â‚Ź 1,50 anno IX - num. 03 - maggio/giugno 2013 Poste italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - 70% CNS PZ
Redazione
Sommario Editoriale
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Alejandro Maestre Gasteazi, El hombre que se crea. La redazione non è responsabile delle opinioni liberamente espresse dagli autori, né di quanto riportato negli inserti pubblicitari.
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Enciclopedia dell’arte di Giuseppe Nolé ......................................................... pag.
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Eventi
Manet. Ritorno a Venezia di Sonia Gammone ....................................................... pag. Madonnari a Viggiano di Francesco Mastrorizzi............................................... pag. Sacre Visioni 2013 di Giulia Smeraldo ....................................................... pag.
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Cromie
Rudy Zoppi. Istanti sospesi di Eleonora D’Auria ...................................................... pag. La pittura-teatro di Mattia Preti di Lauramaria Figundio ................................................ pag.
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FotoCromie
Scultore di se stesso di Annalisa Signore ...................................................... pag.
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cineCromie
La migliore offerta di Francesco Mastrorizzi............................................... pag.
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Direzioni
Michelangelo Pistoletto al Louvre: non solo una mostra di Maria Pia Masella ..................................................... pag.
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Mete
L’Italia dei centri scomparsi: Romagnano al Monte di Giuseppe Damone .................................................... pag.
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Ritagli
La Storica Parata dei Turchi tra verità e leggenda di Luciana Travierso .................................................... pag.
AgendArt
a cura di Annalisa Signore ........................................... pag.
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Enciclopedia dell’arte di Giuseppe Nolé
Centoventi anni di storia, da quel 19 aprile 1893 in cui si decise di dare vita ad una esposizione internazionale d'arte. La Biennale d'Arte, alla sua 55ª edizione, apre i battenti in questi giorni pronta a sorprendere con “Il Palazzo Enciclopedico” curato da Massimiliano Gioni. Il percorso artistico si snoda dall’Arsenale ai Giardini, ed accoglie 150 artisti provenienti da 37 paesi differenti: lavori emergenti, grandi classici del Novecento, creazioni appena uscite dall’atelier e reperti che nulla hanno a che fare con l’arte. È uno sguardo globale sullo stato dell'arte oggi in ogni angolo del Pianeta, attraverso 88 padiglioni nazionali e numerose mostre, performance, installazioni, che punteggeranno Venezia e il suo entroterra. La Mostra è ispirata all’idea creativa di Marino Auriti, che nel 1955 depositò all’ufficio brevetti statunitense il progetto di un Palazzo Enciclopedico, un museo immaginario che avrebbe dovuto ospitare tutto il sapere dell’umanità. L’impresa rimase incompiuta, ma il sogno di una conoscenza universale e totalizzante attraversa la storia dell’arte e dell’umanità. Novità assoluta è il padiglione del Vaticano, “In Principio”, il cui titolo è stato scelto dal cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura: al suo interno installazioni, per la prima volta in mostra alla Biennale, ed opere della Santa Sede ispirate al racconto biblico della Genesi. Il titolo scelto dal curatore Bartolomeo Pietromarchi per il progetto del Padiglione Italia è “Vice versa”: un percorso espositivo composto da sette stanze, ognuna delle quali ospita due artisti in dialogo tra loro, dove il senso profondo di questa vocazione dialettica è manifestato dalle opere esposte.
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Eventi
Manet. Ritorno a Venezia
Nel titolo della mostra Manet. Ritorno a Venezia, organizzata dalla Fondazione Musei Civici di Venezia con la collaborazione speciale del Musée d’Orsay di Parigi, è racchiusa l’essenza stessa dell’esposizione che sarà possibile visitare presso le monumentali sale di Palazzo Ducale fino al prossimo 18 agosto 2013. Circa ottanta le opere presenti tra dipinti, disegni e incisioni, che vedono affiancati all’artista francese Édouard Manet i pittori italiani che hanno fatto grande il Rinascimento, da Tiziano a Tintoretto, da Lorenzo Lotto ad Antonello da Messina. Il punto di partenza per la realizzazione di questo evento nasce, infatti, dalla necessità di indagare storicamente l’influenza che l’arte italiana del Rinascimento ha avuto come modello ispiratore nell’arte di Manet, il grande precursore dell’Impressionismo francese. L’itinerario dell’esposizione percorre attraverso grandi capolavori come Le fifre (1866), La lecture (1865-73), Le balcon (1868-69), Ritratto di Stéphane Mallarmé (1876), tutta la sua vita artistica. Il per-
di Sonia Gammone
corso espositivo si snoda in diverse sezioni, ognuna delle quali pone l’accento su un aspetto della sua pittura e lo pone in confronto ad alcune delle opere che maggiormente gli furono di ispirazione. Nel suo primo viaggio in Italia Manet si dedicò a copiare alcune delle opere che più lo colpirono, come l’Autoritratto del Tintoretto o la Venere del Pardo di Tiziano. Ma fu con la tela Déjeuner sur l’herbe (1863-68) che Manet suscitò scandalo nei contemporanei, per la sfrontatezza con la quale tratta e ribalta i significati delle citazione classiche e per l’apparente incomunicabilità dell’opera. Un punto di partenza e di rottura con quelli che erano stati fino ad allora i modelli riconosciuti. Proseguendo nel percorso troviamo quello che rappresenta l’evento nell’evento, ovvero l’accostamento dell’Olympia (1863) di Manet alla Venere di Urbino (1538) di Tiziano. Sono molti i punti in comune tra i due dipinti, ma il senso simbolico che trasmettono è assai diverso: calda e sensuale la Venere, fredda
Édouard Manet, Olympia, 1863, olio su tela, cm 130x190, Parigi, Musée d’Orsay - © Musée d’Orsay, Dist. RMN-Grand Palais / P. Schmidt.
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Eventi
Sopra: Édouard Manet, L’évasion de Rochefort, 1880-1881, olio su tela, cm 80x73, Parigi, Musée d’Orsay - © DR – RMN (Musée d’Orsay) / Hervé Lewandowski. A destra: Édouard Manet, Le balcon, 1868-69, olio su tela, cm 170x124,5, Parigi, Musée d’Orsay - © RMN (Musée d’Orsay) / Hervé Lewandowski.
e distaccata l’Olympia. Da una parte il nudo sottolineato dai gioielli, dall’altro la presenza di pantofole; l’animale che per Tiziano è il cagnolino simbolo di fedeltà, per Manet diventa il gatto simbolo demoniaco; e ancora la mano sinistra sul pube realizzata con un tocco morbido in Venere, una sorta di sbarramento in Olympia. Un accostamento, quello delle due opere, che da una parte ci mostra l’influenza che l’arte italiana ebbe sul pittore francese, dall’altra tutta la grande forza innovativa della pittura di Manet. Dopo questo interessante momento di confronto l’esposizione continua con le nature morte e con le opere a tema sacro, per arrivare al tema del mare che ricorre in quasi quaranta opere.
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Ancora una volta Venezia farà da sfondo a una profonda innovazione del percorso creativo dell’artista, che si concentrerà negli ultimi anni sulla luce, sui soggetti in movimento, sui tocchi spezzati. L’évasion de Rochefort (1880-81), in mostra nell’ultima sezione, rappresenta fortemente questo momento creativo e innovativo, ma allo stesso tempo ci restituisce anche un po’ della vita del pittore: il racconto della fuga di un oppositore politico del tempo si intreccia con quello della vastità infinita dell’oceano. Metafora forse della vita di un artista che sfida il mondo e la società in cui vive e trasforma profondamente la pittura ponendosi come precursore di tempi nuovi.
Eventi
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Eventi
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I madonnari sono abili artisti in grado di trasformare, con gesti sapienti e con l'aiuto di comuni gessetti colorati, una porzione di suolo in un piccolo capolavoro, riproducendo le immagini sacre, in particolare della Madonna, rappresentate nelle opere dei più grandi pittori della storia dell’arte. Il loro lavoro si svolge per terra, prevalentemente sui sagrati di chiese e santuari in occasione di feste religiose, sotto gli occhi della gente, che può assistere all’esecuzione
nale Madonna del Sacro Monte. La manifestazione è stata organizzata allo scopo di onorare il culto per la Madonna Nera, la cui statua ogni anno, in occasione della prima domenica di maggio, viene trasportata dal santuario in paese alla vetta del Sacro Monte. Diversi sono stati gli artisti che hanno aderito all’iniziativa, tra i quali molti rappresentanti della Scuola Napoletana dei Madonnari, realizzando le proprie opere lungo la centrale Via Roma, nei pressi della
di un’opera dal primo tratto al suo completamento, in una vera performance a cielo aperto. Quella dei madonnari è un’arte antica, che trova le sue origini nel Medioevo ed eredita la tradizione dei pittori bizantini di icone. Ma è anche un’arte effimera, in quanto destinata a svanire nel giro di pochi giorni. Lo scorso 1° maggio il paese di Viggiano ha ospitato la prima edizione del concorso nazionale Madonnari a Viggiano, organizzato da In Arte in collaborazione con il Comune di Viggiano e con il Santuario Regio-
Basilica della Madonna Nera. I partecipanti per un giorno si sono voluti mettere in gioco, accettando la sfida lanciata dall’organizzazione di disegnare non le consuete icone sacre, ma immagini che narrassero scene, eventi e riti legati alla storia del culto locale, al fine di narrarlo attraverso l’arte. Le opere realizzate dai madonnari, al lavoro dal mattino – subito dopo la benedizione dei gessetti – al tardo pomeriggio, sono state giudicate da popolazione locale e turisti, che nel corso della giornata si
Madonnari a Viggiano
Eventi
di Francesco Mastrorizzi
sono avvicinati incuriositi agli artisti all'opera, dando la possibilità a chiunque di votare il proprio dipinto preferito. In base ai circa duecento voti registrati, l’opera più apprezzata è stata quella di Simona Fraterno di Napoli, che ha rappresentato il Sacro Monte di Viggiano e i sentieri che portano alla vetta. Seconda classificata l’opera di Pasquale Scognamiglio, proveniente da Avellino, raffigurante l’incoronazione della Madonna da parte di papa Giovanni Paolo II.
Al terzo posto l’opera del cinese Bo Lun, che ha ritratto la statua dal volto olivastro tanto amata dai fedeli di Viggiano e non solo. Gli altri artisti madonnari che hanno preso parte all’evento sono stati: Vladimir Amico di Napoli, Filippo Carlomagno di Trecchina (PZ), Tommaso Caruso di Rossano (CS), Noemi De Rosa di Napoli, Omar Mohamed di Napoli, Boris Rusev di Petric (Bulgaria), Gennaro Troìa di Napoli, Davide Urgo di Napoli.
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Eventi Nuovo anno e nuove emozioni: il concorso Sacre Visioni, alla seconda edizione, dimostra quanto il mondo dell’arte figurativa italiana si stia evolvendo e quanto essa sia sempre più condivisa. Nella suggestiva cornice dell’antico convento del SS. Crocifisso di Forenza (PZ) è andata in scena un’opera d’arte totale: 48 opere per 48 artisti, che hanno donato sensazioni eterogenee alla vista di coloro che hanno visitato la mostra allestita per l’occasione, offrendo un piccolo spaccato della cultura artistica italiana attraverso la loro personale interpretazione del tema sacro. Un mese di esposizione per godere delle splendide opere in gara e tentare di entrare in contatto con i significati nascosti dietro ognuna di esse. L’artista che si è aggiudicato la vittoria del concorso è stato Rudy Zoppi. Con la sua opera “Toglietevi che scendo” ovvero... Cristo in terra ha legato la sacralità alla quotidianità delle esperienze che viviamo, spiazzando e sorprendendo lo spettatore. E questa è solo la punta dell’iceberg dell’esposizione: se consideriamo nel loro complesso le opere presenti in mostra, notiamo che la caratteristica principale che le accomuna è la scelta di puntare su di una forte teatralità nell’interpretazione del tema sacro, attraverso però una variegata gamma di espedienti tecnici e materici. Le idee degli artisti in gara sono state molte e originali,
Sacre Visioni 2013 di Giulia Smeraldo
oltre che di qualità tecnica, spaziando dall’osservazione e contemplazione di un cielo stellato (Maria Gambacorta, Tu scendi dalle stelle...) proposto con una tecnica mista su tela simile all’approccio action dell’arte americana, passando per un olio davvero toccante come quello di Claudia Breuza (Sacra famiglia), fino ad arrivare addirittura ad esiti surrealisti, come dimostra Pasquale Mastrogiacomo con il suo Sacrificio della Croce sull’"altare" della finanza. Menzione a parte per il secondo e terzo posto, raggiunti rispettivamente dalle opere di Salvatore Malvasi e Loredana Catino. Elì, Elì, lemà sabactani di Salvatore Malvasi è forse il dipinto in cui si riscontra la più forte carica emotiva, data anche dalla scelta dei colori e dalla tipologia di taglio ed inquadratura del Cristo; un’opera che scopre la sua vera forza solo attraverso gli occhi di chi la osserva. Madonna di tutti i bambini di Loredana Catino, invece, sceglie la proposta di una nuova Vergine Maria, dandole un significato universale e innalzando la sacralità del soggetto attraverso l’iconicità della raffigurazione. Insomma un tripudio di immagini e di sentimenti che hanno confermato il concorso Sacre Visioni come un punto fermo nell’arte contemporanea nazionale, in grado di coinvolgere ed immettere nel mercato artisti di tutta Italia.
1° classificato - Rudy Zoppi, Toglietevi che scendo ovvero... Cristo in terra, 2013, acrilico su tela, cm 80x120.
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Eventi
2° classificato - Salvatore Malvasi, Elì Elì lemà sabactàni, 2013, acrilico su compensato, cm 100x80.
3° classificato - Loredana Catino, Madonna di tutti i bambini, 2013, olio su tavola, cm 60x50.
Pino Nardelli, Madonna del Carmelo.
Gabriella Soldatini, Estasi.
Fiorentina Giannotta, Sacred in gold field.
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Sonia Nardocci, L'angelo caduto.
Katia Stain, Kyriotissa.
Stella D'Amico, L'immagine.
Paolo Lacrimini, La vergine Maria.
Massimo Chianese, Madonna del Carmine
Fabio Giocondo, Via della croce. Marianna Schiaroli, La fede universale.
Lupo&Asso, Senza titolo.
Ada Bomba, Ecce Ancilla Domini.
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Luciana Bertorelli, Mater misericordiae.
Silvia Gioiosa, Il problema di Dio.
Antonella Tolve, Mater dolorosa. Marisa Bellini, Ecce homo.
Antonio Esposito, Senza titolo.
Rosa Iorio, La passione di Cristo.
Itala Gasparini, Sfere celesti.
Maria Gambacorta, Tu scendi dalle stelle... Sabato Rea, Cristo.
Elisabetta Fuiano, Sacra tavola dell'Iconavetere
Giusy Valente, Allegoria della fede.
Carlo Battista, La fede oggi.
Claudia Breuza, Sacra famiglia.
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Eventi Angelo Iuliano, Gesù bianco - Gesù nero.
Antonio Loffredo, Quante volte crocifisso.
Andrea Albonetti, Le due facce della medaglia.
Mariapina Logrippo, Angelo protettore.
Antonello Morsillo, Ascesi.
Filippo Carlomagno, Madre soccorritrice.
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Pasquale Mastrogiacomo, Sacrificio della Croce sull’"altare" della finanza.
Giulia Huober, Studio per deposizione.
Elettra Vinelli, Cerco i tuoi occhi.
Erika D'Elia, Amiamoci.
Eventi Giuseppe Amoroso De Respinis, Il sacrificio di Ges첫. Antonia Leonetti, Fragile protezione.
Giovanni Gabassi, Senza titolo.
Pompea Di Stefano, Il volto di Ges첫.
Annarita Baldassare, Pescatore di anime.
Antonio Grimolizzi, Ecce homo.
Achille Quadrini, Conversione sulla via di Damasco.
Assunta Fino, E mi fermo pensosa.
Sara Di Costanzo, Noli me tangere.
Anna Maria Guarnieri, Alfa e Omega.
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Cromie Rudy Zoppi (15 agosto 1975) possiede due caratteristiche fondamentali per un promettente artista: la particolare indole ironica, che lo porta a prendere in giro se stesso e a scherzare sulla sua vita, mai sulle sue opere, e la predisposizione al silenzio o meglio dire alla meditazione. Il concorso Sacre Visioni ha premiato il 3 maggio 2013, ad un mese dall’inaugurazione della mostra, un artista che ha avuto modo di far conoscere le sue caratteristiche individuali e la sua capacità di conferire alle opere un particolare senso di immediatezza, quasi si trattassero di istantanee fotografiche. Il premio assegnato dalla giuria è stato motivato dalla capacità di Rudy Zoppi nel modulare, con un’attenta preparazione tecnica, un linguaggio pittorico nuovo ed innovativo insieme a tematiche tutt’altro che contemporanee, benché sempre attuali. La bravura nel saper dare una risposta convincente ed efficace ad un tema di carattere religioso, suggellando un proRudy Zoppi, Un infinitesimo, 2011, acrilico e cera su tela, cm 90x150.
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Rudy Zoppi Istanti sospesi di Eleonora D’Auria
fondo legame con la società contemporanea e con tutte le sue cruciali problematiche, lo pone a qualificarsi come un vincitore non solamente del concorso in senso stretto, ma, in maniera più ampia e piana, di un “gioco” ben più pericoloso, quello di rendere il sacro un evento contemporaneo, senza banalizzarlo in ridicoli tentativi di attrazione pubblicitaria. Con la sua modulazione pittorica, unita alla sapiente capacità tecnica attuata mediate l’utilizzo accurato dell’acrilico, Zoppi immortala preziosi frammenti temporali che manifestano un legame forte con l’istante, ma al contempo con un intero percorso di vita. L’opera che ha ottenuto il primo premio, “Toglietevi che scendo” ovvero... Cristo in terra, si offre allo sguardo dell’osservatore per mezzo di una visione aerea particolare ed anomala, determinando quell’effetto di sotto in su, che rende l’elaborazione artistica ancor più sorprendente. “Per la realizzazione della mia opera ho tratto ispirazione dalle dimissioni di
Rudy Zoppi, Non è un paese per vecchi negozi, 2010, acrilico su tela, cm 100x200.
Rudy Zoppi, Destabilizzazioni da futuro, 2013, acrilico su tela, cm 120x200.
Papa Benedetto XVI”: cosi si esprime Rudy, nell’evidenziare come quel salto mozzafiato sia un rinvio all’atmosfera di fiato sospeso che milioni di cristiani hanno vissuto in quegli storici momenti. La precarietà di una vita continuamente messa in discussione, la perdita di elementi cardine della società, ha probabilmente spinto Rudy a voler realizzare un’opera che con la potenza di un’istantanea testimoniasse lo
sgomento, la paura di una caduta, ma chissà forse anche la speranza di una rinascita. Tutto questo è Rudy Zoppi, giovane artista nato nei pressi di Mantova, ma – come lui stesso si definisce – in attesa di una precisa collocazione geografica. Un artista alle prese con molteplici aspetti di una realtà che lo vede coinvolto in una continua e sorprendente evoluzione.
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La pittura-teatro di Mattia Preti
Cromie Tra i pittori seicenteschi più noti al grande pubblico di sicuro non è annoverato Mattia Preti. Inquadrarlo genericamente nel largo raggio della pittura napoletana o comunque di tradizione caravaggesca sarebbe del tutto riduttivo, così come difficile sarebbe costringerlo entro i rigidi limiti di una scuola pittorica precisa. Eppure è fra i seguaci di Caravaggio più significativi, sia per la qualità della sua pittura sia per la tenacia con la quale seguirà le orme del pittore lombardo, mantenendone vivo il segno anche quando il Maestro rischierà di essere del tutto dimenticato, rivisitandolo attraverso Battistello Caracciolo e guadagnandosi, insieme ai due maestri, il titolo di «terzo fra i geni pittorici del ‘600 italiano» da parte del grande critico Roberto Longhi (R. Longhi, Mattia Preti, in “La Voce”, Firenze, ottobre 1913). Detto anche il Cavaliere Calabrese, poiché originario di Taverna, in provincia di Catanzaro, Mattia Preti nasce nel 1613 e, dopo alcuni anni di formazione nella bottega di famiglia, arriva a Roma intorno al 1630. Caravaggio è già morto e la sua pittura sta perdendo gradualmente i favori del pubblico, in particolare dei collezionisti. Inizia comunque a formare la sua mano sui dipinti del maestro lombardo: le sue prime opere sono intrise totalmente di caravaggismo romano, del quale dà comunque una sua interpretazione personale e non calligrafica, filtrata anche attraverso naturalisti e caravaggeschi della prima ora come Bartolomeo Manfredi e Valentin de Boulogne. I dipinti di questo periodo ritraggono scene di genere popolate da musici, giocatori d’azzardo, soldati, cortigiane; e quando si dedica a temi religiosi lo fa attenendosi al naturalismo, a tagli di luce accidentati e forti contrasti chiaroscurali. Pur essendo prevalentemente un pittore di pale di altare e dipinti di grandi dimensioni, non si nega alla committenza privata e a tele di dimensioni più contenute, nelle quali emerge sia la matrice naturalista, con la quale conferisce valore plastico alle ombre come alle luci, sia la sua adesione ad un linguaggio più squisitamente barocco. Lavorare a Roma nella metà del Seicento porta inevitabilmente a immergersi nella corrente artistica barocca ed è probabilmente negli affreschi del coro di Sant’Andrea della Valle che Mattia Preti si confronta con il classicismo emiliano di Giovanni Lanfranco e Domenichino e si lascia ispirare da nuovi stimoli, che lo portano a limare le asprezze naturalistiche del Caravaggio, volgendosi alla pittura più ideale di Guido Reni o inscenando composizioni atletiche e monumentali ispirato dalla teatralità di Pietro da Cortona.
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di Lauramaria Figundio
Assetato di conoscenza e desideroso di arricchire ed affinare la sua arte, viaggia molto in Italia e in Europa, per raggiungere grandi maestri ed apprendere direttamente da loro i segreti dell’arte pittorica. Attratto dai colori dei maestri veneti del Cinquecento, compie diversi viaggi e soggiorni a nord, dove ammira i capolavori di Tiziano, del Veronese e del Tintoretto e li mescola con il Caravaggio. Questa miscela eleva alla potenza la teatralità delle sue composizioni, complesse e articolate, affollate di figure che animano le tele come un palcoscenico, e arricchisce la sua tavolozza di nuove brillantezze che vanno oltre i colori bruniti e terrosi del caravaggismo. Nel 1653 si trasferisce a Napoli, proprio mentre è colpita da una grande pestilenza. Qui esegue molti dipinti e anche degli affreschi votivi, oggi perduti, sulle porte della città, che dovrebbero avere valore quasi apotropaico contro il flagello della peste. È un periodo di produzione (che termina nel 1660) quantitativamente importante e qualitativamente determinante, nel quale rivela la sua impressionante capacità inventiva ed esecutiva, unendo il luminismo caravaggesco con lo sfarzo e la ricchezza cromatica dei pittori cinquecenteschi. È così che Mattia Preti imprime una svolta alla pittura napoletana, secondo Longhi salvandola dal «realismo microscopico e necrofilo» di Ribera, superandone il realismo crudo e l’«orrendo impasto», per avviarsi verso la fluidità della produzione luminosa, estrosa e dinamica di Luca Giordano. Nel 1661 Mattia Preti arriva a Malta, chiamato dal Gran Maestro dell’Ordine dei Cavalieri di Malta, a cui era stato ammesso nel 1642. Sull’isola realizza buona parte della decorazione della Concattedrale di San Giovanni a La Valletta, per conto dei Cavalieri Ospitalieri, ed altre opere per varie chiese e residenze. A parte alcuni viaggi verso il paese d’origine, Taverna, con il quale aveva mantenuto sempre vivi i rapporti inviando continuamente sue tele (oggi raccolte nella Pinacoteca Pretiana), non lascerà mai più l’isola, dove morirà all’inizio nel 1699, a causa di un taglio accidentale da parte del suo maldestro barbiere. Di recente è stata inaugurata alla Reggia di Venaria la mostra Il Cavalier calabrese Mattia Preti, che rimarrà aperta fino al 15 settembre 2013. Più che una mostra monografica, però, l’esposizione si presenta come un percorso sulla pittura a Roma fra il 1630 e il 1670 e sugli esiti dell’instancabile ricerca pittorica di Mattia Preti. A lato: Mattia Preti, Sant’Ambrogio, Collezione privata Romano Carratelli - Fonte: Consorzio La Venaria Reale.
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Scultore di se stesso
fotoCromie Alejandro Maestre Gasteazi, classe 1979, è un fotografo spagnolo noto per la sua attività in ambito pubblicitario e per la sua continua ricerca di nuove tecniche di post-produzione digitale. Originario di Murcia, ha studiato fotografia all’Universidad Politécnica de Cataluña e ha lavorato come docente per oltre dieci anni a Barcellona. Nel 2003 ha fondato e diretto la CitizenPixel, un’azienda specializzata nella produzione di immagini per grandi marchi come Audi, Burberry e Industrias Cosmic, in collaborazione con le più note agenzie del settore. Insieme a Julián Canovas-Yañez, suo amico e artista multidisciplinare, è l’artefice di un interessante progetto fotografico in cui l’obiettivo diviene la lente indagatrice del processo creativo insito in ogni artista. El hombre que se crea. Retrato a Julián costituisce una sorprendente sequenza fotografica formata da una serie di 20 scatti in cui le forme del corpo umano vengono esplorate magistralmente. Il soggetto è lo stesso Canovas-Yañez, scultore, pittore, scrittore, regista ed esso stesso fotografo, che in questo caso si pone davanti e non dietro l’obiettivo, offrendosi come modello per un’ambiziosa idea con cui viene superata la distinzione tra fotografo puro ed artista, facendo del mezzo fotografico lo strumento per ulteriori sperimentazioni. La fotografia affronta tematiche di carattere concettuale e passa dalla rappresentazione del reale alla sua interpretazione. Un’indagine, dunque, non solo documentaria e rappresentativa della massa corporea e della sua bellezza, ma an-
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di Annalisa Signore
che dello spirito che in essa si rifugia. In questi termini Maestre ha voluto sviluppare una sorta di combattimento interno al soggetto ritratto che, definendo le sue parti anatomiche attraverso una patina argillosa, simbolicamente modella e rende migliore il suo essere: espressione nuova di un’antica tendenza ad assumere una prospettiva antropocentrica riguardo al tema della creazione, dove l’artista, svelando la messa in opera, l’atto del plasmare, nel contempo svela se stesso. Atteggiamento tutto “gadameriano” in cui l’esperienza conoscitiva diviene verità sia per l’autore che per il fruitore. In uno spazio neutro, compaiono prima le due mani, interpretabili come simboli di potere e come strumenti di creazione, poi si susseguono il volto, il collo e il busto, quest’ultimo ripreso da più punti di vista, fino a quando a poco a poco la figura umana si delinea distintamente. Lo sguardo rapito del protagonista osserva l’epifania graduale dell’uomo, rivela la presa di coscienza di sé e di ciò che esprime la propria corporeità. Il mezzo fotografico e le nuove tecniche digitali al suo servizio permettono di produrre una sorta di presentazione frammentata di ogni parte del corpo che emerge solo in corrispondenza della materia terrosa: richiamo esplicito alla terra, al concetto biblico di origine e alle fasi di esecuzione di una scultura. Proprio una scultura sembra, ma questa ha una sua vita ed è in grado di trasmettere un contenuto ambivalente in cui vi è la compresenza di artefice ed artefatto.
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Photo courtesy of Alejandro Maestre Gasteazi
CINECromie Virgil Oldman è un uomo di mezza età che ha dedicato tutta la vita all’arte, fin da quando da bambino, persi i genitori e accolto in un orfanotrofio, la punizione che gli viene inflitta per le piccole marachelle commesse è quella di recarsi come garzone di bottega presso un artigiano restauratore. Lì avviene il suo primo incontro con l’arte. Il ragazzo impara a conoscere le diverse tecniche pittoriche e le epoche a cui esse risalgono. L’iniziale curiosità si trasforma subito in passione, tanto che le marachelle diventano sempre più frequenti, al fine di scontare la dolce punizione. Da quel momento l’amore per l’arte non lo abbandona più. Virgil negli anni diventa un apprezzato antiquario e un banditore d’asta di fama internazionale, il più bravo e il più pagato, ricercato dalle case d’asta di tutta
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Europa. L’esperienza gli permette di scovare il più perfetto falso d’autore, l’istinto di scoprire un nuovo talento sul nascere. Il suo stile è inappuntabile sia nel lavoro che nel privato. L’arte gli ha portato successo e ricchezza, riempiendo ogni sua giornata. Virgil, però, ha l’arte e niente più. Il suo carattere schivo e diffidente lo tiene lontano dalle persone, dagli uomini e soprattutto dalle donne, per le quali nutre un’immensa ammirazione, ma dalle quali lo separano insormontabili problemi di comunicazione. Evita persino il contatto fisico diretto con gli altri, terrorizzato da qualsiasi tipo di scambio. I rari gesti di affetto sono solo verso l’unico amico che si ritrova, un coetaneo pittore che non è riuscito mai a sfondare, suo complice segreto nell’acquisto a basso costo di molte delle opere d’arte da lui stesso bandite.
La migliore offerta di Francesco Mastrorizzi
Perché Virgil è anche un attento collezionista d’arte. Con una particolarità: i dipinti della sua raccolta sono tutti ritratti femminili. Capolavori di ogni secolo che tiene esposti in una stanza segreta della sua grande e solitaria casa. La loro contemplazione rappresenta per lui l’unico legame con le donne. In quella stanza l’amore per l’arte si sovrappone e si confonde con l’amore per le donne, tra mille occhi in cui cerca uno sguardo che lo ricambi. Ma una donna farà inaspettatamente ingresso nel-
la vita di Virgil. Giuseppe Tornatore, affidandosi ad una straordinaria interpretazione di Geoffrey Rush, ci racconta i risvolti di questo incontro casuale e inspiegabile tra due anime, che ricorda quello tra gli amanti baricchiani Adams ed Elisewin nel romanzo Oceano mare, e di come Virgil dovrà considerare se quella dell’amore sia “la migliore offerta” che abbia mai ricevuto, senza dimenticare, simile nel destino all’altro personaggio cinematografico Titta Di Girolamo, di non sottovalutare “le conseguenze dell'amore”.
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© Antoine Mongodin
Piove nella Cour Napoleon del Louvre, dove un gruppo di persone aspetta che cominci la performance Sculpture de promenade (Scultura da passeggio) di Michelangelo Pistoletto. L’artista farà rotolare Mappamondo, replica della sfera di giornali che fece il giro delle strade di Torino nel ‘67 e che viene riproposta a Parigi nel 2013, insieme a una serie di iniziative, dibattiti e proiezioni di film, in occasione della mostra curata da Marie-Laure Bernadac: Michelangelo Pistoletto. Année 1 - Le Paradis sur Terre. L’esposizione raccoglie i Quadri specchianti degli anni ’70 insieme ad opere più recenti, quali Il Tempo del giudizio del 2009, e l’Obelisco e terzo Paradiso (1976-2013). L’ultimo, il segno di un doppio otto
© Antoine Mongodin
Direzioni
Michelangelo Pistoletto, Ragazza che fotografa, 1962-2007, serigrafia su acciaio inox lucidato a specchio, cm 250x125.
Michelangelo Pistoletto, Obelisco e Terzo Paradiso, 1976-2013.
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orizzontale fatto di stracci. Un’opera attraverso la quale l’artista sintetizza un percorso creativo sviluppato in armonia con la natura e anticipatore di temi quali il riciclaggio, visto come opposizione al consumo forsennato (gli stracci non erano uno spunto di riflessione di fronte al boom economico degli anni ’60?) e il rispetto della natura (il recente segno a tre cerchi non simboleggia – come spiega il suo artefice – il tentativo dell’incontro tra natura e artificio, la nuova strada: il terzo paradiso?). Nell’attesa, la pioggia si fa più sottile, le nuvole diradano, dei colpi di vento asciugano le pietre della Cour. All’apparire di pallidi raggi di sole, la sfera comincia lentamente a scivolare oltre la porta a vetri della Piramide; si spinge avanti facendosi largo tra la gente e, mansuetamente, dà il via alla performance. Le prime rotolate e l’obiettivo è già raggiunto: i partecipanti sono diventati parte attiva del lavoro; le distanze tra artista/opera/spettatore
Michelangelo Pistoletto al Louvre: non solo una mostra
Michelangelo Pistoletto, Figura umana, 1962, velina dipinta su acciaio inox lucidato a specchio, cm 200x100.
© Antoine Mongodin
sono scomparse e Pistoletto, nella sua divisa – vestito nero, mocassini bassi, cappello di Panama – è uno tra i tanti che seguono la sfera attraversare la corte, fermarsi al semaforo e poi ruzzolare sulle strisce tra gli sguardi divertiti degli automobilisti. Ad ogni isolato il gruppo dei partecipanti cresce e si fortifica, resistendo nel proprio ritmo di pedoni a quello dei motori e con la sua vivacità di passi e voci umane al rombo delle macchine. A tratti, lungo la Senna, s’impone al traffico; in altri è costretto a restringersi sui marciapiedi. Solo arrivato al Pont des Arts, il gruppo che segue Mappamondo sembra consapevole del viaggio simbolico che percorre (il viaggio della vita, il viaggio della storia, il viaggio di un artista, il viaggio di ognuno), in cui c’è spazio per nuovi incontri, per conversazioni di routine o straordinarie e per gli imprevisti, come il passaggio delle redini della sfera a una bambina che, superato il ponte, dalla cima dei tre scalini del palazzo neoclassico della Place de L’Insitut, dà un calcetto alla sfera facendola precipitare in picchiata in un “oooh” di entusiasmo corale. «Cedere una parte di me stesso a chi desidera cedere una parte di se stesso è l'opera che mi interessa» aveva affermato l’artista nel ‘67, per spiegare la performance a un pubblico scettico. Dopo tanti anni, sembra che non ci sia più bisogno di spiegazioni.
© Antoine Mongodin
di Maria Pia Masella
Michelangelo Pistoletto, Gabbia, 1962-73, Serigrafia su acciaio inox lucidato a specchio, cm 230x500 (4 pannelli).
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Arroccato su un prominente picco collinare, muto testimone della storia che gli passa d’innanzi, Romagnano al Monte sorge in provincia di Salerno, al confine tra la Basilicata e la Campania, lungo la valle dove scorrono i fiumi Bianco e Platano, alla confluenza con il Nero. Con una storia plurimillenaria, Romagnano oggi si annovera tra le città abbandonate d’Italia: camminare tra le antiche strade del piccolo paese equivale a fare un viaggio in un capitolo di storia a noi non molto lontana, che ancora oggi sa rievocare tutta la sua drammaticità. 23 novembre 1980, ore 19.35. Due scosse a poca distanza sconvolgono per un minuto e venti secondi i comuni dell’Irpinia e della Basilicata. Nei giorni successivi, tutti i giornali riportano la notizia dei duemila morti, degli oltre diecimila feriti e dei trecentomila senza tetto. Ma se la carta stampata ci riporta dati drammatici, le pietre del piccolo centro, vittima anch’esso del violento sisma, sanno ancora raccontare quei furenti momenti. Nel caos generale, la gente lascia le proprie case e la chiesa sulla piazza del paese. Tutti si riversano per le strade ed assistono impotenti ai crolli delle loro case, che sono spazzate via come foglie con il vento. Molti non potranno neanche più recuperare le loro cose che sono ancora lì, tra
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i ruderi e la vegetazione che riconquista i suoi spazi. Vecchie scritte sui muri, ormai quasi cancellate dal tempo, indicano l’edificio della scuola elementare e del municipio; una vecchia insegna del telefono pubblico è quello che resta di un vecchio bar. E poi ci sono il frantoio con le sue grosse macine di pietra e la vecchia chiesa, spogliata di tutti gli elementi di pregio, con l’antico cassettone di legno crollato sul pavimento. Tra le rovine delle case, vecchi contatori elettrici, alimenti in scatole di latta di marchi ormai dimenticati, elenchi telefonici del 1978, vestiti logori, mobili distrutti e vecchie carte da parati. È quello che resta di un piccolo paese dell’entroterra, con un’economia basata principalmente sull’agricoltura e sulla pastorizia. Dopo lo stato d’emergenza, il nuovo paese è ricostruito poco più a valle, dove la popolazione si trasferisce a vivere, lasciando tra quelle rovine i propri ricordi, custoditi tra le pietre silenziose di un centro che con la nebbia diventa quasi spettrale, assumendo quell’aspetto che solo le ghost town sanno avere. Un progetto di recupero, voluto dall’amministrazione comunale, sta cercando di salvare dalla completa rovina il piccolo centro, che sarà rifunzionalizzato come borgo albergo e centro studi.
L’Italia dei centri scomparsi: Romagnano al Monte di Giuseppe Damone
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La Storica Parata dei Turchi tra verità e leggenda di Luciana Travierso
La Storica Parata dei Turchi si svolge ogni anno a Potenza il 29 maggio, vigilia della festività religiosa di San Gerardo, il Santo Patrono. È una rappresentazione allegorica dell’invasione dell’esercito turco, città nel XII secolo. I potentini chiesero l’aiuto del vescovo piacentino Gerardo La Porta, che liberò la città dai nemici grazie all’intercessione degli angeli guerrieri. Tempietto e del cinto devozionale, fatto di ceri e di Gerardo. Il percorso, partendo dal Campo Sportivo Viviani, termina davanti al Duomo, quando i partecipanti si consegnano simbolicamente al Patrono. Altro luogo caratteristico è Piazza Sedile, in cui la “Iaccara” (un fascio di canne e legno lungo 12 metri e pesante 800 chili), trasportata da devoti vestiti con
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abiti tradizionali, viene innalzata e bruciata. Il singolare rito ricorda infatti gli antichi culti arborei lucani di origine pagana. Diverse sono le versioni riguardo la genesi dell’evento miracoloso. Secondo Giovanni Antonio Scafarelli, conte Alfonso de Guevara, giunto in città nel 1578. Invece Mario Brienza la metterebbe in relazione alle fastose celebrazioni per la vittoria sui saraceni nella battaglia di Vienna (1683). Un’altra tesi è data dal Viggiani, secondo il quale il corteo ricorderebbe la liberazione, da parte di Ruggiero di Sicilia, di Ludovico Re di Francia imprigionato dai Turchi. In concomitanza, sarebbe avvenuta la canonizzazione di San turca fosse avvenuta grazie all’intervento del Santo Patrono. Il Racioppi tramanda la leggenda del martirio di Sant’Oronzio, protettore di Potenza prima di San Gerardo, e dei suoi fratelli. Durante il loro tra-
sporto in nave per Roma, vennero sorpresi da una tempesta, placata dalle loro preghiere. Nonostante ciò, vennero uccisi presso il Basento da Valeriano, proconsole di Cartagine. Quindi la nave presente durante la sfilata potrebbe rimandare al viaggio di Sant’Oronzio, mentre la figura del Gran Turco, persecutore dei cristiani, a Valeriano. Nonostante il fascino delle leggende, sono doverose alcune precisazioni. È incerto che il Basento sia stato navigabile e che l’invasione dei turchi sia avvenu-
ta durante la permanenza di Gerardo La Porta a Potenza dal 1111 al 1119. Probabilmente San Gerardo sarebbe stato venerato per aver contrastato il movimento eretico dei Catari, associati ai Turchi, nemici per definizione dei popoli meridionali. La storica parata rappresenta un momento sacro e profano, che unisce tutti i cittadini fedeli al Santo Patrono al fine di rievocare una delle tradizioni più affascinanti della storia locale, capace di attirare visitatori da tutta la Basilicata e dintorni.
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agendART a cura di Annalisa Signore
Milano Zavattini e i Maestri del Novecento
Firenze Il sogno nel Rinascimento
Caserta Robert Doisneau. Paris en liberté
Fino all’8 settembre 2013 Pinacoteca di Brera, Milano Info: www.brera.beniculturali.it
Fino al 15 settembre 2013 Galleria Palatina - Palazzo Pitti, Firenze Info: www.unannoadarte.it
Fino al 23 settembre 2013 Reggia di Caserta, Caserta Info: www.doisneaucaserta.com
La Pinacoteca di Brera presenta la mostra A tutti i pittori ho chiesto l'autoritratto - Zavattini e i Maestri del Novecento, a cura di Marina Gargiulo. L’esposizione riunisce la collezione di “opere minime” di Cesare Zavattini, scrittore e sceneggiatore del cinema neorealista, ma anche pittore e collezionista. Nel corso di quarant’anni Zavattini raccolse circa millecinquecento quadri dal singolare formato di otto centimetri per dieci, di cui ben 152 autoritratti, acquisiti dalla Pinacoteca di Brera, oggi restaurati e in mostra. Vengono presentati per la prima volta al pubblico gli splendidi Autoritratti minimi, realizzati dai grandi del Novecento, tra cui Fontana, Burri, Balla, De Chirico, Savinio, Capogrossi, Severini, Rosai, Casorati, Sironi, Mafai, Soffici, De Pisis, Campigli, Afro, Depero, Guttuso, Sassu, Manzù, Melotti, Marini, Schifano, Vedova, Rotella, Turcato, Munari, Pistoletto, Plessi e altri. Accanto ai lavori di questi artisti, alcuni autoritratti dello stesso Zavattini e un ricco corpus di documenti che ricostruiscono la storia della raccolta.
La mostra alla Galleria Palatina di Palazzo Pitti offre al visitatore la possibilità di addentrarsi per la prima volta in un argomento come il sogno nel Rinascimento, cercando di metterne in luce la ricchezza e varietà. Il tema del sogno assume, infatti, un rilievo particolare nella mitologia antica e nella cultura del Rinascimento, come dimostra il suo diffondersi nelle arti figurative ed in particolar modo in opere di soggetto religioso o legate alla riscoperta dei miti antichi. Varie sezioni articolano la mostra, cominciando da quelle che definiscono e precisano il contesto nel quale il sogno si manifesta: la notte e il sonno. Opere letterarie come la celebre Hypnerotomachia Poliphili di Francesco Colonna, in cui il sogno svolge un ruolo fondamentale, affiancano dipinti e incisioni di soggetto mitologico e allegorico, alcuni per la prima volta esposti a Firenze, come il Sogno del cavaliere di Raffaello, proveniente dalla National Gallery di Londra, e il dipinto con Venere e Amore addormentati e spiati da un satiro del Correggio, dal Museo del Louvre.
Dopo il successo ottenuto a Roma e a Milano, arriva alla Reggia di Caserta la grande rassegna antologica dedicata a Robert Doisneau. Negli Appartamenti Storici del Palazzo Reale oltre 200 fotografie originali scattate da Doisneau tra il 1934 e il 1991 e raggruppate ripercorrendo i soggetti a lui più cari. L’esposizione conduce il visitatore in una suggestiva passeggiata nei giardini, lungo la Senna, per le strade del centro e della periferia, e poi nei bistrot, negli atelier di moda e nelle gallerie d’arte della capitale francese. Il soggetto prediletto delle sue fotografie in bianco e nero sono infatti i parigini: le donne, gli uomini, i bambini, gli innamorati, gli animali e il loro modo di vivere una città senza tempo. È una Parigi umanista e generosa, ma anche sublime, che si rivela nella nudità del quotidiano. Nessuno meglio di lui si avvicina e fissa nell’istante della fotografia gli uomini nella loro verità quotidiana, a volte reinventata. Il suo lavoro di intimo spettatore appare oggi come un vasto album di famiglia dove ciascuno si riconosce con emozione.
Città di Venosa
BALZO sull’ARTE
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DAL 5 AL 25 LUGLIO 2013 CASTELLO “PIRRO DEL BALZO” - VENOSA (PZ)