACE-LOCRI, via Garibaldi, n. 104, 89044 – Locri (RC). AGGIUDICAZIONE E ADEMPIMENTI CONNESSI Le buste contenenti le offerte saranno aperte in seduta pubblica, alla presenza del Consiglio di Amministrazione della Fondazione, a partire dalle ore 10,00 del giorno 14 giugno 2021, presso il salone delle conferenze della Curia diocesana, in via Garibaldi, n. 104 in Locri. Si potrà procedere, ad insindacabile giudizio del Consiglio di Amministrazione della Fondazione, all’aggiudicazione del lotto anche nel caso di presentazione di una sola offerta valida. L’aggiudicazione al miglior offerente è definita ad unico incanto. Il pagamento del prezzo di aggiudicazione, al netto del deposito cauzionale, dovrà avvenire prima della stipula del contratto di compravendita nei termini previsti, a mezzo di bonifico bancario. Tutti gli oneri inerenti la stipula dell’atto di vendita, quelli fiscali e tributari, di registrazione e trascrizione, sono a carico della parte acquirente. INDICAZIONI FINALI Il presente avviso di vendita non costituisce offerta al pubblico, ai sensi dell’art. 1336 Codice Civile, né sollecitazione all’investimento ai sensi degli artt. 94 e ss. del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58. La Fondazione Opera di Religione della Diocesi di Gerace-Locri, quale Titolare del trattamento, tratterà i dati personali forniti in conformità al Regolamento UE 2016/679. Il mancato rispetto delle prescrizioni contenute nel presente avviso di vendita costituisce causa di esclusione. Il presente avviso e l’intera procedura sono regolati dalla legge italiana e dalla disciplina canonica, qualora applicabile, e per ogni eventuale controversia sarà competente, in via esclusiva, il Foro di Locri. L’Avviso integrale è pubblicato sul sito internet della Diocesi all’indirizzo www.diocesilocri.it, nonché sull’albo pretorio del Comune di Locri e pubblicizzato attraverso organi di stampa e di informazione. Locri, lì 27 aprile 2021 Il Direttore F.to Domenico Vestito


Cosmi: un allenatore vulcanico e coinvolgente SALVATORE SURIANO E FRANCESCO ALFANO Vulcanico, coinvolgente, entusiasmante. Serse Cosmi è diventato un’icona popolare del calcio italiano facendo del suo stile e del suo modo di vivere senza filtri lo sport un marchio di fabbrica che gli viene riconosciuto da tutti i tifosi italiani. Non male per un allenatore che è entrato nel cuore degli appassionati senza avere un passato da calciatore di primo piano. Il tecnico di Ponte San Giovanni è arrivato al grande calcio attraverso un’esperienza maturata sui campi dilettantistici umbri fino a compiere un vero e proprio giro del belpaese. Nella sua carriera, infatti, fra le tante panchine su cui si è seduto, ci sono quelle di Genoa, Udinese, Brescia, Livorno, Palermo, Lecce, Siena, Trapani (con cui sfiorò addirittura la promozione in Serie A nella finale playoff contro il Pescara nel 2016) fino ad arrivare a Crotone, con cui torna su una panchina di Serie A dopo ben nove anni di assenza dal massimo campionato. Il grande pubblico lo conosce soprattutto per i suoi trascorsi al Perugia, che lo resero uno dei principali tecnici in Italia, nonché un vero personaggio di culo grazie alla storica imitazione di Maurizio Crozza nella trasmissione “Mai dire Gol”. Sotto la sua guida gli umbri si confermarono come una delle più solide realtà del campionato, lanciando giocatori del calibro di Marco

Materazzi, Zé Maria, Fabio Grosso, Fabio Liverani e Fabrizio Miccoli, nonché la storica cavalcata europea condita dalla vittoria nel torneo Intertoto superando avversari più quotati come i francesi del Nantes e, in finale, i tedeschi del Wolfsburg. Il calcio proposto dall’allenatore umbro è un mix perfetto tra la tradizione della tattica italiana e la nouvelle vogue. Il modulo più proposto dal tecnico è generalmente un 3-5-2 duttile, privo di integralismi tattici, votato alla rapida verticalizzazione e improntato sul dinamismo e la qualità degli interpreti che la rosa di turno permetteva. Serse Cosmi torna ora in Serie A, chiamato dal presidente Gianni Vrenna per risollevare le sorti del Crotone che in questa stagione ha occupato stabilmente le ultime posizioni della classifica. La sua missione, dato il momento particolare della squadra, è stata principalmente quella di rivitalizzare l’ambiente rossoblu. Dal suo arrivo sono scaturite prestazioni altalenanti che però sono coincise con un nuovo spirito nel team, i pitagorici hanno così dimostrato di potersela giocare anche su campi decisamente ostici come l’ ”Olimpico” di Roma o il “Diego Armando Maradona” di Napoli. Molto probabilmente Cosmi non riuscirà nell’impresa di salvare il Crotone, ma ha dimostrato le sue doti dimostrando che è possibile aprire un nuovo ciclo che potrebbe riportare rapidamente i rossoblu nella massima serie.˙

Diseguaglianza record

In Italia il 70% della ricchezza in mano al 20%, Il parametro comunemente utilizzato dagli economisti per calcolare la sperequazione economica di una data popolazione è la disuguaglianza di reddito. Su quest’ultimo agiscono due forze, una di natura globale e l’altra relativa ai fattori interni di un paese. Dal 1990 ad oggi, la sperequazione dei redditi a livello globale è diminuita, ma le disuguaglianze interne sono aumentate nella maggior parte dei paesi CARLA MACRÌ La sperequazione economica indica la disuniformità nella distribuzione della ricchezza tra le classi sociali. Esistono diversi strumenti da considerare per calcolare il livello di sperequazione economica all’interno di un paese. Tra queste risultano la disuguaglianza di reddito (quanto il reddito sia equamente distribuito all’interno di una data popolazione), la disuguaglianza nel corso della vita (la disparità dei redditi percepiti da un individuo nel corso della propria vita), la disuguaglianza della ricchezza (la distribuzione della ricchezza tra nuclei familiari ed individui in un determinato periodo) e la disuguaglianza di opportunità (l’impatto che le circostanze al di fuori del controllo dell’individuo quali l’appartenenza etnica o lo status socioeconomico familiare, hanno sul reddito percepito). Il parametro comunemente utilizzato dagli economisti per calcolare la sperequazione economica di una data popolazione è la disuguaglianza di reddito. Su quest’ultimo agiscono due forze, una di natura globale e l’altra relativa ai fattori interni di un paese. Nel primo caso si parla di Global factors, ossia fattori mondiali quali: la globalizzazione, il progresso tecnologico o il ciclo dei prezzi delle materie prime. Si tratta di tendenze esterne alla struttura istituzionale e alla policy di un paese, che comunque esercitano un certo grado di influenza sull’economia dello stesso. Ad esempio, l’avanzamento tecnologico a livello globale ha generato una classe di persone all’interno dei singoli statile quali, potendosi permettere un’alta formazione, possiedono delle abilità tecnologiche superiori rispetto a chi non può investire in corsi specializzatinell’utilizzo di nuove tecnologie. Nel secondo caso si parla di Country-specificfactors, ossia dei

fattori specifici di un paese afferenti alla stabilità economica e alle politiche domestiche, quali le politiche fiscali redistributive o il livello di liberalizzazione del mercato del lavoro e dei beni. Stando alle stime del Fondo Monetario Internazionale, dal 1990 ad oggi la sperequazione dei redditi a livello globale è diminuita, ma le disuguaglianze interne sono aumentate nella maggior parte dei paesi. Di fatti il rapporto sulla disuguaglianza in Italia, redatto da Oxfam nel gennaio del 2021, spiega come negli ultimi trenta anni l’Italia abbia registrato un alto tasso di capitalizzazione e patrimonializzazione, diventando un paese la cui concentrazione della ricchezza assume un peso sempre maggiore rispetto alla generazione di reddito. Il rapport Oxfam, insieme ai dati del World In equality database relativi alla disuguaglianza di reddito in Italia registrati nel 2019, mostrano come nel giugno del 2019 il 20% degli italiani più ricchi detenevacirca il 70% della ricchezza nazionale, mentre il 60% dei cittadini più poveri deteneva il 16,9% della ricchezza nazionale. In altre parole il 10% dei cittadini più ricchi, deteneva 6 volte la ricchezza del 50% della popolazione italiana più povera. In termini reali questi numeri si traducono in un reddito di 90 mila euro annui percepiti dai 5 milioni di italiani più ricchi e in un reddito di 15 mila euro annui percepiti dai 25 milioni di italiani più poveri. Mentre i 20 milioni di italiani appartenenti alla classe media, dunque in mezzo tra i più poveri e i più ricchi, percepivano un reddito annuo pari a 34.500 euro lordi. I dati sono allarmanti considerato l’aumento dagli anni Ottanta ad oggi, del divario dei redditi percepiti dai più ricchi e dai più poveri, poiché l’andamento dei primi risultava positivo, mentre quello dei secondi negativo. Nello scenario economico-sociale post pandemico,l’Italia ha rilevato una forte disuguaglianza tra lavoratori autonomi e lavoratori statali, per questi ultimi la

riduzione annuale del reddito è diminuita dell’8,8%, mentre per i lavoratori autonomi si è ridotto del 21,1%. In assenza degli interventi statali quali il blocco dei licenziamenti e dei trasferimenti, le percentuali risulterebbero molto più elevate. Gli interventi statali hanno sopperito ad un inasprimento della disuguaglianza di reddito tramite interventi compensativi che però non hanno modificato le disuguaglianze strutturali della nostra economia. Inoltre come registrato dal rapporto di Oxfam “La riduzione delle disparità reddituali si è accompagnata con un calo dei redditi per una quota ampia della popolazione meno abbiente”. Le disuguaglianze economiche impediscono la costruzione di ponti sociali, che non solo accrescerebbero la ricchezza umana e culturale di una popolazione, ma abbatterebbero storici pregiudizi legati al luogo di nascita, al genere, allo status sociale, alla carriera che si desidera intraprendere. Su quest’ultimo punto sono particolarmente colpiti coloro che appartengono alla classe economica media bassa, i quali spesso coltivano come terza o quarta attività quel sogno, bello ma poco remunerativo, che invece dovrebbe poter rappresentare la fonte primaria di benessere emotivo ed economico nella loro vita. La disuguaglianza economica si presenta come un’ingiustizia sociale legalizzata, a cui il governo deve porre un freno se non vuole assistere ad un futuro degradante in cui i valori della solidarietà e della comunanza verranno definitivamente sostituiti dal disprezzo e dall’ignoranza dell’altro. Vari strumenti sono stati proposti dagli economisti italiani nel corso degli anni. Tra questi risultano un aumento delle aliquote per le imposte dei redditi più elevati, un aumento dei salari minimi e delle tasse ai beni di lusso o ancora l’attivazione della tassadi genere, consistente nell’imposizione di un’aliquota inferiore sul lavoro femminile.


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Tonino Benincasa: il Facchetti d’antan… CALCIO

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Il calciatore Tonino Benincasa ha iniziato a giocare come mediano “Di rottura” per poi ricoprire il ruolo di terzino sinistro fluidificante. Partito da Soverato, per indossare la divisa del Locri, giungendo in seguito a Paola, dove nel 1976 ha vinto il Campionato, arrivando in quarta serie, quella che oggi si chiama serie D. Durante la sua carriera è stato per un triennio a Siderno, vincendo di nuovo il campionato di Promozione GIORGIO DE FILIPPIS Avete mai incontrato un “incronista”? Ho avuto questa fortuna sul meraviglioso corso di Soverato, trascorrendo quasi un’ora con Tonino Benincasa, calciatore di pregio, uomo schivo, tenace, dotato di un forte senso dell’umorismo che, alla fine di un’amichevole giocata dal Soverato con la Spal, nella quale segnò anche una rete, ai Dirigenti di Ferrara che si complimentavano con lui paragonandolo a Giacinto Facchetti seppe rispondere, in dialetto calabrese : “… a Facchetti mumettu ‘casutta!” Nato nel 1952, ambidestro, ho iniziato a giocare come mediano “Di rottura” per poi ricoprire il ruolo di terzino sinistro fluidificante. Sono partito da Soverato, per poi indossare la divisa del Locri, sempre nel torneo di Promozione, giungendo in seguito a Paola, dove nel 1976 abbiamo vinto il Campionato, arrivando in quarta serie (all’epoca non esisteva la categoria dell’Eccellenza n.d.r.), quella che oggi si chiama serie D. Dopo un paio di anni mi sono trasferito a Barcellona (… pausa e simpatico sorriso …) Pozzo di Gotto, alla Nuova Igea: conquistammo l’accesso alla serie C, rimanendoci per due anni. In seguito, la Lega Calcio sdoppiò quella categoria e ci trovammo in C2. Prima di subire un infortunio al legamento collaterale, giocai per altre tre stagioni con la compagine siciliana. Superato quel brutto periodo, sono stato per un triennio a Siderno, vincendo di nuovo il campionato di Promozione. Allenava Franco Pavoni, che ci portò in serie D. Meglio Locri o Siderno, come piazze calcistiche? (sorriso sotto il baffo n.d.r.), Mi sono trovato benissimo in entrambi gli ambienti. A Locri sono andato giovanissimo, mentre a Siderno ero quasi a fine carriera. In entrambe le Città l’entusiasmo era enorme, il pubblico competente, le società davvero ottime e ben organizzate; insomma resto tifoso di entrambe le squadre. Due esperienze belle e diverse fra loro. A Locri allenava Mimmo Mercuri, c’erano Ciancio,Cara,Fragomeni, Nisticò, Michele Firmo, Tonino Accursi, Sandro Stivala, Franco Martino … Feci sei goal, ero rigorista. Sbagliai solo un tiro dagli undici metri, in casa contro il Polistena; diciamo che fu bravo il portiere. Tonino Benincasa che tipo di giocatore era? Andavo a disturbare tutte le azioni degli avversari, cercavo di rubare palla, fare da appoggio ai compagni e correre sulla fascia (sinistra) arrivando al cross. Ero bravo nei contrasti. Quali erano i compagni di squadra in serie C con la

Nuova Igea? Il Mister era Antonio Colomban, che da calciatore ha militato nel Messina in serie B; avevamo due attaccanti fortissimi, Cammarano, originario di Salerno e Castanotto che era di Barcellona. Altri due ragazzi molto bravi erano Frinzi, che ha giocato nel Verona e Giulio Pelati, il libero, che poi è andato a Siena ed oggi fa ancora parte dello staff della squadra toscana. Ebbi modo di conoscere Vincenzo Di Palma, il portiere: incontrò Nevio Scala a Reggio Calabria, ne divenne il secondo ed è stato tanti anni a Parma, in serie A (dove ha allenato anche Buffon n.d.r.) Era un mondo del calcio diverso da quello di oggi … Oggi i giovani hanno più possibilità di mettersi in mostra; ricordo che in Coppa Italia, a Belpasso, con il Locri, feci un goal, partendo da centrocampo, dopo aver “dribblato” tre avversari, tirando dal limite dell’area di rigore e mettendo la palla sotto l’incrocio dei pali: si alzarono tutti in piedi per applaudirmi. Purtroppo non c’era nessun osservatore di grandi squadre, in quell’occasione. Ho giocato pure nella rappresentativa allievi della Calabria, insieme a Franco Barone e Franco Scoppa: affrontammo le squadre giovanili di formazioni professionistiche, facendoci valere.

Ricordo quando a Barcellona venne ad allenarsi la nazionale militare: c’erano Cabrini, Paolo Rossi, Scanziani, Vincenzi, Briaschi: ho ancora le fotografie. In seguito è iniziata la carriera da allenatore … Ho cominciato a Girifalco poi a Roccabernarda ed a Davoli, dove vincemmo il campionato, sempre di Prima Categoria. L’anno successivo allenai in Promozione il Soverato del Presidente Varacalli, per poi tornare a Davoli, dove, grazie al Presidente Primerano si creò uno splendido ambiente, molto simile ad una famiglia. Pur essendo convinto che l’allenatore debba utilizzare gli schemi più adatti ai giocatori che ha in rosa, a me piaceva il modulo 4/4/2; all’inizio preferivo marcare ”ad uomo”: dopo i primi minuti di gioco indicavo ai miei chi e come andava marcato. Facciamo un identikit del suo calciatore soveratese ideale? Avrebbe il piede destro ed il fisico della buonanima di Franco Scoppa, il sinistro e la progressione di Ussia, il colpo di testa di Salvatore Passafaro, il dribbling di Salvatore Stratoti. Aggiungerei, comunque che Cecè Lagrotteria e Corrado Arona costituivano per noi compagni di squadra un modo di “mettere la palla in Banca”: la passavi a loro e subito inventavano qualco-

sa. Ci racconta qualche aneddoto collegato alla sua carriera? Ricordo che a Barcellona si narrava del mitico presidente del Catania Angelo Massimino: portava i soldi per pagare i giocatori “nta” busta do cimento” e, nel caso di una partita giocataa Como, quando l’allenatore disse ai suoi giocatori: “attenzione, oggi c’è nebbia”, il Presidente rispose : “ Non c’è problema, qualcuno lo marcherà sicuramente!”. Da allenatore mi è capitato che un mio giocatore, nell’intervallo tra il primo ed il secondo tempo, negli spogliatoi iniziasse a mangiare un panino; subito gli dissi:” Scusa, se ci avessi avvertito, avremmo portato del vino ed altre cose, così mangiavamo tutti!”. Che rapporti aveva con gli arbitri? Non sono mai stato espulso in seguito ad un “cartellino rosso diretto”, ma solo per somma di ammonizioni. Ero molto corretto, amavo giocare al calcio, senza fare del male all’avversario. Un calciatore capisce subito se un giudice di gara è in gamba o meno? Sin dal momento della procedura di riconoscimento negli spogliatoi. Del resto capitava spesso che tanti sacrifici, anche economici, delle Società, venissero vanificati da arbitraggi caratterizzati da paura e mancanza di autorevolezza. Soprattutto in certi campi dove o avevi una “Nazionale” che ti permetteva di vincere per dieci a zero o difficilmente uscivi con punti utili per la classifica. Dicevamo prima, “un fluidificante ambidestro amante della fascia sinistra”… Calciavo senza problemi con entrambi i piedi, Ricordo che una volta giocammo con il Siracusa che aveva, come terzino destro Luciano Favero, che poi ha giocato con Avellino e Juventus. Segnai con un bel tiro al volo; quando ci scambiammo le maglie Favero mi fece i complimenti ed io gli risposi: “sei molto forte, farai sicuramente carriera.” In quel Siracusa militava anche Giorgio Biasiolo, in seguito calciatore del Milan. Vorrei ricordare anche Franco Ceravolo, che ho conosciuto a Siderno, stretto collaboratore di Luciano Moggi. E’ vero che i calciatori hanno sempre successo con le donne? Quando giocavo a Paola ho conosciuto una ragazza che è diventata mia moglie dandomi due splendidi figli, un maschio ed una femmina. Conosce il nostro Direttore Pietro Melia? Ricordo che seguiva il Locri con degli ottimi articoli: ha sempre parlato bene di me … del resto, visto come giocavo, non poteva fare in modo diverso …


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I consorzi di bonifica si candidano per la prevenzione e gestione del rischio idrogeologico

Claudio Bruno

Pasquale Brizzi

La proposta progettuale di interventi decennali da sottoporre all’attenzione del Consorzio di Bonifica alto Jonio Reggino sono mirati al recupero idrogeologico dei bacini idrografici, all’ammodernamento della rete idrica ed al potenziamento della stessa, al recupero ed al potenziamento della rete stradale interpoderale e forestale esistente, all’ammodernamento telematico degli uffici ed il conseguente ampliamento sia dei locali che del parco mezzi, l’assunzione di personale che sarà qualificato con dei corsi specifici mirati alla formazione tecnica; Questi interventi si inquadrano in una prospettiva immediata e futura che sicuramente proietteranno il Consorzio ad un sicuro recupero nella centralità degli Enti operanti nella immediata periferia territoriale. Gli interventi previsti ricadono all’interno del Bacino N. 9 “Bacini del versante Jonico meridionale e superiori” e Area N. 12 “Bacini del versante Jonico meridionale inferiore” Il progetto è stato così articolato : Individuazione ed elencazione Bacini idrografici ; Individuazione per bacino interventi di pulitura, risagomatura alveo E messa in sicurezza idraulica; Il progetto riguarda la sistemazione dei seguenti corsi d’acqua : 1.Fiumara Stilaro e suoi affluenti ; 2. Torrente Precariti e suoi affluenti; 3. Fiumara Allaro e suoi affluenti; 4. Fiumara Amusa e suoi affluenti ; 5. Fiumara Torbido e suoi affluenti ; 6. Fiumara Condoianni e suoi affluenti ; 7. Fiumara gelsi bianchi ; 8. Torrente Lordo sistemazione area diga, bonifica e ripristino laghetto;

Gli interventi si rendono necessari in quanto gli eventi eccezionali di questi ultimi anni hanno progressivamente portato alla distruzione di elementi, quali porzioni di argini e briglie e ad un generale sovralluvionamento unito alla presenza in alveo di folta vegetazione. Facendo riferimento anche alle segnalazio-

ni pervenute a quest’ufficio, sia dal Servizio di Sorveglianza Idraulica, sia dai privati che hanno subito danni per esondazioni a singole abitazioni o anche ad attività produttive e aziende agricole si ritiene necessario intervenire con la sistemazione della sezione in modo da migliorare il deflusso idraulico delle piene con le seguenti opere:

LA POPOLAZIONE I dati sulla popolazione residente nei comuni del comprensorio consortile sono dedotti dall’ultimo censimento Istat 2011 sulle popolazioni:

I Comuni e le rispettive superfici facenti parte del comprensorio sono di lato elencati :

Il tema in oggetto ci viene proposto all’attenzione da Claudio Bruno geologo libero professionista di vasta esperienza che opera da oltre 40 anni nel territorio della Locride e che conosce molto bene le tante problematiche geomorfologiche del territorio della Locride e Consortile. Mi ha stimolato questa intervista anche il modo in cui Claudio Bruno definisce le problematiche Amministrative di una burocrazia asfissiante “Burocrazia delle 900 autorizzazioni” definita sarcasticamente e che rende abbastanza l’idea sul ruolo negativo di questo male che tanto male provoca nei vari iter di programmazione e sviluppo. Chiedo subito in che cosa consiste questa programmazione decennale di prevenzione e gestione del rischio idrogeologico del territorio consortile: Il geologo Bruno, vorrebbe, innanzitutto ringraziare Pasquale Brizzi attuale commissario del Consorzio di bonifica “Alto Jonio Reggino” di Roccella Jonica, al quale per primo ho sottoposto il progetto contenente tutta una serie di interventi tendenti tutti ad un serio rilancio programmatico dell’Ente Consortile dal punto di vista della prevenzione e gestione del territorio e nello specifico della difesa del suolo. Brizzi si è mostrato, da subito, molto interessato aggiungendo anche che si sarebbe prodigato per inoltrare presso gli Uffici preposti (Comunità Europea in primis) questo progetto che rappresenterebbe un sicuro rilancio non solo di questo Ente ma di tutti gli Enti Consortili Calabresi. Rispetto alle priorità ed al perché di alcune scelte vanno dati alcuni dati abbastanza significativi, che solo gli addetti ai lavori conoscono e che sicuramente nella loro entità giustificano ampiamente la candidatura a tale gestione.

Parliamo di problematiche geomorfologiche della Locride e della burocrazia delle “900 autorizzazioni” termine coniato da Claudio Bruno e della sua idea sulla programmazione decennale di prevenzione e gestione del rischio idrogeologico pulizia e risagomatura dell’alveo fluviale con centralizzazione della sezione di deflusso nei tratti individuati ripristino strutturale e funzionale delle opere di difesa spondale. Sarà anche previsto il miglioramento e potenziamento della viabilità esistente all’interno di ogni singolo bacino per una ottimale rete di comunicazione tra le aree costiere e le frazioni delle aree interne nel territorio di competenza consortile. Lo studio, oltre ad essere necessario per il recupero geostatico dei bacini idrografici è opportuno e si fa carico anche per l’individuazione, il miglioramento ed il potenziamento della viabilità interpoderale esistente all’interno di ogni bacino al fine di ridurre le complessità comunicative tra le aree costiere e le frazioni delle aree interne nel territorio di competenza consortile. Inoltre, sempre nell’ambito del potenziamento idrico, al fine di migliorare e potenziare i pozzi di prelievo con le relative reti di adduzione oltre ad intervenire sul recupero o sostituzione di quelle attuali, sarà opportuno programmare nuovi pozzi e nuovi punti di raccolta (laghetti collinari) al fine di potenziare l’offerta idrica consortile ai consorziati, ricordo che proprio in questi giorni si è istituzionalizzata “La giornata mondiale dell’acqua” e sull’importanza capitale di questo oro bianco mi riservo di soffermarmi ulteriormente. Pertanto da quanto ampiamente esposto, penso che il Consorzio dimostri di aver le carte in regola per gestire un progetto di tale entità. La cifra prevista, per i programmi esposti, è sicuramente impegnativa e può tranquillamente essere individuata nella programmazione del prossimo Recovery Plan, per quanto riguarda il personale i consorzi hanno già al loro interno tecnici di alta competenza e di valore professionale dimostrato negli anni con le tante opere anche particolari vedi la diga sul lordo e altro nell’ambito del ringiovanimento del personale verrà reclutato tra i migliori giovani tecnici presenti nel territorio. Stiamo pensando, anche, ad una gestione amministrativa, perchè in effetti una programmazione di tale livello necessita di conseguenza di Amministratori di livello con le dovute e necessarie competenze che il caso richiede, pertanto stiamo pensando per le prossime elezioni consortili ad allestire una lista che rispecchi proprio tali obiettivi futuri di programmazione e competenza, che sicuramente ridaranno il giusto lustro tecnico ai Consorzi. Il territorio della Locride e quello della provincia di Reggio Calabria più in generale ha già subito ingiustamente all’insegna di un pseudo risparmio numerose chiusure e decurtazioni territoriali periferiche vedi ASL, Provincia, ecc. ecc. i risultati negativi di tali scellerate politiche sono sotto gli occhi di tutti specialmente in questo particolare periodo per la sanità. Penso che l’attuale suddivisione consortile che vede un Ufficio centrale su Reggio Calabria e due Uffici territoriali su Rosarno per la piana e su Roccella per la Locride sia ottimale e non deve assolutamente subire alcuna soppressione, quindi consiglio agli Amministratori Regionali di non pensare nemmeno lontanamente a tale soppressione, altrimenti personalmente investirò il comitato dei sindaci della Jonica e si organizzerà una vibrata protesta del territorio. Vladimir


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Francesco Cuteri: lo Schliemann Calabrese

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Francesco Cuteri è un archeologo con un desiderio: vorrebbe che la bellezza della Calabria, da lui definita terra del possibile e dell’impossibile, fosse raccontata rispettando la verità storica. A Monasterace Marina, nel sito della Caulonia greca, ha scoperto un mosaico di età ellenistica, considerato al momento il più grande e articolato della Magna Grecia GIUSEPPE FIORENZA Francesco Cuteri è nato a Catanzaro, è quindi un calabrese doc. Professore di Beni Culturali e Ambientali presso l’Accademia di Belle Arti del Capoluogo, si è laureato in Archeologia Medievale a Siena, con il professore Riccardo Francovich, si è perfezionato in Archeologia a Firenze ed ha conseguito il titolo di Dottore di Ricerca a Pisa. Rimandiamo al sito dell’Accademia per le altre notizie biografiche, nel quale sono indicate tutte le campagne di scavo alle quali ha partecipato. A Monasterace Marina, nel sito della Caulonia greca, ha scoperto un mosaico di età ellenistica considerato al momento il più grande e articolato della Magna Grecia. È autore di numerose pubblicazioni. Insomma, è la mente che tutte le autorità archeologiche vorrebbero, come professore, come consulente, come storico. Abbiamo provato a confrontarci con lui, con alcune semplici domande che intendono darci un quadro della situazione storico-archeologica della regione. Le sue risposte ci forniscono, al di là della sua grande professionalità, una visione chiara e articolata di ciò che dovrebbe essere il nostro futuro “storico” (si perdoni l’ossimoro!). Francesco Cuteri è un archeologo con un desiderio: vorrebbe che la bellezza della Calabria fosse raccontata rispettando la verità storica. Cosa c’è che non va nel modo in cui si racconta la storia calabra? La Calabria merita una narrazione veritiera e riscontro sempre di più il diffondersi di racconti superficiali, lontani da una vera collocazione storica, prividi corrispondenze nel patrimonio storico, architettonico, archeologico. Un conto è affidarsi alla narrazione di aspetti legati alla tradizione, che spesso sono ammantati di una meravigliosa dimensione favolistica o rifarsi alle leggende di cui la nostra terra è ricca; altra cosa è voler assolutamente contestualizzare in una determinata dimensione storica, uomini eventi e monumenti che reclamano altro. Nei social, naturalmente, si raggiunge spesso il massimo dell’invenzione e della fantasia, spes-

so con un intento eccessivamente celebrativo di una località o di un paese, altre volte per vendere un prodotto turistico o ancora per vantare lontane e mitiche origini. La storia è bella quando profuma di trasparenza e dovrebbe essere una regola di base quella di educare sempre alla verità, anche se può presentarsi a molti meno fastosa, meno illustre. Tutte le storie sono storie e tutti gli uomini hanno la loro, che può diventare un racconto meraviglioso e la preziosa testimonianza di una esperienza di vita. Gerard Rolfhs diceva che lui faceva degli scavi archeologici proprio come gli archeologi ma in senso linguistico. Lei ci trova qualche punto in comune con il grande linguista tedesco e la sua opera o troppe differenze, a parte quelle intrinseche della materia? Rolfhs, proprio come fanno gli archeologi, partiva dal metodo e dalla raccolta precisa, sul campo, di tutte le informazioni disponibili. Lo scavo archeologico è esperienza straordinaria, è la responsabilità di interpretare quello che rimane di trascorse esistenze e di opere, piccole e grandi, che gli uomini del passato hanno realizzato. Non si può improvvisare e non si può fare a meno di continuare a studiare per aggiornarsi e perfezionarsi. Ma sono le cose del passato che lo pretendono, anche se nel corso degli anni sono cambiati e si sono evoluti gli strumenti di lettura. Ma bene interpretare è il passaggio più importante e più difficile, che segue la raccolta efficace dei dati. Proprio come faceva Rolfhs, a cui siamo debitori di una sequenza storica lunga e profonda espressa dalla lingua grecanica e più in generale dal dialetto. È grazie a lui che ho scoperto che nel mio cognome, derivato da un provenzale “cutier” che significa guardia campestre, si conserva una memoria “agraria”. Mi sento così parte di un paesaggio storico. Nella home-page della sua pagina Facebook lei si definisce archeologo scalzo. Ci vuole spiegare cosa vuol dire? Camminare a piedi nudi, delicatamente, sui mosaici che ho scoperto a Monasterace, la cosiddetta “sala dei draghi, dei delfini e dell’ippocampo”, è stata un’esperienza meravigliosa. Un modo ancora più diretto di

vivere il passato, con tante emozioni che ho cercato sempre di trasmettere ai visitatori che ci hanno raggiunto nel Parco archeologico dell’antica Kaulonia. Ma c’è anche un altro motivo per cui mi sento un archeologo scalzo. Per il mio modo di agire, di portare la cultura e la conoscenza del nostro passato in ogni angolo della nostra regione, fin dove mi è possibile giungere. Immaginando che la cultura e l’amore per il passato siano una cura. Proprio come facevano in Cina i “medici scalzi”, che a piedi nudi raggiungevano anche le terre più lontane per portare un aiuto, una cura, ai poveri contadini che ne avevano bisogno. Essere scalzi è un modo incondizionato di amare la propria terra. Quali sono state le esperienze più gratificanti nelle sue campagne di lavoro? Sono state tante, dallo scavo nel villaggio minerario di San Silvestro, a Campiglia (Toscana) con il mio maestro Riccardo Francovich, a quelle dei castelli di Scarlino e Montarrenti, sempre in Toscana, ed ancora alle ricerche a Capo Colonna, Stilo, Mileto, Tropea, Santa Severina e tanti altri posti ancora. Come a Bivongi, dove lo scavo nel monastero di San Giovanni Theristìs lo ricordo per la bellissima amicizia che mi ha legato al monaco Athonita Kosmas. Ed infine, la scoperta dei mosaici ellenistici di Monasterace, che ha cambiato il mio modo d’intendere il passato, spingendomi a ricercare ulteriormente l’essenza delle cose. Tutte esperienze gratificanti, anche per il fatto che molte delle mie ricerche si sono svolte sotto forma di attività didattica coinvolgendo, quando possibile, studenti provenienti da tante università italiane. Esperienze di scavo e ricerca sempre più difficili da realizzare per chi studia archeologia. E quali quelle più deludenti? Non ci sono esperienze deludenti. La ricerca è sempre bella. Deludenti sono a volte i modi in cui si valorizzano, o meglio non si valorizzano, le aree in cui sono stati spesi tanti soldi e tante energie. Ma questo è un aspetto che merita un tomo enciclopedico e dunque soprassediamo. Se dovesse definire la Calabria dal punto di vista

archeologico quale nominativo le darebbe? Di certo non la chiamerei la terra di Ulisse. Personaggio di grande fascino e di grande interesse che viene spesso tirato in ballo, erroneamente, anche a proposito della nostra terra. Pare anche che in questi giorni qualcuno vada dicendo che vorrebbe dedicargli il futuro ponte sullo Stretto. Io ci penserei due volte: prima a realizzarlo (il ponte) e poi a dedicarlo ad un uomo astuto e coraggioso che però nello Stretto, fra Scilla e Cariddi, ha visto morire tutti i suoi compagni di viaggio. Insomma, non mi sembra, proprio in quel luogo, una dedica particolarmente felice. La Calabria, semplicemente, è la terra del possibile e dell’impossibile. Nella violenta bellezza delle cose, molte finestre si aprono sull’infinito Quali sono i mali, secondo lei, che impediscono a questa terra di valorizzare pienamente le testimonianze storiche che abbiamo? I mali, oltre a quelli che continuano a scorrere in maniera sotterranea come l’acqua di alcune fiumare, sono da ricercare nella scarsa visione e consapevolezza del bello, nel non fidarsi di chi ha belle intuizioni e mostra un cuore trasparente, nell’affidare talvolta (o spesso) ad incapaci e incompetenti la guida di settori delicati e importanti. Ripartiamo dalle comunità, soprattutto dalle più piccole, impegniamoci, sogniamo, lavoriamo. Tutto cambierà e il cambiamento è già in atto. E smettiamola di avere sempre la necessità di paragonare le nostre cose ad altro: Zungri è la piccola Matera; Scilla la piccola Venezia, i monti di Canolo le piccole Dolomiti, Scolacium una piccola Pompei, etc., etc. Ogni luogo, citato, ha la sua storia e la sua identità. Ogni singolo luogo racconta la nostra storia e la nostra identità. L’intervista con il Professor Cuteri denota una visione, come abbiamo detto, chiara del nostro patrimonio archeologico ma mette anche in guardia, come non abbiamo detto, dall’incompetenza degli addetti ai lavori e della responsabilità, questo lo diciamo noi, delle autorità preposte che devono farsi carico di salvaguardare i tesori, che calpestiamo con i nostri piedi ovunque


La Padrina: quando la mafia è donna La Padrina, il nuovo romanzo di Palma Comandè, edito da Rubbettino, ha come filo conduttore il cambiamento che, come tutti i cambiamenti profondi si sostanzia in un cammino interiore che metta in discussione pensieri, cultura e modalità comportamentali per giungere alla formazione di una sensibilità e un sentire diversi sui quali formare nuovi pensieri e, soprattutto, nuovi percorsi di vita ROSALBA TOPINI “La montagna è là che ti aspetta”! Inizia, con questa frase, il nuovo romanzo di Palma Comandè, edito da Rubbettino, una frase che prelude al mistero e che rivelerà, pagina dopo pagina, il suo vero significato. Si, perché la montagna è l’Aspromonte che avvolge in un abbraccio o in una prigione, chiunque la attraversi. In questo romanzo vengono contrapposte due donne: la Padrina, che rispecchia la mentalità tipica ‘ndranghetista trasmessa con un’autorità indiscussa, per questo temuta e rispettata da tutti; Miriam, la nipote, che racchiude in sé un senso si inquietudine, desidera fuggire da quel mondo che sente sbagliato. Una lotta perenne, dunque, tra il bene il male, dove a tratti la drammaticità degli avvenimenti è davvero crudele: come l’assassinio di due giovani fidanzati, uccisi per il loro desiderio di fuggire dalla loro famiglia mafiosa. Ambientato tra la Calabria, Milano e l’America con al centro la ‘ndrangheta e parole che si rincorrono spesso: rispetto e onore. Questi sono gli obiettivi da raggiungere e per farlo la Padrina è disposta a tutto, anche a sacrificare il suo stesso sangue. Il romanzo scava nel profondo nell’anima dei protagonisti, uomini e donne senza pace che si aggrappano a “Quella mentalità” per giustificare i loro errori e sopravvivere alla loro coscienza; la stessa vita della Padrina è stata segnata da numerose tragedie, che le hanno indurito l’anima. Ma Myriam, definita dalla nonna “Sangu malatu”, insegnerà che nella vita c’è sempre la possibilità di scegliere.

ER TRILUSSA DI STILO

Per addentrarci ancora di più in questo romanzo che trascinerà il lettore in una giostra di svariati stati d’animo, abbiamo rivolto della domande alla scrittrice Palma Comandè Com’ è riuscita a tratteggiare una figura come la Padrina, che sembra la reincarnazione del male? La Padrina è una donna che incarna in modo assoluto e totale una cultura arcaica e le sue esasperazioni. Quindi è un personaggio realistico. Quella sua “Vocazione al male” non è culturale o caratteriale e non è neppure una vocazione. È semplicemente la risultanza di tragiche delusioni interpretate, secondo i parametri culturali dell’ambiente di cui la Padrina è figlia. È un personaggio umano dunque, figlio di un preciso ambiente. Si è ispirata a qualche personaggio per tratteggiare questa figura? No, non mi sono ispirata ad un personaggio in particolare, ma ad una serie di componenti culturali, che in certi ambiti connotano un particolare sentire. Il romanzo racconta una lotta tra il bene e il male; tra una mentalità tradizionale e una moderna. Secondo lei, alla fine, una delle due riuscirà a prevalere o finirà tutto in una sostanziale parità? Il filo conduttore del romanzo è il cambiamento che, come tutti i cambiamenti profondi e non apparenti, si sostanzia in un cammino interiore che metta in discussione pensieri, cultura e modalità comportamentali per giungere gradatamente alla formazione di una sensibilità e un sentire diversi sui quali formare nuovi pensieri e nuove visioni e, soprattutto, nuovi percorsi di vita. Non è indolore tutto ciò visto che le strutture culturali ricomprendono anche la sfera emozionale e affettiva. Il che significa che la progressiva demolizio-

Me piaci quanno fai la spiritosa o quanno fai er balletto der su e giù e sventaji ’na vesta da sciantosa coll’occhi luccichenti da biggiù. Ierzera te volevo dì ’na cosa, era er segreto che conoschi tu. Te sei incocciata a fà la dispettosa me sò ammosciato e nu’ l’ho detta più. Te ne sei annata, e lì fenì la storia! Quer che volevo dì nun te l’ho detto ma l’ho fissato drento a la memoria. Mo sto a penà pe li crapicci tua, e invece d’una, io te lo prometto, si ciarivenghi…te ne dico dua!? Giorgio Bruzzese

ne. E quando si narrano storie particolarmente intrise di pathos, di scelte sofferte e dolorose, di dinamiche complesse, con esiti anche tragici è evidente che la scrittura coinvolge fino al dolore. Quando scrive sente empatia con i suoi personaggi, oppure riesce a distaccarsi? Quando scrivo, i personaggi che avevo delineato con la mente diventano persone, perché istintivamente mi traspongo in loro. Se provassi a staccarmene, mi morirebbero dentro, ed io smetterei di scrivere. È previsto un seguito del romanzo? Dato il finale, credo proprio che il seguito si imponga. Credo che la continuazione sarà per lo più incentrata sul futuro, dove può darsi che sopravviva il concetto di Padrina come stimolo a contraltare.

FRUTTI DIMENTICATI

Bianca di luglio

VITIS VINIFERA L. FAMIGLIA VITACEE

L’URTIMA SERA

ne, indispensabile ai fini di una ricostruzione, sarà dolorosa e quanto mai difficile sia perché richiede lucidità, forza interiore e fermezza caratteriale, sia perché richiede la disposizione ad accogliere l’idea del distacco da quanto affettivamente già consolidato. Ricominciare, dunque, in ogni senso. Questo è il vero cambiamento. È difficile in una cultura arcaica fondata sul familismo, ma non è impossibile se alla base vi è una lucida consapevolezza dì sé e di quel che si vuole essere. La protagonista, pur nel travaglio del suo percorso, è riuscita a gettare un seme di cambiamento. Lei, da scrittrice, ha avuto difficoltà a scrivere il dolore e i drammi dei personaggi del suo romanzo? Non riuscirei a scrivere se non mi immedesimassi nei personaggi di cui narro. L’immedesimazione è una dinamica fondamentale per dare anima alla narrazio-

Il percorso alla ricerca delle viti nel nostro territorio da parte mia, iniziò più di una trentina di anni addietro, quando ancora i vigneti marginali, su cui vigilavano con grande amore gli ultimi custodi che conservavano i saperi antichi, erano ancora numerosi. Essi tramandavano in ogni territorio viti diversi che ci derivavano dall’antichità classica e bizantina quando furono utilizzati nelle ville rustiche romane prima nei grandi latifondi imperiali e nei poderi della chiesa greco-ortodossa dopo, provenienti dalle diverse aree del Mediterraneo oppure erano quelli selezionati sul posto, derivanti dalla domesticazione delle viti silvestri. Agli inizi degli anni ottanta iniziai a curare una piccola vigna di mio padre che aveva impiantato nel 1933 e che ogni anno arricchivo con viti che non possedevo prelevandoli dai miei vicini. Alla fine degli anni novanta del 900 nella vigna avevo inserito qualche varietà di Bova, tra cui il Castiglione che quando veniva vinificato in purezza dava un vino dai riflessi violacei. Incentivai la ricerca in tutta la provincia di Reggio nell’estate del 2002, dopo che venne a trovarmi il prof. Attilio Scienza della Statale di Milano, che aveva letto su Calabria Sconosciuto, che sta per chiudere, dopo un percorso di decenni, una notizia sui palmenti di Ferruzzano. Volle visitare dei palmenti e poi la mia vigna marginale dove contò una quarantina di viti interessanti. Cominciai ad esplorare tanti vigneti sempre in provincia di Reggio, dove i più interessanti li individuai a Gerace, Bivongi, Molochio, Palizzi, Motta San Giovanni, area dello stretto e cominciai a concentrarli in un mio pezzo di terra e con essi creai una vigna di poco più di un ettaro costituita da circa tremila viti, con la presenza di circa 350 accessioni diverse tra loro. Visitarono la vigna Attilio Scienza della Statale di Milano, Adamo Rombolà dell’università di Biìologna, il defunto Giancarlo Scalabrelli dell’università di Pisa, Giuseppe Cordiano dell’università di Siena e su invito dell’ingegnere Cesare Scarfò che abita nell’isola di Giglio, ma con padre originario di Locri, arrivò dalla California Gustavo Gonzalez, un enologo di fama internazionale, con vigneti nella Napa Valley di California,

che fece le prove sensoriali sulle uve di tutte le accessioni ed individuò 80 viti dalle uve adatte a fare dei vini strepitosi, Fu addirittura, tramite Gustavo Gonzalez, coinvolta la Davis Di California a cui furono proposte le viti calabresi, ma esse non furono trasferite in California perché bisognava risanarle prima di raggiungere la California stessa ed il costo sarebbe stato alto. Intanto un’istituzione regionale pugliese, il Crea di Turi cominciò ad interessarsi delle viti ubicate in un campo a Ferruzzano e mandò in Calabria l’attuale direttore del Crea stesso: il dott. Angelo Caputo. Egli venne con un collaboratore, il dott. Sabino Roccatelli e ripartirono con le punte apicali di 200 ger-

mogli di viti diverse da cui avrebbero il DNA: il risultato fu sorprendente e ben 72 risultarono uniche al mondo. Il dott. organizzò degli incontri ed informò i referenti del territorio invitandoli a non disperdere il grande patrimonio viticolo concentrato in un campo a Ferruzzano, ma l’appello cadde nel vuoto, mentre contemporaneamente presentò un progetto finalizzato al salvataggio e al riconoscimento delle migliori viti del campo stesso. Delle 72 viti, fu estratto il DNA anche dalla presente che individuai agli inizi del 200 in una vigna di un mio amico a Ferruzzano. All’epoca mi colpirono le foglie molto delicate ed allora chiesi al mio amico, il sottoufficiale della Marina ed elicotterista Domenico Callipari, che mi parlasse dell’uva. Egli cominciò a dirmi che in effetti non conosceva l’uva, nonostante che esisteva nella sua vigna marginale dal 1933, perché era stata piantata da suo nonno. Raccontava che seguiva il suo percorso fino alla fine di Giugno, un po' prima dell’invaiatura, poi andando a controllare non la ritrovava più. La introdussi nella mia vigna e notai da subito che maturava prestissimo ed un giorno prima di andare in campagna, ascoltai il telegiornale dove venivano evidenziate le notizie riferite ai grandi festeggiamenti in Francia per la ricorrenza della presa della Bastiglia il 14 luglio del 1789; quindi il giorno preciso era il 14 luglio. La prima azione che eseguii, andando alla vigna fu quella di andare a visitare la vite misteriosa e mi accorsi che la sua uva non era nera come ipotizzava il mio amico, ma di un bianco molto delicato e per giunta era perfettamente matura ed era pervasa da un lieve sapore aromatico. I grappoli erano tre e decisi di coglierli il giorno seguente, ma quando ritornai il giorno dopo, non c’erano più perché di essi si erano accorti gli uccelli. Orlando Sculli



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POSTA

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Il Riformismo di Covatta Gigi Covatta è stato a lungo un parlamentare apprezzato, presidente di commissione, vice presidente della Bicamerale di De Mita, sottosegretario; si è occupato di Istruzione, Beni Culturali, Lavoro; un uomo instancabile e lucido, ricordato dal senatore Crinò

Tardi È tardi, uno sbadiglio dopo l'altro t'invita ad andare a letto, subito, sotto le coperte. Non senti il gallo che canta ,è già mattino,la notte non c'è più. Ieri avevi i tuoi venti anni,oggi ottanta, e non li hai sentiti passare anche se li hai vissuti! Accorgersi e di cosa,della scomparsa degli affetti più cari, l'arrivo dei giovani perché possa continuare il ricordo di te. Era ieri,è passato in un baleno, ti ritrovi a fare previsioni,non sul futuro, su te stesso, non vorresti neanche pensarlo, torna spesso in mente,insieme a tutte le cose belle dell'altro ieri!Quanto ancora?Vale progettare per poi, ti cattura la tristezza, e desideri ignorare e,non renderti conto del tutto. Il mare,grande sulla riva spinge le sue onde, a volte piccole,a volte più potenti,sempre nuove, diverse ed anche il rumore dell'infrangersi è differente,quasi il pianto dell'umanità che se ne va,subito rimpiazzata delle nuove arrivate! Dove mi ritroverò questa sera ed il prossimo mattino ci sarò?Nessuno all'arcano futuro,darà soddisfacente risposta, la Pizia dei greci probabilmente. Era tanto umano,credere e non sacrificare il presente, lasciarsi andare,sull'onda dell'oggi senza un incerto domani. Reagire, non arrendersi, se il domani può sembrare poco lusinghiero ritorna l'insegnamento del passato a darci la forza di avanzare, dimenticando gli orrori commessi d'una umanità impazzita che non si saziava mai di sangue umano innocente! Quante ghigliottine, camere a gas, bombe e fucili, corde per impiccare, tutti strumenti dell'uomo contro l'uomo, del potente contro l'inerme, il bambino senza difesa! Ancora, lingua mormora per acclamare la morte, la strage, la follia senza fine. Qualcuno ha ovviato a questo, ora invisibilmente e per tutti arriva il nemico mortale sconosciuto! Non si salvano i potenti, ripensando è l'onda sui sassi umani della riva, bagna tutti senza scelta!

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L'albatros

FRANCO CRINÒ Arrivo in Senato (unico eletto del NPSI) nella XIV legislatura. Non ero uno sconosciuto, ero consigliere regionale in carica in Calabria, capogruppo in assemblea. Avevo avuto ruolo politico (tassativamente nella categoria dei "Faticatori") a cavallo degli anni 80 e 90, Commissario della Federazione di Reggio Calabria del Partito Socialista. In quella stagione (2001-2006) anche tre eletti alla Camera: Bobo Craxi (un nome impegnativo), Chiara Moroni (un nome che evocava un dolore), Vincenzo Milioto (la sorpresa siciliana). Sono stati pochi i parlamentari socialisti che sono tornati in pista dopo gli anni della “Cancellazione”: Claudio Martelli e Gianni De Michelis a Strasburgo, Stefano Caldoro, Mauro Del Bue, Nanni Ricevuto a Roma. Saverio Zavettieri è stato Assessore regionale con Chiaravalloti, Sandro Principe con Loiero. Altri lo hanno fatto per lo più con il simbolo di Forza Italia, qualcuno con la sinistra (...). Era gente strutturata quella socialista della Prima Repubblica, grandi analisti ed amministratori. Avvertivo nettamente la maniera con cui mi "Scrutavano" a Roma. "Guarda questo... come ha fatto? Io, da Roma vengo rispedito a casa e lui è arrivato nel Palazzo". "Con la pioggia acida che ci è precipitata addosso, questi calabresi sono ancora vivi" . "Sarà capace?". Ecco, la domanda più pertinente era quest'ultima, la domanda che si faceva Gigi Covatta. Non me lo diceva, lo capivo: mi interrogava, mi consigliava, mi spiegava. Deve avermi pure "Promosso" se avevamo preso l'abitudine di prendere il caffè insieme a San Lorenzo in Lucina. Lui lo beveva subito e bollente (e c'era un motivo) oppure “L'appuntamento" con la

tazzina (che perdeva ogni grado di calore) slittava a dopo i lunghi ragionamenti e la serie micidiale di sigarette che si fumava (ecco il motivo). Lo ascoltavo, lo ammiravo, lo guardavo forse come oggi lo ha definito Mauro, "Il più simpatico degli antipatici", "Il più dolce dei burberi". Ha sempre scritto alla grande, non ha mai smesso di farlo Gigi Covatta, dal Congresso di Torino del 1978 alla Rimini del 1982 (i meriti e i bisogni, Claudio Martelli ha sottolineato il suo grande supporto), come Direttore di Mondoperaio, che ha continuato a far uscire a sue spese. Veniva dal mondo cattolico, con Gennaro Acquaviva e Livio Labor. Un intellettuale inesauribile, dalla "Rotondità" fisica che ti fa pensare ad una vita sedentaria trascorsa a leggere e scrivere. Ma è stato a lungo un parlamentare apprezzato, presidente di commissione, vice presidente della Bicamerale di De Mita, sottosegretario; si è occupato di Istruzione, Beni Culturali, Lavoro. Nella corrente lombardiana, dei Signorile e dei De Michelis (per un tratto almeno), uomini di governo e di spessore, Covatta e Cicchitto erano dedicati alle tesi politiche, alla scrittura, all’elaborazione. Gigi ricordava il postsessantottino che voleva far scendere le ideologie su questa terra. Ininterrotta la passione di Covatta per il riformismo. Il riformismo lo richiamano in tanti, lo costruiscono I pochi. I socialisti sapevano come fare, ammettiamo che ci hanno indugiato pure loro. La Grande Riforma di Craxi, la Repubblica presidenziale, non è stata "Battuta" con la determinazione che meritava. C'erano le questioni di governo e le resistenze degli alleati, l'avversione dei "Cugini" a sinistra. Instancabile e lucido sui temi Gigi Covatta, finché non ce l'ha fatta più con la vita. Lo ricordo con stima.

Siderno piange Michele Commisso Questo paese continua a soffrire, eppure è un paese costituito da molte brave persone. Questa settimana è successa una cosa che solo un popolo maturo e saggio riesce a concepire, alcune persone mi hanno avvicinato per chiedermi se sarebbe uscito il giornale, ed alla mia risposta positiva mi hanno chiesto ricordati di Michele. Io Michele Commisso lo ricordo poco, ricordo la “fornace” dove lavorava a Samà, ricordo una vecchia auto della Fiat che per i tempi era un sogno, ricordo un signore distinto che sapeva farsi volere bene, che abitava vicino a mio zio. Ma voglio ricordarlo come simbolo di una Siderno fatta da persone per bene che piano piano ci stanno lasciando sempre più soli. Condoglianze alla famiglia da parte nostra.

ORIGINALE CONTRAVVENZIONE AL SINDACO DI BOVA MARINA

Non sappiamo se… piangere o ridere!

A Bova Marina, una dipendente comunale, non trova altro da fare che chiedere un’ispezione per “Verificare l’adeguatezza e l’idoneità” di un locale all’interno della biblioteca di cui sarebbe responsabile. In tempo di pandemia e con problemi molto, ma molto più gravi per i poveri italiani e calabresi ci sarebbe da piangere, se non ci venisse da ridere

In tempi di pandemia, tutti concentrati come siamo ad arginare gli effetti del Covid e a limitare i danni alle persone ed anche all’economia, può anche succedere che qualcuno si distragga per occuparsi di…bagattelle. A Bova Marina, pensate un pò, una dipendente comunale, Domenica Stilo, non trova altro da fare che chiedere una ispezione per “verificare l’adeguatezza e l’idoneità” di un locale all’interno della biblioteca di cui sarebbe responsabile. E il Dr. Pellegrino Giuseppe e Dott. (trascriviamo fedelmente dal “Verbale di contravvenzione e prescrizione in materia di igiene e sicurezza del lavoro”) Mollica Renato, Ufficiali di P.G. appartenente (sempre testuale…) al Servizio Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro dell’ASP – Reggio Calabria – ambito Locri (RC), su disposizione del Direttore del Servizio si precipitano ad effettuare sopralluoghi e richiedere formalmente documentazione (!), lamentando che essa (la documentazione) è tuttora non pervenuta. Per questo motivo, consapevoli del loro ruolo e accertata a carico del datore di lavoro la suddetta violazione, contestano allo stesso il RIFIUTO DI FORNIRE NOTIZIE (letterale, tutto

maiuscolo!) e ribadiscono che la pena prevista per tale violazione è l’arresto (addirittura?) fino a due mesi o l’ammenda fino a € 516,00 (cinquecentosedici/00). Al datore di lavoro danno poi i classici 7 giorni per mettersi in regola (esibire cioè la documentazione richiesta) e lo informano finanche che “per quanto esposto al precedente punto (i 7 giorni ndr), poiché la situazione constatata (quale? Non è dato rilevare dal verbale notificato…ndr) rappresenta una infrazione alle norme legislative in materia di prevenzione degli infortuni ed igiene del lavoro, sarà inviata alla Procura della Repubblica di Reggio Calabria (nientedimeno! Ndr), la relativa comunicazione di reato della violazione riscontrata (quale? E ci ripetiamo…ndr) e la relativa contravvenzione. La risposta del “datore di lavoro” della signora Stilo, il sindaco di Bova Marina, l’ex parlamentare Saverio Zavettieri? Non pago, che procedano pure… In tempo di pandemia, e con problemi molto ma molto più gravi per i poveri italiani e calabresi (e gli stessi cittadini di Bova Marina), ci sarebbe da piangere, se non ci venisse da ridere.


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THE BLOB www.larivieraonline.com

I racconti di Mimmo Panetta

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Le bontà di Canolo da Antonello Grazie ad un amico, questo inverno abbiamo passato bei momenti nella nostra montagna, a Canolo nuovo. Qui resistono Antonello e Laura che riescono a far vivere altre famiglie con il lavoro onesto, con la valorizzazione dei nostri prodotti tipici di qualità, che in montagna poi aggiungo il clima ideale per una stagionatura perfetta. Così pensavo che qualcuno dovrebbe ringraziare gli imprenditori come Antonello, che con la loro resistenza riescono a far vivere meglio i cittadini della Locride. A saluti!

La scorsa settimana ho avuto in dono il nuovo libro di Mimmo Panetta, Sradicati. Ho iniziato subito a leggerlo, ed ho scoperto l’anima vera dell’autore che si confessa in questo libro che parla di emigrazione, sofferenza e tanto altro. Così quando abbiamo visto questa foto di un giovane Panatta addirittura con Gina Lollobrigida, abbiamo pensato che non c’era modo migliore per comunicare che la prossima settimana pubblicheremo una bella recensione. Ma dove è stata scattata questa foto?

Con una pizza si torna a sorridere

Cambiamo? Sebastiano

La pandemia sembrava una cosa impossibile, ma invece da quasi quindici mesi siamo bloccati economicamente per colpa di questo invisibile virus. Molti hanno dovuto cambiare stile di vita, lavoro e molte altre abitudini. Chi come Nicola lavora nel settore della ristorazione deve per forza di cose cambiare, cercare di capire quali saranno le volontà del cliente, ma intanto sicuramente molto sarà il lavoro di asporto, ed in questo questa bella squadra ormai si è proprio specializzata.

Urge un immediato confronto con sindaci, Città Metropolitana e Regione per discutere delle misure da prendere per salvaguardare economia locale e posti di lavoro”. È quanto afferma Sebastiano Primerano, nominato da Saverio Anghelone, Vicecoordinatore provinciale di Cambiamo. Si infittisce con questa nomina il numero delle persone che si dovrebbero candidare alle prossime elezioni regionale, che si dovrebbero svolgere tra settembre e ottobre.

Due grandi amici La prima donna del canile è “Stellina”

Carlo bello sguardo non perde un ballo e Vincenzo che a ballare sembra un cavallo, in un locale che uno schifo, poca gente che li guarda, con un aria da commedia americana, così avrebbe detto di loro Lucio Dalla. Ma Carlo Romeo il più famoso scarparo della Locride con Vincenzo Vitale si conoscono da una vita e le canzoni di Dalla le conoscono bene. La periferia di questi versi dalle nostre latitudini si trasforma in provincialismo, di chi pensa che le bugie possono andare lontano.

Questa settimana vi presentiamo “Stellina” la prima donna del canile di Sant’Ilario, un bellissimo Pastore Tedesco di cinque anni. Stellina non è un cane di grossa stazza, anche se mantiene un buon fisico, ma è molto buona ed affettuosa. Invitiamo chi vuole, a farci pervenire le foto per pubblicizzare i nostri amici a quattro zampe. Nella speranza di ricevere molte mail, ecco l’indirizzo a cui inoltrarle info@larivieraonline.com

AUGURI PER I CENTO ANNI DI MARIA FERRARI

Ha appena compiuto 100 anni Maria Ferrari, nata il 23 aprile del 1921. L’evento è stato salutato dalla sorella Luisa (di anni 94) con lei convivente, dalle figlie Francesca, Valeria, Wanda ed Enrica; dai generi, dai nipoti e dai pronipoti in linea retta, nonché dai nipoti e pronipoti. Nata a Gerace da Domenico Ferrari (che è stato sindaco della cittadina negli anni 20) si è trasferita, dopo il matrimonio con l’avvocato Vincenzo Buccisano, a Locri e qui ha sempre abitato. Molto stretto, però, è rimasto il legame con i luoghi di origine, dove è ritornata spesso, anche solo per trascorrere le vacanze estive, finché la salute glielo ha consentito. Ai figli e nipoti ha trasmesso, con arguzia ed ironia, un patrimonio di ricordi e avvenimenti che hanno avuto per protagonisti la sua famiglia, le amicizie di una vita e la comunità geracese del secolo scorso. La lunga vita di Maria è stata interamente dedicata alla famiglia. Credente e timorata da Dio, ha saputo coniugare in valori della religione con quelli della laicità e della modernità, riuscendo a comprendere i cambiamenti avvenuti in questi 100 anni di vita. Ha amato sempre leggere, ed ha sempre seguito gli eventi culturali e in lei affiorano, spesso, echi di un passato costellato di tale ricchezza. I figli e nipoti hanno sempre trovato nella nonna una spalla alla quale appoggiarsi, ed un porto sicuro al quale approdare nei momenti difficili per avere consigli e conforto. Il suo sorriso ha accompagnato e accompagna tuttora le sue giornate, contagiando tutti quelli che le sono vicini. Quando le hanno parlato dei preparativi per festeggiare i suoi 100 anni ha esclamato: “Me li porto bene, allora! E poi se penso che altri sono costretti a letto, non mi posso proprio lamentare.”

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CALABRESE PER CASO

Binari morti o binari ciechi RUBRICHE www.larivieraonline.com

GIUSEPPE ROMEO L’idea di manifestare un dissenso quanto le lamentele fanno gioco in momenti nei quali si dovrebbe raggiungere un risultato, magari concreto per una volta. Eppure, come sempre in fondo, l’esercizio della retorica del io l’ho detto o del non cambia nulla non sembra aver perso di mordente. Certo, di binari morti in Calabria ve ne sono molti e non si dica che chi scrive non capisca o non ami la terra che ha calpestato da anni per nascita, per affetto e per ogni volta che malinconicamente la lascia. Ci sono binari morti che hanno un significato ferroviario, dove l’idea di un autunno dei trasporti sembra non avere fine se non nei lamenti di un pendolarismo che avrebbe diritto a risposte che siano di sistema e non di facciata. Non si tratta di aumentare corse o chiedere più dignitosi e magari confortevoli treni, ma di disporre di una visione di sistema che non esiste. Non si va oltre la protesta dell’oggi o delle proposte similturistiche di possibili treni che attraversano antiche vestigia ormai rese ombre da svernare solo all’occorrenza, che per quanto apprezzabili rappresenterebbero solo un aspetto e non la soluzione di un modello jonico mancante di intermodalità trasportistica. Un modello che dovrebbe essere concepito, organizzato e realizzato all’interno di una visione conurbata che per un’aleatoria, nei fatti, area metropolitana resta una prospettiva sconosciuta. Eppure non si dovrebbe andare lontano. Basterebbe apprendere, conoscere, imitare e, perché no?, copiare se ciò fosse utile ammettendo con umiltà il

nostro limite, magari rivolgendoci a quelle risorse calabresi emigrate altrove e che si celebrano solo quando la loro fama diventa tangibile su un giornale o su un media di turno, ma lì deve fermarsi. Vi sono modelli di trasporto che conurbano grandi città e relative aree metropolitane con una rete adeguata e aderente alle esigenze dell’utenza, di qualsiasi tipo essa sia, pendolaristica o turistica poco importa come poco importa che a realizzare tali opere siano state menti calabresi esiliatesi volontariamente. Il concetto o, meglio, la policy della mobilità non è un ossimoro dell’inerzia, ma è la declinazione di una dinamicità di una comunità che nei tempi e nei modi con i quali essa si muove sullo spazio economico e sociale crea il suo futuro. Ma credo, per licenza di presunzione che mi assumo

Due frammenti

GIUSEPPE ROMA

O piuttosto è rubata la zolla di terra nella quale ficcai gli artigli. Non donata per lascito, ma rubata per fame, assieme e indifferentemente, a mille diversi semi. Incipit personale. Ho seguito la crescita di una manciata di fiori portati a casa dai bambini dei miei vicini, che fin’ora non ho mai incontrato (siamo tutti stranieri nella nostra terra), o forse trasportati dal vento, e disposti con amorevole cura in una serie di vasi, al di là, sul terrazzo. La crescita non è stata uguale per tutti. Fu uguale fin tanto che si trattò di promuovere il loro repentino spuntare dalla terra, come un’innata forza intima. Nei primi giorni bucarono la tenace scorza del terriccio e gettarono fuori un peduncolo, di un bel colore rosso vivo, che per l’immediatezza vagò, come se si guardasse in giro, senza avere assunto alcuna forma o decisione sul da farsi. E ad ogni passaggio successivo di fioritura, forse, vicino, forse già troppo lontano lei non se la cavava più tanto bene da sola, tanto che per salvarmi ho smesso di amarla ma non di sedermi, da solo, in un grande teatro con mille posti a sedere dalle poltrone sempre rosso fuoco come i vecchi germogli. Finalmente ci ho preso gusto a recitare da solo. La platea è come ipnotizz a t a : qualunque cosa dico o faccio l’aria resta

sospesa e i ‘’non ti scordar di me’’ cadono come coriandoli da mille cuori e tasche. Quanto impiegano i ricordi a squagliarsi? Sto scrivendo lentissimamente e non simulo più di intrattenermi nel vuoto o di scornarmi con altre parole. A tal proposito tempo addietro mi capitò un tale in treno che per quattro ore tenne banco spaziando in conversazioni a ventaglio, come un’implacabile mitragliatrice. Nulla era stato tralasciato: dai sentimenti più intimi alle questioni di fondo. L’infame scese dal treno, fece finta di non udire una richiesta di informazione, che gli era stata rivolta da uno dei suoi sfortunati compagni di viaggio. Ora quei fiori che ho visto germogliare e crescere sono stati bruciati da una estate rovente. I bambini che li portarono sono cresciuti. Qualcuno di loro vive all’estero, di altri non ho notizie. I vicini di casa sono nuovi e sempre sconosciuti. Magari il vento che ha trasportato i primi semi ha cambiato direzione e ora s’infila nei pertugi dei ricordi e fa un po’ di freddo al cuore. Paradossalmente lei si è rintanata fra le braccia e le mille parole dell’odioso compagno di quel viaggio in treno. Fino all’ultima sillaba. Non serve volare. Non dire più niente. Solo il tempo, presente ed eterno, ti corre incontro.

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attingendo al carattere di un nonno contadino e muratore nello stesso tempo, che tutto questo sia troppo complicato perché richiederebbe una buona dose di umiltà che chi dice di farne uso in fondo è il primo a gettarla nel cestino. In una terra dove vi sono troppi esperti, alla fine dovremmo ammettere che anche la cultura ha un suo binario morto dato dalle nostre convinzioni. E questo, perché la cultura è e rimane alla radice, con un ringraziamento a Levi-Strauss, un fattore antropologico. Essa, infatti, non è solo un prodotto scolastico che dovrebbe affrancare dal bisogno e favorire processi di crescita per popolazioni abituate se non assuefattesi ad un sistema che non premia le idee altrui, ma massimizza una propria vanità di conoscenza che non va oltre i confini dell’ego. E’ una sintesi complessiva dell’identità o della non iden-

tità, della visione o non visione del mondo che ci circonda e di come lo vorremmo intrepretare. Un binario morto, senza direzioni, è un punto di arrivo di un modello privo di umiltà per un pensiero che si autoalimenta dei propri punti di vista, dove la tolleranza dell’altro è strumentalmente considerata solo per giustificare un altruismo mascherato da perbenismo o da spiriti solidaristici. Solidarietà, queste, utili solo a soddisfare volontà di protagonismo su argomenti che, per anni, non si sono voluti risolvere o si è fatto finta di risolverli con quella vecchia borbonica immagine dell’utile ammuina. Ma vi sono anche dei binari ciechi, come i binari sanitari che non vedono ormai null’altro oltre l’unica emergenza pandemica per la quale sembrano assenti altre patologie e nessuno fa più caso che la Calabria, con i suoi pazienti e le loro prenotazioni, è tra le prime regioni per richiesta di cure oncologiche al di fuori delle strutture pubbliche o private regionali. Così come esistono binari ciechi che oscurano un turismo universitario fenomeno per il quale nessuno tenta di snocciolare cifre e scelte di chi, treni o non treni, supera i confini alla ricerca di altre offerte didattiche e di maggiori opportunità. Un binario morto è un punto sul quale ci siamo fermati più volte senza muoverlo di un metro in avanti. Un binario con respingenti che non trovano forza altrove, ma in se stessi. Un binario cieco è il segnale di una oscurità nella quale cerchiamo una luce, una direzione ma della quale, poi, ne facciamo volentieri a meno se questa dovesse mai indirizzarci su percorsi da affrontare con fatica.

la bottiglia del naufrago FRANCESCO FEMIA Il film Nomadland della regista Chloé Zhao vince l’Oscar 2021 come miglior film, come miglior regista, come miglior attrice, la bravissima Frances McDormand, che ha anche avuto il fegato di partecipare alla produzione. Lasciamo ai critici di professione di parlare dello “specifico filmico” e occupiamoci dell’argomento che mai come di questi tempi appare interessante. Il nomadismo. Molto diffuso in America, dove tante persone decidono, per i motivi più disparati, di non avere una dimora stabile (Nomadland significa appunto terra dei nomadi), spostandosi continuamente per tutto il territorio e vivendo di lavori saltuari. Si potrebbe definire una vita on the road. Il mezzo, nel caso del film, con cui la protagonista (depressa per aver perso il marito e il lavoro), all’età di sessant’anni, decide di attraversare gli stati americani è il suo furgone-roulotte. Incontrerà persone, farà i conti con la solitudine, vivrà il dolore, coltiverà quel poco di speranza che riuscirà a sentire, ma vivrà e vedrà. E, soprattutto, vivrà in modo diverso la sua vita o quel che ne rimane. Niente più convenzioni sociali, niente

maschere, niente assuefazione alle abitudini tradizionali, niente più gusci dentro i quali aspettare la fine. Sarà libero il suo vivere, addirittura nuovo e tutto da scoprire. Dovrà fare i conti, e vorrà fare i conti, con il mondo che sembra aspettare lei per manifestarle la sua grandezza in confronto alla sua pochezza. L’America fa veramente sentire il morso della recessione (in questo caso si parla di quella del 2008), la perdita del lavoro e la mancanza di assistenza sanitaria oltre che di altre forme di welfare come le conosciamo noi. In alcune fasi storiche che si ripetono sembra sempre il paese del Furore di Steinbeck, con la gente disperata alla ricerca di un lavoro o di che sfamarsi. Ma, pur essendo datato, questo tipo di nomadismo ci fa riflettere sul significato della spinta, sia pure forzata, di vedere cose nuove e di conoscere altre persone, considerando la casa in cui abitiamo un luogo troppo piccolo, una specie di prigione più o meno dorata dentro la quale costringiamo la nostra, apparentemente tranquilla, esistenza. Finché non succede qualcosa che ci fa scoprire che la nostra casa è dove noi amiamo. francesco.femia@me.com


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