In Arte marzo 2012

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Associazione di Ricerca Culturale e Artistica

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Periodico a diffusione nazionale - anno VIII - num. 02 - marzo 2012


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Redazione

Sommario Editoriale

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Redazione Largo Pisacane, 15 85100 - Potenza Mobile 330 798058 - 392 4263201 - 389 1729735 web site: www.in-arte.org e-mail: redazione@in-arte.org Direttore editoriale Angelo Telesca editore@in-arte.org Direttore responsabile Mario Latronico Caporedattore Giuseppe Nolé Impaginazione Basileus soc. coop. – www.basileus.it Stampa AGM Concessionaria per la pubblicità Associazione A.R.C.A. C/da Montocchino, 10/b 85100 Potenza Mobile: 330 798058 e-mail: informazioni@in-arte.org Iscrizione al ROC n. 19683 del 13/5/2010 Autorizzazione Tribunale di Potenza N° 337 del 5 ottobre 2005 Chiuso per la stampa: 15 marzo 2012 In copertina: Alberto Burri, Grande cretto nero, 1977, acrovinilico su cellotex, particolare, cm 149,5x249,5, Parigi. La redazione non è responsabile delle opinioni liberamente espresse dagli autori, né di quanto riportato negli inserti pubblicitari.

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Dove va la Cultura? di Giuseppe Nolé .......................................................... pag. 4

Persistenze

Archeologia medioevale a Forenza di Francesco Mastrorizzi............................................... pag. 5

Mete

L'Archeoparco a Baragiano ..................................................................................... pag. 8

Cromie

La ricerca della realtà simbolica di Valeriano Trubbiani di Andrea Carnevali....................................................... pag. 10

Architetture

Un iceberg di vetro emerge dalle acque di Mario Restaino.......................................................... pag. 12

Trame

La poesia indomita di Fabrizio Corselli ........................................................ pag. 15

RiCalchi

...e antichi Dei foto Gerardo Caputi ...................................................... pag. 16

Eventi

Art Explosion. L'arte si racconta nei Campi Flegrei di Fiorella Fiore.............................................................. pag. 18 Forma e Materia di Maria Pia Masella...................................................... pag. 20 Un pittore lucano nell'Italia unita di Giovanna Russillo...................................................... pag. 23 IncontrArte: una rassegna che unisce l'Italia di oggi di Angela Delle Donne................................................... pag. 26

AgendArt

a cura di Sonia Gammone............................................. pag. 30


Dove va la Cultura? di Giuseppe Nolé

Cari lettori, è ancora l'eco della notizia di nuovi distacchi d'intonaco a Pompei: a subire l'inclemenza del maltempo una delle pareti della casa detta della Venere in conchiglia; mentre è ancora tutta aperta la querelle per finanziare i lavori di restauro del Colosseo. Che dire poi delle numerose iniziative di protesta dal mondo dell'archeologia, delle biblioteche e degli archivi, mentre molti istituti culturali italiani, soprattutto di promozione della contemporaneità, vivono momenti di grave difficoltà: crisi di pubblico, di risultati, di identità, ma soprattutto politica. Il settore dell'arte e dei beni culturali in Italia, un po' a causa della crisi, un po' per ragioni culturali, sembra navigare in cattivissime acque. E il futuro non sembra molto roseo: da un lato la scarsa fondatezza strutturale delle iniziative, dall’altra l'arretratezza delle istituzioni e dei molteplici attori che operano nel settore dei beni culturali. È necessario allora uno sforzo comune da parte di tutti coloro che, con diverse competenze e professionalità si occupano di cultura e operano in questo settore: sono necessarie, mai come adesso, ponderazione, competenza e lealtà intellettuale, per imporre principi di azione che devono essere riconosciuti dal mondo politico e manageriale come imprescindibili. Buona lettura.

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Persistenze

Archeologia medioevale a Forenza

A ovest del colle che ospita Forenza, nell’alta valle del lucano fiume Bradano, sorgono i ruderi della piccola chiesa dedicata a Santa Maria degli Armeni, alle falde del monte che porta il suo stesso nome. Non si sa esattamente quando l’edificio sia stato fondato; probabilmente le sue origini risalgono all’XI secolo. Secondo alcuni sarebbe la testimonianza della presenza nella zona di monaci armeni, fuggiti dalla loro terra in seguito alle lotte iconoclastiche. Secondo altri la sua dedicazione sarebbe da collegare al culto di un’effige della Madonna, giunta dall’Oriente bizantino al termine di una crociata. Le prime notizie sulla chiesa sono contenute in un documento conservato nell’archivio dell’abbazia di Montevergine, che attesta una compravendita tra privati, avvenuta nel 1196, di una vigna nelle sue vicinanze. Un successivo riferimento lo troviamo in un

di Francesco Mastrorizzi

atto di permuta del 1202, in cui si cita il giudice Demetrio come patrono e governatore di Santa Maria degli Armeni, che quindi risulta essere una chiesa privata. Altro dato certo è che nel 1219, alla morte del conte Giacomo di Tricarico, della famiglia dei Sanseverino, Santa Maria venne donata ai monaci di Montevergine, assumendo così la funzione di grancia (comunità agraria dell’abbazia), oltre a garantire, per la sua collocazione in una zona rurale, assistenza spirituale a quanti lavoravano nel contado. Sul finire del XIII secolo, grazie alle ingenti donazioni che ne incrementarono il patrimonio fondiario, la grancia fu trasformata in priorato, con la conseguente costruzione di un monastero per ospitare i monaci inviati da Montevergine allo scopo di amministrarne i possedimenti. Le fortune di Santa Maria degli Armeni continuarono fino alla prima metà del ‘500 e le sue

Forenza, la chiesa armena. rovine del.

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Persistenze proprietà divennero sempre più consistenti. Successivamente, però, iniziarono a riscontrarsi difficoltà economiche, tanto che nel 1567 Papa Pio V inserì il piccolo monastero di Forenza fra gli edifici destinati alla soppressione (i monasteri verginiani secondo le sue direttive passarono da 50 a 18). L’esecuzione avvenne nel 1596, con il nuovo declassamento a grancia, alle dipendenze prima di Montevergine e poi del convento di Sant’Agata di Puglia, fino all’anno 1807. Attualmente del monastero, realizzato interamente in pietra, non rimangono che le mura portanti della chiesa e piccoli resti di fabbriche annesse, risalenti probabilmente all’ampliamento del XIII secolo. La chiesa è costituita da un’unica navata con un solo altare e due ingressi, uno in asse e l’altro laterale. Due arcate dividono la navata in tre campate, delle quali le prime due avevano una copertura a capanna, la terza a crociera. Nell’abside sono presenti

anche altre differenze strutturali, che fanno pensare a due momenti diversi nella costruzione della chiesa. Il piano di calpestio è infatti più alto di circa 20 cm rispetto al resto dell’edificio, ma appaiono diverse anche le aperture sulle pareti laterali (nell’abside sono a croce greca) ed esternamente le soluzioni tipologiche adottate nella costruzione dei cornicioni. In diversi punti le mura presentano frammenti di pitture parietali, che probabilmente decoravano tutto l'interno della chiesa. Alla chiesa era affiancato un campanile, tuttora identificabile, al quale si accedeva da un’apertura subito a destra dell’entrata principale. Recenti lavori di scavo sul fronte est dell’edificio hanno portato alla luce, sotto l’ingresso, una antecedente struttura presbiterale, permettendo di identificare l’impianto originario della chiesa, con ingresso sul lato ovest e orientamento opposto a quello dell’edificio oggi visibile.

Sopra: Forenza, la chiesa armena. Abside. A lato, ingresso laterale sulla navata.

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L'Archeoparco a Baragiano

L’area compresa tra i bacini fluviali del Marmo-Platano e del Melandro sta riscoprendo negli ultimi anni il suo passato millenario grazie ad una intensa ricerca archeologica, cha ha riportato alla luce i segni tangibili di un passato che tuttavia necessita ancora di un’attenta e consapevole valorizzazione. All’interno di questa area si trova il Comune di Baragiano, collocato su un promontorio dominante un’area di confluenza fluviale. La sua posizione strategica lo ha reso un nodo cruciale per il controllo degli itinerari fluviali che collegavano il Vallo di Diano, la Piana del Sele, la Valle dell’Ofanto e la Valle del Basento. Alla fine del 1800 si svolgono le prime indagini archeologiche con l’individuazione di un tratto della

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cinta fortificata. A partire dal 1980 si sono intraprese serie campagne di scavo che hanno ridato il quadro di un insediamento di epoca arcaica organizzato per gruppi sparsi di capanne accompagnati dalle relative aree di sepoltura. In particolare in località SS. Concezione si sono avuti i ritrovamenti più pregevoli, tra cui la tomba di un guerriero, datata VI sec. a. C., in cui è stata rinvenuta una panoplia composta da un elmo corinzio bronzeo, uno scudo in bronzo decorato, uno schiniere e una spada in ferro, senza dimenticare l’ampio corredo ceramico. Nella stessa area nel 1995 fu ritrovata la cosiddetta tomba del Basileus, un individuo di lignaggio principesco, morto prematuramente, caratterizzata da una


Persistenze

ricchezza eccezionale, seppure scavata solo parzialmente: un elmo corinzio ed uno scudo circolare, un fascio di spiedi, due bacili di bronzo, i finimenti e le bardature bronzee di 2 cavalli, un lebete bronzeo con tripode, un elaborato servizio da banchetto composto da numerosi pezzi a figure nere, di raffinata produzione attica, tra cui spicca la lekane con scene del mito di Eracle. Le sepolture di Baragiano costituiscono una particolarità rispetto a quelle rinvenute nei centri limitrofi. Pur essendo riconducibili al IV sec. a. C, sono particolari i materiali dei corredi e il rituale di sepoltura del defunto in posizione rannicchiata, segni della persistenza in questi luoghi di consuetudini delle popolazioni che qui abitavano in età arcaica. Dall’affascinante storia dei popoli che hanno vissuto nella Basilicata antica lasciando sul territorio testimonianze straordinarie nasce l’Archeoparco del Basileus, porta di ingresso per un viaggio nella storia e nel mito attraverso l’archeologia lucana, grazie a postazioni scenografiche che presentano vari elementi

della ricerca archeologica (gioielli, vasi, armi,ecc). L’Archeoparco è un giardino archeologico che permette un viaggio di iniziazione all’archeologia in Basilicata, raccontato e animato attraverso ricostruzioni storiche ad alto valore artistico e scenografico e percorsi ludico-pedagogici, che si snodano tra storia e archeologia, mito e memoria, tradizione e identità, guidando così il visitatore alla scoperta di miti, eroi e simboli che fanno parte del patrimonio dell’uomo occidentale. Dal 2010 si è aggiunto Archeolab, Centro di interpretazione archeologica della Basilicata nord-occidentale, naturale completamento tra l’Archeoparco e i beni storici e archeologici di Baragiano. Attraverso allestimenti, filmati, installazioni multimediali, laboratori e giochi, Archeolab vuole “mettere in scena” il patrimonio storico-culturale di Baragiano, raccontando, animando e rappresentando con elementi spettacolari la componente “mitica” e storica propria dell’archeologia, perché come diceva Tucidide: “La storia è possesso per sempre”.

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Cromie Tutt’altro che antitecnologica è la scelta di Valeriano Trubbiani negli anni ’60 di utilizzare frammenti, pezzi di ferro, parti di macchine agricole per creare le sue sculture. La scelta dei metalli e delle parti meccaniche, che suscitavano in lui effetti di grande intensità emotiva, provocava nella sua fantasia una catena inesauribile di nuove invenzioni. La natura tranquilla dei mezzi agricoli era traslata in metafora scultorea della realtà: guerra e distruzione che in sostanza riproducevano l’interiorità dell’uomo scossa da un’assurda macchina da guerra. L’interpretazione della modernità e la distruzione della società, che lo circondava, ed il “nonsenso” delle cose come apparivano ai suoi occhi, venivano ricostruiti all’interno di una parabola meccanica che dava forma alla sua scultura. L’itinerario artistico di Valeriano prendeva avvio da questa prima scoperta tecnico-fantastica tra il ferro e il fuoco che scatenava una fantasia quasi incontrollabile tanto da portarlo a trasformare la realtà in immaginaria e simbolica. L’indagine dell’artista sulla contemporanea, condotta con assillo ininterrotto e sintesi rigorosa, conservava il suo carattere critico. La libertà espressiva era utilizzata per creare un contrasto forte tra immaginazione e perfezione tecnologica; un modo di lavorare che non ha mai abbandonato (per esempio nella 54^ ed. Biennale

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del Padiglione Italia – Marche alla Mole di Ancona dove sono state esposte le sue opere appare molto intensa la relazione tra anarchia e pratica costruttiva). Nelle sue sculture sono rappresentati animali incatenati: i gabbiani sul letto operatorio come imbullonati, trapiantati con le ali sezionate; oppure raccocchi stretti da cinghie di cuoio ecc.. La mano di Trubbiani – come ha detto Mario De Micheli negli anni ’70 – è un’implacabile logica negativa e uno strumento di morte. La sua produzione è un campo di attività molteplice che mira alla progettazione scultorea ed alla libera esplorazione d’immagini visionarie con una disinvoltura ed alla cristallizzazione della realtà sotto forma di simbolo. Gli animali di Trubbiani abitano simbolicamente nelle Arti Visive e sono una parte importante dei prototipi dell’artista fin dal 1966. Oltre a ciò, si può ricordare il disegno che è una parte importante del suo lavoro, sia sotto il profilo qualitativo che sotto l’aspetto quantitativo. Più che non lo sia l’attività incisoria e grafica che pure è ampia né meno originale rispetto alla scultura. Sono i suoi disegni che mettono a fuoco i sentimenti, soprattutto negli anni Cinquanta e Sessanta; ma sono anche i disegni che svelano le trasformazioni che sono avvenute nella tecnica espressiva tra il cinema e la scultura. Del resto la rappresentazione della scultura Mater Amabilis che ricorda il rinoceronte del film La nave va, racconta il periodo trascorso ad Ancona di Fellini durante le riprese nel Porto di Ancona, accompagnato dallo sculture. Tra Fellini, Trubbiani e lo sceneggiatore Dante Ferretti nascono le idee giuste per la realizzazione del film. I disegni preparatori sono ritracciabili probabilmente nei materiali di Cineccittà. La contaminazione espressiva è molto forte anche nei disegni degli anni Novanta in cui Valerio avanza ulteriormente la riscoperta di questa sua nuova dimensione cromatica e descrittiva del senso onirico e del tempo misterioso e magico, intensamente biografico e direttamente tratto dal vissuto. Per questo i disegni ritraggono scene notturne: Cyriaco d’Anchona Anchona salutant ed i brillanti Paesaggio illuminato e Faro adriatico con volpe triste che hanno toni cromatici molto eloquenti. I fogli di Trubbiani ne escono restituiti ad una attualità di comunicazione che li qualifica proprio nella loro capacità di costruzione icastica. Che è l’effettiva qualità della loro forza di presenza; e rispetto alla fenomenologia specifica del disegno contemporaneo, vale a dire di un ambito di ricerca figurale, negli ultimi anni l’attenzione critica si è fatta sentire, in Italia in modo molto forte.


La ricerca della realtĂ simbolica di Valeriano Trubbiani di Andrea Carnevali

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Architetture La nuova Opera House di Oslo è una costruzione di notevole interesse per la singolarità dell’obiettivo che si pone, cioè quello di cercare un punto d’interconnessione tra l’identità formale del progetto e quella del paesaggio, della natura e del luogo. L’edificio, sede del Norwegian National Opera and Ballet e del National Opera Theatre, dal 1957 la principale istituzione norvegese per le arti musicali e teatrali, fa parte del progetto la “città del fiordo” che prevede la realizzazione di un quartiere residenzialecommerciale sull’area ex portuale di Bjørvika, posta sull’estremità del fiordo di Oslo, in cui sarà eliminata la presenza disturbante del traffico veicolare, attraverso la realizzazione di un tunnel che passerà sotto il fiordo, e la creazione intorno al Teatro dell’Opera di un’ampia zona a verde a protezione dello stesso dalle vicine costruzioni. Il grande teatro nazionale, inaugurato il 12 aprile 2008 dal re Harald V con una grande serata di gala alla presenza dei rappresentanti della casa reale norvegese, è il più grande edificio culturale realizzato in Norvegia dal 1300, anno di apertura della cattedrale Nidaros di Trondheim. Nel 1998 il Ministry of Church and Cultural Affairs bandisce un concorso internazionale di progettazione il cui vincitore, scelto tra 240 partecipanti, è lo studio norvegese Snøhetta, che può vantare tra i suoi progetti quello della prestigiosa Biblioteca di Alessandria d’Egitto ed altri realizzati o in via di esecuzione a Londra (Turner Contemporary Museum), a Berlino (Ambasciata di Norvegia) e New York (National September 11th Memorial Museum Pavilion/ cultural Complex at World Trade Center). Nel 2003 le imprese appaltatrici AF Scandinavia, Norma e Norsk Epoxy AS iniziano la costruzione dell’edificio concludendo i lavori cinque anni dopo. L’Opera House, che si estende su una superficie lorda di 38.500 metri quadrati, è costata 4 miliardi di corone; all’interno vi sono 1100 stanze e sono impiegate 600 persone, divise in 50 professioni. La “Front of House”, ovvero l’area destinata al pubblico, cui si accede dalla vicina stazione ferroviaria, si trova nell’ala occidentale del teatro e comprende il foyer, un grande auditorium da 1400 posti con il palcoscenico a 16 metri sotto il livello del mare e un piccolo auditorium da 440 posti entrambi dall’acustica perfetta. Il foyer, un’enorme sala aperta con vari tipi di illuminazione e da cui si gode una splendida vista sul fiordo, raccoglie al suo interno anche aree di attesa, un guardaroba, una caffetteria, alcuni bar

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e un ristorante. L’appalto per la fornitura dei circa 3000 metri quadrati di pannelli di quercia bianca per il rivestimento dell’alta parete ondulata che separa il foyer dagli auditorium è andato allo studio di progettazione di interni norvegese Bosvik AS. La quercia bianca americana è divenuta, negli ultimi anni, la scelta privilegiata di architetti e designer di tutto il mondo, per progetti sia pubblici che privati, per via della sua flessibilità, stabilità e bellissima fibra dritta, che la rendono adatta a numerose applicazioni. Peculiarità del progetto è una enorme rampa “tap-


Un iceberg di vetro emerge dalle acque

Architetture di Mario Restaino

peto” che percorre l’edificio dalla base, sulle rive del fiordo, fino a trasformarsi nella sua copertura, la cui superficie orizzontale e leggermente inclinata, si relaziona armonicamente al paesaggio circostante. Al visitatore il teatro si presenta completamente rivestito in marmo bianco proveniente dalle cave Apuane, ad eccezione della fascia posta alla base, parzialmente immersa nell’acqua salata ed esposta al gelo invernale e perciò realizzata con il duro e resistente granito locale. L’architettura risulta monolitica come una scogliera

ghiacciata, strutturata in una serie di piani inclinati e in una grande parete vetrata che si protendono verso la baia e ne movimentano le linee. La posizione dell’Opera House a diretto contatto con l’acqua e l’aspirazione a diventare il landmark della capitale norvegese l’avvicina alla Sydney Opera House di Jorn Utzon, anch’essa provvista di un ampio spazio con funzione di piazza articolato su più livelli e spettacolarmente rivolto verso la baia. L’11 maggio dello scorso anno, nel tratto di mare

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sul quale affaccia l’Opera House, la Regina Sonja di Norvegia ha inaugurato la scultura She lies di Monica Bonvicini. Per l’opera l’artista si è ispirata al pittore romantico Caspard David Friedrich ed al suo famoso quadro Das Eismeer. La scultura rappresenta infatti la forza della natura e la speranza dell’uomo nella propria capacità di controllare gli elementi naturali. La scultura/installazione ha vinto il concorso “progetto acquatico” bandito nel 2007, che doveva completare il programma di opere d’arte che decorano l’Opera House.

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La struttura poggia su una base di calcestruzzo ed ha una superficie di 17x16 mt ed un altezza di 12 mt per un peso complessivo di 335 tonnellate; è realizzata con un intelaiatura aperta in acciaio inossidabile, ricoperta in parte da lastre di vetro semitrasparente che si rispecchiano tra loro. Dalla riva lo spettatore può ammirare l’installazione da una prospettiva sempre diversa, perché essa è in continuo movimento e ruota intorno al suo asse a seconda del vento e della spinta delle onde. Per ottenere lo stesso effetto di mutevolezza, di notte l’opera è illuminata dalla luce proveniente da fari sistemati sulla terraferma.


Trame

La poesia indomita di Fabrizio Corselli

Nell’antichità i grammatici greci avevano già le idee ben chiare su alcuni aspetti del linguaggio, in parti-

drone. Esso è fuggevole e impenna dritto, nella sua piena fierezza, innalzandosi al di sopra dell’umano

colar modo su quello retorico. Soprattutto, essi consideravano gli elementi del discorso al pari d’un carro che viene aggiogato ai cavalli (in riferimento alla figura dello zêugma «aggiogamento» da zéugnymi «metto al giogo»). Non a caso, ho più volte usato nei confronti della poesia il termine “indomito”, fissando una relazione con l’arte equestre. La poesia va domata al pari di uno stallone, con consapevolezza e conoscenza delle arti addestratorie o il rischio è quello di essere disarcionati: il rischio dell’indugio, della caduta. Il verso è irrequieto, in virtù della sua tensione dialettica, di legame fra gli elementi che lo costituiscono, e come tale va sì imbrigliato ma senza l’ausilio del morso, col delicato e sapiente tocco del poeta. Il verso scalpita, sbuffa e altresì esala il proprio respiro poetico durante l’enfasi profusa nella fase compositiva; ma parimenti ha necessità di riposo (pausa), di essere confinato entro il proprio recinto (forma) poiché il proprio forte carattere venga contenuto, o l’eccesso (il superfluo) immancabilmente travalicherà gli argini di quella struttura che denominiamo “parola”. Il verso schiamazza, elevando il proprio “nitrito” verso le più alte vette liriche, divenendo monito per coloro che vi si accostano senza l’accortezza di un domatore (compreso il lettore), conscio che la sua creatura prima o poi si possa ribellare al proprio pa-

terreno per ghermire ogni profano che tenti di cavalcarlo. Cavalcare la Poesia è un atto ben più arduo di quello che si possa pensare, dispensato troppo spesso dai profani con gran faciloneria senza le dovute precauzioni e specifiche competenze. Pertanto si comincia dalle basi, sul come sedere in sella (fermezza e rigore), sul come tenere le briglie e su come impartire i dovuti comandi ai quali la stessa poesia fa ricorso (il linguaggio laconico, il discorso essenziale ha le sue radici nel linguaggio militare degli spartani); soprattutto su come tenere l’andatura, poiché la tenuta del ritmo, della cadenza in rapporto alla versificazione è di fondamentale importanza, o il proprio destriero si ribellerà a ogni vostro indugio, emettendo guaiti e lamentosi stridii (cacofonia), seguiti da un’inesorabile caduta scomposta (disconnessione euritmica, con la conseguente perdita dell’armonia). La Poesia nella rilevazione del suo senso globale, del suo più intimo segreto, e delle due nature che essa tiene unite in virtù d’una briglia linguistica senza pari, infonde in chi l’osserva lo “stupore” (l’effetto straniante) ma parimenti il timore panico nel disattendere di un tale automa il proprio istinto, la propria essenza. Non la morte il suo più alto prezzo, ma una silenziosa condanna all’oblio.

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fotoCromie

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...e antichi Dei foto di Gerardo Caputi


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Eventi La manifestazione, nata dalla partnership tra Cifit (Consorzio cittĂ flegrea imprese turistiche) e i comuni di Monte di Procida, Bacoli e Pozzuoli, in forma

Quando pubblico e privato collaborano insieme in nome della cultura, i risultati, sia in termini di qualità , che di recupero economico, arrivano sempre. Di sicuro l'intento è riuscito per Art Explosion. L'arte si racconta nei campi flegrei, evento ad altissimo pro-

filo realizzato nel meraviglioso territorio dei Campi Flegrei, tra ottobre e dicembre 2011 e prossimo, nell'imminente primavera, a nuove sperimentazioni.

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associata, ha dato luogo ad una formula innovativa di cultura, che ha permesso di far interagire il ricchissimo patrimonio archeologico della zona con le affascinanti elucubrazioni dell'arte contemporanea, grazie ad un intelligente utilizzo dei fondi POR FESR Campania 2007-2013. I protagonisti della manifestazione hanno dato vita ad un susseguirsi di performances, mostre, installazioni che hanno spaziato da forme diverse di cultura a quelli propri dell'arte. Da Magma, mostra di Street Art curata da Alessandro Mantovani, che ha interagito con il territorio attraverso performances e concorsi destinati agli artisti dell'area, a Diva,mostra omaggio a Sophia Loren,


Art Explosion. L'arte si racconta nei Campi Flegrei di Fiorella Fiore

ambientata a Pozzuoli, a La Danza del Tempo, con le creazioni di Marco Nereo Rotelli,nella meravigliosa cornice del Museo Archeologico del Castello di Baia. L'artista, nome tra più i più importanti del panorama artistico internazionale, è stato poi protagonista della performance di chiusura, avvenuta pro-

prio nel Castello di Baia, dove ha dato vita, e luce, ai versi del poeta arabo Adonis, accompagnato dalle musiche di Francesco D'Errico, in un crescendo che lo stesso poeta ha definito un “magico intarsio” di saperi capaci di donare spazio e tempo alle cose. Il risultato è stato quello di ri-creare in un luogo di

assoluta bellezza, crogiolo di culture, di incontri, un'atmosfera di pura mediterraneità, che unisce la Campania, Istanbul, Beirut, in un omaggio all'arte, alla poesia, alla bellezza. Cosa ha portato tutto questo anche in termini economici? In primo luogo, un rinnovato interesse su un territorio, che, pur ricchissimo di arte, viene dimenticato dai circuiti turistici soliti e che ha visto, durante tutto il periodo della manifestazione, un incremento di presenze turistiche; in secondo luogo, l'impiego lavorativo e di idee, dei giovani sul territorio, impegnati nel progetto; infine, aspetto più importante, il tentativo riuscito di dare vita ad una filiera che, pur esistente, non è ancora coesa in un unico progetto di riqualificazione dell'intera area. Ed è questo aspetto ad interessare anche noi lucani. I Piot, in cui tanto si è investito, dovevano essere finalizzati proprio alla cooperazione di diverse realtà territoriali pronte ad uscire fuori dai propri confini geografici per valorizzare delle aree che, di fatto, sono rimaste isolate a se stesse. Eventi come questi dimostrano, ancora una volta, che la cultura funziona solo quando è in rete, quando, cioè, sono messi in relazione i siti, e le diverse realtà, pubbliche e private, che ruotano intorno ad essi. È solo questo tipo di approccio che permette che ogni occasione di sviluppo di non essere un'ulteriore occasione mancata.

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Eventi Form & Matter è il titolo della retrospettiva su Alberto Burri (1915-1995) alla Estorick Collection di Londra fino all'otto aprile. Curata da Massimo Duranti, la mostra rivela subito il carattere divulgativo nella scelta del percorso cronologico dei circa quaranta lavori esposti. Scelta condizionata dalla necessità di dover introdurre Burri a un paese che, pur conoscendo i movimenti e le espressioni artistiche italiane del dopoguerra, ha perso i nomi (l’ultima monografica sull’artista umbro risale al 1960) e non favorita dallo

Forma e Materia di Maria Pia Masella

Desiderio di sostanza appunto che si abbina a quello d’investigazione della forma. Sostanza e forma come due direzioni di un pendolo che oscilla verso l’una e l’altra senza perdere di vista il centro, ovvero l’oscillazione stessa. Perché se è vero che Burri abbandona subito la figurazione, è altrettanto vero che non abbandona mai la tela vista come zona in cui investigare e sperimentare. Già con Sacchi e Rosso del 1954 l’artista rivela il suo atteggiamento verso un concetto di tela che di-

Alberto Burri, White cretto. Pagina a lato: Alberto Burri, Sacchi e Rosso, 1954, Acrilico e collage di iuta su tela, 86.4 X 100.3, Tate, London.

spazio espositivo che per il carattere di casa, fatta di piani, porte e divisioni brusche si presterebbe di più a una separazione netta tra temi. E invece è proprio nella tensione tra il desiderio di colmare un vuoto e quello di mettere in luce la particolarità dell’ artista di Città di Castello che la rassegna rivela spunti interpretativi. Passando da una stanza all’altra emergono due costanti dell’artista: il precoce abbandono alla figurazione (solo tre tele figurative, datate dal ‘46 al ‘48) e diametralmente opposta, la fedeltà al desiderio di sperimentare usando materiali come sabbia, ferro, pietra pomice, catrame, segatura, colla.

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venta corpo fisico su cui agire incollando, coprendo, scoprendo, cucendo e gettando colore. Da qui alla fase in cui la tela improvvisamente sembra si animi di vita propria, il passaggio è breve. In Ferro del 1960 pur essendoci e mantenendo la forma tradizionale di dimensioni rettangolari e armoniose, la tela scompare fisicamente sotto lastre di ferro inchiodate l’una sull’altra che non si sa se stiano lì per proteggerla o ferirla col peso e i veleni della loro natura di oggetti di scarto piegati e scoloriti dal tempo. Forma e materia quindi, sperimentazione e rappresentazione di tele che sono entrambe... Ma se chie-



dessimo a Burri cosa ne pensa risponderebbe: ÂŤLe parole non mi sono d'aiuto quando provo a parlare

dei miei dipinti", (‌) parlano intorno al quadro. Quello che ho da esprimere appare nell'immagine

Alberto Burri, Ferro, 1960, Ferro su telaio di legno, 36 x 38 cm, Collezione privata.

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Eventi Un evento straordinario che rende omaggio ad un raffinato artista lucano troppo a lungo ignorato. La mostra Michele Tedesco. Un pittore lucano nell'Italia Unita (1834/1917), fino al 15 aprile presso la Pinacoteca Provinciale di Potenza, presenta per la prima volta l’opera di uno dei principali protagonisti del panorama artistico tra la seconda metà dell’800 e il primo ‘900. Nato a Moliterno nel 1834, Michele Tedesco viene educato dallo zio materno, l’Abate Racioppi, con il cugino Giacomo. La sua formazione culturale, maturata tra idee liberali negli anni che precedono l’Unità d’Italia, si completa a Napoli dove condivide l’esperienza artistica e l’impegno politico dei pittori del Vicolo San Mattia come Cefaly, Palizzi e Morelli. Partecipa attivamente ai moti rivoluzionari del ’48 e si arruola nella Guardia Nazionale nel ‘60. Giunto a Firenze, entra in contatto con gli artisti riuniti intorno al Caffè Michelangelo che influenzano profondamente la sua produzione in questa fase di chiara impronta macchiaiola. Nel 1873 sposa la pittrice tedesca Julia Hoffmann con cui fa ritorno in Campania, pur non rinunciando a spostarsi per esporre in diverse città europee. La sua produzione, varia nelle tematiche e negli stili pittorici, risente degli influssi palizziani e macchiaioli e dei contatti con i circoli artistici tedeschi e londinesi. Muore a Napoli nel 1917. Dopo il grande successo della mostra dedicata a Giacomo Di Chirico nel 2008, il Centro Annali per una Storia Sociale della Basilicata “Nino Calice”, avvalendosi di preziose collaborazioni di studiosi e ricercatori, promuove tenacemente un nuovo progetto che mira a far luce sul grande contributo degli artisti meridionali all’Unità d’Italia. Per questa ragione il percorso espositivo, che presenta numerosi dipinti inediti provenienti da collezioni pubbliche e private italiane ed europee, propone anche una sezione dedicata ad opere su tematiche risorgimentali. In mostra tele di Cefaly, Capocci, Migliaccio, Lenzi, Martelli, De Nigris, che come Tedesco presero parte alle lotte per l'Unità. Ripercorrono il percorso biografico dell’artista anche due dipinti della Hoffman (Autoritratto e La bettola) e numerose testimonianze letterarie ed artistiche autografe. Di particolare interesse sono i taccuini, ricchi di appunti e schizzi, utili a ricostruire la sua vita sempre in viaggio tra l’Italia e l’Europa.

Un pittore lucano nell'Italia Unita di Giovanna Russillo

Michele Tedesco.

Curatrice della mostra è la professoressa Isabella Valente, docente di Storia dell’Arte Contemporanea presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II. Il progetto, che ha meritato l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, è di ampio respiro e prevede anche un fitto calendario di appuntamenti, convegni, seminari e attività didattiche, nei luoghi più significativi del percorso umano ed artistico di Tedesco: Moliterno, Spinoso, Napoli, Firenze e Monaco di Baviera.

Michele Tedesco, Una ricreazione alle Cascine di Firenze,1863, olio su tela, cm 62,5x146, Bologna, Pinacoteca Nazionale.

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Eventi Per ulteriori dettagli in merito è possibile consultare il sito ufficiale della mostra, www.tedescoinmostra. it, che propone tra l’altro un affascinante itinerario

in Basilicata tra storia e arte sulle tracce dell’autore, con dettagliate informazioni sui principali luoghi di interesse storico e culturale.

Michele Tedesco, A Volterra, 1861 ca, olio su cartone, cm 41x27, Firenze, Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, legato Martelli. Pagina a lato, Michele Tedesco, La tempesta, 1888 ca, olio su tela, cm 105x57, Napoli, Amministrazione Provinciale.

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Eventi

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Eventi IncontrArte è stato il primo concorso orgarappresentato dalla dimensione umanizzato dalla rivista attraverso il progetto in na, anche quando non è visibilmenArte Exhibit. te tracciata. Irene Albano espone La collettiva, inaugurata il 28 dicembre un opera intrisa di materia, dai 2011 presso la sede di Potenza, si è concolori intensi e mordaci. clusa alla fine di gennaio 2012. Ancora una Loredana Salzano gioca con la volta l’intento della redazione è stato dualità del vulcano che può essequello di favorire l’incontro tra gli arre capovolto eppure esplode semtisti, il pubblico e la rivista: la rassepre. Enzo Magazzini, attraverso forme gna rappresenta una continuità con astratte e perse sulla tela, riscopre la le mostre personali finora svolte e, geometria intrisa nell’essere. l’apertura ai concorsi artistici, ha Carlo Battista, sceglie supporti materici dato inizio ad un nuovo progetto per ricondurre lo spettatore alla centraespositivo-editoriale che carattelità della bellezza. Continuando scopriarizzerà il 2012. mo opere cariche di delicatezza pittorica Le adesioni pervenute sono state che si veste di colori festosi. Stella D’Amimolte e sono giunte da tutta l’Itaco, attraverso sfumature violacee e rosate lia. Alla chiusura del bando la giuriproduce una paesaggio che in lontananza ria ha selezionato quindici artisti le accoglie la presenza antropica. Cesare cui opere fossero rappresentative di Cassone con leggerezza riporta all’atun'ampia varietà di stili e tecniche. tenzione un tema drammatico – la Le opere esposte, infatti, spaziano mattanza – mescolando colori e fordall’informale al pittorico, dal mame. Antonio Caramia scivola nel terico al figurativo. fantastico regalando paesaggi La collettiva, in quanto forma di irreali sospesi tra la fiaba e l’imespressione d’insieme dell’arte, mobilità. ha catturato l’attenzione dello spetAntonella Malvasi dipinge posPasquale Ciao, L'urlo del Sud, 2009, tecnitatore per versatilità ed armonia; il ca mista, cm 83x40x28. senti figure di cavalli fatte di nodo da sciogliere sembra essere pennellate nette. Non manca la Carlo Battista, Il senso della bellezza, 2010, tecnica mista, cm 80x80.

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Enzo Magazzini, Geometria eidetica, 2011, tecnica mista su tela, cm 100x100.


IncontrArte: una rassegna che unisce l'Italia di oggi di Angela Delle Donne

Antonella Malvasi, Unioni, 2009, olio su tela, cm 95x105.

Fausto Nazer, Pausa pranzo, 2011, olio su tela, cm 40x50.

rappresentazione della quotidianità umana, delle sue passioni, del suo essere. Erica Dardano riprende un ben noto tema: l’uomo, la moto, ma pone una profonda spaziatura tra i due protagonisti. Jessica Dardano, in un trittico, riscopre l’umano attraverso l’ascolto, il vedere ed il parlare. Sante Muro porta in campo la più ancestrale condizione umana: l’essere nati e protetti da braccia forti e calde. Fausto Naser svela nella pioggia un’ordina-

ria scena di vita lavorativa, travolta dall’anonimato e dalla fretta. Pierpaolo Telesca fa risaltare la figura femminile attraverso la stratificazione del supporto materico. Francesca Asquino lascia alla regalità del nero e del bianco la definizione di femminile. Unica scultura presente è stata l’opera di Pasquale Ciao, legno intriso di irruenza artistica, istallazione nata per riflettere i colori esaltati dalle luci esterne.

Antonio Caramia, La guerra dei mondi, 2011, olio su tela, cm 100x150.

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Stella D'Amico, Bagliori, 2011, tecnica mista, cm 60x70.

Francesca Asquino, Eleganza, 2008, tecnica, cm 70x50.

Cesare Cassone, La mattanza, 2011, acrilico su tela, cm 100x80.

Erika Dardano, La sfida, 2008, olio su tela, cm 50x70.

Jessica Dardano, Componimento dell'essere, 2011, Tecnica mista, cm 31x120.

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Architetture

Sante Muro, Do not disturb!, 2009, olio su tela, cm 60x60.

Pierpaolo Telesca, Donna giapponese con tatuaggio, 2010, aerografia e pinstriping, cm 60x40.

Loredana Salzano, Vulcano sott'encoppa, 2011, tecnica mista su tela, cm 60x60.

Irene Albano, Combustioni, 2011, tecnica mista su tavola, cm 60x40.

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agendART a cura di Sonia Gammone

Milano Tiziano e la nascita del paesaggio moderno

Rovigo Il Divisionismo. La luce del moderno

Roma Carlo Mattioli al Museo Morandi

Fino al 20 maggio 2012 Milano, Palazzo Reale Info: www.mostratiziano.it/

Fino al 23 giugno 2012 Rovigo, Palazzo Roverella Info: www.mostradivisionismo.it/

Fino al prossimo 20 maggio 2012 sarà possibile ammirare nella splendida sede espositiva milanese di Palazzo Reale, la mostra Tiziano e la nascita del paesaggio moderno. Sono in mostra 50 opere attraverso le quali si snoda un percorso alla scoperta del paesaggio moderno nella pittura del Cinquecento. Nelle sale di Palazzo Reale la mostra, curata da Mario Lucco, da un progetto ideato da Tekne International, raccoglie opere di inestimabile valore. Si parte con la Crocifissione nel paesaggio di Giovanni Bellini e La prova del fuoco di Giorgione che accompagnano La sacra conversazione di Tiziano fino a seguire il modificarsi della funzione del paesaggio in cui le opere sono accostate ad altri dipinti di Tiziano come L’Orfeo e Euridice, La nascita di Adone, Tobiolo e l’angelo. A partire dalla lezione di Bellini e Giorgione, Tiziano ha avuto il merito di elaborare una nuova idea dell’ambiente naturale che, evolvendosi attraverso varie fasi e significati, lo portò a definire nella lingua italiana il termine stesso di “paesaggio” nella sua accezione moderna.

Tra i più importanti eventi espositivi di quest’anno, il Palazzo Roverella di Rovigo ospiterà fino al prossimo 23 giugno 2012 la mostra Il Divisionismo. La luce del moderno promossa dal Comune di Rovigo, dall'Accademia dei Concordi e dalla Fondazione Cassa di risparmio di Rovigo. Oggetto dell’esposizione sono le opere create negli anni tra il 1890 e l’indomani della Grande Guerra, quando in Italia diversi artisti si confrontano con l’uso diviso dei colori e lo fanno con grande originalità. Nel Divisionismo italiano la tecnica con i suoi puntini e le sue barrette aiuta ad esprimere l’intimità, l’allegria, lo spiritualismo, il simbolismo, l’ideologia anche politica. Pittura di luce, colore ma anche e soprattutto pittura di emozioni. Francesco Cagianelli e Dario Matteoni propongono la rilettura di questo momento magico dell’arte italiana, valorizzando artisti come Vittore Grubicy de Dragon e Plinio Novellini, e poi i grandissimi Previati, Segantini, Morbelli, Pellizza da Volpedo, fino ad arrivare a Balla, Boccioni, Severini, Carrà.

Fino al 06 maggio 2012 Bologna, Museo Morandi Info: www.mambo-bologna.org/museomorandi La figura di Carlo Mattioli (1911-1994), autore di una delle più originali esperienze nella storia della pittura italiana del Novecento, è tornata in primo piano grazie ad una serie di eventi espositivi a lui dedicati per il centenario della nascita. Fu un artista visionario e sfuggente ad ogni tentativo di inquadramento in una precisa avanguardia del suo tempo. Fino al prossimo 6 maggio 2012 il Museo Morandi gli dedica la mostra Carlo Mattioli al museo Morandi, realizzata in collaborazione con l’Archivio Carlo Mattioli per la curatela di Simona Tosini Pizzetti. Il Museo Morandi prosegue ad ospitare mostre che accostino l’attività di Giorgio Morandi all’opera di altri grandi artisti del ‘900 e in questo senso il percorso espositivo della mostra rappresenta una nuova occasione per riflettere sul modo di fare pittura di due maestri dello scorso secolo nel confronto sul tema della natura morta che entrambi elessero come terreno di interrogazione della realtà, con approdi espressivi talora fortemente differenti e perfino antitetici.



idee

arte

EXhI BIT

eventi

Associazione di Ricerca Culturale e Artistica

La rivista “In Arte Multiversi” indice un concorso per opere d’arte a soggetto sacro. Possono partecipare artisti che operano nei campi della pittura, dell’illustrazione, del disegno. Il concorso prevede una mostra della durata di un mese di tutte le opere partecipanti presso il Convento del SS. Crocifisso, a Forenza. L’inaugurazione avverrà in occasione della Settimana Santa.

sacre visioni Concorso d’Arte sacra

SCADENZA ISCRIZIONI: 30 MARZO 2012 INFOrmazioni sul regolamento: informazioni@in-arte.org

347 1241178

330 798058

0971 25683


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